Il Barlume Anno 1 Numero 2

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IL BARLUME

Anno 1 Numero 2 - Febbraio 2007

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EDITORIALE I giochi son fatti per essere vissuti (ai critici d’adolescenti, con amore) In questi due mesi, da quando è partito in pratica il progetto de “Il Barlume”, abbiamo ricevuto qualche plauso e alcune critiche. Ci sentiamo, adesso, di rispondere. Non ai plausi, quelli sono andati ad ingrassare i nostri rispettivi ego. Alle critiche, per evitare che li facciano dimagrire. La prima è che sul nostro sito ci siano troppe poche cose. Possiamo rispondere solo che i mezzi sono quelli che sono e che l’amico Filiberto fa bene quello che gli abbiamo chiesto e di chiedergli di più non ci sentiamo. Miglioreremo, col passar del tempo. La seconda è che non abbiamo detto – o comunque non si è capito – dove vogliamo arrivare. Ci verrebbe da rispondere che l’importante è il viaggio, non dove si vuole arrivare e che quindi non dovete che percorrere la strada con noi, senza chiedervi dove conduce. Però ci sentiamo a questo punto in obbligo di darvi qualche indicazione, o almeno di dirvi che cosa vogliamo fare. Ecco, questo vorremmo: una rivista on line che contenga poesie, racconti, foto e tutto il resto. Vorremmo raccogliere un poco di luce artistica (perché arte, ormai lo sappiamo, non è mica una parola seria), quel poco che c’è in noi e che vediamo in giro, attorno a poche pagine che ogni primo del mese arrivano su questo sito. Vorremmo diventare non un faro ma un barlume per quelli che leggono e per quelli che scrivono, per quelli che raccontano e per quelli che si fanno raccontare, per quelli che guardano e per quelli che sanno fermare lo sguardo più a lungo. Tutto scorre così in fretta. Non ci lascia il tempo per il dentro. Se trovate questo tempo e dentro c’è un barlume d’arte, mandatecelo, e se pare la stessa cosa anche a noi, lo troverete su queste pagine. L’ultima cosa è che, secondo alcuni, certe cose sono, cito fra virgolette, un po’ “adolescenziali”. In questo caso ci sentiamo di rispondere così:

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Artista: Ho stipulato un sotterraneo accordo con i miei sintomi da salario precario, da disdette condominiali e da lavoro di ogni giorno, coordinato come sono da un capo-ufficio sostenuto e collerico, uomo gabella-tranelli, pescivendolo che gira la ruota della vita. Critico: Soliloqui sul baratro: ecco l’artista. Che fatica la lotteria dei giorni, che sbalorditivo carcere queste nuvole di simboli. Così vanno le cose, punto. E tu chi saresti per scriveredipingerefotografare? Lasciamo l’arte a chi la sa fare. Barattiamo il criminale con il pittore. Chi dei due è più utile? Oh buon Dio, non si perda tempo in letture periferiche, voci scontate. Piuttosto, si contattino esperti per parlare di orgasmi o per grattare l’anima dei topi con la teologia. Artista: Sostieniti a quel palo, caro il mio Vincente. Io corro dal mio piccolo e lucente nipote, caramellato come un albero vischioso. Stabiliamoci, io qui e tu lì. Stop all’ingresso. Io credo nelle garrule burle, nei paradossi nefasti, nelle pittore oligofreniche. Tu nei corridoi lucidi e nei protervi amichetti del potere. Chi dei due è più utile? I giochi son fatti per essere vissuti. Critico: Mi guardi attorno? Mi vedi attorno? Mi vedi? Io possiedo monete di cacio e bottiglie di cachemire, non i tuoi barattoli vuoti o lattine colme di lime da barba. Mi sfascio come una sedia sotto ad una donna grassetta. Lardo piovente, spiovente, la bella civiltà d’oggi, spiata ed espiata.;.: Dubbia interpunzione, deve essere il pensiero debole. Chi lo ha detto? Sì? No? Sì, ora dammi quella gabbia, è la mia. Artista: Svicolo dal giardino ed esco dal gabbiotto, mi guadagno il pane quotidiano un cuscino e un piatto di sibillina virtù. Adamantino peccato di gola mangiare il tuo cuore di carta velina.

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TUTTO E’ COMPIUTO Emidio Picariello Sono stanco, non riesco a dormire bene, non riesco a dormire quasi affatto. Mi sveglio di colpo, ho negli occhi sempre la stessa immagine, una premonizione. Io, in piedi, le gambe leggermente divaricate, in mano una pistola, il braccio teso, come se stessi per sparare. Non credo nelle premonizioni, non ci credevo, almeno. Ho sempre pensato soltanto che a mio figlio avrei detto prima di morire “conserva bottiglie vuote” e la cosa strana è che non avevo mai visto Zelig. Per il resto mi limito a immaginare la mia vita come un uomo che corre e inciampa continuamente, senza mai cadere. Per il resto, fino a poco tempo fa, cambiavo canale alla televisione se passavano l’oroscopo.

fianco, se si fosse verificato nel frattempo qualcosa di positivo o negativo, tanto per cominciare. Sono partito dalle superstizioni tradizionali perché è stato dimostrato che qualcosa di vero in fondo sempre lo contengono. E poi uno scienziato deve partire da qualche parte. Ora, purtroppo, si è sviluppato un effetto collaterale del quale non riesco a spiegare il motivo, nonostante io abbia con cura consultato tutti gli appunti che ho preso. Ho dimostrato – a me, per ora, non sembra che gli altri mi diano attualmente molto credito, ma è solo questione di tempo – che mia moglie mi ha lasciato a causa del fatto che un gatto nero, la settimana prima che accadesse, mi ha attraversato la strada, per ben tre volte di fila, in tre giorni differenti. Questo, unito al sale che mi è caduto in presenza di mia moglie - e sicuramente ad altre variabili che non riesco attualmente a decifrare, sono uno scienziato, non credo ciecamente alle cose, né credo di avere il sapere assoluto – mi ha portato a perderla, benché lei sostenesse di lasciarmi a causa del fatto che ho perso il lavoro per dedicarmi con eccessiva ossessione a questa mia “follia”, come la chiama lei. Ma io sono uno scienziato, e la scienza vuole i suoi sacrifici.

Poi, quel giorno, ho cominciato a credere. Io sono un uomo di scienza, studiavo le stelle, capivo dove vanno, passavo le notti a naso all’insù, con gli occhi al cannocchiale. Non tutte le notti, naturalmente, solo tre a settimana. La mia settimana era una nevrosi perfetta. Mi alzavo il lunedì mattina molto tardi, verso ora di pranzo. Preparavo il pranzo, andavo a prendere mio figlio a scuola. Dopo pranzo facevo un altro pisolino e alle sette cominciava la mia nottata all’osservatorio. E così fino al mercoledì. Il giovedì riposo e venerdì lavoravo otto ore come tutti gli impiegati. Sono un uomo di scienza. Ero un uomo di Poi lo sapevo che mi avrebbe lasciato, come sascienza. Si scopre sempre qualcosa di nuovo, a pevo che mi avrebbero licenziato. Anche Galileo fare l’astronomo. finì in carcere. E poi c’è questa cosa delle premonizioni. Avevo sognato esattamente di essere Poi, quel giorno, ho cominciato a credere. Una licenziato, tre giorni prima che accadesse, alle notte pensavo a quanto stupide fossero le per- tre di notte, me lo ricordo, perché era ormai una sone che credono nelle superstizioni, stupidi co- settimana che mi assentavo dall’osservatorio, e me quelle che credevano che i fulmini fossero decisi qualche giorno dopo di andare incontro al scagliati da Zeus. Ecco che ebbi, quella notte, destino ineluttabile che il sogno mi aveva mocon il cielo esattamente in quella posizione, una strato. illuminazione. Erano stupidi, sì, a credere che i fulmini fossero di origine divina, ma ciò non ren- Adesso so che sparerò a qualcuno e questo mi de meno veri i fulmini. Ho iniziato allora a guar- toglie il sonno. L’ho visto, è ineluttabile. dare le superstizioni con occhio differente. Con il mio occhio, con l’occhio dello scienziato. Io so E’ venuto l’ufficiale giudiziario. Mi ha pignorato dove vanno le stelle creando questa certezza intanto delle cose. Tanto non ci potevo fare dall’osservazione dei risultati. Buona parte della niente. I segni c’erano tutti, l’avevo visto in soscienza non è altro che fare questo, osservare gno. E’ineluttabile. soltanto il risultato per comprendere quali forze ci siano dietro. Applicare un metodo scientifico a ciò che è tanto irrazionale, non si può dire sia semplice. Ho preso quindi ad annotare tutti i fatti che avessero a che fare con le superstizioni tradizionali e, di Il Barlume - Anno 1 - Numero 2 - Febbraio 2007

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I miei studi stanno sempre più dimostrando che la mia vita è immodificabile, che le mie scelte sono inutili, che tanto è già tutto deciso dal destino. Le superstizioni sono soltanto avvisi, il gatto col topo, non ci posso fare niente io, la corrente, seguo la corrente, mi trascina, corro, inciampo. Cado.

Non si inganna il destino. Non il proprio, almeno. Esce mia moglie dalla sua macchina. E’ lei, è lei quella dei sogni, è ineluttabile. Eccola, l’immagine del sogno, è compiuto, ma non capiranno.

Chi ucciderò? Ho la barba lunga, sono sporco, niente da mangiare, sono stanco, ucciderò qualcuno. Ineluttabile. E se andassi al poligono e sparassi al bersaglio esattamente nella posa del sogno? No. Il Barlume - Anno 1 - Numero 2 - Febbraio 2007

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DI NONNI E DI CAMPAGNE, DI IERI E DI OGGI Alessandro Baglione

Finì che m’andai a sedere sul vecchio muretto Perché dovevo talmente tante cose E le dovevo con tale fretta Che gomiti sulle ginocchia, mento tra le mani, studiavo da dove partire quanto tempo è corso? quindici, vent’anni? eppure si faceva scuro che ancora tentavo d’arrampicarmi su per la sottile asta metallica fin entro il cuore del fitto pergolato di zibibbo mai mi riuscì prenderne un grappolo, un acino, caparbio m’aggrappavo serrando le piccole dita, avvinghiandomi tutto attorcigliato lungo quel ramo scivoloso come due serpi nere nel mese di maggio gli occhi sigillati per lo sforzo, denti stretti la guancia appiccicata contro il ferro liscio reso ancor più unto dal sudore finché piano piano, cedeva la presa perdevo aderenza e scorrevo giù, giù… Mi alzo, un odore, un odore seppellito che risale dagli anni di premura, mi volgo verso la casa dei conigli e porcellini d’india è l’odore delle frasche, dell’erba tagliata, dei rami secchi di limoni del calderone di rame che bolle il passato di pomodoro e centinaia di bottiglie d’ogni forma e colore a lavare, dentro le bacinelle piene d’acqua e ci siamo proprio tutti, naturalmente non trovo né questo, né altro lontano sostituto ma non è questo il punto, possibile mai che zappe, secchi e badili , fosse tutto ciò per cui mi dannavo spiccando memorabili balzi nel vano tentativo di vedere cosa ci fosse lassù, e ora in tutta tranquillità vi appoggio le braccia?

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ARTE NON E’ MICA UNA PAROLA SERIA Denni Romoli

Con bocca d’adolescente ti ho parlato, così mi dici. E conosci ogni alito dei miei muscoli, così sembra. Si dice, si pensa. Entriamo in questo sterile esercizio mio gioco alchemico si inventa come un cristo di natale una promessa ad una sposa, un mendicare ragionevole, una democrazia rovesciata. No, signorina, le sto vendendo coriandoli usati. Comprenderà l’ennesimo prurito son giovane e un poco erudito, so che potrei giostrarmi con rime più illuminate e a lei fiero mostrarmi con sguardo di vate. Ma perdonerà se questa sera son stanco di vivere come un adolescente qualsiasi. La mia famiglia ha di meglio da fare e io sono soltanto carne esposta.

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PRIMO: NON RECENSIRE Costanza Maremmi

Ho trovato un secchio di vernice. All’interno il liquido è denso, nero e di un lucido tale da assorbire ogni immagine. Allora mi distendo immobile ed entro nelle mie orecchie. Con il pennello, con gesti lenti, ampi e verticali impregno le pareti interne di quello che non è colore. La sensazione è fresca e dissetante. Gli occhi non hanno più bisogno di vedere nulla all’esterno, allora si ritirano, rientrano nella pelle fino a lasciare una superficie liscia. La bocca si atrofizza e seccandosi si chiude. Non c’è più bisogno di loro, tutto è all’interno. Io sono all’interno di me stessa, nelle mie orecchie nere e curve, mentre galleggio sopra lacrime blu. Da qua il battito cardiaco è amplificato e per far sparire il rumore inizio a contarne i movimenti, cinque, sei… settanta, riparto da cinque. Contare i battiti per farli fermare, perché qualcuno potrebbe accorgersi di loro e non sta bene; se qualcuno si accorge di loro come si fa a nascondersi?

Si sente un pianoforte, che si avvicina con incedere sinistro e affascinante. Se ne sente un altro nel medesimo momento, però l’arrangiamento è più delicato e mi quieta. Scopro il dolore e lo vedo maturare, riconosco la sua presenza ma non mi rassegno a lui perché quando il piano smette di suonare s’infiltra aria pulita, umana e ne mangio. Mangio il respiro che entra. Sazia torno all’esterno, in questo posto non si può dormire, non si può riposare. Ci tornerò comunque, per spargere ancora vernice. Intanto riapro i miei occhi precisi e soli. Black Heart Procession “2”, 1999.

Tutte le foto di questo numero sono state scattate da Costanza Maremmi

Il Barlume

info@barlumismo.org Anno 1 Numero 2 Febbraio 2007

Mensile fondato e diretto da Costanza Maremmi

c.maremmi@barlumismo.org Denni Romoli

d.romoli@barlumismo.org Emidio Picariello

e.picariello@barlumismo.org Il Barlume - Anno 1 - Numero 2 - Febbraio 2007

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