Il Corpo 2

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IL CORPO Anno I - N. 2 , nuova serie

Marzo 1994

SOMMARIO: Narrazionedi un suicidio collettivo; Libri da leggere e da non leggere; Il discorso di Berlusconi e il sogno di R. di Enrico Pozzi e Cri_ stina Cenci, Enrico Berlinguer e la Sacra Sindone diTafua Korokoro; Alcune forme della gelosia di C. K. Williams; Mussolini ectoplasmatico di Enrico Sturani; Vocalizzazioni intorno alla Colonia penale di Kafka di Maurizio Balsamo; Potere di Consuelo Corradi; Per una sociologia del corpo di Enrico Pozzi:

Narrazione di un suicidio collettivo Jonestown,

Guyana,

18 novembre

JONES: Sono stanco. Da qualche giorno sono sempre più stanco. Le mie ossa sono dolore. Ho fatto del mio meglio per farvi vivere bene [applausi ritmati, grido di approvazione]. Malgrado tutto quello che ho fatto, un gruppetto dei nostri, con le sue bugie , ci ha reso impossibile vivere. Nessun modo di distaccarci da quello che è suc¬ cesso oggi. Non solo siamo in una situazione senza via d'uscita. Non solo ci sono quelli che sono andati via commettendo il tradimento del secolo. Alcu-

1978

Ore 16.30. Una Commissione d'inchiesta del Congresso, guidata dal deputato californiano Leo Ryan, ha appe¬ na lasciato la comune di Jonestown. Il Rev. Jim Jones, leader carismatico del tempio del Popolo, ha con¬ vocato un assemblea generale e parla ai suoi seguaci. Approfittando della visita della Commissione, alcuni fedeli avevano scelto di andari


sene da Jonestown. La defezione è elaborata in modo paranoideo e proiettivo come furto dei bambini del Tempio, che in realtà praticava attivamente il 'furto' dei bambini ai loro genitori naturali.

I bambini sono ora i fedeli rimasti, i suoi bambini minacciati.

L'aereo sul quale stanno partendo la commissione d'inchiesta, i giornalisti, i parenti e i pochi transfughi. In realtà gli aerei sono due e Jones ha già organizzato un agguato sulla pista. Quella mattina, Ryan era stato assalito da un fedele armato di coltello, Don Sly, detto anche Ujar, che si era ferito, macchiando col suo sangue la camicia bianca del parlamentare: un segno.

ni hanno rubato i bambini ad altri, e proprio ora questi li stanno inseguendo per ucciderli, perché gli hanno rubato i bambini.

E siamo seduti qui, ad aspettare su una polveriera. Non penso che è questo che vogliamo fare per i nostri bambini. Non penso che avevamo in mente di fare questo dei nostri bambini. Come ha detto il più grande dei profeti in tempi immemorabili: nessuno può prendermi veramente la vita, sono io che depongo la mia vita. [ G r i d a ] . Così siamo seduti qui e aspettiamo la catastrofe che sta per accadere su quell'aereo.

Sarà una catastrofe. Stava per succedere qui. Stava quasi per succedere che il deputato fosse ucciso qui. Non si possono rubare i bambini alla gente, non si può volare via con i figli del Popolo senza aspettarsi una reazione violenta. E questo non è strano neanche per noi, anche se ... anche se fossimo giudeo-cristiani, anche se non fossimo comunisti. L'opinione mondiale tollera la violenza, e il violento se ne impadronirà con la forza. Se non posSapientemente alternata d a siamo vivere in pace, moriamo in pace. [ A p mobilitazione paranoidea, ini- plausi l. zia la proposta depressiva del Siamo stati traditi. Siamo stati cosi atrocemente suicidio collettivo. traditi. [Musica]. Ma abbiamo tentato. E come ha detto Jack [cognome incomprensibile] ... non so se è qui ora... ciao Jack! ... ha detto 'se questo ha funzionato anche per un giorno solo, allora ne è valsa la pena'. [Applausi]. Grazie. Ciò che accadrà qui entro qualche miTra i transfughi del mattino nuto è che uno di quelli sull'aereo sparerà al c'era in realtà Larry Layton, pilota. Lo so. Non l'ho voluto io, ma so che


sta per accadere. Spareranno a quel pilota e giù un fedelissimo di Jones che avrebbe dovuto sparare al piandrà I'aereo nella giungla. lota dell'aereo in volo. Ma E quando sarà tutto finito meglio che non ri- gli aerei si rivelarono due, e manga nessuno dei nostri bambini. Perché ci la Brigata Rossa del Tempio piomberanno addosso con i paracadute. dovette effettuare il massacro Ve lo dirò nel modo più semplice possibile. Non a terra. vi ho mai mentito. Mai vi ho mentito. So che è questo che succederà. È questo che intende Allude a Larry Layton. Cofare. E lo farà. Lo farà. Dio lo vede! Sono così sconvolto..., una pres- me al solito, Jones profetizza sione una pressione enorme quando ho visto l'evento - in questo caso il massacro - che egli stesso quella gente comportarsi in modo così traditore. ha organizzato. Era troppo per me, non riuscivo a capire. Ma adesso so cosa mi stava dicendo. E succederà, se l'aereo riuscirà mai ad alzarsi in volo. Perciò la mia opinione è che dobbiamo essere rispettosi dei bambini, rispettosi degli anziani, e prendere la pozione, come si usava nell'antica Grecia, e fare l'ultimo passo quietamente. Perché non stiamo commettendo un suicidio. I1 suicidio non è il suicidio. Diniego che rimanda a quelÈ un atto rivoluzionario. lo ben più fondamentale: la morte non è morte.

Non possiamo tornare indietro. Non ci lasceranno mai in pace. Adesso stanno tornando indietro a raccontare altre menzogne. Questo significa altri parlamentari, e non c'è modo, non c'è modo di poter sopravvivere.

[Musica]. Chiunque.. . Chiunque ha un'opinione diversa, per favore parli! [Musica. Voce dallJassemblea]. J O N E S : Sì, potete avere qualche possibilità, ma se abbandoniamo i bambini ce li ritroveremo massacrati. Possiamo colpire, ma colpiremmo gente che non vogliamo colpire. Vorremmo avere tra le mani la gente che ha provocato questa situazione... e alcuni... se alcuni qui sono pronti e sanno come farlo... andare in città e prendere Timothy Stoen, ma non ci sono aerei, non ci sono aerei. Non fate in tempo a prendere un aereo [il tono della voce è esitante. Canzoni lente - sembrano

blues - in sottofondol.

Stoen, prima il deuteragonista di Jones ai vertici del Tempio, poi il suo arcinemico. Venuto anche lui con la commissione d'inchiesta, su richiesta di Jones era stato


bloccato dalla polizia guyanese a Georgetown. Deanna Mertle, alias Jeannie Mills, altra transfuga di rilievo, autrice di una-delle prime testimonianze s d a vita nel Peoples Temple, uccisa successivamente in circostanze misteriose.

Lui è responsabile di tutto questo. È lui che ha portato questa gente da noi. Lui e Deanna Mertle.

A San Francisco era rimasta aperta la sede centrale del Tempio, gestita da un piccolo gruppo di fedelissimi che curava i rapporti con le autorità USA, spiava le attività dei Concerned Relatives (l'associazione creata da ~arenti ed ex-membri della setta), provvedeva d a raccolta di fondi e d'invio di generi vari in Guyana, ecc.

Ma auelli di San Francisco non... non rimarranno le mani in mano. Faranno in modo che le nostre morti non siano vane, sapete [qrralcuno parla tra la folla]. Sì.

Nei suoi ultimi mesi di vita, il Peoples Temple aveva delirato intorno ad un ulteriore esodo: dopo quello dalle metropoli della california da giungla della Guyana, il salto radicale nell'Anti - America: I'URSS. Erano stati presi contatti con l'ambasciata sovietica, e la comunità aveva iniziato a studiare il tusso. Ma ora lo spettro di questo esodo minaccia la logica dell'assedio, necessaria alla riuscita del suicidio collettivo.

VOCE DI DONNA:[Christine Miller] È troppo tardi per la ~ ~ ~ ~ i ~ JONES:È assolutamente troppo tardi per la Russia. Hanno ucciso. Hanno cominciato ad uccidere. Ecco perché è troppo tardi per la Russia. Altrimenti direi: sissignore, ci puoi scommettere. Ma è troppo tardi.

«Quella gente » è la quadra armata gnippo' presentata qui come una scheggia impazzita della comunità.

Non posso controllare quella gente. Sono fuori laggiù. Sono andati con le armi. Ed è troppo tardi. E se ammazziamo qualcuno ... Almeno questo è il modo in cui ho sempre ... ho sempre legato il mio destino al vostro.

Capovolgimento 'Je est un autre » di Rimbaud: il capo come contenitore del ~~PPO.

Se qualcuno del mio popolo fa qualcosa, lui è me. [Voce di bambino]. E dicono che non devo [tono concitato], che

cin

?


non devo prendermi la colpa di questo ... io non vivo in questo modo. Hanno detto: consegna Ujar, che aveva cercato di bloccare quell'uomo qui. Ujar, la cui madre bianca ha continuato a mentire, a mentire su di lui, e a cercar di spaccare questa famiglia.

Ujar' Owero Don S1y~ IrUe believer che la mattina aveva tentato di accoltellare il

deputato~yan.~onesintreccia abilmente colpe individuali e colpe collettive; soprattutto, opera una continua trasformazione dell'aggressività, che egli stesso mobilita, in depressione d'insegna della colpa. Questa colpa diventa a sua volta il collante del Noi.

E si sono messi tutti d'accordo per ucciderci, con qualsiasi mezzo. Pensate che gli consegnerò Ujar? Mai e poi mai [Applausi e grida di approvazionel. No. VOCED'UOMO [lontano dal nzicrofono]: Se può servire, so come trovare Stoen. JONES: NO! Non andrai, non andrai, non andrai! Non posso [con enfasi] vivere così. H o vissuto con... per tutti. [Enfasi] Morirò per tutti! [Applausi - stacco del nastro]. JONES: HO vissuto a lungo di speranze, Christine, e apprezzo... sei sempre stata un'ottima provocatrice. Mi piace la polemica, perché costringe a vedere le due facce di un problema, i due lati di una questione. Ma ciò che quella gente sta per far accadere... e ciò che porteranno a termine ... renderà le nostre vite peggiori dell'inferno.. . Ci renderà ... renderà al resto di noi impossibile accettarlo. Quando la smettono di mentire! Hanno messo tante di quelle menzogne tra qui e quel camion che siamo... siamo fregati in quanto ad altre alternative. [ Musical .

Christine Miller, un'anziana nera del Texas che assumeva spesso posizioni polemiche nelle assemblee.

Aiiude all'agguato.

I defectors.

I1 camion con la Commissione, la stampa, e il gruppetto che ha lasciato Jonestown.


Ripropone l'esodo.

Loro sono i diplomatici dell'ambasciata sovietica di Georgetown.

Jones perde la presa, vacilla, si appella a un 'codice' che restituisca senso ad una situazione che sta perdendo il senso da lui voluto.

Tenta la mobilitazione delle difese maniacali. I1 gruppo lo sostiene con entusiasmo, lo rilancia, e si rivela il vero soggetto attivo del suicidio collettivo. Meglio la morte, che fonda definitivamente il 'noi' e sancisce la sua coesione, piuttosto che l'esperienza depressiva della disgregazione, separazione e individuazione. Di nuovo il ricorso aiia de-

pressione. In realtà a Jonestown vivedi mille persone, di cui 40-50 spesso distaccate presso la sede di Georgetown.

vano

CHRISTINE:Bene, dico, vo... voliamo in Russia. È questo che dico. Non penso che nulla sia impossibile... JONES [interrompendo]: Come lo farai? CHRISTINE:...se ci credi ... JONES: Come volerai fino in Russia? CHRISTINE:Beh, pensavo che loro avessero detto che se fossimo stati in una situazione di emergenza, ti avrebbero dato un codice per avvertirli. JONES [il tono di voce è esitante, in altri momenti concitato, in crescente difficoltà] : No; non lo hanno fatto. Ci hanno dato un codice che ci avrebbero fatto sapere in una situazione del genere; ma non che noi creiamo la situazione per loro. Hanno detto che noi ... Se loro vedessero il paese crollare, ci darebbero un codice, ci darebbero un codice. Possiamo controllare e vedere se c'è sul codice. Hai controllato con la Russia per vedere se ci vengono a prendere entro un minuto, oppure moriamo? [con tono improvvisamente basso e stanco, come parlando tra sé] Non so che altro dire a questa gente. Ma per me la morte non è... la morte non è una cosa che fa paura. È la vita che è maledetta! [Applausi, esplosione di grida d i appro-

vazione. Stacco]. Non ho mai, mai, mai, mai visto qualcosa del genere prima in tutta la mia vita. Non ho mai visto la gente prendere la legge e fare ... nelle proprie mani, e provocarci e cercar di turbare deliberatamente madri di bambini.

Non hanno bisogno di finirci. Non vale la pena di vivere così; non vale la pena di vivere così.

[Staccol. CHRISTINE:Penso che se ne sono andati via in troppo pochi perché 1200 persone diano la vita per quelli che se ne sono andati. JONES: Sai quanti se ne sono andati?


CHRISTINE: Circa 20. Sono pochi, rispetto ... JONES [interrompendo]: Circa 20, circa 20, circa 20 ...

1 transfughi erano 14.

CHRISTINE:...rispetto a quelli che sono rimasti qui. JONES: Circa 20. Ma cosa succederà quando non andranno via? Spero che possano andare via. Ma cosa succederà quando non andranno via? CHRISTINE:Vuoi dire alla gente qui? JONES: Sì, cosa succederà a noi quando non andranno via, quando prenderanno l'aereo e l'aereo andrà giù? CHRISTINE:Non credo che andranno giù. JONES: Non credi che andranno giù? Vorrei poterti dire che hai ragione, ma ho ragione io! LI c'è un uomo che accusa, e giustamente, Debbie Blakey per l'uccisione.. . l'uccisione della madre, e fermerà ... fermerà quel pilota con qualsiasi mezzo. Lo farà. Quell'aereo andrà via dall'aria. Non c'è modo di far volare un aereo senza un pilota. CHRISTINE:Non parlavo di quell'aereo, parlavo di un aereo per noi, per andare in Russia. JONES: Come? [Clamori, discussioni nellJassemblea] In Russia? ... Pensi che la Russia vorrà ... no... [balbetta vistosamente] Pensi che la Russia ci vorrà con tutto questo stigma?

Christine gioca ancora una volta l'unica carta possibile: la realta.

I transfughi e la commissione d'inchiesta, bloccati dall'agguato.

Ancora Larry Layton. Debbie Layton Blakey è la sorella, ai vertici del Tempio, che aveva abbandonato la setta pochi mesi prima e denunciato con un affidavit i preparativi del suicidio collettivo. Qualche tempo dopo la sua fuga, muore di cancro a Jonestown la madre dei due fratelli, Liz Layton. A Larry spetta silenziosamente il compito di 'riparare' con la propria morte e la caduta dell'aereo il vulnus inferto dalla sorella al Tempio, vulnus simbolicamente equiparato alla morte della madre 'causata' dal tradimento della figlia.

Prima valevamo qualcosa, ma ora non valiamo più nulla! CHRISTINE:Non la vedo in questo modo ... voglio dire ... sento che ... finché c'è vita c'è speranza. Questa è la mia fede.

[tra clamori crescenti chiaramente rivolti contro Christine] : Beh, qualcuno ... ognuno muore.

JONES

Ancora la mobilitazione delle ansie depressive.


Da qualche parte quella speranza svanisce. Perché ognuno muore. Non ho visto ancora nessuno che non sia morto. E tanto per cambiare voglio essere io a scegliere il mio modo di morire. La 'stanchezza' e perdita di Sono stanco di questo tormento infernale, ecco capacità vitale di Jones è di cosa sono stanco ... stanco di questo. stanchezza e defedazione del [Applausi prolungati. Stacco]. Di avere nelle mie 'corpo' del gruppo. mani le vite di altra gente, e io proprio non voglio la tua vita nelle mie mani. I1 leader carismatico come Ho paura, Christine, che senza di me la vita contenitore, stenogramma e non abbia senso. [Applausi, grida di approvacondensazione del senso dei zione]. membri del Tempio. Sono I'amico migliore che ... Sono l'amico migliore che avrete mai. Voglio ... voglio ... [il tono è concitato1 Devo pagare.. . Sto con Ujar. Sono parte di me: il Leader Sto con questa gente. Sono parte di me. Potrei come contenitore e Io-pelle distaccarmi. I1 mio avvocato dice di staccarmi. del gruppo. No, no, no, no, no, no. Non mi stacco mai da nessuna delle vostre sofferenze. Ho sempre preso le vostre sofferenze sulle mie spalle. Non cambierò certo ora. È trcppo tardi. Sono andato avanti troppo a iungo . Non cambierò ora. [Guida di approvazione, applausi]. Forse la prossima volta ce la farete ad andare in Russia. La prossima volta. Sto parlando di questo ora... dell'emanazione di un giudizio. Questo è un consiglio... un consiglio rivoluzionario di suicidio. Non sto parlando di auto ... autodistruzione. Sto parlando circa ... che non abbiamo altre strade. Accolgo il tuo appello. Lo trasmetteremo ai russi. E ti dico la risposta subito perché sono un profeta. Chiama i russi e diglielo e vedi se ci vengono a prendere. CHRISTINE:Dico che non ho paura di morire. JONES:Non penso che tu ne abbia. CHRISTINE:... ma capisco cosa intendi dire. JONES: ... non penso che tu ne abbia.


CI-IRISTINE: ... ma guardo tutti questi bambini -

e penso che meritano di vivere, sai ... Sono... sono d'accordo; ma non meritano forse molto di più? Meritano la pace. C H R I S T I N ESiamo : tutti venuti qui in cerca di pace. J O N E S : E l'abbiamo ... l'abbiamo avuta? CHRISTINE: NO.

JONES:

JONES:

HO cercato di darvela. Praticamente ho

sacrificato la mia vita. Praticamente sono morto ogni giorno per darvi la pace. E ancora non hai pace. Da tempo non ti vedevo stare così bene. Ma non è ancora questo il tipo di pace che voglio darti. Una persona è pazza se continua a dire che si sta vincendo quando si perde ... che si vince quando si perde. [Pianti prolungati di

A Jonestown sono morti circa 270 bambini e ragazzi di meno di 17 anni. Diversi, mai identificati, sono stati sepolti in una fossa comune a Oakland (California).

I1 capo carismatico come vittima sacrificale del gmppo, e bonificatore del suo male anomico interno: funzione manifestata dai 'miracoli' del faith healing.

bambini]. Vinci uno, perdi due. [Voce dalla folla1 Cosa? ... Non ti sento, donna ... Devi parlare più forte... Donna, devi parlare più forte. VOCE DALLA FOLLA [lontana]: Ci hai detto ...

[alcune parole incomprensibili]. JONES:

È un pensiero gentile. Chi lo ha detto?

Vieni qui sopra e dillo di nuovo, cara.

[Voci dalla folla. Stacco]. JONES :

... L'aereo

sta decollando? Nessun aereo

sta decollando... Suicidio... Loro lo hanno fatto. Stoen lo ha fatto. Qualcuno dovrebbe... Qualcuno.. possono parlare ... non possono parlare con San Francisco per fare in modo che Stoen non se la cavi per questa infamia.. . infamia.. . Ha fatto quello che voleva. Distruggerci. [Staccol. CHRISTINE: Quando tu. .. quando tu. .. Quando ci distruggiamo, siamo sconfitti. Lasciamo che loro, i nemici, ci distruggano.

.

La mobilitazione paranoidea che si alterna a quella depressiva: è il Persecutore esterno - ma un tempo interno al Tempio - che costringe il gruppo al suicidio. Di nuovo il tentativo di bloccare il suicidio con il richiamo alla realtà contro le strategie del diniego maniacale: essere distrutti non è una vittoria, è una sconfitta.


Si tratta di un film che racconta lo scontro, spesso vittorioso, degli Indiani Nez Perce con le truppe USA. I1 titolo rimanda inesattamente ad una frase che sarebbe stata pronunciata dal loro capo, Chief Joseph, al momento della resa, causata nel 1877 dal freddo e dalla fame. I1 film, e la frase, erano molto popolari nella sottocultura new left della Bay Area. A scopo educativo, esso veniva proiettato spesso nel cinema del Tempio a San Francisco. I1 massacro degli Indiani era una componente fondamentale della visione del mondo al tempo stesso paranoide e depressiva che il Tempio si era costruito. Fatto prevalentemente di neri, ossessionato dal martirio degli Indiani, il Tempio voleva sintetizzare in sé l'America oppressa, depredata e vittimizzata. Lo stesso Jones diceva di avere sangue indiano nelle vene. Allude alla vicenda della resa dei Perce nel film.

I1 festa preparata da tempo nelle <( notti bianche >p.

JONES:

Hai

visto 1 Live to Fight No More

Forever ? CHRISTINE:Si, l'ho visto. E non hai provato un senso di orgoglio e di dignità di fronte a un uomo che non si assoggetti alla volontà e al capriccio di chi dice che entrerà quando gli pare, e irrompe nella nostra casa, verrà quando vuole, prenderà ciò che vuole, parlerà con chi vuole? Questo è vivere? Per me non significa vivere. [Applausi. Voci: No! no!]. Non è questa In libertà che cercavo.

JONES:

CHRISTINE:Penso che lo sbaglio lo hanno fatto quando si sono fermati per riposarsi. Se fossero andati avanti, ce l'avrebbero fatta. Ma si sono fermati a riposare. [Stacco l. UOMO: È finita... Christine, è finita. Siamo giunti a quel giorno, abbiamo preparato un bel giorno. E che sia un bel giorno. [Applausi].

Vinciamo...: la sintesi del depressivo, che lo rivela come tentativo di distruggere l'altro distruggendo se stessi (in questo caso, distniggere il Persecutore Stoen).

JONES: Vinciamo, vinciamo quando cadiamo.

Jones parlava su *O scranno di legno dali'alto

Non starei qui seduto su questo seggio e non parlerei cosi seriamente se non sapessi di cosa sto parlando.

schienale. detto <( il trono

dai fedec deUa comunità,

Tim Stoen non avrà nessun altro da odiare ... nessun altro da odiare. Allora distruggerà se stesso. Sto parlando qui non come il vostro amministratore, oggi sto parlando come profeta.


Non c'è modo di richiamare indietro l'immensa quantità di distruzione che sta per aver luogo, ma io non posso separarmi dalle sofferenze del mio popolo. Neanche tu puoi, Christine, se ti fermi a pensarci. Non puoi separarti. Abbiamo camminato troppo a lungo insieme. VOCI DALLA FOLLA: Giusto ... giusto. CHRISTINE:LO SO. Ma credo ancora come individuo di avere diritto a... JONES: LO hai e io sto ascoltando. CHRISTINE:... di dire quello che penso e quello che provo. E io penso che tutti noi abbiamo diritto ad un destino nostro in quanto individui. JONES : Giusto. CHRISTINE:E penso di avere il diritto di scegliere il mio e chiunque altro ha il diritto di scegliere il suo. JONES: Non sto criticando. [alla folla]: Che

L'invito alla coesione fusionale.. .

... e la risposta separativa della Miller: l'appello all'individuazione.

c'è? [Pianti di bambini. Dalla folla una donna

urla qualcosa contro Christine]. JONES : [alcune parole incomprensibili] ha detto questo oggi. È quello che venti persone hanno detto con le loro bugie. CHRISTJNE:Beh, penso di avere ancora diritto ad opinioni mie. JONES: Non te lo sto togliendo, non te lo sto togliendo. VOCED'UOMO [bassa, con l'intonazione del ghett o ] : Christine, sei qui solo perché LUI è stato qui per primo. Così non capisco di che cosa stai parlando, di avere una vita individuale: la tua vita è stata prolungata fino al giorno che tu stai in piedi, lì, grazie a lui. [Applausi]. JONES: Penso che lei abbia diritto a parlare come chiunque altro. Che hai detto, Ruby?

[Voce dalla folla, incomprensibile l. Bene, te ne pentirai oggi stesso, se non muori. Te ne pentirai, se lo fai, anche se non muori. Te ne pentirai. VOCE DI DONNA:Che cosa orrenda, tutta questa gente.

I1 gruppo corre di nuovo al soccorso del suo capo, proponendolo come principio vitale che fonda la possibilith stessa di vite individuali. I membri del gruppo vivono in Jim Jones e della sua vita.


Improwiso passaggio dal registro millenaristico laico registro religioso oracolare.

JONES: Li ho salvati, li ho salvati; ma ho compiuto il mio esempio, ho compiuto la mia espressione, ho compiuto la mia manifestazione e il mondo era pronto, non era pronto per me. San Paolo. Tra profeti ci si Paolo ha detto che sono un uomo nato nella chiama per nome... stagione sbagliata. Sono nato nella stagione sbagliata, così come tutti noi lo siamo, e la migliore testimonianza che possiamo portare è di lasciare questo mondo maledetto. [Applausi viuaci - pianto di bimbo]. VOCE DI DONNA [dalla folla, rivolta a Christin e ] : Devi prepararti a morire! CHRISTINE:Non sto parlando a lei [rivolta a Jones ed alludendo alla donna della folla]. Vuoi ... fai parlare lei o fai parlare me? JONES: Continua a parlare. CHRISTINE: La fai sedere e mi lasci parlare finché sono sul palco oppure fai parlare lei? [Voci della folla contro Chrtstinel. JONES: Come puoi dire al Capo che cosa fare, se vivi? Ti ho ascoltata. Mi hai chiesto della Russia, sto chiamando proprio ora la Russia; cos'altro suggerisci? Ti sto ascoltando. [Violente discussioni nella folla]. Devi ancora darmi un minimo segno di incoraggiamento. Proprio ora gli ho dato istruzioni per andare 11 e farlo. [Ancora discussioni tra donne. Stacco l . VOCE DI DONNA DALLA FOLLA: Non conclude un cazzo neanche in Russia, questo è certo. JONES: State calmi... Non siamo venuti ... state calmi, state calmi, state calmi, state calmi. [Voci, urla]. Evidenti i riferimenti biblici. Deponete il vostro fardello. Sto per deporre il mio fardello. Giù sulla riva del fiume. Li deporremo qui sulle rive del Guyana? Qual è la differenza? Nessuno ha preso le nostre vite. In questo momento non le hanno ancora prese. Ma quando cominceranno a paracadutarsi dall'aria.. . uccidei soldati dei Persecutori. ranno alcuni dei nostri bambini innocenti.


Io non... io non ho accettato tutto questo, Christine... dovranno uccidermi se vogliono prendere qualcuno di loro. Io non lascerò che si prendano Ujar! Lascerete che si prendano Ujar? [Esplosione di uoci di adzllti: No! No! No!]. CHRISTINE: [alcune parole incomprensibili]... John (detto spesso anche John John) è John Victor Vuoi veder morire John? Stoen, figlio di Timothy e JONES: Cosa? Grace Stoen, ma rivendicato CHRISTINE:Intendi dire che vuoi veder morire da Jim Jones come figlio proJohn, il piccolo John? prio, nato da una sua relazione con la moglie di Stoen, JONEs : Voglio veder.. . [La conf~1sioneè totale. Urla e uoci si sourap- salita anche lei ai vertici del favore! Per favore. Per favore. Per favore. Per favore. Per favore. Per favore. CHRISTINE:Stai forse dicendo che pensi ... Che pensi più a lui che agli altri bambini di qui? JONES: ... John John ... CHRISTINE:[aggressiva, incalzante] : È questo che stavi dicendo? JONES : John John ... Ma pensi che io metterei la vita di John al di sopra delle altre? Se mettessi la vita di John al di sopra delle altre, non starei dalla parte di Ujar ... Manderei John via adesso, lo manderei sulla strada che va fuori di qui. VOCE DI DONNA: È così piccolo... molto piccolo. JONES: LO SO...M3 per me non è affatto diverso da ogni altro bambino di qui. È solo uno dei miei bambini. Non ne metto alcuni al di sopra degli altri.. . Non lo metto al di sopra di Ujar. Non posso farlo. Non posso separarmi dalle vostre azioni o dalle sue. Se avete fatto qualcosa di male, io sto con voi.

Tempio, poi tra i primi defectors di rilievo. Jones esibiva una lettera autografa di Tirn Stoen in cui dichiarava di aver chiesto al Pastore di generare un figlio per lui con la moglie. Comunque siano andate le cose, Jones si rifiutò di restituire il figlio ai due coniugi e lo portò clandestinamente in Guvana. Intorno al bambino si accese una complessa battaglia legale, che sfociò nella prima minaccia ~ubblica di suicidio collettivo in una lettera aperta al Senato degli Stati Uniti. A Jonestown, il piccolo John era trattato letteralmente come un 'bambino divino', depositario di qualcosa di fondamentale per l'identità del gruppo: meglio morire tutti piuttosto che vederselo portare via da Stoen e dalle autorità USA. John Victor Stoen morirà awelenato insieme agli altri.

Se vogliono venire a prendervi, dovranno prendere me. Voce D'UOMO [ha la cadenza del ghetto] : Papa siamo tutti pronti ad andare. Se ci dici che dobbiamo dare ora le nostre vite, noi siamo pronti.

11 Capo come equivalente simbolico incarnato del gruppo. « Papà » rende il « Dad D o n Daddy comuncmenl usato dai fedeli Der indicare .--. Jones. Sarebbe tranquilliz-

pongono].

... Per

,

-

L


zante poterlo tradurre con il più formale « Padre W ...

I1 suicidio come atto d'accusa.

Evoca un tema centrale nella visione del mondo del Tem-

pio: il razzismo, la persecuzione razziale. I traditori sono bianchi (e middle class). Le vittime, come al solito, nere. I1 Tempio era formato per il 70% da neri, ma governato da bianchi ...

Uccidersi per amore dei propri bambini.

Sono sicuro che tutti gli altri, fratelli e sorelle, sono con me. [Lungo applauso - stacco]. J O N E S : Per alcuni mesi ho tentato di evitare che questo accadesse. Ma adesso vedo che è la volontà ... è la volontà dell'Ente Supremo, che questo accada, che deponiamo le nostre vite in segno di protesta contro ciò che è stato fatto. Che deponiamo le nostre vite per protestare contro ciò che è stato fatto. La criminalità della gente ... la crudeltà della gente. Chi è andato via di qui oggi? Sapete chi se ne è andato? Soprattutto bianchi! [Clamori dalla folla]. Se ne sono andati soprattutto i bianchi! Sono profondamente grato verso quelli che non lo hanno fatto ... quelli che sapevano chi sono. Non c'è ragione, non c'è ragione per tutto questo. [con enfasi] Siamo... Siamo nati prima del nostro tempo. Non ci accetteranno. .. E io non penso che dovremmo restare qui seduti a sprecare ancora tempo mettendo in pericolo i nostri bambini. Perché se loro vengono a caccia dei nostri bambini e noi glieli diamo, i nostri bambini soffriranno per sempre.. . [Applausi l . CHRISTINE: [frase incomprensibile; torna a sedersi]. J O N E S [con tono conciliante]: Non ce l'ho con te per il tuo intervento. Ti voglio bene. Personalmente ti voglio molto bene. [Breve scambio di battute tra Christine e Jonesl. CHRISTINE: La gente diventa ostile quando uno cerca di ... JONES: Beh, alcuni lo diventano. Ma poi ... solo alcuni, solo alcune persone. Vedila in questo modo. Io non sono ostile ... Hai voluto dire quello che pensavi ma sei rimasta. Se fossi voluta scappare avresti potuto farlo con gli altri. Chiunque se ne poteva scappare oggi se lo voleva. Erano loro ... io so che non sei una che scappa. E io... la tua vita mi è preziosa, mi è preziosa quanto quella di John.


E io ... io non.. . ciò che faccio lo faccio con ponderatezza, giustizia e coscienza. Ho atteso nonostante tutto. CHRISTINE[a bassa voce]: È tutto quello che avevo da dire. JONES: Cosa sta succedendo ora, gente, cosa sta succedendo ora? VOCEDI DONNA [grida verso la folla, ad una cer- La tensione neli'assemblea è ta distanza dal microfono] : Tutti calmi! [con- altissima.

tinua ad urlare parole incomprensibili. Voci agitate dalla follal. Dite pace! Dite pace! Dite pace! Cosa sta succedendo? Che succede? Non.. . Portate Dwyer giù alla casa est! Portate via Dwyer ! JONES:

[Molta confusione tra la follal. VOCE DI DONNA: State tutti calmi, per favore! JONES: [alcune parole incomprensibili] rispetto per le nostre vite ... VO'JE D'UOMO:Cioè, sedetevi, sedetevi, sedetevi! JONES: LO sanno... [Strano lungo singhiozzo] Ho tentato con tutte ... tutte le mie forze. Di là stanno cercando di vedere cosa sta per succedere ... Chi è? [voci confuse]. JONES: Portate Dwyer fuori di qui, prima che gli succeda qualcosa ... Dwyer, non sto parlando di Ujar, ho detto Dwyer [scandisce il nome chia-

Dwyer era un funzionario dell'ambasciata USA a Georgetown. Aveva ispezionato ripetutamente Jonestown, e redatto rapporti rassicuranti. Aveva accompagnato il deputato Ryan nella sua visita alla comunità. Per errore Jones crede che sia rimasto iì tra loro.

ramente]. Nessuno prenderà Ujar, non li lascerò prendere Ujar ! Diteglielo, gente, è facile. È facile. [Si rivolge a una donna che lo ha interpellato] Sì, amore! VOCEDI DONNA ANZIANA: Un tempo la pensavo proprio come Christine, ma dopo oggi non sento nulla, perché la stragrande maggioranza della gente che se ne è andata via erano bianchi e so che mi ha veramente ferito il cuore, perché ... JONES: Spezzato il cuore, vero? Mi ha spezzato comVOCE DI DONNA ANZIANA: pletamente il cuore. Per tutto quest'anno i bianchi sono stati con

I1 'tradimento' ha rivelato che il gruppo perfetto non lo era. Il suicidio collettivo dovrà ripristinare e verificare il Tempio come gruppo perfetto.


noi e non erano parte di noi. Perciò ora possiamo anche farla finita, perché non vedo ... Johnny Jones, uno dei figli adottivi di Jones e membro della Brigata Rossa del Tempio, è tornato e salito sul palco per riferire l'esito dell'agguato d'aeroporto di Port Kaituma. La Brigata Rossa era la squadra armata della comunith. Leo Ryan 5 stato ucciso a bruciapelo con dei colpi di fucile a canne mozze.

G.D.F.: la Guyana Defense Force, owero le truppe regolari della Guyana.

[la musica degli altoparlanti sale improvvisamente e copre la voce. Clamori violenti nella folla]. JONES: I1 deputato è stato ucciso [Musical. Bene ... È tutto finito ... Tutto finito. Che eredità ... che eredità. Cosa sta facendo la Brigata Rossa? Sono gli unici che abbiano mai avuto senso in qualche modo. Loro hanno invaso la nostra privacy. Sono venuti nella nostra casa. Ci hanno seguiti per seimila miglia. La Brigata Rossa ha mostrato loro la giustizia.

I1 parlamentare è morto. Per favore, prendiamo una medicina. È semplice... è semplice... Non ci sono convulsioni con questo. È proprio semplice. Solo, per favore, prendetela ... prima che sia troppo tardi. La G.D.F. sarà qui. Vi dico.. . muovetevi.. . muovetevi.. . muovetevi!

[Voci, grida violente 1.

Nelle sue prediche Jones evocava spesso le operazioni search and destroy P delie truppe americane in Vietnam, nonché il massacro di My Lay.

Non abbiate paura di morire. Vedrete la gente atterrare qui fuori. Tortureranno alcuni dei nostri bambini. Tortureranno la nostra gente. Tortureranno i nostri vecchi. Non possiamo tollerare questo.. . Volete distaccarvi da chiunque ha ucciso il parlamentare? Non so chi gli ha sparato. VOCI, URLA ECCITATE: NO! NO! NO!

[Stacco; musical.

Arrivano altre notizie suli'agguato ai due aerei in partenza da Port Kaituma. Patty Parks: una seguace di lunga data, che però, insieme ad altri delia sua famiglia, aveva abbandonato la comunità a l seguito della Commissione d'inchiesta.

JONES: Diamoci la pace ... E quelli avevano il diritto di andarsene? ... avevano il diritto di ... Quanti sono morti? [con tono angosciato] Oh Dio, Dio Onnipotente.. . [ Voce dalla follal. Eh? ... Patty Parks è morta?

[Musica; voci che gridano; clima di crescente agitazione l .

VOCE DI DONNA: ... alcuni degli altri che resistano abbastanza a lungo in un posto tranquillo per scrivere della bontà di Jonestown ...


JONES:

Non so come potranno mai scrivere di noi. E proprio troppo tardi. È troppo tardi. I1 parlamentare è morto.. .

Scrivere: il ~ ~ P PsuiciO da evoca la necessità di uno storico, dunque di un sopravvissuto, che racconti la vicenda del Tempio e del suo gesto finale, garantendo l'immortalità.

La collaboratrice del parlamentare è morta. Molti dei nostri traditori sono morti. Sono tutti stesi laggiù, morti.

La segretaria di Ryan, Jackie Speier, è stata solo gravemente ferita. Userà la notorietà regalatale dall'evento per tentare a sua volta, seriza successo, una carriera politica.

[Voci dalla folla gridano a Jones parole incomprensibili] .

Non sono stato io ... ma è stata la mia gente ... loro sono la mia gente. [Voci, acclamaz&ni] E sono stati provocati troppo. [Clamori, grida di approvazione] Sono stati provocati troppo. Quello che è successo qui in questi due giorni è stato un gesto di provocazione. [circa 30" di dialogo incomprensibile tra Jones

e una donna]. VOCEDI DONNA [è la stessa del dialogo incomprensibile, che conclude così il suo intervento] :

Sono soddisfatta, okay? ... Dicevo se c'è qualche modo per dare a Ted qualcosa che gli consenta di lasciarli andar via. Okay. E sono soddisfatta. J O N E S : È giusto ... bene ... sì, sì, sì. VOCEDI DONNA: [ è la stessa dell'intervento precedente] Ti ringrazio di tutto. Tu sei il Santo... Tu sei il Santo... Tu sei il Santo. Ora, che Dio ti salvi! [applausi]. J O N E S : Per favore, possiamo sbrigarci? Possiamo sbrigarci con quella medicina? [con enfasi] La « medicina » o pozione >> già varie volte evocata è Non sapete cosa avete fatto! [Voce dalla folla, incomprensibile, cui

JONES

risponde I : H o tentato. [Lunghi applausi; due stacchi del nastro; musica dagli altoparlanti]. Lo hanno visto accadere e sono corsi nella giungla e hanno lasciato cadere i mitra. Mai nella mia vita ... Ma ce ne saranno altri. [Musical [con tono imperioso e frenetico]: Ma dovete sbrigarvi! La state prendendo, laggiù, la medicina?

una mistura di cianuro e va-

lium (per attenuare le convulsioni), sciolta in una soft drink alla fragola.

Le guardie guyanesi di stanza all'aeroporto sono fuggite. Ma altri soldati verranno...


Dovete sbrigarvi! Marceline Jones, moglie del Pastore. È una figura-chiave nell'organizzazione psicodinamica del Tempio, l'altro polo della Coppia regale tipica di molti vecchi e nuovi movimenti religiosi e politici.

[rispondendo a una domanda della moglie, con tono più basso]: Marceline, abbiamo circa 40

minuti.. .

VOCEDI DONNA [dà le istruzioni per fare la fila verso il cianuro]: Dovete sapere che ... La gen-

te che sta in piedi qui sulle ali vada ad aspettare nel cortile della stanza della radio. Mettetevi tutti dietro ai tavoli, e indietreggiate da questa parte. Okay? Non c'è da preoccuparsi di nulla. Che tutti rimangano calmi. E cercate di far rimanere calmi i bambini. [Voci, clamori] E tutti I bambini sono in colonna i bambini più grandi che aiutano, fate passare verso il cianuro. Si danno le i bambini più piccoli e rassicurateli. istruzioni necessarie. AUe ma- Non stanno piangendo di dolore ... Ha solo un dri viene concesso di accompagnare i figli. Alcune di lo- sapore un po' amaro. ro iniettano personalmente in Non stanno affatto piangendo di dolore ... bocca ai bambini la e medi- Annie MacGowan, puoi indietreggiare per facina » con deUe siringhe. vore?

[Voci che si accauallano]. I1 capo delle guardie armate di Jonestown.

VOCE D'UOMO [Jim McEluane] : ... quello che facevo prima di venire qui ... Perciò lasciate che ve ne parli. Può aiutare molti di voi a sentirsi un po' più tranquilli... Sedete e state zitti, per favore. Una delle cose che facevo ... ero un terapista. E il tipo di terapia che facevo aveva a che fare con la reincarnazione in situazioni di una vita precedente. E ogni volta che qualcuno viveva l'esperienza di andare in una vita precedente, ero abbastanza fortunato, grazie al Padre, da riuscire a fargliela sperimentare tutta, fino attraverso la morte per così dire. E tutti erano così contenti quando facevano quel passo fino dall'altra parte.. . JONES: [si avvicina al microfono] Quando si va verso Dio, si può solo andare in questo modo. È l'unico modo di andare. [Pianti di bambini]. Ora la scelta non è più nostra. Non è più nelle nostre mani.

[Bambino che urla uicino al microfono].


MCELVANE:Se avete un corpo storpiato e di colpo avete il corpo che volevate ... [si sovrappone la voce incomprensibile di Jones,

JIM

mentre continuano le grida dei bambini]

La morte bonifica il corpo individuale e sociale, e il male (anomico) che lo abita.

... è bello, non è mai stato cosi bello finora, vi dico ... non vi siete mai sentiti cosi bene come in una esperienza di questo genere. [Grida. Stacco]. E io spero proprio che quegli avvocati

JONES:

rimarranno tra i loro simili, e che non si facciano vedere qui. [ Grida I.

JONES: Che c'è? Che c'è? Che c'è? È che ...

[parla con qualcuno della folla]. VOCE DALLA FOLLA:È dura. dura ... è dura solo all'inizio. Solo all'inizio è dura. Vivendo, guardate la morte prima che la morte vi guardi. Vivere è molto, molto più difficile. Alzarsi la mattina e non sapere cosa ci porterà la notte, è molto più difficile, è molto più difficile. VOCE DI DONNA:Voglio solo dire qualcosa per quelli che vedo vagare e che piangono. Non c'è nessun motivo di piangere. È qualcosa di cui possiamo rallegrarci. Potremmo esserne felici. Ci hanno sempre detto che possiamo piangere quando venite al mondo. Adesso che lo stiamo lasciando e lo stiamo lasciando pacificamente, penso che ... penso che dovremmo essere felici di questo. [Voci: È giusto l . Stavo pensando a Jim Jones. Ha solo sofferto, sofferto, sofferto. Siamo la guardia d'onore.. . JONES : È

[la donna urla a voce altissima. Applausi e grida dalla folla1 ... e non abbiamo alcuna possibilità di uscire di qui [applausi]. Voglio dire un'altra cosa, c'è un'altra cosa che voglio dire. Non siamo stati tutti ... non siamo

Erano presenti quel giorno a Jonestown i due awocati del Tempio, peraltro in concorrenza tra loro: Charles Garry, un veterano dei processi contro i militanti di sinistra nella Bay Area, morto di recente; e Mark Lane, gia noto per le sue teorie del complotto intorno d'assassinio di John Kennedy. Durante il suicidio, vengono chiusi in una casa sotto la sorveglianza di un uomo armato. Riescono a convincere la guardia a farli fuggire, affinché possano raccontare la storia di Jonestown. Non sanno che, come si evince da questa trascrizione (vedi sopra), è stato il gruppo stesso a volerli salvare per garantirsi i suoi storici. Iniziano i proclami maniacali, tesi a contrastare l'evidenza visiva e sonora (urla e rantoli) della sofferenza e della morte. Ancora una volta il gruppo corre al soccorso del suo capo, e si rivela il vero soggetto del suicidio collettivo.


stati tutti ad andarcene. Sono stati pochi ad andarsene [alcune parole incomprensibili]. Sto vedendo talmente tanta gente che piange ... Vorrei che non piangeste e che ringraziaste il Padre. Grazie, Papà.

[Alcune parole incomprensibili coperte da applausi]. Sono stata qui un anno e nove mesi e non sono mai stata meglio in vita mia. Non a San Francisco, ma finché sono venuta a Jonestown. H o avuto una vita stupenda, ho avuto una vita bella. Non vedo nulla di cui dovrei piangere. Dovremmo essere contenti, io almeno lo sono. Era questo che volevo dire.

[Applausi. Musica dagli altoparlanti l . VOCE DI DONNA [giovane e decisa]: È bello essere vivi oggi. Io voglio solo ringraziare Papa perché è stato l'unico a difendermi quando avevo bisogno di lui ... Grazie, Papà.

[Applausil . ALTRAVOCE

DI DONNA: Sono contenta che voi siate i miei fratelli e le mie sorelle. Sono contenta di essere qui [risponde a qualcuno] Okay.

[Discussioni nell'assemblea l . JONES [gridando]: Per favore, per l'arnor di Dio. Continuiamo con questo. Abbiamo vissuto ... Abbiamo vissuto come nessun altro ha vissuto e amato. Abbiamo avuto di questo mondo tutto quello che potevate avere. Facciamola finita con questa agonia.

[Applausi, voci che urlano. Stacco del nastro]. JONES: È molto, molto più duro dover percorrere ogni singolo giorno; morire lentamente ... e da quando si è bambini finché si diventa grigi si va morendo ... [Tra le voci della folla, qualcuno grida: sono stati dei traditori » l . JONES: Traditori ... e sono sicuro che pa ... pagheranno per questo. La pagheranno. Questo è un suicidio rivoluzionario... questo non è un suicidio autodistruttivo. Per questo la pagheranno. Sono stati loro a provocar questo. E la pagheranno. Li condanno a questo destino.


[Pianti disperati di bambini. Stacco]. JONES: Chi vuole andare con il suo bambino ha il diritto di andare con il suo bambino. Penso che è umano. Voglio andare ... però voglio vedervi andare .... Possono prendermi e fare di me quello che vogliono... tutto quello che vogliono farmi. Voglio vedervi andare, non voglio vedervi stare ancora in questo inferno. Mai più, mai più, mai più!

L'unità duale madrelbambino come strumento di morte, in simmetria con l'unità duale gruppo/individuo nel Noi fusionale del Tempio suicida.

[ Urla, confusionel .

Stiamo tentando. Se tutti ... rilassatevi. La cosa migliore da fare è rilassarsi, e non avrete nessun problema. Non avrete nessun problema con questa cosa se soltanto vi rilassate.

JONES :

[ Urla.

Stacco] .

VOCE D'UOMO: [prime parole confuse] ... molto perché è Jim Jones. Ed il modo in cui i bambini giacciano a terra ora, preferisco vederli giacere così, piuttosto che vederli dover morire come gli Ebrei, che era in ogni caso triste ... ed io voglio solo ringraziare Papà, che ha dato loro questa vita ed anche la morte, e mi piace il fatto ... il modo in cui i nostri bambini stanno morendo. Perché come ha detto Papà, quando verranno qui, quello che faranno ai nostri bambini ... massacreranno i nostri bambini; ed anche quelli che prenderanno, che cattureranno, li lasceranno soltanto crescere ed essere dei fantocci, come vogliono che essi diventino, e non crescere per diventare una persona come il solo ed unico ~ i r n Jones.

Tra rantoli e urla, i bambini del Tempio stanno morendo. Diverse madri si avvelenano con i figli. Talvolta intere famiglie muoiono insieme, a b bracciate e stese a terra in agglomerati confusi che mettono in scena la fusionalita terminale del gruppo.

Perciò vorrei ringraziare P a p à p e r la possibilità ...

per aver lasciato che Jonestown fosse non quello che poteva essere, ma quello che Jonestown è. Grazie, Papà. [Applausi]. JONES: Non c'è da averne paura. Non c'è da averne paura. È un'amica.

[ u n bambino piange, vicino al microfono. Più distante, un altro urla: « Mamma ... Mamma »I. È un'amica. Seduti là, mostrate l'amore che c'è tra voi. [ Clamori. Stacco l. JONES

[lontano dal microfono, rivolto a qual-

e Un'amica

P:

la morte.


cuno dell'assemblea] : Senza fretta! [confusione, grida] Facciamola finita.. . facciamola finita ... facciamola finita! Non c'era nulla da fare. Non possiamo ... non possiamo separarci dalla nostra gente.

[Stacco. Aumentano ancora i pianti di bambini]. Star buttati per una ventina d'anni in qualche ospizio vecchio e marcio.. .

[Stacco. Sale la musica degli altoparlanti]. [riprende]: ... trascinandoci per tutti

JONES

Evoca l'immaginario della schiavitù, fondamentale per i suoi fedeli neri e per la variante californiana della sottocultura new left che costituiva un cardine deila cosmogonia del Tempio. La schiavitù, l'Esodo, la Terra Promessa: déjd vu...

La chiamata in correo del gmppo per le morti di Port Kaituma è essenziale per la riuscita del suicidio: siamo tutti assassini. La colpa collettiva evoca un persecutore adeguato alla grandezza del crimine, toglie le vie d'uscita, consolida il Noi fusionale.

questi anni di angoscia. Ci hanno presi, ci hanno gettati in catene e questo è niente ... [Tono enfatico. Grida nel microfono]. Questa cosa... quella cosa... Non c'è paragone con quella, con questa ... Ci hanno derubati della nostra terra e ci hanno presi e ci hanno condotti via, e abbiamo cercato di ritrovare noi stessi. Abbiamo cercato di trovare un nuovo inizio. Ma è troppo tardi. Non ci si può separare dai propri fratelli e sorelle. Non lo farò in nessun caso. Mi rifiuto. Non so chi ha sparato il colpo. Non so chi ha ucciso il parlamentare. Ma per quanto mi riguarda, l'ho ucciso io. Capite cosa sto dicendo: l'ho ucciso io [sottolinea con la

uoce].

Non aveva nulla da fare qui ... Gli avevo detto di non venire ... VOCEDI DONNA [in primo piano]: Giusto, giusto.

[Stacco. Musica degli altoparlanti. Ancora lunghissimi pianti di bambini piccoli e molta confusione].

IO, con rispetto, muoio con l'inizio della dignità. Deponete la vostra vita con dignità. Non deponetela tra le lacrime e la sofferenza.

JONES:

Morire = cambiare aereo. La morte come volo euforico.

Non è nulla. È come ha detto Mac... È come salire su un altro aereo. Non siate così. Basta con queste isterie. Non è così che muore chi è


Socialista o Comunista ... Non è questo il nostro modo di morire ... Dobbiamo morire con un po' di dignità ... Dobbiamo morire con un po' di dignità. [Musical. Non avevamo scelte. Adesso abbiamo una scelta. C Confusione l . Pensate che permetteranno che tutto questo si compia? Che ci permetteranno di portare a termine tutto questo? ... Dovete essere pazzi! [ancora altissimi pianti di bambini] Bambini, è solo qualcosa per mettervi a dormire ... Oh, Dio.. . [tono improvvisamente angosciato, tra pianti disperati sallo sfondo. Voce di bambino: Voglio la mia mamma]. Madre. Madre. Madre. Madre. Madre, ti prego. Madre, ti prego. Ti prego. Ti prego. Non ... Non fare questo. Non fare questo. Deponi la tua vita con il tuo bambino, ma non fare questo. [Stacco. Musica] . VOCEDI DONNA [rivolta a Jones]: Lo stiamo facendo per te.

[riprende]: Liberi, finalmente! [Applausi] Controllate ... controllate le vostre emozioni. Controllate le vostre emozioni. Bambini, non farà male ... se rimarrete calmi... se rimarrete calmi... se rimarrete calmi.. . [Pianti di bambini. Musica dagli altoparlanti]. Non è mai stato fatto prima, dite? È stato fatto da tutte le tribù nella storia. Tutte le tribù minacciate di annientamento. Tutti gli Indiani dell'Amazzonia lo stanno facendo proprio ora. Si rifiutano di mettere al mondo bambini. Uccidono tutti i bambini che vengono a1 mondo. Perché non vogliono vivere in un mondo di questo genere. C Stacco 1. Dunque siate pazienti ... siate pazienti [Tono pastorale]. La morte è... Vi dico, non m'importa di quante urla sentite ... Non m'importa di quanti gridi angosciati...

JONES

Un grido sovraccarico d'angoscia. La sua tonalità particolarissima colpisce chiunque ascolti la cassetta. Questa invocazione rivolta ad una imago materna condensa in modo sovradeterminato il senso della vicenda psicologica del Tempio e la dinamica della sua morte collettiva. <( Liberi finalmente »: il celebre grido-slogan di Martin Luther King, capovolto qui in una esaltazione della morte come liberazione assoluta.

Un altro tema classico della ideologia new left.


La morte è un milione di volte preferibile al trascorrere altri giorni in questa vita ... Se sapeste cosa vi aspettava .... Se sapeste cosa vi aspettava, sareste contenti di fare l'ultimo passo questa notte. La morte, la morte, la morte è comune a tutti. E gli Esquimesi vanno a morire camminando. Siamo digni.. . Siamo dignitosi.. . Se la smetteste di dir loro che stanno morendo ... Se voi adulti la smetteste anche con queste sciocchezze... Adulti, adulti, adulti, vi prego di smetterla con queste sciocchezze. Vi prego di smetterla di innervosire i vostri bambini, quando ciò che stanno facendo è solo di andare a riposare in pace. Vi prego di smettere tutto questo, subito, se avete un po' di rispetto. Siamo neri, fieri e socialisti... oppure cosa siamo? Ora basta con queste sciocchezze... Non continuate più. State innervosendo i vostri bambini.

[Voci dall'assemblea tra continui urli di bambini]. J O N E S [riprende]: No, nessun rimpianto perNelle intenzioni di Jones, dovevano morire prima i bambini e i giovani (infanticidio), poi gli anziani (parricidio). I due grandi crimini dell'inconscio avrebbero così vincolato al suicidio gli adulti rimasti senza passato e senza futuro.

ché è finita. Sono contento che sia finita. Svelti, svelti, figIi miei, svelti. Vi prego solo di non cadere nelle mani del nemico. Svelti, figli miei, svelti. Qui fuori ci sono gli anziani che mi preoccupano. Svelti! Non voglio nessuno dei miei anziani in questa confusione.

[Pianti di bambini in primo piano]. Soltanto, presto, presto, presto, presto, presto!

[breve frase incomprensibile rivolta a qualcuno uicino al microfono].

Jim Cobb: un transfuga che in realtà non è stato ucciso. Ma è necessario am.plificare

quanto più possibile il crimine per renderlo funzionale ai suicidio.

Buono da sapersi... Niente più dolore ora. Niente più dolore, ho detto, ora! Niente più dolore. In questo momento Jim Cobb giace morto sulla pista dell'aeroporto.

[Applausi, urla di tripudio].


Ricordate, la donna Oliver diceva che sarebbe ... Ancora una madre cattiva, sarebbe venuta e mi avrebbe ucciso se il figlio proiezione deiia madre cattiva e mortifera - seno carico non l'avesse fermata. di latte awelenato - che il Questa, questa è la gente ... i venditori di odio. Tempio 2 ora per i suoi 'fiQuello che stiamo facendo è solo di deporre le gli'. nostre vite. Non li lasceremo prendere le nostre vite. Stiamo deponendo le nostre vite.

[Cresce la musical. Pace nelle loro vite. Vogliamo soltanto pace. VOCE D'UOMO:Salve! Vorrei dire che i miei ... i miei cosiddetti genitori sono pieni di così tanto odio e d'inganno ...

[Sullo sfondo, Jones batte ritmicamente le mani, dicendo: Basta, basta, basta con questo, basta con questi pianti e questa agitazione]. ... Penso che voi qua fuori, gente, dovreste pensare a cosa erano i vostri familiari ed essere contenti che i bambini vengano messi a riposare in pace. E vorrei dire che ringrazio Papà per avermi dato la forza di reggere tutto questo e di esserci pronto. Grazie! JONES: Stanno solo, stanno solo prendendo qualcosa da bere. Lo prendono per andare a dormire. Ecco cos'è la morte: sonno. [Pianti. A voce bassa, dopo alcune parole incomprensibili]: ... Sono stanco di tutto questo. VOCE DI DONNA:... tutto ciò che possiamo mai aver fatto, la cosa più tenera che tutti noi possiamo aver fatto, ed è stato un piacere camminare insieme a tutti voi in questa lotta rivoluzionaria. Non vorrei morire in nessun altro modo che non sia dare la vita per il Socialismo, per il Comunismo. E ringrazio Papà, molto, moltissimo. VOCE DI DONNA ANZIANA: L'amore, la cura, la bontà e la gentilezza di Papà ci hanno portati in questa terra di libertà. Il suo amore... Sua madre è stata l'avan.. . l'avanguardia del Socialismo. E il suo amore e la sua presenza andranno avanti per sempre verso i campi ... JONES [intevuompendol: Dov'è il bidone, il bidone, il bidone? I1 bidone con dentro il C verde?

I1 bidone con il cianuro (il a C verde ») era collocato in


fondo ad una delle strade che VOCEDI DONNA ANZIANA: ... vai avanti per sempartivano dalla ~iazzettaceri- pre fino al segno. Grazie, Papà! trale, per facilitare il formar- JONES: I1 bidone con il C verde ... per favore. si di una fila ordinata. Portatelo qui, così gli adulti ... potranno comintiare. Non ... non mancate di seguire il mio consiglio. Ve ne pentirete, ve ne pentirete. [Grida di approvazione]. Facciamolo noi, piuttosto che farlo fare a loro! [Applausi]. [Con voce trasformata]. Abbiate fede! Dovete passare dall'altra parte. [Musica e urla]. Pensavamo che questo mondo fosse ... non fosse la nostra casa, e certamente non lo è. Stavo dicendo: certamente non lo era. Non voglio dirglielo.. . quello che sta facendo.. . Se lo diranno a loro, rassicurateli ... Non c'è nessuno che possa rassicurare questi bambini che è riposante salire sull'aereo che viene dopo? Creano un esempio per gli altri. Abbiamo detto ... mille persone che hanno detto: non ci piace com'è il mondo. Ci tolgono la vita. Prendi la nostra vita. L'abbiamo offerta. Ci siamo stancati. Non abbiamo commesso un suicidio, abbiamo commesso un atto di suicidio rivoluzionario per protesta contro le condizioni di un mondo disumano. [Musica d'organo. Silenzio totale. Fine del nastro] .

I1 18 novembre 1978, 908 persone muoiono avvelenate dal cianuro in un insediamento agricolo nella giungla al confine tra il Venezuela e la Guyana. Si tratta degli abitanti della comune di Jonestown, dal nome del Reverendo Jim Jones, fondatore del Peoples Temple (come amava scriversi), un gruppo religioso californiano trasferitosi da San Francisco in Guyana nei due anni precedenti. I1 suicidio collettivo è stato scatenato dalla partenza di una Commissione d'inchiesta parlamentare guidata da Leo Ryan, deputato della California. Insieme alla Commissione, e ai giornalisti che l'accompagnano, chiedono di andarsene anche 14 membri della comune. Il gruppo vive questa defezione come intollerabile. Sulla pista dell'aeroporto di Port Kaituma, una squadra del Tempio uccide quattro persone (tra cui il parlamentare) e ne ferisce gravemente altre.


Nel frattempo, il Reverendo Jim Jones convoca la comune nella piazzetta centrale, e inizia la mobilitazione psicologica del suicidio collettivo, già varie volte messa in scena nelle cosiddette « notti bianche ». Sono le ore 16.30. Qualche settimana dopo, nelle descrizioni esterrefatte dei media cominciano ad apparire le prime allusioni ad una cassetta che sarebbe stata ritrovata in un registratore sul palco, accanto al corpo senza vita di Jim Jones. Tra il 7 e il 9 dicembre 1978 le notizie diventano più precise. La cassetta sarebbe stata scoperta da un soldato guyanese, consegnata dopo diversi giorni alle autorità USA, e da queste all'FBI (l'uccisione di un parlamentare rende l'intera vicenda di Jonestown di competenza federale). Il New York Tinies specifica che la cassetta è stata riprodotta dallo FBI in sole tre copie, messe a disposizione del giudice e della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli eventi di Jonestown. Le tre copie sarebbero custodite dallo FBI stesso, e considerate materiale coperto da segreto. Nelle settimane successive trapela qualche indicazione sul contenuto: nella cassetta sarebbero registrate alcune fasi del rito suicida. Qualche articolo riproduce una o due frasi del nastro. Scende il silenzio, mentre si sviluppano nell'opinione pubblica americana molteplici 'spiegazioni' del suicidio collettivo: il Peoples Temple era formato da personalità psicopatologiche, il suicidio è stato indotto dal carisma potente di un capo pazzo che ha forzato psicologicamente i seguaci a morire, solo pochi si sono uccisi volontariamente e gli altri sono stati costretti ad uccidersi dalle guardie armate, ecc. Corre intanto voce che, prima di consegnare la cassetta agli Americani, i guyanesi ne abbiano fatto anche loro delle copie. Queste copie circolerebbero a Georgetown, capitale della Guyana, e forse negli USA. Occorre un altro suicidio per rompere il silenzio. I1 19 marzo 1979, a Modesto (California), Mike Prokes, ex responsabile delle pubbliche relazioni del Tempio, convoca una conferenza stampa in un motel. Dichiara non vere le ipotesi sui seguaci costretti o plagiati a morire: in realtà il gruppo si è ucciso volontariamente e in modo lucido. Esiste una cassetta che lo dimostra, ma che il governo USA tiene nascosta. Se si vuole sapere la verità su Jonestown, occorre costringere il governo a renderla pubblica. Prokes consegna un memoriale ai giornalisti presenti, va nella stanza accanto, e si uccide con un colpo di pistola. I1 giorno dopo, benché non vi sia stata alcuna 'liberazione' ufficiale della cassetta, alcuni giornali ne pubblicano frammenti di trascrizione. Tra questi il Washington Post, il New York Times e il Baltimore Sun, che non citano la fonte del documento. La cassetta prosegue la sua vita sotterranea. All'inizio deli'estate 1979, chi scrive riesce ad ottenerne fortunosamente una copia a Washington, la porta in Europa e la diffonde tra amici e studiosi. Nel settembre 1979, la società Creative Arts, Inc. di New York annuncia l'intenzione di commercializzarla, ma rinuncia a farlo. Nella Bay Area circolano copie-pirata, spesso di dubbia qualità e mancanti di parti iniziali o finali. Un editore spagnolo ne prepara un7edizione su disco limitata a 912 copie, approssimativamente il numero dei morti di Jonestown e collegati: il disco raggiunge prezzi elevati tra i collezionisti del macabro. Altre copie circolano in Germania a partire dal 1981. Finalmente una battaglia legale libera parte dei nastri trovati a Jonestown, e tra questi la cassetta in questione, depo-


sitata ora presso la sede di San Francisco della California Historical Societ~. Cosa contiene questa cassetta? 43 minuti di registrazione della fase iniziale del suicidio collettivo di Jonestown. Questa fase corrisponde ali'omicidio-suicidio dei bambini, degli adolescenti e di alcune madri e padri che decidono di morire con i figli. Seguiranno poi, ma di questo non esistono registrazioni, le morti degli anziani, degli adulti, dei fedelissimi del pastore, e di Jim Jones stesso. La qualità del sonoro è pessima. Solo le voci vicine al registratore sono relativamente chiare. Lunghi frammenti rimangono difficili da interpretare, le voci della folla sono incomprensibili. Le urla, i rantoli dei morenti e la confusione peggiorano ancora l'ascolto. Inoltre, la cassetta presenta numerosi stacchi: la registrazione appare interrotta e ripresa, come se un regista avesse in qualche modo cercato di trasformare i suoni di quanto accadeva in una narrazione coerente, tesa a rappresentare secondo le intenzioni della setta il suo suicidio. La registrazione è perciò un testo redatto consapevolmente, anche se in condizioni fortunose, a memoria futura. Non riproduce, ma seleziona, costruisce, cerca l'effetto, mira alI'acme emotivo e all'esito retorico. La trascrizione di questo testo è impresa ardua sul piano linguistico (per le difficoltà d'ascolto) ed emozionale. A parte i primi frammenti pubblicati nel 1979, e palesemente derivati da una versione approssimativa dello FBI, solo nel 1988 appare la prima edizione critica del testo, completa di un tentativo abbastanza accurato di trascrizione e di note che identificano alcune delle voci e diversi riferimenti fattuali (cfr. E. Pozzi, D. A. Nesci, G. Bersani, The Narratiue of a Mass Suicide: The People's Temple Last Tape, « Acta Medica Romana », XXVI, 1988, 2, pp. 151-175). Nella Introduzione, gli autori si dichiarano ben consapevoli delle molte lacune e incertezze del loro lavoro. Negli anni successivi circolano altre trascrizioni (negli USA, in Germania, ecc.): tutte approssimative e prive di apparato critico. Anche una trascrizione ciclostilata prodotta dai curatori del fondo sul Peoples Temple presso la California Historical Society non appare migliore dei testi già in circolazione. Un ulteriore passo avanti è compiuto da Tom Zaniello nel suo volume Explorations in Reading and Writing (Random House, New York, 1988): la sua trascrizione è forse la più precisa, ma anch'essa con numerosi errori interpretativi e incertezze; manca poi un commento esplicativo che metta in grado il lettore di capire cosa sta avvenendo, come e perché. La traduzione presentata nelle pagine precedenti è stata condotta su una ulteriore trascrizione del testo, effettuata da chi scrive tenendo conto di tutte le trascrizioni precedenti e confrontandole con cura tra loro e con il testo sonoro. Si tratta della prima versione della cassetta disponibile in lingua italiana, e corrispondente alla più completa trascrizione integrale del testo inglese. Per quanto possibile, e evitando inutili pedanterie, si è cercato di conservare la disarticolazione sintattica e grammaticale della registrazione, le incongruith, le fratture di senso. Abbiamo segnalato anche gli elementi sonori di ogni genere che accompagnano le parole: le urla, i clamori, le cacofonie delle voci, i pianti, i rantoli, la musica e le canzoni diffuse dagli altoparlanti. Una particolare cura è stata messa nell'indicare gli stacchi della registrazione, che testimoniano il lavoro del gruppo nella scrittura di questo testo. A latere del testo, abbiamo collocato annotazioni fattuali utili a capire almeno


in parte la sequenza degli eventi, alcuni riferimenti e allusioni, alcuni dei personaggi coinvolti direttamente nella gestione del suicidio. Altre annotazioni brevi sottolineano le dinamiche psicologiche mobilitate dal gruppo e dal suo capo per portare a buon fine l'impresa paradossale di autodistruggersi in quanto gruppo. Si sarebbe potuto dire e commentare molto di più. La purezza e potenza di questo testo unico ne sarebbero uscite appesantite eccessivamente da quello che Giordano Bruno chiamava « lo sterco dei pedanti ». Chi voglia capire meglio fatti e dinamiche può ricorrere ad alcuni scritti ricchi di elementi: T. Reiterman, J. Jacobs, Raven. The Untold Story of the Rev. Jim Jones and His People, Dutton, New York, 1982; J. Reston Jr., Our Father W h o Art in Hell. The Life and Death of Jim Jones, Times Books, New York, 1981; D. Chidester, Salvation and Suicide. A n Interpretation of Jim Jones, the People's Temple, and Jonestown, Indiana Uiliversity Press, Bloomington, 1988; E. Pozzi, Il carisnza malato. Il People's Temple e il suicidio collettivo di Jonestown, Liguori, Napoli, 1992; E. Pozzi, I1 corpo del profeta: Jim lones, in Gli occhi di Alessandro, a cura di S. Bertelli e C. Grottanelli, Ponte alle Grazie, Firenze, 1990. Per una ricostruzione degli atteggiamenti dei sopravvissuti si veda Lawrence Wright, Orphans of Jonestown, « The New Yorker », 22 nov. 1993.

Trascrizione, traduzione, note in margine e nota finale sono a cura di Enrico Pozzi.

Libri da leggere L. KOCH,Introduzione a Soren Kierkegaard, Stadi sul cammino della vita, Rizzoli. M . ISNENGHI,L'Italia in piazza, Mondadori. B. DUDEN,Il corpo della donna come luogo pubblico, Bollati Boringhieri. B. RIEMANN,Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria, Bollati Boringhieri. GIOACCHINO DA FIORE, Sull'Apocalisse, testo originale a fronte, Feltrinelli. W. BENJAMIN,Ombre corte. Scritti (1928-1929), a cura di G. Agamben, Einaudi.

Libri da non leggere A. CAROTENUTO, I sotterranei dell'anima, Boringhieri. M . MORETTI,Brigate rosse. Utza storia italiana, Prefazione di Rossana Rossanda, Anabasi. F. SAVATER, Politica per un figlio, Laterza, e tutti gli altri suoi libri già tradotti. M. MAURENSIG, La variante di Liinenburg, Adelphi; D. REA, Ninfa plebea, Leonardo; e gli altri premi letterari del 1993. P. BOITANI,L'ombra di Ulisse. Figure di un mito, I1 Mulino. Tutti i libri in cui si cita W. Benjamin.


I1 discorso di Berlusconi e il sogno di R. di ENRICO POZZI e CRISTINA CENCI

Convention di Forza Italia, Roma, G febbraio 1994 EMOZIONE: « 11 gruppo di potere di questa specie costituisce una comunità di carattere emozionale ». (M. Weber, Economia e società, Milano 1986, I , p. 238).

ELETTRICITA: « Tutte le idee di influenzamento della schizofrenia possono comparire come effetto di una macchina o no. Per quel che concerne le correnti elettriche [ ...] ho constatato un solo esempio (nel reparto neuropsichiatrico di Belgrado), in cui si producevano senza macchina. e addirittura senza l'intervento di una potenza ostile. Si tratta di un muratore di 34 anni, Joseph H., che ha già trascorso parte della sua vita in manicomio. Si sente attraversare da correnti elettriche che si scaricano a terra attraverso le sue gambe. È lui stesso a produrre queste correnti nel proprio corpo, come afferma con un certo orgoglio. Questa è appunto la sua forza D. (V. Tausk, Sulla genesi della 'macchina influenzante' nella schizofrenia, in Scritti psicounditici, Roma 1979, p. 154).

BERLUSCONI: Come si fa a non commuoversi in questo momento?

[Dal pubblico urlano: « Sei tutti noi », « Illurninaci »l. È un momento solenne, è un momento intenso ... è forse meglio fare l'elettricista, magari non soltanto per questa sala, ma forse, forse il nostro paese, anche da quello che siamo venuti dicendo fin qui, anche dai sondaggi che abbiamo appena visto, ha bisogno davvero di luce, ha bisogno davvero della luce, della speranza, della fiducia. [Applausi].

Mentre venivo qui, pensavo, lo penso ancora, che c'era un matto che stava andando a incontrarsi MATTO: « Una sociologia di con altrettanti matti. [Applausi]. Mi era parso di impianto avalutativo tiene averlo già capito questa mattina. Non credo, non conto del carisma anche di credo, non credo [applausi].I o credo che in que-


sta Italia ci resteremo perché abbiamo deciso di restarci come uomini liberi. Ebbene, pensando a questa follia che sembra aver contagiato tutti noi e tanti altri dietro a noi, io pensavo che era verificata ancora una volta quell'affermazione che è contenuta in un bellissimo libro, l'abbiamo editato ancora da poco, l'Elogio della follia, di Erasmo da Rotterdam, dove io in una prefazione dicevo: è vera la tesi che viene fuori da queste pagine. Le decisioni più importanti, le decisioni più giuste, la vera saggezza [muove la mano sinitra per rafforzare il discorso], non è quella che scaturisce dal ragionamento, non è quella che scaturisce dal cervello, ma è quella che scaturisce da una lungimirante visionaria follia.

un beserker (i cui attacchi maniaci sono attribuiti, apparentemente a torto, all'uso di certi veleni I...]), di uno sciamano (di un mago per il quale la possibilith di attacchi di tipo epilettico vale come condizione preliminare per la pura estasi) o anche del fondatore dei Mormoni (che forse, anche se non è certo, rappresentava in realtà un raffinato tipo di imbroglione) [...l ». (Weber, op. cit., p. 238).

I o credo che noi questa decisione, tutti noi, l'abbiamo assunta, sì guardando ai pericoli che si venivano profilando ... li abbiamo, li avete ricordati qui questa mattina. Ma la ragione forse ci avrebbe invitato a continuare a occuparci del nostro particolare, della nostra famiglia, delle nostre aziende, del nostro mestiere, delle nostre professioni. Ebbene, abbiamo deciso invece di dare una risposta perché abbiamo sentito che si profilava un pericolo. Una nuova legge elettorale, dei politici o politicanti che siano che non trovavano un accordo, la possibilità che il nostro paese fosse governato da una minoranza, da una minoranza che conosciamo bene, che ci avrebbe prospettato un futuro che aveva molte probabilità di essere un futuro illiberale [applausi]. Abbiamo sentito, abbiamo sentito venire fuori dal paese, da tutto il paese, dal nord, dal sud, da tutte le categorie di persone, dalle persone di tutte le età, un desiderio, una domanda, una voglia asso-

PERICOLI: <( 6. Sentimenti di trasformazione con proiezione all'esterno dei processi interni e indicazione di un agente causale secondo il meccanismo paranoico D. (V. Tausk, op. cit., p. 156).

FOLLIA:« Il potere carismatico, in quanto straordinario, si contrappone nettamente tanto a quello razionale [...I quanto a queiio tradizionale [ ...] ; il potere carismatico è specificatamente irrazionale nel senso che manca assolutamente di regole ». (Weber, cit., p. 240).

PERICOLO:7. Sentimenti di trasformazioni attribuite all'effetto di una macchina influenzante manovrata da nemici. Di solito inizialmente i nemici sono sconosciuti e indefiniti per il malato; più tardi egli riesce a determinarli, sa chi sono e allarga il circolo sul modello del complotto paranoico D. (Ibid.)


CAMBIAMENTO: « 11 carisma può rappresentare una trasformazione dali'interno. Esso può cioè costituire un mutamento. fondato sulla necessità o sull'entusiasmo, delle direttrici di pensiero e di azione in base ad un orientamento del tutto nuovo delle posizioni di fronte a tutte le singole forme di vita e di fronte al "mondo" ». (Weber, loc. cit.).

FUTURO: « Il potere carismatico rovescia il passato ed è in questo senso specificamente rivoluzionario ». (Weber, op. cit., v. I , p. 242).

lute di cambiamento, non soltanto un cambiamento di uomini, ma un cambiamento del modo di fare la politica. Basta con la politica delle baruffe, delle parole, delle chiacchiere, dei veti incrociati, dei vecchi rancori, delle trattative sotto il tavolo. La voglia di una politica diversa, di una politica pulita. Abbiamo sentito venir su da tutte le parti la voglia di un nuovo soggetto politico. Abbiamo sentito venire dal paese la domanda di risposte concrete ai problemi concreti del paese. Ed è per questo che oggi noi siamo qui, intendendo cominciare da qui un lungo cammino, un cammino, lo ripeto ancora una volta, di speranza e di fiducia nel nostro futuro.

E siamo qui, quindi, voi che avete creato in tutto

il paese questo gran numero di clubs che hanno riavvicinato gli italiani alla polis, alle cose che ci CLUB:« L'apparato arnrnini- riguardano tutti, che hanno trovato una grande strativo del signore carisma- voglia di farlo, voi anche che avete deciso di abtico non è un "corpo di fun- bandonare i vostri interessi, di mettere davanti ai zionari" [...l. Esso non è scelto sulla base del ceto né vostri interessi l'interesse generale del paese. con criteri di dipendenza domestica o personale. Esso viene invece costituito in base a qualità carismatiche: al "profeta ", corrispondono i "discepoli ",al "condottiero" corrisponde il suo "seguito " e al "duce" in genere corrispondono gli "uomini di fiducia ". Non esiste né la "assunzione" né la " destituzione", non vi è alcuna "carriera" né alcuna "promozione"; si ha soltanto una chiamata secondo l'ispirazione del capo I...]. Non si hanno né " stipendi" né "benefici ",ma i discepoli e i seguaci vivono all'inizio con il signore, in un comunismo di amore o di cameratismo, con i mezzi procurati mediante il mecenatismo ». (Weber, op. cit., pp. 239-240).

Poi ci sono qui anch'io che in questo momento ho sentito come una specie di responsabilità, che non poteva essere elusa. Ho detto già, forse esagerando, che mi sentivo nella condizione di chi, dovendo partire per un bel viaggio, per una bella vacanza, per un piacevole incontro, ... trovarsi improvvisamente di fianco qualcuno a cui lui doveva prestare aiuto. Nonostante la vacanza, il viaggio, l'incontro, non sarebbe stato possibile girare la testa dall'altra parte perché questo ha un nome preciso, forse esagerando posso dire: omissione di soccorso.


È per questo, perché noi ci sentiamo tutti respon-

sabilmente chiamati a uscire dal nostro egoismo per fare quanto possiamo per il nostro paese, che noi siamo qui, che abbiamo risposto a questa specie - quando c'è un pericolo per il paese, c'è una chiamata, quando il pericolo è grande, c'è una grande chiamata -, a questa specie di chiamata alle armi. [Il tono è enfatico. Applausi.

Berlusconi sale su un piccolo palco sopraelevato collocato sotto lo schermo gigante. Si appoggia con entrambe le braccia sul palco, con un gesto di presa di possesso. Lo schermo crea un'impressione di sdoppiamento]. E allora ci corre l'obbligo, essendo noi qui, volendo procedere ad interessarci dell'amministrazione di questo paese, ci corre l'obbligo di dichiarare con chiarezza i principi, i valori, che ci ispirano [il volto è rigido, composto, ogni tanto si concede delle smorfie con la bocca]. Ci corre l'obbligo di dire qual è il nostro modello di società e quindi quale Italia vogliamo. Ci corre l'obbligo di dire che cosa riteniamo si debba fare per cambiare il nostro paese. I principi in cui noi crediamo non sono principi astrusi, non sono ideologie complicate, no! [Tono uniforme e moderato]. Sono i valori fondamentali di tutte le grandi democrazie occidentali. Noi crediamo nella libertà. In tutte le forme della libertà. Nella libertà di pensiero, nella libertà di opinione, nella libertà di espressione, nella libertà di culto, di tutti i culti, di tutte quelle fedi che spingano l'uomo a migliorarsi e a tendersi all'altro, nella libertà di associazione, nella libertà di impresa, nella libertà di mercato regolata da norme certe e uguali per tutti. Noi crediamo nell'individuo. Crediamo che ciascuno abbia il diritto di realizzare se stesso, di costruirsi con le proprie mani il proprio futuro, di aspirare al benessere. Noi crediamo nella famiglia, che è il centro dei nostri aspetti principali e il nucleo fondamentale della nostra società. E noi crediamo anche nell'impresa, nell'organizza-

CHIAMATA:« Il carisma puro è specificamente estraneo ali'economia. Ove compare, esso costituisce una "vocazione" nel senso enfatico del termine, cioè una "missione" o un "compito" interiore ». (Weber, op. cit., p. 241).

NOI CREDIAMO: « Sulla validità del carisma decide il riconoscimento spontaneo dei dominati, concesso in base alla prova (in origine fu sempre un miracolo), che nasce dalla fede nella rivelazione, dalla venerazione deli'eroe e dalla fiducia nel capo ». (Weber, op. cit., p. 238).


zione e nell'istituto cui è demandata la creazione di lavoro, di benessere, di ricchezza. Noi condividiamo, non potrebbe essere diversamente, anche i valori della nostra cultura e della nostra tradizione cristiana, valori irrinunciabili della vita, del bene comune, della libertà educativa, della pace, della solidarietà, della giustizia. Noi crediamo nella tolleranza, ci riesce facile, naturale, praticarla. CREDIAMO: « La specifica for- Crediamo nel rispetto, rispetto verso tutti, anche ma carismatica di composi- verso gli avversari, rispetto soprattutto verso chi zione dei conflitti è la rive- 2 debole. lazione dei profeti o l'oracolo [...l ». (Weber, op. cit., v. Crediamo nella generosità, nell'altruismo, nella deIV, p. 223). dizione. E siccome siamo liberisti, crediamo naturalmente nell'amore per il lavoro, nello sviluppo, nella competizione, nella concorrenza, nel profitto, nel progresso, che non può esserci se non c'è libertà [tono enfatico, applausi]. Ispirandoci a questi valori, noi vogliamo dare il nostro contributo al nostro paese. Noi vogliamo che il nostro paese possa essere migliore, possa essere diverso da quello del recente passato e da questo: il paese di questo confuso presente. Noi vogliamo un'Italia di donne e di uomini liberi, che non conoscano la paura, che non conoscano l'invidia sociale e l'odio di classe e che tutti insieme possano costruire un futuro diverso. Noi vogliamo quindi un'Italia diversa, vogliamo un'Italia unita, di un'unità indissolubile [applausi], che non tollera neppure l'apertura di questo problema, perché questo appartiene alla nostra cultura, alla nostra coscienza, alla nostra storia, ai nostri ricordi. Perché questo appartiene a noi stessi. Noi vogliamo un'Italia che abbia qualcosa in meno dell'Italia che conosciamo, ma che abbia anche qualcosa in più, anzi molte cose in più. Innanzitutto noi vogliamo unYItaliacon meno disoccupazione e più lavoro [applausi]. A coloro che non hanno lavoro [storce la bocca e irrigidisce la mascella], ai disoccupati, a coloro che so-


no in cassa di integrazione, a coloro che stanno in aziende che non vanno bene e che perciò guardano con preoccupazione al loro futuro, noi, se riusciremo nell'impresa che ci siamo proposti, noi oggi possiamo dire, possiamo garantire che queste preoccupazioni finiranno, che noi sappiamo come rilanciare l'economia dell'Italia.

E non c'è nessuno, non c'è nessuno in Italia che possa fare questa promessa, che possa fare questa affermazione, con più credibilità e con più prestigio di chi la sta facendo in questo momento [applausi]. Noi vogliamo un'Italia che presti più rispetto e più amore ai deboli e agli anziani tapplausil . La prosperità di cui godiamo è anche dovuta ai sacrifici, l'amore per il lavoro, che loro hanno praticato per tutta la loro vita. Continuando come ora, il nostro sistema economico non potrebbe garantire l'integrità della pensione di questi benemeriti che invece dopo una vita di lavoro hanno il più grande diritto a una stagione della serenità e della certezza [applausi]. Noi vogliamo anche un'Italia più ordinata e più sicura. Un'Italia che sappia lottare con determinazione, con efficacia contro la criminalità organizzata. Nel nostro paese rimangono impuniti il 96% dei furti e il 74% degli omicidi. Questo significa che lo Stato non compie uno dei suoi fondamentali doveri, che sono quelli di garantire la sicurezza dei cittadini, la loro integrità fisica e patrimoniale [applausi]. Noi vogliamo anche un'Italia che sappia combattere la droga ma che offra, a chi ne è caduto vittima, ogni aiuto possibile, che possa reinserirsi nella famiglia, nella società, nel lavoro.

L'ECONOMIA:« Ciò che tutti disprezzano - finché esiste un genuino potere carismatico - & l'economia ordinaria di carattere tradizionale o razionale, con l'obbligo di "introiti" regolari conseguiti mediante una attività economica continuativa diretta a tale scopo. Le tipiche forme carismatiche di copertura del fabbisogno sono da una parte il sostentamento mediante il mecenatismo, [ ...] oppure mediante l'accattonaggio, e dali'altra il sostentamento fondato sulla preda oppure suii'estorsione violenta o (formalmente) pacifica ». (Weber, op. cit., p. 241).


Noi vogliamo, naturalmente, un'Italia con meno corruzione [applausi]. Noi vogliamo anche un'Italia più attenta alla salute dei cittadini, che li difenda dall'inquinamento, che presti maggiore attenzione alla natura, all'ambiente, a tutte le grandi bellezze che il Signore ci ha dato e a tutte le opere d'arte che chi ci ha preceduto ci ha conservato, e che noi abbiamo il dovere di consegnare a chi verrà dopo di noi almeno intatte così come le abbiamo ricevute [ap-

plausi].

UOMINI: a Non

sono in grado di spiegare perché secondo la mia esperienza i Persela che china influenzante siano solo uomini o. (V. Tausk, op. cit.,

p. 178).

Noi vogliamo un'Italia anche con meno tasse, una Italia che dia più spazio a chi assume il rischio, a chi si assume l'incarico di produrre benessere e ricchezza. Noi vogliamo un'Italia insomma che dia più spazio al privato, che dia meno spazio allo Stato. Un'Italia con più privato e meno Stato. E allora cosa si deve fare? Allora io credo che si debbano approntare delle cure, che si debbano approntare dei programmi che dicano puntualmente cosa si deve fare per risolvere ogni problema. Bisogna fare come noi stiamo cercando di fare: portare alla guida del paese degli uomini diversi da quelli che fino ad ora l'hanno diretto ed amministrato. Io credo che mai come oggi l'Italia abbia bisogno di uomini con la testa sulle spalle, e quando dico uomini intendo dire donne e uomini naturalmente [sorride]. E uomini che non sappiano soltanto fare bei discorsi, fare bella figura in televisione, fare comizi, rispondere alle battute e alle controbattute, ma che sappiano invece anche operare. Degli uomini che sappiano annunciare ciò che vogliono fare, ma che sappiano, soprattutto trasformare in fatti le loro parole e che abbiano la loro vita a testimoniare questa loro capacità [applausi]. Degli uomini che vengano dalla trincea della vita e del lavoro. Degli uomini di speranza, di fiducia, di ottimismo, animati da una gran voglia di fare [applausi]. Con questi programmi, con la fiducia in questi valori, noi cercheremo di far fare d'Italia un altro miracolo. Dopo un periodo assai peggiore del pre-


sente, dopo la guerra, l'Italia ha saputo stupire il mondo in quello che si chiamò allora il miracolo italiano. Bene io dico che anche oggi noi possiamo far fare un salto in avanti al nostro paese, alla nostra economia, e davvero costruire un periodo nuovo di sviluppo e di benessere [applausi]. E quindi tutti insieme io credo dobbiamo avviarci a una grande impresa, a una grande avventura, a una avventura che non si può evitare, e tutti insieme, collaborando l'un l'altro e cercando collaborazione in tutti, lo ripeto in tutti, noi dobbiamo cercare di trovare una grande fede: Forza Italia! È tempo di credere. È tempo di osare. È tempo di accendere dentro il nostro cuore un grande fuoco: quello della passione civile, e con una grande pi~ssionenoi potremo raggiungere i traguardi più ambiziosi. Potremo costruire un'Italia più giusta. Un'Italia più generosa e sollecita verso chi soffre e verso chi ha bisogno. Un'Italia più moderna e efficiente. Un'Italia più prospera e serena. Un'Italia più ordinata e sicura. Un'Italia che sappia imporsi all'ammirazione degli altri e non soltanto per il suo grande passato ma per il suo nuovo, magico, presente. Forza Italia! Per costruire tutti insieme un grande, un nuovo, uno straordinario, miracolo italiano! [Sorride leggermente. Il pubblìco si alza e applaude].

MIRACOLO:« Per carisvza si deve intendere una qualità considerata straordinaria (e in origine condizionata in forma magica tanto nei profeti e negli individui forniti di sapienza terapeutico giuridica, quanto nei duci della caccia e negli eroi della guerra), che viene attribuita ad una persona. Pertanto questa viene considerata come dotata di forze e proprietà soprannaturali o sovrumane [...l oppure come inviata da Dio [...l D. (Weber, op. cit., p. 238).

MIRACOLO:L'eroe carisma<(

tico non trae la sua autorità [...l da ordinamenti e statuizioni; [ ...l egli consegue e mantiene in vita la sua autorità soltanto con la prova delle sue forze. Egli deve fare miracoli, se è un profeta, o compiere azioni eroiche, se vuole essere un condottiero. Ma soprattutto la sua missione divina deve "essere provata" in base al fatto che giova a coloro che si danno a lui con fede. Altrimenti è chiaro che egli non è il signore inviato dagli dei ». (Weber, op. cit., v. IV, p. 221).


La visione di R.

R., una donna di 50 anni, racconta. I1 giorno precedente, domenica 6 febbraio, nel pomeriggio, vede su Rete 4 il filmato della convention romana di Forza Italia con un lungo intervento di Silvio Berlusconi. I suoi familiari le fanno notare che è visibilmente eccitata, quasi euforica. È sorpresa, si sofferma a riflettere. Prima della convention aveva già visto spesso gli spot di B. Gli era sembrato troppo fermo, irnmoto, piuttosto innaturale, e gli spot l'avevano lasciata indifferente. Ma quando quel pomeriggio Emilio Fede preannuncia il filmato con B., lei entra in un clima d'attesa, si scopre a desiderare che lo mandino in onda presto. Non capisce perché. « La novità ... Forse un po' da tutta la preparazione di prima. Questo Forza Italia, questo B. che da tanto tempo si doveva presentare, che doveva presentare i suoi programmi. Volevo vedere cosa aveva da dire ... cosa ci doveva dire ... Perché lo spot è costruito, lo spot mi dà proprio l'impressione che è una cosa costruita, lui è innaturale, probabilmente in quella dimensione. Non si presenta naturale, è una cosa ferma, non è una cosa viva, movimentata. Pensavo che col discorso..., sentendolo parlare dal vivo, di vederlo in modo diverso. Ecco io prima ho visto una parte del discorso. Non il discorso integrale. E forse è stata proprio la parte che mi è piaciuta di più perché è entrato subito nel vivo del discorso. Non c'è stata prima tutta la presentazione dei collaboratori, di tutti gli altri che si presenteranno insieme a lui, la Parenti e tutti questi che gli sono intorno. Quindi io ho visto subito lui che entrava dentro e ha iniziato a fare il discorso e non il discorso per intero, ho visto una parte del discorso che mi è piaciuto. Ma soprattutto mi è piaciuta questa sua voce, questa calma strana, sembrava quasi una calma che veniva dal di dentro. Sa, una persona che parla ad un'altra perché è convinta, perché gli viene dal di dentro. Ecco non m'ha dato l'impressione di una cosa preparata, forzata. Non per quanto riguarda le parole, perché le parole quasi quasi non le ho sentite, più che questo era il porsi in modo calmo, però non quella calma che potrebbe sembrare già dallo spot, che fa che rimane immobile. Una calma diversa, un modo diverso, forse proprio i toni della voce. I1 tono della voce è come se avesse qualcosa ... qualcosa che mi ha ... mi ha attratta, mi è piaciuto. E il suo viso, non gli occhi, il viso. Neanche il viso come forma, non è che vedevi un bell'uomo e dicevi "mamma mia che bello" e restavi incantata. Proprio per niente. La serenità del viso, quindi un'espressione, non il viso come forma o anche una specie di magnetismo del viso o degli occhi. Anzi se mi chiede gli occhi come ce l'ha non lo so neanche.


Esprimeva serenità, sembrava una serenità interiore, che ti viene dal di dentro. Come se tu sei tranquilla dentro, sicura e lo esprimi parlando. Come se credesse veramente a quello che diceva. Non so veramente cosa mi dava questa serenità, perché sono sensazioni. Era leggermente sorridente, aveva un leggero sorriso, era mentre parlava che veniva fuori questo tipo di cosa [la serenità]. Che poi in effetti io non me l'aspettavo perché vedendolo negli spot televisivi me l'aspettavo più immoto, più innaturale, invece 11 quando lui ha fatto il discorso, io l'ho visto in un altro modo. Dalla voce, dal tono della voce mentre esponeva queste cose. Questa voce mi ha ... più la voce che altro ... Ma anche i gesti, la gestualità ... era sempre improntata alla massima calma. Tante volte vedi altre persone che parlano e sembra che dentro hanno un'aggressività repressa, che per quanto cercano di essere calmi, si vede, si percepisce questa aggressività che in effetti cercano di trattenere. Invece lui era come se avesse superato le sue aggressività nascoste, in quel momento. Era proprio come se quello che ti diceva... Beh le critiche che gli fanno, io ci penso, potrebbero aver ragione, però mi rimane sempre dentro quella sensazione provata [sottolinea con la voce] in cui io vedevo che lui diceva una cosa di cui era assolutamente sicuro e tranquillo. Non una cosa detta per fregare la gente che lo sentiva. Mi sembrava che quello che diceva lo diceva convinto. H o sentito che diventavo euforica. Alla fine del discorso è stato come se lui mi avesse liberata dei miei problemi, cioè non dei miei problemi personali, come se mi avesse liberata delle mie angosce, come se mi avesse trasmessa una serenità. Io, in quel momento che mi sono messa davanti alla televisione, io e la televisione soltanto, perché non c'era nessun altro, avevo delle agitazioni per tutte queste cose che si vedono sempre: la guerra, i bambini sfracellati, la ragazza di cui non si sa più niente, la sciatrice che è morta, tutte queste cose che in un bombardamento continuo da tanto tempo mi avevano creato dentro angoscia... e poi a questo aggiungi il fatto stesso dell'insicurezza del domani a livello proprio di vita, e a questo si è aggiunta, vedendo tutte queste cose, la precarietà stessa della vita che mi ha molto angosciata... arrivare a pensare che si può uscire di casa e non sapere se si ritorna. La precarietà toccata con mano, reale, una cosa tangibile, perché questi pensieri vengono spesso, però tante volte anche se ti vengono tu li rimuovi, e invece era diverso tempo che non riuscivo più a rimuovere queste cose. Anzi, maggiormente, vedendo tutte queste cose che succedevano in continuazione mi hanno fatto realizzare di più questo fatto. Per cui io mi sono messa davanti alla televisione in questo stato d'animo: angosciata. Quello che è stato strano, è che io sono uscita dalla stanza contenta, ero contenta, come liberata, come liberata, come se all'improvviso io avessi capito che le cose si possono anche risolvere, c'è qualcosa che si può risolvere. Bisogna andare avanti, bisogna sperare, insomma tutte queste cose messe insieme. Non sempre è tutto nero e diventerà sempre più nero. Quasi proprio una


liberazione dall'interno, tu l'angoscia a volte la senti tangibile, la senti come una chiusura, era come se questa chiusura si fosse aperta, si fosse dileguata, mi avesse liberata. È stata la calma. I1 fatto di vedere questa persona estremamente calma, il porgersi così con una calma estrema. Non mi era mai capitato in altre situazioni, non così. Non pensavo di liberarmi. Forse perché è un periodo che la televisione è messaggera di disgrazie, è un periodo che la televisione ti angoscia in tutti i sensi. Forse nel momento in cui la televisione non mi ha dato né un Bossi che gridava come un pazzo, né gli altri che non fanno altro che scannarsi l'uno con l'altro, e mi è apparsa questa persona così tranquilla, mi ha fatto questo effetto. Però a dire il vero io non ero solo euforica, ero rilassata ... Si, perché all'angoscia di prima si è sostituita l'euforia di essersi liberati. Poi ho avuto voglia di rivedere il filmato, di rivedere lui ... questo l'ho pensato anche dopo. Vorrei vedere lui in qualche altra cosa, in altre situazioni. Però non l'ho cercato col telecomando... le trasmissioni in cui poteva essere presente, questo no... Però, ecco... l'altra sera, venerdì sera, vedendo Rosso e nero, mi è sembrato di sentire la sua voce, perché era al telefono la voce, una voce che in qualche modo mi ha attratta. Non sapevo che fosse lui, l'ho saputo solo dopo. Insomma io ho sentito una voce per telefono e questa voce aveva qualcosa che mi ha attratta e mi sono soffermata a vedere Rosso e neyo, perché non lo stavo vedendo prima. Dopo hanno detto che era B. che era intervenuto. Credo che sia la voce... Praticamente io da un po' di giorni passavo le giornate vedendo ogni telegiornale, sembrava che mi scorresse il tempo in attesa di un telegiornale ... Ci cercavo delle soluzioni ai problemi: la guerra, la ragazza sparita, un forte impatto l'ha avuto la questione della ragazza sparita. Aspettavo che succedesse qualcosa: che c'era stata la pace, che avevano trovato la ragazza. E passavo questo mio tempo così. I1 tempo io non lo vivevo, era un'attesa tra una cosa e l'altra per vedere il telegiornale. Sembrava quasi che l'unico momento della giornata io lo vivessi col telegiornale, per poi angosciarmi magnificamente. Cioè aggiungere angoscia all'angoscia finché sono arrivata in queste condizioni davanti a questo suo discorso che mi ha portata a quell'altra conquista dell'essermi liberata dall'angoscia, che non è rimasta come è stata subito dopo il suo discorso, ... scomparsa ..., però non è tornata come prima. Cioè io non sono più angosciata come prima. È come se arrivata ad un certo punto ho pensato che qualcosa cambierà. Mi è passato quel tipo di angoscia, tanto è vero che io non vedo più i telegiornali, ne vedo uno la mattina e poi la sera, sono tornata ai ritmi abituali, non a quell'ansia che mi era presa in quel periodo che guardavo telegiornali in continuazione. Poi la sera stessa ho rivisto il filmato della convention in versione integrale ... 11 io ho visto del teatrale, li ho visto il falso. I1 preparare tutte queste cose. Ecco il recitare un po', mi dava l'impressione che tutti


stessero recitando, non mi dava quella spontaneità nella cosa. Però comunque sia la sua voce, i suoi toni, la sua calma, mi hanno fatto lo stesso effetto di prima. I n un certo senso pure lui l'ho visto recitare, diciamo, il movimento, non un movimento ... almeno così mi sembra a vederlo. I n effetti non conosco quest'uomo dal vivo, può darsi che è proprio così, non lo sappiamo noi se è così o se recitava perché stava in televisione, davanti alla telecamera nessuno è spontaneo, i suoi collaboratori con la coccardina sulla spalla si muovevano come se fossero i protagonisti di un film ... [...l Non so se come politico possa riuscire a fare delle cose. Lui ha solo una cosa nei miei confronti, anche se è da verificare, questo fatto di questa calma che io sento in lui ed è come una cosa che gli viene da dentro. Vedi una persona che è contenta, che è felice, che è serena, sembra che riesca a dare serenità anche ad altre persone. Una persona che non lo è lei, che non lo è dentro di sé, non riesce a dare serenità ad altre persone, perché se non ce l'hai non puoi averla per gli altri. È questo il punto, i? come se questa calma, che poi è una calma che serve a me, una serenità interiore che lui ha, o che sembra di avere, è strano perché a me sembra che gli nasca proprio dal di dentro, non la vedo costruita, perché la sento tangibile io questa cosa, me la trasmette come un qualcosa da dentro e che ovviamente a me serve. Non so se serve perché anch'io sono calma, sono serena dentro, o perché io sono l'inverso, e ho bisogno che lui mi trasmetta questa calma per calmarmi io, per calmare le mie aggressività. Questa è una cosa legata a voce e viso, anzi a voce ed espressione, al di là di quello che può essere la banalità delle parole o del discorso. Non è il parlare arrabbiato di Bossi o di Mussolini. Quella aggressività mi disturba [imita il tono di Bossi e gli oppone quello di Berlusconil. La sua persona, il tono della voce mi comunicano una gran calma e in fondo anche una speranza.

Il sogno di R. La notte stessa l'ho sognato. E nel sogno in conclusione è venuta fuori la sua immagine come serenità e il suo movimento come disturbo. I o mi addormento e vedo nel sogno queste foto di B. che si muovono in continuazione. Non era una foto sola, erano diverse, perché c'era un movimento di alternanza: una saliva, una scendeva, una a destra, una a sinistra. Più di una foto che era sempre la stessa foto. Questa foto era come le foto che si mettono sulle tombe dei morti. Praticamente il mezzo busto sfocato sotto. E poi c'era questo suo viso, sempre sorridente. Io nel sogno associavo la foto alla tomba, non lo vedevo morto. Era la foto che andava sulla tomba, però non c'era una tomba, non c'era un morto, era normale che si trattasse di quel tipo di foto. Era solo la sua foto fatta come


quella che va sulla tomba però non c'era il morto. Quindi non c'era né la paura che come foto può dare nel sogno se associ la foto alla tomba. C'era solo un enorme fastidio di questo movimento continuo, incessante, sopra, sotto, a destra, a sinistra, lampeggiante, arrivava, poi tornava indietro e di nuovo arrivava e tornava indietro, così. Però guardando il viso, io dal viso vedevo sempre la stessa serenità, tranquillità e quindi non mi dava ... solo che non mi andava bene che facesse questo movimento sopra e sotto e nel sogno io la [la foto1 volevo prendere, la volevo fermare, volevo fare qualcosa per fermarla, però non ci sono riuscita. Fino a quando mi sono svegliata non so se mi sono svegliata o se il sogno è svanito nel sonno stesso. Le foto comparivano e sparivano, però lui non mi disturbava, mi disturbava questo movimento incessante. Era come se fosse di nuovo la parte aggressiva, l'aggressività che si rimetteva in movimento. Una cosa del genere. Questo movimento mi dava un fastidio quasi viscerale ... come se mi dovesse tornare l'angoscia che avevo prima ... un fastidio quasi fisico, il fastidio per questo movimento. Anche poi durante la giornata risentivo il fastidio provato durante la notte. I1 volto era quello che a me aveva dato la serenità. Non era uno stato di terrore come quando sogni che qualcuno ti vuole uccidere e non riesci a scappare, oppure che non puoi gridare perché non ti esce la voce. C'era il malessere perché non potevo fermare quel movimento ma non il terrore, in quel caso non mi succedeva niente. Era il movimento, questo movimento incessante, veloce, velocissimo, continuo senza un attimo di sosta, però la sua faccia mi dava sempre la stessa serenità che avevo provato. Una serenità interiore che viene fuori dai gesti ... C'era l'ansia, l'angoscia legate al malessere provocato dal movimento, la serenità provocata dal viso della foto pur essendo una strana foto ... Era solo legata al viso, non era una foto per intero, non era un'apparizione in mezzo alle piante col cielo dietro che ti dà serenità, ecc., era una foto grigia, non era a colori, era anche grigia, era grigia sfumata sotto. Se mi chiede di che colore aveva gli occhi, non lo so, di che colore aveva i capelli, non lo so. Era tutta grigia, però c'era qualcosa nel viso, il viso non come forma, ma neanche come una luce, no, non era come una luce! Era qualcosa di indefinito, però un qualcosa che ti rasserenava. Aveva un lieve sorriso, La foto si muoveva come il flash delle macchine fotografiche. Votare per B.? ... Non lo so, istintivamente sl, al di là di qualsiasi ragionamento logico. Se ci ragiono, non lo so, non credo ».

R. ha poi votato per B.


La mise en abime di B. L'ingresso di B. nella vita politica italiana rappresenta nel nostro paese il primo caso di costruzione interamente massmediale di un personaggio e di un movimento politico nazionale. Esso costituisce una occasione unica per analizzare un discorso carismatico allo stato nascente plasmato dalla sintassi televisiva e costruito a tavolino da scienziati sociali di varia competenza: un caso di telepolitica, in cui non è il leader carismatico ad usare la TV, ma il discorso teIevisivo ad esigere una forma carismatica di leadership come l'unica pienamente congrua alle caratteristiche del mezzo. Viene analizzato qui il discorso di B. alla Convention romana di Forza Italia di domenica 6 febbraio. Lo si è scelto perché a) è stato diffuso con grande evidenza dalle reti Fininvest in orari di massima audience; b) costituisce la presentazione - vorremmo dire: l'apparizione - ufficiale di B. nella Capitale come stenogramma simbolico dell'intero paese; C) si presenta come una summa del suo messaggio politico; d) è stato oggetto di una coreografia e di una regia particolarmente attente; e) era rivolto a un pubblico che rappresentava l'intera struttura nazionale di Forza Italia. L'analisi si propone di cogliere contemporaneamente la eventuale dimensione carismatica del discorso politico di B., le modalità specifiche di questo discorso, e la strategia persuasiva che lo percorre. Per indagare meglio questi aspetti, il testo berlusconiano viene messo di fronte allo specchio deformante della sua elaborazione onirica e associativa da parte di R. Questa analisi contrastiva assai particolare mira a tre obiettivi: a) esplorare simultaneamente il messaggio emesso e il messaggio effettivamente ricevuto. I massmediologi lamentano ritualmente l'abbondanza di studi sulla produzione mediale del messaggio, e la carenza di studi su come esso viene effettivamente percepito da parte dei destinatari. I n questo caso è possibile analizzare al tempo stesso il testo, la sua ricezione consapevole e semi-consapevole (associazioni) e la sua rappresentazione profonda (il sogno avente per oggetto appunto quel messaggio); b) individuare gli aspetti latenti del messaggio emesso attraverso ciò che il sogno e le associazioni fanno trasparire degli aspetti latenti del messaggio ricevuto; C) capire a quali livelli della struttura della personalità e a quali aspetti specifici dell'universo immaginario e simbolico individuale il testo politico di B. trova i suoi radicamenti emozionali e affettivi; ovvero, per quali vie produce un consenso prerazionale ancorato a dinamiche psichiche profonde; d) seguire le trasformazioni linguistiche e semantiche del discorso politico nel suo percorso dal messaggio al consenso; il modo in cui lo psi-


chico traduce in sé il sociale e il potere; ovvero il duplice e contemporaneo lavoro onirico della politica e lavoro politico del sogno. Per i due testi verranno usate tre modalità di analisi: il calcolo delle frequenze assolute e percentuali delle singole parole, l'individuazione e il calcolo delle aree semantiche significative, la ricostruzione delle interazioni dinamiche tra queste aree semantiche. Le prime due modalità appartengono alla analisi del contenuto classica, la terza si avvicina in qualche modo a un tentativo di analisi del discorso. I1 software utilizzato è DiscAn, predisposto da P. Maranda (Università di Québec) per un utilizzo su mini, e successivamente riadattato per uso anche su un Persona1 Computer. Maranda stesso ha usato il suo programma per una ricostruzione delle strutture dei miti Okanagan.

Le frequenze delle parole

I testi trascritti di B. e di R. sono stati analizzati innanzitutto con un conteggio delle frequenze semplici, e senza nessuna lemmatizzazione (accorpamento per lemmi). La Tabella 1 dà per ciascun testo le 15 parole significative più frequenti (non sono state conteggiate le preposizioni, gli articoli, le congiunzioni ecc.), seguite dalle frequenze assolute e percentuali (sul totale delle parole del testo). La frequenza assoluta media è di 2 per i due testi, mentre la frequenza percentuale è rispettivamente dello 0,16 e dello 0,22. La tabella merita qualche commento. Iniziamo dal testo di B. a) prevale la valenza del \noi\ (il movimento di Forza Italia), rafforzata da /ci/ e Inostrol, che la porta a frequenza 72 nei primi 15 vocaboli, e ad una percentuale molto elevata sul totale delle parole (6,19%, 55 volte la media). Segue immediatamente IItalia/paesel con 49 frequenze (il 3,54 % ). Questa adiacenza tra il noilmovimento e il noilpaese indica una sovrapposizione, ulteriormente qualificata dalla valenza oppositiva e innovativa del /non/, al terzo posto con 28 frequenze. Le parole successive rimandano a Ifare), ]volere], all'appello alle emozioni e all'affidamento (Icrederel), alla mobilitazione della grandiosità e della potenza (/tutti[, Igrandel). L'insieme di queste parole prevalenti appare tipico dello stato nascente di un movimento, caratterizzato dall'accento sulla identità e sulla coesione, dalla opposizione forte tra ingroup e outgroup, dalla metanoia e dalla polemica con l'esistente, dalla emozionalità e dalla grandiosità euforica;

b) la leadership carismatica di B. rimane in sordina (penultimo posto) nel discorso esplicito, e sembra nascondersi dietro il Inoil. Se tuttavia esplicitiamo gli elementi sintattici e grammaticali discreti (ad es. i pronomi


TESTO DI R.

DISCORSO D I B.

PAROLE FREQUENZEFREQUENZE PAROLE o/,

FREQUENZEFREQUENZE v0

noi

40

2,89

non

76

7,95

Italia

31

2,24

mi

52

5,44

non

28

2'02

io

36

3,77

paese

18

1,30

lui

34

3,56

fare

17

l ,23

foto

19

1,99

ci

16

1,15

voce

18

1,88

nostro

16

1,15

serenità

16

1,67

vogliamo

15

1,O8

calma

15

1,57

abbiamo

14

1,Ol

movimento

14

1,46

tutti

14

1,Ol

viso

14

1,46

grande

11

0,79

dentro

13

1,36

libertà

11

0,79

discorso

12

1,26

crediamo

10

0,72

angoscia

10

1,O5

io

9

0,65

sogno

7

0,73

credo

8

0,58

televisione

7

0,73

personali soggetto), li01 balza al quarto posto con 21 presenze. Del resto la strategia di presentarsi come una modesta appendice del proprio movimento (della Provvidenza, della Storia, ecc.) è tipica del capo carismatico; C) nelle 15 parole più frequenti è praticamente assente il riferimento ai valori, che pure sembrano occupare una parte importante nel discorso di B. Sopravvive solo la parola-chiave Jlibertàl al quart'ultimo posto. Nell'intero testo Ilavorol è presente solo 8 volte, Ifuturol 6, Ivital 5 , Ibenesserel 4, ecc. Siamo ben lontani da Jnoil o /Italia),i veri valori;

d) le assenze sono significative quanto le presenze. Nelle parole più frequenti mancano termini-chiave direttamente politici, irrilevanti numericamente nell'intero testo. I1 discorso di B. è apolitico, si proclama per omissione estraneo al linguaggio e alle forme della politica tradizionale, cui oppone


la pura e semplice forma primaria della politica, la polis pura (IItalial, Ipaesel, Ituttil), e le categorie primarie dell'agire politico (Ifarel, Jvolerel, Jcrederel). Catalizzato dall'impatto con il discorso di B., il testo di R. consente commenti simmetrici: a) la parola prevalente è /non],con ben 76 presenze. I1 primo ponte semantico tra i due testi è perciò per R. la valenza della negazione e della ribellione. I1 discorso telecarismatico aggancia R. attraverso la sua fame di trasformazione contro il presente;

b) la politica, la polis e i valori sono del tutto assenti; 11 parole su 15 rimandano a eventi e stati psicologici; ora non è affatto ovvio che un discorso che si vuole politico e si pretende atto di apertura di una campagna politica di un movimento politico venga percepito da un individuo in modo così radicalmente apolitico. La psicologizzazione integrale del discorso di B. da parte di R. ci indica un presunto analfabetismo politico della donna (la tradizionale spiegazione del pensiero progressista)? Oppure ci rivela in filigrana la trama prevalentemente psicologica di quel discorso politico: efficacemente politico appunto perché in realtà psicologico? I1 rispecchiamento offerto dalle associazioni e dal sogno di R. chiarirebbe dunque il precedente punto d); un corollario di b sta nel piacere psichico che R. evoca neile 15 parole più frequenti: Iserenitàl, Icalmal, Isognol sono l'appagamento piacevole che segna il superamento della \angoscia).Aristotele aveva distinto tre grandi modalità del discorso: giudiziario (cosa è accaduto?), deliberativo (che fare?) e epidittico (procura piacere) '. I1 discorso politico tende a mascherare sotto vernici giudiziarie e deliberative la sua profonda natura epidittica, tesa a procurare piacere al destinatario. I1 piacere intensamente cercato e trovato da R. nel discorso di B. lo rivela come una machine à foutre discorsiva; C)

d) la matrice e il vettore di questo piacere sembrano stare nel rapporto personale tra R. e il phantasma del leader carismatico. Dopo il /non/ iniziale viene una sequenza significativa tutta centrata sul legame intenso iollui: Irnil, liol, Iluil, Ifotol, Ivocel. Subito dopo viene il piacere appagante Cfr. U. Eco, Il linguaggio politico, in I linguaggi settoriali in Italia, a cura di G. L. Beccaria, Bompiani, Milano, 1983, pp. 91-107. Una chiara presentazione sinottica delle differenze tra i tre discorsi si trova in R. Barthes, La retorica antica, Bompiani, Milano, 1972. La natura epidittica del discorso politico sfugge spesso alla sinistra, ma non alla destra. Per una analisi dei molti piaceri organizzati da un discorso reazionario, si veda J. A. Miller, Les pousse-au-jouir du Maréchal Pétain, Seuil, Paris, 1984.


di [serenità/ e Icalmal vs /movimento( e /angoscia(; e di nuovo il Ivisol di B. a riportare il piacere Identrol attraverso il Isognol e la ]televisione/. La catena verbale del piacere associato al legame con la persona e immagine di B. struttura quasi tutte le 15 parole più frequenti del testo di R. Torneremo più oltre sulle tracce di Eros dietro il discorso epidittico berlusconiano.

Le frequenze delle aree semantiche I1 calcolo bruto delle frequenze lessicali fornisce alcune indicazioni iniziali. Per approfondire l'analisi è necessario codificare il linguaggio naturale del duplice testo riaggregando vocaboli assai diversi all'interno di categorie unificanti, ovvero di aree semantiche convenzionali costruite ad hoc. Queste aree sono di due tipi: insiemi di sinonimi, affini e contrari riconoscibili come tali nel linguaggio naturale, oppure insiemi che esprimono una categoria euristica del ricercatore, della quale vengono ricercate nel testo le manifestazioni polimorfe. Appartengono al primo tipo aree semantiche come emozione o forza; al secondo aree come chiamata, taumaturgia, noi ecc., che esprimono una ipotesi di lettura che si aggancia al testo ma nasce da un quadro teorico di riferimento (ad es. la teoria weberiana del carisma). Diamo qui l'elenco delle categorie di codifica usate. Per chiarire il significato che le abbiamo attribuito, ogni parola-chiave è seguita da alcuni termini o lemmi cui rimanda nei testi (le espressioni tra virgolette sono citazioni dirette). Nelle due colonne sono state messe a fronte, nella misura del possibile, categorie relativamente affini usate per l'uno e l'altro testo: in alcuni casi sarà interessante confrontarle, per vedere come B. e R. modulano in modo assai diverso aree semantiche vicine. TESTO DI R.

DISCORSO DI B. 1. Credere, irrazionalità, fede, fiducia, 2.

3. 4. 5.

speranza; Sicurezza, « 96% dei furti », criminalità, difesa, disoccupazione, droga, garantire, pericolo; Io, B., « non C'& nessuno... P; Domanda, desiderio, volere, bisogno; Noi, ci, collaborazione, condividere, incontro, solidarietà, tutti, « tutti insieme »;

6 . Sapere, affermare, annunciare, certez-

za, « Erasmo da Rotterdam », pensare;

1. Credere, convinzione, fede, certezza; 2. Angoscia, agitazioni, ansia; 3 . Io, R.; 4. Bisogno, necessità, esigenza, «ho bisogno D;

5. Noi, gente, tutti; 6 . Sogno, sonno, notte; 7. Aggressività; 8. Emozione, sentire, « in questo stato

d'animo »;

9. Taumaturgia, « [l'angoscia] scomparsa », fare effetto, tranquillizzare;


7 . Chiamata, culto, ispirazione, guida; 8. Emozione, commuoversi, passione, sentire, ragione; 9. Taunzaturgia, aiuto, contagio, magia, miracolo, cura; 10. Valori, amore, protezione, anziani, deboli, giustizia, libertà, efficacia, interesse, onestà, modernità, individuo; 11. Valori economici, economico, impresa, professione, produrre, profitto; 12. Loro, minoranza, « quelli che fino ad oggi P; 13. Forza, ammirazione, « grande fuoco », « grande passione », « grande voglia », intensità, lottare, prestigio; 14. Fare, costruire, concretezza, programma, riuscire; 15. Fondazione, cammino, « cominciare da questo ...», oggi, « questo momento », scaturire; « tempo di credere », « tempo di osare »; 16. Conflitto, « baruffe », « rancori >P; 17. Innovazione, cambiamento, « basta P, migliorare, nuovo, passato; 18. Parole, « controbattute », « fare beiia figura », comizi, ideologie; 19. Particulare, « bel viaggio », « beiia vacanza », egoismo, interessi; 20. Dovere, « bisogna », obbligo; 21. Luce, chiarezza, « elettricista >P, illuminare, pulito; 22. Futuro, lungimiranza, « lungo camrnino D; 23. Decidere, determinazione; 24. Italia, paese; 25. Follia, matto.

Visione, apparizione, foto, spot; « ho visto subito lui », « la sua immagine D; Vedere, telecamera, televisione, filmato, « ho visto n; Movimento, su/giù, destra/sinistra, continuo, « senza un attimo di sosta »; Attesa; Liberazione, « come se lui mi avesse liberata ... D; Cambiamento, ali'improvviso, « le cose si possono anche risolvere »; Dire, discorso, parlare; Calma, serenità, sorriso, felicità, « questa persona estremamente cdma P; Artificio, innaturale, esteriore, apparenza, artefatto, inautentico, « [io spot] dà proprio l'impressione che è una cosa costruita D; Lui, B.; Dentro, interiorità, profondità, autenticità, « dall'interno P; Morte, tomba, « [l'angoscia] come una chiusura », foto grigia; Perturbante, inquietante, « fastidio quasi viscerale », « fastidio quasi fisico D; Voce, la voce di B.; Viso, il viso di B., occhi, faccia; Carisma, chiamata, identificazione; Vita; Ragione, « ci penso P, « da verificare »,razionalità, dubbio; Piacere, attrazione, voglia; Eletti, collaboratori, « tutti gli altri che si presenteranno insieme a lui »; Corpo, gesti, « la sua persona »; Luce, flash; Nuovo, diverso, « i n un altro m e do ».

È possibile a questo punto l'analisi delle frequenze assolute e percentuali di queste categorie nei due testi. Diamo nella Tabella 2 i risultati per le prime 23 categorie di codifica.


TABELLA2 DISCORSO DI B.

TESTO D I R.

CATEGORIE FREQUENZE FREQUENZE CATEGORIE FREQUENZE FREQUENZE %

v0

120

16,78

io

76

11,28

valori

72

10,07

lui

54

8,Ol

Italia

52

7,27

calma

48

7,12

innovazione

50

6,99

visione

42

6,23

fondazione

36

5,03

angoscia

38

5,64

sapere

35

4,90

movimento

31

4,60

fare

33

4,62

dentro

30

4,45

credere

30

4,20

vedere

27

4,Ol

domanda

28

3,92

dire

25

3,71

sicurezza

28

3,92

morte

22

3,26

io

24

3,36

taumaturgia

22

2,97

chiamata

21

2,94

perturbante

20

2,82

valore econ.

20

2,80

voce

19

2,52

taumaturgia

19

2,66

emozione

17

2,37

libertà

16

2,24

viso

16

2,23

forza

14

1,96

artificio

15

2,23

loro

14

1,96

cambiamento

15

2,23

dovere

13

1,82

liberazione

15

2,23

emozione

13

1,82

carisma

14

2,08

futuro

13

1,82

aggressivitii

13

1,93

particulare

9

1,26

attesa

12

1,78

decidere

8

1,12

sogno

12

1,78

parole

8

1,12

ragione

11

1,63

noi

La Tabella delle aree semantiche conferma le indicazioni delle frequenze lessicali. I1 discorso di B. è dominato dalla necessità tipica dello stato nascente carismatico: affermare la propria identità di movimento confonden-


dola con l'identità del suo capo (il noi che è anche l'io di chi parla, B.). A questa affermazione del soggetto collettivo/individuale consapevole di se stesso seguono le entità metafisiche e storiche di cui il soggetto è l'emanazione, e che legittimano la sua esistenza e funzione: un set di valori, l'Italia. L'appello alla metanoia storica (innovazione, fondazione) è collegato a tre verbi che condensano la modalità carismatica dell'agire politico. Esiste un sapere (la parola di B. e dei suoi apostoli diretti, che tra l'altro hanno preceduto la sua apparizione alla Convention, e hanno preparato con la loro parola l'ipse dixit di B.). Questo sapere apodittico si fonda su una adesione tutta emozionale (credere) e consente la riduzione della complessità necessaria al fare. L'insieme di questi elementi costituisce la risposta ad un set di bisogni profondi della società (la domanda), tra i quali prevale il desiderio della fine dell'angoscia diffusa (sicurezza). A quel punto si riaffacciano senza mascherature gli strumenti diretti del potere carismatico in cerca di consenso: l'io del leader, la chiamata a raccolta degli eletti, la prova del carisma (la taumaturgia e il miracolo). Le aree semantiche del testo di R. sono dominate invece dall'intreccio tra le forme esplicite dell'angoscia e della minaccia (angoscia, movimento, morte, aggressività, perturbante) e il rapporto tra R. e B. in quanto leader carismatico (io, lui, carisma, il dire oracolare, taumaturgia). Questo rapporto passa attraverso il vedere e la contemplazione estatica (la visione) della sua persona e del suo viso consentita dal sogno; ma passa anche attraverso I'ascolto (la voce). Si scatena in questo modo una dinamica psicologica collocata dentro R. e B., che si presenta in R. prima come attesa di lui, poi come emozione, palingenesi del cambiamento, senso di liberazione dall'angoscia e di guarigione (taumaturgia), cui segue una inspiegabile beatifica calma che sorprende R. stessa. Buona ultima tra queste 23 categorie semantiche, la poco rilevante ragione. Le sequenze discendenti delle parole-chiave condensano talvolta con grande efficacia 'narrativa' la forza delle dinamiche coinvolte. Si guardino ad es. le prime quattro, che da sole basterebbero a spiegare buona parte della sconfitta dei progressisti: io lui calma visione. 0, più oltre: morte taumaturgia perturbante voce emozione viso, in cui l'angoscia estrema e l'acquietamento bonificante legato alla 'persona' anche corporea di B. si intrecciano. Colte sinotticamente, le categorie dei testi di B. e di R. ci danno sia i temi-chiave dei loro discorsi, sia alcune modalità della loro interazione, sfociata nel consenso di R. Possiamo leggere la sequenza delle categorie di B. come a) la risposta ad alcuni bisogni cruciali di R., correttamente individuati, e b) la traduzione politica di questi bisogni, centrata sulle aree della identità, del senso, della diminuzione dell'angoscia e della palingenesi. L'insieme delle categorie di R. convoglia specularmente a) la struttura latente simbolica ed emozionale del discorso politico di B; b) la politicità virtuale delle Erlebnisse apolitiche di R. stessa. Come due specchi contrapposti, i testi di


R. e di B. si mettono reciprocamente en abime, rivelando ognuno la latenza dell'altro. Le catene di Markov DiscAn consente di condurre sul testo procedure di analisi del discorso. L'analisi del contenuto è di tipo paradigmatico, essa fornisce l'inventario delle unità significative del testo sotto forma di distribuzione delle frequenze (vedi sopra). L'analisi del discorso è di tipo sintagmatico, essa individua la rete di relazioni esistente tra le unità significative individuate attraverso l'analisi del contenuto. DiscAn effettua I'analisi del discorso attraverso la procedura inventata dal matematico russo Andrej Markov (1856-1922). I1 processo markoviano rappresenta uno dei concetti più fecondi della moderna teoria della probabilità. Markov stesso utilizzò una delle modalità più semplici del processo da lui inventato, le cosiddette catene di Markov, per effettuare l'analisi del discorso del romanzo Eugenio Onegin. Alle catene di Markov viene oggi applicata la moderna teoria matematica dei grafi 2. Un grafo è un insieme di punti collegato da linee. Una cartina stradale è un esempio di grafo. Sono date due modalità di grafi: i grafi non ~rientati,in cui non viene indicata la direzione del legame; e i grafi orientati, in cui i punti sono collegati vettorialmente. Nel caso dei grafi non orientati i punti sono detti vertici e le linee di collegamento spigoli, nel caso dei grafi orientati i punti sono detti nodi e i vettori archi. Nell'analisi del discorso i nodi sono costituiti daiie unità significative del testo, nel nostro caso le aree semantiche individuate in precedenza, e gli archi dalle relazioni tra le unità. Le catene di Markov, applicate all'analisi del discorso, forniscono il quadro dinamico delle relazioni esistenti tra le unità significative del testo. L'analisi markoviana permette di individuare: a) i legami di ciascun nodo con tutti gli altri; ovvero, sul piano sincronico, l'intera rete delle relazioni tra le unità significative del testo; sul piano diacronico, la trasformazione di questa rete nello sviluppo 'narrativo' del testo;

b) il peso del legame tra i nodi espresso sotto forma di probabilità che un nodo si colleghi ad un altro; ovvero la probabilità che l'unità significativa del testo A si colleghi alle unità B e/o C, e/o D, e/o E, ecc. C) il tipo di legame tra i nodi. Dati i nodi correlati A e B, sono possibili tre modalità di relazione: 2 Per una introduzione aila teoria dei grafi si veda S. Paìiottino, Analisi e progetto di dgoritmi su grafi, Consiglio Nazionale deUe Ricerche, Roma, 1987.

51


1) bidirerionale: in questo caso risulta identica la probabilità che

B preceda o segua A, ovvero che da B si vada verso A e da A verso B in eguale misura; in questo caso due unità significative del testo mostrano la stessa propensione a collegarsi l'una con l'altra; ad esempio date le unità ]corpo[ e Icapol, nella sequenza del testo, Icorpol tende a precedere Icapol nella stessa misura in cui Icapol tende a precedere Icorpol; 2) in entrata: in questo caso risulta maggiore la probabilità che B vada verso A e che quindi nella concatenazione del discorso lo preceda; 3) in uscita: in questo caso risulta maggiore la probabilità che A vada verso B e che quindi B segua A. Sulla base di questi elementi è possibile fornire una descrizione dinamica delle unità significative del testo, i nodi. La quantità di legami di un nodo ci fornisce il suo grado di attività nella rete. I1 caso limite è costituito dai nodi isolati, ovvero dalle unità significative che non si collegano ad altre unità del testo. I1 tipo di legame tra i nodi ci permette di definire tre posizioni-limite: i. il nodo sorgente è un nodo che non è preceduto da nessun altro, ovvero l'unità significativa da cui il testo trae origine narrativa o logica;

ii. un nodo pozzo è un nodo che non è seguito da nessun altro, esso indica l'unità significativa nella quale si conclude la narrazione o la logica di un testo; iii. un nodo di transito è un nodo che presenta lo stesso numero di nodi in entrata e in uscita, esso rimanda ad una unità significativa di passaggio, un relais del testo con funzioni prevalentemente transitive; Tra queste posizioni-limite sono possibili una serie di posizioni intermedie. I nodi che presentano un maggior numero di legami in uscita, che emettono di più, sono dei moltiplicatori di relazioni; essi segnalano unità significative che incrementano la complessità nella sequenza discorsiva. I nodi che presentano un maggior numero di legami in entrata, che assorbono di più, sono dei sintetizzatori di relazioni; queste unità significative riducono la complessità nella sequenza, svolgendo una funzione di condensazione. La condensazione )> ci conduce alle simmetrie tra queste tre modalità di legame tra nodi del discorso, e le modalità del lavoro onirico. I n forme :he sono rispettivamente esplosive e implosive, il nodo sorgente e il nodo pozzo 'condensano' i loro contenuti di significato. I1 nodo di transito tende invece a 'spostare' i significati lungo i vettori della rete. Nella rappresentazione proposta da Markov, il discorso viene descritto di fatto secondo modelli di spostamento e condensazione che corrispondono alle due grandi forme del lavoro onirico proposte nella Traumdeutung freudiana. Dal canto loro, anche se con risultati diversi, sia Jakobson che Lacan hanno apparentato


queste due forme ai due assi paradimatico e sintagmatico del linguaggio, e soprattutto ai due tropi maggiori, la metafora e la metonimia. Le catene di Markov consentono di cogliere in un discorso appunto quei processi che lo apparentano più direttamente da un lato alla struttura fondamentale del linguaggio, dall'altro alle procedure fondamentali del sogno. Una lettura markoviana L'analisi di Markov è stata effettuata utilizzando come unità significative le aree semantiche descritte precedentemente. Le figure 1 e 2 rappresentano graficamente i risultati delle catene di Markov applicate al discorso di B. (fig. 1) e al testo di R., costituito dalle associazioni e dal sogno (fig. 2). I grafici permettono di cogliere l'importanza del singolo nodo fornita dall'analisi delle frequenze ed espressa dal diametro dei cerchi, e il tipo di relazione tra i nodi. Le linee tratteggiate indicano un legame bidirezionale tra le unità significative collegate. I vettori indicano un legame unidirezionale di cui la freccia segnala la direzione prevalente. Dalla Fig. 1 emergono con chiarezza i tre nodi sorgente del discorso di B.: in ordine decrescente di 'emissione' di senso, sono domanda, fare e credere. Una matrice di bisogni si intreccia con le due condizioni necessarie dell'azione (fare, credere). Insieme, queste tre aree semantiche 'fondano' il testo politico di B. Da esse si diramano vettori che vanno a coinvolgere praticamente tutti gli altri nodi significativi della rete categoriale. Ad es., domanda investe di sé due nodi tipicamente carismatici come la chiamata e la metanoia del nuovo, ma anche l'Italia come oggetto-feticcio della fame di identità e comunità, il sapere come riduzione del panico cognitivo, e il fare come acquietamento pragmatico del senso di impotenza di fronte ad una realtà troppo complessa. A sua volta domanda è investita da noi, lo iolnoi del movimento politico di B. che è legittimato ad esistere da questa domanda e ne diventa il soggetto portatore. I legami di transito mostrano invece i contenuti di questa 'origine' del testo di B.: la domanda è messa verbalmente in scena come domanda di valori, di sicurezza, ma anche di una fondazione del noi (Forza Italia) che è anche rifondazione dell'ltalia. Tout se tient ... Descrizioni analoghe potrebbero esplicitare la portata e le diramazioni discorsive degli altri nodi sorgente. I nodi di transito sono le aree semantiche che presentano uno scarto nullo o bassissimo tra il numero dei vettori in uscita e in entrata. Tra questi relai~del discorso, che ne articolano e propagano i contenuti, il pi6 significativo è valori: presenta esattamente lo stesso numero di vettori in entrata e in uscita, ed è il più attivo dell'intera rete semantica di B. (si collega a tutti gli altri nodi rappresentati); queste due caratteristiche danno la misura della centralità discorsiva dei valori nel messaggio di B., che ha


tipo di legame: - - - bidirezionale

---*

in entrata

Fig. 1

-

i n uscita


tipo di legame: - - - bidirezionale

-

in entrata

Fig. 2

.

in uscita


saputo cogliere il diffuso dolore sociale per il defedamento valoriale della società italiana. Gli altri nodi di transito più attivi sono in ordine discendente: nuovo, chiamata, taumaturgia, fondazione e valori economici (il meno magico ed emozionale, e dunque buon ultimo e poco attivo). Scaturito dai nodi sorgente, demoltiplicato dai nodi di transito, il discorso di B. converge e si risolve nei nodi pozzo: in ordine di attività noi (l'io/movimento), Italia (il contenitore simbolico) e io (B. stesso). Anche se leggermente meno attivo degli altri (anche per la parziale sovrapposizione con noi), io è però il nodo con il più elevato livello di condensazione: presenta lo scarto più alto tra il n. dei vettori in entrata ( 5 ) e in uscita (1).I n io confluiscono e si condensano conclusivamente noi, taumaturgia, chiamata, fondazione e fare, ovvero gran parte della valenza carismatica del discorso politico berlusconiano, mentre l'unico nodo al quale io si collega in uscita è non a caso credere. Quantitativamente appena meno importante di noi o Italia, io si rivela il nodo pozzo più significativo: l'area semantica in cui il discorso trova il suo esito, il suo soggetto autentico, oltre il quale la struttura del discorso non può proseguire perché priva di soggetto. La Fig. 2 mostra la rete di relazioni esistente tra i nodi semantici individuati nel testo di R. Nella sequenza discorsiva si configurano tendenzialmente come nodi sorgente cinque aree semantiche. Esse sono, in ordine decrescente rispetto alla capacità di emissione, visione e liberazione, angoscia, vedere, taumaturgia. Tra queste, visione presenta il più alto grado di attività, ovvero è il nodo che presenta il maggior numero di legami. La visione di B. e la liberazione dall'angoscia costituiscono i due elementi-chiave della matrice dalla quale scaturisce la trama del discorso di R. I n realtà l'evento fondante sta nel rapporto di causa-effetto che lega i due nodi: R. vede (visione) B. in televisione e prova un senso di liberazione dall'angoscia e di euforia. Attenta ai propri stati d'animo, R. si sorprende, e si chiede il perché. Una ipotesi di risposta ci viene dai tre nodi sorgente successivi: angoscia, vedere e taumaturgia. Nella sequenza di struttura associativa di R. che DiscAn ci permette di individuare, il binomio visione-liberazione si scompone in alcune delle sue dimensioni: l'angoscia, la televisione, un atto miracoloso. Disponiamo così di tre elementi significativi che rimandano a) al modo in cui il discorso politico di B. è stato percepito da R., e dunque b) molto probabilmente, a valenze manifeste e latenti attive in quel discorso: i. uno stato d'animo: l'ansia, l'angoscia, una sensazione diffusa di precarietà e agitazione; .. 11. uno strumento e un linguaggio capaci di trasformare una immagine in una epifania e il vedere in una visione: la TV; iii. un immaginario personale e collettivo: il potere che guarisce.


Vediamo ora i nodi di transito, che nella nostra interpretazione svolgono una funzione di spostamento o traslazione di contenuti. Nel testo di R. il nodo di transito puro è costituito da lui, cioè da B. Mentre la visione è un nodo sorgente, ciò che è visto si configura come un nodo di transito che accoglie, elabora, modifica e ritrasmette I'input ricevuto. Lui è, nel testo di R., luogo e soggetto paradigmatico della trasformazione. Questa funzione trasmutativa di lui è confermata dall'analisi degli altri nodi di transito. Essi ruotano tutti intorno a lui mettendo in scena le proprietà 'taumaturgiche' (trasformative) del carisma: calma, voce, viso, dentro, emozioni, ma anche la minaccia di cui una così grande Potenza è intrinsecamente portatrice: morte, movimento, artificio, perturbante. I1 discorso di B. culminava in io, orizzonte della realtà e dell'azione. I n R. invece luilB. diventa il tramite di una speranza di appagamento e di cambiamento della propria vita. R. inizia là dove B. finisce. Collocando lui in un luogo di transito, lo situa nello spazio della intermediazione e lo fa entrare in una logica del dono e dello scambio, al termine della quale c'è il dono restituito, il consenso politico di R. a B. Analizziamo ora i nodi pozzo, che abbiamo caratterizzato come nodi di condensazione. In ordine decrescente rispetto alla capacità di assorbimento, essi sono: nuovo, dire, io. L'area semantica dire rimanda alla ricezione del discorso di B. come parola efficace (vorremmo poter dire parola fecondante). l o è l'area semantica che presenta il più alto numero di legami all'interno dell'intera rete, e verso la quale convergono la quasi totalità degli altri nodi. Le dinamiche politiche raccontate dal testo di R. avvengono tutte all'interno del soggetto e nel rapporto di io con lui. Nuovo è un nodo piccolo in termini di presenza percentuale, ma è il nodo che assorbe di più, in cui è maggiore il rapporto tra nodi in entrata e nodi in uscita. Esso costituisce l'sipprodo del percorso associativo di R. Il « nuovo che si è prodotto va oltre l'effetto di liberazione che abbiamo trovato all'origine del percorso. È qualcosa di diverso, allude ad un cambiamento profondo e duraturo che si colelga all'altro nodo pozzo io: un io nuovo, la rinascita tramite lui. È impossibile ripercorrere qui tutte le indicazioni che emergono da questa lettura markoviana. Ci limiteremo ad alcuni aspetti:

a) se leggiamo separatamente i due testi, il discorso politico di B. ha la linearità tipica del modello giudiziario e deliberativo (vedi sopra); il testo associativo e onirico di R. è dominato dalle ambivalenze del processo primario. Ma se leggiamo i due testi sinotticamente come un unico ipertesto, emerge una ipotesi significativa: la linearità del discorso di B. risolve la ambivalenza ansiogena del testo di R.; contemporaneamente, l'ambivalenza del testo di R. rivela in modo speculare le ambivalenze latenti che organizzano il discorso di B. Sembra esistere tra i due testi una reciprocità funzio-


nale: la forma giudiziaria e deliberativa di B. maschera la sua strategia epidittica, e dunque la rende efficace come risposta sublirnata alla domanda contraddittoria di R. La lettura contemporanea dei due testi mette in luce la domanda di piacere che viene da R., e la correlata offerta di piacere che viene da B.: il nodo del consenso 'carismatico' di R., ma forse un nodo del consenso politico tout court. Le ambivalenze principali intorno alle quali ruota questo 'dono' di piacere sono: pericolo/salvezza, Eros/castrazione, coesioneldisgregazione.

b ) Ad un primo livello, il mondo interno di R. è dominato da una sensazione di pericolo che si collega alla invenzione (intesa come costruzione, ricerca e attesa) del leader taumaturgo. R. cerca B., avendo già costruito dentro di sé il phantasma che risponde alla sua domanda. Quando lo vede nella televisione, l'apparizione ha la forza di una proiezione materializzata, e la visione diventa un riconoscimento. Schermo bianco pronto ad adattarsi alle proiezioni di ciascuno, il leader carismatico permette ad R. di liberarsi dalla sua angoscia traducendola in calma. Ad un secondo livello il testo di R. racconta una storia più complessa. I1 suo fondamentale nodo di transito lui si collega alle caratteristiche 'taumaturgiche' del carisma (calma, voce, viso, dentro, emozione), ma anche a valenze di minaccia grave (morte, movimento, artificio, perturbante). Lzri di R. contiene dentro di sé al tempo stesso l'acquietamento e la minaccia che deve acquietare; produce e riproduce di per se stesso l'angoscia che è chiamato a bonificare. A questa dinamica corrisponde nel discorso politico di B. la continua evocazione terrorizzante dei pericoli ai quali B. stesso si propone come cura. Ma fin qui siamo nella banalità manipolatoria dei suscitatori di paure collettive. R. ci dice in realtà qualcosa di più. Lui non si limita a 'produrre' i terrori che acquieta. È lui stesso il pericolo da cui R. deve difendersi, e la difesa da questo pericolo (l'ossimoro del mana). C) Rimane da chiederci la natura di questo pericolo. Essa ci pare molteplice. In primo luogo, rimanda alla dialettica della identificazione, che fonda-l'Io e al-tempo stesso lo espone alla possibilità della perdita continua dei suoi confini. R. trae dalla identificazione con B. la possibilità di salvarsi dall'angoscia, ma incontra in questo modo la nuova e più radicale angoscia di non sapere più bene dove lei finisce e B. inizia in lei. I1 suo bisogno di B. la espone alla necessità di essere invasa da B., e dunque alla angoscia di questa invasione in cui il suo Io rischia di perdersi. R. stessa ci dice questa sua paura di un crollo del confine tra lei e B.: <( È questo il punto, è come se questa calma, che poi è una calma che serve a me, una serenità interiore chelui ha, o che sembra avere... è strano perché a me sembra che gli nasca proprio dal di dentro, non la vedo costruita, perché la sento tangibile io questa cosa, me la trasmette come un qualcosa da dentro e che ovviamente


a me serve. Non so se a me serve perché anch'io sono calma, sono serena dentro, o perché io sono l'inverso e ho bisogno che lui mi trasmetta questa calma per calmarmi io, per calmare le mie aggressività D. R. non sa più se la sua calma le viene da lei o dall'altro che è in lei.

d) I n secondo luogo il pericolo che B. è rimanda all'ambivalenza Eros/castrazione, ovvero alla modalità principale che assume l'evocazione di configurazioni rimosse del desiderio consentite dalla persona/schermo del leader carismatico. I1 testo di R. è pervaso dalla erotizzazione di B. R. parla di lui con i toni e il linguaggio dell'innamoramento: l'attesa, la percezione estatica del volto e della voce, la voce che seduce e viene immediatamente riconosciuta tra le altre con la certezza della voce dell'amato; l'impossibilità di pronunciare il suo nome (è sempre e solo lui »). L'Eros si manifesta anche nella rappresentazione vitalistica di B. come movimento incessante dalle caratteristiche a dir poco singolari: <( ... questo n~ovimento continuo, incessante, sopra, sotto, a destra, a sinistra, lampeggiante, arrivava, poi tornava indietro, poi di nuovo arrivava e tornava indietro, così D. L'erotizzazione si esprime in modo particolarmente vivido sotto la maschera della negazione. Già il movimento incessante è presentato ripetutamente come disturbo, fastidio <( viscerale », <( fisico D , provato <( di notte » e che permane « di giorno ». Ma la negazione si manifesta soprattutto nella immagine di B. come foto da tomba: il corpo vivo pericolosamente desiderabile viene tenuto a bada dalla sua rappreseritazione come cadavere. Del resto per maggior prudenza R. provvede a ingrigire B. e ad amputarlo del suo ventre: <( Questa foto era come le foto che si mettono sulle tombe dei morti. Praticamente il mezzobusto sfocato sotto... era una foto grigia, non era a colori, era anche grigia, grigia sfumata sotto D. La potenza erotica del corpo di B. è la forma corporea della potenza politica del corpo sovrano. La castrazione diventa perciò anche la riduzione all'impotenza del potere come Potenza. I n questo modo la ben nota ambivalenza costitutiva della Sovranità si esprime nelle forme concrete del pensiero primario. e) La terza ambivalenza rimanda al noi e alla dialettica tra coesione e disgregazione. Nel suo discorso politico B. intreccia il tema della &sgregazione della società italiana, e se stesso come risposta a questa disgregazione tramite il noi di Forza Italia. La fondazione di un movimento politico forte e coeso diventa lo strumento e lo specchio della coesione rifondata del paese. E visto che siamo in una logica carismatica, tramite e garante di questo è la persona del leader. Io/B. è noi, e poiché B. è potente e uno, lo sono anche il noi e la nuova Italia che questo noi crea ed esprime. Ma iI lavoro onirico di R. ci fa intravedere un lato oscuro di questo processo. La foto di lui si sgretola davanti a R. come uno specchio rotto e diventa tanti lui. a I o mi addormento e vedo nel sogno queste foto di B., che si muovono


in continuazione. Non era una foto sola, erano diverse, perché c'era un movimento in alternanza: una saliva, una scendeva, una a destra, una a sinistra. Pid di una foto che era sempre la stessa foto D. I n lui R. ritrova contemporaneamente un io solido, acquietato e non piu minacciato di frantumazione dall'angoscia; e un iolnoi, un iolfolla. Cerca se stessa, e in parte si trova; ma trova anche sia una immagine di sé improvvisamente frantumata in una molteplicità, sia il dubbio che questa molteplicità non sia altro che una clonazione infinita di lui, e che lei stessa non sia altro che lui, un clone e un sistema di cloni. Uno, nessuno e centomila. I1 leader carismatico B. pretende di produrre coesione dalla disgregazione. Speculare e inversa, R. ci mostra che quando giunge alla coesione, in realtà incontra una più radicale disgregazione. In questo modo ci segnala sul piano psicologico una dinamica fondamentale del consenso carismatico. Certo, per riprendere le belle espressioni freudiane, R. prova il piacere fusionale del sentimento oceanico >> e dello <( sprofondare nell'omogeneo D; ma prova il panico simultaneo della perdita dell'io e del suo dissolvimento disgregato in un Iolfolla. Questo panico la sospinge con maggiore energia verso quel piacere, che la risospinge verso un panico più angosciato. In questo circolo virtuoso si consolida il legame intenso tra R. e B. Forse esso ci indica sul piano sociale l'intreccio circolare di anomia e di fusione coesiva che fonda l'appello carismatico nei periodi di crisi delle società. Per produrre consenso a se stesso, il carisma deve portare in sé contemporaneamente la minaccia della frantumazione e la certezza della <( cohésion massive D (Durkheim). Parafrasando Karl Kraus, il leader carismatico è, deve essere, la malattia di cui si pretende la cura. I1 nodo di transito fondamentale nel testo di R. è costituito da lui, ovvero dal carisma e dalle sue contraddizioni costitutive. Da un lato il viso e la voce del capo come canali di accesso al dentro, all'identificazione fusionale che conosce solo il livello delle emozioni e non quello del logos distanziante: la voce di B. nel discorso di R. è un suono magico che cattura, che 'chiama'. Dall'altro, la morte come orizzonte intrinseco alla leadership carismatica. I l perturbante del carisma è questo suo essere continuamente sospeso tra l'immobilità mortifera della fusione, la foto del morto nel sogno di R., e la minaccia anomica del divenire, del 'movimento'. Tra il piacere di confondersi e il rischio di perdersi. I1 vissuto associativo di R. riproduce al livello psicologico profondo quella dialettica del potere carismatico che Weber aveva individuato al livello socio-economico: 4< La fine del potere del carisma genuino è sempre il permesso illimitato della costituzione di famiglie e del profitto. Su questa strada da una vita di impeto e di emozione, estranea all'economia, fino a una lenta morte per soffocamento sotto il peso degli interessi materiali, ogni carisma si trova in ogni ora della sua esistenza, e in misura crescente col passare delle ore P (M. Weber, op. cit., I, p. 242).


f ) I1 carattere necessariamente personalizzato del leader carismatico ancora lui e i seguaci alla corporeità. Dietro al discorso politico di B. sta il suo corpo come strumento politico e tramite di dinamiche corporee che si ricollegano al consenso politico. I n R., B. produce identificazione e metanoia attraverso il contatto visivo e uditivo con i1 suo corpo. Mediati dal televisore, B. e R. si toccano con gli occhi e tramite l'orecchio, con il viso e con la voce, e mediante questo contatto ha luogo la trasformazione taumaturgica del dolore e dell'angoscia di R. in calma serena e in fiducia euforica. Al di là delle rimozioni operate dalla razionalità politica dell'Occidente, il corpo del potente è sempre lì, nel pieno delle sue funzioni più 'primitive', al cuore del consenso politico, << Re taumaturgo D illusoriamente decapitato e dunque ancora più centrale ed efficace.

ENRICOPOZZIè ~ociologo(Università di Roma) e psicoanalista (Società Psicoanalitica Italiana). Ha pubblicato di recente Il carisma malato (Liguori, Napoli 1992), sulla setta del People's Tenlple e sul suicidio collettivo di Jonestown. Si occupa ora del corpo come costrutto sociale, e sta lavorando a un volume su tre corpi 'politici' dell'Italia contemporanea: Mussolini, Berlinguer e Moro. CRISTINACENCIsi è laureata in sociologia a Roma con una tesi sulle rappresentazioni della regalità nell'Africa tradizionale sub-sahariana. Si occupa di antropologia politica, e in particolare della dimensione simbolico-rituale del potere. Sta lavorando sulla costruzione sociale del corpo del leader politico e sulla immagine di Mussolini nelle lettere che gli venivano inviate.


Enrico Berlinguer e la Sacra Sindone. La possessione politica a Roma di TAFUA KOROKORO *

Negli ultimi anni le Isole Tonga sono state investite da un rapido processo di modernizzazione. Questo fenomeno si rileva in modo particolare a livello di percezione e rappresentazione del potere. Tui Fa'apua'a 111, attuale Re di Tonga, non è più circondato dal rispetto sacrale che caratterizzava i suoi predecessori; nessuno crede più nei suoi poteri taumaturgici e, lungi dall'essere intoccabile, è oggetto di critiche come qualsiasi altro cittadino. Per capire la reale portata e profondità di questo cambiamento, ho provato l'esigenza di estendere il mio campo di ricerca a quelle aree del mondo cosiddette primitive o, secondo un'accezione più recente, tradizionali. Obiettivo di questa mia ricerca in mondi altri è quello di analizzare forme arcaiche di percezione e rappresentazione del potere. Ho scelto come campo di ricerca la lontana Europa, precisamente Roma, un tempo centro di un fiorente impero ed ora capitale di un piccolo stato etnicamente frammentato e in perenne crisi politica ed economica. La ricerca si concentra a Roma in quanto questa città condensa le caratteristiche strutturali dell'intera Penisola Italica. Non si tratta semplicemente di analizzare una parte per il tutto, ma di analizzare una parte che contiene il tutto. La scelta di Roma deriva sia da considerazioni puramente scientifiche, sia da una serie di opportunità che mi si sono presentate: a) Roma non è mai stata studiata da antropologi di Tonga. b) I1 clima e la cucina sono eccellenti, condizione necessaria anche se non sufficiente per ogni buon lavoro antropologico. C) Roma costituisce la perfetta « isola antropologica » che ogni antropologo cerca. È la capitale di uno Stato, m a se ne può prescindere. Ha una storia, ma la si può ignorare. È inserita all'interno di -

* Con questo articolo il collega Tafua Korokoro, del Dipartimento di Antropologia politica dell'università di Niuatoputapu, Isole Tonga, inizia la sua collaborazione con la rivista Il Corpo.


una vasta rete di scambi economici e sociali, ma questo non è rilevante per la ricerca. d) Sulla base delle scarse fonti esistenti, risulta che in questa citth è ancora in auge un complesso apparato tradizionale di riti e simboli associati al potere. e) H o avuto la possibilità di studiare l'italiano presso l'Istituto linguistico niuatoputapuense, che in questi ultimi anni ha dedicato parte della sua attività alla conoscenza delle culture e delle lingue europee. Questo saggio è un breve resoconto di ciò che ho potuto osservare a Roma nell'estate del 1993. I miei più sentiti ringraziamenti vanno all'Istituto niuatoputapuense di geografia, che ha finanziato in parte la mia ricerca, e alla rivista italiana Il Corpo, che mi ha fortemente incoraggiato a proseguire i miei studi. Un ringraziamento particolare va alla dott.ssa Cristina Cenci, che mi ha aiutato nella stesura di questo saggio e ne ha curato la traduzione italiana.

Fantasmi romani All'inizio della ricerca, seguendo la prassi antropologica, mi ero dato l'obiettivo primario di individuare l'autorità politica romana. Giunto da poche ore a Roma, e orientato ad individuare la leadership politica, noto che la città è piena di immagini di un uomo di nome Enrico Berlinguer (fig. 1).Penso subito che deve trattarsi di un personaggio importante, vista la rilevanza che gli viene attribuita: lo si incontra ad ogni angolo della città, il suo sguardo sembra giungere ovunque, percepisco qualcosa di sinistro che non so analizzare. Decido di conoscere direttamente quello che si presenta come il leader di un movimento politico innovatore, come si deduce dalle parole scritte a caratteri cubitali sui manifesti: << ENRICO BERLINGUER Y

I L SOGNO DI UN'ITALIA DIVERSA LA RIFORMA MORALE

LA RICOSTRUZIONE NAZIONALE

I DIRITTI DEI LAVORATORI

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L'appuntamento del leader con la popolazione è per sabato 12 giugno, ore 9.30, al Cinema Capranica. Non so dove sia il Cinema Capranica e chiedo ad un distinto signore di indicarmi il luogo dove si svolgerà il comizio di Enrico Berlinguer. L'uomo mi guarda perplesso e divertito allo stesso tempo, e risponde: « Enrico Berlinguer è morto 9 anni fa proprio in questo giorno. Però è ancora vivo tra noi ». Già la semplice richiesta di un'indicazione stradale mi mette di fronte ai dilemmi dell'interpretazione. La risposta del mio primo informatore a Roma è altamente ambigua. Innanzitutto non mi risponde, perché non mi dice dove si trova il Cinema Capranica. I n secondo luogo mette in crisi lo statuto stesso del mio oggetto di ricerca. Cercavo un leader politico, trovo un uomo che è morto da nove anni ma è ancora vivo. Continuo a porre la domanda ed ottengo sempre la stessa risposta, talvolta connotata negativamente: « È morto nove anni fa ma ancora ci perseguita D. Enrico Berlinguer è certamente morto: tutti gli informatori lo confermano e descrivono le circostanze esatte dell'evento. Dalle loro risposte egli risulta però anche vivo e ben presente nella vita politica di Roma: indice comizi e manifestazioni, invita al rinnovamento, esprime la sua opinione su qualsiasi evento di relativa importanza. Sulla base della letteratura antropologica da me conosciuta e della mia personale esperienza di ricerca, deduco che mi sono imbattuto in un singolare culto dei morti che tornano e in una forma di potere ectoplasmatica. Probabilmente questo culto si collega alla gran quantità di palazzi e costruzioni in rovina che caratterizzano questo piccolo insediamento urbano.

Il concetto di possessione politica nella letteratura antropologica La letteratura sui revenants e sulla possessione politica è abbastanza ampia l . L'analisi che allo stato attuale delle ricerche risulta l Si veda in particolare J. F. Baré, Pouvoir des vivants, langages des morts, Maspero, Paris, 1977; Moyai Liawtoau, Possession and Stomach-ache: the Return o f Dead Kings, Indiana University Press, Bloomington, 1984; I. Karp, Living with the Spirits of the Dead, in C . Adele et al. (eds.), African Therapeutic Systern, Crossroad Press, Boston, 1979; A. Kehoe, Women's Preponderance in Possession Cults: The Calcium Deficiency Hypothesis Extended, « American Anthropologist », 83, 1981, pp. 549-561; R. Buijtenhuijs, Dini Y a Msambwa: Rural Rebellion or Counter Society, in Theoretical Explorations in African Religion, Routledge and Kegan Paul, London,


più convincente è quella dei regni Sakalava del Madagascar, di J.F. Baré '. Nel caso del Madagascar l'autore indica con il termine di « possessione politica » la credenza nella reincarnazione di figure politiche rilevanti del passato in individui viventi. Queste figure intervengono cosi direttamente nella vita politica. La possessione politica svolge all'interno della struttura di potere sakalava una serie di funzioni importanti: a ) rende pensabile la continuità del sociale sovrapponendo diacronia e sincronia. Alla successione diacronica dei re sakalava, e quindi degli eventi e della storia, si intreccia, attraverso la possessione, la presenza sincronica dei re, morti immortali, e con loro la presenza del sociale come eternità immutabile. I re vivi che governano e i re morti che s'impossessano dei vivi permettono alla società sakalava i' pensarsi eterna pur rimanendo nella storia: contemporaneamente evento e struttura. « Se i morti reali sono inverati, incarnati dai posseduti, da diacronico e in continuo divenire, il tempo storico-politico diventa identico a se stesso o, piuttosto, i membri dell'apparato lo mettono in scena come identico, e quindi abolito » 3; 6 ) legittima l'identità del gruppo ancorandola ad eventi e figure mitiche del passato: « L'esistenza dei posseduti reali li definisce in primo luogo come i garanti dell'ordine rituale o sociale: un morto reale è anche un individuo che ha vissuto in un passato assunto per definizione come luogo d'origine delle regole sociali e come luogo di

autenticità... » 4 ; C) costituisce una risorsa nella competizione per il potere. La legittimità del potere si fonda in parte sull'appartenenza al ceto nobile, in parte sul consenso dei posseduti reali che non appartengono mai al gruppo al potere. I n questo modo la possessione politica costituisce uno strumento di controllo e limitazione dell'autorità del re da parte della società civile, che attraverso un posseduto reale può esprimere il suo risentimento senza peraltro mettere in discussione l'autorità del

1985; M. Miutuai, Possession and Cannibalism, Tonga University Press, Tonga, 1973;

M. ChevaI, L'indigestion du cannibale: le retour émétique du mort, P.U.F., Paris, 1993. Si veda J. F. Baré, op. cit. Per un quadro comparativo J. Brown, Sakalava and Samanjava Cults oj Political Possession: T w o Dijjerent Ways oj 'Eating Power', Indiana University Press, Bloomington, 1984. J.F. Baré, op.cit., p. 99. J . F. Baré, op. cit., p. 101.


re e l'istituzione monarchica. La possessione rappresenta una valvola di sicurezza in una società fortemente gerarchizzata. Contemporaneamente essa costituisce una risorsa per gli stessi gruppi nobiliari in competizione per il potere, perché dal consenso dei posseduti deriva in parte la legittimità al comando. Nella storia sakalava molti re sono stati sostituiti in quanto sgraditi ai posseduti reali. Ne deriva che vi è un contrasto continuo tra il Re e i suoi consiglieri da una parte, e il gruppo dei posseduti reali dall'altra. I primi tentano continuamente di invalidare la legittimità dei secondi, e viceversa. Un insieme articolato di sanzioni divine è posto come garante dell'autenticità della possessione. Risulta interessante confrontare le credenze e le pratiche sakalava con quelle di un gruppo vicino, i Samanjava, che presenta una diversa organizzazione sociale e politica '. Al contrario di quella sakalava, fortemente centralizzata e gerarchizzata, la struttura sociale samanjava è di carattere segmentario, ovvero si basa sui legami di parentela che uniscono diversi segmenti di lignaggio. Non esiste alcun tipo di centralizzazione del potere, ogni lignaggio fa tuttavia riferimento al membro più anziano del proprio clan. La possessione politica interviene a livello di leadership clanica: in occasione di un rituale annuale gli spiriti dei capi morti sono creduti incarnarsi nel corpo di nemici catturati per l'occasione. Questi vengono poi uccisi e consumati come pasto sacrificale dai membri di ogni lignaggio. La regola è che ogni gruppo clanico mangi il capo di un altro gruppo. Questa cannibalizzazione del potere è la modalità che consente a una società costantemente dilaniata dai conflitti tra i diversi gruppi clanici di produrre la propria coesione. Attraverso il rituale descritto, ciascun gruppo si alimenta letteralmente della sostanza dell'altro (samanjava deriva probabilmente dal verbo maniare, che significa alimentarsi) e la fa propria, trasformando l'altro-da-sé in sé. In questo caso la possessione politica associata a forme cannibaliche costituisce un mezzo di integrazione sociale.

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J. Brown, op.

cit.


La possessione politica a Roma Ci sembra di poter accostare gli esempi etnografici analizzati a quello che abbiamo potuto osservare nel piccolo insediamento urbano oggetto della nostra ricerca. Anche in questo caso si può parlare a nostro avviso di possessione politica e di un vero e proprio culto dei revenants. Ci troviamo però di fronte ad una fenomenologia più articolata che ci proponiamo di mettere in luce. L'osservatore straniero che giunge a Roma prova la sensazione alquanto straordinaria di essere circondato da una folla di fantasmi diventati all'improvviso di nuovo viventi e temporanei: Enrico Berlinguer, il Cristo, Don Luigi Sturzo, Benito Mussolini, Aldo Moro, dominano la scena pubblica romana. Ogni volta che ho chiesto informazioni su personaggi che mi sembravano centrali nella vita politica della città, per la presenza sulla stampa e nei discorsi, ho avuto sempre la stessa risposta: « È morto ma è vivo ». È stato cosi per Aldo Moro e per Benito Mussolini, per Luigi Sturzo e per Gesù Cristo, al punto che ho provato la strana sensazione di trovarmi in un luogo senza tempo, dove il passato è presente e viceversa. Sono stato totalmente incapace di costruire qualsiasi tipo di cronologia. Mi sembra di poter dedurre, ma con molte riserve, che alcuni tra i personaggi citati sono stati contemporanei, come il mio primo incontro, Enrico Berlinguer, e Gesù Cristo. I1 caso romano è interessante perché non può essere ridotto al modello classico del culto degli antenati. Vi ritroviamo piuttosto, estesa alla sfera politica, l'intera fenomenologia dei revenants. Enrico Berlinguer incarna il tipo del morto all'improwiso, venuto meno nel pieno delle forze e, nel caso specifico, nel vivo del suo progetto politico e che, come tale, veicola paura e nostalgia. I1 Cristo, Mussolini e Moro rappresentano in modi diversi le vittime sacrificali destinate a resuscitare per punire i propri sacrificatori e benedire i propri seguaci, in un contesto però dove non si sa più bene chi siano gli uni e gli altri. Don Sturzo rappresenta invece il padre fondatore e l'antenato che vigila benigno. Durante la mia permanenza a Roma ho potuto assistere allo scatenarsi di una vera e propria guerra tra reuenants per il controllo della città. Mi soffermerò sulle due figure che, più di altre, mi sono sembrate al centro dello scontro: Enrico Berlinguer e Gesù Cristo. I1 primo è stato il leader di un importante movimento politico-religioso: il Comunismo. Egli profetizzava l'avvento di una nuova era


di felicità, a cui però si sarebbe giunti attraverso un cammino difficile e doloroso che egli chiamava la « terza via D. Un analogo simbolismo legato al numero tre si ritrova nel culto del Cristo: anch'egli leader di un movimento politico-religioso a sfondo messianico, si dichiarava figlio di un dio uno e trino. Enrico Berlinguer è morto all'improwiso nel pieno della sua predicazione profetica. Gesù Cristo pare sia stato ucciso come vittima sacrificale dai suoi stessi seguaci. Un altro leader del movimento cristiano, Aldo Moro, sembra aver subito la stessa sorte. Queste uccisioni sacrificali probabilmente costituiscono la reiterazione rituale di un mito di fondazione originario, che non sono però riuscito a rinvenire. Non possiamo soffermarci ulteriormente sulla storia di questi personaggi, anche perché le fonti sono scarse. L'aspetto rilevante per la nostra ricerca è che oggi li ritroviamo al centro di un culto di possessione politica. Entrambi sono risorti per portare la felicità ai loro seguaci. Sono presenti ovunque e ad ogni angolo della città invitano la popolazione a seguirli. Al centro di Roma ho potuto osservare effigi di Enrico Berlinguer semicoperte da effigi del Cristo (figg. 2, 3). I romani credono che ogni effige contenga la reale presenza del leader. Nel caso di Berlinguer tale effige-corpo è chiamata « foto », nel caso del Cristo « sindone » (fig. 4). L'etimologia della parola sindone è incerta. Alcuni interlocutori pronunciano « sindòna D. Dopo alcune ricerche ho scoperto che probabilmente sindone deriva dal nome del fondatore di una loggia massonica, tale Sindona, che ha sacrificato la propria vita per la Causa, in circostanze incerte. Dietro l'apparizione del Cristo ci sarebbe in questo caso un complotto massonico. I n effetti culti misterici e massoneria sono spesso associati 6 . Un'altra ipotesi possibile è che la parola sia la combinazione di due termini inglesi: "sin" che significa peccato, e "done", participio del verbo fare. I n questo caso l'apparizione del Cristo assumerebbe il significato di una remissione dei peccati e si caricherebbe di una valenza purificatrice. Se si adotta questa seconda interpretazione, resta però oscura l'origine di questo sincretismo linguistico in un culto che è sicuramente autoctono. I l potere medianico attribuito all'effige fotografica è illustrato da un cultore di immagini e segni straordinari, Roland Barthes: « ... colui o ciò che è fotografato, è il bersaglio, il referente, sorta di piccolo simulacro, di eidòlon emesso dall'oggetto, che io chiamerei volonG. Mazin, Le maGon, le roux et le gaucher dans les sociétés secr2tes du Burundi, Payot, Paris, 1993; M . Gisuit, Le Roi est mort. Vive la franc-maconnerie, Editions du Complot, SI, sd.

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tieri lo Spectrum della Fotografia, dato che attraverso la sua radice questa parola mantiene un rapporto con lo "spettacolo" aggiungendovi quella cosa vagamente spaventosa che c'è in ogni fotografia: il ritorno del morto... Attraverso la foto il morto, ciò che è stato, torna ad essere presente: « Nella Fotografia, la presenza della cosa non è mai metaforica e, per ciò che concerne gli esseri animati, non lo è neppure la sua vita ... La foto è letteralmente un'emanazione del referente. Da un corpo reale, che era là, sono partiti dei raggi che raggiungono me, che sono qui; la durata dell'emissione ha poca importanza; la foto dell'essere scomparso viene a toccarmi come i raggi differiti di una stella. Una specie di cordone ombelicale collega il corpo della cosa fotografata al mio sguardo: benché impalpabile, la luce è qui effettivamente un nucleo carnale, una pelle che io condivido con colui o colei che è stato fotografato... niente da fare: la Fotografia ha qualcosa a che vedere con la risurrezione: forse che non si può dire di lei quello che dicevano i Bizantini dell'immagine del Cristo di cui la Sindone di Torino è impregnata, e cioè che non era fatta da mano d'uomo, che era archeiropoietos? » '. 4

La fotografia rappresenta una delle modalità principali attraverso cui si realizza il ritorno del morto a Roma. I1 luogo in cui il revenant appare diventa una vera e propria edicola sacra davanti alla quale i fedeli si soffermano a meditare e depositano le proprie richieste di grazia (si veda la fig. 5 , dove si chiede al Cristo che venga ritrovata una cagnolina perduta). Cercheremo in seguito di formulare alcune ipotesi sulle funzioni della possessione politica a Roma. Ci sembra però interessante rilevare l'omogeneità strutturale tra i casi etnografici relativi ai Sakalava e ai Samanjava, e il culto di Berlinguer e del Cristo. A volte, come nel caso dei Sakalava, gruppi contrapposti ma con interessi comuni rivendicano la possessione dello stesso spirito, dando vita nella città ad una guerra iconografica e rituale per affermare l'autenticità e preminenza della propria possessione. È il caso dei due partiti derivati dal processo di istituzionalizzazione del movimento messianico comunista: il Partito Democratico della Sinistra e Rifondazione comunista. I1 PDS ha rinunciato alla predicazione messianica e si è inserito a pieno titolo nel sistema po-

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Roland Barthes, La camera chiara, Einaudi, Torino, 1980, p. 11. Roland Barthes, op. cit., pp. 80-83.


litico laico. Quali siano le caratteristiche strutturali di questo sistema non mi è ancora molto chiaro. Esso talvolta è definito democratico, talaltra tangentizio. I1 significato di quest'ultimo aggettivo mi sfugge, ma probabilmente deriva da "gentilizio". I n tal caso indicherebbe una forma di potere aristocratica o di poche famiglie che entra però in contrasto con l'aggettivo "democratico". Pur facendo parte di questo sistema detto tangentizio, il PDS sembra tuttavia conservare una connotazione di minaccia e pericolo (sinistra = sinistro). Rifondazione comunista è invece una formazione politico-religiosa in cui il messaggio messianico e chiliastico è ancora molto forte. I suoi membri predicano la fine del mondo e l'Avvento del Regno Comunista. Caratteristica comune a questi due gruppi è il culto di Enrico Berlinguer. Bisognosi di affermare la continuità con un passato mitico, entrambi rivendicano la Presenza di Enrico Berlinguer e cercano letteralmente di impossessarsene: « Nove anni dopo, un'eredità contesa. Un'icona ambita da tante nostalgie. Enrico Berlinguer diviso tra PDS e Rifondazione comunista ... Riti separati, liturgie funzionali al momento. Per Occhetto

[attuale leader del PDS del quale non sono riuscito ad accertare lo statuto ontologico, probabilmente è anche lui un morto vivente] quella memoria è occasione per rilanciare ponti e ponticelli a sinistra, per recuperare quei "nemici" che da destra gli consigliano di lasciar perdere. Per Garavini [profeta di Rifondazione] è un copyright sul passato ... I comunisti anticipano di ventiquattr'ore il rito e si mettono nel posto giusto per rivendicare l'ortodossia continuista: a ponte Milvio, pochi metri dalla sezione in cui era iscritto il segretario di tutto il Pci ... I pidiessini [da PDS] scelgono la sala d'un cinema romano (il Capranica) caro ai riformisti ... A Ponte Milvio Garavini sceglie l'ultimo Berlinguer, davanti ai cancelli della Fiat, contro il taglio della scala mobile ... A Occhetto invece non dispiace ricordare che anche Berlinguer non annunciò prima in Direzione lo strappo con Mosca ... D 9. Nel culto del Cristo ritroviamo invece quella cannibalizzazione del potere che avevamo rilevato tra i Samanjava. Da quanto ho potuto ricostruire sulla base delle informazioni raccolte, risulta che la composizione sociale del movimento cristiano è piuttosto eterogenea. Come i Samanjava, i cristiani sono così costretti a produr-

La Repubblica, 13 giugno 1993. Dalle informazioni raccolte risulta che La Repubblica è un quotidiano romano, organo di un movimento probabilmente neoplatonico che si definisce: « I1 popolo di Repubblica >p.

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re ritualmente la propria coesione. H o scoperto infatti, introducendomi di nascosto in uno dei luoghi dove i fedeli si riuniscono (basilica), che ogni settimana, ad ore fisse, hanno luogo dei pasti rituali in cui ogni membro del gruppo ingerisce una sorta di sfoglia sottile che è creduta essere il corpo del Cristo 'O. Queste presenze ectoplasmatiche, vive ma intoccabili, agitano la vita politica romana. La grave crisi di legittimazione che investe l'intero sistema politico e istituzionale dà loro nuovo vigore. Di fronte alla prospettiva della fine si resuscitano i fantasmi, che hanno il doppio vantaggio di essere nello stesso tempo reali e irreali, presenti e assenti, e si adattano facilmente sia ai percorsi tortuosi dell'immaginario che ai giochi politici dei gruppi in competizione. Proiettare le esigenze del presente su figure del passato permette infatti una serie di funzioni importanti : a) proietta la potenza dell'origine su un Noi diviso e che si cerca. A un presente corrotto viene contrapposta un'origine pura. L'origine è allo stesso tempo nascita e causa. Cercare la propria origine è garantirsi che si è nati. Chi ha un'origine, in qualche modo è. I n questo contesto il Padre Fondatore è il garante di un'origine che diviene un equivalente simbolico dell'esistere. 11 tentativo di costituirsi come Noi si traduce in un ritrovarsi. La << crisi della presenza » invoca l'origine ". Sembra essersi instaurata nella vita politica romana una strana attribuzione di responsabilità: da una parte abbiamo un'entità misteriosa, il Caf, a cui viene attribuito tutto ciò che si è prodotto dj negativo nella società. Non siamo riusciti ad individuare attraverso ---.I

lo Non sono però riuscito a capire di che sostanza sia formata l'ostia che viene ingerita. Non so soprattutto se la sua produzione comporti sacrifici umani o animali come nel pasto dei Samanjava. secondo- alcune fonti, forme rituali di cannibalismo si ritrovano anche nel Movimento Comunista. Si veda David Grieco, Il comunista che mangiava i bambini, Bompiani, Milano, 1993. l1 Per il concetto di « crisi della presenza », si veda Ernesto De Martino, Il mondo magico, Einaudi, Torino, 1948. De Martino è un'interessante studioso indigeno cultore di riti magici e profeta di apocalissi. Pare che abbia scritto delle cose interessanti. All'estero tuttavia è totalmente sconosciuto, e questo è indicativo del totale isolamento in cui vivono da anni Roma e l'Italia. D'altra Darte io stesso ignoravo che vi " esistesse un qualsiasi tipo di produzione scientifica o presunta tale. Nella valutazione di quest'autore va comunque articolato il punto di vista emico con l'irrinunciabile prospettiva etica. Stimolante per una riflessione sull'origine 2 un antico poema niuatoputapuense, purtroppo non accessibile in traduzione italiana: Kleiheràtos, Llaszl Gineori, Isole Tonga, Anno del Fuoco.


quali canali e con quali modalità agisca questa forza misteriosa. Un'ipotesi possibile è che si tratti di una sorta di potere negativo diffuso, simile in parte al mana. Esso è all'origine di tutti i mali: dalla corruzione politica fin quasi al piccolo furto in casa. Al Caf si oppone una schiera di morti illustri, resuscitati per restituire alla città la purezza delle origini e per espellere il male anomico costituito dal Caf. A Roma sembrano essere ancora presenti le dinamiche arcaiche del Potere come lotta tra Principi contrapposti, l'uno benefico l'altro malefico. Da una parte il Padre fondatore e la purezza delle origini, dall'altra il capro espiatorio che assume su di sé la minaccia di disgregazione interna al gruppo. Da questo punto di vista è interessante il culto di possessione politica che abbiamo potuto osservare tra i Cristiani del Popolo, una setta misterica fondata con il nome di Partito Popolare da un seguace di Cristo, Luigi Sturzo. Non sappiamo se questo nome derivi da struzzo e sia come tale di origine totemica. È molto probabile che sia così in quanto spesso le pratiche cannibaliche (come abbiamo visto in precedenza, il cristianesimo è caratterizzato da un rituale cannibalico) si associano a culti totemici. La setta sturziana, divenuta una potente chiesa, la Democrazia Cristiana, ha instaurato per quasi cinquant'anni a Roma un regime dittatoriale che costituiva per i seguaci la realizzazione sulla terra del Regno del Cristo. È interessante notare a questo proposito che a Roma la funzione politica e quella religiosa non sono ancora distinte, come accade invece a Tonga. I partiti politici assumono ancora forti connotazioni religiose. Lo scontro politico è in realtà uno scontro tra culti. Negli ultimi tempi (sono assolutamente incapace di fornire una cronologia precisa) il potere dei Cristiani del Popolo è entrato in crisi. Di fronte alla minaccia della disgregazione e della diaspora degli adepti, la Democrazia Cristiana si rifonda come Partito Popolare e si impossessa letteralmente di Luigi Sturzo. Non c'è pubblicazione o dibattito democristiano che non dia voce al Padre fondatore. Lo vediamo ovunque, ovunque possiamo ascoltarlo. È indicativo tra l'altro che questa presenza sia ancora più marcata nel segmento giovanile dei democratici: i< La prospettiva ... è quella della costruzione di un nuovo soggetto politico che prenda il nome di "Partito popolare". .. Politicamente i Giovani popolari hanno espresso con forza la loro preferenza per un soggetto politico nuovo rispetto alla semplice prospettiva della DC rinnovata. Per questo la scelta del nome si è arricchita di un significato che va al di là dei nominalismi. I Gio-


vani popolari hanno fatto una scelta che coincide con la richiesta di discontinuità forte che potrebbe essere facilmente simbolizzata dal ritorno [corsivo nostro] al nome sturziano di Partito Popolare » 12. Cambiamento, nel discorso dei giovani democristiani, diviene equivalente a ritorno. I1 nuovo è l'origine perché solo in questo modo la propria esistenza come identità del Noi può essere garantita. A livello di tipologia socio-economica, i democristiani possono essere accostati alle società di cacciatori-raccoglitori. In particolare pare che siano specializzati nella raccolta: <( Afferrano tutto », Mangiano tutto D, queste sono le frasi più ricorrenti che ho potuto registrare in connessione al loro operato. In questo tipo di società, durante i riti di iniziazione, si ha spesso l'evocazione e la ricomparsa rituale di antenati mitici. La precarietà socio-economica della raccolta costringe i gruppi sociali che su di essa si basano ad ancorare la loro identità a potenti figure dell'Origine. La minaccia del divenire storico è negata attraverso la reiterazione rituale dell'atto di fondazione originario e l'evocazione degli eroi fondatori. I1 ritorno di Luigi Sturzo tra i giovani democristiani rientra perfettamente in questa logica. b) Affidarsi al culto dei revenants e alla possessione politica piuttosto che alla guida di un leader permette di sottrarre il destino del Noi alle vicissitudini di un percorso individuale. Non un leader in carne ed ossa che, per il fatto stesso di essere in carne ed ossa e cioè di avere un corpo, costituisce una garanzia ma anche una minaccia per il gruppo che a lui si affida, ma un revenant, un essere che in quanto morto e resuscitato assicura al gruppo l'eternità, e permette di pensare il sociale sotto la specie della Fenice che muore e rinasce uguale a se stessa 13. I1 Cristo della Sindone e il Berlinguer della Foto sono risorti per assicurare la felicità della Fenice ai loro seguaci. A ben vedere è uno strano corpo quello del revenant. È visibile e presente ma non attaccabile, corpo naturale che ha le caratteristiche del corpo politico - incorruttibile ed eterno - e corpo politico che ha le caratteristiche del corpo naturale, visibile e presente, condizione della visibilità e della rappresentabilità stessa del Noi e tramite delle identificazioni introiettive e proiettive. Tale ricchezza cognitiva ed emo-

La Discussione, n. 30, Anno XLI, 24 luglio 1993, p. 4. Per la Fenice come metafora del sociale si veda l'interessante saggio del mio caro amico italiano Enrico Pozzi, Il corpo malato del leader. Di una breve malattia del. Z'On. Bettino Craxi, <( Sociologia e ricerca sociale D, 1991, 36, pp. 63-102. l2 l3


zionale del corpo del revenant si realizza nella foto, in quanto medium della possessione. In essa il morto torna a vivere in una modalità diversa: può toccarci ma è intoccabile, è presente e vivo ma nello stesso tempo eterno e incorruttibile. I1 paradosso costitutivo di questo tipo di patto è che se i vivi hanno bisogno dei morti, allo stesso modo i morti ricavano la loro possibilità di esistenza interamente dai vivi e rischiano di trasformarsi da salvatori in vampiri 14. I1 pericolo che minaccia ogni formazione sociale che si affida ai morti per la propria sopravvivenza è quello di rendere impossibili le dinamiche di mutamento e di provocare, nella ripetizione ossessiva dell'identico, quella morte del sociale che si voleva scongiurare. Nella Roma che ho osservato non esistono leader politici in carne ed ossa, quelli che si definiscono come tali sono in realtà Grandi Sacerdoti di potenti figure-fantasma. C) I1 culto dei reuenants politici costituisce una risorsa strategica per i gruppi al potere. Infatti, essendo parte integrante dell'attuale processo di ricomposizione di un'identità collettiva frantumata, regala legittimità a chi riesce a farsene interprete. Inoltre garantisce l'ordine esistente e riduce a livello emotivo la paura che il totalmente nuovo genera. I1 revenant è infatti portatore di un'ansia di cambiamento che si orienta verso il passato e non assume le forme distruttive della rivoluzione o della metanoia carismatica. D'altra parte questo tipo di culto, giocando sull'ambiguità vivo-morto, permette di volta in volta di recuperare figure funzionali agli obiettivi politici del momento. Così il tentativo di aggregazione delle forze di sinistra con frange fuoriuscite dalla Democrazia Cristiana cerca consensi mostrando le foto della storica stretta di mano tra Berlinguer e Aldo Moro, ovvero tra il Sinistro e il Puro 15. Tutto quello che succede nella vita politica italiana è opera dei

l4 Sulla relazione tra vampiri e reuenants si veda Dom Augustin Calmet, Dissertation sur les Revenants en corps, les Excommuniés, les Oupires ou Vampires Brucolaques, etc., Paris, 1751; G. Manu'a, Sex, Death and Vampyrs, Niuatoputapu University Press, Niuatoputapu, 1978. l5 Anche quella (di Aldo Moro è una strana figura di reuenant: leader deiia Democrazia cristiana, pare sia stato ucciso da membri del suo stesso partito. Ora è stato resuscitato dai comunisti ed & diventato fedele compagno di Berlinguer. Si veda: Sette, supplemento de Il Corriere della sera, 23 settembre 1993, p. 53; l'Unità, 28 settembre 1993, p. 19; Panorama, 3 ottobre 1993, p. 55.


Fig. 1



Fig. 4


Fig. 5


morti e non dei vivi. Quest'operazione di trasferimento sui morti dell'azione politica ha i1 vantaggio di sfruttare nel processo di acquisizione del consenso l'atteggiamento ambiguo che tutti i gruppi umani hanno nei confronti dei morti, pianti e desiderati ma anche odiati e temuti. Lo scontro politico riesce così a convogliare su di sé la potenza di emozioni primarie generate dal lutto e dalla separazione. Un altro grande fantasma incontrato nel corso della mia ricerca sulla leadership romana rientra perfettamente in questa logica: il fantasma di Benito Mussolini. Pare che sia stato il leader del partito al governo prima della instaurazione della Repubblica dei Cristiani del Popolo e quindi, come tale, nemico principale dell'attuale regime. La sua effige-corpo vaga nella città e sulle pagine dei giornali, di volta in volta odiato o amato, spirito cattivo o spirito buono, ora pronto a compiere misfatti sotto le spoglie del personaggio negativo del momento, ora oggetto di rimpianto e nostalgie. È interessante notare che nelle rappresentazioni iconografiche e nelle messe in scena del potere della fase culminante del regime mussoliniano, il corpo di Mussolini, pur ancor vivo e vegeto, assume forme ectoplasmatiche 16. Potente incarnazione della romanità, il corpo di Mussolini acquista le caratteristiche del corpo del revenant, presente ma incorruttibile, epifania di un Noi che si vuole ad un tempo storico ed eterno. L'uccisione di Mussolini, ancora oggi fonte di continui dibattiti e misteri, se da una parte si configura come rito sacrificale e di transizione al nuovo, dall'altra costituisce I'inveramento di questo corpo-fantasma e ne assicura la presenza sulla scena politica romana. Uccidere Mussolini ha significato in qualche modo permettergli di vivere come ectoplasma della nazione. La conclusione a cui mi sembra di poter giungere sulla base della mia pur breve ricerca sulla leadership romana è che la città di Roma è governata dai Morti viventi. Si tratta di un caso piuttosto singolare: per non morire, un'intera classe politica si ritrova letteralmente a cannibalizzare i propri morti e a farsi a sua volta cannibalizzare da questi.

l6 Devo questa informazione ad Enrico Sturani (avevo scritto Enrico Berlinguer, il suo spirito comincia forse ad impossessarsi anche di me?), curioso personaggio che impiega il suo tempo a collezionare dei rettangoli di carta (cartoline) che ritraggono persone, paesaggi, oggetti e che la gente invia per posta ad amici e parenti in segno di saluto. Egli possiede un'intera collezione di cartoline di Benito Mussolini.


Ho cercato di enucleare in questo saggio alcune delle funzioni di questo speciale tipo di governo che non si ritrova frequentemente nella storia. La mia ricerca ha suscitato grande interesse a Tonga e credo che altri miei colleghi verranno presto in Italia a studiare questi culti che, benché arcaici, possono aiutarci a capire il nostro stesso passato e le trasformazioni del presente.

TAFUAKOROKORO è membro della Reale Società di Antropologia di Niuatoputapu. Ha svolto importanti ricerche sul campo nelle Isole Eurapik e Ratak. È autore di numerosi libri e saggi tra cui segnaliamo Nukutefau Savarii Nukunomo, un'analisi del cannibalismo come pratica reale e simbolica del lavoro antropologico. A lui si deve l'arricchimento delle categorie di Harris « etico » e « emico » con la necessaria sintesi dell'emetico. Insegna Antropologia politica d'università di Niuatoputapu.


Da Alcune forme della gelosia di C. K. WILLIAMS

Un uomo che ha sposato una donna attraente e alquanto più giovane, ne diventa dolorosamente geloso. All'inizio è sorpreso dal perché dovrebbe rimuginare senza tregua sulla sua fedeltà o mancanza di fedeltà. I1 loro far l'amore è soddisfacente: lui ne trae godimento, sua moglie anche, quanto lui, o, con sua sorpresa (non lo aveva mai vissuto prima), forse più di lui. Quando si erano sposati, gli era sembrato un miracolo, stentava a credere alla sua grande fortuna: la facilità e la grazia con la quale lei gli si avvicinava, il suo modo franco e allegro di toccarlo. Ma adesso

... non

che dia troppo significato al sesso, o che non dimostri abbastanza affetto,

è quanto si lascia coinvolgere, così tanto dimentica, come lui non può neanche immaginar di essere.

Scopre che ha cominciato ad osservare la loro vita a letto con quello che ritiene essere un certo grado di distacco. Vede se stesso, le sue macchie, lo stomaco che non riesce sempre a nascondere, poi lei, il suo fulgore, la sua luminosità. Perché, si chiede, una donna così desiderabile dovrebbe essersi dedicata così interamente a uno come lui?

E, più precisamente: perché cosi tanta passione, queste urgenze e desideri, questa contentezza cieca? Secondo un filo logico che non può risalire fino al suo inizio, ma che trova gelidamente irrefutabile, decide che sua moglie non desidera lui in quanto lui, ma che, semplicemente,

desidera. Comincia a pensare che lui è incidentale rispetto a questo desiderio, che è generale, aspecifico, senza oggetto, quasi, nella sua intensità e calore, senza un soggetto; lei stessa sembra essergli secondaria, come se il progetto reale di quella sua passione che prende alla gola e gonfia fosse di scioglierla via dalla sua mente. Perché un bisogno cosi dovrebbe limitarsi a lui: non spazzerebbe piuttosto come un riflettore l'intera mascolinità? Non riesce a impedirselo, comincia a mettere alla prova le sue osservazioni inquietanti ma cogenti.


Quando sono fuori insieme, gli è evidente che ogni uomo che la vede la vuole: tutte le occhiate furtive, da dietro, di fianco, persino nelle superfici che afferrano la sua immagine mentre passa.

Lo penetra una intuizione stupefacente e stranamente eccitante, che se così tanti la desiderano, un qualche segnale deve esser stato mandato, forse non un gesto vero e proprio, né certo la volgarità di un cenno d'invito, ma qualcosa come un'aura, di richiesta, di disponibilità, che lei emani subconsciamente. Quasi senza accorgersene, cammina un passo dietro a lei, per osservarla meglio, per registrarla meglio. Poi realizza a proprio rammarico che forse la sua stretta sorveglianza sta lavo rando su sua moglie. In una profezia che si autorealizza tristemente, forse lei comincia a sentirsi vulnerabile, irritata, discollegata;

sì, sola, deve sentirsi spesso sola, come se lui, sventurato, neanche ci fosse. Questo è l'ultimo modo in cui avrebbe mai pensato che la sua ossessione lo avrebbe disfatto, ma perché no? Una donna tra uomini che la ammirano è già in senso lato un potenziale oggetto di desiderio, ma una donna con una consapevolezza molto accentuata della propria più elementare identità sessuale, come ormai ha sua moglie, con questo sciacallo, cost ormai lui si vede, che le annusa dietro: anche contro le sue migliori intenzioni, lei non lo manifesterà forse in un modo primitivo, percepibile, e gli uomini non dovranno accorgersi, per quanto vagamente, che qualcosa di sessuale sta accadendo? Gli sguardi che ispirerà non rifletteranno questo, portandole un nuovo e perturbante senso di se stessa, e questo non renderà forse ancora più probabile che lei lo tradisca proprio nel modo che egli sospetta? Si. No. Sì. Sa che dovrebbe fermare tutto questo: ma come può, senza andare fino in fondo? I1 fondo pub essere appunto ciò verso cui lui sta spingendo tutti e due loro; però non ci pub far nulla. Può dissimulare le sue fissazioni, ma perché vi sia sollievo, si dovrà aspettare fino a quel momento.


Per favore cerca di capire, è stato solo u n piccolo momento, non ha voluto dir nulla, non sul serio. Era abbastanza carino, ma non m i piaceva poi così tanto, sentivo solo, 20 avrai sentito anche te, ne sono certa, un peso ne2 petto, come se non potessi prendere fiato, o far battere regolarmente il cuore. Lo sai, lo so che lo sai: c'è del dolore in te, vuoi che si fermi, questa terribile agitazione;

non riesci a tornare là dove stavi di solito, in te tutto ha perso il suo equilibrio, e realizzi, anche se non lo vorresti, che l'unico modo è con quell'altra persona, non riesci a dire come sei arrivata a questa conclusione, ti senti stupida, lo conosci appena, in ogni caso quasi non ha importanza, rappresenta solo uno sfogo via da tutto questo, una correzione, ma tu sai che nient'altro metterà tutto a posto in te, che sarai sempre così, con questo senso di incompiutezza, a meno che t u agisca, anche se non lo vuoi veramente, perciò vai avanti e mentre accade non pensi a cose come il male o il tradimento, vuoi solo il tuo mondo interno di nuovo in ordine, così potrai ricominciare a vivere di nuovo la tua vita, e poi è finita, chiuso, non hai neanche più bisogno di lui, realizzi che è finita, fatta. Pensavo che dovessi sapere, che se sapevi avresti capito dimmi, hai: capito?

L'unica volta, lo giuro, che mi innamorai più che astrattamente della moglie di un altro, riuscii a conservare la più pura sensazione di innocenza, anche dopo che la donna rispose al mio amore, anche dopo che lasciò il marito e venne in aereo da Montreal per stare con me, io sentivo ancora di non aver fatto nulia di immorale, tutta questa disturbante categoria era stata cancellata in qualche modo; anche dopo il suo arrivo, ed eravamo andati a casa e andati a letto, e anche dopo, il mattino successivo, quando traversb nuda la mia stanza

- quasi

guardai da un'altra parte; eravamo tutti e due timidi come adolescenti -

e tutto il giorno dopo quando camminammo, facemmo di nuovo l'amore, poi dormimmo, avvinghiati, anche ailora, la sua mano dormiente morbida sul mio petto, il suo respiro gentile che scorreva gentilmente sulia mia guancia,


anche alloi-a, o non prima di allora, non prima che il nuovo giorno ci avesse toccati, e io sapevo, sapevo assolutamente, che benché ci amassimo, qualcosa in lei doveva avere il marito, anche, e benché ci avesse provato, e continuasse a tentar di superare se stessa, io non potevo aspettarla, quella perfetta assenza di colpa, quella convinzione sicura della mia virtù invio labile, mi abbandonarono, lasciandomi con una lama di disgusto contro me stesso, un disgusto contro colui che io ora indovinavo che ero, ma anche allora, quando la portai all'aeroporto e si awiò per il corridoio nell'altra direzione, e ci salutavamo, ci salutavamo e basta - chiunque guardandoci avrebbe pensato che eravamo amici che si separavano anche allora, una parte della mia identità continuò a pretendere la sua integrità, il suo non coinvolgimento, persino la castità, che è ciò per cui mi critico severamente di nuovo ora, non il marito O il SUO dolore, al quale è sopravvissuto, non la tentazione della moglie, ma il fremito del male che avevo provato, e che mi ero poi impedito di provare.


Mussolini ectoplasmatico di ENRICO STURANI

Durante il regime fascista vi fu una certa produzione di cartoline che avevano per oggetto Mussolini stesso: oltre 8.000.000, circa lo 0,2% della produzione complessiva, e il 2-4% di quella fascista. Si tratta di un numero non trascurabile, ma senza dubbio inferiore a quanto ci si sarebbe aspettati da parte di un sistema p~liticoche usava intensamente l'immagine del suo capo. Non è possibile analizzare qui le caratteristiche di questo corpus mussoliniano, costruito spesso da una miriade di piccole iniziative spontanee e locali, e composto da circa 2000-2500 tipi diversi. Ci sofferrneremo solo su un segmento del corpus: le cosiddette cartoline ectoplasmatiche, nelle quali il Duce appare come un fantasma che si materializza. Iconologia dell'ectoplasma in cartolina Per Feuerbach la religione è l'ottativo del cuore umano tramutato in felice presente. I1 <{ felice presente D, specie a livello popolare, è vissuto come una presenza reale, e quindi visibile e rappresentabile attraverso immagini. È ben raro però che i personaggi sacri a cui più solitamente ci si rivolge siano rappresentati come persone tra le altre: al di là dei segni che consentono di individuarli (barba, capelli, veste, gestualità, attributi di una precisa foggia), particolari convenzioni iconografiche segnalano il loro carattere sacro. Per la Vergine Maria e per i Santi, queste convenzioni iconografiche si sono stabilizzate nello stereotipo dell'apparizione celeste su nuvoletta. Viceversa l'immagine del Cristo, di gran lunga prevalente nelle cartoline con apparizioni sacre, può essere caratterizzata da uno o più segni <( para-reali P: un fascio di luce proveniente dall'alto; un alone luminoso; l'essere almeno in parte, specie in basso, semievanescente. L'apparizione del Cristo si approssima quindi formalmente a quella dei fantasmi e alle evocazioni degli ectoplasmi. I1 Cristo semi-ectoplasmatico fa la maggior parte delle sue apparizioni in tempo di guerra. Nel caso della la guerra mondiale, indifferentemente sui due opposti fronti, egli garantisce la propria benedizione a Patrie, eserciti, armi. Nel ruolo di Salvatore, egli dà spirituale conforto


(spesso l'ultimo) a feriti, moribondi, vedove ed orfani. Più raramente ispira gesti di umana fratellanza, segna l'avvento della pace, s'abbandona allo sconforto (« Dico di amarvi! D esclama, coprendosi il volto con la mano, di fronte ad un mucchio di cadaveri) (fig. 1). Se dal sacro passiamo al profano, questo tipo di immagini non sparisce affatto. I1 materializzarsi dello spirito di Beethoven alle spalle di sognanti fanciulle fa ancora parte, a modo suo, del numinoso: esso è segno e garanzia di romantico abbandono ad una fonte ispiratrice trascendente (fig. 2). Assai frequente è la presenza in spirito dell'amato lontano, che anticipa un futuro desiderato. All'immagine è affidato il ruolo magico di annullare sia la lontananza spaziale che quella temporale, trasformando l'oggetto del desiderio in un consolante felice presente » (fig. 3). Le cartoline dei fidanzati, proprio per la loro funzione di trait-d'union all'interno di una coppia momentaneamente divisa, raffigurano uno dei due personaggi come reale e l'altro come evocazione visiva. Tale 'visione' può essere stimolata da un indicatore di presenza reale, ad es. un riferimento iconico alla telefonata, alla lettera o al ritratto dell'assente. L'apparizione è comunque favorita da alcuni tipici supporti concreti dei fantasmi (le fiamme del caminetto, le volute di fumo, le onde del mare, le nuvole, il buio) e da stati d'animo di sognante abbandono; anche la presenza di un sottofondo musicale aiuta. I n tempo di guerra, oltre alle fidanzate, al fante o al marinaio appaiono mogli, madri, figlioletti, spesso nella forma canonica del 6 Sogno che consola ». Assai spesso l'immagine non materializza solo l'amato lontano, ma anticipa il futuro desiderato: ecco allora apparire la coppia stessa finalmente riunita, magari nel giorno delle nozze. Ma può capitare che ad una graziosa signorina appaia la visione di se stessa in veste monacale: la materializzazione diventa un invito esplicito alla castità.

Mussolini tra verità ed ectoplasma Una sorta di garanzia di verità viene a queste immagini dal fatto di essere realizzate fotograficamente (o nello stile più realistico). Queste cartoline sono la testimonianza di come la fotografia, ai suoi albori (e sino a pochi decenni or sono), non intese affatto rompere i rapporti con la pittura. Le due tecniche si mescolano nella cosiddetta fotografia artistica: non si tratta solo di fondali dipinti, di ritocchi, di


Fig. 3: Italia, 1925.





incorniciature; frequenti sono i fotomontaggi e i più vasti pasticciamenti fotografici. I n questo modo si crea un territorio ambiguo in cui il sogno si trasforma in realtà, l'immaginario si fa immagine, la fantasticheria si materializza, il futuro viene magicamente anticipato, l'allegoria ed il simbolo acquistano un'evidenza più allettante del vero. La ricerca di Jaubert ' mostra ad esempio come le manipolazioni concernenti l'immagine fotografica di Mussolini non erano volte a sostituire un'immagine fotografica con un'altra (funzione politica diretta), ma ad annullare il valore documentario della sua figura fisica a favore dei valori simbolici, allegorici, mitici ad essa connessi (funzione politica nell'immaginario). I1 suo ritratto non viene fatto stagliare su uno sfondo neutro, sovente il cielo, cancellando con varie tecniche i personaggi che gli stanno intorno, al fine di annullare post factum anche l'immagine e la memoria di un eventuale traditore o oppositore, come avviene nelle rappresentazioni fotografiche di altri regimi totalitari di questo secolo. Semplicemente, nelle immagini destinate ad un uso non effimero (come i ritratti da ufficio, le cartoline destinate ad una vendita dilazionata nel tempo ecc.), il Duce, in quanto incarnazione di valori ideali e di significati simbolici, e in quanto proiezione di un immaginario popolare, trascende la figura carnale di Benito Mussolini (fig. 4). Le foto documentarie relative al Mussolini più 'terrestre' e umano (in una si sta aggiustando le palle), non mancavano. Esse erano opera di fotografi locali e documentavano, come promemoria per chi vi aveva assistito, inaugurazioni ed eventi di carattere minore. Man mano che da quest'uso personale (prossimo alle foto di famiglia) passiamo a immagini di più larga diffusione e destinate a durare nel tempo, gli aspetti simbolici vengono a prevalere. La fotografia non si limita allora a porre in atto le tecniche artistiche della messa in scena e messa in posa, dello scontornamento, del ritocco e del taglio. Anche tutte le tecniche del fotomontaggio e tutte le commistioni con tecniche grafico-pittoriche sono poste al servizio della trasformazione dell'imrnagine del Duce in allegoria (fig. 5 ) . Solitamente si interpretano queste immagini come frutto di una strategia di propaganda. Risulta invece che le cartoline illustrate (il mezzo che maggiormente le diffondeva) erano soprattutto edite da privati (neppur sempre iscritti al fascio) e venivano liberamente acquistate 1

Alain Jaubert, Commissariato agli archivi. Le fotografie che falsificano la storia,

Paris, 1987.


da un vasto pubblico di fans (fig. 6). Questi per lo più le conservavano nuove, come fossero dei santini. Queste immagini simboliche che trasformano Mussolini in un mito vivente erano quindi un canale cztartico per prepotenti esigenze di rassicurazione emotiva. Esse corrispoildevano all'immaginario di un mercato di utenti abbastanza largo da giustificare l'esistenza di varie imprese private operanti nel settore. I n questa logica vanno interpretate le cartoline che, grazie a fotomontaggi, fanno materializzare Mussolini nei più vari cieli dell'Italia e del suo impero (fig. 7). Esse corrispondono formalmente e funzionalmente alle apparizioni di Cristo, Madonna e Santi, e a quelle dell'amato lontano analizzate all'inizio. Questi personaggi appaiono però quasi sempre a figura intera e a grandezza naturale, e possono quindi agire come compresenze affettuosamente rassicuranti. Di Mussolini viceversa appare per lo più la sola testa (o il mezzo busto), accentuando quindi fortemente, attraverso quest'uso della parte per il tutto, il valore simbolico dell'immagine (la metonimia della reliquia). Inoltre l'apparizione celeste di questo testone è totalmente fuori scala rispetto ai personaggi agenti in primo piano. Rispetto a quelle dell'amato bene o del Cristo, queste apparizioni del Duce hanno dunque piuttosto i connotati dell'unico occhio simboleggiante Dio. Egli non scende in terra per consolare gli afflitti, ma resta in cielo, Potenza sovrumana totalmente trascendente, come perenne memento di un dover essere, di un ideale cui aspirare. Vari autori notano come durante il ventenni0 moltissimi italiani assumessero atteggiamenti, pose e fisionomie C( alla Mussolini D. Molte cartoline, soprattutto reggimentali, raffigurano militi, fanti, e coloni come altrettanti Mussolini (fig. 8). Siamo qui in bilico tra l'interiorizzazione del simbolo Mussolini attraverso la sua somatizzazione, e la clonazione di Mussolini nell'italiano nuovo. L'immagine ectoplasmatica del Mussolini delle cartoline trova ampia risonanza nella rappresentazione iconica più diffusa durante il vent e n n i ~ :l'immagine a a mascherina », che ritrae Mussolini usando solo campiture di bianco e nero (o di pieni e vuoti). La si trova dal formato chiudilettere sino a sagome alte come i due terzi della facciata del Duomo di Milano (fig. 9). Derivante dalle tecniche futuriste, quest'immagine esiste anche fustellata, cioè con i bianchi traforati in modo che, illuminandola potentemente, possa essere proiettata su un muro grande a volontà. Sfruttando il principio ottico della persistenza dell'immagine retinica delle figure fortemente contrastate, se si osserva fissamente


quest'immagine per un minuto, e poi si guarda il cielo, si assisterà alla sua <( apparizione miracolosa P. Non a caso, con questo sistema, sono state realizzate cartoline dedicate ai più vari divi: il divin redentore, Maria Vergine, S. Teresa del Bambin Gesù, Santa Rita, Don Bosco, il Re Baffone, Carnera, Roland Garros, Lindbergh, Greta Garbo.

ENRICOSTURANIè autore di numerosi studi sul fenomeno cartolina, di cui possiede importanti collezioni. Sull'immagine di Mussolini in cartolina, sta per uscire un volume edito dal Centro Studi Torinese, in cui sono raccolte circa 300 cartoline. H a in programma l'allestimento di una mostra sui gabinetti. 85


Vocalizzazioni intorno alla Colonia penale di Franz Kafka di MAURIZIO BALSAMO Ogni uomo porta in se stesso una camera. È un fatto di cui il nostro stesso udito ci dà conferma. Quando si cammina in fretta e si tende l'orecchio, specie di notte, quando intorno a noi tutto è silenzio, si ode, ad esempio, il tentenni0 di uno specchio a muro non fissato bene.

F. Kafka, Quaderni in ottavo

Una premessa necessaria I n una lettera del 27 gennaio 1904, indirizzata a Oskar Pollack, Kafka scriveva: << Se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia con un pugno in testa, perché mai lo leggiamo?... Noi abbiamo bisogno di libri che agiscano su di noi come una disgrazia che ci fa molto male, come la morte di uno che ci era più caro di noi stessi, come se fossimo respinti nei boschi, via da tutti gli uomini, come un suicidio, un libro deve essere la scure per il mare ghiacciato dentro di noi ». Di questa affermazione, nella lettura che intendo proporre della Colonia penale, è da raccogliere non solo la richiesta dell'esperienza di un testo forte, ma un'interrogazione, per noi ben più essenziale, sull'uso che ne possiamo fare. L'invito cioè non tanto alla sua cattura, al ritrovamento della sua archè, quando la possibilità, che d'altra parte al testo forte appartiene di diritto, di sollecitare una risposta speculare, pertinente al suo destinatario. Risposta che riconosce, tuttavia, la premessa essenziale di un testo come la Colonia penale: la sua capacità di stordire il lettore, di mostrargli, attraverso la distruzione della macchina della giustizia, il collasso cioè della macchina di tortura della Colonia, che la scrittura è menzogna, tranne nel caso di una scrittura che si fa istanza terroristica e che mostra, magari attraverso una serie di incisioni - quelle che trafiggono il corpo del cond a n n a t o - la possibilità di una via d'uscita '. Con analoghi intenti, meno volenterosi di possedere la psicologia dell'autore, sembra muoversi l'odierna lettura psicoanalitica: dico sembra, perché non è affatto raro invece reimbattersi nei commenti più riduttivi. L. Borghese, Il suicidio di Don Chisciotte, in F. Kafka, LA Colonia penale, a cura di L. Borghese, Marsilio, Venezia, 1993.


Ma così facendo siamo già immersi nello specifico della lettura di origine psicoanalitica, con tutto quel che ne è conseguito. Ora, la mia posizione a tal riguardo vorrebbe piuttosto echeggiare quella di un Green, allorché descrive il lavoro dello psicoanalista dinanzi al testo letterario come una trasformazione dalla lettura all'ascolto. L'interpretazione che ne deriva è l'interpretazione che egli deve darsi sugli effetti del testo sul suo proprio inconscio. In tal senso egli scioglie il testo, delirandolo » '. Qui delirare è innanzitutto uno s-leggere, sciogliere dei legami, produrre decondensazione nella polisemia, rilegare tessendo altri fili, connettendo diversamente. Mentre l'effetto su di sé indica che l'inconscio non è solo ciò che si legge ma, soprattutto, ciò che legge, che ci muove nell'ascolto dell'altro, il che implica lo sforzo di non letteralizzare l'enigma di un testo, facendone così implodere il movimento oscillatorio, la sua posizione di interrogante. I n tal senso la mia ricerca si muove intorno allo spazio aperto da un'enunciazione, nel tentativo di delineare le coordinate che lo definiscono, le tracce che lo segnano e che lo situano in quanto soggetto. È per questo che il testo può essere sciolto in altri testi, altri processi di scrittura, ivi compreso quello biografico, senza che con ciò si intenda collocare da qualche parte un'origine, un senso ulteriore, un rimando ultimo. Lo scopo è dunque quello di tracciare lo spessore di una trasformazione che in alcuni rari casi conduce all'opera. Nello specifico kafkiano, l'evento attorno al quale si muove un complesso apparato di pensiero che cerca di metabolizzare ciò che è ribelle allo stesso tentativo, non è dunque che un nodo da dipanare e men che mai una causa che, se si offre come tale, lo è solo nel processo di riscrittura dello psichico. Ciò che ne deriva non apparterrà, in tal senso, che al mare ghiacciato che saremo riusciti ad aprire, e la riuscita o meno della pescata non dipenderà dall'oggetto, quanto dalle incrinature che esso avrà provocato, doppiandosi nelle nostre disponibilità, riverberandosi nelle nostre linee di fuga, nei punti di frattura.

Kafka, o della paranoia

Che cosa spinge uno psicoanalista verso la Colonia penale? Solo la bellezza del racconto, la sua ricchezza, la vastità delle questioni poste? Un desiderio di entrarci a mo' di colonizzatore, la necessità di rispondere alla chiamata di un testo forte, entrando nell'immensa schiera dei commentatori '? A. Green, La déliaison, Les Belles Lettres, Paris, 1992, p. 20. G. Steiner, in un polemico libro sulla letteratura del commento (Vere presenze,


Ma perché tante preoccupazioni? Forse, perché non facciamo che mi<( Ora ho capito tutto, disse il viaggiatore. Meno l'essenziale disse quello ». I1 viaggiatore è l'interrogante del testo, il nuovo arrivato nella Colonia, scambiato per esperto di diritto e dinanzi al quale si consumerà il collasso della macchina rappresentativa. Qualità da intendersi sia nel senso di spazio scenico, il luogo dove si svolge l'atto di scrittura della colpa sulla pelle del condannato, sia come il processo stesso della rappresentazione sciolta da ogni legame con l'affetto, e che è collassata proprio dalle nuove leggi in arrivo: la richiesta di legami diversi, di un vertice di pensabilità differente del rapporto del soggetto con il gruppo. Ma non capire l'essenziale costituisce il primo avvertimento del testo sulle trappole disseminate, sull'illusione di chiarezza o sulle incomprensioni radicali che ne possono derivare, sino a quella pura e semplice del rifiuto, così come ricordava Bataille in un suo commento (Bisogna bruciare Franz

mare il testo originario:

Kafka? 4 ) . Siamo dunque messi nella condizione del viaggiatore che non sa o non può leggere gli arabeschi che verranno tracciati sulla pelle, anche qualora volesse provarci ». << Legga, disse l'ufficiale. Non ci riesco - rispose il viaggiatore. Eppure è chiaro - disse l'ufficiale. È un bel lavoro, disse il viaggiatore, ma non riesco a decifrarlo. Già, disse l'ufficiale, ridendo e riponendo la busta. Non è un modello di calligrafia per scolaretti. Bisogna leggerlo a lungo. Di sicuro, anche lei finirebbe per capire ». I1 testo dunque si narra, si autodescrive come indecifrabile, pur lasciando la porta aperta ad una possibilità. Ma sappiamo anche, proprio dalle parabole kafkiane, che la porta aperta della Legge è quella dinanzi alla quale si aspetta, inerti. <( Qui nessun altro poteva ottenere di entrare perché questo passaggio solo per te era stato disposto. Ora vado e la chiudo » (Dinanzi alla

Legge) Ma se il testo si presenta nel suo enigmatico stare, non dovremmo allora interrogare proprio questo enigma, questa condizione di indecifrabile, condizione in fondo coessenziale d'opera tutta intera, sì che pur som-

Garzanti, Milano, 1993) osserva che solo dal 1780 ad oggi almeno 25mila fra libri o articoli sono stati dedicati al vero significato dell'Amleto. Se la sua osservazione spinge ad un sano ritorno alle fonti originarie, piuttosto che alla pletora di osservazioni, è però indubbia la cultura romantica che lo possiede: solo i testi forti hanno diritto a sopravvivere. Ma, come si sa, il tema della lotta per la soprawivenza e della reciproca influenza fra .i testi, alberga proprio fra i poeti forti i quali, a loro volta, commentano altri poeti forti (vedi H. Bloom, L'angoscia dell'influenza, Feltrinelli, Milano, 1983). G . Bataiiie, La letteratura e il male, Guanda, Parma, 1987.


mersa dall'immensità di commenti, essa riesce, ciò nonostante, a sgusciare ancora una volta al di fuori? Ma sarebbe possibile un simile tentativo? Non è singolare che l'invito a lasciar perdere, ad abbandonare questo tentativo, si situi come inscritto financo nel nome, così come appare nelle figure più oscure, le figure dell'oblio, come scriveva Benjamin 5? Si pensi a quell'enigma vivente che prende il nome di Odradek, il personaggio di Un cruccio di un padre di famiglia: << Alla prima appare come un rocchetto piatto, a forma di stella, e infatti sembra anche rivestito di filo; si capisce che non potrebbe trattarsi se non di vecchi fili strappati, tutti a nodi e ingarbugliati, d'ogni specie e colore. Ma non è soltanto un rocchetto; dal centro della stella sporge una piccola stanghetta trasversale, e su questa stanghetta ne è incastrata una seconda ad angolo retto ». Odradek forse proviene dal ceco udraditi che significa: dissuadere chiunque dal fare alcunché, per esempio provare ad interrogare Kafka 6 . Ritorniamo così all'impasse, a quel non capire a cui volentieri ci affidiamo, dopo che la voce di Kafka permane sommersa dalle mille suggestioni, dai mille buoni propositi o giustificazioni. Ma non è forse proprio questa la colpa, l'arroganza, simile in tutto e per tutto a quella professata dagli amici di Giobbe che gli offrono spiegazioni e lo tormentano perché si interroga sul silenzio di Dio? Non sarebbe allora un atto di giustizia, finalmente, poter riconoscere che da qualche parte c'è un silenzio 7 ? Una volta Janouch, nei suoi colloqui con Kafka, chiedendogli se lui si sentisse solo ed avendone risposta affermativa, gli aveva chiesto se lo fosse come Kaspar Hauser, quella sorta di bambino - lupo, reso noto ai giorni nostri da uno splendido film di Herzog. Kafka rispose che si sentiva solo come Franz Kafka. L'involontario, ma rivelatore accostamento fra le due figure, non solo rimanda a quell'origine ceca di Odradek, l'essere stato privato, come Kaspar, di ogni relazione con l'ambiente, ma anche ad una singolare frase di quest'ultimo: << Non sentite quest'orrore che gli altri chiamano silenzio? ». Ora, nel silenzio che permane sotto la pesante coltre dei commenti,

W. Benjamin, Franz Kafka, in Angelus Nouus, Einaudi, Torino, 1962. H. Bloom (1987), The Strong Light of the Canonical. Kafka, Freud and Scholem (trad. it., Kafka, Freud, Scholem, Spirali, Milano, 1989). Secondo la Fusini (Due. La passione del legame in Kafka, Feltrinelli, Milano, 1988), Odradek viene da radici ceche, e pare significhi <( uno che è stato privato di ogni relazione all'ambiente ». In ambedue i casi la figura che si staglia ai nostri occhi è quella della sottrazione, in senso gnoseologico o esistenziale. << Le figure di Kafka invocano come Giobbe un Dio che risponda: ma anche, come Giobbe, sanno riconoscere il silenzio di Dio, non lo tradiscono dicendo che è parola ... Sono gli 'amici' di Giobbe a mistificare il silenzio di Dio affermando che esso è parola piena - anzi, che esso è effetto della colpa di Giobbe P. (M. Cacciari, Icone della Legge, Adelphi, Milano, 1985, p. 101). 6


nella voce sopita del testo kafkiano, a me appare, indubitabile, la presenza dt' un orrore. L'orrore certo è quello della Colonia penale, della macchina da tortura, ma questo non è ancora l'essenziale. E, si badi, non certo perché è letteratura. Se si potesse descrivere con una sola parola l'opera di Kafka, direi, senza esitazione, che si tratta di una esistenza pensata, in cui ogni momento del proprio singolare destino è come masticato mille ed ancora mille volte, sino ad estrarne la possibilità di una condizione universale '. A lui, escluso dalla comunità, dalla vita affettiva, intrappolato in una lotta senza quartiere con se stesso, fare del proprio singolare esserci una condizione del destino, un carnaio di segni, l'intreccio non casuale di una operazione di dolorosa estrazione di pensiero, di immagini, deve essere sembrata l'unica salvezza '. Sino, naturalmente, a sconfinare nella paranoia. In fondo è questa l'atmosfera che si respira nelle sue pagine, ed è cosl che si comporta nella vita. Janouch e Kafka passeggiano, come sempre. Passa un cane e il nostro si fa improvvisamente agitato: <{ Vede! Qui, qui! Lo vede? »... Un tenero cagnolino, osservai. <( Un cane? D chiese Kafka dubbioso. Un cane barbone! Può essere un cane, ma anche un segnale. Noi ebrei a volte ci sbagliamo tragicamente 'O. La si prenda sul serio questa frase, come la dizione di paranoia nella sua accezione di malattia dei segni, di chi, messo di fronte d'enigmaticità e alla seduzione della violenza offertagli, reagisce con un apparato per interpretare. In un certo senso, la condizione che noi abbiamo dinanzi è quella del Presidente Schreber, l'autore delle Memorie di un malato di nervi, oggetto del commento freudiano, e non solo. Che, analogamente alla figura di Kafka, è attratto e gestito dalla violenza del padre, pedagogo e inventore di macchinari educativi. Nella Colonia penale, si svolge, parimenti, un progetto educativo, di fondazione della società della Colonia, che nel sacrificio istituisce se stessa, gestisce la violenza, godendo di essa, e la offre come spettacolo ai bambini perché apprendano. Nella sua saggezza, il Comandante aveva disposto che si desse la precedenza [nella visione] ai bambini ». L'affinità con il linguaggio di Schreber non intende proporre un dossier Schatzman per Kafka padre, anche se i dati che abbiamo su quest'ultimo e sulle generazioni precedenti offrono un indubbio quadro di figure Del resto così definisce, nei colloqui con Janouch, la sua scrittura: «La materia deve essere elaborata dal pensiero. Che vuol dire? Vuol dire l'esperienza, nient'altro che l'esperienza e lo smaltimento di essa. Questo conta » (mia la sottolin.). Cfr. G. Janouch, Colloqui con Kafka, Guanda, Parma, 1991. Non t un caso dunque che la macchina della Colonia venga descritta contemporaneamente con due aggettivi, eigentumlich (singolare) e wohlbekannt (conosciutissima). Per le valenze semantiche dei termini, cfr. il commento e le note deli'edizione Marsilio della Colonia, già citata, a cura di L. Borghese. lo G. Janouch, op. cit., p. 136.


superegoiche, violente, difficilmente in grado di comprendere quel personaggio così particolare, chiuso e pensieroso ". << Sembrava separato da una parete di vetro D , dirà in seguito un suo amico d'infanzia. In effetti, il nesso con la questione posta dalla follia ci è offcrto da molteplici indizi. Si pensi, ad esempio, alla descrizione che l'ufficiale addetto alla macchina porge al viaggiatore: <( Nelle cliniche avrà visto apparecchiature analoghe, con la differenza che tutti i movimenti del nostro letto sono calcolati con esattezza ». Ora, osserva Wagenbach 12, il testo si riferisce qui alla rotatory machine di Cox che sostituì la camicia di forza. La macchina si basava sull'ipotesi che una nuova malattia, indotta artificialmente, sconvolgesse <( l'economia animalesca )> del malato, sì da procurargli la guarigione. La macchina è dunque lo strumento di un'operazione che si vuole, nella ripetizione di un vacillamento, come catartica, essenzialmente purificatrice '' ». Rivolgerci a Schreber, allora, è innanzitutto un modo per tracciare le condizioni di pensabilità di questa violenza circolante, dell'effrazione a cui costantemente alludono l'opera e la vita di Kafka. In secondo luogo, si tratta di guardare a questo stile visionario come ad una lente capace di rappresentare ciò che ancora non ci è dato di vedere. Una visionarietà anticipatrice la cui struttura ritroviamo, per fare un solo esempio, ne La notte di Elie Wiesel, là dove una donna, nella follia delle sue visioni, descrive anticipatamente, e senza che possa essere compresa, i forni crematori. Visione dunque che non solo coglie il reale del delirio, ma, in questa forma estrema, la follia contenuta nello stesso reale. Non solo: l'anticipazione è presa per follia e lo è anche, certo, ma

l1 K. Wagenbach, Kafka. Biografia della giovinezza, Einaudi, Torino, 1972. Mi sembra interessante far notare che lo stesso Kafka allude, nel notare da dove tragga spunto la disperazione degli scrittori ebraico-tedeschi della sua generazione, al fatto che essi sono in un « complesso paterno » che non riguarda tanto il padre, quanto l'ebraismo del padre. Come a dire: la relazione non è tanto con il padre ma con ciò che lo incatena alle generazioni che lo hanno preceduto. Si ricordi l'affermazione di Freud sull'identificazione del bambino con il super-io dei genitori. l* Cit. in Borghese, op. cit. l3 Non si può non pensare alla questione del transfert, naturalmente, così come varrebbe la pena di ricordare un testo di Mannoni del 1951, Lettres personnelles h Monsieur le Directeur, dove pone la questione persecutoria presente all'interno dell'analisi. Nel testo. trasoone il vissuto della sua esoerienza con Lacan, inventando una colonia immaginaria in cui i funzionari sono sostituiti dalla macchina - le maitre che sa tutto e tutto gestisce, amministra, calcola. I funzionari invece non fanno altro che scambiarsi lettere. L'amministrazione, dunque, non agisce affatto sul mondo esterno. E Maud Mannoni, da cui traggo queste note, osserva: << che si tratti deii'Impiegato o deila Macchina, chi possiede la verità dell'altro »? (cit. in M. Mannoni, Cosa manca alla veritd per essere detta, Borla, Roma, 1993). >

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di nuovo riappare quella incredulità, quella sottovalutazione dei segni che fa dire a Kafka che gli ebrei, a volte, si sbagliano tragicamente. Strano destino davvero per un popolo braccato, abituato a prestare ascolto ai latrati dei cani furenti. Ma non è forse il destino di Atteone, quello di confondersi sui favori della dea, non vedendone la collera che sta per scatenarsi e che lo prenderà? C'è, dunque, in filigrana, un'altra relazione che appare, la stessa che faceva dire a Canetti che il delirio di Schreber anticipava, in una forma meno rozza e più educata, la follia del nazismo l4 e che la paranoia era una malattia del potere. E che nel racconto di Kafka fosse in gioco il potere lo notarono già i primi commentatori. Così, in questo artificiale gioco di specchi che stiamo istituendo 15, perché non pensare alla serie di macchine inventate da Schreber padre come strumenti educativi, trasformate, nel delirio del figlio, nei miracoli mandati da Dio per perseguitarlo? Analogamente, in Kafka, le vicissitudini corporee vengono allucinate nella macchina paterna, quella del Comandante morto. Sj potrebbe addirittura pensare che il gesto estremo dell'ufficiale, quello di sottoporsi alla macchina della tortura, sia in relazione diretta con il viaggiatore che fa il morto, eludendo la richiesta dell'ufficiale di intercedere per il mantenimento della macchina come strumento di giustizia e che, nell'incomprensibilità che dimostra per l'operazione a cui questi si dedica, non fa che ripresentificare la posizione del padre respingente 16.

La macchina, o del mito delle origini Più in generale, la macchina sembra alludere, nella metamorfosi deformante in cui si presenta, alla generale condizione di ricettacolo, di contenimento, di significazione e di violenza che il soggetto incontra nella sua fuoriuscita dalla condizione di in-fans. Incontro che, nella sua dissimmetria, costituirà per sempre il mio senso su quello che altri hanno dato del mio. Tuttavia, nell'eccesso di violenza, e nella fondazione di un mito delle origini che non prevede la coppia ma la privazione di senso che scaturisce da un universo macchinifico, essa ne rappresenta, indubbiamente, il polo psicotico. l4

E. Canetti, Masse e potere, Adelphi, Milano, 1981.

Artificiale, ma non troppo. L'incontro con Schreber, sia pure nella figura degli orti Schreber, che si coltivavano alla periferia delle grandi città, segnala un curioso intreccio di meticolosità e di confusione. A tal proposito, vedi la lettera a Ottla del 5 maggio 1918, con l'elencazione minuziosa degli ortaggi che intende coltivare e l'improvvisa interruzione: «no, non so continuare, mi fa confusione, ma tu ci capisci P. Non c'è da stupirsi, in effetti, che la confusione nasca ail'interno deiia coltivazione familiare. l6 I n questa articolazione, si affaccia un'altra celebre macchina, quella influenzante di Tausk, proiezione del corpo del soggetto alle prese con la potenza deIi7Altro. l5


In fondo, ed è ciò che costituisce forse l'aspetto più radicale di quel rotolare via dal centro instaurato dalle tre rivoluzioni (Copernico, Darwin, Freud), l'incrocio necessario fra il discorso dell'Altro e ciò che di questo discorso il soggetto traduce, è il luogo più autentico del soggetto, il suo proprium, la possibilità cioè di ritrovare all'interno del predetto lo spazio di una parola propria. È anche per questo che una lettura alla Girard della Colonia penale, ma più in generale della stessa questione della pulsione, cioè del desiderio come desiderio mimetico, costruito ad imitazione dell'altro l7 e che pure sarebbe possibile, non ci soddisfa più di tanto. Ciò che appare nell'esecuzione della macchina è senza dubbio il godimento dell'Altro, del condannato, che scatena quello dell'ufficiale che vi si sottopone, ahimé inutilmente. Inutile perché manca l'Altro a cui solo può appartenere il godere. Difatti, nemmeno il condannato in verità gode, sebbene nella descrizione dell'ufficiale alla szsta ora egli finalmente si acquieta e comprende. Sarebbe certo possibile, ma solo nella specularità della comunità che vi assiste, nello sguardo dell'altro che in pompa magna corre a guardare e che dunque non può che trarre giovamento da questo spettacolo a cui si va per l'appunto come ad una festa. Ma ora lo sguardo non c'è più. Non basta il condannato canino o il suo sorvegliante né il nostro distaccato viaggiatore. Forse la macchina si dissolve perché l'antica Legge è morta, forse perché scopo ultimo del linguaggio è quello di distruggere il senso, catturandolo. 0, forse, perché le regole sono state trasgredite, perché la comunità non partecipa, gli antichi teatri sono abbandonati, e sulle scalinate di Epidauro resta solo la polvere spazzata dal vento. In breve, perché la cura, quella che si pensava possibile con la catarsi, non funziona, perché la storia è subita, perché il destino incide i suoi segni nella nostra carne e non v'è scampo, perché la letteratura, la macchina di scrittura (ma non è cosi per la vita stessa?) non guarisce. Ma una lettura di tipo mimetico determina la messa in forse di ogni proprium, con la scomparsa definitiva del rapporto con la storicità e la posizione occupata all'interno di uno scenario simbolico. In breve, essa è dimentica del ruolo dei processi autotraduttivi del soggetto la.

R. Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 1980. I n questa collocazione, così come io cerco di pensarla, il mimetismo rischia di occludere la questione della non coincidenza, di quello che resta a latere, come elemento non tradotto, neUa corsa ad essere l'altro. Ora, è indubbio che si può cercare di considerare tutto ciò secondo un'ottica diversa: quella che intende l'altro come Io, che pensa cioè all'alterità che appartiene all'Io. I n tal senso, indirizzarsi mimeticamente ai desiderio dell'altro è riconoscere quella lacerazione di sé che costituisce, nella sua essenza, il soggetto umano. Tuttavia il rischio è speculare: quello di risucchiare l'altro nell'Io, abolendo l'anteriorità essenziale a qualsivoglia gesto fondatore: per esempio, l'offerta che (l'Altro) mi porge mettendomi al mondo. Accantonare tale aspetto pone nuovamente al centro il soggetto con la sua attività fantasmatica, in una sorta di proiezione universale, essenzialmente autogenerantesi. Rimando, per tale questione, fra i l7 l8


Ritorniamo alla macchina, il cui fallimento, come sappiamo, segna forse l'incredulità di Kafka per la sua stessa opera, il segno che la letteratura non funziona più come macchina sacrificale. Si potrebbe anche dire, a questo proposito, che l'unico che creda davvero ad una lettura « mimetica D del desiderio è lo stesso Kafka. Ciò perché è fin troppo avviluppato nella sua convinzione di qualcuno che gli ha negato qualcosa, così come ama ricordare la sua impossibilità nel leggere la sera perché si doveva andare a dormire, e la chiavetta del gas chiusa gli impediva di continuare nelle sue occupazioni. Non si accorge, forse, che il suo dramma nasce dall'interesse che ha intorno a quella chiave che si gira. In fondo, tutta l'esistenza di pensiero di Kafka è una continua variazione sul tema dell'evento, colto nel suo valore di segno, astratto nelle sue valenze, dispiegato nelle sue possibilità. In questo, forse, è sospinto oltre che da un tentativo di metabolizzarne la portata, dalla sua ebraicità, dall'esigenza del Commento, della variazione, della glossa, del riportare il senso nelle lettere morte 19. Come non pensare allo spostamento che opera con il mito di Ulisse e con le sirene che in realtà sono silenti, o al Don Chisciotte che combatte con le macchine credendole mostri, perché con i mostri è ancora possibile lottare, mentre ogni speranza è cessata con le macchine? Così, intorno ad una chiave che si gira, ad una porta che non si apre, si snodano ere, percorsi sovrumani si spianano dinanzi ai nostri occhi, la vicenda diventa una questione metafisica e la letteratura si nutre di questo enigma, lo svuota nutrendosi, crescendo grazie a questa energia che le procura esistenza. Ma in questo suo crescere non può non ricordarsi dell'argilla da cui proviene, ed è allora che si sgonfia, la colpa si risitua, la condizione umana, solo umana della sua opera riappare, e con essa la disperazione di un destino così singolare che cerca di esserlo nell'unica forma che ad una singolarità è data per trasformarsi in universale. Come in Edipo a Colono, l'operazione di cancellazione del nome, la liquefazione del soggetto, la trasmutazione in lettere, segna la precarietà della sua sorte. A me pare che non si possa escludere, ad esempio, nella descrizione della pena del condannato, nella condizione aurorale che sembra raggiungere nelle poche ore di vita, una condizione ben presente nella letteratura ebraica, quella del Golern m. tanti possibili, ad un saggio di Laplanche: Faut-il brbler Melanie Klein?, in L a rkvolution copernicienne inachevée, Aubier, Paris, 1992, dove viene posta la questione deiia primarieth dell'introiezione (deil'Altro). l9 A dire il vero, tutto il rapporto di Kafka con la letteratura & assolutamente Incomprensibile senza far riferimento all'ebraismo. Cfr. G. Baioni, Kafka. Letteratura ed ebraismo, Einaudi, Torino, 1984; vedi anche Marthe Robert, Seul, comme Franz Kafka, Calmann-Lévy, Paris, 1979 (tr. it., Solo come Franz Kafka, Einaudi, Torino, 1982). Si veda ad es. G . Scholem, La Kabbalah e il suo simbolismo, Einaudi, Torino, 1980.


Statua di argilla alla quale, scrivendo delle lettere, si dona la vita, e che, privandola di una di queste, viene ricondotta alla condizione di elemento della terra. Nelle leggende, sulla fronte del Golem sta scritto emèth (verità). Ma poiché ogni giorno che passa egli diviene più grande, e da servitore che era diventa pericoloso, allora gli viene tolta la prima lettera, così che resta solo mèth (è morto), dopo di che egli cade a terra e non resta altro che un mucchio di argilla. Ora, non solo la creazione del Golem ricorda, nel passaggio dalla pura esistenza senza luce alla vita operata dalla scrittura, con la privazione della lettera perché ritorni polvere, il processo che si svolge nella Colonia, ma si può addirittura pensare che la radicalità di Kafka consista, nei testi in cui compare semplicemente come il signor K., nell'appropriarsi di quell'unica lettera, quella che funge sì da discrimine, ma anche da scarto, perché se indica il punto di articolazione fra la vita e la morte, è anche il punto di maggiore fragilità. Come se la condizione del Golem fosse rappresentazione della condizione umana, con il suo breve ciclo di nascita, di crescita e di morte provocata da un Dio troppo timoroso dei suoi figli e, insieme, rappresentazione della necessità di una scrittura perché la vita possa darsi. I n questo percorso, non è anche vero che chiunque può privarci di quell'unica lettera che segna il discrimine fra la vita e la morte, non è vero che bisogna diffidare, tenere la testa bassa, pensare alla vita in due come ad un incubo? Non ci si stupirà dunque se ricordo che l'immagine rimanda anche ad un fantasma di creazione anale operato dall'uomo. Ma proviamo ad interrogare meglio questa condizione di lavoro dell'evento.

Lavorare intorno ad una scena Ritorniamo alla Colonia ed ascoltiamo la colpa che il condannato ha commesso: « Quest'uomo, designato a dormire davanti alla sua porta, si è addormentato in servizio. Aveva la specifica consegna di alzarsi quando battono le ore e di fare il saluto militare alla porta del capitano. Alle due in punto Ci1 capitano] ha aperto la porta e lo ha trovato a dormire, tutto raggomitolato. Ha levato il frustino e lo ha frustato in faccia. Invece di alzarsi a domandare perdono, quest'uomo ha agguantato il padrone per le gambe e lo ha scosso urlando: butta via il frustino o ti mangio D. Ora, nei ricordi di Kafka è presente questa scena primaria: Kafka che si lamenta nel suo letto, chiedendo di bere, ma forse, come lui stesso indica, più per capriccio, il padre che infuriato si alza e lo chiude sul balcone. Non ne comprende il motivo, sa solo che da quel momento ogni notte teme che possa giungere il padre per prelevarlo e portarlo sul balcone. Così egli scrive: « Tra il fatto per me naturale di chiedere da bere e di essere messo fuori sul balcone io non riuscii mai a stabilire la giusta cor-


relazione. Ancora per anni soffrii al tormentoso pensiero che mio padre, il gigante, l'autorità suprema, potesse venire di notte, senza nessuna ragione, strapparmi dal letto e buttarmi fuori sul balcone » (Lettera al padre). È appena il caso di ricordare che tale scena riappare altrove, nel personaggio di Karl Rossman, lasciato sul terrazzo mentre Brunelda e Delamarche dormono insieme. Analogamente, nella scena della Colonia, la corrispondenza è perfetta: una porta che separa il condannato dal capitano, (sempre quella porta in cui non si può entrare), il dover dormire aldilà di essa, qualcuno che va a controllare cosa fa l'altro (da entrambi i lati ci sono i gemiti, quelli del bambino che si lamenta perché è solo e quelli della camera dei genitori), il rumore che deve svegliare l'attendente (il battere delle ore) e che gli fa fare il saluto militare, gesto di scherno, ma che è anche un portare le mani in alto, anziché in basso; l'ora del controllo (quando sono le due, o forse quando si è in due) e così via. Anche la frase « ti mangio » sembra riecheggiare le frasi del padre, « ti schianto come un pesce », « lo schiaccio come una cimice », ecc. La colpa, quella di svegliarsi al rumore, al battere delle ore, al tentare di fermare quei battiti, (il coito quale estrema punizione del matrimonio, dirà poi) si capovolge in quella di non essersi svegliato. In effetti è anche così, perché Kafka è sicuramente colpevole, dentro di sé, di non essersi svegliato, di non essere come gli altri, di non provare desiderio. Soffermiamoci un attimo sulla questione del rumore. Si ricorderà che in uii saggio del 1915 « Un caso di paranoia in contrasto con la teoria psicoanalitica » Freud riflette a lungo sul rumore che una paziente avverte e che sembra scatenare il delirio. L'osservazione di Freud non manca di far notare che il senso dell'evento è da ritrovarsi nella esistenza dei fantasmi originari, assumendo così un duplice aspetto: quello di tradire le relazioni sessuali dei genitori al bambino e, nello stesso tempo, tradire i1 rumore che lui compie nell'origliare. Tradimento duplice dunque, di un atto e di un desiderio 'l. Né si dimentichi l'esergo di questo lavoro, con il ricordo del rumore di una camera da letto che accompagna Kafka. Esso è intendibile, pertanto, come l'aspetto metonimico di una scena, l'elemento che rimanda ad un traumatismo enigmatico per il soggetto e che, in quanto tale, determina le condizioni di un lavoro di scrittura come tentativo di trasformazione di una violenza originaria, quella correlata alla propria percezione della sessualità. I fantasmi di una seduzione operata dal padre (l'attesa della sua venuta) e quelli di castrazione, appaiono così, allo stesso tempo, nell'opera di Kafka e nell'apparato di distruzione che ha eretto nei suoi propri riguardi. Nell'ultima fase della sua vita, colpito dalla tubercolosi nella laringe superiore, non riuscirà né a bere né a parlare. Lo si vedrà scrivere gli

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G. Rosolato, Essai sur le symbolique, Gallimard, Paris, 1969, p. 202.


ultimi messaggi su dei pezzi di carta, per indicare nella disperazione della sua sete una vana richiesta di aiuto. Come non ricordare quella sete, la sete di quella notte Come non riandare a quella porta, a quella chiave, a quel giro di serratura, a quel giro di vite che egli compie dentro di sé? « Oggi, nel pomeriggio, mentre ero a letto e qualcuno girò rapidamente una chiave nella serratura, ebbi un istante tutto il corpo coperto di serrature come a un ballo in costume, e a brevi intervalli una serratura veniva aperta o chiusa ora qua ora là » (Diario, 30.8.1912). Dicevo prima delle variazioni su tema ed è in quest'ottica, dopo lo stare dinanzi alla porta aperta della Legge senza potervi mai entrare, o il dormire dinanzi ad essa, che compare la trasformazione in serratura. Essere quella serratura, essere là, interno-esterno a quella porta, godere di una chiave che gira nel proprio interno, essere aperti e chiusi, elemento nelle mani del gigante, buco dal quale guardare se stessi nell'atto di guardare, casualità e divertimento sadico dell'aprire o del chiudere all'altro, godimento sadico perché nel sadismo supposto di tale godimento è venuto meno, perché impedito, quello sessuale, e dunque non resta ... che cosa? Ma il « che cosa? » è anche il modo con cui ci rivolgiamo all'altro che non abbiamo inteso, il « che vuoi » che è sempre, nel momento in cui lo porgiamo, una duplice interrogazione, sull'altro e su noi stessi. All'inizio di questo percorso si diceva che il visionario kafkiano era forse un modo per interrogarci, ed è della pista appena lanciata che vorrei riprendere le fila. Pena, altrimenti, di ritrovarsi nella condizione di Odradek, fatto di fili spezzati, senza legami, senza antenati, senza figli: ed è questo il modo in cui lo stesso Kafka si descrive. Ma allora, il punto di giuntura è nella venatura che scorgiamo nel nostro stesso gesto. In breve, l'interesse per Kafka nasce sì dalla passione di un legame, di un laccio che inviamo all'altro, ma è un gesto che non può non avvertire questa stessa passione, quella del legare, dell'imbrigliare le forze distruttive, quello che insomma dovrebbe costituire l'etica di una analisi, come articolato, nel profondo, con il dubbio che queste stesse forze possano prendere il sopravvento, che questi stessi fili spezzati siano i fili che crediamo di tessere e che il gomitolo che ci demmo è troppo breve per portare alla luce i Minotauri che albergano nei nostri cuori. Non mostri spaventevoli in verità, ma esseri lacerati, ombre doloranti, figure imploranti, come nella novella di Borges, in cui il Minotauro non è altro che un povero essere che corre gioioso incontro agli umani, felice, finalmente, di incontrare qualcuno che, per la ripetizione del destino, non può che rinnovare l'antico gesto, quello della messa al bando. Insomma si scioglie un testo per poter continuare a tessere, per cercare stoffa con cui provare a cucire gli strappi che i dolori, il tempo, le lacerazioni della carne, ci impongono. C. Couvreur, Le jour o& Beethoven est devenu sourd, « Revue frangaise de Psychanalyse », 5, 1991, p. 1078-1093.

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Compito non proprio a buon fine se nell'Edipo la voce del coro non giunge che ad invocare il me funai, meglio non esser nati. I n questo senso, cerchiamo di collocarci in una condizione originaria, cioè mitica, come del cacciatore che per cacciare la preda deve sentirla dentro di sé. Allora, provare ad ascoltare la propria voce è un modo per giungere a quella, sopita, di Kafka. Se il percorso che abbiamo indicato appare chiaro, si può pensare ulteriormente a questo sforzo di cogliere non i significati degli enunciati ma, piuttosto, il valore trasformativo, il lavoro che l'opera produce: il luogo dell'enzlnciazione, che se coincide con il biografico lo è per la condivisione di stratificazione, di enigmaticità. In questo senso il biografico non è la spiegazione dell'opera, ma la sua ineludibile e oscura precondizione, lo spazio in cui si determinano le coordinate di un processo. In breve, è alla condizione dell'in-fans che ci siamo appellati come condizione sempre presente, da intendersi non come il segno di un tempo andato ma non troppo, quanto, piuttosto, come un apparato di trasformazione sempre all'opera. Del resto, la presenza di questa voce, situa la questione là dove ci eravamo posti, nel luogo cioè dell'enunciazione, nella domanda che la parola dell'altro ci rivolgeva, più che nella presunzione di una risposta da opporgli. In questo senso, ritroviamo la condizione enigmatica di questa domanda, il <( che vuole >> che la stessa offerta ci permette e ci obbliga, come in ogni scenario di seduzione, a pronunciare. Detto in altro modo, perché tale enunciato è stato proposto? Perché questa voce mi è indirizzata e, soprattutto, che cosa vuole da me? Non è un caso che la voce sia una presenza costante in Kafka. Così, in un frammento senza data, scrive: <( Mi dispongo a scrivere ciò che ho sentito, ciò che mi è stato confidato. Ma non mi è stato confidato come un segreto da mantenere; l'unica cosa confidatami fu la voce che parlava, il resto non è segreto, è soltanto pula D. 0,ancora, in una lettera a Felice (22.1.19 13): <( Dal telefono non arrivava nulla se non un canto triste, possente, senza parole, e il fragore del mare ». Qui la voce appare come espressione inarticolata di un affetto che non può dirsi, memoria di suoni antichi dinanzi ai quali il piano del linguaggio, l'articolazione, l'entrata nel mondo delle relazioni è soltanto da odiare. I1 rimando al piano della relazione primaria appare forte, così come è posto, con chiarezza estrema, nel successivo frammento: <( Vidi il viso forte di una donna che si affacciava a guardare. (Mamma?) feci sorridendo. Se vuoi, disse lei. (Ma tu sei molto più giovane del babbo, osservai). Sì, disse lei, molto più giovane: lui potrebbe essere mio nonno e tu mio marito ». In un certo senso, l'aspetto più interessante del frammento non è l'esplicitazione di uno scenario fantasmatico, così manifesto, così diretto da pensarlo un poco come la scritta stanza del tesoro in una piramide: la si trova sempre vuota. Più interessante, ai miei occhi, appare lo spostamento del padre nel ramo materno, la sua femtninilizzazione, di certo anche sufficientemente


razionalizzabile per la presenza, in quel ramo, di studiosi, di persone apparentemente più simili a Franz che non i macellai della famiglia Kafka (macellaio era il nonno paterno). Ma non basta: il desiderio di una specularità del desiderio, la fascinazione dello sguardo, si mescolano con un livello sottostante, fatto di effrazione, di cattura (come non pensare allo sguardo della sfinge?), di impossessamento. Insomma la voce del materno qui è fin troppo mescolata a quella del mortifero. Dovremmo ormai esserci abituati alla natura stratificata di ogni espressione kafkiana, che dalle piaghe di un corpo vola fino alle altezze del Libro dei Libri, fino all'esegesi talmudica, all'esplicazione di una possibile verità di un destino lacerato. Credo che questo sia il valore del visionario a cui alludevo all'inizio di questo percorso, quando ne proponevo il nesso con il maestro Schreber. Parimenti, se la visione kafkiana offre un fertile punto di osservazione, lo è in quanto permette di cogliere il nesso fra organizzazione e disorganizzazione delle pulsioni, il livello di istituzione del soggetto nelle maglie dei fantasmi originari e la qualità destruente che gli stessi possono avere. Questa pluralità di livelli la si reincontra, per fare solo un esempio, in quel punto della Colonia in cui il condannato, sottoposto alla macchina, è costretto a prendere in bocca un feltro disgustoso, morsicato dalle centinaia di agonizzanti che lo hanno preceduto. Rivelazione delle problematiche incorporative del sacrificio (in fondo il supplizio è un sacrificio rituale), rappresentazione del fantasma di un capezzolo persecutorio, ritrascrizione di un passaggio riflessivo sull'autobiografico. Nel Diario, 3.8.19 17: Ancora una volta mandai nel mondo il mio grido a pieni polmoni. Poi mi cacciarono in bocca il bavaglio ». Ma l'atto, nella sua polivalenza, rappresenta sostanzialmente altro: il livello di questa scena di violenza originaria che è sottesa alle pagine, ai pezzi di vita descritti, in breve, quell'orrore di cui intravvedevamo l'ombra nel silenzio della sua voce. Cosicché il bambino orifizio, il bambino cavità, in cui qualcosa è introdotto a forza, mi pare illustri sufficientemente bene questo livello penetrativo dell'altro, non gestibile con il solo autoerotismo. È qui, in questo scenario di violenza, che si colloca una riflessione di Laplanche sulla distinzione fra modalità relazionali, fra impianto e intromissione (dell'Altro) Mentre l'impianto designa il processo normale di trasmissione dei significati, fissati nella pelle psicofisiologia di un soggetto il cui inconscio non è ancora differenziato e sui quali si operano i primi tentativi di traduzione, l'intromissione ne designa il lato violento, patologico. Questione da pensare nell'impedimento che determina di ogni tentativo di ripresa autotraduttrice, di ogni tentativo di pensare e di colmare le lacune delle origini, cortocircuitante la differenziazione, determinante all'interno del soggetto un elemento ribelle a qualsivoglia metabolizzazione. J. Laplanche, op. cit.


E mentre l'impianto ha a che fare con la globalità e la superficie del corpo, la modalità violenta è in relazione maggiore con l'analità e l'oralità. Così, se il corpo è in primo piano nello scenario allucinato della macchina, lo è tuttavia in una formulazione estrema: come corpo da distruggere, da segnare, da dissezionare, come bocca da tappare, come schiena da incidere. La posizione del condannato, il suo posto, il tampone per impedirgli di urlare divengono così i segni visibili di questa modalità di relazione all'Altro. Altro dunque da temere, da tenere a distanza. La voce allora, quel piano inarticolabile dell'affetto, diviene, per l'ombra di violenza che lambisce, ripresentificazione di un dramma, rischio di una presenza minacciosa. Non è un caso che la riflessione a tal proposito si snodi, ancora una volta, intorno al tema delle macchine, alla distinzione che Kafka pone fra le macchine che avvicinano (il treno, l'auto), tese ad instaurare relazioni materiali e quelle che allontanano, reintroducendo il fantomatico fra gli uomini (posta, telefono, telegrafo). Felice lavorava in un'impresa di parlografi e Kafka è preso dalla idea di piazzare parlografi negli hotels, nei treni, sulle navi, combinandoli con macchine da scrivere, telefoni, ecc. Qui, il fantomatico è che ci permette la riapparizione della voce, della presenza in un'assenza. Ma, nello stesso tempo, la fantasia di diffondere ovunque la possibilità di una voce, di farla giungere nella sua forma alienata, meccanizzata, ripresentificazione di un piano non rivolto a lui o da lui pensabile solo nella forma dell'estraneazione, non è che il tappo da infilare nella bocca della comunità. Tesa ad ascoltare la voce dell'Altro, dall'Alto, non disporrà che della propria afonia, della disposizione all'ascolto di ciò che potrebbe giungere, non avrà che la fascinazione dell'istanza suprema, della voce delle ingiunzioni. Perché non pensare ad una città in cui dagli altoparlanti, a cadenze regolari od occasionali, (perché no, si renderebbe ancora più spasmodica l'attesa) giungano i sii giusto », <( rispetta il tuo superiore P, gli « obbedisci che la macchina incide nella carne degli esseri umani? Ma è una scena già vista: si ritorni indietro, di ere, e si pensi alla Repubblica di Platone. Lì, Platone è angosciato e affascinato da una voce che è come un brusio sommesso: immagina tutte le balie che raccontano fiabe commoventi o paurose ai bambini, i futuri cittadini. Ma non solo, esse parlano loro, ma di quel che dicono che cosa sa effettivamente il filosofo? Che cosa si mormora mentre io non sono in ascolto, mentre io non posso ascoltare? Ed allora non resterà che pensare a fiabe filosofiche di stato, precetti ed ingiunzioni istituite dall'Alto e che i poeti metteranno in bella forma. Saranno quelle le nuove favole per i futuri cittadini modello, le voci cesseranno di perseguitarmi e i miei. sonni, forse, saranno finalmente tranquilli. È appena il caso di sottolineare l'interesse di Kafka per i dialoghi platonici. Ma l'assonanza, ovviamente, non è di tipo filologico: non intendo


provare la sovrapposizione di testi, ma piuttosto cerco di rendere conto, di pensare il rapporto che In Kafka si instaura con quel luogo che, apparentemente, non è ancora soggetto alle Leggi, il luogo della voce umana. Lyotard, in un suo lavoro sulla Colonia penale 24, riprende tale tema che aveva, del resto, già sviluppato in un precedente articolo. Li, egli si interrogava sul destino della voce, della phonè, nell'articolazione del linguaggio. Chiamava phonè il piano dell'affettivo, ciò che non ha articolazione dialogica, collocazione temporale, una sorta di voce non ancora interpretata dall'altro; e traumatico, seduttivo, l'incontro con il linguaggio, proprio perché mirante ad articolare, a disciplinare, a commentare quella stessa voce, quella primaria iscrizione. Ora, in un ragionamento che riprende questa prima collocazione, articola una riflessione sul tema della Colonia penale in cui il posto della phonè è occupato dal corpo e la Legge, invidiosa di esso, della sua primarietà rispetto ad essa, mira a possederlo. Primarietà del corpo che viene sempre in un tempo ante, gelosia della Legge della autonomia di quello, il che spiega la durata ddl'agonia: <( L'agonia propriamente detta, la lotta del corpo contro la Legge, cessa alla sesta ora e, se poi non accade più niente, è perché il ri-tocco dell'ordine, la si;a postilla, ha cancellato il marchio iniziale Movimento, si potrebbe dire, di cattura dell'originario, dell'iscrizione del soggetto desiderante nelle maglie della Legge che ne impone, ne prescrive, ne regola i movimenti, le direzioni, i flussi. Per la Legge il corpo è di troppo. Impostazione che ricorda fin troppo i flussi libidinali che 1'Edipo freudiano vorrebbe canalizzare, con tutti gli Anti-edipo che ne sono seguiti, l'antipsicoanalisi ecc. A me pare, invece, che lo specifico di Kafka non è che il corpo è già nato. Al contrario. Dietro la violenza di cui incolpa la Legge, per la durezza, la gratuità, l'insensibilità di cui si è macchiata (che rapporto c'è fra voler bere ed essere chiuso sul balcone?), appare la violenza di Kafka nell'opporsi alla Legge, perché, lui, di voler nascere, nell'unico modo che riesce a pensare questa nascita (quella del traumatismo enigmatico, cioè la violenza gratuita che si svolge intorno ad una camera da letto), non ne vuole sapere affatto. La legge è sì colpevole, ma di consegnarlo al tempo, ad una condizione destinale in cui qualcuno possa indirizzarsi a qualcun altro. Non è dunque vero che un punto: il corpo si ribella alla Legge, alla violenza dell'interpretazione, alla preesistenza di essa (siamo da sempre iscritti in un discorso); e quando questo non è possibile, cosi come forse è accaduto per Kafka (si ricordino i fili spezzati di Odradek, segnale dell'assenza di un desiderio che possa finalmente riconoscerlo) allora non resta che la dissoluzione di quel corpo stesso. 24

J. F. Lyotard, La prescrizione,

25

Lyotard, op. cit., p. 50.

<(

aut-aut D, 1990, 237-238.


Forse è per questo che il viaggiatore non riesce a leggere i disegni, come se l'unico modo per non essere Edipo, per non ricollocarsi in una genealogia, fosse quello di tacere, di non rispondere alla questione che la Sfinge gli pone. Essere come il padre, il comandante morto, assassinio occultato dal disseppellimento tentato dal figlio ufficiale, prendere il suo posto non è possibile: sarebbe un prendere parte all'unico scenario che la sua mente intravede, l'amministrazione della macchina. Quanto alle donne poi, ben misero sollievo, il dono di fazzolettini per il collo, delle mani che giocherellano con le nostre dita: a questo si riduce la presenza femminile nella Colonia e, dunque, cosa potrebbero mai fare dinanzi allo scenario che si dispone, quale ristoro potrebbero darci? Kafka vuole sfuggire al destino, a ciò che si inscrive nelle linee di una mano, nelle pieghe della carne e tenta di farlo mimando, come per creare uno spazio di duplicazione, un come se che possa condurre d'inganno in cui si cade ogni volta dinanzi al doppio. Scrive per non essere iscritto. Invia lettere affinché una lettera non giunga mai a destinazione. I messaggi dell'imperatore, è noto, non arrivano neanche nel villaggio più vicino. Condizione tuttavia paradossale perché, come è ovvio, il fatto che una lettera non giunga a destinazione non esclude che si venga comunque impegnati nella chiamata, fosse pure sotto il segno dell'assenza. E anche noi, in fondo, perché scriviamo se non per sfuggire ad un destino, quello di disperderci nelle mille voci, nei mille ruoli che le analisi, la nostra personale e quelle dei pazienti, ci affidano? Scrivere non è dunque ritrovare la presenza di quel proprium che è la nostra firma, la ricerca di uno spazio in cui non essere iscritti? Ma lo è poi, davvero? D'altra parte, quale destino ci aspetta? I1 soggetto conosce in anticipo la sua sorte, non l'apprende forse che al momento della morte, il momento in cui null'altro può aggiungersi, in cui il tempo si è compiuto? Posizione corretta, come commenta Lacan: <( [Il non sapere del soggetto] è un sapere, ma un sapere che non comporta la pur minima conoscenza, essendo iscritto in un discorso di cui il soggetto, al pari dello schiavo messaggero dell'uso antico che ne porta sotto la capigliatura il codicillo che lo condanna a morte, non sa né il senso né il testo, né in che lingua è scritto, e nemmeno che è stato tatuato sulla sua pelle rasata mentre dormiva » %. E dunque, come potremmo poi pensare di leggere alcunché? Eppure, questo spettacolo si rappresenta, come nell'uso antico. La folla assiepata, il coro, il Destino che si compie, la comunità che si riflette nel punto in cui le leggi vacilalno, in cui l'eroe getta la sua ubris, il tempo della collera, della pietà, dell'orrore. Ed allora, questo posto di volta in volta occupato dal nostro simile, la questione di cosa si rappresenta oggi, la mia, la tua di storia, quella di mio figlio, non pone una domanda ancora più radicale?

26 J . Lacan, Dialettica del desiderio e sovversione del soggetto, in Scritti, Einaudi, Torino, 1968, p. 806.


E se Kafka non avesse occupato questo posto, chi di noi lettori avrebbe dovuto occuparlo. Nello spettacolo che così si rappresenta noi non siamo, per questa volta almeno, ma di certo ogni volta che riusciremo a gettarlo sulla scena, esenti dal dover occupare un simile destino? Non siamo esentati, così facendo, dall'occupare la condizione del pharmakos, non siamo forse nella condizione del viaggiatore che navigando fra i testi di cui non comprende più il senso, le motivazioni, o il <( chi parla D, può entrare senza rischio in questo scenario di sofferenza, di passioni, visitare il paese dei mai nati, così come Kafka si descrive? C'è un testo di Bataille che fa al caso nostro: <{ Uno dei proverbi di Blake dice che se altri non fossero stati folli, saremmo stati noi a doverlo diventare. La follia non può essere rigettata dall'intelligibilità umana, che non può essere raggiunta senza il folle. Nietzsche che diviene folle - al nostro posto - ha reso questa intellieibilità possibile. Ma il dono che un uomo fa della sua follia ai suoi simili può essere accettato da essi senza che gli sia reso con usura? ». È per questo, credo, che mentre provo ad individuare il posto che sarebbe stato mio se altri non lo avessero occupato, pure, di quel posto, per la possibilità che mi appartiene, sento che non posso non occuparmene, fino a duplicare a mia volta una scena, sino ad ascoltare le mie voci, nella speranza che, come accade con quelle dei defunti, una ci sia familiare e ci detti le condizioni del nostro interrogare. Ma per questo bisogna assimilarsi, fare di Kafka il mio prossimo, mimarlo (in uno spazio che non schiacci il desiderio dell'uno su quello dell'altro, ma che ne permetta, nella dissimmetria, un movimento di non saturazione e di emergenza di ciò che è proprio) 27.

27 Di che mimetismo si tratta dunque? Forse potremmo ricordare, qui, la distinzione platonica fra minzesis illusoria e mimesis filosofica, fra una mimesis che conserva (un esempio per tutti: Erodoto che racconta come Clistene, in un attacco bellico, mimasse il nonno materno identificandosi a lui) e quella che nell'imitare riconosce I'alterità nel nostro stesso desiderio di assimilazione - e dunque la mantiene, trasformando noi stessi -. Evidentemente, con ciò, intendiamo collocarci in un mimetismo controllato D. Non solo: c'è, di fondo, la questione che appare nel grido di battaglia di CIistene, quella di un'altra voce, di un'altra presenza dietro quel gesto che noi dichiariamo con orgoglio, nostro. I1 « pericolo » che allora adombriamo, in questa regolamentazione della relazione con Kafka, è di perdere forse ogni nostra collocazione, di ritrovare, sorpresi, la sua voce dietro la nostra? E non appare dunque, di nuovo, dietro la questione del mimetismo evocato dal gesto di Clistene, la presenza della violenza? Non è quello stesso mimetismo lo scatenamento di un gesto di distruzione dell'altro? Indubbiamente. Ma nella circolazione di una moneta, qualcosa comunque resta, si trattiene, ne costituisce il resto ineludibile. Anche se ciò che rappresenta quel proprium di cui dichiaro l'esigenza ci è dato, forse, dalla limatura della stessa, quella parte del tesoro comune che l'usura del tempo ci ha consegnato. I n altre parole: proprio perché non tutto si trasmette, qualcosa ci appartiene, fosse anche sotto il segno, inevitabile, di una mancanza, quella di una moneta perduta per sempre.


Ma come costruire uno spazio (auto)rappresentativo laddove l'oggetto da catturare si riflette a sua volta in una nuova specularità? Come afferrare ciò che si sottrae mimeticamente? « I1 mio decadimento spirituale cominciò con un gioco infantile. Simulavo dei tic facciali » (Diario, 1922). Se l'osservazione segnala il fallimento di un'introiezione, essa indica, inevitabilmente, le aporie a cui va incontro il nostro stesso riflettere sull'altro. Ma così facendo si apre la singolarità di una vicenda che, se si sottrae all'apprensione dell'Altro, offre però, in questa sottrazione, lo spazio perché una voce possa dirsi. La citazione di Kafka che abbiamo posto all'inizio di questo scritto appare ora chiara. Quella camera che attraversa tutta la sua esistenza e quel tentennio di oggetti non fissati non sono che l'eco, mai sepolta, del possibile dramma che si compie nell'incontrare la Legge che ci inscrive in una genealogia 28. Quel rumore, il rumore della pulsione, è lo stesso che dà origine all'opera, al lavoro di una traccia che insepolta continua, enigmaticamente, a segnare un destino. Ma è un destino che appartiene a tutti noi. Quello di pensare cioè l'altro secondo le modalità che ci sono proprie, anche se quel proprio non è che la traccia (deformata, tradotta, ma pur sempre traccia) della sua voce. Ma è anche vero, inversamente, che nel tentativo di dare spazio alla voce di Franz Kafka, nelle deformazioni traduttive che ho operato, nelle connessioni che ho stabilito, non ho fatto altro che costruire uno spazio di risonanza per le voci di dentro.

28

« fase

Non è eccessivo, credo, pensare a quel tentennio come ad un vacillamento della dello specchio » postulata da Jacques Lacan.

MAURIZIO BALSAMO è psichiatra e psicoterapeuta (Società Psicoanalitica Italiana). Ha pubblicato vari lavori su riviste specializzate. Sta per pubblicare presso Borla un suo libro (con F. Napolitano) sul tema delle costruzioni in psicoanalisi. 104


Potere di CONSUELO CORRADI

Quando questa notte andrà lentamente dileguandosi, chi sarà ancora vivo di coloro la cui primavera ha avuto apparentemente una fioritura cosi rigogliosa? E che ne sarà divenuto, interiormente, di tutti loro? Amarezza e avvilimento, oppure un'ottusa accettazione del mondo e della professione, o ancora - terza ipotesi e non la più rara - fuga mistica dal mondo per chi ne ha avuta l'inclinazione o - peggio e più spesso - per chi vi si getta per seguire la moda? I n ognuno di questi casi io trarrò questa conseguenza: costoro non erano maturi per la loro azione, r_é per il mondo quale è realmente né per la sua realtà quotidiana; non hanno avuto, oggettivamente ed effettivamente, nel senso più intimo, la vocazione per la politica, a cui si credevano chiamati. Avrebbero fatto meglio a praticare schiettamente e semplicemente la fratellanza da uomo a uomo e per il resto dedicarsi concretamente al lavoro quotidiano. (Max Weber, La politica come professione)

I1 difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è. (Marguerite Duras, L'amante)

La sua testa, sulla spalliera della sedia, aveva seguito lentamente i movimenti del fanciullo che camminava laggiù; ora si sollevò come per andare incontro a quello sguardo, e ricadde sul petto, così che gli occhi guardavano di sotto in su, mentre il viso mostrava l'espressione rilassata, interiormente assorta del sonno profondo. Ma gli parve che laggiù il pallido e leggiadro psicagogo gli sorridesse, gli rivolgesse un cenno; gli parve che, staccando la mano dal fianco, indicasse lontano, gli facesse strada librandosi in un'immensità colma di promesse. E come già tante volte era accaduto, egli si accinse a seguirlo. (Thomas Mann, La morte a Venezia)


Per una sociologia del corpo di ENRICO

POZZI

Entità prive di corpo e di affetti agiscono inspiegabilmente tra scheletri di cose. Può sembrare la descrizione delle fantasie allucinatorie che accompagnano i deliri di fine del mondo. È la descrizione del come buona parte della sociologia ha ritenuto di rappresentare il sociale come accadimento umano. Non ci interessa qui il carattere insensato, eppure spesso fecondo, di questa raffigurazione. Né è questo il luogo per tentar di mostrare quanto, e con quanta ostinazione, quasi tutta la tradizione sociologica si è riconosciuta in questo modo di sentire il suo oggetto anche quando ha preteso diversamente. Ci interessa qui un corollario della raffigurazione, che la dimostra e la fonda: l'eliminazione del corpo dalla percezione sociologica del vivere umano. Le domande principali sono due: a. La sociologia ha effettivamente eliminato il corpo dal sociale? Perché? Con quali strategie euristiche? Pagando quali prezzi? b. È possibile riportare in qualche modo il corpo nella riflessione sociologica? Quali possono essere le linee-guida per una sociologia del corpo? Quali i problemi, quali le prime mappature e classificazioni, quali le prime direzioni di ricerca?

Le pagine che seguono non daranno risposte esaurienti a queste domande: al massimo, tra semplificazioni e arbitrii, qualche indicazione di lavoro, una apertura di dibattito, e la misura di quanto l'ingresso autentico del corpo nella riflessione sociologica investe la definizione del suo oggetto, alcuni aspetti delle sue basi teoriche e della sua scrittura, e gli stessi confini della 'disciplina'. Un esito disastroso sarebbe che qualcuno pensi alla « sociologia del corpo » come ad un'altra sociologia specifica da aggiungere alla panoplia di sociologie settoriali che hanno volto in ridicolo la sociologia come sapere scientifico mentre l'hanno rafforzata e protetta come istituzione.

1.

Un sociale senza corpo

La sociologia ' organizzata è indifferente al corpo. La voce « corpo D manca nelle due edizioni della Encyclopaedia of the Social Sciences, e in Per sociologia intendiamo qui non le generiche scienze sociali, ma la sociologia in senso stretto, così come ha voluto differenziarsi con forza e in modo organizzato rispetto a discipline contigue come l'antropologia, la psicologia, la psicologia sociale, la storia, ecc.


tutti i dizionari, repertori e enciclopedie sociologiche di qualche rilievo pubblicati in inglese, francese, tedesco e italiano. La maggior parte dei thesauri e degli indici di repertori bibliografici la ignora. I1 corpo in quanto tale non è menzionato come area di lavoro nelle maggiori associazioni sociologiche nazionali, mentre in alcune associazioni internazionali fa qualche magra apparizione - di solito in posizione ancillare rispetto alla sociologia della medicina o dello sport. Solo di recente sono emersi timidi segni di interesse specifico: il numero speciale di Current Sociology, rivista della International Sociological Association, dedicato a « Les Sociologies et le Corps »; un paio di gruppi di lavoro (su oltre 80) nel recente Convegno del Centenario dello Institut International de Sociologie a Parigi. Per quanto riguarda la sociologia italiana, quasi nulla, né implicito né esplicito. A questo vuoto ufficiale non corrisponde nessun pieno ufficioso. Le pubblicazioni e gli articoli che si propongono una lettura sociologica del corpo sono rari, concentrati intorno ad alcuni gruppi locali o persone: per qualche tempo in Francia il gruppo di lavoro coordinato da Berthelot (Tolosa), oppure alcune incursioni del laboratorio di Bourdieu; in Inghilterra, articoli sporadici nella rivista di Featherstone, Theory, Culture and Society, raccolti di recente in volume. Qua e là, individui di valore diseguale, mai correnti o scuole: Le Breton, B. Turner, D. Levine, e pochi altri. La Bibliografia internazionale sistematica che chiude il fascicolo di Current Sociology dà un totale di 697 voci. Sembrano tante solo a chi dimentichi che una Bibliografia generale della sociologia si aggira ormai oltre le l iomila voci. Sono ancora di meno se si considerano i criteri assai elastici usati da Berthelot: la sua bibliografia mette insieme scritti di antropologia culturale, antropologia fisica, antropologia criminale, semiotica del gesto e della comunicazione non verbale, le inchieste descrittive de11'800 e del primo '900 sulla salute e le condizioni di vita nelle fabbriche e negli slums, la psicoterapia di gruppo, la medicina alternativa, la filosofia, la storia. In sostanza uno zibaldone dove si mescolano Bourdieu e Jankelevitch, Lombroso e Simmel, Niceforo e Kantorowicz, Bertillon e Marx, Durkheim e Bateson, Piattelli Palmarini e Goffman, ecc. Questa tendenza a uscire dai confini della sociologia in senso stretto è comune a tutti gli scritti che tentano una genealogia della riflessione sociologica sul corpo. Obbligato a questa genealogia, Berthelot tira fuori di tutto, mettendo sullo stesso piano Quetelet e l'uso delle metafore organiciste da parte dei darwinisti sociali, il Buret di De la misère des classes laborieuses en Angleterre et en France e il Mauss delle Techniques du corps, la Scuola di Chicago e un breve intervento di R. Michels sul pudore. Malgrado questo, le voci bibliografiche fino al 1945 sono solo 85. Nell'articolo che introduce il volume collettivo The Body. Social Process and Cultura1 Theory, per rintracciare la « Secret History of the Body in Social Theory » Bryan Turner analizza il pensiero di Nietzsche, Derrida, Elias e Foucault (nel paragrafo precedente, l'atteggiamento della sociologia classica verso il corpo viene liquidato in 6 pagine, comprendendo tra i 'classici' anche Goffman e Bourdieu). Nello stesso volume, A. W. Frank


(For a Sociology of the Body: an Afialytical Review) menziona indifferentemente antropologi, filosofi, psicoanalisti, storici, ecc. accanto ai sociologi in senso stretto. I1 corpo deborda la sociologia. Forse perché è inerentemente destinato a debordare ogni singola prospettiva (su questo torneremo). Ma forse perché il vestito che la sociologia gli ha offerto è stato a sua volta particolarmente stretto. Non che la riflessione sociologica non parli del corpo, ma lo fa en creux, come vuoto simmetrico al proprio pieno, come confine che disegna un non luogo a procedere e una rimozione. Alcuni dei sociologi citati sopra si sono chiesti il perché di questa tensione tra la sociologia e il corpo. Le risposte non sono un omaggio alla immaginazione sociologica. La spiegazione principale viene cercata nella trasformazione delle percezioni sociali del corpo nelle società industriali avanzate. Con un curioso procedimento in negativo, si propongono delle ipotesi sui perché del barlume d'interesse che la sociologia sta mostrando per i corpi, e si capovolgono queste ipotesi per spiegare perché prima di questa trasformazione il corpo rimaneva invisibile alla sociologia. In questa prospettiva, !a maggiore attenzione della sociologia sarebbe il corollario di una maggiore visibilità sociale del corpo legata alla sua crescente problematicità. Le ragioni specifiche di questa crisi sociale del corpo variano da un autore all'altro, ma possono essere raggruppate intorno a quattro ipotesi: a) la crisi dei modelli di genere sessuale, collegata in modo intrecciato alle trasformazioni della famiglia e dei ruoli sessuali; b) l'impatto del femminismo, che modifica l'assetto generale dei corpi, impone nuove rappresentazioni, proietta sulla scena sociale nuovi soggetti forti che rivendicano la dimensione della corporeità e ne storicizzano le forme tradizionali; C) le trasformazioni demografiche e antropometriche: l'invecchiamento della popolazione, i nuovi assetti intergenerazionali, le modifiche della struttura fisica dei corpi ecc., investono il corpo, le sue forme di vita e di morte, le gestioni e rappresentazioni della malattia e della decadenza fisica, i livelli della medicalizzazione, la sua accessibilità all'intervento umano (dai trapianti alla inseminazione artificiale, dalla chirurgia estetica all'intervento sui suoi processi fisiologici e neurofisiologici); il corpo ne esce socialmente sovradeterminato, con miriadi di agenzie sociali diverse che lo mappano tramite i loro apparati e funzioni; d) le logiche del cosiddetto post-moderno: il passaggio dal modello della gratificazione differita al modello della gratificazione immediata, I'accento crescente sul corpo consumatore rispetto al corpo produttore, la cultura del narcisismo e le sue conseguenze sulla rappresentazione corporea del Sé, ecc. Queste ragioni di una qualche tendenza attuale della sociologia a occuparsi del corpo sarebbero ab inverso le ragioni della sua indifferenza passata: stabilità dei modelli di genere tradizionali e delle forme familiari


che li fondano e riproducono; predominio sociale e culturale del rnaschic e delle sue rappresentazioni della realtà, alle quali inerirebbe l'astrazione come rivendicazione della cultura contro la natura, appannaggio della donna; stabilità degli assetti demografici, e dunque delle ritmicità collettive dei corpi (tempi di vita e di morte, periodizzazioni delle età, cicli della generatività, della decadenza e della malattia); infine, il corpo produttore, basato sulla repressione e la svalutazione del piacere. Tutte queste ipotesi suonano plausibili, ma non convinconc. Innu~zitutto non convince il loro approccio tipicamente sociologistico: le carenze o mutamenti di modelli o rapp~esentazioni cognitive deriverebbero !inearmente da trasformazioni nel sociale. 'Spiegazioni' di questo genere dovrebdella discipliiia. Non bero appartenere ormai all'archeologia epistem~lo~ica convincono tuttavia neanche le singole ipotesi settoriali. La sua difficoltà a 'pensare' la storia e la ragione storica porta la sociologia a considerare il presente della modernità come nuovo, mai avvenuto prima. Mettendo 1'Ecclesiaste al servizio dell'immaginazione sociologica, potremmo dire che talvolta si ha la sensazione del nuovo solo perché si è letto poco, o letto poco di storia. Nessuna delle ipotesi appare abbastanza specifica al presente da giustificare la blanda scoperta del corpo, questa sì nuova, che la sociologia va facendo ora. Ad es. un'attenzione storica approfondita ai modelli di genere durante il '900 potrebbe mostrare che la loro crisi appare e scompare in un moto sinusoidale che investe gruppi sociali estesi già dagli inizi del secolo; la famiglia delle società industriali è cambiata ripetutamente negli ultimi 100 anni, oscillando in modo quasi ciclico tra rnodernizzazione disgregante e fondamentalismi tradizionalisti; nuovi sono semmai l'ampiezza e stabilità della crisi dei modelli, e la viscosità maggiore dei cicli della disgregazione familiare. Allo stesso modo, è indubbio l'impatto del femminismo nella razionalizzazione della nuova visibilità del corpo; ma altri avvenimenti di portata grandiosa hanno sovradeterminato socialmente il corpo, senza produrre però curiosità sociologica: si pensi alle enormi vicende corporee che sono state le grandi guerre per i combattenti e per i civili, o ad accadimenti corporei puntiformi, ma ad elevatissima visibilità e universalità simbolica, come i lager o Hiroshima, ecc. Perché non hanno prodotto domande sociologiche intorno al corpo? È giusto sottolineare l'impatto dei mutamenti demografici, ma per quale motivo la sensibilità al corpo prodotta ora dall'invecchiamento e dalla medicalizzazione non avrebbe dovuto essere prodotta in passato dalla forte giovanilità e dalla elevata mortalità ordinaria e straordinaria? I1 corpo postmoderno di massa ha probabilmente stimolato una attenzione sociologica al corpo; ma quando Riesman definisce nella Folla Solitaria il sesso come l'ultima frontiera (1950), non sta forse cogliendo una forma del corpo socializzato alla quale la sociologia ha poi opposto per decenni il suo silenzio? I1 narcisismo è un elemento culturale distintivo delle società post industriali, e rimanda alle rappresentazioni sociali del corpo; ma la 'nevrastenia' aveva un peso analogo nelle nutorappresentazioni delle grandi società industriali degli inizi del secolo. Per-


ché il primo produce un abbozzo di riflessione sociologica sul corpo, e la seconda non ne produsse affatto? Non stiamo negando l'importanza di questi fattori intrecciati. Stiamo solo sottolineando che si possono spiegare linearmente i mutamenti o le carenze di un quadro concettuale a partire da accadimenti sociali solo procedendo per grandi astrazioni che riducano eccessivamente la complessità del sociale, la sua multiformità e variegatezza che uno sguardo più micro e più storico mantiene problematica. La cecità verso il corpo non sta in primo luogo nel sociale ma nello sguardo sociologico. Mai le società hanno smesso di parlare dei loro corpi, di plasmarli, di orientarli, di segnarli, di ridurli a ragione; e del resto come avrebbero potuto? Ma perché la sociologia non è stata in grado di percepire e indagare questo discorso evidente, gridato, che il sociale va producendo senza sosta? La risposta va cercata nella sociologia stessa: a) nella sua dimensione sociologica, ovvero nella sua genesi e nel suo processo di istituzionalizzazione; b) nella sua dimensione teorica, ovvero nelle sue definizioni del sociale; C) nella sua dimensione epistemologica, ovvero nel suo rapporto col « paradigma clinico D. L'istituzionalizzazione della sociologia Nelle scienze umane della seconda metà de11'800 il corpo come forma umana dell'organico è onnipresente e centrale. La biologia in quanto scienza generale dell'organico è la disciplina di riferimento del positivismo come epistemologia, filosofia e metodo; il 'laboratorio' per antonomasia è quello tratteggiato da Claude Bernard. La ventata di organico investe l'antropologia evoluzionista, protesa a collocare il suo oggetto tra natura e cultura; la medicina; le teorie dell'eredità e l,e loro filiazioni eugenetiche; la nuova psichiatria fino alle sistemazioni di Kraepelin; la psicologia sperimentale; le pratiche che ruotano intorno al magnetismo e all'ipnosi; la psicoanalisi che scopre il corpo psichico dell'isterica. L'organismo, che solo in Freud riesce a diventare corpo, sembra il sostrato che accomuna l'umano e lo rende accessibile alla conoscenza scientifica. Buona ultima, la sociologia scientifica nascente deve costruire la sua identità specifica in questo mare di organico. Lo fa quasi contemporaneamente in quella machine à conuaincre che è Le Suicide di Durkheim, e nelle pagine migliori del troppo dimenticato Tarde. Dopo la pars destruens dei primi capitoli, che si accaniscono contro le discipline concorrenti, Durkheim spinge il suo suicida sul terreno euristico delle norme e dei valori, delle rappresentazioni e della coesione sociale. Perso nella ricerca degli atomi del sociale e dei loro processi aggregativi, Tarde scopre alla fine il sociale stesso fuori dall'individuo, e dunque dal suo corpo, nella intera-


zione tra gli atomi/individui. I1 suicida si traduce nel suicidio, l'agente sociale tende a diventare l'azione sociale. Per potersi riconoscere come prospettiva autonoma e affermare la sua differenza, la sociologia è costretta a buttar via il bambino - il corpo - con l'acqua del bagno. Diverso da paese a paese, il successivo processo di istituzionalizzazione della disciplina presenta un tratto comune: la difesa sempre più puntigliosa dei confini richiesti dalla sua nascita. Forti, le varie sociologie nazionali si concedono il lusso delle contaminazioni con altre scienze umane, favoriscono le posizioni di frontiera e dimenticano di difendere la loro 'purezza'. Deboli, si organizzano come corporazioni in concorrenza con altre corporazioni sul mercato culturale e scientifico, costruiscono filtri e barriere, diffidano delle commistioni pratiche e teoriche, coltivano appartenenze stolide e identità lineari, si aggrappano alle istituzioni, si chiudono in associazioni dai criteri d'accesso rigidi e burocratizzati. I1 caso italiano è esemplare, e forse estremo. La sociologia facilmente trionfante sull'onda delle grandi dmamiche collettive degli anni '70 poteva permettersi il lusso di riconoscere dentro di sé qualche spazio a ibridazioni con la storia e a flirt con l'antropologia, la psicologia, o addirittura la psicoanalisi. Con la crisi crescente del peso della sociologia nella società civile, questi spazi si sono chiusi, e la 'purezza' viene invocata con particolare vigore nei confronti di quelle discipline/corporazioni che invece sono momentaneamente vincenti sul mercato, prima tra tutte la psicologia '. L'irrigidimento dei confini disciplinari che ha accompagnato la divisione del lavoro scientifico nelle scienze sociali non poteva che impedire lo sviluppo di un approccio sociologico al corpo. Se il corpo deborda sempre i confini della sociologia nelle analisi e bibliografie citate, non è unicamente perché con la sola sociologia non ci sarebbe poi stato tanto da dire. E perché esso si impone come il primo, il più elementare, e dunque il più 2 L. Gallino ha ben ragione quando sottolinea « l'ostilità verso la psicoanalisi, e più in generale la drastica separazione tra discipline sociologiche e discipline psicologiche » che caratterizza l'atteggiamento dei sociologi italiani. « L'esigua conoscenza della letteratura psicoanalitica che si riscontra in generale nella produzione dei sociologi italiani, anche quando essi trattano di temi che invocano a gran voce un collegamento esplicito tra teoria sociale e psicologia del profondo » è vista giustamente da Gallino come « l a perdita di un'altra occasione di dare corpo [sott. nostra] ad una teoria dell'attore ». Cfr. L. Gallino, L'attore sociale. Biologia, cultura e intelligenza artificiale, Einaudi, Torino, 1987, pp. 9-10. Solo che poi Gallino stesso attribuisce quella separazione e questo vuoto alle nefaste influenze del marxismo e del cattolicesimo. Può darsi, ma occorre constatare che a) la diffidenza sistematica verso la psicologia e la ~sicoanalisinon è stata affatto intaccata dalla crisi deI marxismo. se non del cattolicesimo, tra i sociologi italiani; anzi, essa sembra aumentare; b) proprio da settori del marxismo e del cattolicesimo italiano è venuta una attenzione creativa verso la psicologia e la psicoanalisi. Forse parte della risposta all'interrogativo di G d i n o può essere meno 'culturale' e più 'sociale': le strategie di difesa e attacco d'interno di una competizione tra corporazioni accademiche e professionali sul mercato della societA civile.


complesso « fatto sociale totale D (Mauss), dove « primo » e « elementare » non implicano nessun nominalismo o atomismo sociologico. Nella interpretazione di C. Lévi-Strauss, solo uno specifico individuo concreto può condensare in un'unica totalità attiva le tre dimensioni costitutive del fatto sociale totale: « la dimensione propriumente sociologica con i suoi molteplici aspetti sincronici; la dimensione storica, o diacronica; e infine la dimensione fisio-psicologica » 3. Forma materica dell'individuo, un corpo, ogni corpo, è la ricchezza sintetica del fatto sociale totale. Qualsiasi lettura parziale o monodimensionale della sua contrazione aoristica lo tradisce nella sua specificità costitutiva, e dunque, almeno riguardo alle scienze dell'uomo, lo uccide euristicamente. Come si può pensare di leggere un corpo in quanto accadimrnto umano vedendolo solo coine organismo? O solo come rappresentazione psichica? O solo come attore sociale dedito a rappresentare i suoi molti ruoli nei molti teatri dell'interazione? Ogni singola prospettiva è inadeguata rispetto ad un corpo in situazione, non tanto perché parziale o incompleta - ogni prospettiva lo è - quanto perché in questo caso la sua parzialità fraintende radicalmente l'oggetto, e ne rende impossibile la comprensione dotata di senso. Il corpo come trompe-l'oeil. I corpi eccedono le singole discipline che si occupano di loro nelle scienze umane. I1 loro debordamento non è cjuantitativo - c'è bisogno che un'altra disciplina ci dica dell'altro e di più -; esso consiste piuttosto in uno scarto, un décalage, che un corpo concreto introduce in ogni griglia usata per mapparlo. I n questo senso il corpo sembra dotato di una intrinseca problematicità euristica che gli consente di cortocircuitare i confini tra le discipline. Punctum altamente sintetico, si rivela un agente metaforico e esige un approccio olistico. Ma come può pensare tentativi di totalizzazione euristica interdisciplinare una disciplina che non ha opposto grandi resistenze alla sua istituzionalizzazione difensiva intra moe~fia? Come può praticare procedure conoscitive sintetiche se ha teorizzato la supremazia delle procedure analitiche e ha messo in atto una esasperata frantumazione analitica del proprio campo d'indagine? E come può scrivere il corpo come fatto sociale totale se non ha riflettuto sulle proprie modalità di scrittura e ha tentato sperimentazioni retoriche e narrative assai meno di altre scienze umane? Come dice ironicamente Mauss nella sua conferenza del 1934 su Les techniques du corps davanti alla Société de Psychologie (guarda caso!), il corpo in quanto « inconnu D « se trouve aux frontières des sciences, là où les professeurs "se mangent entre eux", comme dit Goethe (je dis mange, mais Goethe n'est pas si poli) » 4. Salvo situazioni circoscritte, la sociologia istituzionalizzata sembra aver rinunciato per lungo tempo a questi pericoli da zona di frontiera; e, con essi, al corpo.

C. Lévi-Strauss, Introduction à I'oeuvue de Mauss, in M. Mauss, Sociologie el anthvopdogie, PUF, Paris, 1950, p. XXV. Cfr. M. Mauss, Les techniques du corps, in M. Mauss, op. cit., p. 365.

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La definizione sociologica del sociale

b

La necessità di conquistarsi una identità ha costretto la prima sociologia scientifica a chiedersi cos'era quel sociale che rivendicava come suo campo costitutivo d'indagine. I1 tentativo di risposta sfociava inevitabilmente in un altro problema consono sia alla filosofia sociale post-illuminista, sia alla procedura riduzionista e analitica (dal complesso al semplice) del positivismo: qual è il Grundkorper (Dilthey), l'elemento ultimo o atomo, della 'cosa' sociale? Nelle sue linee essenziali, il dibattito su questo punto non è mai andato effettivamente oltre le posizioni emerse nella disputa DurkheimTarde alla fine del secolo scorso. Irrigidendo il suo stesso pensiero, Durkheim proponeva come unità ultima del sociale e oggetto specifico della sociologia i G fatti sociali >> come entità cosali. Dal canto suo Tarde aveva gioco facile nel replicargli che a) in questo modo la sua sociologia rassomigliava molto ad una ontologia metafisica, b) dov'erano mai queste 'cose' sociali?, C ) com'era possibile fondare una disciplina su un oggetto specifico intangibile e invisibile? Al fatto sociale come cosa Tarde opponeva perciò il fatto sociale come interazione tra le uniche realtà elementari non metafisiche della vita sociale, gli individui: i(Dans les sciences sociales on découvre des agents et des actes élémentaires communs à toutes ces sciences: ce sont des actes intercorporels ou des actes intermentaux, mais les premiers ne peuvent exister sans les seconds » '. La contrapposizione durkheimiana tra sociologia e psicologia diventava in Tarde la definizione della sociologia come psychologie intermentale ». In realtà sia Tarde che Durkheim stavano affrontando in chiave euristica il caput mortuum del sociale, quella dicotomia individuo-società di cui i manuali e i burocrati della sociologia si affannano a dirci che è fittizia: come se non fosse invece - nella nostra esperienza individuale quotidiana e per ogni formazione sociale possibile, compreso l'Io - un irriducibile acme di pathos, carico di conflitto e dolore, intessuto di giuochi strategici incrociati di cui preferiamo non vedere l'intensità e la violenza. Nei due sociologi francesi di fine secolo sono adombrate le due grandi linee di risposta con le quali la sociologia ha cercato di districarsi da quella dicotomia costitutiva: il costruttivismo euristico, e la teoria dell'azione sociale. È nota l'affermazione perentoria di Durlcheim: « Et cependant les phénomènes sociaux sont des choses et doivent &re traités comme des choses D 6 . Contro le stesse forzature polemiche di Durkheim va ricordato 5 Queste frasi sono state pronunciate da Tarde ne1 dibattito pubblico (in tre puntate) con Durkheim all'inizio dell'anno accademico 1903-1904 aiia Ecole des hautes études sociales di Parigi. Per un resoconto, cfr. << Revue internationale de Sociologie », 1903, 12; ora anche in E. Durkheim, Textes. 1. Eléments d'une théorie sociale, Ed. de Minuit, Paris, 1975, p. 162. E. Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, PUF, Paris, 1963 15, p. 27.


che questa proposizione è euristica, e non ontologica. Il capitolo si intitola « Observation des faits scsciaux ». La verifica della loro cosalità starebbe nel fatto « qu'ils sont l'unique daturn offert au sociologue »: argomento la cui debolezza ontologica è evidente. Forse va riconosciuto maggior peso interpretativo a quel « comme ». Tra continue oscillazioni, Durkheim scrive qualche riga dopo: « Traiter des phénomènes comme des choses, c'est les traiter en qualité de data qui constituent le point de départ de la science D. I1 fenomeno non è la cosa, ma lo diventa in quanto dato attraverso un atto dell'osservatore (« traiter comme P). I1 « come » sta per « come se fosse », la reificazione di segmenti del sociale appare piuttosto una loro costruzione come oggetti a fini euristici, e non una ipotesi sulla natura ontica del sociale stesso. Spetterà a Simmel esplicitare il senso di quel « come » con maggiore consapevolezza filosofica e con meno ossessioni da padre fondatore. A Durkheim non era concessa la libertà gnoseologica del neokantismo, che Simmel pratica invece con la virtù della leggerezza. La domanda « cos'è il sociale D appartiene all'ordine del noumeno, cioè dell'inconoscibile. I1 sociale non è fatto di individui più di quanto non sia fatto di 'cose'. Se osserviamo da vicino un cosiddetto « fatto sociale D, si disaggrega sotto i nostri occhi in elementi più semplici. Ma se osserviamo da vicino quello che si pretende il più semplice di questi elementi, I'individuo, anch'esso si scompone in elementi più semplici, alcuni dei quali sociali. Né I'individuo né il fatto sociale possono pretendere lo statuto ontico di unità elementari e irriducibili del sociale. I1 fatto sociale elementare dipende dalla distanza che scegliamo per osservare un evento sociale, dal « tipo di occhiale » che decidiamo di mettere sul naso. La presunta realtà sociale è solo quello che di volta in volta il set di categorie cognitive prescelto identificherà come fenomeno: una costruzione euristica, resa possibile e articolata da categorie a priori della conoscenza sociologica, che spetta alla sociologia teorica identificare ed esplicitare come forme (euristiche) del sociale. Non vediamo quale altra posizione gnoseologica sia possibile per quella parte imponente della tradizione sociologica che si occupa dell'« invisibile » del sociale: le strutture, i gruppi, le istituzioni, i macrofenomeni e le macrodinamiche, il 'sistema sociale'. Al di là di quel « come », di quell'e occhiale » e delle loro molte e inutili superfetazioni successive, c'è solo, per dirla con Tarde, « ontologie pure », « entité métaphysique », e « mysticisme » che non sa di esserlo. L'altra risposta alla domanda iniziale coglie l'elemento ultimo e distintivo del sociale non in un fatto ma in un atto, e inaugura le teorie dell'azione sociale. La « psychologie intermentale » di Tarde è una « psychologie intercérébrale C ...l qui étudie la mise en rapports conscients de plusieurs individus, er d'abord de deux individus » '. L'atomo sociale non è I'individuo, ma la relazione tra due individui, « ce rapport d'un sujet avec

G . Tarde, Les lois sociales, Akan, Paris, 1899, p. 28.


un objet qui lui-meme est un sujet » Cibid., p. 291, e che implica « la sensation d'une chose sentante, la volition d'une chose voulante, la croyance en une chose croyante, en une personne, en un mot, où la personne percevante se reflète et qu'elle ne saurait nier sans se nier elle-meme. Cette conscience d'une conscience est l'inconcussum quid que cherchait Descartes et que le moi individuel ne lui a pu fournir » [ibid., pp. 29-30]. Queste righe di Tarde contengono in nuce, esprimendola con ammirevole semplicità, la logica di un versante della tradizione sociologica che, con percorsi diversi, va dall'« associarsi » (Vergesellschaftung) di Simmel all'« agire sociale » di Weber (che cita esplicitamente Tarde), da Mead a Schutz, da Parsons a Goffman. I1 luogo geometrico del sociale non sta in, ma tra: è il luogo logico della medi-azione e della trans-azione, lo spazio in cui può esplicarsi un passaggio di qualcosa, « une transmission de quelquechose d'intérieur, de mental, qui passe de l'un à l'autre sans etce [...] perdu ni amoindri en rien pour le premier » [p. 301. Spazio che è dato per il solo fatto che vi siano almeno due agenti sociali co-presenti, e che esige sempre un agire, per attraversarlo o per non attraversarlo. Purtroppo questi due grandi assi della riflessione sociologica sulla natura del sociale convergono verso un esito che tende a rimuovere la consapevolezza teorica del corpo. Questo esito è l'impossibilità di una teoria del soggetto. Nel caso del costruttivismo più o meno consapevole, la delimitazione convenzionale di segmenti della realtà umana come fatti sociali li trasforma euristicamente in 'cose' dotate di una loro autonoma identith fenomenica: possono essere un evento (la battaglia di Maratona), una classe di eventi (il suicidio), una configurazione di eventi (un gruppo, una classe sociale, una folla, una istituzione, ecc.). Alcuni di questi tipi di 'cose' euristiche non sono pensabili facilmente come 'soggetto' (ad es. il suicidio). Altri lo sono fin troppo facilmente, se si riesce ad ontologizzarli e a dimenticare che sono strumenti euristici: « la classe operaia ha voluto ... D, « il sistema ci minaccia... », « come pensano le istituzioni », « la folla si sta preparando ... D. Si tratta di utili scorciatoie del pensiero e della comunicazione, che riducono la complessiti rendendola accessibile alla rappresentazione mentale; in taluni stati estremi del sociale, possono anche coglierne fedelmente comunanze e omogeneità transitorie e intense di comportamento. Spesso però questi soggetti metaforici sembrano solo le brutte copie proiettate di altri 'soggetti' apparentemente dotati di una autentica identità c delle proprietà fondamentali del soggetto: l'uomo, un qualsiasi organismo vivente, la macchina. Sono soggetti sociologici perché parassitano le forme, le rappresentazioni, le modalità d'azione, i processi di pensiero e i sistemi di motivazione di altri soggetti, spesso impoverendoli fino alla parodia. Sorridiamo ora di Spencer, ma sarebbe divertente ricostruire le narrazioni sociologiche delle emozioni e motivazioni attribuite alle organizzazioni complesse; oppure le rappresentazioni antropomorfiche e meccanicistiche delle classi sociali come soggetti storici, politici, ecc. I1 costruttivismo inconsapevole, o realismo sociologico, produce soggetti sociologici ontologizzati, dunque metafisici, e le teorie del soggetto


che fornisce a questi soggetti non sono altro che recuperi spuri di teorie del soggetto proposte da altre discipline, ed estese alle sue entità finzionali assunte come entità reali. Se corpo può esservi in tanta finzione euristica o metafisica realistica, è solo come organismo e metafora, non come corpo umano concreto, che da qualche parte in una teoria del sociale e del soggetto sociale dovrebbe pur stare. L'asse dell'azione sociale riconosce la presenza di agenti, e tra questi anche individui umani presumibilmente dotati di un corpo. Ma qui l'impatto disincarnante della logica dell'approccio è radicale. Non sono gli agenti a costituire il sociale, ma lo spazio intermedio che essi circoscrivono come luogo mentale, logico e pratico della loro transazione. Solo in alcune modalità assai particolari di azione sociale questo spazio riesce a mantenere una corporeità: nella malattia (il corpo del malato come luogo dell'interatione sociale tra il malato e il medico), nella sessualità (che stabilisce un ponte corporeo come spazio intermedio sociale), ecc. Negli altri casi, il sociale come spazio intermedio è una dimensione virtuale nella quale può esplicarsi l'eventuale predicato, in genere un predicato verbale, che appunto in quanto predicato presuppone un soggetto ma può essere osservato indipendentemente dal soggetto e dall'altro soggetto che è eventuale oggetto del predicato stesso. È possibile una descrizione formalizzata delle azioni sociali, ovvero del sociale, solo mettendo euristicamente tra parentesi i loro soggetti, che è presumibile siano spesso dotati di corpi. In questo modo il corpo sparisce cognitivamentc dall'approccio sociologico che pareva più in grado di mantenere una presenza del corpo nel sociale tramite l'agente sociale. Una conferma di questo non luogo a procedere delle teorie dell'azione sociale è data da quelle loro varianti che hanno invece proposto un modello dell'attore sociale. Nel caso di Parsons, ad es., la trasformazione sociologica dell'agente in attore sociale lo costruisce come sistema drammaturgico di ruoli privo di un centro dinamico e sintetico che possa chiamarsi 'soggetto'. I1 suo attore non ha un Io, e la lettura che Parsons fa di Freud e della teoria dell'identificazione viene piegata alla necessità di una concezione ipersocializzata dell'individuo: l'attore si costituisce come tale attraverso una rete di identificazioni introiettive governata dal processo di socializzazione. Ma mentre in Freud rimane il paradosso drammatico dell'Io che si costituisce come tale lasciandosi abitare dalle presenze di altri, ed è ancor più individuo laddove è massimamente posseduto dal sociale (si veda la sua teoria del Capo), Parsons annulla questa tensione, sembra considerare irrilevante per l'attore sociale la natura e il senso del suo dire 'io', e in questo modo salva l'attore, e la sociologia, dal peso del suo corpo.


Il problema della conoscenza dell'indiuiduale Un corpo non ridotto a mero organismo si propone necessariamente come sostanza e forma di una identità. Non è possibile pensare ad un corpo concreto totale - non scisso da un qualche dualismo anima-corpo - senza che ci si imponga la presenza di un individuo. Contemporaneamente, non si finirà mai di dire, e di sentire, la banalità dei corpi (e non solo degli organismi), la loro serialità, il loro somigliarsi troppo, la pochezza delle differenze alle quali viene appesa l'unicità dell'Io. Basta entrare in un altro gruppo sociale, classe, paese o razza, oppure basta una divisa, perché di colpo gli altri ci sembrino quasi tutti eguali. I1 corpo appare il campo psicologico e sociale di una esperienza paradossale nella quale sono presenti contemporaneamente il massimo della specificità umana e della indifferenziazione di genere, il vertice della individualità irripetibile e della ripetitività, l'identità e l'identico. Dalle sue matrici culturali la sociologia ha derivato la rappresentazione del corpo come astratto, e talvolta puro organismo. I1 corpo astratto - visto senza identità - è in forme diverse il corpo dell'economia e del diritto, della psicologia sperimentale e behaviouristica, della fisiologia, dell'antropologia fisica e criminale, dell'etnologia fin de siècle: le discipline rispetto alle quali la sociologia nascente si è dovuta situare, e che ne hanno plasmato in qualche modo i fondamenti. Malgrado le sue strategie concettuali e metodologiche, la sociologia scientifica non può evitare di aver a che fare con gli uomini, con individui concreti che non rinunciano ad essere, nel loro corpo, fatti sociali totali solo per rendere più semplice la vita del sociologo. In questo modo è destinata a scontrarsi con quello che è stato felicemente definito il « paradigma clinico » delle scienze umane, rappresentato da discipline e procedure conoscitive molto diverse come la semeiotica medica, la psicologia clinica, l'archivio di polizia e la foto segnaletica, la storia, la psicoanalisi, parte dell'antropologia. I1 corpo costringe il sociologo a 'vedere' uno di quei dilemmi costitutivi che i soliti manuali danno per superati mentre per fortuna continuano ad essere la « spina nella carne » della disciplina: oscillare senza tregua tra ideografico e nomotetico, cercare le costanti conservando la nostalgia dell'evento, praticare la sociologia avendo in mente la storia, coltivare il paradigma clinico anelando alle leggi. Le conseguenze possono essere dirompenti. Riconoscere sociologicamente le valenze di individualità che ineriscono al corpo non astratto significa dover mettere tra parentesi gli approcci soprattutto nomotetici che predominano nella conoscenza sociologica, e contemperarli e in alcuni

G.-G. Granger, La connaissance de l'individuel, in Penske formelle et sciences de I'homme, Aubier, Paris, 1967; si veda anche C. Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Miti emblemi spie. Morfologia e storia, Einaudi, Torino, 1986; E. Pozzi, A. Sander, ovvero I'iconografia del nomotetico, « Critica sociologica D, 1980, 50.


casi sostituirli con approcci di tipo clinico, abduttivo-indiziario e qualitativo. Il corpo come fatto sociale esige anche un cambiamento di paradigma, o meglio una pluralità di paradigmi. Ad es. la capacità di accettare le conseguenze metodologiche di una teoria del soggetto sociale che assuma senza edulcorarla la bella intuizione di Tarde ( e ce rapport d'un sujet avec un objet qui lui-meme est un sujet [op. cit., p. 291, <( cette conscience d'une conscience D): ovvero l'osservatore che tollera di riconoscersi come parte del campo di osservazione e trasforma questo suo stato-limite in un moltiplicatore euristico. Miche1 Leiris che parla delle sue polluzioni notturne e ossessioni ipocondriache (a quando un saggio sull'antropologo ammalato?); Malinowski che combatte con la sua sessualità e i relativi sensi di colpa; Turnbull che descrive le vicissitudini personali e interculturali delle sue defecazioni pubbliche tra gli Ik, i <( mountain people » '. Non troviamo nella tradizione socio!ogica osservazioni analoghe. Pruderie teorica legata al disembodiment del sociale. Ma soprattutto pruderie epistemologica, derivata dalla incapacità di considerare se stessi, corpo compreso, come i sensibili ricettorilattori viventi dell'indagine sull'accadere umano nella dimensione sociale. Solo negli approcci sociologici più marginali, influenzati da altre discipline, è possibile trovare qualche spazio potenziale per procedure euristiche che conservino l'osservatore e il suo corpo nel campo d'osservazione in quanto strumenti euristici decisivi, e dunque possano prendere atto di altri accadimenti corporei, integrandoli nel corpo dell'indagine. Pensiamo per esempio a quei barlumi di corpi che appaiono talvolta in certi usi del metodo biografico, in forme estreme di indagine etnometodologica e di etnografia urbana. Tra i classici spetta ancora una volta alla 'leggerezza' di Simmel una delle poche incursioni sociologiche verso i corpi. Nell'Exkurs 'O sulIa <( sociologia dei sensi », Simmel tenta di identificare le proprietà formali sociologiche dei cinque sensi a partire dalle loro proprietà strutturali corporee: ogni senso emulsiona campi e forme specifiche della Vergesellschaftung, e dunque le incorpora nel corpo dell'individuo. Ma lo stesso avviene per altre parti del corpo, come ad es. il volto, <( luogo geometrico » delle conoscenze che regolano l'immediatezza dell'associarsi, <( il simbolo di tutto ciò che l'individuo ha portato con sé come presupposto della sua vita; in esso è depositato ciò che del suo passato è disceso nel fondamento della sua vita ed è diventato in lui un insieme di tratti permanenti D [pp. 5515521. La sua specificità sociologica consiste non neu'agire, come altre parti del corpo, ma nel <( raccontare » la biografia di un individuo in quanto punto di intersezione tra l'istante presente e la storia di una persona.

9 M. Leiris, L'Afrique funtome, Paris, 1934; B. Malinowski, A Diary in the Strict Sense of the Tevrn, Stanford University Press, Stanford, 1989; C.M. Turnbull, The Mountain People, New York, 1972. lo G. Simmel, Excursus sulla sociologia dei sensi, in Sociologia, Comunitii, Milano, 1989 (1908), pp. 550-562.


Ogni volto incorpora tutto ciò che si è stati e lo presentifica nella specificità di una situazione; biografia incarnata, cioè al tempo stesso vita e sua narrazione corporea, il volto sintetizza le strutture costanti di una persona e il suo agire puntiforme in quel momento dato: il discreto e il continuo, il nomotetico e I'ideografico. I1 volto racconta, ma come può il sociologo raccontare il racconto di questo volto? Più in generale, quanto delle forme retoriche e stilistiche abituali della sociologia può sopravvivere alle conseguenze epistemologiche e retoriche del ritorno eventuale del corpo nella conoscenza sociologica? Forse occorreranno nuove più audaci esplorazioni della scrittura sociologica rispetto ai balbettii attuali, e ben maggiore 'leggerezza' rispetto ai modelli scientisti di scrittura con i quali la sociologia mimetizza la sua attività ermeneutica e se stessa come 'narrazione'. Faticoso e pericoloso, ma il ritorno del rimosso non è mai indolore. 2.

Il sociale e il corpo

Sarebbe ingiusto addebitare alla sola sociologia la sua indifferenza verso i corpi. Forse questa cecità traduce sul piano cognitivo anche una tensione immanente al rapporto tra corpo e sociale: la difficoltà con la quale il sociale affronta il soggetto in carne ed ossa, e che cerca di evitare trasponendolo immediatamente in una rappresentazione disincarnata all'insegna del dualismo. Tanto che alla fine il 'soggetto' del sociale, quale che esso sia, ha poco da invidiare a popolazioni di cherubini e serafini, a società di anime, o a sistemi di Idee. I1 neoplatonismo della sociologia è sorprendente se si pensa a quanto il sociale e il corpo sono coestensivi. 'Sociale' può diventare il predicato di un frammento di realtà solo se in questa realtà vi è stato, vi è o si presume che vi si manifesterà un corpo umano. Letteralmente, il sociale arriva fin dove sono arrivati, arrivano o arriveranno corpi umani. I1 corpo è il limite orizzontale del sociale. Per quanto la totalità sociale si voglia, e sia, diversa dalIa somma delle sue parti, non può andare oltre queste parti, né esistere se esse non esistono. In questo modo il corpo diventa anche un limite verticale: il sociale può scomporre analiticamente se stesso in profondità, ma quando arriva al corpo, all'individuo, deve fermarsi e negoziare ogni ulteriore passo tra resistenze crescenti; e per quanto avanzi nella sua presa di possesso di questo corpo/individuo, deve sopravvivere sempre un residuo di individuo perché il sociale stesso possa esistere l'. Il corpo costituisce tuttavia per il sociale un confine assai più polimorfo o complesso che non per l'individuo. Ciascuno di noi trova il suo

Lo dimostrano ad es. le situazioni in cui il sociale raggiunge l'acme del suo impossessamento dell'individuo/corpo: il suicidio altruista, il suicidio collettivo, la guerra. Malgrado tutto, residualmente, il sociale stesso deve organizzare il suo limite: la soprawivenza di alcuni individui.


limite nel proprio corpo vivo: morto o non ancora nato, non è ancora o non è più un soggetto per se stesso. I1 sociale comprende all'interno del proprio limite anche il corpo prenatale, il corpo di cui qualcuno si rappresenta che nascerà; oppure il corpo morto, che conserva significato sociale, è oggetto degli investimenti simbolici e delle regolamentazioni di una società, e ancora a lungo dopo la morte fisica vive la sua vita sociale complessa. Esistono per l'individuo corpi senza senso, ridotti al mero corpoicarne (Korper): il cadavere di uno sconosciuto, i corpi di una morte di massa, il corpo di un neonato. Vivi, morti o appena nati, integri o mutilati, sani o malati, i corpi hanno sempre senso per il sociale, si inseriscono sempre in una catena significante e in un sistema di griglie, vanno sempre gestiti in qualche modo, esistono. I1 sociale conosce solo il corpo/ esperienza, il Leib. Fin qui per lo spazio. Sul piano temporale, il corpo è per il sociale un confine intermittente e interno. Dalle più piccole alle più grandi, le formazioni sociali condividono con l'inconscio l'incapacità a rappresentarsi la propria morte. La fine di una formazione sociale non è semplicemente il suo venire meno; essa crea nella realtà un crollo di senso, l'impossibilità a pensarla. Per i suoi membri viene meno l'intelligibilità di una parte del reale, perché si dissolve l'insieme di quadri cognitivi che Io rendeva accessibile alla percezione significante, alla rappresentazione E. talvolta al ricordo. La morte di un frammento di sociale è in qualche modo la forma della fine del mondo. Contro questa esperienzallimite le formazioni sociali organizzano la propria immortalità, e I'irnpensabilità della propria morte. Ma i corpi individuali si ostinano a morire. Ad ogni morte per il morto il mondo cessa di avere senso e realtà, e richiama il proprio frammento di sociale alla possibilità denegata della propria morte. Queste morti individuali costringono le formazioni sociali a strategie incessanti di soprawivenza. Occorre mobilitare i riti della morte. Meglio: occorre distinguere nel morto una dimensione caduca e una dimensione immortale. Nel modello dei <( due corpi del re >> reinventato da Kantorowicz, il sociale si proteggeva dalla morte del sovrano scindendone il corpo in un corpo naturale, e dunque mortale; e in un corpo politico » (sociale) che rimaneva immortale. I1 re poteva morire, ma il Re, ovvero la formazione sociale, non moriva mai. La sociologia sembra aver recuperato lo stesso dualismo anima/corpo per garantire il sociale dalla possibilità della sua morte che ogni morte di un corpo ripropone: il corpo di un individuo può morire, ma se il soggetto è ad es. un sistema di ruoli, come potrà mai 'morire'? La messa tra parentesi del corpo protegge le culture e i sistemi sociali dalla fine del mondo. Contemporaneamente, essa protegge gli stessi individui dalla consapevolezza piena e ineludibile della fine del mondo per loro. I1 sociale che si attrezza per superare lo stillicidio delle morti individuali e organizza la propria sopravvivenza da una generazione all'altra diventa per l'individuo stesso la forma, il contenitore, il significante di una propria immortalità parziale. Quale che essa sia, la formazione sociale che non muore malgrado


la mia morte mi consente di non morire deI tutto. E poiché questa mia illusoria patetica immortalità si realizza attraverso l'immortalità del sociale, sarà mia cura appassionata difendere la trascendenza della socialità rispetto alla mia vita individuale, alienandomi in essa. E se ciò esige che io scorpori da me il mio corpo, come anche il sociale mi chiede, e mi riduca alla immortalità relativa del mio corpo 'politico' (cioè delle mie funzioni sociali), io stesso imporrò a me stesso quella scissione dualistica di me contro la quale si ribella tutta la mia esperienza immediata del mio corpo pensante e senziente come unità indissolubile. I n questo modo la mia mortalità come limite e minaccia per il sociale volge a sostegno attivo della sua immortalità e onnipotenza, e la presa del sociale sul mio corpo mi apre lo spiraglio di una immortalità vicaria e alienata. La mortalità dell'individuo/corpo costituisce per il sociale un limite ancora più vincolante. I sistemi sociali possono anche sognare e programmare la presa di possesso integrale dei corpi dei loro membri. Possono fantasticare di plasmarli a volontà, dispiegando sulla loro pelle, morfologia, fisiologia e comportamenti corporei la maestosità e violenza degli strumenti di cui dispongono. Il processo di socializzazione non ha limiti teorici, se non quelli del corpo, e della carne. Ad un corpo che non vogliono sacrificare, le formazioni sociali possono fare quasi tutto, purché rimanga vivo: possono mutilarlo, penetrarlo, deformarlo, marchiarlo, chiuderne gli . orifizi o aprirne di nuovi, ma se tutto ciò ha la funzione di socializzare, non possono consapevolmente ucciderlo j 2 . La carne oppone al sociale la forma corporea della vita. Essa stabilisce un confine: negoziabile, diverso da cultura a cultura, ma imprescindibile. Transitarlo significa modificare radicalmente la logica riprodattiva della socializzazione. La morte costituisce nel corpo la forma ultima della natura. Insieme al dolore, come suo stato-limite, essa sancisce e indica il crinale non eliminabile tra natura e cultura, il residuo di natura che in ogni caso continua ad opporsi all'egemonia del sociale. Paradosso della morte: rappresenta l'attimo e lo stato della scomparsa del soggetto nella specie, il suo dissolversi nel genere; ma poiché nella morte viene meno per il soggetto il vincolo sociale, essa rappresenta anche l'orizzonte, il culmine, e talvolta l'ultima spiaggia della individuazione contro il dissolversi del soggetto nel sociale. I1 << Te1 qu'en l u i - m h e enfin I'Eternité le change » di Mallarmé si intreccia qui in contrappunto al destino ironico del condannato dalla Colonia penale di Kafka, scritto dalla macchina/codice socializzante finché morte non ne consegua. I corpi muoiono, e nascono. A monte del corpo del soggetto si delinea un altro confine, non meno pericoloso. I1 feto che emerge è un acme di natura che si affaccia nel sociale. Gli studi di psicologia del feto e le

l2 Naturalmente il sociale può uccidere un corpo per socializzarne altri; oppure può verificare la propria potenza mandando masse di corpi a morire. Ma questo non elimina la incompatibilità strutturale tra il processo di socializzazione e un suo esito sempre mortale.


osservazioni dei comportamenti delle madri e delle reti interattive durante la gravidanza mostrano come la socializzazione di questo frammento di presunta 'naturalità' inizi molto prima della nascita. Questo non cambia i termini del problema: ad ogni nascita, per quel neonato il sociale va reinventato e ribadito. Ogni nascita mette potenzialmente a rischio la continuità di una formazione sociale, e esige la mobilitazione di strategie imponenti affinché les formes sociales se maintiennent (Simmel). Nel corpo opaco del nascituro si nasconde la possibile contingenza di un ordine sociale, la fragilità e la immotivatezza convenzionale di un sistema culturale. E contemporaneamente, con un movimento dialettico che ormai intuiamo, proprio nella organizzazione socializzata della nascita e del periodo neonatale si manifesta in modo pieno la potenza compatta di un sistema sociale. Tra i mammiferi, il neonato umano è quello che rimane più a lungo del tutto impotente rispetto alla realtà, ed esposto al pericolo di morire. I1 sociale investe di organizzazione e senso questa nascita, mobilita a generarla e a proteggerla una quantità imponente di risorse materiali, rappresentative e simboliche. Intorno alla nascita, esso esprime in misura estrema la pienezza e capacità generante del suo ordine, la necessità delle sue convenzioni. Appunto perché opaco, il corpo del nascituro/neonato diventa diafano di senso sociale. Si ripete per il sociale il rapporto singolare dell'individuo col proprio corpo: da un lato questo corpo è la totalità del soggetto, che nulla sarebbe senza di esso; dall'altro, esso si pone di fronte al soggetto come una massa opaca e imprevedibile, che rituffa nella contingenza e nell'incertezza di senso l'azione del soggetto. Si è il proprio corpo, e si è continuamente costretti a scoprire che si ha un corpo, proprio eppure altro da sé, mio e non mio. Ovvero, si è il proprio corpo nella forma di un corpo che si ha. Questo corpo che io sono interamente è anche il corpo contingente, eteronomo ed eterogeneo che mi porto dietro, con la cui necessità interna devo negoziare e scendere a compromessi. Sono il mio corpo e sono del mio corpo, contro il mio corpo, insieme al mio corpo. Iolcorpo non conosco gli o...o della logica aristotelica, ma gli e...e dell'ambivalenza e il tertium datar del pensiero dialettico. Parallelamente, il sociale non esiste se non nell'estensione e nel processo dei suoi corpi. Eppure deve diffidare di questi corpi così costitutivarnente suoi, deve controllarli con ferocia, ridurli alla sua ragione, investirli di segni certi, negarli alla troppa naturalità della nascita e della morte, addestrarli con durezza, costruirli violentemente come suoi nel mentre sono già integralmente suoi. Ma ancora, chi dà a questi corpi ciò da cui il sociale deve difendersi e diffidare, se non il sociale stesso? Generoso, il pensiero negativo occidentale si è affannato a regalare al corpo proprietà trasgressive, che gli verrebbero dall'essere ancora un frammento di natura all'interno dell'organizzazione sociale e produttiva: il corpo come ente che almeno in parte viene prima della storia, dell'economia e del potere, e dunque conserva in vita - nelle nostre esistenze individuali e collettive - la nostalgia di un'area primordiale non mappata dai discorsi e perciò capace


di far saltare i discorsi, non ridotta a ragione e perciò capace di sovvertire l'ordine individuale e sociale. Ma dov'è mai questo corpo che viene prima del discorso, che non è stato interamente transitato dalla cultura? Da dove dovrebbero venire le parole per dirlo, o le categorie per percepirlo e pensarlo? I1 mito di questo Urleib dimentica che il Korper diventa Leib solo in quanto e quanto più è investito dal sociale. Il Korper stesso, inteso come corpo/carne esente dalla storia e dal sociale, non precede il Leib, ma è il risultato secondario di una operazione dualistica di scissione che alcuni sistemi culturali (forse tutti) compiono sul Leib stesso. Malgrado le speranze del vitalismo, non esiste né può essere pensato o detto un corpo 'ingenuo' che non sia già plasmato di storia e di sociale prima ancora di nascere. Non si può chiedere a questo corpo sempre sociale di farsi il portatore di una trasgressività immanente rispetto all'ordine sociale, se non ammettendo che è dal sociale stesso che deriva al corpo quella capacità trasgressiva che pure esso talvolta riesce ad esercitare. I1 corpo (erotico, produttivo, ecc.) cerca di mobilitare talvolta contro il controllo sociale una forza disordinante che gli viene dalle contraddizioni ironiche del sociale stesso. I1 sociale è così costretto a mobilitare a sua volta imponenti strutture e processi per tenere a bada e ridurre a ragione ciò che esso stesso produce quando investe di socialità i corpi: e questa è una ulteriore contraddizione ironica del sociale che si riflette di nuovo sul sociale. Nella illusione vitalista, quanto più un corpo riesce a porsi ai margini o fuori dal vincolo sociale, tanto più esso potrà trasgredire virtualmente questo vincolo. Di qui la panoplia degli eroi antichi e moderni della trasgressione corporea: l'eremita, il pazzo, il puro, lo stigmatizzato, il vagabondo, il folle d'amore, De Sade... È forse vero il contrario. Quanto più un corpo/soggetto entra nella rete dei vincoli sociali, e se ne lascia penetrare; quanto più assume in sé senza eluderle le contraddizioni, i conflitti, le sfasature, i vuoti e le ironie che ogni organizzazione sociale produce inevitabilmente in mille modi; tanto più esso diventa capace di quei bisogni, desideri e atteggiamenti complessi - cioè caotici - che alcuni chiamano trasgressivi e che il sistema sociale si affanna a tentar di controllare. Ma in questo modo aumenta appunto quella complessità sociale dalla quale scaturiva la possibilità di caos di quei corpi individuali, e perciò la rilancia. Nell'adulterio, il corpo degli amanti è più libero perché iperdeterminato socialmente da una più fitta rete di vincoli. I1 corpo/soggetto ripete la logica paradossale del1710 freudiano: costituito da presenze esterne che lo abitano, trae dalla ricchezza, abbondanza e pervasività di queste identificazioni la possibilità di una sua identità complessa. Se si eccettua il confine del dolore fisico e della mortalità 13, il corpo non esiste al di fuori di questa pervasività costitutiva del sociale e delle sue mappe. Contemporaneamente, esso rimane eccentrico, diffrange grazie al sociale il sociale che lo pervade, e con esso diffrange lo sguardo che lo osser-

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Qualche ottimista potrebbe aggiungere il piacere intenso...


va e le linee delle mappe che Io organizzano cognitivamente, alludendo senza soste ai loro limiti. Ogni volta che un codice lo dice nel suo discorso, esso gli oppone la necessità di altri codici. Qualsiasi analisi lo riduce - e questo è ovvio di ogni analisi. Ma la sua specificità sta nel fatto che a) non si riesce ad evitar di sentire che lo si sta riducendo, b) questa riduzione appare in qualche modo intollerabile, come se troppo del corpo ne venisse tradito. In questo modo il corpo assume lo statuto del soggetto, e dell'Io nella 2" topica freudiana: la mera funzione sintetica. Tentando di trattare del corpo, qualche scciologo più avvertito si è chiesto se esso poteva esser considerato solo come un ricettore di messaggi provenienti dal sociale, e non anche come un generatore. Ma non appena si cerca di definire i contenuti dei messaggi che il corpo genererebbe, si trovano solo la biologia del Korper, le aporie dei bisogni primarilsecondari o di nuovo il sociale stesso messo nel corpo: e di questo il pensiero determinista e lineare della tradizione sociologica non sa che fare. Va riconosciuta al corpo/Io una incapacità a non farsi soggetto che deriva non tanto da specifici contenuti del suo esser corpo, quanto dal necessario cortocircuito al quale, semplicemente vivendo, esso li sottopone. La sua necessaria unità carnale costringe il corpo a trattare, elaborare e totalizzare senza tregua tutto ciò che in qualche modo passa nel suo campo di percezione: ovvero tutta la realtà che esiste per quel corpo, esterna e interna, 'corporea' e mentale, emotiva e sociale. Il corpo è condannato a sintetizzare di continuo tutto: più precisamente, tutto ciò che in qualche modo esiste per esso, e che è poi il suo tutto. In questo senso non può non essere il <( fatto sociale totale di cui parla Mauss. I1 vero 'contenuto' che il corpo introduce di continuo nel sociale - e che in parte deriva dialetticamente dal sociale stesso - è questa sua inevitabile attività e capacità sintetica, lo scarto che a) rende il tutto diverso dalla somma delle sue parti, b) il corpolsoggetto diverso dalla risultante delle presenze (psichiche, organiche, sociali) che lo costituiscono, e C) il vivere di questo corpo/soggetto produttore potenziale di 'scarto' per ciò che coinvolge nella sua azione. I1 corpo - in un pensiero non dualistico: il soggetto - è dialettico (aristotelico e binario solo nella nevrosi...): il Grundkorper e il modello elementare del movimento dialettico del sociale, forma ed Erlebnis primaria del movimento dialettico del pensiero (del corpo pensante) e del vivere. Se queste ipotesi sono plausibili, diventa più facile identificare il nucleo centrale delle difficoltà della sociologia rispetto al corpo non dualistico. Per vederlo, o per non ridurlo, per coglierlo come corpo/soggetto sociale tanto più creativamente agente quanto più è agito dal sociale stesso, la sociologia dovrebbe essere capace di un movimento del discorso e della scrittura non più lineare, ma dialettico; sensibile più alla contraddizione e al tertium datar che non al principio di identità; e desideroso di sperimentare le modalità euristiche e le forme di descrizione/narrazione più consone alla 'natura' del suo oggetto. In attesa di questo, la sociologia che vuole occuparsi del corpo ricorre ai meccanismi di difesa classici della disciplina: la scissione tra la teoria


'alta' (un'antropologia filosofica) e la sociografia, la dispersione di questo « fatto sociale totale » in una miriade di sociologie settoriali (dello sport, della salute, del tempo libero, della moda, ecc.), la disarticolazione del corpo stesso e del suo agire in comparti separati (il corpo comunicativo/ discorsivo, il corpo sessualizzato, il corpo consumatore, il corpo disciplinare, il corpo fisico, ecc.) senza tentativi di ricomposizione euristica, il ricorso al dualismo (tipico ad es. di chi indaga del corpo le sole rappresentazioni sociali) o al costruttivismo integrale (che fa del corpo un mero spazio del funzionamento del sistema sociale e non gli riconosce né lo statuto teorico e pratico di soggetto, né la resistenza della carne), ecc. I1 risultato è il dissolvimento cognitivo del corpo, l'incapacità a definire socioIogicamente la più universale e primaria delle esperienze umane. Così B. Turner, introducendo un suo volume sul rapporto tra corpo e società, è costretto a chiedersi: esiste, può esistere un corpo concettualmente operativizzabile per l'Indagine sociologica? « In writing this study of the body, I have become increasingly less sure of what a body is D 14. Questo non significa certo che il lavoro sociologico dell'ultimo decennio sul corpo sia stato inutile. Esso mette a nostra disposizione i primi gruppi eterogenei di materiali, i primi tentativi di classificazione analitica di questo campo trasversale d'indagine, e i primi tentativi di verifica di concettualizzazioni e modelli. Soprattutto, esso ci consente di intuire con qualche inizio di chiarezza in quale direzione la riflessione sociologica sul corpo potrebbe muovere per superare alcune sue aporie, e per rendersi più congrua alle proprietà assai particolari del suo 'oggetto'. Non solo ulteriori indagini empiriche e classificazioni teoriche, ma anche l'abbandono sperimentale di una postura (sì, postura!) euristica lineare per una postura dialettica in grado di cogliere contemporaneamente il corpo come prodotto dal sociale e produttore del sociale che lo produce (la vecchia indicazione di Tarde...). Ovvero, il lavorio di una esplorazione progressiva del corpo sociale attraverso eventijcorpo nei quali il corpo esiste concretamente come fatto sociale totale: eventi letti attraverso il « paradigma clinico » o, se per alcuni è più rassicurante, « storico ». « Dio è nel dettaglio », secondo il noto motto di Warburg. Si tratta forse a) di concentrare lo sguardo sociologico sulla singolarità di Gestalt corporee specifiche indagate in una situazione concreta con l'ottica della complessità, b) di far emergere nel corso di queste indagini puntiformi modelli « genotipici » di quella Gestalt e di tradurli in modelli « idealtipici » ", C) di sintetizzare i due punti precedenti in una descrizionelnarrazione capace di ritotalizzare attraverso la l4 B. Turner, The Body and Society, Blackwell, Oxford, 1984, p. 7. Si veda anche l'osservazione di C. Shilling, T h e Body and Social Theory, Sage, London, 1993, p. 39: « An additional manifestation of this crisis in our knowledge of bodies can be found in the difficulties sociologists have had in pinning down precisely what is meant by the body n. l5 I1 riferimento owio è a Max Weber e al Kurt Lewin di The Conflict between Aristotelian and Galileian Modes of Thought in Contemporary Psychology, « J . Gen. Psychology », V, 1931, pp. 141-177.


scrittura l'intreccio dinamico de1I'evento~corpo indagato e del modello teorico implicito o esplicito che l'indagine stessa ha per così dire 'emulsionato' verificandolo e10 trasformandolo: come avviene talvolta nella scrittura storica e antropologica, o nel 'caso clinico', ovvero quando ci si trova nella necessità di dover scrivere teoricamente un 'evento'.

3.

Costruzione e rappresentazione sociale del corpo

Una sociologia del corpo deve distinguere tra costruzione e rappresentazione sociale del corpo stesso. Per costruzione sociale del corpo si intendono i processi, i metodi, le strutture e i contenuti espliciti e impliciti attraverso i quali una interazione o formazione sociale agisce in modo organizzato e costante sulla morfologia, la fisiologia e i comportamenti del corpo e10 di sue parti. Questa definizione esclude gli impatti transitori e casuali della socialità sui corpi. Accentuando i criteri di organizzazione e di costanza, essa privilegia euristicamente quelle modalità di azione sociale sul corpo che esplicano funzioni significative nell'ambito di un determinato sistema e sottosistema sociale e culturale. La definizione sottolinea anche il carattere in larga parte preconsapevole e 'ovvio' del processo. La costruzione sociale della morfologia rimanda al modellamento sociale di caratteristiche stabili, osservabili e misurabili del corpo di un individuo. Queste caratteristiche rientrano solitamente nelle categorie elaborate dalla antropologia fisica e dalla antropometria. Può trattarsi di caratteristiche globali di un corpo, o di sue singole parti e organi sia interni che esterni: la pelle, la mano, il piede, il volto, ecc. Tra gli esempi innumerevoli: il corpo dei mestieri, il corpo maschile e femminile in una determinata cultura, le mutilazioni e deformazioni rituali (il piede, il cranio, ma anche l'altezza ...) legate al genere, allo status sociale, alla condizione socio-economica o professionale, all'alimentazione e ad altre variabili sociologicamente rilevanti. La costruzione sociale della fisiologia condensa il modellamento sociale del funzionamento interno dei corpi. Contro il dualismo, vogliamo comprendere nella fisiologia anche le modalità generali dei processi mentali ed emozionali tipici di una formazione sociale, dalla coppia al macrosistema sociale. Si pensi per esempio alla costruzione sociale dei livelli di sensibilità degli organi sensoriali e di alcune categorie percettive, alle diversità sociali e culturali riscontrabili nelle modalità e nei tempi dei bisogni e funzioni fisiologiche cosiddette 'primarie' - l'appetito e il mangiare, la defecazione, la minzione, la respirazione, l'attività sessuale, il menarca e la mestruazione, la prensilità, i processi cognitivi -, e alle correlate diversità nelle caratteristiche morfologiche e nel funzionamento degli organi corrispondenti. I1 modellamento sociale del comportamento riguarda invece i gesti, gli atteggiamenti, le posture, il lavoro, le scelte 'spontanee' delle attività di gioco e di tempo libero, le scelte sportive; ma anche le forme di messa


in scena sociale del Sé/corpo. Ricordiamo qui solo alcuni esempi indicativi: gli atteggiamenti e le posture etniche, di classe, generazionali, sessuali; la pregnanza sociologica e le differenze nei sistemi di gesti; le differenze 'spontanee' nel piacere legato all'attività fisica in senso stretto, che obbediscono a rigidi pattern sociali, generazionali, ecc. La rappresentazione sociale del corpo è costituita dall'intreccio di due dimensioni: le immagini mentali, e le icone corporee. Le immagini mentali rimandano alle rappresentazioni mentali del corpo, e di alcuni suoi aspetti o funzioni. Nella prospettiva che ci interessa qui, queste rappresentazioni devono essere sociali, cioè condivise nei loro tratti essenziali da una formazione sociale qualunque, relativamente stabili nel tempo e nello spazio, razionalizzate da una (micro)cultura, organizzate, protette da forme di controllo sociale, oggetto e contenuto del processo di socializzazione. Le immagini mentali costituiscono categorie sociologiche a priori della percezione dello schema corporeo proprio e altrui. Allo stesso modo in cui gli antropologi parlano di « strutture di base della personalità D, potremmo definirle « strutture di base dello schema corporeo ». Come tali, esse organizzano i modi, prima ancora che i contenuti, di questo schema, sono prevalentemente implicite e latenti, rimangono a priori e ovvie per l'individuo e per la formazione sociale, e dunque per larga parte invisibili. Solo i loro stati-limite e le smagliature introdotte dalle trasformazioni sociali le rendono in qualche modo accessibili alla conoscenza. Queste immagini mentali riguardano tra l'altro le rappresentazioni sociali dei confini del corpo proprio e altrui (dove inizia e finisce, i suoi 'territori', il dentro e il fuori), i contenuti di predicati come grandelpiccolo, bellolbrutto, maschilelfemminile, le metafore corporee prevalenti (il corpo-macchina, il corpo-cosa, il corpo-pietra, il corpo-pianta, ecc.), le modalità del rapporto tra il corpo e le sue parti, i tempi e ritmi 'giusti' del corpo, il 'luogo' della 'mente' e degli affetti (il cuore?, il cervello?, la pancia?, il fegato? ecc.). Le icone del corpo sono invece le rappresentazioni corporee concrete, esplicite e 'tangibili', diffuse all'interno di una (micro)formazione, di un sistema sociale o di un universo culturale. 'Icona' è qui un termine riassuntivo: queste rappresentazioni possono essere bi- o tridimensionali, immagini, sculture, descrizioni letterarie, modelli medicali, sportivi e della moda, rappresentazioni corporee concrete ma en creux (ad es. quelle del corpo 'normale' veicolate dall'architettura d'interni e di esterni, dal design degli oggetti d'uso quotidiano, dal prtt à porter di massa ecc., come ben sanno coloro che hanno corpi in qualche modo abnormi). Icone o immagini mentali, le rappresentazioni sociali del corpo sono parte dei contenuti della sua costruzione sociale. I modelli sociali della morfologia, della fisiologia e del comportamento corporeo passano spesso attraverso la interiorizzazione più o meno consapevole e organizzata delle rappresentazioni, ma non si esauriscono in questo. Contro un orientamento della sociologia che ha trovato più comodo lavorare sulle rappresentazioni, e in particolare sulle icone (tanto più facilmente accessibili rispetto a dimensioni latenti che la sociologia sembra non avere né gli strumenti per né


il gusto di esplorare), occorre ribadire che la costruzione sociale del corpo eccede vistosamente il sistema delle rappresentazioni esplicite. Tuttavia le immagini mentali, in quanto sono soprattutto implicite e preconsapevoli, intervengono nella costruzione sociale del corpo non solo come contenuti, ma anche come modalità del suo processo, cioè come vettori della ovvietà di questi contenuti. Interdipendenti e intrecciate, le costruzioni e le rappresentazioni sociali del corpo producono il corpo come costrutto sociale, che è a nostro parere l'oggetto principale di una sociologia del corpo tesa a districarsi dai suoi modelli euristici lineari, ma ancora incapace di assumere pienamente una prospettiva dialettica empirica sull'accadere sociale e sui suoi soggetti: in altri termini, il corpo/costrutto sociale come necessario campo di transizione d~ll'indaginesociologica sul corpo. Vanno chiarite le implicazioni dell'espressione corpo come costrutto sociale ». 1) Perché costrutto D, e non ad es. il meno pedante « costruzione D? Costrutto condensa il riferimento a tre aree semantiche diverse: a) il 'costruire', inteso come assemblaggio di parti in un insieme diverso dalla loro semplice somma; in questo senso, costrutto D rimanda ad un oggetto concreto che risulta dall'azione intenzionata di un soggetto, e si inserisce perciò in un sistema di funzioni, può e deve essere letto funzionalmente; nella valenza del 'costruire', è lecito chiedersi le funzioni che un determinato modello di corpo adempie per alcuni aspetti di una formazione sociale; b) il 'costrutto' è però anche un costruire linguistico (ad es. il costrutto di una frase) inteso sia come mera disposizione delle parole in una espressione o proposizione, sia come la forma logica o abituale di questa disposizione; in questa seconda valenza, il 'costrutto' rimanda ad un atto mentale concettualizzante vicino al 'modello' e addirittura al 'tipo ideale'; ma anche ad una configurazione garantita dall'uso, e dunque sociale; e soprattutto ad un atto linguistico, in cui i singoli elementi che compongono la 'frase' acquistano senso vivo tramite il soggetto che li usa nella sua parole, avrebbero potuto essere organizzati anche altrimenti (polisemia, ambivalenza immanente del corpo come <( opera aperta D), esigono e compongono una narrazione e un discorso; il corpo come costrutto è un corpo popolato dai tropi, nel quale la metafora e la metonimia letteralmente si incarnano; C) « lavoro senza costrutto D, « trarre un costrutto D...: il 'costrutto' rinvia anche al profitto e al piacere; il corpo come costrutto ci ricorda che, nella sua costruzione sociale del corpo, il sociale (una specifica formazione sociale) non può non ricorrere al calcolo della frustrazione e della gratificazione; esso incontra sulla sua strada la necessita dell'economia e le esigenze del principio del piacere; in qualche modo, spesso in forme contorte e paradossali, la costruzione sociale del corpo non potrà non produrre piaceri, e in questo incontra un limite cruciale del suo lavorio sui corpi.


2) I1 corpo come costrutto sociale significa un corpo coprodotto potenzialmente dal sociale - cioè da un intergioco di formazioni sociali in tutte sue le dimensioni, articolazioni e processi. Di fronte a nessun aspetto di un corpo specifico o generico sarà lecito non chiedersi se esso è a) regolato, e b) strutturato da influenze sociali. In questa prospettiva, non esiste a priori 'natura' nel corpo umano, o per meglio dire la 'natura' è una insopprimibile categoria residuale: il corpo come costrutto si sforza di ridurne sempre più l'estensione e il peso, pur sapendo che il suo sforzo è asintotico e che uno scarto irriducibile di natura - se non altro, la morte - permane sempre a rendere incompleto il suo progetto di una costruzione integralmente sociale del corpo.

3) Letto come costrutto sociale, il corpo diventa un sistema di segni che rimandano al sociale stesso. Ovvero un insieme di indicatori sociologici potenziali che permettono di leggere dinamiche, strutture, eventi, trasformazioni e conflitti sociali attraverso i corpi. Incorporando il sociale, il corpo si rivela un ricettore sensibilissimo degli accadimenti del sociale stesso, dunque un generatore di tracce euristiche che l'approfondimento progressivo della costruzione sociale del corpo dovrà permettere di decodificare con crescente sicurezza. Naturalmente anche il corpo dell'osservatore acquista questa funzione euristica per l'osservatore stesso rispetto al cosiddetto 'oggetto' di ricerca: guardarsi dentro per poter vedere fuori, un movimento conoscitivo tipico delle discipline più spontaneamente dialettiche tra le scienze umane - la psicoanalisi, talvolta la storia e l'antropologia -, ma che la sociologia ha esiliato finora al margine dei suoi approcci più eccentrici (l'intervista biografica, l'etnometodologia più audace, l'osservazione partecipante più consapevole).

4) I1 corpo come costrutto sociale rovescia il prevalere della metafora organicista e del naturalismo sociologico nelle rappresentazioni del sociale. Non è tanto il sociale a rispecchiare il corpo, quanto il corpo ad esser letto a partire dall'esperienza di forme determinate di socialità. Non è il corpo a servire da chiave euristica per il sociale, quanto specifiche formazioni e sistemi culturali a servire da chiave euristica per il corpo stesso. I n Les formes élémentaires de la vie religieuse, la cui presenza pervade questo scritto, Durkheim afferma: <( Le concept de totalité n'est que la forme abstraite du concept de société D 16. Parallelamente, potremmo assumere che il concetto di corpo è solo la forma concreta del concetto di società D; o, con maggiore coraggio ed estremismo euristico, che <( la realtà del corpo è solo la forma concreta della realtà di una società », cioè di una realtà assai particolare, quella sociale, che, per potersi rappresentare a se stessa, ha bisogno di vedersi attraverso la realtà generica dei propri

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E. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie rdigieuse, Paris, 1979 (1912),

p. 630.


corpi l'. O ancora, che <( il concetto di corpo è solo la forma astratta della realtà di una società P,.., ovvero il contenitore cognitivo primario che una società o formazione sociale produce e riproduce per poter disporre di un concetto di se stessa. 4.

Il corpo come costrtltto sociale: un tentativo di classificazione

E' forse possibile tentare ora una classificazione delle varie modalità del corpo come costrutto. Poiché riguarda costrutti, questa classificazione è trasversale rispetto ai due assi della costruzione e della rappresentazione sociale del corpo, e ogni sua modalità comprende sia l'uno che l'altro. Essa è anche trasversale rispetto ai due problemi costitutivi di ogni ente sociale determinato: come mantenere il proprio ordine, come riprodursi nel tempo. Le procedure e i costrutti corporei che il sociale mobilita per riprodursi oltre le morti e le nascite individuali generano il mantenimento dell'ordine, e i processi corporei attivati per mantenere l'ordine sociale ne generano il riprodursi. Proponiamo quattro classi generali di costrutti corporei: il corpo del potere, il corpo della produzione, il corpo della riproduzione, il corpo della devianza. 4.1.

I1 corpo del potere ( o corpo politico)

I1 corpo del potere è quello plasmato dai rapporti sociali di potere e dalle connesse relazioni psicologiche di assoggettamento. 4.1.1. I1 corpo sovrano, o assoggettante, è il costrutto sociale del corpo di chi si trova sul versante superordinato della relazione asimmetrica di potere: ad es. il corpo del re, del capo in genere, del leader politico, del leader carismatico, del capo militare, del grande imprenditore, del ricco, talvolta del divo; ma anche il corpo dei più modesti detentori di micropoteri, di carisma <( diffuso » (Shils), o di potere transitorio legato ad una situazione temporanea: un capo ufficio, un genitore 'potente' (padre o madre che sia), il medico per il malato, il poliziotto, l'ufficiale, il prete, ecc. Questo corpo ha avuto funzioni decisive, esplicite e consapevoli fino alla fine dell'Ancien Régime. Successivamente, e contro ogni evidenza, queste funzioni sono state negate dalla razionalizzazione democratico-liberale e marxista del processo politico e delle relazioni di potere. Perfino le grandi leadership 'demoniache' personalizzate di questo secolo - Mussolini, Hitler, l7 Per qualche accenno in questo senso, si veda M. Douglas, I simboli naturali, Einanudi, Torino, 1979, in particolare il cap. V ( a I due corpi D). Le tesi s u stenute qui andrebbero intrecciate attentamente e umilmente con le imponenti indagini della psicologia dell'età evolutiva e della psicoanalisi suila costruzione delia realtà a partire dall'esperienza corporea neonatale e infantile.


Stalin, Mao, ecc. - non sono bastate a rilanciare la riflessione e la ricerca sulle condensazioni di significati e di funzioni agite dai <( corpi sovrani ». Solo in tempi recenti, sguardi meno ideologici e più disincantati hanno cominciato a esplorare le dimensioni pre-razionali, inconsce, incantatorie, mitiche-taumaturgiche ecc. legate non alla persona astratta del leader (e del microleader), ma al suo corpo in senso stretto e nella modernità. I1 corpo sovrano si manifesta con maggiore evidenza a) nelle situazioni di passaggio del corpo/soggetto: la nascita, il matrimonio, l'investitura, la malattia, la detronizzazione, la morte; b) nelle situazioni di crisi: conflitti, crisi economica o sociale, epidemie, catastrofi naturali e non. Si tratta delle situazioni privilegiate per cogliere i processi e le dinamiche attraverso i quali il corpo del potente svolge la sua funzione fondamentale - creare consenso spontaneo ad un ordine o movimento sociale e politico che esso incarna - e la rete delle funzioni correlate: cognitive (consentire la rappresentazione del non rappresentabile, una formazione o ente sociale; agire come riduttore della complessità), simboliche (incarnare in corpore vili un set di identità, risolvendo i conflitti dell'ente sociale nella necessaria unità della propria persona fisica), socializzanti (diffondere tramite l'identificazione con se stesso valori, norme, atteggiamenti e comportamenti scritti nel proprio corpo e congrui al mantenimento dell'ordine politico desiderato), comunicativo-espressive, emozionali-catartiche (essere e fare ciò che al suddito è impedito, per consentirgli gratificazioni vicarie). Particolarmente importante per l'analisi del corpo sovrano come costrutto sociale è l'indagine sistematica sulle procedure di costruzione del corpo vero e proprio del detentore del potere (la sua socializzazione corporea alla politica, la preparazione fisica al potere e la sua trasmutazione fisica lungo le tappe del suo esercizio, la sartriana infanzia di un capo », le stimmate della sovranità); e l'indagine correlata sulle rappresentazioni trasmesse ai 'sudditi', e sulla loro elaborazione di queste rappresentazioni (da un lato le icone sociali del potente, spesso intensamente corporee; dall'altro l'immaginario collettivo sul potente, anch'esso articolato su rappresentazioni corporee, posturali, ecc. legate a proiezioni - ad es. la ipersessualità - o a segni-stimmate: la mascella di Mussolini, la gobba di Andreotti. ..). Poiché sono inevitabilmente corporei, i momenti di caduta del corpo sovrano - la malattia, la morte, il post-mortem - mettono a nudo con particolare efficacia la densità delle funzioni sociali di questo corpo. 4.1.2. I1 corpo suddito, o assoggettato, è il corpo che subisce l'azione diretta della struttura politica di un micro- o macrosistema sociale. Questa azione mira a coercire il corpo suddito verso i comportamenti richiesti; oppure a indurre direttamente o indirettamente, tramite interventi sul corpo, quel corpo ad assumere come 'propri' e spontanei gli atteggiamenti congrui ai comportamenti richiesti. Nella loro forma pura, tutte e due le modalità usano la forza - declinata dalla violenza pura alla coazione indiretta - applicata al corpo. La coercizione pura è indifferente a pro-


cessi mentali che non siano la paura e il calcolo dei costilbenefici immediati; esige un comportamento specifico, e considera secondario che a questo comportamento corrisponda una convinzione. L'induzione mira invece ad ottenere con tecniche corporee le convinzioni che sfociano nel comportamento auspicato. La sua forma perfetta è data dalla definizione weberiana dell'obbedienza: << L' "obbedienza" indica che l'agire di colui che obbedisce si svolge essenzialmente come se egli, per suo stesso volere, avesse assunto il contenuto del comando per massima del proprio atteggiamento [...l >> l'. Naturalmente la coercizione auspica la presenza del convincimento, e l'induzione non esita a ricorrere alla coercizione qualora il convincimento 'spontaneo' tardi ad arrivare.. . Esiste una ulteriore più sottile differenza tra le due forme pure del corpo suddito. Nel caso del corpo coatto, l'atto coercitivo si situa nel rapporto di sottomissione diretta, fisica, ad un qualche corpo sovrano di persona che applica la forza. Nel caso del corpo indotto, o 'convinto', l'induzione passa anch'essa attraverso una azione fisica diretta, ma sembra provenire da una entità più generica e astratta: un soggetto collettivo, un ente sociale, talvolta enti ancora più astratti e impersonali come la consuetudine, la tradizione, la Legge. Nel primo caso agisce un qualche 'sovrano', nel secondo caso agisce soprattutto, anche nella percezione della vittima, un corpo sociale, il sociale. Non a caso, il corpo coatto sembra tradursi in quelle che preferiamo considerare figure della non-modernità, residui di Ancien Régime nella società industriale o presenze della barbarie nelle situazioni in cui viene meno il funzionamento normale di una società: il prigioniero, il torturato, l'ostaggio, il soldato, l'internato. I luoghi di questo corpo sono perciò prevalentemente istituzioni totali isolate dal normale spazio sociale: la caserma, il covo terrorista, il luogo di tortura, la prigione, il lager, il manicomio... Il corpo indotto - che chiameremo d'ora in poi corpo obbediente si presenta in tre forme canoniche: a) il corpo marchiato: ovvero il corpo che, almeno in parte spontaneamente, subisce e accetta azioni fisiche che lo contrassegnano nella sua morfologia e fisiologia in nome di esigenze in qualche modo sociali. Rientrano in questa categoria tutte le modalità di mutilazione, deformazione di parti del corpo, scarificazione, ecc., che nelle società dette tradizionali appaiono legittimate dalla consuetudine o da credenze religiose, e collocate all'interno di situazioni rituali; mentre nelle società industriali e postAncien Régime sembrano razionalizzate prevalentemente da credenze scientifiche e dalla 'moda'. Questa classe comprende i vasti insiemi di aggressioni organizzate al corpo che ci vengono descritti dalla ricerca antropologica ed etnografica; ma anche le miriadi di marchiature implicite e socialmente richieste del corpo che sono attive in tutte le articolazioni dei nostri sistemi sociali: ricordiamo a titolo di esempio le marchiature professionali

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M. Weber, Economia e società, Comunità, Milano, 1986, v. 1, p. 209.


(i capelli corti dei militari), le marchiature di peer group o di gruppo d'età, la chirurgia estetica, gli interventi correttivi inutili (molte protesi dentarie), le persistenti marchiature del corpo femminile (tra queste, l'aumento dei parti cesarei), ma anche marchi più tradizionali come i tatuaggi, gli inanellamenti di parti del corpo, ecc. b) I1 corpo disciplinato: ovvero il corpo che tollera, e talvolta richiede spontaneamente, azione fisiche che modificano i suoi comportamenti. Rientrano in questa classe tutte le forme di tecniche del corpo presenti in un sistema sociale e nei suoi sottosistemi. Queste tecniche sono state in parte classificate e descritte da Mauss, cui rimandiamo, e riguardano in primo luogo i comportamenti corporei più abitudinari e di base, comuni di solito a gruppi sociali estesi: il modo di camminare, di stare seduti, di afferrare, di bere e mangiare, di urinare e defecare, di accoppiarsi, ecc. Ma riguardano anche le microtecniche specifiche attraverso le quali singole formazioni sociali di varia natura costruiscono comportamenti distintivi non necessariamente coerenti ccn quelli delle formazioni sociali più ampie cui appartengono formalmente: la disciplina corporea della caserma, della scuola, dell'ospedale, della palestra, o della propria famiglia, diventa per gran parte incongrua appena se ne esce. Dietro al corpo disciplinare sta sempre un modello di corpo corretto, e corpi da correggere: come ogni corpo, ma in modo spesso dichiarato e consapevole, il corpo disciplinare si vuole sintesi corporea di valori e norme culturali, stenografa in modo incarnato ideologie e visioni del mondo, e tende a razionalizzare se stesso. c ) I1 corpo amministrato: ovvero il corpo che viene costruito da modalità legali-razionali e burocratizzate di gestione dei suoi processi e atti nell'ambito prevalente di organizzazioni complesse. Questo corpo può coincidere talvolta con alcune forme del corpo disciplinare. L'amministrazione del corpo implica le caratteristiche tipiche della razionalità burocratica: l'esistenza di sistemi di regolamenti universalizzanti (validi per tutti); la depersonalizzazione del rapporto tra il 'burocrate' e l'individuo/corpo; la gestione del corpo articolata in sistemi e sottosistemi di 'competenze' (prestazioni) parziali che mettono in atto una mappatura e classificazione del corpo, delle sue parti e dei suoi processi; la gerarchia burocratica di queste competenze come corrispondente di una gerarchizzazione delle parti e funzioni del corpo stesso; un sistema di sanzioni dirette o indirette, formali o informali, che 'orienti' il corpo ad accettare come ovvia o auspicabile la propria amministrazione burocratizzata; un sistema di razionalizzazioni che rappresenti questa accettazione come una necessità razionale emanante da principi e ordinamenti generali impersonali, e non come assoggettamento. I1 corpo amministrato è 'politico' appunto perché è il vettore corporeo della forma dell'ottemperanza a un potere astratto, spersonalizzato (chi lo esercita lo detiene solo come funzione), limitato, pattuito, 'buono': l'amministrazione rappresenta la cura razionale di interessi prescritti dagli ordinamenti del gruppo, entro limiti prescritti dalle regole giuridiche, e secondo principi generalmente accettati » [M. Weber, op. cit., p. 2121. Attraverso il corpo amministrato si obbedisce weberianamente, nel modo del proprio


corpo, a un potere che si manifesta come il sociale in quanto tale, la forma del sociale condiviso: dunque ad un potere particolarmente difficile da riconoscere come antagonista. Gli esempi di questa modalità amministrata del corpo politico sono evidenti. Ricordiamo semplicemente l'amministrazione complessa di eventi e fasi dell'esistenza del Leib come la nascita, l'adolescenza, la sessualità e l'accoppiamento, la malattia, la morte naturale e la morte socialmente prescritta (guerra, esecuzione), ecc.

4.2. I1 corpo produttivo (o economico) I1 corpo che producendo si produce come corpo specifico è la seconda grande modalità corporea del corpo come costrutto sociale. Esso si articola in due ulteriori modalità destinate ad intrecciarsi variamente: il corpo produttore, e il corpo consumatore.

4.2.1. I1 corpo produttore è il corpo che produce, ed è prodotto come corpo dal suo produrre, dal suo consumarsi. Questo corpo produce fornendo la sua attività come valore d'uso o di scambio (vendita di questa attività sul mercato). I1 suo corpo ne è plasmato come corpo del mestiere, sintesi e sedimentazione corporea (morfologica, fisiologica e comportamentale) delle modalità della sua fatica. È noto da sempre che i 'mestieri' hanno i loro corpi, e che ogni attività umana costruisce l'intero corpo o alcune sue parti in modo funzionale alle, o segnato dalle, sue necessità pratiche: la mano del chirurgo o del sarto, l'occhio del marinaio, le braccia dello scaricatore, il pene del prostituto o dell'attore hard core, ma anche il corpo del cantante d'opera, del soffiatore di vetro, del bracciante, dell'addetto alla fonderia o alle fornaci di mattoni, ecc. A questo corpo del mestiere l'antropometria sociologica del secolo scorso ha dedicato una attenzione spesso ideologicamente viziata, ma inopportunamente dimenticata dalla tradizione sociologica. I1 corpo del mestiere è a sua volta la sintesi di un corpo tecnologico e di un corpo organizzazionale. I1 primo è costruito dalle tecniche o tecnologie prevalenti usate nella propria attività, dalle loro caratteristiche ergonomiche e modalità meccaniche: in quanto strumenti, la falce e il computer, la linea di montaggio parzialmente automatizzata e la poltroncina dell'analista sono stenogrammi di posture, contengono modelli impliciti di morfologie e di processi fisiologici, assegnano al corpo confini spaziali e ritmi temporali specifici, sviluppano alcune sue parti e capacità mentre impediscono lo sviluppo di altre. I1 secondo corpo è plasmato invece dalle caratteristiche materiali, sociologiche e psicosociali della organizzazione concreta in cui il corpo è attivo, così come esse vengono filtrate e reinterpretate dal peer group in cui quel corpo è inserito. Si pensi alle differenze complesse tra i corpi che lavorano in una organizzazione industriale manifatturiera o di servizi, in una struttura burocratica o in uno studio professionale, in un grande magazzino o in un ospedale. I1 great divide tra lavoro manuale e non manuale è solo uno degli aspetti, e forse via via meno importante. La diversità riguarda tutti gli aspetti della vita cor-


porea: il limite dei territori del corpo, la 'fisicità' dei contatti e delle comunicazioni, le rappresentazioni dello schema corporeo e del dentro/fuori, la gerarchia delle parti del corpo, i tempi, i modi e i livelli sia della distanza giusta che della intimità, le soglie della fatica, la cultura organizzazionale del corpo, la sottocultura corporea del peer group di lavoro, ecc. Costruito dal lavoro, il corpo di mestiere si collega ai rapporti sociali di produzione. Le forme e i modi dell'esistenza in sé, della consapevolezza per sé e della dialettica tra le classi e i ceti costruiscono le condizioni materiali di esistenza di un gruppo sociale, la sua capacità di negoziarle e modificarle, ma anche aspetti più sottili dei suoi corpi: l'autostima corporea, la definizione dei bisogni primari e secondari, la difesa o la scoperta di una capacità trasgressiva del corpo, la capacità di contrastare la socializzazione ideologica del proprio corpo, la capacità di sublimare le gratificazioni corporee verso obiettivi più astratti e generali (di gruppo, di ceto, di classe). I n quanto corpo che produce, da un lato il corpo è impregnato di dialettica sociale, ma anche di falsa coscienza e di ideologia; dall'altro, rimane sempre, inevitabilmente, corpo di ceto, corpo di classe sociale, che ci consente di parlare prudentemente di « corpo operaio », « corpo contadino », « corpo dell'impiegato » o addirittura « corpo piccolo-borghese » in funzione dei livelli di dialettica sociale consapevole in un determinato momento storico. O per lo meno ci consente di chiederci: esistono realmente questi virtuali corpi di ceto e di classe? Sono mai esistiti? Qual è il loro destino? L'ipotesi del corpo di mestiere e di classe come costrutto sociale ha un corollario importante. Un corpo singolo, ideografico, può diventare un indicatore sociologico importante per le dinamiche strutturali e collettive di un sistema sociale. È possibile immaginare una sociologia corporea delle dinamiche sociali, capace di leggere sui corpi e dentro i corpi i segni, talvolta i sintomi, del mutamento e del conflitto sociale; capace di capire che il Leib è lacerato dalle contraddizioni del sociale che lo abita, e che, a saper vedere, l'anomia è una ferita nella carne. Diventa pensabile allora, e non più ridicolo, il progetto di una sociologia eidetica che August Sander aveva cominciato a realizzare nella Repubblica di Weimar: Un Antlitzt dev Zeit in cui corpi individuali ma anche tipici dicano la struttura sociale di una societa. I1 corpo prodtlttore presenta una ulteriore forma, la più inquietante, destinata ad acquistare peso nei decenni che verranno: il corpo che produce producendo se stesso come segmenti di carne dotati di valore di scambio. Più semplicemente, il corpo che si pensa come vendibile nella sua carne e nei suoi organi. Accanto alla prostituzione e alle varie forme di compravendita di corpi, ecco ora l'affitto dell'utero, la vendita in vita di parte di sé da vivo o da morto per trapianti, il mercato degli organi vivi nel Primo mondo e dal Terzo verso il Primo, la vendita dei cadaveri o di parti di essi per l'uso industriale, scientifico o medico in altri corpi viventi, il mercato dei feti e di residui corporei a perdere (le placente), lo stesso mercato del sangue (donatori di professione): niente di nuovo,


nelle pratiche reali come nell'immaginario collettivo ", se non fosse per a) il carattere sempre più illimitato che le tecnologie medico-biologiche danno a questo tipo di produzione tramite il corpo, b) la revisione dello statuto giuridico e sociale di proprietà del proprio corpo, e la crescente socializzazione che minaccia il corpo non ancora nato, vivente e morto (si vedano le normative sempre più diffuse che tendono a considerare il cadavere un bene socialmente disponibile per qualsiasi uso), C ) l'impatto crescente che questa alienabilità, fungibilità e transitabilità sociale dei corpi ha sulle rappresentazioni corporee degli individui.

4.2.2. I1 corpo consumatore è il corpo produttivo che produce se stesso non più consumandosi, ma consumando il sistema delle merci. Esso è costruito socialmente dal come e cosa esso consuma. Da tempo la teoria economica ha abbandonato la tesi classica del lavoro come chiave di volta della produzione del valore, e ha inserito ilella panoplia del valore anche il consumo e il consumatore. I1 'come' di questa produzione del consumatore è legato al presunto sistema di bisogni che produce il consumo, e che è a sua volta socialmente prodotto: la soglia di gratificazione, i suoi ritmi e tempi, la elasticità o viscosità di un bisogno determinato, ecc., appaiono legati alle privazioni relative e ai gruppi di riferimento, ai fenomeni di moda, alla induzione socialmente organizzata di set di bisogni e di livelli di urgenza. I n questo modo il corpo consumatore si trova ad essere costruito per quella parte di bisogni che crede di poter attribuire al proprio corpo. Nella sua rappresentazione di se stesso, esiste un folto gruppo di oggetti di cui ritiene che il suo corpo abbia in qualche modo bisogno direttamente o indirettamente. La costruzione del consumo di questi oggetti diventa costruzione parallela di contenuti, tempi e rappresentazioni del suo corpo, delle forme del bisogno, della avidità e della frustrazione tollerabile, ecc. (si pensi per es. alle modifiche della percezione e sopportabilità del dolore o della sofferenza psichica introdotte dalle modalità dell'offerta massiccia di antidolorifici) m. I1 cosa del consumo è dato dal sistema degli oggetti. Dando corpo, cioè un obiettivo concreto, ai bisogni, li definisce e viene interiorizzato dal corpo stesso come sua autorappresentazione rispecchiata. I1 corpo si conosce e riconosce attraverso gli oggetti di cui sente il bisogno, e per loro tramite costruisce parte della propria identità, della propria immagine e del proprio schema corporeo parziale e totale. Questo mirroring funzio-

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Si veda ad es. C. Grottanelli, Bagni di sangue, re lebbrosi e una Rivolzrzione,

<< I1 corpo », 1993, I , n. 1, pp. 41-65. 20 L'ancoramento dei consumi al corpo - la loro incorporazione - sembra una tendenza crescente delle società industriali avanzate. A giudicare dai messaggi pubblicitari e dai messaggi impliciti contenuti negli oggetti, anche i consueti elementi di moda, di simbolo di status, di 'distinzione' e di prestigio vengono rappresentati nel corpo: il non essere alla moda o l'ansia di status diventano in questo modo un dolore e un bisogno corporei. I1 tramite di questa trasformazione è il narcicismo.


na come un singolare « specchio delle mie brame », in cui l'oggetto che dovrebbe rappresentarmi la possibilità di una identità compiuta e di una gratificazione almeno temporanea di un mio bisogno, agisce piuttosto come un produttore polimorfo di sempre nuove « brame ». Scrive bene M. Poster in un commento a Baudrillard: <( consumer objects are like hysterical symptoms; they are best understood not as a response to a specific need or problem, but as a network of floating signifiers which are inexhaustible in their ability to incite desire 21. I1 sistema degli oggetti rimanda al corpo consumatore una mappatura di sé al tempo stesso fluida e indispensabile, che non consente mai all'immagine corporea di appagarsi in una Gestalt compiuta, ma gli apre nuove inesauribili configurazioni virtuali di appagamento; e ciò facendo costruisce socialmente il corpo consumatore narcisista come capolavoro virtuale sempre perfettibile. Si veda ad es. la frammentsizione progressiva della superficie del corpo operata dalla cosmetica: dalle grandi mappe approssimative degli anni 60 fino all'attuale qu~drillageminuzioso di singoli segmenti di pelle ai quali vengono dedicati oggetti di consumo dalle prestazioni sempre più puntiformi, in una illimitata analiticità della rappresentazione e illimitatezza del desiderio.

4.3. I1 corpo riproduttivo Diversamente da quello produttivo, il corpo riproduttivo come costrutto sociale è il corpo che produce se stesso riproducendosi. Questa riproduzione è fisica, corporea, e di ruolo.

4.3.1. La riproduzione fisica si presenta come a) riproduzione fisica del proprio corpo, b) produzione di altri corpi. La riproduzione fisica di se stessi mira alla autoconservazione in vita. Essa si presenta come un bisogno primario fondamentale, che precede logicamente e biologicamente la costruzione sociale del corpo. La linearità di questo approccio 'naturalista' è corretta da due constatazioni: a) appartiene alla specie umana la costruzione sociale di situazioni di rischio estremo, non necessarie alla sopravvivenza, presentate come rito, gioco, atto eroico, suicidio altruistico, ecc., e largamente praticate; contro ogni logica del bisogno puro e semplice, il corpo che si riproduce dissipa; b) le forme di riproduzione del proprio corpo eccedono di molto il semplice ripristino dell'equilibrio energetico e vitale del corpo, e spesso lo contraddicono: non si mangia quando si ha fame e si deve mangiare quando non la si ha, non si può dormire quando si ha sonno ma nelle ore assegnate al sonno, ecc. Il sociale non si fida della 'naturalità' della natura; forse teme, durkheimianamente, la follia e la mancanza di confine dei desideri. Preferisce garantire

21 M. Poster, Introduzione a J. Baudriilard, Selected Writings, Stanford University Press, Stanford, 1988, p. 3.

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la sopravvivenza dei suoi membri con la certezza delle proprie norme e la forza del proprio controllo sociale. I cosiddetti bisogni primari vengono orientati, regolati, negati o resi talvolta acuti e incontrollabili dal sistema sociale. La riproduzione fisica del proprio corpo è costruita socialmente dalle norme e tecniche della cura di sé: il regime alimentare e la dieta, il regime del sonno/riposo/lavoro, il set delle terapie corporee e paracorporee (tra cui le forme di meditazione e le modalità ascetiche), il regime delle attività fisiche (il gioco fisico, le forme sportive, i regimi sportivi), il regime dell'abbigliamento. Attraverso il modellamento sociale di queste tecniche, il sociale si installa al cuore dei bisogni primari. La riproduzione fisica di altri corpi si presenta nella duplice forma della loro generazione e della loro cura. Anche qui il sociale non si fida di una qualche presunta saggezza della specie e della natura. I1 corpo generativo e sessuale è socialmente plasmato in modo tale da essere contemporaneamente stimolato ad accoppiarsi (in barba al vitalismo erotico) e trattenuto dall'accoppiarsi troppo. Si struttura per tentativi ed errori un insieme di procedure e tecniche della riproduzione e del suo impedimento: tecniche fisiche (le forme, i tempi, i modi dell'accoppiamento, dell'aborto, dell'accesso del feto alla nascita, e dell'infanticidio), fisico-interattive (il corteggiamento), sociali (la manipolazione delle variabili sociali del quando, come e perché il corpo può accoppiarsi e talvolta generare). In questo set di tecniche occupano un posto del tutto particolare e ben noto le tecniche corporee relative al controllo sociale del corpo femminile in tutte le fasi delle sue funzioni riproduttive. Nato, il corpo altrui può sopravvivere se viene curato, protetto, educato a riprodurre adeguatamente se stesso. Si inseriscono qui le tecniche sociali del prendersi cura del corpo dell'altro: le regole che organizzano la manifestazione fisica delle emozioni e degli affetti, le procedure del rapporto madre-figlio e della socializzazione primaria, le classificazioni dei sintomi della malattia e le tecniche della guarigione. Molte di queste tecniche si concentrano nella famiglia. Questo campo cruciale della riproduzione fisica del proprio e dell'altrui corpo è mappato, organizzato cognitivamente e supportato emozionalmente da una imponente produzione di materiali simbolici, narrazioni mitiche, strutture dell'immaginario collettivo, produzioni artistiche e rappresentazioni del corpo e della sessualità. Ancora una volta, la ricchezza e la complessità delle strutture simboliche mobilitate indicano quanto poco i sistemi sociali si fidano della naturalità presunta della specie, e della 'spontaneità' del bisogno 'primario' di riprodursi e riprodurre. 4.3.2. La riproduzione corporea rimanda alla costruzione sociale di un corpo adeguato e congruo alla formazione sociale cui appartiene. La riproduzione fisica .mirava a garantire al sociale almeno il Korper. La riproduzione corporea vuole garantirgli il Leib, un corpo completo di tutte le sue articolazioni anche cognitive, emozionali, comunicativo-simboliche: un corpo culturale.


I1 campo della riproduzione corporea coincide con la socializzazione primaria e secondaria del corpo, Per alcuni suoi aspetti, esso si sovrappone alla cura del corpo altrui (vedi sopra), ma se ne distacca presto via via che entrano in campo le varie agenzie sociali della socializzazione. A titolo di esempi, ricordiamo la riproduzione corporea che ha luogo nel periodo neonatale attraverso le forme socialmente organizzate di puericultura e le loro razionalizzazioni pediatriche; attraverso quel corto circuito di complessità sociale che è la famiglia; attraverso le rappresentazioni corporee e il disciplinamento dei corpi messi in atto nella scuola, nelle stratture religiose, nelle organizzazioni sportive e nello sport 'spontaneo', nelle discoteche, nei peer groups e 'bande' maschili e femminili, nella caserma (corpo militarizzato); poi ancora nelle strutture mediche e paramediche (il modello del corpo sano), nelle situazioni psicoterapeutiche (il modello del corpo ~ntegrato','autentico', 'liberato' ecc.), nelle prigioni, nelle organizzazioni produttive di ogni genere, nelle associazioni professionali, nei club sociali, nelle sette e società segrete ... Ci si obietterà che la riproduzione corporea come costrutto ricalca da vicino il campo del corpo disciplinato e amministrato, e le sue organizzazioni. Non è cosi. I n queste due ultime modalità, l'azione sul corpo mirava essenzialmente a incarnare e a rendere ovvia, preconsapevole, l'accettazione di una modalità dell'essere assoggettati, ovvero una forma di relazione politica di subordinazione. Nella riproduzione corporea, è invece una visione del mondo che mira ad essere incorporata nell'a priori del corpo. I1 Leib diventa in questo caso la condensazione incarnata non solo del rapporto politico, ma di una configurazione complessa di norme, valori, strutture simboliche, elementi del17immaginario, rappresentazioni dell'ordine sociale e delle sue dinamiche, quadri sociali della conoscenza. Con una difficoltà: in un sistema sociale complesso, nulla garantisce che le diverse agenzie socializzanti trasmettano modelli corporei congrui tra loro. È probabile che una certa congruità si realizzi al livello delle strutture più primitive e a priori della visione del mondo di quel sistema culturale - i quadri sociali della conoscenza, le categorie del tempo e dello spazio, le forme della causalità, alcune imago corporee -; ma è altrettanto probabile che le discontinuità, i mutamenti e i conflitti del sociale siano presenti anche nei contenuti delle socializzazioni parziali attraversate da un corpo. I1 corpo diventa in questo modo il possibile luogo geometrico di una ricomposizione forzatamente unitaria di quelle contraddizioni; ma anche un campo lacerato, scisso, che scrive nella propria carne (morfologia, fisiologia e comportamenti) queste lacerazioni sotto forma di sintomi. Non solo all'isterica, ma anche al sociale spetta il dubbio privilegio della conversione somatica del conflitto... t.

4.3.3. La riproduzione di ruolo rimanda al corpo che produce se stesso producendosi come ruolo e sistema di ruoli. I1 ruolo è qui una rappresentazione sociale del Sé relativamente stabile e standardizzata all'interno di una formazione sociale determinata. Esso costituisce il fluido


punto d'equilibrio tra la Gestalt sociale codificata del ruolo (la 'parte' scritta nel copione e completa delle indicazioni di scena) e I'interpretazione che ne dà il singolo individuo a partire dalla sua biografia e nell'ambito di una interazione specifica (I'interpretazione dell'attore). La rappresentazione del ruolo è fatta di comunicazioni verbali e soprattutto non verbali. Queste sono efficaci solo se le agisce un corpo congruo al ruolo stesso. I1 physique du r61e è questo corpo, inteso globalmente come sintesi coerente di a) una morfologia e in parte una fisiologia (è socialmente rappresentabile un padre impotente?), b) un set di comportamenti e di posture, C ) un set di atteggiamenti comunicati tramite il corpo, d) una immagine e uno schema corporeo di se stessi sufficientemente interiorizzati da poter essere assunti almeno in modo transitorio come propri, e recitati adeguatamente. È importante poter distinguere il physique du r6le dal physique du métier (vedi sopra). Come lo status, il mestiere implica soprattutto I'ottemperanza a regole di comportamento e forme d'azione; è utile ma non indispensabile la loro interiorizzazione sotto forma di un set di atteggiamenti e di valori, una visione del mondo, una immagine del corpo, ecc. (si può fare i1 notaio senza sentirsi notai). Per essere convincente e dunque efficace, la messa in scena di un ruolo implica invece questa interiorizzazione e immagine almeno temporanea. I1 physique du r61e è un requisito indispensabile per tutte quelle azioni in cui il soggetto non può mettere solo il contenuto oggettivo del proprio atto, ma deve mettere se stesso: ovvero, per quelle azioni che richiedono e/o intendono produrre una identificazione e una identità; in altri termini, per quelle azioni che intendono riprodurre il sociale. Il corpo di ruolo è perciò una modalità di produzione del corpo che appartiene in modo specifico a: a) il processo di socializzazione primaria, soprattutto nella sua dimensione generativa; esistono modelli e rappresentazioni di corpi da padre, da madre, da figlio ecc.; questi modelli sono correlativi l'uno all'altro, variano in parte da famiglia a famiglia, ma sembrano conservare aspetti comuni a formazioni sociali estese e ad interi sistemi culturali; essi costituiscono delle imago che hanno un peso decisivo nelle vicissitudini dello schema corporeo e del rapporto di ciascuno di noi al proprio corpo; b) gli aspetti 'tecnici' della socializzazione primaria, e l'intero processo di socializzazione secondaria; esistono forme varie di corpo di ruolo per il pediatra, la puericultrice/infermiera, la balia e la maestra, il prete e il professore, l'ufficiale, l'istruttore di educazione fisica, il 'maestro' yoga e lo psicoterapeuta, il leader politico in tutte le sue gradazioni di potere, il divo, ecc.; questi corpi diventano portatori impliciti di contenuti di valori e norme da un lato, e di una ideologia implicita dall'altro, che trasmettono attraverso le vicissitudini del processo di identificazione; in questo modo incorporano nell'altro una visione del mondo, e adempiono alla parte più importante ed efficace delle loro funzioni di socializzazione; c ) i ruoli generazionali; attraverso l'offerta di corpi di molo per le varie fasi del ciclo di vita, una formazione sociale gestisce la r a p


presentazione corporea dell'avvicendamento generazionale, cioè del tempa diacronico del sociale; esistono modelli dei corpi di bambino, ragazzo, adolescente, adulto, anziano, vecchio, ecc., ma la griglia sociale del corpo di ruolo è ben più fine, e ancora inesplorata: si pensi alla complessità degli indicatori che vengono usati per attribuire, spesso con grande precisione, l'età ad una persona, e dunque alla retrostante ricchezza analitica del modello corporeo utilizzato; attraverso i corpi 'generazionali', una formazione sociale trasmette ai suoi membri una rappresentazione corporea codificata del ciclo di vita individuale come avvicendamento evolutivo - bio-fisiologico - di ruoli sociali: si diventa progressivamente, per necessità natzrrale, giovani, poi adulti, e anziani... I n questo modo l'incerto processo di riproduzione del sociale nel tempo (il simmelliano <( come si mantengono le forme sociali D) acquista la certezza ovvia della trasformazione temporale di un corpo: senza strappi né soluzioni di continuità, e nell'inevitabile mantenimento della propria identità che sembra tipico del corpo che cresce e invecchia.

4.4.

11 corpo deviante I1 corpo deviante è l'ultima grande modalità del corpo come costrutto sociale. Esso rimanda al corpo costruito dalla sua devianza morfologica, fisiologica o comportamentale. Per devianza si intende qui lo scarto del corpo (o di una sua parte) rispetto a) al corpo statisticamente 'medio' di una formazione sociale grande o piccola, e/o b) al modello di corpo dominante all'interno di una formzzione sociale. Le due devianze non coincidono necessariamente: ad es., un gruppo sociale può assumere a modello normativo di corpo non il proprio corpo statistico medio, ma il corpo considerato tipico del proprio gruppo di riferimento; oppure, all'interno di una formazione sociale una élite dominante può imporre come corpo corretto il puoprio corpo medio. All'interno di una società appena complessa, un corpo può essere deviante all'interno di un gruppo, e non esserlo più in altri contesti, e viceversa. È però utile distinguere qui due modalità del corpo deviante: il corpo deuiante in senso stretto, caratterizzato da una qualche abnormità o stigma fisico che genera l'attribuzione di devianza corporea; e il corpo del deviante, dove prevale I'abnormità o devianza sociale, che produce secondariamente anche I'inuenzione di una devianza fisica. Si pensi per es. al tentativo plurisecolare (culminato nell'antropometria criminale) per individuare indicatori corporei - quasi sempre devianze - collegabili a comportamenti sociali ritenuti in quel momento inaccettabili. o a ruoli sociali 'straordinari': il facies o il corpo della prostituta, del ladro, dell'assassino, ecc.; ma anche del sovrano, dello sciamano, del genio. L'interazione tra questi due corpi è complessa e spesso circolare. Nel corpo del deviante si cerca, o per lo meno si assume di frequente, la devianza fisica: si naturalizza l'abnormità sociale, e la si rende visibile, prevedibile. Si pensi per es. allo sforzo costante dei sistemi sociali per attribuire uno stigma fisico allo straniero, e soprattutto al ben più inquietante stra-


niero interno: I'abnorme << rosso di capelli » che le rappresentazioni medievali attribuivano al traditore e al fellone fa il paio con la continua ricerca di un qualche stigma nel traditore moderno: essere albini o strabici, la sifilide, la gobba, l'omosessualità 22. Ma al corpo deviante si attribuisce con la stessa frequenza l'esser stati, l'essere o la propensione ad essere dei devianti sociali: dietro lo stigma si cercano spontaneamente le tracce della colpa, con risultati devastanti per l'individuo. Un tumore non è ad es. sempre più il segno che si è vissuto in qualche modo 'male', che non ci si è saputi contenere, disciplinare, vivere una vita 'sana' o psichicamente ben integrata, ecc. 23? I1 corpo della modernità sembra al centro di una tensione dalle conseguenze importanti. Da un lato, esso è figlio di una sua naturalizzazione deterministica, derivata dal positivismo, che considera il corpo come la dimensione totalmente determinata della persona, e talvolta come la persona tout court: in questa prospettiva il corpo non ha colpa, ed è sempre una <( circostanza attenuante D nella valutazione delle responsabilità individuali. Dall'altro, grazie ad un coacervo di influenze, il corpo moderno fa suoi due aspetti fondamentali del corpo magico: a) l'assunto secondo il quale si è implicitamente responsabili della propria morfologia, fisiologia e comportamento corporeo: il deviante sociale ha un corpo deviante, il corpo deviante comporta l'attribuzione più o meno silenziosa di una devianza sociale; b) l'altro assunto secondo il quale il corpo (dunque il corpo deviante) è sempre un significante che rimanda ad una condensazione di significati; dunque sempre un segno, mai un accidente. In questo atteggiamento, che forse è immanente al sociale in quanto tale, viene sancita la congruità a priori del Korper e del Leib (il corpo che ha un'Io), e il corpo perde la possibilità, la salvezza della contingenza: non è più in parte eteronomo e casuale rispetto al soggetto, non è più il suo riposante spazio di natura, nel quale rifugiarsi di tanto in tanto fuori dalla presenza ossessiva del vincolo sociale e della responsabilità 24; è anch'esso trasparente al sociale e alla coscienza, dunque al soggetto responsabile di se stesso. L'abbandono del dualismo si rivela qui una strategia delle microfisiche del potere e del controllo sociale totalizzante. I1 corpo deviante può costruirsi socialmente come tale solo all'interno

Non è possibile approfondire qui il corpo paradigmatico deiio straniero interno ». Rimandiamo al nostro saggio Lo Straniero Interno, che introduce il volume Lo straniero interno, a cura di Enrico Pozzi, Laboratorio di Storia n. 7 », Ponte d e Grazie, Firenze, 1993, pp. 9-24. Altri scritti presenti nel volume toccano il tema di questo corpo-limite. S. Sontag, Illness as a Metaphor, New York, 1983. 24 Forse l'ultimo spazio rimastogli è nel piacere della malattia; un piacere che viene tuttavia eroso giorno dopo giorno nei nostri sistemi sociali. È facile prevedere che presto neanche l'esser malati sarà più un rifugio sicuro rispetto alle responsabilità sociali e individuali della vita quotidiana. Sulle strategie e i piaceri dell'ammalarsi o del fingersi tali, si veda T. Mann, Le confessioni del cavaliere d'industria Felix Krull.


di un sistema di classificazioni sociali. Ogni stigma, patologia, incompiutezza o abnormità del corpo rimanda ad un qualche modello e criterio classificatorio: il corpo transessuale al genere, il corpo vecchio all'età, il corpo malato o mostruoso al normale/patologico, ecc. Ogni gruppo sociale deve darsi un atlante dei corpi al suo interno e al suo esterno, che consenta di situarli cognitivamente, riconoscerli o disconoscerli, offrendo indicazioni operative rapide al suo membro che ha bisogno di sapere come comportarsi. Le differenziazioni sociali forniscono il modello di questa classificazione, che procede poi autonomamente, in base alla sua logica. I corpi vengono scomposti e ricomposti da griglie sempre più fini e da tassonomie via via più puntiformi. Si classificano le totalità corporee, il corpo nel suo insieme; ma anche, in modo minuzioso, i suoi dettagli. Comune a tutti i sistemi sociali piccoli e grandi - anche le famiglie e le coppie producono classificazioni proprie -, lo sforzo classificatorio dei corpi ha raggiunto uno dei suoi apici nella criminologia occidentale dalla fine de11'800: le grandi tavole classificatorie dei vari tipi di orecchi, di nasi, di menti e di bocche invadono i manuali criminologici, mentre le polizie affinano il <( ritratto parlato di Bertillon. Resa pensabile dalle classificazioni sociali, la classificazione del corpo fonda a sua volta nel corpo le classificazioni sociali. Le tipologie dei corpi vengono usate per ancorarvi le diversità piccole e grandi che i gruppi sociali decidono di vedere in se stessi e intorno a sé. Le differenze dei corpi servono a naturalizzare le differenze nei e dei sistemi sociali. Socialmente prodotto, lo 'straniero' si vede produrre come straniero dal suo stesso corpo: è straniero perché ha un corpo diverso per qualche aspetto; e non invece: è straniero perché abbiamo bisogno della sua differenza da noi per essere 'noi', e allora vediamo che il suo corpo è diverso. L'approccio naturalistico al corpo come fatto sociale vede il corpo stesso come la causa e il primo nucleo delle classificazioni sociali. In questo modo non coglie che questo processo esiste ma è spesso secondario, non primario: il corpo accoglie, rielabora e rimanda come 'naturali' al sociale le classificazioni il cui paradigma è stato fornito dal sociale stesso.

Non esistono bibliografie in lingua italiana sulla sociologia del corpo. Tra quelle straniere, segnaliamo almeno le seguenti: a ) J . M . Berthelot, M. Drulhe, S. Clément, J. Formé, G. M'bodji, Les Sociologies et le Corps, << Current Sociology », XXXIII, 1985, 2. Si tratta della più compIeta bibliografia in lingua francese, con 697 voci. Particolarmente interessante il recupero degli studi ottocenteschi sulla condizione operaia e sui corpi 'produttivi' (i corpi delle professioni e dei mestieri), nonché delle valenze sociologiche deli'antropometria fine secolo. Carenti invece le voci relative ai classici. L'intera bibliografia soffre di una definizione incerta dei limiti di ciò che è 'sociologia', che viene troppo spesso intesa come scienze sociali in genere; ma in questo caso le voci raccolte sarebbero gravemente incomplete.


b) A. W. Frank, For a Sociology of the Body, in The Body. Social Process and Cultural Theory, a cura di M. Featherstone, M. Hepworth e B.S. Turner, Sage, London, 1991, pp. 36-102. Contiene in appendice una bibliografia a volte brevemente commentata; oltre ai consueti problemi di definizione dei limiti, prevalgono gli scritti anglosassoni. C) C. Shilling, The Body and Social Theory, Sage, London, 1993. Ampia bibliografia, che presenta in modo aggravato i limiti di Frank, op. cit. L'autore ignora buona parte della sociologia classica nonchĂŠ le lingue straniere (neanche una voce non in inglese), non cita neppure il Simmel dello excursus sulla sociologia dei sensi D, mette nello stesso calderone <( teoria sociale Âť anche persone come Foucault e Elias, che hanno sempre rifiutato una collocazione di questo tipo, ecc. Ovvero, non avendo molto da far dire alla sociologia del corpo, si riempiono le bibliografie (e i volumi) con altro. Tra l'altro, Shilling sembra non essersi accorto della bibliografia della Duden (vedi infra). d ) B. Duden, A Repertory of Body History, in M . Feher, R. Nadaff, N. Tazi, Fragrnents for a History of the Hurnan Body, Zone, New York, 1989, v. 3. Buona bibliografia annotata, ma attenta soprattutto ai contributi di approccio storico. Segnaliamo anche alcune riviste che hanno prestato una attenzione non episodica alla lettura sociologica del corpo: i Cahiers internationaux de Sociologie (e in particolare un fascicolo anticipatore del 1984, Le corps); Theory, Culture and Society (i principali contributi fino al 1991 sono stati raccolti in The Body. Social Process and Cultural Theory, cit.; Sociology of Health and Illness, che da qualche anno ha allargato le sue aree tematiche alle costruzioni e rappresentazioni sociali del corpo. Il Corpo ha in preparazione sia una Bibliografia internazionale commentata di sociologia del corpo, sia una Bibliografia commentata dei contributi italiani. Queste due Bibliografie verranno predisposte su floppy disk e in un fascicolo a stampa.


The narrative of a collective suicide La narration d'un suicide collectif The first complete and annotated transcription of the tape where the People's Temple recorded its collective suicide in the Guyana jungle (18th November 1978). La première transcription complète et annotée de la cassette où le People's Temple a enregistré son suicide collectif dans la jungle de la Guyane (18 novembre 1978).

E. POZZI,C. CENCI, Berlu~coni's discourse and R's dream Le discours de Berlusconi et le reve de R. 6th February 1994. Mr Berlusconi opens the National Convention of his movement. A 50 years old lady, R., watches him on TV. She is deeply impressed. At night, she dreams about him. Berlusconi's speech and R's dream have been transcribed, and thoroughly explored with Discan, a software specifically deviced for discourse analysis. The frequencies and the probabilistic chains of categories hint at the semantic networks which organize both texts. The dream mirrors the latent strutture of the politica1 speech. I t emphasizes the work of the unconscious which lies behind the pretended rationality of politica1 discourses, and therefore the pleasure they strive to mobilize. R.'s dream allows the identification of some aspects of the pleasure elicited by Berlusconi's politica1 message. Le 6 février 1994, Berlusconi ouvre à Rome la Convention nationale de Forza Italia. Une femme, R., le voit à la télé et vit des émotions intenses. La nuit, elle reve. Le discours de Berlusconi et le reve de R. ont été transcrits et lus en profondeur avec l'aide d'un logiciel pour l'analyse du discours. L'identification des fréquences lexicales et des chaines discursives (méthode de Markov) permet de déceler les réseaux sémantiques qui organisent le texte politique et le texte onirique. Le reve explicite les structures latentes du discours politique. I1 révèle le travail de l'inconscient qu'abritent les apparences rationnelles de la péroraison politique. La forme délibérative et judiciaire (Aristote) de cette péroraison cache son organisation épidictique, visant essentiellement à produire du plaisir. Le reve de R. permet de deviner quelques éléments du plaisir mobilisé par Berlusconi.

T. KOROKORO, Enrico Berlinguer and the Sacred Shroud. Politica1 Possession in Rome Enrico Berlinguer et le Saint Suaire. La possession politique d Rome During the summer of 1993, an anthropologist from Tonga carries on a field research in Rome, Italy. He observes a cult of political possession centered on some politica1 leaders of the past: Enrico Berlinguer, Luigi Sturzo, Aldo Moro, Jesus Christ, Benito Mussolini. His analysis deals with the strife among the followers of two revenants, Berlinguer and Jesus Christ. I t emphasises the symbolic and political functions of the revenants governement which seems to hold the politica1 system in Rome. Pendant I'été 1993, un anthropologue de Tonga conduit à Rome une enquete sur le terrain. I1 identifie un culte de possession politique centré sur des


personnages importants du passé: Enrico Berlinguer, Luigi Sturzo, Aldo Moro, Jesus Christ, Benito Mussolini. L'analyse se concentre sur le conflit entre les adeptes de Berlinguer et du Christ. Elle met en lumière les fonctions symboliques et politiques du gouvernement des revenants qui parait gérer le système politique à Rome.

E. STURANI,Ectoplasmatic Mussolini Mussolini ectoplasmatique During the Fascist Regime, more than 8 millions of postcards were printed, which dealt with Mussolini's image. The article probes a portion of this production: the so-called ectoplasmatic postcards, where the Duce appears as a ghost which materializes. Pendant le Fascisme, on a imprimé en Italie plus de 8 millions de cartes postales avec l'image de Mussolini. L'article décrit un segment de ce corpus: les cartes postales 'ectoplasmatiques', oh le Duce apparait comme un phantome qui se matérialise.

M. BALSAMO,Vocalizations on Kafka's The penitentiary colony Vocalisations sur La colonie pénale de Kafka The author puts forward a reading of Kafka's The penitentiary colony which strives to connect this text with other writing processes, such as biography. A 'paranoid' representation of Kafka is sketched, which should not be seen through a psychopathological frame, but as an apparatus for the disencryption of signs. The very apparatus which is elicited by the impossible endeavour of a commentary. L'auteur propose une lecture de la Colonie pénale qui vise à connecter le texte avec d'autres processus d'écriture, dont le processus biographique. Une image 'paranoiaque' de Kafka s'esquisse, qu'il faut comprendre non pas comme psychopathologique, mais plutot comme un système de dechiffrement des signes; le meme système qui s'active lors de tout irnpossible commentaire.

E. POZZI, For a sociology of the body Pour une sociologie du corps Most sociological theories assume a dualistic conception of the social actor as a soul with no body. This article deals with some hypotheses which may help explaining the sociological disembodiment of human beings and processes. After delving into the deep seated tensions between the logic of the body and of sociation, it differentiates the social constructions and the social representations of the bodies. The last paragraphs put forward a descriptive classification of the social construction of human bodies. I t rests upon four basic categories: the politica1 body, the productive body, the reproductive body and the deviant body. Tous les grands courants de la tradition sociologique impliquent la vision dualiste d'un acteur social dont l'dme serait séparée du corps. L'article vise tout d'abord à fournir quelques hypothèses sur les raisons qui ont poussé la sociologie à désincarner le social et à ignorer le corps. Après avoir exploré les tensions entre la logique des corps et la logique de la Vergesellschaftung, l'auteur esquisse une distinction entre le corps comme construction et représentation sociale. La partie finale propose una classification analytique des modalités principales de la construction sociale des corps. Ces modalités sont le corps politique, le corps producteur, le corps reproducteur, le corps déviant.


IL CORPO, rivista trimestrale Anno 1 - N. 2, nuova serie, marzo 1994 REDAZIONE: Maurizio Balsamo, Cristina Cenci, Consue10 Corradi, Cristiano Grottanelli, Enrico Pozzi, Massimo Scattareggia. SEGRETERIA DI REDAZIONE: Simona Bolognesi. DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: Via della Stazione di San Pietro, 40 - 00165 Roma - Tel. 39367155. CONDIZIONI DI ABBONAMENTO: Ordinario L. 40.000, Estero US $ 30, Sostenitore L. 60.000, Istituzioni e Biblioteche: L. 60.000 (estero: US $ 45). I pagamenti possono essere effettuati con il C.C.P. allegato al fascicolo, oppure con vaglia o assegno indirizzato all'amministrazione della rivista. DIRETTORE RESPONSABILE: Enrico Pozzi. Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 37 del 03-02-93. Tip. Don Guanella, srl - Via B. Telesio, 4/b - 00195 Roma. Finito di stampare il 16 giugno 1994


Prezzo del fascicolo L. 14.000


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