...Editoriale
Il pranzo di Natale di Adolfo Leoni Ci siamo: ancora qualche giorno e sarà Natale. A me la festa piace: per i contenuti religiosi (quel Bambino ha cambiato il mondo, amici; mai nella storia era capitato che un Dio ci venisse incontro: Lui a noi). E mi piace anche per il contorno: luci, vivacità e amicizia. Magari per un giorno, ma se non ci fosse ci sarebbe un giorno in meno, d'amicizia. Sono minimale, come diceva il mio prof. di filosofia, ma tant'è. Da piccolo, ricordo che mia madre, dieci giorni prima del pranzo del 25 dicembre, iniziava a preparare i cappelletti. Ne faceva grosso modo 700. Prima approntava silenziosamente l'impasto di carne. Poi metteva mano alla sfoglia. Sentivo che la tirava, che il mattarello faceva “Tutun”. Un suono familiare. Lavorava su un grande tavolo di marmo completamente imbiancato di farina. Prima il cratere bianco, poi gli occhi delle uova, quindi il rimescolamento, e via di braccia. Tirata la bella sfoglia giallo ocra, iniziava il taglio, rotondo, con la bocca capovolta del bicchierino da mistrà. 700 piccoli rotondi da riempire! Poi, il secondo atto. Nella stanza più fredda di casa, quella a tetto (non c'erano i termosifoni allora, i geloni alle mani invece sì), la aiutavo a sistemare due sedie su cui poggiare alcune tavole di legno coperte da panni di lino bianco. Su quel precario manufatto lei depositava, con molto amore debbo dire, i 700 pezzi 700. I cappelletti si sarebbero essiccati giusti giusti per il grande pranzo! Chiaro: non ci sarebbero stati solo quelli, il 25, ma io aspettavo soprattutto i cappelletti. Anche quest'anno tornerò per le feste nella mia casa paterna di Montegiorgio. Da mio fratello ci ritroveremo in 25, io il più adulto, Giulia la più piccola di un mese appena. Torneranno anche figli e nipoti universitari. L'altro mio fratello srotolerà dall'ultimo piano un drappo: due leoni con le spade incrociate. Vezzi tardo aristocratici? Macché: un modo per dire: il clan si è riunito, siamo insieme, facciamo festa. Lo racconto (e mi scuso per l'esempio personale ripetuto) perché la famiglia (tutte le famiglie) resta un baluardo. L'hanno voluta ferire nel cinema, nella letteratura, nell'arte. Eppure è rimasta in piedi, resiste. Resiste perché è la cosa più naturale e vera. E non è un problema morale. È una dato sociale, un dato economico. Sino a qualche anno fa i grandi economisti hanno sproloquiato: fate aziende di grandi dimensioni, chiudete le piccole, quelle familiari. Dopo la tragedia finanziaria, dopo il crollo della new economy, si torna a parlare invece di piccole e medie imprese. E, se le Marche avranno meno problemi degli altri, è proprio per la presenza di aziende di famiglia. Che c'entra con il Natale, con i cuochi, con il Gusto... della vita? Cacchio, se c'entra. Se smantelliamo le tradizioni e le consuetudini, se non ci ritroviamo più intorno alla mensa nei giorni di festa, se non rilanciamo il nostro buon e sano vivere, le famiglie andranno a picco, le aziende ne subiranno le conseguenze, la solidarietà, puff, si dissolverà. A tavola non s'invecchia, recitava un detto popolare. A tavola, nascono grandi cose, si cementano amicizie, ci si riscopre. E si guarda avanti, insieme, spalleggiandosi. E a tavola - è un invito - portiamo i nostri cibi, le nostre bevande, riscopriamo i nostri “menù”. Sfidiamola, questa globalizzazione, anche sul piano gastronomico, alziamo la testa, amici chef. Nessun timore reverenziale. Buon Natale a tutti. Ripensando ai cappelletti di mia madre.
1
della vita
...Sommario
1
... L'editoriale
4 7
3
... Una terra a cinque stelle la nostra!
... Sagramoso, il Conte che delizia i grandi della terra
5
... Con i Piatti della Tradizione... una cena sulla scia dei ricordi
... Le Marche si distinguono. Barbabella al Global Junior Chef ... Il Profumo della campagna
8 9 10 12 15 17 18 19 20 21 22 25 27 28 29 30 31 32
... Il ciocco di Natale ... Il cenone di Natale
... Paolo Massobrio il cronista del Gusto ... La cultura dei maccheroni
... Il ritorno delle mele antiche ... Pane e dolci di Natale. Molto più di un cibo
Direttore Responsabile Adolfo Leoni Redazione giornalistica Medi@comunicazioni via San Salvatore snc - Fermo Tel. 0734 623636 / 620707 redazione@informazione.tv Art Director Sara Ricci Redazione grafica Studium Design Tel. 0733 866909 info@studiumdesign.it Web master Angelo Cecchetti In redazione Medi@Comunicazioni: Stella Alfieri Fabio Scatasta Simone Troiani Hanno collaborato Michele Biagiola Anna Maria Cerquetti Fabrizio Donati Orietta Foresi Stefano Isidori Maria Grazia Laurenzi Alberto Mazzoni Gabriele Nepi Lupo Nobile Alessandro Pazzaglia Francesco Petrelli Massimiliano Petrelli Luciano Scafà Fotografi Angelo Cecchetti Matteo Lupi Edito da Ass. "Il Gusto... della vita"
sede legale Montegiorgio (AP) via Cestoni, 39 sede operativa Morrovalle (MC) via Carducci, 12 - tel. 0733 866909 P.Iva e C.F. 01979520440
Internet www.ilgustodellavita.org Info@ilgustodellavita.org Stampa Grafiche Ciocca - Mc La rivista è stampata su carta naturale ed ecologica n.
4 dicembre 2008
inserito nel Registro dei Giornali e dei Periodici del Tribunale di Fermo il 21/10/2008
Il Gusto...
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... Distilleria Varnelli, la più antica delle Marche ... Piccione con verza stufata e tortino di riso jallo
... L'orto nel piatto ... Vendemmia 2008: + 15% rispetto alla vendemmia 2007
... La degustazione ... L'obesità ed il sovrappeso non nascono a tavola!
... Pesce azzurro ... Sarnano Sapore d'Autunno ... Fin su a Montefortino, anfiteatro dei Sibillini
... Un anno di attività dell'Associazione cuochi della Provincia di Fermo ... Provincia di Fermo. Anche i cuochi vogliono dire la loro
... Un pittore, un vescovo - guerriero, un pastaio di prestigio ... Mangiare alla russa
... Diario di bordo
...Professione cuoco
di Alessandro Pazzaglia
A
Una terra a cinque stelle la nostra!
ccade sempre più frequentemente, e la
Di riflesso, sollecitavo quelle sinergie e quella uni-
cosa mi preoccupa, che accingendomi
tà di intenti tanto invocate da più parti, quel fare
a scrivere qualche breve nota, la mente
squadra (ma io dico giocare per la squadra) su
corra da sola a cercare nel magazzino
obiettivi comuni come la formazione, sia essa sco-
dei ricordi, anziché in quello delle idee.
lastica e non, come pure il rilascio di licenze nel
Mi viene ovvia la deduzione che il primo sia più
settore HORECA dietro comprovati requisiti, la cul-
capiente del secondo, e mi autogiustifico pensan-
tura dell'ospitalità, la vitale importanza di una sana
do che il primo contiene già i ¾ dell'esperienza e
e corretta alimentazione a 360° (basterebbe riflet-
dei ricordi di una vita professionale. Perciò, attin-
tere sul sempre più grave problema dell'obesità) e
gendoci qualcosa anche ora, ricordo con estrema
potrei proseguire oltre. Ma, convinto assertore che
lucidità mentale (ma ci sono anche testimonianze
ognuno nei propri ruoli possa e debba portare un
scritte) le mie convinte tesi di oltre un ventennio fa
valido contributo ad una sempre migliore qualità
su temi come: i grandi doni che la natura ci ha dato
del prodotto finito, ritengo che le istituzioni ai vari li-
in questo territorio, intendo i prodotti di alto valo-
velli abbiano doveri in tal senso, ineludibili. Per uno
re qualitativo, la felice collocazione geografica, la
che ha fatto del motto: “Un rinunciatario non vince
possibilità che con circa un'ora di auto si passi dal
mai e un vincente non rinuncia mai” la sua filosofia
mare alle meravigliose colline e si arrivi agli stupen-
di vita, continuo a credere e fare proselitismo per
di Monti Sibillini incontrando un patrimonio storico-
un futuro sempre migliore di questo territorio che,
artistico-culturale che molti ci invidiano.
sosteniamo in molti, meriti di essere a cinque stelle.
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della vita
...Gli Ospiti
Sagramoso,
Il conte che delizia i grandi della terra di Simone Troiani
Così giovane eppure già così af fermato. Da un conte, perchè questo è il veneto Marcantonio Sagramoso, t utto t i aspetterest i f uorché vederlo diet ro ai fornelli. Invece è così, perché il talent uoso Marcantonio è abit uato a st upire. Il conte, di solito, li lascia di st ucco. I commensali intendiamo, come i big della terra, che ad una riunione del G8 se lo sono rit rovato a Sharm el Sheik a sfornare deli zie.
Marcantonio Sagramoso
S
e gli chiedete un racconto di quell'esperienza, ridendo vi dirà che lui, a Sharm, stava solo facendo il bagno. È andata così ad ottobre, quando l'Associazione Cuochi della Provincia di Fermo lo ha voluto nel quinto capoluogo per tenere un corso di aggiornai mento sulla cucina mediterranea nei banchetti. L'executive chef ha mostrato per due pomeriggi interi ai circa 30 cuochi intervenuti, la maggioranza dei quali provenienti dalle scuole alberghiere del territorio, quelle che sono le nuove tendenze della banchettistica. Proprio su queste Sagramoso ha voluto soffermarsi, parlando di una cucina che sta cambiando volto e sta diventando molto più economica rispetto a quanto è accaduto fino ad ora, complice anche il periodo difficile. Una cucina molto semplice, con profumi e sapori del Mediterraneo, caratterizzata non solo dal pomodoro ma anche dall'uso di legumi, cacciagione, pesci di acqua dolce e salata. Parlando delle Marche con il conte-chef, Sagramoso non ha dubbi: sono i vincisgrassi il piatto che ha maggiore successo e che si conoIl Gusto...
4
sce meglio all'esterno. Sui consigli a chi vuole intraprendere il suo mestiere: dedizione, costanza e... “mordere l'osso”. I suoi maestri: Sergio Mei per la sua umiltà e Fabio Tacchella per la tecnica. Tornando alla due giorni fermana, la carrellata dei piatti firmati Marcantonio Sagramoso si è aperta con Carpaccio di calamari alla paprica, per proseguire con Girolle di branzino agli asparagi e salsa allo yogurt, Carpaccio di manzo con tortino di patate, tartufo e lamponi, Sformati al parmigiano, speck e pere, Flan di cannellini e lattuga con coscette di piccione confit e misticanze.
Dalle aper ture ai pr imi piatti: Mantecato di car naroli al formaggio di fos sa, Mez ze creme di patate ros se e cipolla di Tro pea con conchigliacci, Cannolo di castagne con salsa al tar tufo, Raviolo quattro stagioni al bur ro e salvia, Piz z icati di pasta alla bur rata e pomodor ini. Chiusura con i secondi: Per sico in crosta di gamber i, Spiedo di pescatr ice e gamber i al pan d'erbe, Stinco di vitello al Verdicchio, Abbraccio di lepre e vitello g ratinato al pistacchio, Lombatine di coniglio con tor tino di patate alla crema. Da leccarsi i baffi!
...Gli Ospiti
Con i Piatti della Tradizione ... una cena sulla scia dei ricordi.
È
successo. Diciamocelo: inevitabile accadesse. Quando una cosa funziona e la squadra è vincente, perché cullarsi sugli allori? Semper ad meliora, dice mia nonna. Significa migliorarsi, evolversi, muoversi. A questo proposito, e a proposito di nonne, l'Associazione Cuochi della Provincia di Fermo ne ha combinata un'altra. Ricordate le cuoche di Magliano di Tenna, scovate dal sindaco Nello De Ani gelis, e messe in cucina dal nostro Sandro Pazzaglia? Bene. Riportare sulla tavola il buon mangiare di una volta, quello da cui tutti veniamo, che ha fatto la storia delle nostre famiglie e delle nostre case, è l'obiettivo. I Piatti della Tradizione, con la maiuscola. Un successone l'inverno scorso, a Magliano di Tenna. E così, per scrivere il menù della Quinta Provincia, senza dimenticarci delle radici culinarie, bisoRosanna Vaudetti e par te delllo staff in cucina
di Stella Alfieri
gna far fare a questi piatti un bel tour del territorio. Si comincia dalla città capoluogo: Fermo. Il 15 ottobre il Ristorani te “Mario” fa il pienone di curiosi, golosi, nostalgici e amanti della buona tavola. Ai fornelli, il Sette Bello diretto dallo chef Luciano Vecchiotti e presieduto da Nello De Angelis: Rosanna Casturani, Maria Principi, Tilde Fagiani, Graziella Varani, Rita Tempestilli, Lorenzina Mercuri e Luciana Cruciani; Marcello Granatelli e Giancarlo Egidi gli addetti alla polenta. Antipasto di fegatini, cavoli strascinati e pappuncì; a seguire tacchitti co lo cece e polenta al ragù di carne e salsiccia; collo d`oca “rarrempitu” e maiale arrosto con le verdure. Per concludere, una bella ciambella di mosto, morbida e calda, da gustare con il migliore vino cotto della zona. Eppure, a stupire non è tanto quel-
lo che accade in cucina, bensì ciò che succede ... a tavola! Certo, perchè i Piatti della Tradizione, oltre che l'appetito, stuzzicano la fantasia, il buonumore e la voglia di stare insieme, di ritrovarsi. Soprattutto: la voglia di ricordare. C'è Adolfo, che le tagliatelle le vuole cotte a puntino, come quelle della sua mamma: uniche. C'è Matteo, che i cavoli strascinati gli ricordano quelli della nonna, fatti con la pancetta però, e non con la cotica. Vai a sapere. C'è Emi, ai “tacchetti co lo cece” non rinuncia, le piccole li adorano. E c'è Laura che, nella storica competizione di casa sua, ha sempre preferito i tacchetti della zia. C'è Simone, che con i fratelli, dopo la Messa della domenica, aiutava la nonna a girare la polenta: guai a farla attaccare alla pentola. Con i Piat ti del la Tradizione s u cce d e s e m p r e co s ì . E i l r e s to... è s to r i a . ROSANNA VAUDETTI: Ambasciai trice dei marchigiani nel mondo. I Piatti della Tradizione li ha gustati anche la famosa “signorina buonasera” della Rai, ospite dell'Associazione Cuochi. Non è ufficiale, ma in molti ormai la conoscono come l'Ambasciatrice dei marchigiani nel mondo. Ogni marchigiano, dice Rosanna Vaudetti, che parla o che propone prodotti della sua terra è un ambasciatore! E lo è anche la nostra Rosanna: cucina e mangia marchigiano, abita marchigiano e nelle Marche,
che definisce
“una terra meravigliosa”, passa anche le sue vacanze.
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della vita
Il profumo della campagna. Le Marche si distinguono. Barbabella al Global Junior Chef
A
ndrea Barbabella è tornato a casa soddisfatto. A 21 anni, e al suo primo concorso nazionale promosso dalla Federazione Italiana Cuochi a Roma, si è classificato sesto su quindici partecipanti. Un risultato invidiabile. Soprattutto perché al Global Junior Chef non si scherza. Ed anche quest'anno - il 17 e 18 novembre scorsi - non s'è proprio scherzato. I giovani cuochi, dopo aver approntato gli ingredienti in cucina, li hanno cotti nella sala grande, su piastra ovale, alla presenza dei maestri e degli altri partecipanti al Congresso Agorà-Forum per giovani cuochi. Non solo, ma mentre si davano da fare ai fornelli, i futuri chef venivano tempestati di domande su ingredienti, metodi, tipi di cottura, ecc. Un esame severo, dunque. E un punteggio invidiabile per Andrea, precedentemente risultato tra i migliori della selezione marchigiana.
Q
ual è il primo impatto? Il primo impatto è il profumo, dolce e piacevole, quello proprio di un luogo pulito e - perché no? - sereno. Poi, a colpirti, è la distesa di alberi da frutto. Esattamente di meli. Quanti? Ottomila. Già: ottomila piante di mele diverse. Abbiamo imparato che la rossa è la Fuji, che la gialla è la Golden, che la rossa-biancaneve è la Stalker, che c'è la Florina (quella senza fungicidi), che esiste la Royal gala raccolta già intorno a ferragosto, che si produce la Gran Smith, quella verde di origine australiana famosa per la pubblicità di “Mentadent”, che la Pink Lady giunge a maturazione a metà e fine novembre mentre per le altre si comincia la raccolta a settembre e ottobre. Insomma, e a proposito di mela, siamo stati nel paradiso terrestre, nell'azienda di Luigi e Gianni Ferracuti, lungo la Valtenna, in territorio di Fermo, al confine con Capparuccia di Ponzano. Undici ettari di terreno in pianura con qualche tratto in leggera pendenza e filari lunghissimi. Eppoi con tanti bambini, specie delle elementari, che vengono per una giornata in campagna, tra il verde, mordicchiando un frutto e restando stupiti dei tanti uccelli che sorvolano la zona. Dove ci sono gli alberi non mancano i volatili. In queste ore di raccolta tutta la famiglia di Luigi Ferracuti scende nei campi. C'è tanto da fare: bisogna staccare il frutto, deporlo nelle cassette, trasportarlo nel magazzino eppoi prepararlo per la vendita. Vendita al minuto, con clienti che arrivano dai comuni del Fermano e del Maceratese a nord del fiume Tenna. Tremila in un anno e forse anche più. Trovano convenienza economica e qualità del prodotto. Lungo la vallata del Tenna, l'azienda Ferracuti è l'unica di queste proporzioni. Luigi era infermiere ma ha preferito tornare tra i campi. Sua figlia Silvia è psicologa ma non teme di lavorare e sudare tra i filari. Eppoi ci sono altri due figli – Gianni ed Eleonora - e sua moglie, Maria Dina, e sua sorella, la signora Pace. È una faticaccia? “Non vengono i calli - risponde Luigi - ma è dura lo stesso: piantare, spiantare, raccogliere, controllare”. Però il sorriso non manca da queste parti, neppure il buonumore ed anche le tradizioni sembrano resistere. In campagna si vive bene. Tenetelo a mente, ragazzi, e le mele profumano, come dicevamo all'inizio. Le mele del desiderio. Adolfo Leoni
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della vita
...Tradizioni del Natale
Il ciocco di Natale
di Gabriele Nepi
Il Cenone di Natale
di Adolfo Leoni
G
I
l ciocco di Natale si metteva sull'arola del focolare in occasione di tale festa e doveva durare fino all' Epifania: Lu cioccu de Natà ha da tricà (=durare) finende a Pasquetta (6 gennaio!). Una graziosa e commovente tradizione vuole che esso serva alla Madonna che di notte vi viene a scaldare i panni per Gesù Bambino. Ciocco è il ceppo da ardere. Già ne parla Dante (Par. 18,100) “Come nel percuotere de' ciocchi arsi / surgono innumerabili faville / onde gli stolti sogliono augurarsi”. Giovanni Pascoli ne parla ripetutamente “Il babbo mise un gran ciocco di quercia su la brace (Canti di Castelvecchio 117,5)”; e poi ancora “Pel camino nero il vento / tra lo scoppiettar dei ciocchi / porta un suono lungo e lento / Tre, poi cinque, sette tocchi/” (ibidem). E chi non ricorda Valentino “...Pensa al gennaio, che il fuoco del ciocco / non ti bastava tremavi ahimé”, etc. Oltre al Pascoli abbiamo Giovanni Papini: “Scoppiettavano i ciocchi già mezzo coperti di neve”. Enrico Pea: “La stanza era rischiarata dai tizzoni ardenti. Io stavo sul ciocco con cagna”...Dino Campana “...E lo schioccar dei ciocchi e i guizzi di fiamma”. Italo Calvino: ”Le tirò contro un ciocco”. Pascoli ha ancora: “Racconta al fuoco sfrigola bel bello / un ciocco d'olmo intanto che ragiona”. Quindi le graziose maestrine che mi hanno scritto o telefonato possono scrivere ciocco anche perchè è registrato come di pura lingua nei vocabolari (Palazzi, Gabrielli, Mestica, Devoto-Oli, Zingarelli, etc.). Tuttavia non è corretto scrivere muschio per indicare la vellutina. Si deve (o dovrebbe) dire musco, anche se oggi prevale muschio. Il vocabolo vellutina lo trovo in Cari darelli: “I muri si coprivano di vellutina, etc.”. Natale, dolce Natale! Quanta poesia. La festa è ormai imminente. I primi cristiani chiamavano dies natalis il giorno della morte, perché è la nascita al cielo. Nel giorno di Natale del 1306 Jacopone da Todi era moribondo. Ai confratelli che si stringevano intorno a lui disse: “Voglio ricevere i sacramenti soltanto dal mio amico Giovanni della Verna”. Ma era cosa impossibile: il frate era lontano. Ad un tratto, come per miracolo, giunge ed amministra a Jacopone gli ultimi sacramenti. E così per opera di frate Giovanni (o meglio di Giovanni Elisei da Fermo) in quella notte avvenne il dies natalis nella duplice accezione di nascita alla vita e del ritorno al Cielo. Il Gusto...
8
iuseppe, ovvero, Peppe, era proprio contento. Anche stavolta il clima del Natale gli stava scaldando l'anima. Nei campi, le poche cose da fare erano già state fatte, e in casa era quasi tutto pronto per celebrare degnamente la nascita del Bambin Gesù. Il grande ceppo dal legno consistente, scelto con particolare cura dagli uomini della famiglia, già ardeva nel grande focolare. Si sarebbe lentamente consumato sino al 6 gennaio, rischiarando il buio stanzone di cucina per tutte le notti di quella lunga festività. Anche i vitigni, conser vati in magaz zino dalle potature del settembre precedente, erano pronti per finire tra la fiamma. Un auspicio di prosperità per il nuovo anno oramai alle por te. Anche la signora Rosa non nascondeva la sua allegria. Aveva appena terminato di preparare i doni che il suo Giovanni avrebbe consegnati, quella stessa sera, a Teresa, la giovane promessa che abitava giù nelle Piane. Nella grande cesta era stata coricata, sapientemente suddivisa tanto da formare un gradevole disegno, la frutta più diversa. Si andava dalle castagne più grosse alle noci più piene, dalle arance profumate ai fichi secchi sino all'uva passita spiccata per l'occasione dal soffitto della grotta. Accanto, trovavano posto il nero Pistringo, dolce tipico di Natale, e il mistrà, un potente liquore fatto in casa qualche tempo prima centellinandolo dall'alambicco, ed uno stagionato e aromatico vino cotto. La famiglia di Teresa avrebbe cer tamente gradito questo ben di Dio. E la giovane avrebbe atteso il fondo del la cesta per il regalo da lei senz'altro più desiderato: quell'anellino d'oro, senza grandi pretese, su cui da mesi aveva posati gli occhi. Giuseppe e Rosa caricarono il somaro e Giovanni partì. Genitori e fratelli lo avrebbero raggiunto più tardi, per l'ora dell'allegra cena. Il padrone di casa, prima di sprangarne l'uscio, doveva assolvere all'ultimo incarico per quella giornata. Entrato nella stalla, provvide ad una pulizia come mai veniva fatta. Risistemò l'abbeveratoio, portò altro fieno, prese ancora biada, buttò la paglia sporca, si segnò dinnanzi all'immagine del vecchio e curvo Sant'Antonio abate, appesa alla parete di fondo. Uscendo, salutò l'ultimo vitello nato. Era la sua ricchezza e la sua vita. A casa, dopo essersi lavato, mise i panni della festa. Poi, quando tutti erano pronti per prendere la strada delle Piane, diede l'ultima occhiata agli animali. Nella stalla il silenzio era totale. Solo alle 24 il miracolo si sarebbe compiuto. E quelle bestie, anche loro in festa, anch'esse dinnanzi ad un pasto inaspettato, avrebbero iniziato a dialogare. Perché, si narrava nella nostra campagna, allo scoccare della mezzanotte santa, in concomitanza con il ricordo tangibile della nascita divina, le mucche, i vitelli, i buoi, gli asini e i cavalli dialogavano e le bestie più anziane raccontavano come certi loro antenati avessero avuto il grande onore di scaldare, in una spoglia mangiatoia, il piccolo Signore del mondo nato in un luogo freddo e buio. Giuseppe tramandava ora questa storia all'ultimo dei suoi figli, e un poco ci rideva su. Però da cinquant'anni a questa parte mai s'era permesso di entrare nella stalla dopo la mezzanotte. Ma non era stata certo la paura a trattenerlo. Non voleva rompere l'incantesimo di quella favola che lo accompagnava sin da piccino. Eppoi... se fosse stato tutto vero?
...Scripta manent
PAOLO MASSOBRIO Il cronista del gusto di Stella Alfieri
Paolo Massobrio
Incontriamo il giornalista al ristorante “Da Benito” (Magliano di Tenna), in una serata settembrina firmata Club di Papillon Marche Sud. Sorriso aperto, cordiale, parlantina sciolta, papillon d'ordinanza, Massobrio si concede alle domande di una cronista al cronista del gusto per eccellenza.
Presidente Massobrio, cos'è “Adesso 2009”? Mi piace descrivere “Adesso” come un libro per la famiglia. Ha la scansione di un'agenda, con una pagina per ogni giorno dell'anno e un angolo con alcune pillole conoscitive: lì ci sono consigli sul mangiare, su come rendere più bella e accogliente la casa, abbinare colori, perchè no, coltivare un fiore. La bellezza e il calore della famiglia sono al centro di questo libro. Ogni pagina ha uno spazio bianco, per l'evento del giorno, che vogliamo fermare nel tempo e per noi è memorabile. “Adesso” è un libro per tutta la vita, la testimonianza di cosa vale, di quello a cui teniamo. Ci sarà anche dopo di noi, perchè la trasmissione dei saperi tra generazioni è una tradizione fondamentale che non si deve perdere. Dopo il clamoroso successo della prima edizione di “Adesso” nel 2008, abbiamo pubblicato una seconda edizione, decisamente più ricca, disponibile in diversi formati. Le assicurazioni l'hanno richiesta “poket”, da regalare ai clienti. Un ottimo risultato. Quali sono le finalità del Club di Papillon, di cui lei è Presidente Nazionale? Portare il gusto nella quotidianità degli italiani. Badate bene: intendo il gusto per la vita, a 360 gradi. Quando parliamo di mangiare, puntiamo l'attenzione su tutto ciò che è compagnia e amicizia. E poi mangiare è anche comunicare un affetto. In questo senso, non lasciarsi andare e non essere trasandati quando ci si mette a tavola è attenzione per chi ci sta accanto, per noi e per la nostra storia. Se parliamo di gusto, s'intende qualcosa che è tutt'altro dall'edonismo. Il cibo, il gusto per il buon mangiare sono un potente fattore culturale, in grado di richiamarci all’origine, a quello che siamo e da dove veniamo. Perchè le Denominazioni Comunali sono la carta di indentità del sindaco? Le De.Co sono delibere comunali, firmate dal sindaco: attestano l'origine di un prodotto, di una ricetta tradizionale, di una festa. Le De.Co avviano un processo di marketing territoriale che censisce tutti i prodotti e i saperi che identificano una comunità. L'Italia deve ripartire dai Comuni e dalla collettività, dal loro valore identitario, forte e radicato. Questo accade quando il sindaco è pronto a metterci la faccia, senza chiedere niente, senza aspettare fondi o riconoscimenti dall'alto. Inevitabile. Il gusto della vita per Paolo Massobrio è … L’amicizia!
...L'archivio in cucina
di Luciano Scafà
La cultura dei Maccheroni
Si ignora quale origine abbiano i maccheroni. Divina, probabilmente: un buon piatto di pasta è una delle prove dell’esistenza di Dio. E del fatto che ci vuole bene. Ma se vogliamo restare coi piedi per terra (da cui indubbiamente la pasta, fatta d’acqua e di grano, proviene), si deve riconoscere che sull’origine dei maccheroni non ci sono certezze.
I
maggiori indiziati sono, come al solito, i cinesi. Chi sostiene che i maccheroni siano stati portati in Italia da Marco Polo, di ritorno a Venezia dal lontano Catai (cioè dalla Cina), nel 1292, dice il vero. Solo che non erano i primi (anche se poi lo sarebbero diventati, nell’accezione di primi piatti): con un anticipo di ben 48 anni sul viaggiatore veneziano, esattamente nel 1244, il medico bergamasco Ruggei ro di Bruca prometteva ad un paziente, un lanaiolo genovese, che sarebbe guarito, a patto che smettesse di mangiare carne, frutta e pasta (“…et non debes comodare aliquo frutamine neque de pasta lissa nec de caulis…”). Secondo altri documenti, la pasta portata da Marco Polo dall’Oriente non sarebbe arrivata neppure seconda, ma terza: nel 1279 il notaio Ugolino Scarpa, in un legato, indicava, tra i beni lasciati in eredità dal suo cliente Ponzio Bastone, “bariscella una plena de macaronis”. Una cesta piena di maccheroni. Un bel modo di celebrare un defunto, in verità. Sono dunque nati in Italia, i maccheroni? Ragionando: se c’erano nel XIII secolo, è probabile che ci fossero anche prima. Della pasta ne sapevano qualcosa (anzi molto) gli Etruschi: nella tomba della “Grotta Bella”, a Cerveteri (IV secolo a.C.) c’è la raffigurazione dell’interno di una casa, con tutto ciò che serve per preparare la pasta: il matterello, la spianatoia, la rotella per tagliarla. Se andiamo un po’ più avanti nel tempo, pur rimanendo piuttosto indietro rispetto ad oggi, troviamo la làgana. Una schiacciata di farina considerata la progenitrice della lasagna. Cicerone e Orazio se ne cibavano con piacere. Ed essendo gli antichi romani gli antenati degli italiani, si potrebbe concludere che la pasta è nata qua. Un altro romano, meno antico (200 d.C.) e meno famoso, tal Apicio, ci ha tramandato un timballo fatto con la suddetta làgana. Verso l’anno 1000 vengono alla ribalta i siciliani di Trabìa, vicino Palermo. Là si faceva un tipo di pasta lavorata in forma di filamenti, che avevano il nome Il Gusto...
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arabo di “itriyah”. Questo nome è rimasto, e non solo lui, visto che ancora oggi i palermitani mangiano i “vermicelli di Tria”. Dopo i cinesi e gli italiani, ecco che come inventori della pasta spuntano quindi gli arabi: un popolo che ha fatto invenzioni che contano. A cominciare dai numeri. Che li avessero inventati loro, o glieli avessero portati a domicilio gli arabi, i siciliani furono comunque, fino al Medioevo, dei formidabili mangiatori di pasta. Tanto da meritarsi l’appellativo di “mangiamaccarruna”. Lo testimonia l’agiografia, la vita dei santi. Il beato Guglielmo Eremita, siciliano, venne invitato a pranzo nella casa di un signorotto locale. Costui, per farsene beffe, gli fece servire un piatto di ”maccarones” - riferisce il cronista dell’epoca - ripieni di fango, anziché di ricotta. Il beato Guglielmo non fece una piega: benedisse il cibo, e cominciò a mangiare. Miracolo! Il fango si mutò all’istante in ricotta, per lo scorno del suo maleducatissimo ospite. Sulla veridicità di questa storia non tutti ci metterebbero la mano sul cuoco, ma grazie ad essa sappiamo che prima del 1247, anno di morte del beato Guglielmo, i “maccaroni” facevano già parte del menu isolano. Per mettere fine alla querelle che coinvolge, in qualità di inventori della pasta, i cinesi, gli arabi e gli italiani, ecco un’ipotesi antropologica, o forse semplicemente logica. Che fa contenti (o scontenta) tutti. Secondo questa teoria, la pasta non l’avrebbe inventata nessuno. Sarebbe nata, come dire, da sola: in modo naturale. Il frumento è noto all’uomo da più di diecimila anni, e la farina, che deriva dallo schiacciamento dei chicchi di frumento, è quasi altrettanto antica. Impastandola semplicemente con acqua, venivano fuori delle focaccine sottili, magari non belle a vedersi, ma nutrienti, una volta cotte su pietre calde. Da qui a far bollire in acqua questo impasto, il pasto è breve: nel senso che dalle focacce cotte e la “pasta” cotta in acqua passano solo settemila anni. Un’inezia, quando si parla di quei periodi là.
...L'archivio in cucina Gli archeologi si sono imbattuti in un villaggio del neolitico e da alcuni elementi hanno dedotto che il villaggio era stato distrutto da un cataclisma. Tra gli oggetti di uso quotidiano ritrovati, c’era una specie di piatto capovolto. Rigirandolo, vennero rinvenuti dei filamenti fatti con un impasto d’acqua e farina. Non di grano duro, ma di miglio; di color giallo paglierino, lunghi anche mezzo metro. Dei veri e propri spaghetti. Le analisi col carbonio 14 hanno dimostrato che questo piatto di pasta ha circa 4000 anni. Un buon piatto di pasta, adeguai tamente condito, è una poesia. È un’arte raffinata, sottile. Non stupisce perciò che questo cibo abbia incrociato la propria strada con quella di poeti, di scrittori, e perfino di uomini politici. Orazio celebrò le lagane, antenate delle lasagne. I maccheroni, unici nel loro genere, diedero vita molto tempo dopo addirittura ad un genere letterario: la poesia maccheronica. Impasto (non a caso) di cultura alta e bassa, che fa il verso (e anche questo non è un caso) al latino e all’italiano dotto, mescolandoli in una lingua nuova ed improbabile. Il maggior esponente di questa tra-
dizione goliardica fu Merlin Cocai, al secolo Teofilo Folengo, mantovano (1491-1544), autore delle “Maccaronee” e di tanto altro. Nella visione di Folengo, le Muse godono “di cento caldaie che mandano il loro fumo verso le nubi, piene di caciottine, maccheroni e lasagne”. Un altro grande gaudente, Giai como Casanova, compose a Chioggia, nel 1734, un sonetto in onore dei maccheroni. Pare che in quell’occasione se ne mangiò tanti, da essere incoronato Principe dei maccheroni.
li, città che conosceva bene. Nel 1859, lamentandosi con un amico per il ritardo di una di queste spedizioni, arrivò a firmarsi “Gioachino Rossini, Senza Maccheroni”. Molte sono le varianti regionali della pasta fatta in casa compresi i nostri famosi MACCHERONCINI DI CAMPOFILONE. Ne cito alcune: Maccheroni alla gonzaga, Maccheroni Bobbiesi, Maccheroni a matassa, Maccheroni alla Chitarra, Maccheroni alla Molinara, Macccheroni alla Ritorcio, Maccheroni della Ceppa, Maccheroni Crioli.
La pasta, per la verità, ieri come oggi, la mangiavano tutti: di certo Giacomo Leopardi, nei suoi “desiderata” alla seconda voce indicava, al cuoco di casa, come piatto preferito i maccheroni o tagliolini!” Oltre che poesia, la pasta è musica. Ben lo sapeva Gioachino Rosi sini, che amava definirsi “Pianista di terza classe, ma primo gastronomo dell’universo”. Cucinava bene, Rossini. La sua specialità erano i bucatini al foisgras, che farciva con una siringa d’argento e avorio fatta costruire appositamanente. La pasta gli piaceva tanto, che se ne faceva mandare delle intere casse da Napo-
L’opera più importante sull’argomento fu però quella di Antonio Viviani, napoletano, poeta e commediografo di ottima pasta. “Li maccheroni di Napoli” del 1824 è un poema giocoso, ed è interessante anche perché in esso si trova per la prima volta il termine “spaghetti”. E sono illustrate le varie fasi della lavorazione della pasta. Ed è su questo autore che vorremmo soffermarci. Il poemetto è dedicato a Sua Eccellenza il signor cavaliere CARMINE LANCELLOTTI direttore generale de’ Reali Lotti, è composto 75 sonetti ed è un elogio alla pasta e alla tavola in generale.
A CHI VUOL LEGGERE Lo credereste? Un rivenditor di paste ha fatto nascere questa, qual siasi, operetta che ardisce comparire in pubblico la prima volta... Oh, oh! cattivo principio, sento rispondere, può esser poco di buono-piano piano: sarà così pur troppo; ma prima di condannarla, io vi prego, lettor mio caro, di darle una scorsa, ancor per ischerzo. Sentite, se vi aggrada, come andò la faccenda. Passando un giorno per Toledo, come si chiamano tante paste diverse, dissi a questo pastiero? Oh! Tutte hanno il loro nome, rispose, e nomi adattati alle diverse qualità - e subito pieno di cortesia, si fè a chiamarle tutte ad una ad una, che eran molte davvero. Sentite? Disse un dè mici compagni, vi basta l'animo a metterle tutte in versi? Perché no! Risposi: e intanto cammin facendo cominciai a masticar fra me un'ottava accozzando li varii terminucci che mi rimaneano impressi. La impastai alla meglio, e giunto a casa, la scrissi: ma come poi i poeti non la fanno mai finita, io con altre ideucce che andavan nascendo di mano in mano, scrissi tre, quattro o dieci altre ottave, tantochè, come le cerase, una tirando l'altra, mi venne fatto di accozzar tutta questa filastrocca. Tal quale è uscita dalla penna io ardisco presentarla a questo per ogni conto rispettabile Pubblico, sperandone benigna accoglienza e compatimento. Antonio Viviani “L i m a cc h e r o n i d i N a p o l i ”, 1824 A rch i vi o p r i vato Po r to Sa n Gi o rg i o
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della vita
...Biodiversità
Mele Antiche
Il Ritorno delle Mela Rosa
di Maria Grazia Laurenzi
C
’erano una volta, nelle Marche, delle mele squisite e quasi magiche, che riuscivano a conservarsi, naturalmente, fino a primavera inoltrata; bastava solo proteggerle dal gelo e dalle grinfie dei bambini, sempre affamati. Era un piccolo miracolo, che, per le povere famiglie contadine, si ripeteva ogni anno e di cui bisognava ringraziare i nonni e i bisnonni per averle selezionate, innestate e custodite con tanta amorevole cura. Il loro carattere evocativo riaffiorava nei testi antichi; l’arte le aveva raffigurate sia in forma reale che simbolica e la cultura popolare ne aveva vantato le virtù salutari. Erano strane quanto a forma, colori e sapori ed anche i nomi erano bizzarri: muso di bue, cerina, limoncella, ruzza, culo di somaro, annurca, gentile, gelata, zitella, rosa, rosa in pietra... Poi, tutto d’un tratto, ai tempi della televisione, dell’esodo dei contadini dalle campagne e delle politiche agricole altisonanti, scomparvero, per far posto a delle straniere, nuove arrivate, molto attraenti e dai nomi evocativi: Golden, Delicious, Enterprise, Stark, Fuji, Morgenduff, Gold Rush... Poco importava se il sapore era scomparso o era sempre lo stesso e la qualità era talvolta scadente. Il mercato esigeva attrattiva estetica e disponibilità continua. Così le povere mele di una volta vennero dimenticate, senza rimpianti e relegate ai margini della società, nascoste tra i rovi, sole, in mezzo a terreni incolti. Ma un giorno, alcuni principi azzurri, passando tra i campi abbandonati, si imbatterono nelle povere mele e decisero di sposarne la causa, di studiarle, rivalutarle e farle conoscere. Così fu varato un “Progetto di recupero del germoplasma del melo” con l’intento di evitare l’erosione genetica della biodiversità melicola marchigiana. Le mele antiche tornarono a far parlare di sè, ad essere apprezzate per le loro qualità e proprietà e... tutti vissero felici e contenti.
Non sempre le favole diventano realtà, ma nel caso della Mela rosa la favola si sta avverando. Grazie alla segnalazione di semplici appassionati, alla lungimiranza e agli sforzi dei tecnici dell’A.S.S.A.M. (Agenzia Servizi Settore Agroalimentare delle Marche) che avevano provveduto a recuperare, catalogare e conservare alcuni ecotipi di mele marchigiane dimenticate, la mela rosa è tornata ad essere coltivata di nuovo nelle colline della fascia pedemontana dei Sibillini. Alcuni agricoltori hanno accettato la sfida, sposando il progetto e rendendosi disponibili a rimettere in discussione le proprie competenze per affrontare un mercato diversificato. È il caso dell’ azienda Gobbi di Monte San Martino, da cui è partito il primo progetto di frutteto sperimentale, curato dall’A.S.S.A.M. in zona altocollinare, quindici anni fa (1993). Nel corso degli anni sono state recuperate, selezionate, studiate e reinserite in produzione più di 50 varietà di mele, sia antiche che moderne, tra cui la mela rosa, la più vocata al clima e alle condizioni ambientali della zona. Da Il Gusto...
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questa ed altre esperienze hanno preso avvio vari organismi di tutela della Mela rosa, tra cui l’Associazione dei Produttori delle mele rosa dei Monti Sibillini (Presidio Slow Food) e il Consorzio per la tutela della mela rosa ed ecotipi della mela in genere (Comunità Montana dei Monti Azzurri). Tra i molteplici scopi di tali organismi troviamo: - il rilancio della melicoltura dell’Appennino come offerta di integrazione al reddito delle piccole imprese agricole, attraverso coltivazioni eco-compatibili; - la salvaguardia della biodiversità e del patrimonio genetico della frutta antica; - la reintroduzione sul mercato di mele rustiche, meno soggette ad agenti patogeni e parassiti, dunque più sane, perchè prodotte con ridotto uso di antiparassitari; - la valorizzazione di produzioni tipiche di qualità, quali la mela rosa, attraverso certificazioni DOP e IGP. Della mela rosa se ne conoscono almeno una trentina di biotipi, tutti accomunati dalle stesse caratteristiche: peduncolo cortissimo, forma schiacciata ed irregolare,
gusto leggermente acidulo e profumo intenso. Si possono raggruppare in tre grandi sottogruppi in base al colore e alla durezza della polpa: a) mela rosa dalla polpa croccante e dal colore verde con striature rosa - giallastre b) mela rosa dalla polpa tenera e dal colore giallo con sovracolore rosso nelle parti soleggiate c) mela rosa dalla polpa soda e dal colore verde con striature rosso vinose. La produzione di mele rosa non potrà mai, comunque, realisticamente, competere con le esigenze della grande distribuzione e dei supermercati. Resterà un prodotto di nicchia, da tutelare e valorizzare sempre di più, anche economicamente, per la qualità, le proprietà, la serbevolezza e soprattutto perchè soggetto a produzione scarsa e discontinua. Occorrerà in tal senso educare i cittadini a riscoprire saperi e sapori della frutta antica che si concilino con coltivazioni ottenute da tecnologie rispettose dell’ambiente e della salute. I tempi sembrano “maturi”.
C
ostituita nel 1947 dal Sig. Vittorio Monaldi e nata come attività mangimistica, la MONALDI, si è poi specializzata nella produzione e commercializzazione di uova e derivati. L’esperienza maturata e la capacità di offrire un prodotto di elevata qualità hanno permesso nel corso degli anni alla stessa di divenire una delle realtà più significative del proprio settore. Realtà che oggi è costituita da 3 aziende, in cui sono impegnati circa 120 persone fra dipendenti, agenti di vendita, tecnici ecc. e 18 strutture adibite alla produzione. La volontà dell’azienda di mantenere un alto standard qualitativo dal punto di vista dell’offerta si riscontra nella scelta di proporre una gamma dei prodotti diversificata, completa e specifica, tenendo conto delle peculiarità di settore e delle esigenze della clientela. Infatti, le uova in guscio sono disponibili confezionate e non, selezionate per grammatura, con il tuorlo di colorazione più o meno intensa, da diversa tipologia di allevamento; la gamma dei prodotti pastorizzati (misto d’uovo, albume, tuorlo e tuorlo zuccherato) è ulteriormente arricchita dalle differenti colorazioni (colore normale, alto colore vegetale, alto colore extra) e sono realizzati in tre formati da 1kg -10kg-20kg. I prodotti MONALDI sono distribuiti presso i canali della GDO, retail, catering e nei piccoli e medi laboratori specializzati di pasta all’uovo e pasticceria. La MONALDI spa è un’azienda a filiera completa, capace di garantire la rintracciabilità del prodotto. Questo è reso possibile dal fatto che gestisce e controlla direttamente, avendole al suo interno, tutte le strutture che intervengono nel processo produttivo: mangimificio, pulcinaia, allevamenti ovaiole, impianto di selezione e pastorizzazione, laboratorio analisi. Inoltre, da sempre sensibile alle problematiche ambientali ed al benessere delle persone è stata fra le prime aziende in Italia ad aver attivato un metodo di allevamento basato sull’agricoltura biologica ed a terra. Iniziando nel 1997 con un piccolo numero di galline si arrivati oggi a 13 allevamenti con 40.000 galline circa allevate senza gabbie, all’aperto e con alimentazione certificata biologica. L’azienda Monaldi spa è certificata ISO 9001:2000, ha Certificazione da agricoltura biologica, Certificazione Koscher ed ha ottenuto la Certificazione Ambientale.
MONALDI spa via S.Antonio, 156 63027 Petritoli (AP) t e l . 0 7 3 4/6 57010 - 6 570 0 9 f a x 0 7 3 4/6 570 0 3 e mail: info@monaldispa.com www.monaldispa.com
PUBBLIREDAZIONALE
PANE E DOLCI DI NATALE. MOLTO PIÙ DI UN CIBO
N
atale e i suoi dolci. Il Fermano - Mace-
farina, che hanno nomi diversi secondo le regioni”.
ratese ne conosce molti. Dai Gallucci o
Scrive ancora Cattabiani: “L'usanza di consumare a
Cavallucci alle Ciambelline di magro,
Natale dolci preparati con la farina potrebbe risalire
dal dolce di castagne ai Ciciarù, dalla
agli antichi Romani perché Plinio il Vecchio riferisce
Pagnotta nociata al Budino di cachi. Ne parlano an-
che alla festa del Natalis Solis Invicti si confezionava-
che Lucilla e Manuela Di Chiara nel loro bellissimo vo-
no le sacre e antiche frittelle natalizie di farinata”.
lume “Ricette, Ricordi, Racconti”.
Per il Cristianesimo invece quei pani sono il simbolo di
C'è poi “Lu serpe”. Lo facevano le suore: interno nero,
Gesù, che aveva detto: “Io sono il pane della vita; chi
esterno bianco. Gli antipodi del bene e del male. A
viene da me non avrà più fame e chi crede in me non
Falerone qualche forno ancora ci prova, e il consiglio
avrà più sete. Io sono il pane della vita”.
comunale gli ha dedicato una De. Co.
C'è una sacralità nel cibo, dunque. Nel pane soprat-
In tante case dei nostri paesi, le donne si cimentano
tutto. I contadini delle nostre campagne erano usi ba-
con “lu pistringu” o “fristingu” o “frustingu”: fichi sec-
ciarlo prima di poggiarlo sulla mensa. Per la cultura
chi, noci, mandorle, uvette. Da leccarsi i baffi.
russa, all'ospite si doveva offrire pane e sale. Le mas-
Un tempo in campagna, il 24 dicembre, portando nel
saie italiane di un secolo fa, prima di far lievitare la pa-
camino il grande ceppo che doveva ardere per sette
sta del pane, tracciavano sulla massa umida - come
giorni, si cantava una filastrocca: “Si rallegri il ceppo,
ricorda Franco Cardini - una croce servendosi della
domani è il giorno del pane; ogni grazia di Dio entri
punta di un coltello. Tutti costoro “non si limitavano a
in questa casa; le donne facciano figliuoli, le capre
compiere un gesto che facilita la lievitazione, bensì si
capretti, le pecore agneletti, abbondi il grano e la
riallacciano all'archetipo eucaristico che scorge nel
farina, e si riempia la conca del vino”.
pane il corpo del Signore".
Il grande scrittore Alfredo Cattabiani ci ricorda che:
La tavola e il cibo raccontano la nostra storia e ci ri-
“Il Natale era definito il giorno del pane. Per questo
cordano chi siamo e da dove veniamo.
motivo, durante le feste si mangiano dolci a base di
Lupo Nobile
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della vita
...Distilleria Varnelli
13 dicembre 2008 3 maggio 2009 Vivere con l’arte vivere nell’arte
“ADOLFO DE CAROLIS e la democrazia del bello” MONTEFIORE DELL'ASO (AP) POLO MUSEALE DI SAN FRANCESCO Info 0734.938743
Tradizione erboristica ed arte si incontrano L'Amaro Sibilla e la Sibilla del De Carolis L' Amaro Sibilla, primo prodotto storico dell'ampia gamma della Distilleria Varnelli, è nato – come raccontiamo in altro articolo - nel 1868 dalle competenze erboristiche del fondatore Girolamo Varnelli, con una ricetta che coniugò ricerca e risorse naturali del territorio per ottenere un medicamento utile ai conterranei. Lungimirante, Girolamo Varnelli arricchì l'etichetta del suo amaro con la Sibilla di Adolfo De Carolis. Dal 1868 la Distilleria Varnelli utilizza gli stessi metodi tradizionali che si tramandano da quattro generazioni. In caldaie di rame alimentate a legna vengono decotte erbe officinali e radici, la genziana lutea (o genziana maggiore, pianta d'alta montagna, dalle spiccate proprietà amaro-tonico digestive, della quale si usano le radici) e la genzianella dinarica (foglie e fiori), la china calyssaia, corteccia d'arancia e cannella. Poi, come tocco finale, il miele millefiori vergine, fornito da apicoltori del territorio. L'amaro viene posto a riposare nei tini per un anno circa, quindi filtrato. Il prodotto finale è completamente naturale e non contiene essenze ottenute industrialmente. Il Gusto...
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Varnelli - De Carolis un grande connubio. Un nuovo incontro Chi siano noi se non l'ultimo anello di una catena che ci lega ad una storia, ad un popolo, ad una terra. Anche i nostri imprenditori sono il portato di questa storia. In loro arde la capacità dei pittori, degli scultori, dei ceramisti, dei poeti, dei musicisti di casa nostra e della nostra Italia. Ci sono venute in mente queste riflessioni quando abbiamo saputo che la “fabbrica” Varnelli sosterrà la prima grande mostra su Adolfo De Carolis, l'artista di Montefiore dell'Aso. L'iniziativa si svolgerà al Polo Museale di San Francesco (Montefiore dell'Aso), a partire dal 13 dicembre fino al 3 maggio 2009. “Adolfo de Carolis e la democrazia del bello: vivere con l’arte vivere nell’arte” sarà la mostra-evento del Natale marchigiano. L’iniziativa, a distanza di 80 anni dalla morte (1928), intende essere un apporto ulteriore alla conoscenza del De Carolis, riconoscendo all’artista marchigiano la capacità di essere un precursore del valore identitario della produzione artistica minore. Per l'azienda di Pievebovigliana “sarà l’occasione - come spiega Simonetta Varnelli - per sottolineare con ancor maggiore forza che il valore aggiunto di un prodotto è costituito anche dal legame con la storia, l’arte, la cultura, le tradizioni, le materie prime della terra di origine; legame che rafforza e garantisce la specificità e la diversità del prodotto stesso”. “Il territorio, inteso nel suo complesso geografico, antropologico, culturale, artistico, naturalistico e storico, è l’eccellente testimone di un prodotto e, d’altro canto, il prodotto, se è coerente e fedele a tali valori, diventa esso stesso testimone del luogo di appartenenza, in un circolo virtuoso di reciproca valorizzazione e promozione”. PUBBLIREDAZIONALE
...Distilleria Varnelli
Distilleria Varnelli, la più antica delle Marche. Tra cultura, storie, leggende e... grandi prodotti
F
antastica, questa Terra di Marca. Fantastici i suoi Monti Azzurri ricchi di storie e di leggende: il monte Sibilla, con la sua corona e l'antro misterioso; il monte Vettore, che s'affaccia sul tenebroso lago di Pilato; il Grande e il Piccole Gendarme, a ricordo del procuratore romano sprofondato nelle acque senza fondo; Passo Cattivo e Pizzo del Diavolo, a memoria di presenze oscure; monte Priora e Pizzo Tre Vescovi, a salvaguardia di un'identità cristiana in terra già pagana. Impossibile non fare i conti con tali realtà: con la fata o strega o maga, o anticipatrice della Vergine Maria, quale fu la nostra Sibilla; con i Cavalieri della nuova Cerca del Graal, come il Guerin Meschino, Antoine de la Salle, il Principe di Pac; con i negromanti dei libri del comando; con i monaci benedettini e la loro regola rivoluzionaria: Ora et Labora. Tutto questo sapeva, tutto questo conosceva Girolamo Varnelli. Lui, il fondatore della più antica distilleria marchigiana: la Distilleria Varnelli di Pievebovigliana. Nato a Cupi di Visso, era un profondo conoscitore delle erbe, un erborista eclettico. Le cercava tra quei monti fatati, immergendosi in quel clima di leggende. Se ne era appassionato frequentando i diversi monasteri benedettini della zona. Nei secoli, ogni monastero aveva avuto un “orto dei semplici” dove venivano coltivate le erbe officinali da somministrare ai malati: che fossero confratelli o semplici laici era lo stesso. Il sig. Girolamo aveva imparato quest'arte e, attento ai problemi della sua terra e della sua gente, voleva produrre un amaro medicamentoso contro le febbri malariche che affliggevano i suoi pastori, i suoi compagni, i suoi conterranei. Voleva creare un medicamento antifebbrile, rimineralizzante, utile anche come tonico, aperitivo, digestivo. Si confrontò con alcuni medici e alla fine scelse la genziana, la genzianella, la china calyssaia, la cannella, cortecce d'arancia dolce e amara, chiodi di garofano, rabarbaro...e miele al posto delle zucchero. Ne nacque un amaro efficace e gradevole, che non poteva non chiamarsi “Amaro Sibilla”. 40 anni più tardi, un grande artista di Montefiore dell'Aso, Adolfo De Carolis, avrebbe disegnato la più che famosa etichetta: la Sibilla michelangiolesca e meditabonda. 140 anni fa nasceva dunque la Distilleria Varnelli (oggi Distilleria Varnelli Spa, con sede operativa a Muccia) la più antica delle Marche, che ancora oggi vanta, orgogliosamente, la licenza UTF n. 1. In questo secolo e mezzo di storia la “fabbrica” Varnelli ha fatto parlare di sé per tanti altri ottimi prodotti. Ma dell'una e degli altri continueremo a parlare nei prossimi numeri. A.Le.
SCOPRI IL SAPORE DELLA TRADIZIONE www.varnelli.it
Il “Varnelli”, il re della Casa. Anzi, di ogni casa Probabilmente, un tempo, in campagna, la “somara” che il fidanzato portava alla sua ragazza, la notte del 24 dicembre, diventava più appetibile con l'anice Varnelli. Probabilmente, i notabili di paese ponevano il Varnelli sul tavolo accanto alla scacchiera d'onice. Sicuramente oggi, in ogni casa, specie a Natale, il VarnelliAnice secco-Speciale non manca di certo. Anche perché, oltre a berlo subito dopo un lauto pasto e magari in un Cicchetto di cioccolato, potrete “gestirlo” arricchendo di sapore i maccheroni con le noci, le castagne arrostite, la torta Christmas Cake, la ricotta, tanto per citare solo alcuni degli abbinamenti possibili. Un buon Natale a tutti, allora, e che sia ancora più buono con “Varnelli”: il Re.
PANETTONE AL PROFUMO DI VARNELLI PREPARAZIONE 30 MINUTI - COTTURA 100 MINUTI - PER 8 PERSONE - STAMPO Ø 22 CM INGREDIENTI - 450 g di canditi misti - 240 g di farina - 240 g di burro - 4 uova - 240 g di zucchero - 100 g di nocciole - 3 cucchiaini di lievito - 120 g di Varnelli bagna: - 50 g di acqua - 70 g di Varnelli - 50 g di zucchero decorazioni: - stelline di zucchero - gelatina di albicocche
PREPARAZIONE Torta: sui canditi tritati grossolanamente versate il Varnelli e lasciate macerare per 1 ora. Montate a crema il burro morbido con metà dello zucchero. A parte montate le uova con lo zucchero restante. Unite i due composti mescolando. Setacciate sulla massa la farina con il lievito, un pizzico di sale e le nocciole macinate. Aggiungete tutti i canditi e 3 cucchiai di Varnelli. Versate il composto nello stampo unto e infarinato e cuocete a 160° per 1 ora, poi coprite la torta con la carta stagnola e proseguite la cottura per altri 40 minuti. Bagna: lasciate sobbollire l'acqua con lo zucchero per 5 minuti a tegame scoperto, allontanate dal calore e aromatizzate con il Varnelli. Lasciate raffreddare. Quando il dolce sarà cotto, sfornatelo e sformatelo su una gratella. Bagnatelo ripetutamente con la bagna e trasferitelo in una scatola a chiusura ermetica. Il giorno dopo ripetete l'operazione. Decorazione: adagiate la torta sul piatto da portata e pennellatela con la gelatina di albicocche. Decorate il dolce con le stelline.
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della vita
...la disfida dei fornelli
Piccione con verza stufata e tortino di riso jallo
Chef Fabrizio Donati
RICETTA
Fabrizio Donati nasce a Fermo nel 1959. Cresciuto professionalmente sotto la scuola vigile della famiglia e sempre attento alla cucina tradizionale, ha seguito corsi di aggiornamento e approfondimento in vari istituti di cucina, con maestri di livello nazionale. "Nella cucina cerco di esprimere il bello e il buono in ogni ricetta aggiungendo quell'ingrediente che oggi si trova sempre meno, la passione. In questo momento, che definisco di passaggio, sto mettendo a punto un progetto con mia moglie, dove natura, semplicitĂ , innovazione e tradizione si intrecciano".
Ingredienti 200 gr di riso vialone nano 2 piccioni alloro aglio cipolla 100gr di parmigiano grattugiato 50 gr di burro 2 uova 400 gr di verza 1 costa di sedano 1 carota
Il Gusto...
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Preparazione Pulire i piccioni, togliere i petti e le cosce. Mettere le carcasse in una pentola insieme alla carota, il sedano e la cipolla per avere del brodo che servirĂ per cuocere il riso. In una padella mettere l'olio, qualche spicchio d'aglio e un po' di odori, cuocere i petti con le cosce di piccione e lasciarli in caldo. In un'altra padella cuocere la verza tagliata a julienne. Cuocere il riso e a fine cottura amalgamarci i tuorli d'uovo e il parmigiano. Nel piatto fare un letto di verza dove si adagerĂ il petto scaloppato e la coscetta di piccione e con degli stampini formare dei tortini di riso.
...la disfida dei fornelli
L’orto nel piatto
La foto e la ricetta si riferiscono a “L’orto nel piatto”, un piatto che segue i dettami della natura e cambia nei singoli ingredienti anche quotidianamente ( in questo caso proponiamo la versione del 2 maggio 2008 ). “L’orto nel piatto” è l’estrema attualità del nostro orto, l’esempio di come si possa mettere insieme, anche in modo casuale, erbe, frutta e verdure senza regole scientifiche ma con proporzioni equilibrate creando una sorta di concentrazione di colori, profumi e sapori. Se ho la fortuna di poter utilizzare una così vasta gamma di materie prime vegetali è anche grazie alla Sig.ra Elvia Pelagalli, esperta ed appassionata botanica nonché mamma della titolare Francesca Giosuè, vera anima di tutto il complesso.
Chef Michele Biagiola
RICETTA
Ingredienti per 4 persone Per la crema di zucchine 2 zucchine ½ cipolla bianca olio extravergine di oliva di tipo ascolana tenera sale Per la crema di borlotti 100 gr di fagioli borlotti freschi sgranati ½ carota ½ costa di sedano ½ cipolla bianca 1 foglia di alloro sbianchita olio extravergine di oliva sale Per la gelatina di acqua di pomodori 50 ml di acqua di vegetazione di pomodori mediamente maturi (rilasciata da fette di pomodoro salate messe a scolare e filtrata con una stamina) 0,5 gr di agar-agar in polvere Per i crostini rossi 40 gr di pane raffermo tagliato a cubi 1 spicchio d’aglio 40 gr di pomodori maturi a cubi delle stesse dimensioni del pane olio extravergine di oliva sale Per la guarnizione 4 foglie di portulaca - 4 foglioline di erba buon enrico - 4 foglioline di bieta rossa - 4 fette di piccole zucchine grigliate (tagliate nel senso della lunghezza) - 4 cuori di piccoli finocchi arrostiti - 2 fiori di zucca tagliati a metà e passati per pochi istanti su una piastra infuocata - 1 cipollotto fresco tagliato in 4 e cotto al cartoccio per 20 minuti con sale e olio nel forno a 130 °C - 4 cimette di basilico rosso, greco e verde - 4 foglioline di prezzemolo - 4 foglioline molto piccole di menta - 4 cimette di santoreggia - 4 cimette di maggiorana - 4 cimette di origano - 4 cimette di timo - 2 steli di erba aglina tagliati a metà - 4 fiori di malva - 4 fiori di borragine - 4 fiori di finocchio
Preparazione Per la crema di zucchine, fare appassire a fuoco moderato la cipolla con un fondo d’olio in un piccolo tegame per circa 2 minuti, unire le zucchine a rondelle sottili e coprire d’acqua. Fare andare per altri 5 minuti, salare, togliere dal fuoco, frullare, passare al colino cinese e fare raffreddare. Per la crema di borlotti, fare andare a fuoco lento in un tegame con un fondo d’olio l’alloro e gli odori tritati per pochi minuti, unire i fagioli e coprire con abbondante acqua. Cuocere per altri 20 minuti, salare, togliere dal fuoco, scartare l’alloro, frullare, passare al colino cinese e raffreddare. Per la gelatina, scaldare a 70 °C l’acqua dei pomodori, unire l’agar-agar, precedentemente bollito per 5 minuti in un piccolo tegame con poca acqua. Versare il tutto in uno stampo allo spessore di almeno 1 cm circa. Per i crostini, tostare il pane con un fondo d’olio e l’aglio sbucciato, unire i pomodori, salare, togliere l’olio e mettere il tutto nel forno ventilato a 100 °C per 10 minuti circa. Versare in una fondina ampia prima la crema di zucchine, poi quella di borlotti, creando un effetto marmorizzato e uno strato spesso 3-4 mm. Adagiare in superficie le erbe, i fiori, le verdure e la gelatina a cubi, cercando di mantenere la distanza necessaria per poter fare di ogni cucchiaiata un profumo e un sapore diverso. Rifinire il piatto con i crostini e un giro d’olio.
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della vita
...Vino & Territorio
Vendemmia 2008: +15% rispetto alla vendemmia 2007 Nelle Marche l'autunno e l'inverno sono stati caratterizzati da ripetute piogge, che hanno favorito il completo ripristino delle riserve idriche. Queste condizioni si sono protratte per tutta la primavere e le prime giornate soleggiate sono iniziate con il mese di luglio che, tuttavia, ha fatto registrare alcuni violenti temporali e anche qualche grandinata.
Enologo Alberto Mazzoni
L
vegetativa
vendemmia nella norma plurien-
è sensibilmente calato, tanto che
è avvenuta in epoca
nale, tanto che la raccolta delle
si stima una produzione di circa il
normale,
con
uve precoci è iniziata tra la fine di
15% superiore rispetto alla scorsa
circa 8 giorni di ritardo
agosto e i primi giorni di settem-
campagna con una produzione
rispetto al 2007. Il germogliamento
bre, a cui sono seguite le uve di
quindi di vino pari a circa 870.000
è risultato regolare ed omogeneo.
Merlot e Pecorino. Il pieno della
ettolitri.
Dopo tale fase vegetativa è se-
vendemmia nelle Marche è av-
Qualitativamente parlando, i ri-
guito un periodo molto umido che
venuto nell’ultima settimana di
scontri
ha favorito il diffondersi della pe-
settembre quando si è accaval-
un’annata un’ottima dal punto di
ronospora e dell'oidio che, in di-
lata la raccolta delle uve di Ver-
vista aromatico, mentre la resa
versi vigneti di fondovalle, hanno
dicchio, Sangiovese, Maceratino,
uva/vino è risultata buona rispetto
determinato perdite di prodotto.
Biancame, Cabernet e Passerina.
alla media pluriennale. Le fermen-
Solo le aziende che hanno attua-
I conferimenti delle uve Montepul-
tazioni hanno avuto un decorso
to un'oculata difesa del vigneto,
ciano (iniziati nella prima decade
regolare e complessivamente la
sono riuscite a ben antagonizzare
di ottobre) per la produzione della
qualità dei futuri vini si attesta su
gli attacchi di queste due ampe-
Docg Conero e per la Doc Rosso
buoni livelli con diverse punte di
lopatie. Il mese di luglio e agosto
Piceno e quelle di Verdicchio per
ottimo e alcune di eccellente.
sono stati caratterizzati da giorna-
la tipologia “passito” sono termi-
Per quanto concerne le contratta-
te soleggiate e ventilate con tem-
nati alla fine di ottobre, ad ecce-
zioni delle uve, il mercato ha fatto
perature quasi sempre al di sopra
zione di alcune partite che saran-
registrare una stabilità dei prezzi
della media del periodo e con as-
no raccolte nella prima settimana
rispetto allo stesso periodo dello
senza di precipitazioni.
di novembre.
scorso anno, mentre per i nuovi
Le importanti escursioni termiche
Complessivamente in tutta la rei
vini l’attenzione è rivolta verso i
e le piogge del mese di settem-
gione l’incremento del 25% ipotizi
bianchi anche se non si prevedo-
bre hanno ricondotto l’inizio della
zato nei primi giorni di settembre
no incrementi di valori.
Il Gusto...
a
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ripresa
quindi
analitici
confermano
Sommelier Prof. Stefano Isidori
La degustazione
L
a degustazione è il mezzo per scoprire un mondo ricchissimo di sensazioni che altrimenti andrebbero perse: degustare vuol dire cercare, trovare, analizzare le caratteristiche dei vini, percepire ed interpretare emozioni trasformando così un piacere fisico (il dissetarsi) in un piacere più complesso (edonistico). Emile Peynaud diceva: “Degustare vuol dire gustare con attenzione un prodotto, di cui si vuole apprezzarne la qualità, sottoporlo all’esame dei nostri sensi, per ricercare le sue diverse qualità e descriverle dettagliatamente, classificarle …” È infatti per mezzo di essa, che si esegue utilizzando solamente i nostri organi sensoriali (vista, olfatto, gusto e tatto), si è in grado di dare un giudizio sulle caratteristiche del vino in senso qualitativo, perché ci permetterà di cogliere un vasto numero di sensazioni, riuscendo a giudicare il loro equilibrio, la loro armonia e la capacità di suscitare un pieno gradimento sensoriale. Lo scopo di un metodo di degustazione è quello di rendere possibile l’interpretazione degli stimoli promossi dai fattori fisici, chimici e meccanici del vino che eccitano le nostre cellule sensoriali. Naturalmente non si può andare “a orecchio”, ma bisogna creare nel nostro cervello, un bagaglio di riconoscimenti ed esperienze che ci torneranno utili per decifrare gli stimoli che i vari organi sensori capteranno. Questo avverrà perché i nostri organi sensoriali sono strumenti che stimolati, forniscono automaticamente delle sensazioni, infatti sono ricchi di recettori (cellule nervose specializzate) in grado di eccitarsi e reagire agli stimoli che arrivano dall’esterno, convertirli in impulsi elettrici ed inviarli, per mezzo di fasci nervosi, al cervello, dove avverrà l’interpretazione delle sensazioni, attingendo alla memoria, ovvero al bagaglio di sensazioni catalogate e memorizzate. Ma perché si degusta un vino? Il vino è la sintesi di un equilibrio tra la natura, l’uomo e la tecnica, la degustazione ci permette di verificare il suo equilibrio gustativo, ci permette di valutarne la sua evoluzione nel tempo, ma soprattutto ci permette di conoscere il mondo di sensazioni racchiuse nella bottiglia.
...Cultura a tavola
Dr. Massimiliano Petrelli SOD Dietetica e Nutrizione Clinica. Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona
L
L’OBESITÀ ed il SOVRAPPESO NON nascono a tavola!
’obesità costituisce un problema di sanità pubblica non solo in Italia, ma in tutti i Paesi industrializzati, sia perché è in costante aumento, sia perché è a sua volta causa di altre condizioni patologiche coinvolgenti numerosi organi e sistemi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’obesità come “una condizione clinii ca caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo (grasso) in misui ra tale da influire negativamente sullo stato di salute”. Attualmente il metodo più valido per definire l’obesità è costituito dall’Indice di Massa Corporea (BMI – Body Mass Index). Tale indice prende in considerazione la statura ed il peso dell’individuo (rapporto tra peso in kg e statura in metri elevata al quadrato = Kg/m2). Un BMI compreso tra 25 e 30 è indice di sovrappeso; tra 30 e 40 è indice di obesità; superiore a 40 è indice di obesità grave. Nell’adulto la circonferenza della vita è considerata un altro indice importante dell’esistenza di un sovrappeso e soprattutto delle possibili complicanze. Valori di circonferenza della vita pari o superiori ad 88 cm. nella donna e 102 cm. nell’uomo sono fortemente associati ad un aumento del rischio di numerose malattie considerate complicanze metaboliche dell’obesità. Quest’associazione è spiegata dal fatto che la circonferenza della vita rappresenta un valido indice della distribuzione del tessuto adiposo in sede viscerale ed è quindi in grado di fornire utili indicazioni sulla distribuzione del grasso corporeo: quest’ultimo aspetto è considerato più signifi-
Il Gusto...
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cativo della stessa quantità assoluta di massa grassa. L’obesità rappresenta un problema di salute pubblica in quanto predispone a patologie croniche che, a loro volta, aumeni tano l’incidenza di cardiopatia ischemica (infarto). Ad esempio, il 77% dei pazienti con diabete mellito tipo 2 è in sovrappeso, e il 46% di questi è obeso. L’obesità si associa ad altri fattori di rischio cardiovascolare, come l’ipertensione arteriosa, l’ipertrigliceridemia, l’ipercolesterolemia, la riduzione del colesterolo-HDL e l’insulino-resistenza. L’obesità è una vera e proi pria malattia causata da fattori ambientali che agiscono sull’ospi te. La malattia è pertanto funzione dell’azione dei fattori ambientali e della suscettibilità dell’ospite. L'obesità è una delle cosiddette “malattie del benessere”, il cui sviluppo incontrollato inizia quando il tenore di vita medio consente a tutti di disporre di una quantità di cibo sovrabbondante. Le cause ambientali, dovute agli stimoli che ci giungono dall'esterno, agiscono su due fronti in modo sinergico e molto potente: da un lato abbiamo un’offerta di cibi ipercalorici costante, dall'altra la necessità di mangiare sempre meno poiché il consumo calorico quotidiano diminuisce in modo inesorabile, infatti l’altra caratteristica delle società industrializzate è la progressiva ed inesorabile diminuzione dell'attività fisica. Questa seconda causa, che di solito viene trascurata, in realtà è la vera colpevole dell’aumento dell’obesità. Infatti diversi studi hanno dimostrato che: i nostri nonni (anni ’50, pieno boom
economico) mangiavano mediamente molto più di noi ma mantenevano un peso normale poiché consumavano molta più energia di noi, facendo lavori più manuali, con meno macchinari o supporti tecnologici. Facciamo alcuni esempi pratici: prendere l’ascensore invece di fare tre piani di scale a piedi due volte al giorno, in un anno mi fa “risparmiare” 2,5 kg di grasso che mi ritrovo addosso: in dieci anni diventano 25 kg!! Sicuramente andare in automobile invece che in bicicletta fa ugualmente risparmiare al nostro corpo del grasso che puntualmente mettiamo da parte sulla pancia; la cosa incredibile è che guidare le automobili di oggi, dotate tutte di servosterzo, per un’ora ci fa consumare circa 24 Kcal, mentre in passato, guidare un’automobile senza servosterzo ci faceva consumare circa 85 Kcal in un’ora. In pratica la tecnologia (alleviando la fatica) ci fa risparmiare 61 Kcal in un’ora che diventano 366 Kcal risparmiate in sei ore di guida che equivalgono a un piatto di spaghetti al pomodoro! Ecco, quindi, che non è il cibo che mangiamo che ci fa ingrassare, ma è il ridurre, ogni giorno sempre più, il nostro dispendio energetico che porta il corpo ad accumulare l’energia risparmiata sotto forma di grasso. Altri esempi pratici: le nostre nonne consumavano circa 500 Kcal per lavare i panni a mano sullo “stricatore”, noi oggi consumiamo l’energia elettrica con la lavatrice (e quindi il nostro corpo immagazzina l’equivalente energia sotto forma di grasso). Gli esempi sono tanti, anzi infiniti e, sommati tutti insieme, ci spiegano come l’attua-
le obesità non dipenda tanto dal mangiare, quanto piuttosto dalla sedentarietà della vita comoda. Il processo fisiopatologico alla base dell’obesità peri tanto presenta vari livelli: 1) Tutto nasce dall'eccessivo desiderio di perdere peso, legato all’errata convinzione che questo risultato possa essere raggiunto in fretta e senza problemi. Questo modo errato di pensare è causato soprattutto dalla Diet Industry, la quale contribuisce a diffondere il messaggio che dimagrire sia una cosa semplice, ottenibile senza sforzi e in poco tempo. 2) Il desiderio di perdere peso conduce ad una restrizione alimentare prolungata, sostenuta dall'iniziale entusiasmo, che però determina un intenso senso di fame. Qui intervengono le cause biologiche: una restrizione prolungata di un qualcosa che ci fa stare bene (il mangiare) ci porta a desiderare sempre più quella cosa. 3) A questo punto l'offerta continua di cibo alla quale siamo soggetti mette a dura prova le capacità di resistenza dell'individuo, che trasgredisce. È la fase della disinibizione: il soggetto riceve stimoli a mangiare che non riesce più a sopportare e perde il controllo, mangiando molto più del normale. 4) Questa trasgressione viene vissuta in modo negativo con un senso di colpa e di vergogna, l'autostima e la fiducia in se stessi diminuisce e si determina una cascata di reazioni comportamentali e psicologiche che porta alla perdita totale di controllo. Il soggetto mangia molto poiché ha molta fame ed è psicologicamente incapace di fermarsi e riacquista molti chili in più di quelli persi. Questo fenomeno è facilitato dal fatto che il soggetto è sicuramente in uno stato di metabolismo rallentato conseguente alla restrizione calorica. Il soggetto si troverà a questo punto in una situazione psicologica e fisica peggiore rispetto all'inizio della dieta, poiché ha acquistato peso invece di perderlo, abbassando ulteriormente il livello di autostima. È ovvio che al tentativo successivo di perdere peso la situazione (soprattutto quella psicologica) peggiorerà ulteriormente, e diventerà sempre più difficile da recuperare. È un circolo vizioso che si autoalimenta, e fa diventare la situazione sempre più difficile. A questo punto il consiglio finale è: mangiamo bene (non in maniera spropositata ma nemmeno con sacrifici o privazioni eccessive), santifichiamo le Feste con lauti pasti e soprattutto ricordiamoci di muoverci il più possibile durante la giornata riuscendo a trovare anche 20’-30’ minuti OGNI GIORNO da dedicare ad attività fisica aerobica (corsetta, cyclette o qualsiasi cosa piaccia) che è la vera cura per prevenire e cui rare l’obesità.
CARNEBIO srl
N
el cuore delle Marche ai piedi dei Monti azzurri, nel Comune di Amandola, ha sede VALLEGAIA di CARNEBIO srl, azienda leader nell’allevamento, sezionamento e commercializzazione di vitelloni "BIO" e "IGP" (identificazione geografica protetta, marchigiani chianini e romagnoli), prodotti di eccellenza nel settore della carne nazionale. Questo tipo di allevamento, attento all’alimentazione ed al benessere degli animali, nel periodo di stabulazione, ci permette di assicurare carne certificata di altissima qualità a mense, ristoranti e consumatori finali. La forte determinazione del presidente MARIANO DE ANGELIS
insieme al contributo del suo organico, composto prevalentemente da giovani, ha portato quest’azienda ad affermarsi nel settore delle mense scolastiche, fornendo 100.000 pasti la settimana distribuiti in tutta Italia. In seguito, acquistando sempre più consensi, VALLEGAIA di CARNEBIO si è rivolta anche alla ristorazione e alle macellerie attente alla qualità e alle razze dell’appennino centrale. Nel 2006 abbiamo aperto uno spaccio aziendale con vendita al minuto dove commercializziamo carne di scottona Marchigiana allevata nelle nostre stalle di San Ginesio di Macerata.
Portiamo le nostre ANTICHE RAZZE nelle migliori mense, ristoranti e macellerie La nostra fattoria alleva SCOTTONE MARCHIGIANE con metodi TRADIZIONALI
SPACCIO AZIENDALE Loc. San Ruffino - Amandola (AP) Tel. 0736/848719 CARNEBIO srl Loc. San Ruffino - Amandola (AP) Tel. 0736.848719 Fax 0736.847399 e-mail: carnebio@virgilio.it
Il Pesce Azzurro
N
di Francesco Petrelli
egli ultimi dieci anni medici e dietisti hanno evidenziato l'importanza del consumo di pesce quale alimento alternativo ad altri cibi proteici come formaggi, uova e carni. La ricchezza in sali minerali e vitamine, l'elevata digeribilità e “masticabilità”, fanno del pesce un alimento adatto a tutte le fasce di consumatori. Dal punto di vista nutrizionale il pesce, e soprattutto quello azzurro, presenta, infatti, un apporto di proteine d’elevata qualità ed una particolare composizione dei grassi, ricchi d’acidi grassi insaturi, tra i quali ve ne sono alcuni capaci di migliorare la qualità dei grassi nel nostro sangue. Il consumo del pesce, però, non può da solo prevenire o risolvere i danni provocati da un’abituale alimentazione squilibrata e troppo ricca di calorie. È di fondamentale importanza, quindi, seguire una dieta corretta e bilanciata, da associare quanto più possibile ad una vita non sedentaria. Fino ad ora abbiamo parlato dei principi nutritivi e delle calorie del pesce azzurro allo stato crudo, ma è necessario tenere presente che, secondo il tipo di cottura, l'apporto calorico può essere modificato. Per i pesci grassi, come ad esempio lo sgombro o la sardina nel periodo estivo, è indicata la cottura alla griglia poiché permette di ridurre il tenore di grassi. Le fritture invece, tecnica di cottura molto impiegata per alcune specie di pesce azzurro, n’aumenta il potere calorico, perché le calorie in più sono fornite dall'olio usato per la frittura. Lo stesso discorso vale per acciughe, sardine e sgombri in scatola sott'olio. Altra considerazione da tenere presente, parlando del pesce azzurro conservato, è che l'aggiunta del sale (cloruro di sodio), che è effettuata per la preparazione di questi prodotti, comporta un contenuto in sodio molto superiore al corrispettivo pesce fresco. Non dimenticare quest’aspetto, è importante soprattutto per quelle persone che devono seguire una dieta povera di sale. Il pesce azzurro è un alimento adatto a soddisfare le esigenze di tutta la famiglia, dai bambini ai nonni, sia per il valore nutrizionale sia per le sue carni gustose. Ciononostante, spesso, la scelta del consumatore s’indirizza verso specie medio pregiate, scarse nei nostri mari e quindi in gran parte importate, a scapito della commercializzazione del pesce azzurro, più diffuso, abbondante ed economico. Le specie più comuni di pesce azzurro, alici, sardine, sgombri, aguglie, hanno un buon tenore in proteine, paragonabile a quello di specie considerate più pregiate. Per quanto riguarda il contenuto in grassi esso è di solito poco elevato, ad eccezione dello sgombro, il cui tenore medio in grassi è dell’11 per cento, e della sardina, in alcuni periodi dell'anno. Quest'ultima, infatti, presenta una variabilità di contenuto lipidico oscillante dal 2% fino ad un massimo del 20%, nei mesi estivi, mentre la variabilità in grassi delle altre specie è minore. Per quanto riguarda la composizione di questi grassi, il pesce azzurro è una delle fonti principali di quegli acidi grassi utili per la salute dell’uomo. Rilevanti sono anche in acciughe, sardine e sgombri le quantità di vitamina B2, PP e ferro. L'apporto in calorie fornito da 100 grammi di parte carne privata di scarto delle più comuni specie di pesce azzurro, senza aggiunta di condimenti, non è elevato, oscillando tra le 89 chilo-calorie dell'aguglia e le 168 dello sgombro.
SARNANO SAPORE D'AUTUNNO
di Stella Alfieri
U
n fine settimana di metà ottobre. Il freddo, quello secco e pungente, non è ancora arrivato, ma il caldo di settembre ha lasciato il testimone all'autunno. E così, per festeggiare l'autunno e i suoi gustosi frutti, Sarnano, splendida cittadina dell'entroterra maceratese, organizza, come ogni anno, la fiera “Sapore d'Autunno”. Palcoscenico della manifestazione, voluta dall'Associazione per Sarnano, il 18 e 19 ottobre scorsi, è stata Piazza della Libertà. Due giorni di sapori e profumi degni della migliore tradizione enogastronomica marchigiana e maceratese. Un week-end all'insegna del buon gusto, che ha letteralmente rapito centinaia di persone, golosi e amanti dei prodotti locali, che hanno preso d'assalto gli stand della fiera. Non solo espositori dal nostro territorio, ma anche dalle regioni partner, come la Puglia e l'Abruzzo, che hanno portato le loro prelibatezze: pane, olio, olive, dolci. “Sapore d'autunno” offre all'attenzione del pubblico tutti quei prodotti locali frutto di un lavoro artigianale che viene trasmesso di generazione in generazione, grazie anche ad un sapiente uso dei mezzi più innovativi. Impossibile non iniziare dalle fragranti caldarroste, per proseguire di assaggio in assaggio: mozzarelle, formaggi, salumi, pane, funghi e tartufo, senza dimenticare il miele e il vino più buoni. Ognuno con la sua particolare caratteristica viene presentata dagli espositori, che raccontano la storia di ogni prodotto e consigliano i visitatori su come gustarlo al meglio. Un vero e proprio festival del gusto che ha attratto tantissimi affezionati della tradizione e tanti nuovi adepti.
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della vita
Comune di...
Fin su a Montefortino, anfiteatro dei Sibillini
M
le testimonianze della civiltà contadina, il gusto dell'artigianato, la scoperta dell'antiquariato, la disponibilità dell'archivio storico, il mistero dei reperti archeologici, il fascino delle leggende, le orme del Guerrin Meschino, il matriarcato della Sibilla, la socialità primordiale delle Comunanze Agrarie, il folklore delle tradizioni, la salubrità del clima, la genuinità della cucina, i profumi di funghi e tartufi, il potere terapeutico delle acque. Che dite, può bastare tutto ciò per fare una capatina a Montefortino? Per gli amanti dell'arte poi la cittadina è una tappa fondamentale. Nel Palazzo Leopardi spicca infatti la straordinaria Pinacoteca alla quale la Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo è sempre molto vicina. Altissima la qualità delle opere presenti, tra le quali citiamo il trittico dell'Alamanno, una grande pala del Fiorentino e un tondo attribuito al Perugino.
Nel vicino Museo d'Arte Sacra sono esposti dipinti, sculture e oggetti liturgici un tempo conservati nelle chiese disseminate nel territorio comunale. L'opera più complessa può considerarsi la Madonna del Rosario del De Magistris, grande dipinto su tela del 1536. C'è poi il Museo Faunistico dove si può curiosare tra le specie più significative dell'Appennino Centrale. Specie e specialità. Fin dal '500 infatti è attestata nei documenti la raccolta di tartufi a Montefortino. Si sa che i Sibillini ne sono straordinariamente ricchi. Qui si possono raccogliere le quattro varietà più apprezzate sui mercati: il Tartufo Bianco Pregiato, il Nero Pregiato, il Tartufo Estivo e il Bianchetto. Il tartufo raccolto sui Sibillini, a giudizio di esperti e ristoratori, è tra i migliori in circolazione. Un altro gustoso motivo per fare due passi fin su a Montefortino, anfiteatro della montagna fermana.
Foto Giorgio Tassi
ontefortino è uno dei centri più emblematici dell'entroterra fermano e contribuisce in maniera determinante alla identità ambientale, storica e antropologica della Comunità Moni tana e del Parco dei Sibillini. Per descrivere il paese basta dire che è un festival di suggestioni: la maestosa e intatta bellezza dei Sibillini, i colori delle stagioni, la magica penombra dei boschi, la biodiversità della flora, la vitalità della fauna, i percorsi delle acque, il culto della Madonna dell'Ambro, l'ascesi di San Leonardo al Volubrio, i profili troneggianti di Sant'Angelo in Montespino, gli orridi dell'Infernaccio, i segni delle radici pagane, la ricchezza dell'arte pittorica, i modelli dell'architettura protocristiana, medievale, rinascimentale e neoclassica, la peculiarità del centro storico, l'armonia dei borghi rurali, il vigore delle case torri,
di Simone Troiani
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della vita
...Associazione Cuochi Fermo
F.I.C. Ass.ne Cuochi della Provincia di Fermo via Legnano, 2 63018 Porto Sant’Elpidio tel. (+39) 330 650208
Da dicembre 2007 a dicembre 2008.
Un anno di attività dell' Associazione Cuochi della Provincia di Fermo. Quante ne ha fatte? Ne ha fatte veramente tante. E tutte di alto livello. Ed ora vogliamo ricordarle. 11 dicembre 2007 Ristorante Helios di Monte Urano. “Basta con lo spuntino, ci vuole il pranzo”. È la tesi del dr Maurizio Marozzi, medico chirurgo, nutrizionista. “Dobbiamo saper riequilibrare l'alimentazione per evitare intolleranze e obesità. Occorre tornare a consumare il pasto principale a pranzo, dopo una ricca colazione, per poi giungere alla cena dove è consigliabile un pasto leggero. Questo implica anche una diversa organizzazione del lavoro, che consenta una giusta pausa per il pranzo ed evitare di giungere alle 14, dopo aver consumato solo caffè e cornetto”.
10 Aprile 2008
È la presentazione ufficiale della nostra rivista. La sala multimediale del Comune di Fermo si apre alle berrette bianche e ai giornalisti del periodico ufficiale dell'Associazione Cuochi della Provincia di Fermo. Presenti il sindaco della città Di Ruscio, altri amministratori e numerosi colleghi della carta stampata e delle tv. Bene!
17 aprile 2008
5 maggio 2008 Cucinare con i fiori sarà la ricetta vincente per il futuro? Sarà l`azzardo dei prossimi anni? Nulla di tutto questo. Parola di Frani ca D`Amico Sinatti, docente universitaria, scrittrice, giornalista, esperta di alimentazione. Intervenuta alla cena delle berrette bianche organizzata al Picchio Verde di Monsampietromorico, ha ricordato che cucinare con i fiori appartiene da sempre alla nostra cultura. Molti i personaggi presenti alla cena, salutati con grande cordialità da Alessandro Pazzaglia e dal suo staff.
9 luglio 2008
19 febbraio 2008
È la volta del pesce azzurro. “Pesce azzurro che bontà” titolano i giornali. Stavolta tocca a “La Cascina” di Porto San Giorgio ospitare l'evento dell'Associazione Cuochi. Nell'occasione saranno due gli appuntamenti: la prima assemblea dei cuochi e la cena con intermezzo culturale. A parlare di pesce azzurro, delle sue qualità, delle sue prerogative sarà il prof. Massimiliano Petrelli, docente di Scienze dell'Alimentazione all'Università di Ancona. Grande pubblico come sempre e grande attenzione ad un tema significativo. Il Gusto...
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Sandro Pazzaglia chiama, Giorgio Nardelli risponde. Il vate dei cuochi italiani non poteva dire di no all'invito del collega marchigiano nonché presidente dell'Associazione Cuochi della Quinta Provincia. Così lo scorso aprile è andato in scena all'Hotel Royal di Casabianca di Fermo il “Cookie and Chill, Fii nishing”, che dall'inglese all'italiano diventa “cuoci e lascia rilassare, prima del tocco finale”. Grande!
Colpo grosso di Sandro Pazzaglia e dei suoi Chef. Al Royal di Casabianca di Fermo arriva Paola Mii chelacci, imprenditrice nel campo alberghiero. Parlerà dinanzi ad una platea nutrita di ristoratori e albergatori. Le sue parole sprigionano entusiasmo e voglia di fare. Contagiosa. Seguirà una grande serata a tavola conclusa dal barman Gino Beni vegnù.
...Associazione Cuochi Fermo
14 ottobre 2008... Arriva lo chef Marcantonio Sagramoso, darà consigli ai suoi colleghi circa le nuove tendenze della cucina mediterranea per il banqueting.
Provincia di Fermo. Anche i cuochi vogliono dire la loro.
V
ogliono dire la loro e ne hanno tutto il diritto. Perché - ovvio - sono cittadini come gli altri, perché la loro professione li porta ad avere un senso di acco-
glienza molto alto, perché da un anno e più la loro associazione è diventata realtà autonoma da Ascoli Piceno, perché da sempre portano avanti la cultura dell'ospitalità. E non vi sembri poco. Ma di questo ultimo aspetto ne riparliamo in conclusione. Intanto, quel che auspicano le berrette bianche del Fermano è che la futura Provincia sia capace di valorizzare i propri talenti. Dove i “talenti” sono le opere d'arte, il patrimonio storico-artistico, ma anche quello umano: la gente, per capirci. Insomma, meno favoritismi e più sostegno a chi vale. Poi, che sia una Provincia snella sul serio, capace di entrarci in casa con i suoi servizi e non burocratizzata ed impedente. Capace di rispondere rapidamente alle richieste delle persone, senza attese e senza ragnatele. Infine, che sia una Provincia dell'ospitalità, una “Proi vincia a cinque stelle”, dove sia bello arrivare, soggiornare, girare, mangiare, divertirsi, acquistare cose buone e belle. Dove emerga chiaramente “Il Gusto...della Vita”. A.Le.
...15 ottobre 2008 Ristorante Mario, Fermo. Serata sul tema “Come mii gliorare il livello qualitativo della nostra ospitalità”. Oltre 200 i partecipanti, molti i sindaci e i rappresentanti delle istituzioni. Tornano le “nonne” di Magliano di Tenna con le loro ricette. Ospite speciale la signora Rosanna Vaudetti, ambasciatrice delle Marche nel mondo. Un successo! E siamo ai giorni nostri.
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della vita
...Il racconto
Un pittore, un vescovo-guerriero, un pastaio di prestigio
di Adolfo Leoni Di Monte San Giusto, paese del maceratese ma dell'arcidiocesi fermana, si possono raccontare tre cose. La prima: la stupenda Crocefissione opera del pittore Lorenzo Lotto; la seconda: il palazzo del vescovo Nicolò Bonafede, che fu il committente della pala d'altare. La terza: La Pasta di Aldo, la famosa pasta rinomata in Europa. Abbiamo rivisitato questi tre elementi e quel che n'è uscito è il racconto qui sotto. “Oh, chi si vede! Signor Lorenzo Lotto, è proprio lei! Mi fa piacere incontrarla di nuovo. La trovo molto bene: ha una bella cera ed è anche un po’ ingrassato.” “Eccellenza, il piacere è tutto mio. È un pezzo che non ci si vedeva.” “Esattamente: cinque secoli. Ma sa, quassù siamo talmente numerosi, che il tempo vola tra un saluto ed una chiacchierata. Vedo comunque che continua a dipingere. Dipinge sempre da Dio.” “SSSS. Non lo dica così forte, non sta bene… Però, è vero, ho continuato la mia passione” “Lo sa, signor Lotto, che ogni tanto mi sposto sull’Adriatico e guardo giù. Non è facile rintracciare Monte San Giusto. Ormai di case ne hanno costruite talmente tante che ci si raccapezza male. Quando però metto a fuoco, cerco subito il mio vecchio palazzo eppoi, pian piano, sposto gli occhi verso piazza, ed ecco: il campanile di Santa Maria in Telusiano. In quella chiesa, maestro, lei ha dipinto la più bella pala d’altare.” “Che anni! sig. Vescovo, che tempi! Roma guardava Raffaello, Venezia chiedeva Tiziano, ed io, solo, senza casa, senza soldi, senza amici potenti girovagavo per l’Italia, a volte anche affamato. Poi lei…” “Poi, io la chiamai, e le dissi di dipingermi una Crocefissione. Grande, una grande pala d’altare per la mia chiesa.” “Ricordo molto bene, caro vescovo Nicolò Bonafede. Lei mi pregò anche di inserire nella scena i suoi famigliari: suo figlio Cammillo, suo nipote Fortunato, suo fratello Piermatteo, le donne di casa, i suoi capitani Girolamo Brancadoro, Carlo di Offida, Nicolizzo da Santelpidio, la sua amaIl Gusto...
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ta Luchina Brunforte. Ed anche il suo avversario Lodovico Euffreducci.” “Caro Lorenzo, quassù non abbiamo più avversari... Certo però che il compenso non fu da poco: 100 fiorini, se non ricordo male, e una certa quantità di olio di olive ascolane” “Gliel’ho detto: non me la passavo bene. Eppoi, il lavoro fu lungo e difficile. Mi resta solo un rammarico.” “Un rammarico… ancora, e in questo luogo?” “Vede, Eccellenza, proprio quassù hanno aperto numerosi locali tipici. E, prima di assaggiare tutte le loro bontà, ce ne vuole di tempo. Da un anno però ho scovato un ristorantino che propone una pasta…e qui ci vuole proprio l’aggettivo ‘da Dio’. Così sono diventato un cliente fisso: pranzo e cena. Sono affezionatissimo. E che ti scopro l’altro giorno? Che la pasta arriva - lei non ci crederà - proprio da Monte San Giusto, dal suo paese, dal paese della pala. E ne ho scoperto anche il marchio? La Pasta di ALDO, si chiama. Capito?
M o n te S a n G i u s t o C r o c i f i s s i o n e" d i L o r e n z o L ot t o (15 31)
P-A-S-T-A di A-L-D-O. Ai nostri tempi non esisteva, sennò altro che olio di olive ascolane le chiedevo! Però ora – badi bene - sto recuperando il tempo perduto - l’ha detto anche lei che ho una bella cera. Non solo: l’ho anche suggerita a chi di dovere. Lui l’ha voluta provare e già alla seconda forchettata ha giurato: la Pasta di ALDO sarà su tutte le mense… del Paradiso.” “Venga, maestro, su andiamo, facciamo presto, oggi pranziamo insieme. Dov’è quel locale?”
La Pasta di Aldo Chitarrine
Monte San Giusto
Foto Luciano B randimar ti
...Cucina dal mondo
...La cucina dei piccoli
Mangiare alla russa
da " Segreti della cucina russa" di Markus Wol f a cura di Orietta Foresi
I pel’meni possono avere svariati ripieni
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ra le specialità della cucina russa spiccano molte ricette con prodotti a base di grano e di farina, simili al pane. A differenza dell’Europa, la scoperta dell’America non accelerò il cammino della patata verso i territori slavi. Ne dovette passare del tempo prima che la coltivazione del tubero prendesse piede anche in Russia. Tuttavia in Bielorussia, e quindi nelle regioni più a ovest dell’ex Unione Sovietica, diversi piatti con patate sono considerati specialità nazionali - come d’altronde anche a Mosca -, poi, a mano a mano che ci si sposta verso est, le cose cambiano. Come tanti altri popoli, anche i russi impararono a mescolare la farina con l’acqua ottenendo così la pasta. Dalla pasta passarono poi ai pel’meni, ai vareniki e ai bliny. Oltre ai pirogi esistono infinite variazioni di bliny, omelette, di oladi, frittelle, di piski, pagnottelle, di vatruski, paste ripiene di ricotta, di kulebjaki, pasticcini per lo più ripieni di pesce, di krendeli, ciambelline e di molte altre specialità cotte al forno. Estremamente popolari sono anche i cosidetti panpepati o pan di spezie che hanno rese celebri antiche città russe come Tula, Vjasma e Tver. Cominciamo dunque dal più celebre, nonché dal più semplice, dei prodotti di pasta tirata a sfoglia della cucina russa, ossia dai pel’meni (singolare pel’men’, genere maschile). Questi singolari fagottini di sfoglia possono avere i più svariati ripieni e sono una storica specialità russa. Esistono molte fiabe, leggende e miti dove si narra come i cosacchi, nelle loro prime incursioni alle pendici degli Urali, impararono dagli indigeni locali a preparare delle orecchiette di pane. Non a caso, nella lingua della tribù dei Komi, orecchio si dice pel’mjan. Probabilmente tutto ebbe inizio quando i cavalieri mongoli dell’Asia orientale cominciarono a stancarsi di mangiare sempre carne secca affumicata. Fu così che forse un cuoco o una schiava provò a rivoluzionare il menù creando qualcosa di nuovo con i due ingredienti più semplici ed economici del mondo. Chissà, se le cose andarono veramente così, sta di fatto che a mio avviso, da pelmjan ebbe origine il termine russo pel’men’. E, poiché non se ne mangia mai uno solo, viene sempre citato nella forma plurale pel’meni. Di solito se ne preparano grandi scorte con l’aiuto di tutti i membri della famiglia o degli amici, conoscenti o vicini. Pel’meni I pel’meni siberiani sono una sorta di fagottini di sfoglia ripieni di carne e conditi in vari modi. Preparare della semplice pasta a base di farina e uova e tirarla il più sottile possibile senza però esagerare altrimenti potrebbe rompersi durante la lavorazione o la cottura. Per il ripieno amalgamare bene del macinato di manzo (2/3), del macinato magro di maiale (1/3), cipolla tritata, sale e pepe. Le salse più adatte sono a base di aceto e pepe, di panna acida, di burro nocciola o di passata di pomodoro piccante. quantità degli ingredienti: secondo il manuale Molochovec (circa 60 pel’meni per 6-8 persone) Pe r l a s fo g l i a: 3 b i cch i e r i d i fa r i n a, 7 cucchiai o ½ bicchiere di acqua salata, 2 uova, 1 cucchiano di sale. Per il ripieno: 750 gr di filetto di manzo grasso o 500 gr di manzo, 250 gr di sugna, 2 cipolle, pepe e sale. esecuzione: A un cuoco dilettante che non ha mai fatto la pasta fresca, consiglio di procedere come segue: disporre a fontana in una terrina o su una spianatoia la quantità di farina sopraindicata. Mettervi al centro il sale, 3 tuorli un po’ d’acqua fredda. Mescolare i tuorli e
il sale con un coltello o un cucchiaio. Aggiungere quindi lentamente il resto dell’acqua e cominciare a lavorare l’impasto con le mani fino a ottenere una palla morbida e senza grumi. Per 400 gr di farina è necessario circa un bicchiere d’acqua. Si può sostituire 1/3 o ¼ dell’acqua con altrettanto latte. Contrariamente alla tradizione, io non uso amalgamare la pasta a mano bensì con la macchina per pasta. Così facendo, non solo ottengo lo stesso risultato senza far fatica ma riesco anche a dosare meglio la quantità d’acqua necessaria. Il panetto dovrà essere liscio ed elastico. Avvolgerlo in un canovaccio umido affinché la pasta non si secchi. Alcune casalinghe consigliano di lasciarlo riposare 1-2 ore, in tal caso poi sarà più veloce da lavorare. Più il cuoco è di origine orientale, più sarà facile trovare nel ripieno anche del montone, o meglio dell’agnello. In tal caso sarà 1/3 carne di manzo, 1/3 di maiale e 1/3 di agnello. Tritare quindi con il tritacarne le cipolle, la polpa di carne e l’aglio o, se la carne è già macinata, aggiungere un trito di cipolle e aglio. Ovviamente il pepe macinato al momento è migliore. Spruzzare della farina sulla spianatoia o direttamente sul tavolo in modo che la pasta non rimanga attaccata. Tirarla con il mattarello fino a ottene-
d i Lu d ov i ca B e n i g n i
Coppette alla nocciola Bambini e bambine leggete un po’ qua questa ricetta di sicuro vi piacerà. Ingredienti (4 persone) - Mascarpone gr 400 - Nutella 4 cucchiai - Panna già montata e zuccherata gr 200 - Nocciole tritate Esecuzione In una scodella mescolate bene il mascarpone con la nutella, unite delicatamente la panna già montata e zuccherata. Distribuite la mousse in coppette individuali e guarnite con le nocciole tritate.
Se ospiti a tavola tu avrai con questa ricetta li stupirai!
re una sfoglia sottile 1 mm circa. Nella mia famiglia è tradizione tagliare la sfoglia con un bicchiere di 4 cm circa di diametro. Collocare poi al centro di ogni dischetto di pasta un cucchiaino abbondante di ripieno e riporvi sopra un altro dischetto di pasta, pizzicando bene i bordi. Se faticassero ad attaccarsi, inumidirli con un po’ d’acqua. Di solito i nostri pel’meni tondi sono grandi come una moneta da 5 marchi tedeschi. Mettere sul fuoco una pentola (contenente 4-6 litri d’acqua) con 3 litri d’acqua dopo aver aggiunto 2 cucchiani di sale. Quando l’acqua bollirà, buttarvi non più di 20-25 pel’meni. Ora l’arte consiste nel saper abbassare tempestivamente la fiamma in modo che i pel’meni si cuociano con un bollore leggero. Attenzione, nessun pel’men’ dovrà rompersi! Far cuocere 10 min. circa senza coperchio. Quando vengono a galla, vuol dire che sono pronti. Il cuoco approfitterà dei primi per assaggiarli. Esistono due modi per servire i pel’meni in tavola: come minestra, in un brodo di manzo o meglio di gallina, o come piatto forte conditi con aceto e pepe macinato, con panna acida molto densa (così densa da poterci piantare il cucchiaio) o un burro nocciola, ossia il burro riscaldato in padella.
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della vita
...Diario di bordo
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l nostro Diario stavolta parte dall'ultima iniziativa, in ordine di tempo, promossa dalla Federazione Italiana Cuochi. La FIC insieme ai Servizi sociali del comune di Fermo, all'Asite, a Spazio Anziani e al Centro Sociale Ete Caldarette, ha proposto “La Cucina delle Nonne”. Si tratta di un corso di cucina teorico-pratico per riscoprire la tradizione culinaria marchigiana, riuscire a preparare cene complete dall'antipasto al dessert, realizzare un menù gustoso ma economico. Gli Chef della Federazione Italiana Cuochi ed alcune nonne si sono trasformati in altrettanti insegnanti. Quattro le lezioni gradite e... gustate. Per fortuna che ci sono loro, le nonne, perché un noto giornale inglese ha lanciato un allarme drammatico: “Aiuto, mamma non cucina più”. E, siccome non si avvicina più ai fornelli, suo figlio mangia tutte le “zozzerie” del mondo, e ingrassa e diventa obeso.
A Civitanova Marche hanno suonato la riscossa. Lucilla e Manuela Di Chiara, le autrici del libro sui dolci maceratesi di cui abbiamo parlato lo scorso numero, lanciano “Cucinare per passione”, proposte per incontri teorico-pratici a tema culinario: dai menù delle grandi occasioni alla cucina fresca e veloce, da sua maestà il bigné all'abc della cucina. Golosi di tutto il mondo, unitevi! A proposito di bontà a tavola, accordo antifrodi tra i NAS e la Coldiretti Marche. Sottoscritto un patto per contribuire a sgominare le truffe specie dopo lo scandalo del latte cinese alla melamina.
Vigilare, vigilare, vigilare. Ma anche acquistare made in Marche. A San Benedetto del Tronto un'azienda agroalimentare ha installato i distributori del latte fresco. Costa poca ed è buonissimo. Un successo di clienti. A Porto San Giorgio, Alessandro ha deciso di cambiare sistema. Lui che fa il pescatore ha scelto di vendere il pescato direttamente alla clientela. Alle tre del pomeriggio rientra in porto con la sua imbarcazione, attracca al molo e apre la vendita al minuto. Burocrazia permettendo. Grande successo, settimane fa, al Salone del Gusto di Torino per i prodotti tipici maceratesi. Apprezzato il Caciofiore dei Sibillini, un formaggio tradizionale dell'Alto maceratese scomparso da oltre 50 anni, ed ora riproposto e reintrodotto nel mercato. Si tratta di un formaggio a pasta tenera realizzato con latte appena munto di pecora sopravvissana e l'utilizzo di un fiore di una pianta selvatica dei Sibillini: la Cynara cardunculus. Volete difendere anche la produzione dei suini marchigiani? Mirate alla certificazione di qualità. È questo in estrema sintesi, il risultato di un importante convegno a Petritoli promosso dalla sezione agroalimentare di Confindustria Fermo presieduta da Andrea Maroni. Auguri a tutti. Adolfo Leoni
Vigilia di Natale di Anna Maria Cerquetti
Aprire gli occhi alla sorpresa che bussa Nel crepitio di un focolare acceso Mentre l’abete aspetta la sua fiamma Per incendiare i sogni in ogni sfera. Lenta arriva la sera, e ha il respiro Di noci e fichi secchi spezzettati, Di cioccolato, agrumi e mosto cotto Raccolti in un frustingolo brunito. Resta sospesa in aria con un dito, l’attesa Nella febbrile innocenza di una promessa Presentata a Dio, tra raccolte braccia di muschio E antichi gessi accarezzati da una nenia.
Il Gusto...
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