Il Gusto... della Vita - Settembre 2008

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...Editoriale

Aguzziamo l'ingegno...

S

alute, ami-

proporre ai ragazzi distributori con le solite merendine

ci

lettori.

preconfezionate e i soliti succhi industriali. Io, invece,

Passate

vorrei bere al mare un succo di pesca della Valdaso,

bene

le

e vorrei che i miei nipoti a scuola, traggano dal mar-

vacanze? Spero di sì.

chingegno un bel panino con il ciabuscolo. Impresa

Eccoci con il nuovo

titanica? Mi sa.

numero de Il Gusto...

Veniamo all'ospitalità su cui Sandro Pazzaglia batte e

della vita. Numero ricco di contenuti e di firme. E di

ribatte. Giustamente.

idee. Sfogliando ve ne accorgerete.

Pensate che bello rientrare dopo qualche tempo in

Intanto, aggiungiamone qualche altra. Sentite que-

un ristorante tipico, chiedere un primo e vedere che

sta, che non è la mia ma di un manager di alto profilo,

il cameriere lo porta alla tua donna senza formaggio,

Alberto Scarabelli. Intervenuto alla trasmissione del

perché si è ricordato che la tua donna il formaggio

sabato mattina “Mi ritorni in mente” a Radio Fermo Uno

non lo regge proprio. Un'attenzione al cliente, non vi

e, di fronte al vice sindaco di Montegiorgio Lino Libe-

pare? Pensate che bello, entrare in una trattoria ed

rati che parlava del dolce tradizionale “li caciù”, Al-

essere accolti da un sorriso vero del trattore e delle

berto, che stava lì per tutt'altro argomento, ha sfiam-

sue figlie, che ti fanno accomodare nel luogo più sug-

mato una serie di proposte. “Ma prendete contatto

gestivo e ti portano subito bruschetta e vino. Pensate

con le Ferrovie dello stato, fateli offrire ai viaggiatori

che brutto, invece, un locale dove il titolare neppure

in luogo delle incolori merendine; fate la stessa cosa

ti degna di uno sguardo, il saluto te lo scordi e il “s'ac-

con le compagnie aeree, entrate con quelle navali”.

comodi” è puro sogno. Non solo, se ci sei oppure no,

Ovvio, talmente ovvio che nessuno c'aveva pensato.

non fa granché differenza. Allora, invece di rivoltargli

Ora, qualcuno potrebbe anche tentare. D'altronde,

il tavolo e strappare a morsi la tovaglia, prendi il cap-

non fece la stessa cosa Spinosi con la sua pasta sul

pello - se ce l'hai - e abbandoni il luogo.

volo Alitalia che lo portava negli Usa?

Con l'impegno di scrivere sull'agenda: tenersi lontani

Altra idea. Non capisco perché i bar degli chalet in

dal posto x.

spiaggia non offrano i succhi della nostra frutta, né

È la nostra unica arma. Facciamola funzionare.

capisco perché a scuola dobbiamo continuare a

Buona lettura

Adolfo Leoni

l' editoriale 1

della vita


...Sommario

1

... L'editoriale

4 7

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... La crescita culturale: un ingrediente che non può mancare

... Ospitalità come impresa

6

... Un Barman per amico

... Montegiorgio: il medico-sindaco chiede l'Istituto Agrario

9 10 14 15 16 17 19 20 21 23 25 27 28 29 30 31 32

... La sicurezza alimentare come priorità: carne bovina e BSE

... Menu origini e costumi ... Sformatino di broccoli e vongole su ragù di alici e capperi

... Filetto d'orata farcito con tortino di verdure, polenta e pachino ... Ricette, ricordi, racconti, i dolci della tradizione maceratese

Direttore Responsabile Adolfo Leoni Redazione giornalistica Medi@comunicazioni via San Salvatore snc - Fermo Tel. 0734 623636 / 620707 redazione@informazione.tv Art Director Sara Ricci

... A Roma, il concorso del Junior chef

Redazione grafica Studium Design Tel. 0733 866909 info@studiumdesign.it

... Vendemmia 2008/2009

Web master Angelo Cecchetti

... La Passerina: poesia nel bicchiere ... Piatti di mezzo

... La cucina del monastero ... Smerillo, Tibet della Marca Fermana

... Gustose corrispondenze dall'isola di Kos ... L'estate del gusto

... Associazione Sommelier ... L'abito fa il monaco? Al ristorante "si"

... Mangiare alla russa ... Diario di bordo

In redazione Medi@Comunicazioni: Stella Alfieri Fabio Scatasta Simone Troiani Hanno collaborato Simone Barocci Ugo Bellesi Manuela Di Chiara Simone Ermini Orietta Foresi Samuele Giustozzi Stefano Isidori Leonidas Alberto Mazzoni Mauro Michetti Lupo Nobile Alessandro Pazzaglia Luciano Scafà Johnny Giovanni Tucci Gianmarco Veccia Fotografi Angelo Cecchetti Lucilla Di Chiara Matteo Lupi Edito da Ass. "Il Gusto... della vita"

sede legale Montegiorgio (AP) via Cestoni, 39 sede operativa Morrovalle (MC) via Carducci, 12 - tel. 0733 866909 P.Iva e C.F. 01979520440

Internet www.ilgustodellavita.org Info@ilgustodellavita.org Stampa Grafiche Ciocca - Mc La rivista è stampata su carta naturale ed ecologica

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n. / settembre 2008 In attesa di registrazione c/o il Tribunale di Fermo

Il Gusto...

2


...Professione cuoco

La crescita culturale:

un ingrediente che non può mancare di Alessandro Pazzaglia

P

enso che chiunque ami la sua p rofes-

eppoi, i fo r magg i, le ve rdu re, la f r ut ta, ecc. ecc.;

sione non possa p resci nde re da una

ed anco ra, le no r mative vigenti, i metodi di con -

conti nua crescita cultu rale.

se r vaz ione...

Rico rdo semp re con af fet to e sti ma

E potrei p rosegui re pe r molto anco ra.

le pa role di un mio g rande maestro, i l I ° chef

D unque, resici conto che la nostra p rofessione è

Francesco To r i no, i ncontrato sul transatlantico

i mpegnativa e complessa, ma semp re af fasci nan -

M ichelangelo nel l 'anno 1967. D iceva: “Un conto

te, a p resci nde re da quale tipolog ia di cuci na si

è cuoce re e un conto è cuci na re”.

faccia (t radi z ionale, i nte r naz ionale, nouvel le, fu -

Con ci rca mez zo secolo di anticipo p roponeva

sion, molecola re) un elemento fondamentale le

una ve r ità sacrosanta: come si può r ispet ta re -

accomuna tut te: la “conoscenza” di ciò che si va

uti l i z za re - esalta re tut ti queg l i splendidi p rodot ti

a manipola re e se r vi re ai nost r i ospiti.

che la nostra amata e p reg iata te r ra ci dà se la

Tut to quanto sop ra, credo che possa si nteti z za r-

nostra conoscen za è a di r poco supe r f iciale?

si con una pa rola: fo r maz ione. I nfat ti, i l g rande

Ed al lo ra ecco qua, si nteticamente, alcuni ca -

patr i monio di a r te cul i na r ia che ha pe r messo

pitol i me r itevol i di conoscen za ed app rofondi -

al l ' Ital ia di esse re conosciuta ed app rez zata i n

mento. Pa r tiamo dai g rassi, ani mal i e vegetal i;

tut to i l mondo ci sta ponendo ogg i dei quesiti.

qui nd i, g l i ol i (quel lo ex tra ve rg i ne di ol iva è un

Uno su tut ti: conti nuando di questo passo, sot-

g rande dono del la natu ra) con i lo ro punti -fumo;

tacendo la cultu ra del p rodot to e la fo r maz ione

le ca r ni: rosse, bianche, con i relativi tag l i e i l

conti nua, sa remo i n g rado di da re le g iuste e do -

co r ret to uti l i z zo; i pesci: di mare e d'acqua dolce;

ve rose r isposte?

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della vita


...L'ospite

Ospitalità come impresa di Ugo Bellesi

Quella che doveva essere una semplice conversazione su “Ospitalità come impresa” si è trasformato in un vero e proprio evento culturale grazie alla protagonista, la dott.ssa Paola Michelacci che ha tenuto avvinto per ore il folto uditorio costituito da operatori della ristorazione, esponenti del turismo, autorità, dirigenti di aziende, produttori e rappresentanti del mondo della comunicazione.

D

irigente di un gruppo alberghiero di prim’ordine, la Michelacci, pur dotata di tre lauree, ha preferito dedicare la sua vita all’attività imprenditoriale guidando con mae-

Alessandro Pazzaglia - Paola Michelacci

stria una decina di alberghi e quattro residence sparsi in

tutta Italia ma con la sua base logistica nelle Marche, nella meravigliosa località di Gabicce. La sua performance si è svolta negli accoglienti ed eleganti locali dell’Hotel Royal a Casabianca di Fermo dove il presidente dell’Associazione cuochi della provincia di Fermo, l’infaticabile Alessandro Paz zaglia, aveva fissato la manifestazione cele brativa del primo anno di attività della sua organiz zazione che pur in questi pochi mesi si è già posta all’avanguardia nella promozione turistica del ter ritorio. E rappresentante più significativo del nostro sistema turistico non poteva che essere la dott.ssa Paola Michelacci la quale, oltre a portare il contributo preziosissimo della sua esperienza personale, iniziata quasi per caso quando il padre gli affidò giovanissima la gestione di un piccolo albergo di Gabicce, ha spiegato, con dovizia di aneddoti ed intelligenti provocazioni culturali, quale deve essere l’atteggiamento con cui l’operatore turistico deve porsi nei confronti del cliente. E questo può avvenire in senso molto positivo soltanto se si cerca di intuire ed in qualche modo anche di anticipare le esigenze di chi si presenta nel nostro albergo o nel nostro ristorante. Ma per far questo occorre molta esperienza, occorre soprattutto saper scoprire la personalità del nostro interlocutore. Solo se riusciamo a fare questo saremo in grado di anticipare le sue richieste e di farlo trovare a suo agio, in questo modo facendo sì che egli senta “la necessità” di tornare in quel posto in cui è stato trattato bene, in quel posto in cui …si è sentito come a casa propria. Il Gusto...

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Paola Michelacci - Saturnino Di Ruscio


Adolfo Leoni - Paola Michelacci - Alessandro Pazzaglia

Ma la dott.ssa Michelacci, dotata di un linguaggio

E gli argomenti affrontati dalla dott.ssa Michelacci

semplice schietto ma che va subito diritto al nocciolo

sono stati tanti e tali che ha parlato per ore come un

di ogni problema, non si è limitata a dare delle infor-

fiume in piena fornendo esperienze, proposte, idee e

mazioni propedeutiche ma ha fornito anche delle idee

considerazioni che sono andate ad arricchire il pa-

per poter consentire a qualsiasi operatore turistico di

trimonio di conoscenze di una platea che, oltre ad

allargare la propria clientela o di trovare altri filoni di

applaudire con entusiasmo l’oratrice, ha dimostrato

intervento. Così ha parlato della possibilità di realizza-

di apprezzare moltissimo l’iniziativa voluta fortissima-

re degli ambienti in cui anche le persone con handi-

mente da Alessandro Pazzaglia.

cap possano trovarsi a loro agio ed ha fatto l’esempio dei ciechi che potrebbero avere delle stanze dotate di accorgimenti e comfort tali che consentano loro di

Ben vengano quindi “incontri ravvicinati di questo

muoversi liberamente senza bisogno di alcun accom-

tipo” non solo per dare una scarica di adrenalina

pagnatore. Ma ha parlato anche della possibilità di

al sistema turistico locale ma anche e soprattutto

avere una cucina riservata agli ebrei, rispettando tutte

per creare una mentalità vincente negli operatori

le regole che impongono la loro religione.

che debbono credere di più nelle potenzialità tu-

Grazie al suo eloquio molto fluido e cordiale la Mi-

ristiche di un territorio ancora troppo poco cono-

chelacci è poi passata a parlare della necessità di

sciuto e ancor meno valorizzato, pur possedendo

elevare il livello qualitativo del turismo delle Marche

un immenso patrimonio paesaggistico, architet-

“perché noi - ha detto - dobbiamo essere la terra del-

tonico, artistico, culturale, enogastronomico, ide-

la qualità” e quindi ha parlato degli ampi spazi che

ale per una clientela di elite che va alla ricerca

ci sono per il turismo congressuale, quello culturale e

del bello e del buono ma in un ambiente a misura

quello religioso, sottolineando che potrebbero esser-

d’uomo e ancora incontaminato.

ci anche degli “hotel della cultura”, con determinate caratteristiche, ma anche “hotel per famiglia” con altri servizi e comodità diverse.

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della vita


...L' impresa

Un barman per amico

C

he serata all'Hotel Royal di Casabianca di Fermo! E che forti questi cuochi dell'Associazione provinciale, capaci sempre di sorprendere. In una volta sola due colpi eccezionali. Primo, il convegno con Paola Michelacci (di cui parliamo in altra parte della rivista). La signora marchigiana, cui fanno capo numerosi alberghi e residence, ha incantato il folto pubblico presente, fornendo una boccata d'ossigeno e una speranza agli operatori, una prospettiva ampia al turismo e una ventaglio di proposte al settore accoglienza. Poi, dopo una cena di grande riguardo come il Royal sa organizzare, la seconda parte dell'incontro è stata affidata ad un campione. Essì, perché Gino Benvegnù un campione lo è sul serio. Si è aggiudicato il primo premio al campionato mondiale promosso da Bargiornale. Ad ottobre 2007, a Kuala Lumpur in Malesia, il nostro ha primeggiato nella manifestazione svoltasi negli esclusivi spazi del Westin Hotel. La due giorni di gare ha sancito il successo della creatività e della fantasia di Gino. Dalla Malesia

Il Gusto...

6

Gianni Lamponi

a Casabianca di Fermo, dove Benvegnù ha riproposto il suo drink a base di Moijto. Che spettacolo! Che spettacolo vedere all'opera questo grande barman e che gusto sorbire il suo beverage. Eppoi, volete mettere l'ambientazione? Una cosa è bere il moijto al banco di un bar, un'altra assaporarlo da una terrazza - come quella del Royal - con il mare di fronte, mare tranquillo, ascoltando un leggero sciabordio, con la luna che ci fa compagnia, e le piccole lance dei marinai già in acqua con la lanterna. E bravo Benvegnù, ottimo barman e uomo fortunato. Quanti altri hanno la fortuna di una location come quella? Alla salute. Leonidas

Gino Benvegnù


...Il periscopio

Montegiorgio: il medico-sindaco chiede l'Istituto Agrario di Adolfo Leoni

U

no dei primi atti della nuova amministraz io ne comunale di Montegiorgio è stato quello di attivare l'iter per le Denominazioni Comunali. Stiamo parlando proprio delle famose De.Co., una battaglia che Paolo Massobrio, Presidente nazionale del Club di Sindaco Armando Benedetti Papillon, sta portando avanti con grande determinazione. Di prodotti agroalimentari tradizionali Montegiorgio è ricca. Facciamo solo due casi: “li caciù” (che sono dolci tipici) e “li strozzapreti” (che sono un tipo molto particolare di pasta). Gli esempi potrebbero continuare. Ma ci fermiamo qui. Abbiamo aperto con le De. Co. per arrivare a dire che il comune della media valle del Tenna ha da sempre una forte vocazione agricola. Mezzo secolo fa era molto più forte, ovviamente. Oggi, comunque, ci si difende. Le imprese agricole non mancano, i coltivatori e gli allevatori si danno da fare, esistono produttori di buon livello. Una tradizione e una ricchezza da difendere. Se poi diamo uno sguardo al territorio circostante, la campagna impera. Per fortuna. E chissà che nei prossimi anni, magari legata alla crescita turistica, non sia una risposta, anche se percentualmente minore rispetto all'industria, al fabbisogno lavorativo dei giovani? È per questo che vediamo con simpatia l'iniziativa del nuovo sindaco Armando Benedetti e della sua giovane giunta. In cosa consista ve lo spieghiamo subito. Tra alcuni mesi nascerà ad ogni effetto la provincia di Fermo. Il territorio dovrà schierare tutte le scuole di ogni ordine e grado. Gli istituti ci sarebbero già tutti, fuorché uno, quello Agrario. E proprio l'Istituto Agrario viene rivendicato con forza dal dr Armando Benedetti. Lui è un medico di valore ma ha capito che sull'agricoltura si può scommettere, iniziando però dalla professionalizzazione dei giovani. Per cui ha preso contatti con il Preside (non si chiamano più così, ma così rendono di più) dell'Istituto comprensivo di Porto Sant'Elpidio da cui dipende Montegiorgio. E gli ha fatto balenare la proposta: caro Preside, Montegiorgio vuole l'Istituto Agrario, iniziamo a muoverci. E ci si è mossi. Ovvio, che le scelte verranno fatte a provincia di Fermo attivata. Ma intanto si semina, si costruisce la rete, si approfondiscono le motivazioni. Benedetti e i suoi uomini hanno un'idea chiara: accanto alla scuola va attivata un'azienda agraria pilota, all'avanguardia, sperimentale. Benefica per gli studenti, per la cittadina e per il suo comprensorio. Dategli torto! Come dire: da “li caciù” ai banchi di scuola. Si chiama realismo, signori. Ora incrociamo le dita, in attesa degli eventi.

ECCEZIONALE CORSO DI CUCINA 14 e 15 ottobre 2008

“NUOVE TENDENZE DELLA CUCINA MEDITERRANEA PER IL BANQUETING”. Corso di due lezioni tenuto dall’executive chef di fama internazionale

MARCANTONIO SAGRAMOSO.

Il corso è rivolto a professionisti e gourmet del territorio e si terrà martedì 14 e mercoledi 15 ottobre dalle ore 15,30 alle 18,30 presso il RISTORANTE MARIO di Fermo.

- I posti sono limitati Per informazioni e prenotazioni telefonare al seguente numero 330/650208.

F.I.C. Ass.ne Cuochi della Provincia di Fermo via Legnano, 2 63018 Porto Sant’Elpidio tel. (+39) 330 650208

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della vita


CARNEBIO srl

N

el cuore delle Marche ai piedi dei Monti azzurri, nel Comune di Amandola ha sede VALLEGAIA DI CARNEBIO srl, azienda leader nell’allevamento, sezionamento e commercializzazione di vitelloni "BIO" e "IGP" (identificazione geografica protetta, marchigiani chianini e romagnoli), prodotti di eccellenza nel settore della carne nazionale. Questo tipo di allevamento, attento all’alimentazione ed al benessere degli animali, nel periodo di stabulazione, ci permette di assicurare carne certificata di altissima qualità a mense, ristoranti e consumatori finali.

(CARNEBIO srl) 63021 Loc. San Ruffino - Amandola (AP) Tel. 0736.848719 Fax 0736.847399 E-mail: carnebio@virgilio.it

La forte determinazione del presidente MARIANO DE ANGELIS insieme al contributo del suo organico, composto prevalentemente da giovani, ha portato quest’azienda ad affermarsi nel settore delle mense scolastiche, fornendo 100.000 pasti la settimana distribuiti in tutta Italia. In seguito, acquistando sempre più consensi, VALLEGAIA DI CARNEBIO si è rivolta anche alla ristorazione e alle macellerie attente alla qualità e alle razze dell’appennino centrale. Nel 2006 abbiamo aperto uno spaccio aziendale con vendita al minuto dove commercializziamo carne di scottona Marchigiana allevata nelle nostre stalle di San Ginesio di Macerata.

SPACCIO AZIENDALE San Ruffino - Amandola (AP) Tel. 0736.848719


...Scripta manent

Istituto Zooprofilattico Sperimentale

La Sicurezza Alimentare come priorità: carne bovina e BSE

Dott. Simone Barocci

L’epidemia di BSE (Encefalopatia Spongiforme Bovina o “mucca pazza”), principalmente nel Regno Unito, e la scoperta che da essa deriva una malattia umana denominata variante di Creutzfeldt-Jacob, hanno causato nel mondo economico-sanitario europeo una grave crisi, che è sfociata in una rivoluzione nei sistemi di sorveglianza delle encefalopatie spongiformi trasmissibili all’uomo.

L

a BSE è una malattia neurologica di tipo degenerativo ad esito fatale che colpisce i bovini. Si tratta di un tipo di patologia che appartiene ad un gruppo di malattie causate dai cosiddetti “prio-

ni”, che sono delle proteine patologiche che resistono ai più comuni metodi di cottura, sanificazione e sterilizzazio-

ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELL’UMBRIA E DELLE MARCHE Sezione di Fermo C.da San Martino, 6 - 63023 Fermo (AP) Tel. 0734-621489 - Fax 0734-623449 www.izsum.it - e-mail s.barocci@izsum.it

ne. L’origine della BSE è tuttora sconosciuta. Al momento si ritiene che i bovini possano essere stati infettati dal morbo attraverso l’assunzione di farine di carne e ossa o di mangimi ricavati da carcasse di animali affetti da BSE. Questo avrebbe causato la diffusione della malattia, per lo più dal Regno Unito, verso tutta l’Europa. Il primo caso di variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob fu riscontrato nel marzo 1996 nel Regno Unito. Gli effetti della malattia sono devastanti e simili a quelli riscontrabili nei bovini affetti da BSE. Il morbo non è curabile ed è mortale. Per quanto riguarda le disposizioni comunitarie per l’adozione di un Sistema di Sorveglianza Permanente, l’Italia è all’avanguardia. Il sistema di sorveglianza attivo, iniziato nel 2001 in seguito all’emanazione del Regolamento (CE) 999/01, permette di monitorare la BSE in modo migliore rispetto al passato, in cui esisteva solamente la sorveglianza passiva. È previsto, infatti, l’esame obbligatorio per tutti i bovini con

Rimangono comunque diversi quesiti aperti su BSE e ma-

sintomi, l’effettuazione di test rapidi per BSE delle categorie

lattie correlate. Per tale motivo queste malattie da prioni

a rischio (morti in stalla di età uguale o superiore a 24 mesi

sono attualmente oggetto di intense ricerche, che vedono

e tutti i bovini macellati di età uguale o superiore a 30 mesi)

coinvolto il nostro Istituto Zooprofilattico assieme a quello di

nei laboratori specializzati degli Istituti Zooprofilattici Speri-

Torino che è il Centro di Referenza Nazionale per le Encefa-

mentali sull’intero territorio nazionale. Questi Istituti Zoopro-

lopatie Spongiformi Animali.

filattici sono gli enti pubblici di riferimento per le analisi dei prodotti alimentari.

Ad oggi non sono mai stati riscontrati casi di BSE in bovini di razza marchigiana e, in generale, l’incidenza della ma-

Le parti del bovino considerate come materiali a rischio

lattia in animali da carne è molto bassa. L’unico caso di

specifico (MSR), sistema nervoso centrale, incluso il cervel-

BSE identificato nella Regione Marche dal nostro Istituto era

lo, occhi e parte dell’intestino, sono eliminati al mattatoio

una bovina da latte di razza frisona ed è stato individuato

durante la macellazione. Ad oggi questa azione preventiva

nel 2001. Presso la Sezione di Fermo, infatti, è operativo il

è il migliore strumento per la salute pubblica. Per evitare

Centro di Riferimento Regionale per le Encefalopatie Spon-

eventuali problemi da animali infettati da alimenti conta-

giformi Animali, in cui vengono effettuati i test rapidi per BSE

minati, i MSR sono stati eliminati sia dalla catena alimentare

per tutta la Regione.

umana, che da quella animale. La proteina prionica pato-

Secondo analisi dettagliate del Centro di Referenza Nazio-

logica non è stata riscontrata né nei muscoli, né nel latte e

nale di Torino, in Italia, come nel resto d’Europa, stanno di-

gli esperti dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità)

minuendo l’incidenza ed il rischio. Importante, comunque,

e dell’Unione Europea hanno confermato che latte e carne

mantenere il monitoraggio, studiare i fattori di rischio e so-

bovina sono sicuri.

prattutto continuare con le misure adottate.

9

della vita


...L'archivio in cucina

origini e costumi

di Luciano Scafà

Quando ti siedi ad un tavolo di qualunque posto di ristoro, che sia ristorante, trattoria generalmente è la prima cosa che ricevi; è un semplice cartoncino, spesso vergato a mano, a volte con qualche errore di ortografia, qualche volta stampato o scritto con il computer, ma se il ristorante è di lusso il cartoncino vi sarà porto in una elegante custodia di pelle e si chiamerà, alla francese, “la carte”. Oltre alla lista dei piatti che la casa offre, è quasi sempre presente, più o meno corposa, la lista dei vini. I gourmet dicono che da questa si vede già il livello del ristorante.

Q

uesti umili e poco considerati pezzi di carta hanno avuto degli illustri progenitori negli splendidi menu preparati per le illustri casate o per le ricorrenze conviviali che poi si sono estesi al mondo della ristorazione. La moda è cominciata verso la metà dell’Ottocento, probabilmente in Francia, al seguito dei cambiamenti apportati al sistema di servizio in tavola. Il cosiddetto “servizio alla francese”, che aveva stupito e affascinato l’occhio dell’ospite sulle tavole di mezza Europa e già nel Settecento, comincia a mostrare delle crepe. Fino a quel momento, infatti, per i pranzi importanti, il cerimoniere della casa usava preparare uno o più grandi tavoli su cui senza ordine alcuno venivano disposte le portate, in mezzo a trionfi di zucchero, a sculture di burro e di ghiaccio, grandiose opere d’arte di confettieri e pasticceri che erano dei veri e propri scultori.

sero serviti contemporaneamente. Sulla tavola solo guarniture e coperti. Era nato il moderno “servizio alla russa” che riscosse subito un enorme successo anche in Francia.

L’ospite entrado nel salone del banchetto doveva sbalordirsi davanti alla magnificenza, alla ricchezza di quello che era un vero e proprio monumento gastronomico. La scelta e la sequenza delle pietanze era libero, ognuno si serviva a suo piacimento mangiando quello a lui più gradito.

A questo punto si pone il problema di far sapere al commensale quel che verrà loro servito ed è apparso logico e semplice metterlo per iscritto. Nascono così i primi cartoncini con scritte le pietanze, la loro seguenza e gli abbinamenti. I primi menu sono piccoli cartoncini, spesso vergati a mano, se hanno una decorazione questa è monocroma e solo qualche volta compare una sottile cornice dorata. Negli anni Ottanta si diffondono grandi e illustratissimi menu di cui fanno sfoggio le case regnanti di tutta Europa, dalla nobiltà e dalla borghesia emergente, dalle alte cariche dello Stato, ma anche dai club più esclusivi. Il tutto parte dalla Ville Lumière per diffondersi a macchia d’olio nel mondo, a co-

Viene spontaneo domandarsi se quel cibo fosse commestibile dopo le tante ore di preparazione e di esposizione. Domanda che si pose Alexandre Borisovitch Kourakin diplomatico russo di stanza a Clichy nel primo decennio dell’Ottocento, che invece usavo presentare i suoi piatti di cibi caldi appena usciti dalla cucina con un servizio rapido ed efficiente in modo che tutti fosIl Gusto...

10

Ci troviamo all’inizio dell’Ottocento, sarà un secolo i cui avvenimenti stravolgeranno il mondo. Una nuova e potente borghesia, si farà forza potenziando la “cultura dell’immagine”, facilitata dalla diffusione della stampa divenuta ormai popolare e certo non troppo costosa. L’apparire diventa sempre più importante per le classi emergenti ed è anche a tavola che da sempre si mostra il proprio rango. Il pranzo ha avuto un’attenta regia in cucina, che ha elaborato il susseguirsi dei sapori e dei vini che li debbono accompagnare.

Menu re d’Italia

Porto San Giorgio, collezione privata L’importante menu è dedicato alla visita ufficiale a Parigi di Vittorio Emanuele III, accompagnato dalla regina Margherita. Lo riceve il presidente della nuova Repubblica, Emile Loubet, di cui notiamo in alto a sinistra il monogramma dorato. Il menu è firmato da Jules Cheret, uno degli artisti più in vista del momento; vi sono rappresentate “le due sorelle” come si diceva in quel momento: l’Italia biancovestita e coronata, la Francia indossa un abito rosso con il rivoluzionario berretto frigio; dietro alle due figure le bandiere dei due Stati: in risalto, per onorare l’ospite, quella italiana, in secondo piano quella francese. Il nastrino in basso è il tricolore italiano, quello in alto il tricolore francese ambedue legati dal nastrino dorato che corre sulla sinistra del cartoncino, a rinsaldare il legame di parentela politica fra le due sorelle. Il menu si riferisce alla colazione ufficiale all’Eliseo del 18 ottobre 1903.

minciare dalla Germania e anche dalla Svizzera. Il mondo industriale coglie questa occasione come potente veicolo pubblicitario e diffondono i menu prestampati, decorati, i più famosi dalla Liebig alla Suchard e via via le più rinomate fabbriche di dolci e biscotti.


Alberghi importanti e transatlantici di lusso che solcano gli oceani faranno dei grandi menu decoratissimi il loro punto di forza per promuovere la loro cucina e la bravura dei loro chefs, a ragione, considerati i numero uno al mondo. Neanche i pittori d’avanguardia rimarranno estranei a questa moda, un celebre menu lo disegnò il grande Toulouse Lautrec e sullo stesso tema si cimentarono Gauguin e Dalì e molti anni più tardi, da noi sarà la volta di Guttuso.

Menu di Vittorio Emanuele di Savoia colazione del 16 settembre 1909

Porto San Giorgio collezione privata Alla corte dei Savoia, divenuti da poco Re d’Italia, si parlava francese; con il nuovo regno si stabilisce che tutti i documenti ufficiali vengano pubblicati in italiano. Tutto viene tradotto e anche i menu. Questo probabilmente è il primo in lingua italiana, redatto per una colazione al Palazzo Reale.

Menu di Stalin

Porto San Giorgio, Collezione privata Il foglietto, ancora in bianco, stampato durante la guerra su carta leggera e certo non adatta allo scopo, deve esser stato disegnato da chi pensava che il conf litto sarebbe finito con la vittoria dell’Unione Sovietica. Si vede, infatti, la testa dello statista inglese Churchill, divorato dal presidente Usa, Roosvelt, a sua volta inghiottito da Stalin.

Il costume, la moda e l’apparire coinvolsero anche i militari che sui loro nenu fecero sventolare vessilli, gagliardetti, spade e fioretti e si incrociano amichevolmente. Documenti importanti che hanno lasciato traccia dell’alimentazione delle truppe nelle grandi occasioni e nella quotidianità. Il francese è la lingua con la quale si redige il menu anche i menu della nostra casa regnante sono vergati in francese fino al 1909 anno in cui si deve aver ritenuto opportuno che nel Regno d’Italia i documenti dovessero essere scritti in italiano così ogni documento della Real Casa venne vergato nella lingua italiana. Infatti il menu di Vittorio Emanuele di Savoia della colazione privata del 16 settembre 1909 che mostriamo è probabilmente il primo o uno dei primi redatto con la nuova regola. Nel menu del 1911 redatto per una colazione al Castello di Racconigi ci si è preoccupato di tradurre persino il consommé che diventò il “consumato”.

Oggi il menu è d’obbligo nel mondo della ristorazione la maggior parte viene scritto per le occasioni più importanti, matrimoni, ricorrenze, eventi più o meno elaborati e ricchi di fantasia. Al di fuori della ristorazione in tutti gli eventi o incontri dove si consuma un pasto i menu sono d’obbligo e rigorosamente scritti. Dai pasti frugali con il Santo Padre ai galà dei Capi di Stato, nessun cerimoniere si sognerebbe di non redigere “il menu”.

Menu del 1911 redatto per una colazione al Castello di Racconigi Porto San Giorgio collezione privata

Menu principe Borghese

Roma, collezione privata La moda dei menu attira anche grandi artisti. Questo è stato disegnato dal pittore tedesco H. Nadorp, nel 1841 per la villa del principe Borghese a Frascati. Ai serti di frutta, alla moda rinascimentale, sulla destra e sulla sinistra del menu è messo in risalto il lavoro dei cuochi: uno, sulla sinistra, intento a rimescolare e l’altro sulla destra, a bagnare con il vino una testa di cinghiale. La cacciagione era il fiore all’occhiello della gastronomia dei Castelli Romani.

Menu arcivescovo di Liegi

Roma, collezione privata Il grande menu redatto per il pranzo celebrativo dei 25 anni di vescovado del vescovo di Liegi nel 1877, reca in testa lo stemma di Pio IX. Felicemente regnante, sormontato dalle insegne papali, chiavi decussate e tiara; lo circondano gli stemmi delle città della diocesi liegese. In basso, al centro, lo stemma del casato del vescovo sormontato dalla berretta cardinalizia. Il servizio dei sorbetti, come si usava, precede la parte del menu dedicata agli arrosti e ai dessert.

Menu Presidente della Repubblica Francese dell’11 giugno 1889

Porto San Giorgio collezione privata Si tratta di un bellissimo menu, con allegato lo schema della tavola e l’assegnazioni dei posti. L’ospite d’onore era Monsignor Nicola Averardi Nunzio Apostolico in Francia sotto il Pontificato di Leone XIII.

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della vita



Polleria girarrosto “Lu Greciu” di Porto San Giorgio Non solo polli per un nome che vuol dire tradizione e qualità "Do vai a comprà li puji? Da lu Greciu"

di Fabio Scatasta

Questa la risposta che era solita ascoltare a Piazzetta. È proprio qui che, a cavallo delle due tremende guerre mondiali, affondano le radici della polleria girarrosto “Lu Greciu”. Un'attività la cui memoria è legata indissolubilmente alle vicende del noto zio Gigio. Quel Luigi Mancini, epico venditore di polli il cui ricordo è giunto sino a noi per voce di chi oggi non nasconde i propri capelli bianchi. - “Je se dicea “Lu greciu” - per la stravagante mania di vestire “scamiciato”, come i marinai dall'altra parte del mare Adriatico. Tra le fiere di Ortezzano, Carassai e Montefiore, Mancini andava per commerciare pollame vivo. La svolta nel dopoguerra: non più polli vivi, ma macellati e lavorati. A quindici anni dalla morte di Zì Greciu, nel 1976, fu trasferita l'attuale ditta in contrada Camera, che adesso si chiama "Tomassini Carni": ditta modello, quindici dipendenti, lavorazione artigianale e accurata e grande distribuzione in quattro regioni. Nel 2002 poi l'apertura di un punto vendita a Porto San Giorgio, questa è un'altra storia! Una storia che poche altre gastronomie possono vantare e che è prima di tutto sinonimo di garanzia e qualità. Entrando nell'ampio locale si notano subito due ricchi banchi gastronomia e rosticceria. Non solo polli dunque oggi per la famiglia Tomassini. L'azienda offre una vasta gamma di pietanze calde, carni fresche e pronti a cuocere per servire magistralmente dalla singola porzione ai grandi buffet. Su ordinazione, la rinomata rosticceria sangiorgese realizza anche piatti di grande portata per festeggiare al meglio pranzi e cene come quelli di Capodanno e Ferragosto. Il pollo allo spiedo rimane però il piatto principe. "Lu Greciu" e il suo staff lo preparano al girarrosto, con cottura lenta per circa due ore. Legato con lo spago a mano, l'insaporimento del pollo è frutto di un condimento essenziale a base di sale e spezie naturali. Tutta la serie di prodotti avicoli cotti allo spiedo: dall'anatra alla faraona, dal pollo alla cacciatora al rollé di tacchino e quaglie. Oltre alla specialità della casa, dal bancone rosticceria si può acquistare e ordinare ottimi preparati caserecci. Ogni giorno i prodotti genuini sono come quelli di casa, senza conservanti né additivi aggiunti. Pietanze calde che si distinguono per la loro naturalezza e il rispetto delle antiche ricette. Da “Lu Greciu” si possono trovare piatti della più tipica tradizione marchigiana come l'oca arrosto con le patate, le immancabili lasagne, i cannelloni e una vasta serie di primi. Lo chef Simone propone ogni giorno un piatto ricercato, sughi pronti al cinghiale o lepre, verdure grigliate e gratinate e tutta la frittura all'ascolana. Un intero bancone è poi dedicato all'angolo dei “pronti a cuocere”. Un assortimento di carni bianche e suine già condite e speziate che richiedono solo di essere messe nel forno di casa e servite in pochi minuti. L'ideale per le giovani coppie impegnate tutto il giorno al lavoro e per i single che desiderano pranzare velocemente senza dimenticare i sapori della nonna. Tomassini Carni Azienda Certificata:

via F.lli Rosselli, 248/250 Por to S a n G ior g io S ud tel. 0734 678047 APERTO DOMENICA MATTINA

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della vita


...La disfida dei fornelli

Sformatino di broccoli e vongole su ragù di alici e capperi. Chef Mauro Michetti

Il perché dei miei piatti… La cucina è puramente chimica e quindi non vi sono ricette con regole fisse: aggiungendo o togliendo questo o quell’altro elemento si ottengono risultati diversi ma altrettanto gustosi e saporiti. Nei piatti che realizzo cerco di donare soprattutto sapore, profumo ma anche molto colore. Personalmente preferisco preparare piatti, prendendo spunto dalle tradizioni per poi ripresentarli in una veste attuale, quindi giocare e creare abbinamenti diversi, grazie alle svariate soluzioni che la nostra terra, le Marche, ci propone. Infatti io ritengo che le Marche siano una regione unica nel suo genere, dove colori, profumi e sapori si intersecano in svariate combinazioni. Dall’Adriatico alla montagna, chiunque può notare particolari paesaggistici unici, che cambiano tonalità ad ogni stagione. Nel caso specifico ho voluto realizzare un piatto invernale, abbinando il profumo caratteristico del cavolo con quello delle alici e delle vongole, arricchito da erbette aromatiche e pagliuzze di ortaggi freschi, ottenendo un gusto finale unico ed armonioso.

Ingredienti per 6 pax - broccoli gr 500 - vongole nostrane gr 500 - patate tagliate a mò di mimosa gr 300 - rametto di rosmarino - mazzetto di prezzemolo - alici gr 300 - capperi gr 30 - pomodorini pachino gr 200 - pagliuzze di verdurine fritte q.b. - sale e pepe q.b. - aglio 1 spicchio - bianco d’uovo 2 Procedimento Bollire i broccoli in acqua bollente e leggermente salata, scolarli e lasciarli raffreddare. Aprire le vongole e sgusciarle, filtrare l’acqua e aggiungere questi ingredienti alla schiacciatina di broccoli. Saltare le patate mimosa nell’olio con l’aglio ed il rosmarino, quando risulteranno ben rosolate scolarle e aggiungere alla schiacciatina di patate; aggiungere anche i bianchi d’uova, il sale ed il pepe e impastare il tutto facendo attenzione affinché le patate non vengano a rompersi. Introdurre la farcia così ottenuta all’interno di stampi a piramide precedentemente imburrati e impanati. Cuocere a forno a 180°C per circa 35 min. Preparare il ragù di alici facendo soffriggere nell’olio extravergine di oliva l’aglio, poco peperoncino, i capperi, le alici dissanguate e tritate finemente, il prezzemolo, lasciare cuocere per 3-4 min. Aggiungere la brunoise di pomodorini, aggiustare con sale e pepe e spegnere il fuoco. Adagiare il ragù di alici sul fondo di un piatto, porvi sopra lo sformatino bollente, decorare con pagliuzze di verdurine a piacere fritte nell’olio extravergine di oliva e servire.

Il Gusto...

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...La disfida dei fornelli

Filetto d’orata farcito con tortino di verdure, polenta e pachino spadellati. Chef Samuele Giustozzi Ingredienti - Orata da 300/400 g - 100 g di mollica di pane - 50 g di panna - 1 patata - 1 spicchio d’aglio - 3 foglie di maggiorana Preparazione Pulire, eviscerare e squamare l’orata, poi sfilettarla. Adagiare un filetto in una placca da forno ricoperto con carta da forno. Privare l’altro filetto della pelle e metterlo nel cutter con la maggiorana, l’aglio, la panna e la mollica del pane; far andare fino ad ottenere una pomata. Spalmare il composto sopra l’altro filetto e ricoprire il tutto con una foglia di patata tagliata con la mandolina molto sottile. Cuocere in forno per 10 min.

Ingredienti per il tortino - 1 zucchina - 1 melanzane - 60 g di spinaci - 100 g di farina - 100 g di burro - n. 3 Pomodori pachino - 1 uovo - Formaggio - Sale e pepe - Polenta Preparazione Fare un roux con burro e farina. Nettare e lavare le verdure, tagliarle in dadolata, saltarle in padella e aggiungerle al composto precedentemente preparato. Aggiungere l’uovo ed il parmigiano, mescolare e aggiustare di sale, mettere il composto in uno stampino precedentemente imburrato ed infarinato e cuocere a 180 °C per 8 min. Impiattare l’orata, la polenta (precedentemente preparata), il pachino padellato ed il tortino, condire con olio fresco e servire ben caldo.

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della vita


...Buongusto

RICETTE, RICORDI, RACCONTI, i dolci della tradizione maceratese autrice Manuela Di Chiara fotografie di Lucilla Di Chiara edito dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata

“Ho ancora vivo il ricordo di quando mia nonna preparava i filoni di mosto: sulla lastra grande, usata anche per il pane, venivano allineati questi rotoloni arrotondati alle estremità e divisi uno dall’altro da una piega dello sparrone che li ricopriva durante la lievitazione. Poi arrivava il momento in cui la nonna mandava noi ragazzini al forno ad avvertire che i filoni erano pronti e allora arrivava il garzone del fornaio che si portava via la lastra tenendola alta sopra alla testa, a me sembrava una sorta di trofeo che mia nonna, con mille raccomandazioni, aveva affidato alle sue mani. Poi, dopo un paio di ore, noi bambini dovevamo tornare al forno a verificare se i dolci erano stati cotti. Allora eravamo ammessi in una stanza grande che si trovava due o tre gradini più in basso rispetto al livello della strada: un antro caldo e profumato con una bocca enorme e fumante che era il forno da cui sarebbero usciti i nostri dolci. Mi piaceva tanto stare lì sugli scalini a guardare il fornaio che infilava la sua pala in quel buco buio e, come per incanto, ne tirava fuori qualcosa di profumato, dal colore accattivante. Poi, quando arrivava il nostro turno, ci chiamava con un fischio e ci affidava la lastra, ancora calda, con i filoni scuri, scuri e gonfi e noi, camminando piano, con attenzione, dovevamo portarla fino alla porta di casa dove ci aspettava mia nonna che, prima ancora di prenderla in consegna, sollevava un lembo dello sparrone e, con occhio critico, controllava la cottura e dava la sua approvazione.”

Q

uesti ricordi introducono, nel mio libro Ricette, ricordi, racconti, i dolci della tradizione maceratese, la ricetta dei filoni di mosto che sono tra i dolci più tipici del periodo autunnale. “In altri tempi, il rito della preparazione di alcuni dolci particolari si rinnovava, oltre che in occasione di festività religiose, anche alla scadenza di attività legate alla stagione e prevedeva l’utilizzo di prodotti appena raccolti. Di conseguenza, nei caldi giorni estivi, le donne di casa erano impegnate nella preparazione delle marmellate con i frutti di stagione, a partire dal mese di giugno con le visciole, cioè le amarene, per passare alle albicocche e alle pesche nel pieno della stagione calda. Nelle zone collinari e in quelle boscose dell’entroterra si preparavano confetture anche con i frutti selvatici come le more, le bacche di rosa canina o i corbezzoli che cominciano a maturare a fine estate. Venivano utilizzati anche fichi, mele cotogne e prugne di cui le terre collinari del maceratese sono molto ricche, oppure prodotti più insoliti come i pomodori verdi con i quali si preparava una marmellata, un tempo, molto diffusa ed apprezzata. Erano, però, la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno che vedevano la ripresa delle attività più intense e faticose, in campagna e in montagna. A fine agosto, infatti, i contadini si rimettevano all’opera con la raccolta del granturco e la conseguente scartocciatura, poi iniziava la vendemmia e la pigiatura dell’uva e successivamente si passava alla raccolta delle olive. Nelle zone boscose si provvedeva anche alla raccolta delle noci e delle castagne e alla loro conservazione. È quindi naturale che i dolci del periodo autunnale prevedessero l’uso di prodotti come la farina di granturco appena macinata, oppure il mosto fresco non ancora fermentato, le castagne, le mele cotogne, i cachi e i fichi da poco raccolti. Si preparavano dei dolci poveri come il pizzarullo o il castagnaccio, nel frattempo si mettevano da parte noci e mandorle, si conservavano, appesi in soffitta, dei grappoli d’uva particolarmente grossa e matura, si facevano asciugare le paccucce (cioè delle fettine di mele o pere infilate in uno spago), i fichi venivano calati nel mosto bollente e lasciati ad insaporire per qualche mi-

Il Gusto...

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nuto per essere poi messi a seccare ben infarinati, tutto questo in previsione del Natale quando queste preziose provviste sarebbero state usate per preparare dei dolci più ricchi e festosi.” Alla luce di tutto questo, era naturale che le ricette di questo libro venissero presentate secondo una suddivisone dettata dalla stagionalità e dalle indicazioni delle festività religiose, inoltre voglio aggiungere che molte di queste ricette provengono da persone precise come accade appunto per i filoni di mosto della signora Rosa oppure per la torta di mele di nonna Maria, perché “ non credo che esista insegnamento migliore di quello che ci viene offerto da un ‘maestro’ che, magari con poche e spesso reticenti parole, ma con gesti precisi, ci introduce alla sua arte fatta di grande esperienza e manualità, a sua volta apprese da chi prima di lui compiva gli stessi gesti.” Quello che accomuna tutte le ricette di questo libro è che sono tutte rigorosamente tradizionali anche se questo termine per l’abuso che ne è stato fatto ha perso parte della sua forza caratterizzante. Inoltre tutte le ricette, sia che appartengano al capitolo dei dolci dell’autunno o provengano dalla tradizione natalizia, non vivono di vita propria come accade per le ricette di nuova generazione, ma sono accompagnate da una lunga storia che le rende più intriganti e che molto spesso ne garantisce la sopravvivenza. È una storia che dà loro autorevolezza, che le lega al territorio, alla stagionalità e alle festività religiose. La storia di queste ricette è farcita di aneddoti e di ricordi. È una storia che non può fare a meno della gestualità e della ritualità che accompagnano la realizzazione di queste ricette, contiene un pizzico di superstizione, che si è frammista ad un forte senso della religione. Di conseguenza, queste ricette non potevano essere riproposte, spogliate dal loro bagaglio culturale, perché, in realtà, possono continuare ad avere un senso nella modernità in cui viviamo, solo grazie a questa loro lunga storia. In conclusione, mi preme dire che lo scopo di questo libro è quello di tramandare le antiche ricette del nostro territorio, non solo mettendole per iscritto, il che non è sufficiente a tenerle ancora in vita, ma soprattutto rendendole accessibili a chiunque volesse tentare di metterle in pratica avvalendosi di tutti quegli strumenti moderni di cui ogni cucina oggi è fornita, senza stravolgerne, però, lo spirito originario. “È per me, infatti, motivo di orgoglio pensare che queste preparazioni tradizionali della mia terra, con una storia antica e, in genere, dalle umili origini, possano continuare a vivere, non solo attraverso il ricordo dei nostri anziani che, con nostalgia, ripensano a quello che mangiavano da bambini, ma grazie al protrarsi della loro realizzazione negli anni a venire.” Manuela Di Chiara

Filoni di mosto

Favette ai pinoli

Crescia sfoiata


A Roma, il concorso del Junior chef

F

ornelli accesi, intelletto pronto, mani d'oro. Sintetizziamola così la selezione marchigiana dei giovani cuochi. Di che parliamo? Ma dell'anteprima del concorso gastronomico e culinario riservato ai Junior chef della Federazione Italiana Cuochi. Il confronto vero e proprio ci sarà il 17 novembre a Roma all'interno del Congresso della FIC. Ogni regione d'Italia manderà un prescelto. Quindi, anche le Marche avranno la possibilità di far conoscere e gustare un loro piatto ad un palcoscenico prestigiosissimo composto da oltre 30 delegazioni straniere da tutto il mondo. Tre settimane fa c'è stato l'esame dei candidati della nostra regione. Appuntamento all'Hotel Ristorante Degli Sforza, a Monterubbiano, dal collega Adriano. Dinanzi ad una giuria di tutto rispetto, alcuni giovani si sono dati battaglia a colpi di ricette interessanti. Sotto lo sguardo e il gusto degli chef adulti, hanno raggiunto il primo posto ex aequo Damiano Micozzi, della provincia di Macerata, e Jannis Zumbas e Andrea Barbabella, entrambi della provincia di Fermo. Il regolamento è però inflessibile: solo uno per regione potrà partecipare al concorso. Necessaria un'ulteriore selezione e, alla fine, il rappresentante marchigiano è stato scelto. ll migliore è risultato Andrea Barbabella, giovane cuoco - ha 22 anni - da Torre San Patrizio. Viene fuori dall'Associazione Cuochi della provincia di Fermo. Alessandro Pazzaglia e i suoi (i nostri) esultano: passaggio significativo! Andrea Barbabella



VENDEMMIA 2008/2009 Quantità: +20% rispetto vendemmia 2007 Enologo Alberto Mazzoni

N

elle Marche l'autunno e

periodo molto umido che ha favo-

ca più elevata. Le uve già raccolte

l'inverno scorsi sono stati

rito il diffondersi della peronospora

presentano una normale resa uva/

caratterizzati da ripetute

e dell'oidio che, in diversi vigneti

vino e una carica aromatica e fe-

piogge, anche a carattere tempo-

di fondovalle, hanno determinato

nolica elevate, grazie alla forma-

ralesco, che hanno favorito il com-

perdite di prodotto. Solo le azien-

zione di un'omogenea ed espansa

pleto ripristino delle riserve idriche.

de che hanno attuato un'oculata

parete fogliare.

Tali condizioni si sono protratte per

difesa del vigneto, sono riuscite a

Complessivamente in tutta la re-

tutta la primavere e le prime gior-

ben antagonizzare gli attacchi di

gione si stima un incremento del

nate soleggiate sono iniziate con il

queste due ampelopatie.

20% rispetto alla scorsa campagna

mese di luglio, che tuttavia, ha fat-

La vendemmia dei vitigni preco-

con una produzione pari a circa

to registrare alcuni violenti tempo-

ci è iniziata la terza settimana di

950.000 ettolitri di vino. La qualità

rali e anche qualche grandinata.

agosto. Nella seconda settimana

del futuro vino è da considerare

L'andamento delle temperature è

di settembre sarà la volta delle

quest'anno molto buona con di-

rientrato nella norma plurienna-

uve Sauvignon, Lacrima e Pecori-

verse punte di ottimo, soprattutto

le, alcune volte, nella notte, sono

no. Per il Verdicchio la raccolta si

per le produzioni provenienti da vi-

state anche piuttosto fresche de-

ritiene possa svolgersi nella terza

gneti ben gestiti e curati.

terminando così elevate escursioni

decade di settembre, mentre ver-

Per le uve al momento si registra

termiche. La ripresa vegetativa è

so il 10 di ottobre si effettueranno

una vivacità di mercato con prezzi

avvenuta in epoca normale, quindi

i conferimenti di Montepulciano.

però non ancora definiti. Si stima

con circa 8 giorni di ritardo rispetto

Buono lo stato fitosanitario delle

comunque che possano rimanere

al 2007. Il germogliamento è risul-

uve, che presentano acini sani e

stabili rispetto allo stesso periodo

tato regolare ed omogeneo. Dopo

succosi, con un maggior peso me-

dello scorso anno, mentre le con-

tale fase vegetativa è seguito un

dio grazie ad una disponibilità idri-

trattazioni per i vini ristagnano.

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della vita


...Vino & Territorio

di Gianmarco Veccia

La PASSERINA: poesia nel bicchiere

“Acciò da ora innanzi io ti possa chiamare o trovare quando mi bisogni, dimmi dove sei solito abitare”, e il genio familiare risponde: “Ancora non l’hai conosciuto? In qualche liquore generoso”.

A

formulare la domanda

al genio

è Torquato Tasso nel “Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare” di Giacomo Leopardi. In

quest’opera il nostro amato poeta marchigiano ritrae il vino simbolo dell’illusione, bevanda che scalza la noia, che aiuta a sfuggire al dolore per la mancanza dell’amore. Nel suo pessimismo cosmico Leopardi attribuisce comunque al vino la capacità di sopportare ed affrontare meglio la vita. Il mezzo che stimola la creatività e che con l’ebbrezza conduce vicino al vero. Il vino quindi strumento per raggiungere la realtà dell’esistenza. Non sappiamo se Leopardi abbia o meno conosciuto tutti i vitigni autoctoni della sua amata “terra natia” fatto è che a noi piace in questa occasione pensare che la Passerina sia stato uno dei “liquori generosi” a lui più cari. Un vino che più di altri porta con sè un carattere di estrema raffinatezza nei profumi, nel colore, nella consistenza. Una poesia che la natura riesce a creare con l’aiuto dell’uomo, nel nostro caso marchigiano, che ha saputo selezionare questo vitigno che produce un vino sempre più prediletto dai buongustai e dagli amanti del buon bere. La Passerina era un vitigno molto amato dagli antichi Greci che lo prediligevano per la sua capacità di sapersi ben ambientare e produrre notevoli quantità di frutto. In passato infatti veniva anche chiamato “uva d’oro” o “pagadebito” proprio per la sua alta resa produttiva. È autoctono dell’Italia centro orientale e nelle Marche è particolarmente diffuso nell’ascolano. Il Gusto...

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La pianta ha un apparato fogliare vistoso e la foglia, vigorosa è di un formato medio grande. Le nostre selezioni portano ad avere un grappolo che in media pesa sui cento, centocinquanta grammi, con un acino grande, dalla buccia carnosa e spessa, ricca di buona acidità e aromaticità che lo caratterizzano. La Regione Marche, sin dai primi anni settanta, ha sostenuto, nei suoi centri sperimentali, la ricerca su questo vitigno che può vantare oggi circa 35 cloni che consentono al viticoltore locale di individuare meglio il terreno più adatto alla sua cultura, sia nell’esposizione che nella composizione. Il vino che si produce da quest’uva è un bianco dal bel colore giallo paglierino tendente al dorato. Il sapore è asciutto e pieno con profumi gradevolmente floreali, di frutta matura con note speziate. Per queste sua ultime caratteristiche è molto amato dal gentil sesso che negli ultimi anni è sempre più competente in fatto di vino e ha saputo cogliere nella Passerina la tipicità di un bianco di buona struttura e personalità che, come il Pecorino, è sempre più di moda. E’ vinificato in purezza, fermo o spumantizzato, come pure in uvaggio con altri vitigni. Una grande conquista è stata la Doc “Offida Passerina” Vin Santo, o passito, per un vino dolce che la tradizione di Ripatransone, vecchia di più di duemila anni, porta ad avere un prodotto unico per i suoi pregi aromatici, speziati e nobili. Il mosto della Passerina è anche importante nella produzione del vino cotto. La Passerina quindi, come pure il Pecorino, rappresenta per i produttori della nostra regione una opportunità unica da tutelare e sviluppare contro quelle politiche commerciali, a volte azzardate, che rischiano di sminuire questi due preziosi ambasciatori dell’enologia marchigiana che possono senza ombra di dubbio rappresentare la qualità, la tipicità e la genuinità della nostra terra.


...Protagonisti

Piatti di mezzo Executive chef Johnny Giovanni Tucci

Con la cucina classica o comunemente chiamata cucina stile Ritz, si usavano servire prima del piatto forte un piatto non importante ma che soddisfaceva il cliente di tutto, il famoso piatto di mezzo questo piatto ancora in uso nella cucina francese ed europea. In Italia con il passare degli anni la cucina si è modificata passando da altre influenze tipo la nouvelle cuisine, la cucina contemporanea, la regionale. Questo piatto ormai non è più nei nostri menu, noi con questa pagina vorremmo riproporli con un occhio diverso, in altre parole fare una proposta che s’inserisce tra il nostro primo e il secondo, o tra l’antipasto e il secondo.

Raviolo di pasta brick con brunoise di verdura, salsa allo squaquerone e fili di patate

Girella di tacchino alle creme di verdura con purea di patata al profumo di tartufo

Ingredienti per 4 persone: - pasta brick 4 fogli - un bianco d’uovo - una zucchina - una melanzana - un peperone - una carota - un piccolo sedano rapa - una cipolla rossa - una patata - 200 g. di squaquerone - olio d’oliva - sale e pepe

Ingredienti per 4 persone: - 600 g. di fesa di tacchino - una carota - quattro patate - 500 g. spinaci - 100 g panna liquida fresca - un uovo - 150 g. di demy di coniglio (salsa) - 100 g. burro - parmigiano, sale, pepe, olio tartufato - pasta fillo n° 2 fogli

Svolgimento: Pulire le verdure, tagliarle tutte a brunoise (a dadini piccoli) soffrirgerle leggermente. Stendere la pasta brick e spennellarla con il bianco d’uovo, incorporare un po’ di squaquerone con le verdure e fare dei piccoli ravioli, pelare la patata e tagliarla a julienne finissima e friggere, nello stesso olio friggere anche il raviolo di pasta brick, scaldare lo squaquerone rimasto sistemarlo nel piatto e adagiare il raviolo con sopra le patate fritte.

Svolgimento: Fare delle fettine sottili con tacchino e batterle su un foglio di pellicola. A parte preparare della farcia con dei ritagli di tacchino, panna, l’uovo, sale e pepe, e divederle in tre ciotole. Sbollentare gli spinaci, e fare il puré di patate. Prendere un po’ di spinaci e passarli al cutter per farli diventare un puré, cosi anche le carote. Aggiungere in una ciotola la purea di spinaci, nelle altre, in una, la purea di carote e nella seconda la purea di patate. Stendere le farcie sul tacchino a strisce e poi formare un rollè. Cuocere al vapore per 15 min. oppure con sonda a 60°C. Con gli spinaci rimasti e la pasta fillo formare un cannellone. Finire il purè con l’olio di tartufo il burro e il parmigiano, disporre tutto nel piatto come fatto vedere nella foto. Friggere il cannellone e tagliare a metà, infine tagliare il tacchino e nappare con un po’ di demy di coniglio.

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della vita



La cucina del monastero. Una lode al Signore

L

o vedete subito. Il monastero spicca dall'alto di Loro Piceno, provincia di Macerata, arcidiocesi di Fermo. Era una fortezza. Era il castello dei signori Brunforte: i Domini contadini, la schiatta longobarda, ghibellina, fedele all'imperatore. Da quattro secoli circa è il monastero delle suore Domenicane. Sono rimaste in tre, le sorelle, di età avanzata, ma con la stessa fedeltà di sempre alla regola di Padre Domenico, il fondatore. Vestite di bianco, sono dedite alla vita contemplativa e alla preghiera liturgica. Perché ce ne occupiamo nella nostra rivista? Innanzitutto, perché stimiamo queste monache, poi per il ruolo che il monastero ha in uno dei paesi più belli delle Marche, infine per la cucina. Chi ha avuto la fortuna di entrare nell'edificio è rimasto incantato. Ha visto cose di altri tempi e idealmente ha legato una vita di secoli che si concatena e che ci raggiunge. Le foto che pubblichiamo rendono bene i locali, ma visitare di persona è un'altra cosa. Pensare che su quei tavoli, su quei fuochi, con quegli arnesi si sono fatti dolci fantastici e pietanze gustose, ci fa dire che il Padreterno ci ama davvero e, molte volte, ci prende per la gola. Perché no? A proposito: visitare il monastero si può. In giorni stabiliti. (l.p.)

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della vita



Comune di...

Smerillo di Simone Troiani

U

n luogo fuori dal tempo e dal mondo, ma in questo tempo e in questo mondo. Un patrimonio inestimabile per la quinta provincia delle Marche. È Smerillo, sapientemente ribattezzata Tibet della Marca Fermana, poco più di 400 abitanti arroccati a 817 metri sul livello del mare. Smerillo non può che essere l'emblema del Gusto della Vita, considerato che ogni scorcio, ogni veduta, ogni sentiero, spalancano il cuore a qualcosa di misterioso e ben più grande di noi. A Smerillo si respira aria buona tutto l'anno. E l'enogastronomia ne risente. Sedetevi a tavola in un qualsiasi agriturismo e nelle strutture dell'Albergo Diffuso. Gusterete pietanze eccezionali. Smerillo, scrigno di attrattive storiche e naturalistiche. L'incasato, principalmente costruito in pietra, ha impronta medievale accentuata dagli abbondanti ruderi delle mura di difesa.

Tibet della Marca Fermana "Castrum Smerilli" è stato il castello che ha dato origine all'insediamento. La prima fondazione sembra risalire al IX secolo. Fu poi alle dipendenze di Fermo. La posizione, strategicamente favorevole, allettò gli appetiti espansionistici della città di Camerino, che, sul finire del secolo XIV, trovarono la secca resistenza dei Fermani. All'interno dell'abitato spiccano due belle chiese, SS. Pietro e Paolo e Santa Caterina, costruita in ricordo della liberazione del Fermano dal tiranno Rinaldo da Monteverde. Il nome sembra derivi da un falchetto, "lo smeriglio", con cui il feudatario cacciava. Qualcuno fa anche risalire il nome alla famiglia di signorotti "De Smerillo" che ha abitato il paese. Tipico del piccolo borgo è l'affioramento della Fessa, spettacolare esempio della presenza di fossili alle pendici dei Sibillini. La Fessa è una profonda incisione nella roccia spessa una ventina di metri, dove può passare un uomo per volta, per vedere una successione stratificata di arenarie e conglomerati sabbiosi. Non solo borgo ma anche frazioni: la più vicina al paese è Durano, immersa nel verde e via d'accesso al “fosso delle anguille”. A sud di Smerillo sorge Ceresola, raccolta intorno alla chiesa di S. Nicola. All'interno si conservano una tela dedicata al Santo e una Pala del '600. Troviamo poi Castorano, minuscolo inse-

diamento di origine longobarda, raccolto in cima ad una collinetta e con al centro la chiesa dedicata a S. Pietro Martire. A meno di 2 chilometri da Castorano c'è San Martino al Faggio, abitato posto ai piedi della chiesa di S. Vincenzo Ferreri con adiacente campanile romanico. Qui c'è la possibilità di passeggiare in una faggeta tra il corso d'acqua Rebuscano e le sorgenti solfuree. Infine Val di Tenna, frazione che si sviluppa lungo il fiume omonimo e sulle rive del quale si possono fare lunghe camminate. Smerillo è nota anche per il sistema dell'Albergo Diffuso, innovativo modello di ospitalità, un pò casa e un pò albergo, con camere e servizi dislocati in edifici diversi e con una struttura centralizzata unitaria. Negli ultimi 10 anni è stata l'Amministrazione Comunale a sensibilizzare diversi proprietari a ristrutturare le case non abitate, mettendole a disposizione per questo nuovo modello di ospitalità, di fatto favorendo la realizzazione dell'Albergo Diffuso Smerillo. Oggi il sistema si avvale di una capacità ricettiva di circa 60 posti letto dislocati in diverse tipologie di alloggi, con caratteristiche diverse, localizzati nel borgo e nelle frazioni. Smerillo, infine, è da tempo frequentata anche da poeti ed è stata per questo denominata Cittadella della Poesia. Smerillo... chi non lo visita non sa quello che perde.

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della vita



di Stella Alfieri Immaginate di dare la mano ad una persona dalla stretta potente, decisa e avvolgente. Complimenti, avete fatto il vostro primo incontro con la cucina greca. È incredibile. Basta sedersi una sola volta alla tavola di una taverna greca per essere letteralmente conquistati dai sapori del Mar Egeo.

Gustose corrispondenze dall'isola di Kos...

T

i assalgono alle narici prepotenti, forti e decisi odori capaci di portarti a bordo di quella barchetta da pesca bianca e blu o in mezzo ad un campo, sotto il sole cocente, tra fragranti e succosi pomodori e cipolle, rosse e croccanti. Arriva subito, senza chiedere permesso. Prima, sembra solo un odore, intenso. Poi, poco a poco, con pazienza e costanza, riesci a distinguere l'olio, l'aglio, quello fresco, la cipolla, il cetriolo, le olive, il formaggio, lo yogurt, il miele: tutti ingredienti fondamentali per la cucina di una terra tanto generosa quanto aspra, polverosa e rovente. Ancora più che nel continente, sono le isole della Grecia, esposte al vento e al sole, con i loro mulini, le collinette bruciate dall'arsura, le coste battute dall'andare e venire incessante del mare, i suoi gatti, zingari a quattro zampe, a testimoniare sapori che vengono da lontano. A Kos, piccola isola del Dodecanneso, ad un passo dalla turca Bodrum, tra la grande Creta e l'elegante Rodi, gustare insalata alla greca, tzatziki, dolmades, moussaka, zuppa di pesce, arrosti di ogni tipo, è un'esperienza di vita imperdibile. Passeggiate sul lungomare, tra il porticciolo di Kos e il castello dei cavalieri di S.Giovanni, prima che si dispieghino davanti ai vostri occhi la miriade di negozi e ristoranti per turisti, incontrerete una scalinata bianca e blu, piccole luci colorate, tante sedie di paglia e tavolini sotto il pergolato. Zaphirys e Dimitri vi accoglieranno a braccia aperte. Dopo avervi fatto accomodare, magari proprio a quel tavolo per due con vista sul mare, vi serviranno un buon vino fresco – alla taverna Fish House ce ne sono per tutti i gusti: il Retsina, il Makedonikos, l'Agioritiko dei preti del Monte Athos, il Kokkineli, secco e rosato – pane al sesamo e burro, per cominciare, e vi suggeriranno il piatto giusto per la vostra serata alla greca. Alla greca, sì, perchè, a differenza dell'Italia, dovrete adattarvi: non esistono primi piatti. Il pasto si aprirà dunque con una serie di antipasti (detti mezédes o orektiká), come lo tzatziki, la Feta fritta o al forno (formaggio di capra bianco, a pasta granulosa, dal gusto importante), l'insalata greca (una festa di peperoni dolci, pomodori, cetrioli, olive, cipolle, Feta) o alla Santorini, dal nome della vicina isola, a base di tonno e gamberi. Fidatevi dell'esperienza di Zaphirys, nativo di Kos: sotto i baffi nasconde l'amore per il buon pesce, cucinato a puntino dal suo chef, Theodoros. Non c'è niente di meglio, ne è convinto anche Dimitri, suo socio da sempre: il pesce è saporito, fresco e ci fa un gran bene. Calamari, pesce spada, polipo, salmone alla griglia. Oppure zuppa di cipolle, moussaka (simile ad un timballo di melanzane, patate,

carne macinata aromatizzata alla mente, coperta di besciamella, cotto in forno e servito in un'elegante terracotta), pollo al curry (accompagnato da riso basmati e verdure al vapore), stufato di carne, costolette d'agnello. Per i golosi, o anche solo per chi riuscirà a proseguire, la tradizione vi riserverà dolci a base di pasta sfoglia e crema, come il Kataífi (sfoglia, ripiena di mandorle tritate e bagnata con sciroppo) e il Baklavás (strati di sfoglia alternati, mandorle tritate e miele), molto diffuso anche nella vicina Turchia. Non potrete andarvene senza aver brindato alla vostra salute in compagnia di Dimitri e Zaphirys, alzando due piccoli bicchieri di ouzo, liquore simile all'italica sambuca. Ve ne andrete via così, tra un abbraccio, un saluto affettuoso, la stretta di mano dei camerieri e l'invito a tornare al più presto. Per vivere ancora quell'incredibile fusione tra sapori orientali e gusto mediterraneo.

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della vita


...Eventi

L'estate del gusto.

Quella di Tipicità. A Fermo la sua ambasciata

di Adolfo Leoni

Q

uanta gente? Un nu-

estate. Una Tipicità Estate di tutto

una volta, una città aperta, capa-

mero impressionante.

rispetto.

ce di sostenere le altrui iniziative,

La loro provenienza?

E bingo lo ha fatto anche il primo

senza nessun arroccamento, anzi,

Da tutta Europa ed ol-

cittadino, che ha spalancato la

una città spalancata al territorio.

tre. Quando? L'estate 2008. Dove?

sua città accogliendo 15 comuni,

Un capolavoro, dr Di Ruscio! Che

Ai Magazzini romani di Fermo. Per

riservando loro una o più giornate

ha avuto un momento significativo

fare che? Per gustare il territorio.

per esporre il meglio del meglio in

nella grande cena dell'otto luglio

“Gustare”, proprio così! Mai ter-

alcuni locali ameni, a disposizione

al Porto di Porto San Giorgio, al

mine fu più appropriato. Gustare

dei turisti. Un successo.

ristorante-trattoria L'Ancora. Tema

il ciabuscolo, gustare il vino rosso

Un successo, innanzitutto, perché

della serata “Assaggia il Fermano-

e bianco, gustare l'olio, li caciù, lu

un numero impressionate di va-

Incontri con il vino ed il cibo del

serpe, i maccheroncini. Insomma,

canzieri, come dicevamo, ha po-

territorio”. Una cena come tan-

gustare le specialità tradizionali

tuto conoscere i nostri prodotti. Più

te? Macché, una festa, un visibilio

della quinta provincia delle Mar-

che conosciuti, li hanno assaporati

di piatti che ogni comune aveva

che: il Fermano.

e divorati i milanesi e i bergama-

preparato, un confronto tra identi-

Il sindaco di Fermo Saturnino Di Ru-

schi, gli aquilani e i veronesi, ma

tà, una dialettica di sughi, di carni,

scio e i suoi plenipotenziari di Tipi-

anche gli svizzeri e gli olandesi, gli

di paste. A tavola, comodi, intorno

cità, il festival dei prodotti enoga-

inglesi e i francesi. Non è manca-

a tavoli rotondi e apparecchiati

stronomici, Angelo Serri e Alberto

to qualche statunitense e qualche

in modo impeccabile, sedevano

Monachesi hanno fatto bingo. Di

russo. Evviva, siamo globali..

sindaci, imprenditori, opinion lea-

solito bingo lo fanno a marzo, or-

In secondo luogo, il successo è ve-

ders, giornalisti, gente del lavoro.

ganizzando l'enorme mostra pri-

nuto anche dal fatto che i munici-

Non una grande abbuffata, ma

maverile. Stavolta l'hanno fatto in

pi hanno trovato in Fermo, ancora

una conoscenza più approfondita

Il Gusto...

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ASSOCIAZIONE SOMMELIER AIS Marche Delegazione di Fermo e Porto San Giorgio Sommelier Prof. Stefano Isidori

N del cibo marchigiano, anzi no, fermano. Anche l'Associazione Italiana Sommelier ha fatto la sua figura con un vero e proprio banco d'assaggio dei vini locali. Poi, l' “Assaggia il Fermano” s'è spostato ai Magazzini romani, a due passi da piazza del popolo a Fermo, con giornate cadenzate e riservate a Monte Urano (10 luglio), Ponzano di Fermo (11), Servigliano (17), Ortezzano (18), Campofilone (24), Monte Giberto (25), Montegiorgio (31), eppoi Falerone (1 agosto), comuni del circuito delle erbe (7-8-9), Lapedona (21), Altidona (28 agosto). Saturnino Di Ruscio gongola. La gente ha condiviso, gli sono arrivati molti messaggi di congratulazioni, l'idea è piaciuta. L'idea è passata. La rifarete? “Certo, che la rifaremo - risponde - squadra che vince non si cambia”. Che cosa è diventata la sua città? “Per due mesi si è trasformata in una sorta di ambasciata a disposizione dei centri minori”. E l'ambasceria ha funzionato.

el 2003 è stata attivata a Fermo la Delegazione dell’Associazione Italiana Sommelier. L’Associazione non ha scopi di lucro e rispetta appieno lo statuto dell’Associazione Italiana che ha sede a Milano. Le otto delegazioni regionali sparse in tutte le Marche hanno soprattutto l’obiettivo della formazione professionale del personale addetto al servizio del vino nei locali pubblici. A questo, negli ultimi anni, si è aggiunto un crescente interesse che ruota intorno al mondo dell’Enogastronomia e del vino in particolare, interesse legato alla ricerca costante di una maggiore e migliore qualità della vita e palesemente del mangiare e del bere. Questo fenomeno è riscontrabile andando a sbirciare l’elenco delle persone che frequentano i corsi, dove si evince che la maggioranza partecipa non per imparare la professione, ma per apprendere le tecniche da utilizzare per individuare la reale qualità dei nettari d’uva che il mercato propone o capire meglio le sensazioni gusto olfattive che possono invadere i nostri sensi assaggiando una preparazione gastronomica. Questo è uno dei motivi che ha spinto il Consiglio Regionale AIS all’apertura della Delegazione territoriale del fermano, per essere più capillari e vicini alle persone che desiderano conoscere il vino. L’AIS ha anche il compito di sostenere i produttori che risiedono sul territorio con attività promozionali, con il proposito di far conoscere le realtà ottenute nella nostra nuova provincia. A Fermo, e dintorni, negli ultimi anni hanno visto i natali numerose piccole e medie Aziende Agricole, quasi tutte a conduzione famigliare, che si affiancano alle storiche Aziende: ed ecco l’intervento dell’AIS, fare il possibile per far conoscere i loro prodotti ad un più ampio numero di persone, presentandoli e promozionandoli con le competenze che sono proprie dei sommelier. In questi pochi anni, la Delegazione di Fermo, è riuscita ad ottenere diversi ottimi risultati, sia dal punto di vista degli “allievi” dei corsi, sia per quanto riguarda la promozione della produzione enologica locale e regionale. Tra i primi è d’obbligo ricordare i successi ottenuti dai corsisti che si sono cimentati nei concorsi di categoria regionali e nazionale, Andrea Leoni di Monte Urano, Marco Cinquantini di Montegranaro (Miglior Sommelier Junior 2006); Marta Trobbiani di Sant’Elpidio a Mare ed in ultimo la bravissima Beatrice Di Giulio di Fermo (Miglior Sommelier Junior 2008), nonché l’inserimento nel mondo del lavoro con l’apice toccato da Giovanni Ripani di Altidona che attualmente ricopre il ruolo di Chef Sommelier all’Hotel Ritz di Londra. Per quando riguarda la promozione basta ricordare il grandissimo bacino di “Tipicità, festival dei prodotti tipici delle Marche”, dove la Delegazione di Fermo gestisce uno stand atto a promozionare i vini di tutte le Marche, con degustazioni guidate e spiegazioni delle varie tipologie da parte dei Sommelier presenti, e poi cene, degustazioni, visite in cantine, e tantissimo ancora con l’unico scopo di far conoscere il vino marchigiano. Nelle Marche, si sono toccati i 1800 iscritti e di questi circa 250 abitano nel territorio della nuova provincia fermana, tutti vogliosi di scoprire, assaggiare ed incoraggiare i nostri produttori a migliorarsi per sfondare un mercato sempre più difficile e concorrenziale.

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della vita


L’abito fa il monaco? Al ristorante “SI” di Stefano Isidori

Anzi, si potrebbe affermare che la divisa è il “biglietto da visita” del locale, è “l’immagine” che il gestore vuol dare al suo servizio, è il “primo impatto” che il cliente ha del ristorante.

E

cco perché ritengo che “l’abito” sia di fondamentale importanza soprattutto per quei locali che vogliono, anzi pretendono, di essere nominati “Ristoranti”. Purtroppo, andando in giro per il territorio, ci si rende conto che l’uniforme di lavoro non è più così consueta, soprattutto nei locali di medio livello, che siano essi pizzerie, agriturismi, bar, gelaterie o, e lo sottolineo, ristoranti. Come detto, il primo impatto che l’avventore ha del locale è con il personale di servizio, che dovrebbe, giocoforza, essere immediatamente riconoscibile, sia come persona, sia per il ruolo che riveste: Maître d’Hotel, Chef de rang, Sommelier o commis (apprendista), perché l’uniforme aiuta il cliente ad identificare la qualifica e riconoscere chi gli sta dando il benvenuto. Se siamo all’aeroporto e abbiamo bisogno di informazioni o chiarimenti, cerchiamo il personale di servizio, facilmente riconoscibile dalla “divisa” e ci rivolgiamo direttamente a lui. Allo stesso modo dovrebbe avvenire al ristorante: il cliente deve essere sicuro, all’ingresso, di rivolgersi al personale giusto, ma anche in sala durante la cena o al bar per l’aperitivo, la divisa rende riconoscibili anche per il ruolo che si riveste all’interno della brigata. Oltremodo è sicuro che con la divisa “sbagliata” si possa mettere a disagio il cliente, che potrebbe sentirsi in “imbarazzo” o dover confrontare il proprio vestito con quello del personale di servizio. È vero che siamo in un periodo di grandi mutamenti, che confermano che la “classica divisa”, sia essa di sala o di cucina o quella del front office, è tramontata, sempre più sostituita da abiti variopinti; ma rimangono un paio di regole, anche formali, che dovrebbero essere tenute in considerazione. Prima: un’uniforme di lavoro, anche non convenzionaIl Gusto...

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le, ma identica per il personale di ciascuna categoria. Seconda, ma sicuramente incisiva nella sua importanza ed indipendentemente dal tipo di locale: indossare vestiti sempre “freschi” e “puliti”, evitare di mostrarsi al cliente con un abito sporco, sgualcito, usato per l’intera giornata (o giorno prima), dimostrando di dedicare poco tempo a curare la propria immagine, che dovrebbe essere “in servizio” ed “al servizio” di chi frequenta il locale. Oltremodo “staccare” un attimo per cambiarsi, permette al fisico e alla mente di riposarsi, di ritrovare freschezza e motivazione, per riprendere la “battaglia” del servizio a favore del cliente. A questo proposito, mi ritornano in mente gli albori della mia carriera in sala ristorante: nei momenti dedicati alle pulizie e al riordino del ristorante, si indossava la mitica “vergatina”, giacca a strisce rosse e blu, che aveva un duplice obiettivo quello di evitare di stropicciare l’immacolata giacca bianca, e quello di mandare un messaggio, chiaro, preciso ed inequivocabile senza possibilità d’errore da parte del cliente, detto dalla stessa “vergatina”: il ristorante era chiuso!!! Ma a noi del personale permetteva anche di avere alcuni momenti liberi da dedicare alla cura della nostra immagine e di indossare abiti freschi e sicuramente intonsi prima dell’arrivo dei clienti. In tutti i testi adottati negli Istituti Alberghieri c’è un intero capitolo dedicato alla divisa e alla cura della persona e, ve lo posso giurare, tutti gli insegnanti tecnico pratici puntualizzano questo aspetto della vita professionale, analizzandolo nei minimi dettagli (dalla giacca ai calzini, dalle scarpe al papillon, fino alle norme igieniche più elementari tipo capelli corti o legati, barba rasata, niente piercing o tatuaggi), fino ad escludere gli studenti “trasandati” dalle esercitazioni di laboratorio, per cercare di far comprendere loro

oltre che il corretto comportamento professionale anche le vigenti norme legislative. Ma anche in questo caso, ci sono abitudini ormai consolidate, che rendono inutile il lavoro dei docente: quando i giovani allievi si recano nei “presunti locali” - che vogliono classificarsi di ristorazione - vedono annullati tutti gli ammonimenti del proprio professore (camerieri senza divisa, barbe incolte e capelli lunghi, infradito invece che scarpe, shorts invece che pantaloni, e mi fermo qui!). Penso che si sia arrivati al limite del troppo snobismo, cuochi con giacca nera, camerieri con gilet sgargianti e camice variopinte, barlady più succinte che vestite … certo tutto questo fa “marketing”, fa accorrere decine di clienti attratti più dall’occhio che dai profumi o sapori dei piatti e delle bevande. Ma il canale “Ho.Re.Ca.”, acronimo di Hotel Restaurant e Catering, è un’altra cosa: la sobrietà, l’aspetto pulito ed ordinato, sono di rigore se ci si vuol sentire Ristoratori con la “R” maiuscola. Vuoi mettere il Barman con la sua candida giacca bianca o il Maître con un’impeccabile smoking, così il Sommelier con spencer e grembiule nero o lo Chef di cucina con il lungo cappello bianco e i pantaloni sale e pepe?! Speriamo che in futuro indossare una corretta uniforme assuma le stessa importanza della cura nella selezione delle giuste materie prime. Tutto ciò per soddisfare sempre di più il cliente. Il “dress code” o codice d’abbigliamento, accomuna una categoria di persone, creando un’immagine di riferimento al proprio essere, al proprio ruolo. Gli indumenti trasmettono messaggi sociali che identificano la persona che li indossa sia dal punto di vista di identità culturale sia per ciò che riguarda il gruppo sociale o di lavoro!


...Cucina dal mondo

...La cucina dei piccoli

Mangiare alla russa

da " Segreti della cucina russa" di Markus Wol f a cura di Orietta Foresi

La triplice ucha e le altre zuppe

I

l termine russo sup, letteralmente zuppa, è molto simile a quello tedesco suppe. Entrambi derivano dal francese soupe. Dal francese proviene anche bouillon, il vocabolo russo per brodo. La particolarità delle zuppe russe va ricercata nella vecchia stufa russa e nel duro lavoro sui campi. La zuppa viene infatti preparata in tegami di terracotta come scorta di cibo per alcuni giorni. Era abbastanza simile all’eintopf, il classico minestrone tedesco. La cottura a fuoco lento dava a un alimento così popolare e povero un gusto assolutamente unico. La zuppa russa classica è, senza dubbio, lo sci, una minestra a base di cavoli, di cui esistono più varianti nelle numerose regione dell’esteso continente russo. Fondamentale, non solo per lo sci ma anche per le altre zuppe tipiche come il borsc e la soljanka, è l’estrema densità. una volta il termine russo per “zuppa” era pochlebka con il quale, in realtà si designava qualsiasi sorta di pietanza liquida. Poi, con il passare dei secoli, in particolar modo durante il regno dello zar Pietro I decisamente proiettato verso l’Occidente, venne introdotto il vocabolo sup che, all’inizio, si riferiva solo alle minestre di origine straniera. Malgrado ciò, persino con l’arrivo dei fornelli nelle case, si continuò come si usava in passato a preparare la zuppa in pentole di coccio che poi fungevano anche da recipiente servire in tavola la minestra. Un tempo, in Russia, si mangiava solo con cucchiai di legno. Ce n’erano di tanti tipi, decorati o con il manico di legno intagliato. Attualmente i più diffusi sono quelli prodotti a Chochloma, esportati persino all’estero. Date le origini contadine degli artisti, i motivi ornamentali erano foglie, fiori, bacche e steli. Inizialmente ucha anche era il termine per designare in genere le zuppe. Oggi ormai è noto a tutti, in particolar modo agli intenditori, il suo unico significato. L’ucha, dunque, altro non è che la zuppa di pesce. Anche se nella cucina russa esistono infatti diverse ricette, chiamate appunto rybnyj sup, letteralmente zuppa di pesce. Ma l’ucha ha qualcosa di particolare che la rende diversa da tutte le altre, persino dalle migliori zuppe, come la straordinaria bouillabaisse che si può gustare nelle taverne del porto di Marsiglia!

Triplice ucha

di Ludovica Benigni

Gelato alla frutta fresca

Ingredienti: per preparare una triplice Noi continuiamo ucha sono necessari almeno le nostre ricette sono proprio belle, sette tipi di pesci. gli ingredienti eccoli qua Se ho invitato 6-8 ospiti a manleggiamoli con curiosità. giare l’ucha, mi procuro dai pescatori: 1 gran lucioperca, Ingredienti (4 persone) 2 piccoli lucci e 4 pesci persi- 100 g di ricotta ci; il tutto costituisce la parte - 100 g di zucchero (o di miele) - 200 g di frutta fresca nobile della zuppa. Prima di passare alla cottura di questi Esecuzione pesci nobili, mettere in pentoIn una terrina mescola bene con una forchetta la la 1-2 kg di pesci piccoli come ricotta e lo zucchero fino ad ottenere una crema pesci dei percidi, bottatrici, morbida. Pulisci la frutta e tagliala a pezzettini (con l'aiuto di un adulto), poi falla frullare. Uniscila alla scardole, leucischi rossi. Verricotta fino ad ottenere una crema omogenea, tieni sare 5 l d’acqua aggiungendo in freezer qualce ora e buon appetito. un mazzetto di aromi per zuppa, granelli di pepe, di pimenIl gelato è buono da mangiare e soprattutto è to, di senape, bacche di ginefacile da fare: se la passione ci metterete credetemi ci riuscirete! pro, 2 foglie di alloro, aneto e far cuocere a fuoco lento per circa 2 ore fino a ottenere un brodetto denso. Terminata la prima fase di preparazione, filtrare il brodetto. Dopo aver levato i filetti dei pesci nobili, avviare la seconda fase di preparazione. Esecuzione: versare nel brodetto filtrato altri 2 l d’acqua aggiungendo le teste, le code e le lische dei pesci nobili, un secondo mazzetto di aromi, aneto, 2 cipolle, 2 spicchi d’aglio e le altre spezie e far cuocere ancora per circa 2 ore. Aggiustare di sale e di pepe. Filtrare il nuovo brodo che dovrà essere limpido e privi di ogni pezzettino di pesce. Mi raccomando perché è proprio questo che fa la differenza tra l’ ucha e le altre zuppe di pesce!

L’aneto è uno degli aromi più importanti per le zuppe di pesce. Nella cucina russa questa spezia ha una funzione determinante. Oltre al sale e al pepe nero, originariamente importato da Bisanzio, è l’aroma di cui si fa maggior uso in gastronomia. In Russia non esiste insalata o zuppa senza aneto. Chiusa la piccola parentesi, torniamo alla nostra triplice zuppa di pesce e passiamo alla terza fase di preparazione: oltre al brodo e i filetti di pesce sminuzzati, sono necessari 1 kg di patate pelate e tagliate in quattro pezzi, 6 carote affettate, 4 cipolle piccole, 2 peperoncini a ciliegia, dell’erba cipollina, 4 cucchiai di aneto tritato, pepe nero macinato e sale. Mettere la pentola con il brodo sul fuoco, portarlo a ebollizione e poi aggiungere le carote, le patate, le cipolle intere e, nel caso i peperoncini a ciliegia. Dopo 20 minuti abbassare la fiamma in modo che l’ucha bolla appena e le patate non si scuociano. Aggiungere i filetti di pesce e, dopo 5 minuti anche l’erba cipollina. Far cuocere altri 5 minuti e aggiustare definitivamente con pepe macinato e sale. Signori, l’ucha è pronta! La vodka è fredda, i pirozki sono caldi. Perché tutto sia a regola d’arte, la zuppa andrebbe servita nelle tipiche scodelle colorate di legno con i rispettivi cucchiai di legno. Una volta riempite le scodelle, bisogna spargere sull’ucha un cucchiaino di triti aneto fresco. Questa è la vera triplice ucha, quella preparata dai cacciatori e dai pescatori siberiani quando vogliono far colpo su qualcuno o vincere il primo premio in una competizione gastronomica.

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della vita


...Diario di bordo

I

l nostro Diario inizia al Meeting di Rimini. Giornata di apertura, domenica 24 agosto. Paolo Massobrio è il Presidente Nazionale del Club di Papillon spetta a lui presentare il libro Adesso, 365 giorni da vivere con gusto. Lo ha scritto insieme ad un gruppo di amici e tantissimi altri gli sono davanti in platea per conoscere questo nuovo gioiello Cosa dice Paolo? “Il volume, scritto per riportare il gusto dentro la famiglia italiana, è un libro con belle immagini e quadri d’autore, e segue la scansione quotidiana di un'agenda, dove ogni giorno vengono pubblicate “pillole” conoscitive per stare bene in famiglia e nella propria casa. Un vero e proprio scrigno di informazioni, curiosità e segreti che ruotano intorno alla casa, alla cu-

cina, al vivere insieme e ricorda, con i suoi consigli, l’inestimabile valore della saggezza di un tempo quando la vita familiare era vissuta con un’altra attenzione e i ritmi erano meno frenetici di oggi”. Ma quali sono le novità di questa seconda edizione? “Nel volume, suddiviso in dodici mesi, - è sempre Massobrio a parlare - trovano spazio i trucchi di economia domestica ed i suggerimenti educativi per i bambini di Donata Carmo Ferrari, i consigli sull'arredamento a seconda delle stagioni di Claudia Ferraresi, le leggende sugli alimenti per i bambini di Paola Gula. E poi alcune pillole su come allevare un cane scritte da Andrea Voltolini, notizie in tema di orto, giardinaggio e piante d'appartamento di Maurizio Lega, segreti e pratici consigli per preparare il pane in

casa secondo Fausto Rivola, e per le birre fai da te di Davide Tessaro. Tornano, immancabili, le ricette di Giovanna Ruo Berchera e gli abbinamenti con il vino a cura di Paolo Massobrio e Marco Gatti, i consigli sul bon ton a cura di Barbara Ronchi della Rocca, le pillole sull'universo di Elena Notari e gli indispensabili suggerimenti per una corretta alimentazione del dietologo Primo Vercilli. Tra le pagine di Adesso si parla ancora di sicurezza alimentare con Gabriele Crescioli, delle magie della tavola con il Mago Foie Gras, mentre si possono ammirare i quadri della pittrice milanese Maria Teresa Carbonato, da cui è tratta la copertina, oltre alle vignette, una per mese, di Guido Clericetti e i racconti di Luca Doninelli e di altri autori amici di Papillon”. Capito?

di Nettuno” preparato dalla fedele Leptine, ovverosia uova crude sbattute con formaggio, farina, miele e vino.

C

ontinuiamo la navigazione per dare un'occhiata ai menù presenti sulle tavole di Alèxandros. Il Re dei Macedoni, raccontato da Valerio Massimo Manfredi, non trascurava il cibo. Ed ecco quel che mangiava insieme ai suoi amici e comandanti Tolomeo, Eumene, Filota, Cratero, Leonnato, Lisimaco, Seleuco, Perdicca. Dopo la presentazione di Alessandro all'esercito macedone, da parte di re Filippo, segue un banchetto a base di spiedi di pernice, tordi, galli di montagna, anatre e prelibati fagiani, vitello arrostito e ceste di pane fragrante, noci sgusciate e uova di anatra bollite. Tranci di sgombro e di pesce spada allo spiedo addolciscono la vita del principe Alessandro fuggito in Epiro per sfuggire all'ira di suo padre. Iniziata la campagna d'Asia, dopo la morte di re Filippo, Alèxandros fa colazione con il “Boccale

Il Gusto...

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A Lisippo, il grande scultore che deve approntargli una statua, il re dei Macedoni offre una cena a base di pesce arrosto aromatizato con rosmarino e olive salate, legumi, verdure e pane fresco dal forno. Memnone è il comandante mercenario greco, che più darà filo da torcere ai macedoni. Fuggiasco, verrà raggiunto dalla stupenda moglie Barsine mentre cena con assaggi di formaggio, uova sode di anatra, minestra di fave, ceci e piselli. La regina di Caria, Ada, adotta Alessandro e festeggia l'avvenimento con ciambelle ed uva passa, crostate, paste sfoglie con il miele, panini farciti con uovo sbattuto, farina, e mosto cotto. Alessandro, mentre studia un piano per fermare Memnone e la progettata invasione della Grecia da parte dei Persiani, cena con pesce arrosto e legumi. Tanto di cappello. Adolfo Leoni




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