Invito alla lettura thirlwell_tenero e violento

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ADAM THIRLWELL TENERO & VIOLENTO Traduzione di Riccardo Cravero

UGO GUANDA EDITORE

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Titolo originale: Lurid & Cute

Disegno e grafica di copertina di Guido Scarabottolo Illustrazione da un’idea di Letman/Big Active

Per essere informato sulle novità del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita: www.illibraio.it

ISBN 978-88-235-1129-3 Copyright © Adam Thirlwell 2015 All rights reserved © 2015 Ugo Guanda Editore S.r.l., Via Gherardini 10, Milano Gruppo editoriale Mauri Spagnol www.guanda.it

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per Alison

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IN SILHOUETTE

A ripensarci capivo sempre meno perché proprio io dovessi essere scelto a far da cavia per la grazia capricciosa di Dio. Oltre a me c’era al mondo anche l’antiquario di libri Pascha e il segretario della Navigazione, Hennechen. KNUT HAMSUN, Fame, 1890

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IN SOMMARIO

1. Madama Morte

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2. Utopia

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3. Vile, goffo, scaltro, subdolo

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4. La pistoletta

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5. La lunga ďŹ esta (l’oroscopo)

189

6. Tropicalismo

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7. La cosa vera

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8. Tristezza del tempo

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9. Noir

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1. MADAMA MORTE

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SANGUE

in cui il nostro eroe si sveglia Svegliandomi ho visto alla rovescia una fila di dipinti su velluto appesi alla parete dietro il letto. Un Gesù sopra la sua aureola e accanto una Madonna radiosa (intendo quella della religione, non la versione disco). Tra i due c’era una spiaggia tropicaleggiante: una palma, una palma, una palma, della sabbia azzurra. Ho pensato che forse mi piacevano, quei dipinti su velluto. Mi piaceva la loro vibe radiosa. Ma sapevo che anche se mi piaceva non era la vibrazione della mia solita camera da letto, proprio come la ragazza che dormiva accanto a me in quella che sembrava una stanza d’albergo non era la mia felice mogliettina. Era una di quelle situazioni problematiche; e anche se so che alcuni non la troverebbero poi così male – e che svegliarsi accanto a una persona che eticamente non ti appartiene è per la maggior parte degli esseri umani il modo più comune di entrare nel regno della morale e perciò, bello mio, fattene una ragione – comunque io non riuscivo a prenderla tanto alla leggera. Era un pezzo ormai che c’erano problemi nell’atmosfera: piccole incrinature e crepe, come farfalle che spuntano fuori in pieno autunno, un leggero tropicalismo diffuso che mi faceva un po’ paura. Per di più in quel momento mi sentivo come se avessi la testa altrove, e avevo una gran nausea. Sapevo che il telefono doveva essere da qualche parte accanto a me e sapevo che avrei dovuto cercarlo con lo sguardo ma, davvero, anche no. Se in quel 13

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preciso istante mi avessero piazzato sul divano di un talk show e mi avessero chiesto come mi sentivo, avrei detto che di base mi sentivo molto triste. Perché io non sono certo un panzer o un teppista. Non sono uno sciupafemmine. Le ragazze mi hanno sempre intimidito. In questo ruolo di turbomacho ero autentico quanto le ragazzine bianche che si fanno fotografare in pose da gangsta. Non era proprio normale per me svegliarmi in un posto senza sapere come c’ero arrivato. Per me un passatempo normale era occuparmi di problemi matematici o di sistemi elettorali; i miei svaghi, voglio dire, erano sempre delicati e meditativi. Eppure questa cosa nuova stava proprio succedendo, e non avevo il potere di fermarla. Avevo un gran mal di testa. A Brasilia stavano smontando dal turno di notte, a Tokyo bevevano il primo whisky sour. A quattromila miglia di distanza c’erano droni che rombavano in formazione tra gole e passi di montagna, e quaggiù sulla quieta terra una ragazza che non era mia moglie se ne stava sdraiata accanto a me. Si chiamava Romy ed era una delle mie migliori amiche. Era bionda e quando la vedevi in un bar aveva questa sontuosa massa languida di capelli su un lato del collo, ma ormai avevo la consapevolezza interiore che non era una bionda naturale. Non che avesse molto pelo in mezzo alle gambe, ma quel poco, giusto un ciuffetto, era decisamente scuro. Era su questo che cercavo di concentrarmi mentre la luce iniziava a friggere le tende di nylon e Romy continuava a dormire. Perché anche quando sei confuso o triste, devi tirare avanti. Ricordo una massima del bodhisattva – Calmo ma partecipe – ed è una massima che va sempre bene. Di sicuro è una regola a cui ispirarsi nella vita, e regole simili vanno sempre tenute in considerazione. Se dovessi dimostrare una sola cosa scrivendo questo resoconto, spero sia l’importanza delle regole nella vita; e forse è proprio questo il motivo per cui ho deciso di iniziare la storia della mia vita 14

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morale con questo episodio sanguinoso. È stato, credo, il punto in cui sono scomparse le mie categorie abituali. Mi sono alzato e rivestito, e mi sono fermato a riflettere su come sarei tornato a casa: cioè, in che stato e con quali spiegazioni. Ma era anche prestissimo. Era al tempo stesso troppo tardi e molto presto, perciò ho deciso che tanto per cominciare avrei fatto colazione, perché a volte l’unica maniera corretta di agire è prendersi cura dell’ordinaria amministrazione. Le cose vanno analizzate per gradi. Perciò sono uscito nel parcheggio e ho tirato dritto fino al ristorante dell’albergo, dove mi sono seduto a un tavolo da cui avevo una vista molto luminosa. Niente di speciale. Insetti che ronzavano lenti nell’alba verde, sbucando di continuo dal nulla, dall’aria chiara e granulosa. La mia macchina era nel parcheggio, davanti alla nostra porta, e accanto ho visto quello che sembrava un carro funebre, ma non gli ho dato peso. E forse è stato un errore ignorare quello che altri avrebbero considerato un segno. Se per te è normale ricevere a casa lettere non affrancate o telefonate in cui un tizio ti chiede se sta parlando con la camera ardente, cioè se sei sensibile ai metodi della mafia per far sapere che uno è segnato o fregato o spacciato, allora forse si potrebbe dire che ho commesso un errore. Avessi saputo allora quel che so adesso, fossi stato in grado di comprendere la gamma completa di orrori che avrei conosciuto, il sangue e la balistica, fossi stato capace di compiere il giro della morte che questa maniera di parlare mi consente ora, sarei potuto arrivare anch’io alla stessa conclusione. Invece mi sono sempre lasciato sfuggire le cose più ovvie. Non so perché. Altri notavano cose qualunque come i parcheggi dei centri commerciali e gli ombrelloni dei bar o che so io, il caffè delle macchinette per il caffè. Ma io no. Io ero più bravo a occuparmi delle mie ruminazioni. Era molto luminoso e molto triste, dentro il ristorante. La radio parlava da sola 15

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mentre io non avevo nessuno con cui parlare, perciò sono rimasto lì seduto al mio tavolo con vista sulla griglia vuota del parcheggio, a leggere il menu plastificato. Ho aspettato. Ho guardato fuori dalla vetrata. Per dieci minuti ho continuato a guardare prima l’orologio e poi il paesaggio: orologio e paesaggio, orologio e paesaggio. Aspettare proprio non mi piace. Finalmente dalla cucina è spuntata una cameriera. Con il nome appeso al taschino. Il nome era Quincy. Un’altra spilla in un altro font mi augurava una magnifica giornata. Ed era una magnifica giornata, niente da dire. Magnifica come in un cartone animato, se non ti eri svegliato in uno stato di ansia vischiosa. « Sono dieci minuti che aspetto » ho detto. « Come? » ha detto Quincy. « Non è un reclamo ufficiale. Penso solo che dovresti sapere che sono arrivato dieci minuti fa. Tutto qui. » « Ah. » Non credo che le importasse granché, ma almeno avevo cercato di rendermi utile. Ho ordinato una colazione vegetariana. Le ho detto che prendevo le uova all’occhio di bue, per usare la vecchia metafora. Che il succo lo volevo all’arancia. Che sì, mi andavano anche le crocchette di patate. Ho mangiato la roba con gusto. Ci ho aggiunto ketchup e senape. E quando ho finito, dopo aver passato un pezzo di pane tostato nel piatto rosso e giallo, ho sfregato le lenti degli occhiali con una salvietta umidificata che Quincy aveva portato perché mi pulissi le dita. Gentile da parte sua, perché spesso la gente ha le mani piene di germi. È sempre meglio essere prudenti. Adesso gli occhiali sapevano di pulito, ma in compenso mi bruciavano gli occhi. Ho guardato fuori le linee orizzontali dell’elettricità, poi le linee orizzontali dipinte sull’asfalto. Poi ho guardato la segnaletica verticale. Ecco, il mondo era così, completamente vuoto. Mi sentivo molto in 16

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trappola e molto triste. Anche se con il senno di poi è chiaro che non ero nemmeno vagamente triste quanto avrei dovuto, perché a posteriori so che il Fato stava per massacrarmi ancora più duramente di quanto avesse già fatto. Il Fato era tutto intorno a me come il tappo a corona in cima a una bottiglia di birra. Ma alla fine non è mai chiaro a che punto uno può parlare di a posteriori o di troppo tardi, perché anche se sembrano espressioni normali nascondono molto più di quanto è utile, tant’è che uno dei problemi principali del vivere è che in qualsiasi momento di sconforto uno di solito pensa di aver toccato il fondo, e così, come chiunque, anch’io tendevo a credere che non ci fosse niente di peggio dello stato di sfinimento in cui mi trovavo, proprio mentre invece ero dentro qualcosa di molto più devastante per il mio ideale di cortesia e magnanimità, ero dentro a una giostra infernale, tipo quelle del luna park, dove avrei conosciuto cose grottesche e feroci che non avrei mai pensato di dover nemmeno prendere in considerazione, e a quel punto non mi sarebbe più importato niente di saperlo prima. Mentre lì, in quell’albergo, ero affranto.

per scoprire la sua trasformazione Perché a me non piace fare cose sbagliate. Sono del tutto contrario. E se c’è una cosa che sembra sbagliata è svegliarsi in un letto accanto a una donna che non è tua moglie. Anzi no, diciamo, perché in effetti ci sono maniere migliori e peggiori di fare questa cosa molto brutta, e in generale, esaminando la situazione con tutto lo scrupolo possibile, ho dovuto riconoscere che farlo con una donna che per molti versi era la tua migliore amica costituiva un errore più grave, perché in qualunque discussione da bar credo sosterrei tran17

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quillamente la tesi che nella gerarchia dei torti il sesso con un’amica comune sia decisamente peggio per la propria adorata moglie del sesso fugace con un’estranea. O almeno sosterrei che sia probabilmente peggio; però non stavo pensando a queste faccende morali con la metodicità che avrei desiderato, una confusione che è un problema ricorrente in quest’epoca frenetica e incauta, perché sentivo anche una pesantezza intestinale che a sua volta mi preoccupava. Mentre tornavo alla stanza d’albergo in cui verosimilmente Romy stava aspettando sonnacchiosa e strafatta, con l’eyeliner sbavato in una maniera che senza dubbio avrei trovato attraente, di colpo mi sono pentito di non essere andato al bagno del ristorante. Perché se da una parte non avevo voglia di tornare fin dentro al ristorante solo per andare in bagno, dall’altra il pensiero di rientrare nella mia stanza, sedermi ed esplodere nel bugigattolo accanto a dove Romy stava dormendo... No, l’idea non mi piaceva affatto. Ma poi ho escogitato una soluzione che mi ha riempito d’orgoglio. Prima di tornare in stanza, ho deciso, avrei sbrigato il check out, poi avrei recuperato senza far rumore lo zainetto – poiché è raro che io vada in giro senza lo zainetto, un po’ perché ci sono un’infinità di cose che ho bisogno di avere con me come portafortuna, per scaramanzia o abitudine, ma anche perché in effetti è il metodo più comodo, credo, per portarti dietro gli oggetti che ti servono se ci tieni alla tua salute futura – e infine avrei tagliato la corda. Dopodiché sarei andato a prendermi un caffè in un diner e avrei usato il loro bagno e lì avrei elaborato con maestria un piano per tornare da mia moglie Candy senza che lei mi odiasse troppo. Per me non era certo un’abitudine mollare una ragazza nel letto senza salutare come si deve. Non avrei problemi a riconoscere che forse poteva sembrare scortese. Ma alla fine devi fare una scelta tra le varie cortesie, e dopotutto Romy la vedevo molto spes18

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so. Avremmo avuto un sacco di occasioni per discutere questo e altri aspetti di quanto era successo. E poi anche se ero in preda a un panico nero, c’era in me la sensazione che questa mossa avesse un suo fascino virile. Non è facile ammetterlo, ma mentre me ne stavo lì alla reception a leggere un calendario del mese sbagliato dell’anno sbagliato, mi sono concesso un imbronciato momento di gloria. Tu, pensavo, stai pagando la stanza a una ragazza. Okay, non era la mignotta di un narcotrafficante o una popstar latinoamericana, ma era pur sempre qualcosa. Mi è anche passato per la mente che se quella roba stava davvero succedendo forse avrei avuto bisogno di un sostegno medicinale più sostanzioso. Di una riflessione più approfondita sulle mie pillole. Ma è stata solo una parentesi. E vorrei approfittare della precoce cesura idilliaca per rivendicare che se questo modo di pensare poteva essere indice di riprovevole machismo, di sicuro dimostrava anche una certa premura, visto che non c’è gesto più gentile di non svegliare qualcuno che vuole dormire; e la premura era una cosa che mia madre e mio padre mi hanno sempre spinto a coltivare. A loro faceva piacere quando pensavo agli altri. Erano convinti che uno nella vita deve tenere duro. Sei così impaziente, gioia, mi ha ripetuto mia madre in svariate occasioni della vita, tipo quando volevo essere più spendido di quello che sono. Perché non fai mai le cose con calma? Lei parlava sempre così. Svegliati, tesoro!, continuava. Se vuoi una cosa, devi prenderti il tempo necessario per ottenerla. Dov’è che ho sbagliato per renderti così impaziente? Vuoi che tutto sia sempre un luminoso cielo azzurro senza nuvole? « Non mi pare proprio » dicevo io. « Ma certo » diceva lei, « continua a fare il polemico. » Penso che le madri siano l’atmosfera in cui ti ritrovi a vivere e credo che la cosa mi piaccia pure, però è anche una 19

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forma di persecuzione in miniatura, per quanto amorevolissima. In ogni caso, io ce la mettevo tutta a comportarmi come avrebbero voluto i miei, che in quel momento significava avere riguardo per chi aveva un’esistenza meno fortunata. L’uomo che stava alla reception così presto la mattina sembrava un po’ triste, perciò l’ho preso in simpatia. Faceva un lavoro duro, ho pensato, un lavoro pesante, che presumibilmente prevedeva di rispondere ai fornitori delle cucine e pure ai ragazzini che chiamavano per fare scherzi telefonici, di occuparsi di una tizia che arrivava alle quattro di pomeriggio e voleva una stanza su due piedi, cose così, e anche di preparare i moduli per i check in e i check out e di controllare la squadra di manutenzione della piscina nonché di usare la macchinetta per le carte di credito. Non doveva essere per niente facile. Si chiamava Osman, e Osman, ho proprio pensato, sembrava celare un dolore profondo. Si è girato a cercare una pinzatrice o qualche altro accessorio da ufficio e dietro il suo orecchio c’era una cicatrice scura, come di una baionetta o sciabola o machete. Magari ai suoi tempi era stato un temibile condottiero caucasico, ma poi gli eventi avevano cospirato contro di lui e adesso si ritrovava qui, a rispondere al telefono nella filiale di una catena alberghiera. A casa però conservava i suoi video, magari video in cui passava in rassegna le truppe, e ho sperato che fosse così, perché è importante mantenere un qualche legame con il proprio passato. « Ci auguriamo di riaverla presto nostro ospite. Buona giornata » ha detto Osman. « Anche a te, amico » ho detto io. Era un augurio sincero. Una donna con le cuffie in testa stava passando lo straccio sul ballatoio in legno all’esterno delle stanze. Avrei voluto rivolgerle un sorriso gentile, ma lei non mi ha notato. Poi mi è parso di vedere mia nonna morta 20

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che mi veniva incontro, o almeno mia nonna com’era nelle fotografie. Aveva l’aria rilassata. Era impressionante. Ma quando mi è arrivata vicino non era più mia nonna. Non era proprio nessuno. Perciò ho cercato di scordarmene. Iniziavo a vedere la via per tornare a qualcosa che potessi chiamare la mia vita normale. C’ero molto vicino. Nella camera adesso la luce stava sbiancando le tende. Ho cercato di spegnere il ventilatore a soffitto perché faceva una specie di ronzio indistinto ma invece ho soltanto acceso le luci accanto al letto. Romy non se n’è accorta. Ho attraversato la stanza fino alla scrivania, dov’era appoggiata la mia borsa. E per quanto fossi ansioso di fare quello che un tempo i racconti pulp avranno chiamato svignarsela alla grande, volevo anche salutarla con un bacio. Non so se è una cosa da pulp, o se in questo caso sarebbe un tipo di pulp diverso, un pulp rosa, ma comunque non è forse la cosa giusta da fare, salutare con un bacio una ragazza che dorme? Non è così che fanno gli uomini passionali? Perciò mi sono avvicinato al letto e mi sono piegato su di lei. Romy stava dormendo a pancia in giù, e sul cuscino di fianco al naso c’era una sottile riga di sangue scuro.

della cui realtà cerca di dubitare Tutti pensano che non saranno lì quando qualcuno muore, intendo quando muore qualcuno che non è il loro eterno amore, la persona che hanno sposato. Tutti pensano che le cose succedano secondo una sequenza ordinata ma ovviamente non è così, o non sempre. Il tempo, come ha detto una volta il fachiro, ha questa maligna creatività nell’inventarsi le sofferenze. Alla fine succede di tutto. Si verificano combinazioni selvagge, e in realtà non sono nemmeno tanto sicuro che siano combinazioni, quanto piuttosto aspetti di21

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versi della stessa cosa. Ecco la consapevolezza che sono stato costretto a ingoiare mentre me ne stavo lì. Andavo e venivo. Ero come un ologramma o un’illusione ottica. O come un’insegna al neon: mi accendevo e spegnevo ed ero sinistro. Ho guardato in basso. Allora, che razza di grosso calibro sei? Mi sono detto. Non sei grosso, proprio per un cazzo. Ho guardato in alto. Il ventilatore continuava a girare in tondo. Di base, era un’altra versione di me. Ho guardato di nuovo giù, verso Romy. Sì, tutti pensano di sapere in che ordine andranno le cose, ma di fatto non è vero per niente. Persino se una cosa è successa o no, è raramente incontrovertibile. Credo che abbiamo la tendenza a straesagerare l’idea che le cose siano reali. O almeno, io stavo cercando di capire quanto poteva essere reale una cosa se per il momento era così totalmente segreta. Cioè, fatevi un po’ un vostro miniquiz. Se una ragazza stupenda si mette a baciarvi sul sedile posteriore di un taxi mentre siete tutti e due fatti di ketamina, andate a casa a dirlo a vostra moglie? Non credo. Vi tenete la bionda stupenda per voi come diapositiva stereoscopica per le serate d’inverno, e quindi lei non esiste affatto. O se vostro marito sa che non fumate ma voi vi siete concesse una sigaretta di straforo, perché turbare la sua serenità? Cercate una gomma da masticare per addolcirvi l’alito e tornate a casa come se niente fosse. E se vi comportate come se niente fosse, se nulla nel vostro comportamento lascia trapelare il minimo indizio che è successo qualcosa, quel qualcosa è davvero successo? Questa è la mia domanda. Questo è ciò che intendo, o una delle cose che intendo, quando dico che non era successo niente. In quel preciso istante la situazione era nota solo a me e quindi forse non era nota e basta. Anche se non è così facile pensarlo davvero quando nella situazione ci sei dentro.

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con sangue su tutta la scena Il sangue mi pareva rosso, ma più da vicino sembrava nero. Era un liquido rosso che stava diventando nero o un liquido nero che diventava rosso. Sembrava che continuasse a sgorgare sempre più – come dire? – copioso. Credo che copioso sia la parola che si usa di solito con sgorgare. Allora ho cercato di chiamare Romy, ma la mia voce non ne ha voluto sapere. Non mi è venuto fuori niente. Ho provato a fare un respiro, ma mi riusciva difficile anche quello. Era come se avessi il cuore da qualche parte sulla superficie del corpo. Mi sentivo ancora in gola un sapore residuo di uovo dalla colazione. In altre parole ero molto, molto impreparato, tipo l’incubo in cui devi fare una presentazione in PowerPoint ma hai lasciato il portatile nella Chevrolet di qualcuno che non conosci. Mi sentivo decisamente a disagio. Perché se mi immaginate a una serata di speed-date in cui mi chiedono di definirmi, io non avrei problemi a dire che ero un cittadino modello. Non credo di esagerare. I miei voti in lettere erano buoni, i miei voti in matematica erano spettacolari. Avevo letto i classici. Avevo un talento per gli esami. Mi è chiaro che non tutti hanno la fortuna di un talento del genere, e sono molto grato di questo privilegio. Fai le cose per bene, dicevano mia madre e mio padre, e avrai successo. Dai gli esami, sii diligente. Sei un portento, mi dicevano. Un tempo pensavo avessero ragione, ma in quel momento non ero più tanto sicuro che alla fine dei conti bastasse. A quanto pare puoi avere tutti gli antenati che vuoi sospesi intorno a te come nuvolette di zucchero filato, ma non ti saranno comunque di nessun aiuto con le tue fisse e le tue angosce. Dentro la stanza, i miei pensieri erano lenti come un pezzo dub. Mi è tornato in mente un articolo su un ragazzo che si era messo a dormire e quando si era svegliato aveva visto una ragazza che si buttava dalla 23

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finestra. Non mi andava molto di pensare che, con qualche differenza, quel ragazzo ero io, ma l’unica altra possibilità a parte il suicidio era che in qualche modo a Romy fosse venuta una crisi o un attacco. E naturalmente nella mia testa la droga era l’indiziato o la causa principale di tutta la faccenda, e siccome ero io la persona che aveva procurato la droga, non è che mi facesse molto piacere. Ma al momento non ero poi così interessato alla causa, ero più interessato all’e adesso che succede. Non avevo mai pensato alla vita come a una struttura, invece in quel momento l’idea che avevo in testa era proprio quella, perché hanno cominciato a venirmi in mente quei video in cui fanno saltare gli edifici e li vedi accasciarsi e disintegrarsi da dentro. E non pensavo che ci si potesse aspettare che sapessi cosa fare in quella situazione. Sembrava oltre le capacità di cui dispone un cittadino medio. Ho guardato fuori dalla finestra. All’esterno era tutto molto fermo. In bagno c’erano due asciugamani per le mani, due per il corpo, un accappatoio e un tappetino. La carta igienica rimasta nella tazza dalla notte prima si era gonfiata come un paracadute, o una seppia. Alla parete c’era un altro quadro di velluto: il torso nudo di una donna nera, con seni e occhiali da sole lucenti su uno sfondo turchese. Mentre fuori era parcheggiata la mia macchina... ah, fuori, dove c’erano anche la luce del sole e il cielo e tutto era così normale. Nuvole che si radunavano. Nuvole che si disperdevano. Se avessi acceso la radio avrei sentito una voce spiegare gli effetti delle condizioni meteorologiche sulla nostra città, ma non l’ho fatto perché stavo aprendo il rubinetto dell’acqua calda. Mi sono lavato le mani. E ho pensato a Romy. Perché riflettere approfonditamente è sempre stato il mio forte. Avevo fatto il check out senza dire che nel mio letto c’era una ragazza; ero rimasto seduto al ristorante senza essere notato per più di dieci minuti. Quindi un osservatore imparziale, ho pensato, avreb24

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be potuto trarre conclusioni sbagliate. Ovviamente avrei potuto fare la cosa più naturale, la cosa richiesta dalla legge, cioè tornare dal tizio di nome Osman a chiedere aiuto e spiegare tra miserabili suppliche che avevo trovato la mia amica in stato comatoso nel letto ma che io non c’entravo niente, o solo in modo molto marginale... sì, immagino che sarei potuto tornare da Osman a discutere la questione degli ospedali e della polizia, ma le voci che avevo in testa non erano così normali. Le voci che avevo in testa andavano per conto loro. Tendevano a preferire che tenessi la cosa per me.

che crea piccole insidie e impasse Romy aveva il braccio sinistro dietro la schiena e la guancia sinistra delicatamente premuta contro il cuscino. Era tipo la diapositiva di una bambina che dorme o di un cherubino, ma anche no. Prima di tutto dovevo pulire il sangue sul cuscino accanto a lei, perché sembrava una cosa dolce da fare, e io cerco sempre di fare le cose dolci. Non credo che a quel punto avessi ancora stabilito un piano generale. Ho preso un asciugamano grande e l’ho posato sul sangue. La spugna bianca è diventata marrone. E ho pensato che forse era la prima volta che vedevo il sangue di qualcuno, cioè sangue che non fosse di una piccola ferita o del mestruo di una ragazza, ma un vero e proprio lago. Non volevo toccarlo ma sapevo che non potevo evitarlo. Avevo questa paura del sangue altrui, come avevo una paura indefinita di venire dentro una ragazza senza preservativo. Non credo sia una rarità. Ho raccolto l’asciugamano e ho cercato di pulirlo nel lavandino, e nel farlo ho lasciato una sottile scia di sangue sul pavimento del bagno, che era sottile, certo, ma anche sinistra e repellente. Poi, in ginocchio sul bordo del letto, ho preso Romy 25

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fra le braccia, da dietro, e le ho sollevato delicatamente il petto e mi è parso sbagliato toccarle i seni a quel modo, e questo paradosso per un momento è stato intrigante ma poi mi è scappato un grido di orrore. Non sono riuscito a trattenermi. Mi è uscito di bocca prima ancora di potermene accorgere. Stavo tremando. L’ho tenuta lì come se stessi compiendo la manovra di Heimlich al rallentatore: prima fissando il cuscino, che era un macello di poliestere e vomito e probabilmente altro sangue, una scena horror totale, poi guardando di lato a quella che un tempo era l’espressione di Romy, se non fosse che tutta l’espressività se n’era andata. L’ho tenuta lì. Mi sono piegato sulla sua faccia e aveva la bocca che puzzava di vomito ma era anche calda, e questo, dovevo riconoscere, era un ottimo segno. Se mi concentravo a fondo mi sembrava anche che stesse respirando e volevo concentrarmi ancora di più su questa cosa, ma non ci riuscivo. Perché per tornare a te, signor presentatore del talk show, se vuoi sapere cosa si prova a incontrare il Fato, si prova questa sensazione qua. Tu sei lì che tieni un corpo fra le braccia, quando senti qualcuno bussare bruscamente alla porta e poi infilare nella fessura la carta magnetica. Ecco che sensazione si prova. Potrei anche obiettare che sarebbe carino se magari per una volta il Fato usasse una suoneria più originale. Così ho lasciato ricadere Romy sul cuscino, delicatamente, e sono corso alla porta. Mi sono trovato davanti la cameriera, con le cuffie in testa e in mano un mocio e delle spazzole. Non avevo fatto in tempo a controllare se ero sporco di sangue. Probabilmente sì. Può darsi che la gente non ci faccia più caso. Può darsi che nel mondo moderno il sangue non colpisca più. Per quanto mi riguarda, io sono sempre stato all’antica. « Pulizie » ha detto la donna. « Ma sono ancora dentro » ho detto io. 26

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« La stanza non è più occupata. » « Ma se ci sono io. » Mi stavo sforzando di apparire sicuro di me, come faccio sempre. Lei ha guardato dentro e immagino avrà visto un paio di gambe femminili nude. Mi ha guardato. Dev’essere sembrato quasi plausibile che fossi una sottospecie di dongiovanni, o almeno mi piace pensare così. « Hanno detto che era andato » ha detto lei. « Stiamo andando » ho detto io. « Dieci minuti. Dieci minuti, mister. » Probabilmente è stato allora che il mio piano mi è risultato chiaro, un piano che mi sembra tuttora molto accurato. Ho pensato che c’erano almeno due o tre cose fondamentali. Che dovevo procurare a Romy un’assistenza medica, che dovevo farlo all’insaputa del personale dell’albergo in modo che possibilmente restasse all’insaputa anche di Candy e dei miei, e che dovevo darmi subito una mossa. Era una tripletta difficile, ma forse non impossibile. Volevo che Romy se la cavasse e volevo tornare alla mia vita normale, o almeno alla possibilità che esistesse una vita normale.

nella maniera di molti miti catastrofici Immagino che altri avranno modi diversi di analizzare la faccenda. So che in una situazione del genere mio padre riconoscerebbe senza battere ciglio la presenza del diavolo, perché anche se non è particolarmente religioso ha i suoi momenti di simbolismo. Lui vede all’opera ovunque uno spirito inquisitore. In effetti, credo sia uno dei miei primi ricordi, io lì in piedi con indosso i miei braccioli ad aspettare che torni dalla shul per portarmi in piscina. Sotto sotto, in gran segreto, mio padre crede ai diavoli, e anche se io non mi sono mai 27

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fatto convincere del tutto, mentre lo dico mi rendo conto che spesso ho paura di tutta una serie di mostri. Io chiamo i miei diavoli mostri ma alla fine forse non c’è tutta questa differenza. Ricordo gli antichi mostri mutanti del museo nazionale e mi fanno ancora parecchia paura, quelle immagini del dio verde e del suo dio-sciacallo che presiede il giudizio finale, il dio divoratore con la testa di coccodrillo e la solitaria piuma della verità. Anche se almeno il dio-sciacallo se ne sta giù di sotto nella sua sala di alabastro. Mentre questa scena in una stanza d’albergo somigliava di più a quello che succede quando gli dei decidono di risalire a grandi balzi la scala che li porta sulla terra; e quando lo fanno è per ammazzarti. Avete mai incontrato un dio? Sono fatti così. Non possono farci niente. Gli dispiace tanto, agli dei, però ti fottono lo stesso. Come la dea mangiatrice di bambini che vorrebbe tanto ma non può, proprio non può trattenersi dall’ingollarsi la tua figlioletta. O come gli dei che una volta ordinarono di costruirgli tre templi in una notte. Ma l’alba, come raccontano le scritture, arrivò troppo presto e perciò le suddette divinità apparvero e schiantarono le impalcature, come giocatori di calcio che si danno allo stupro di gruppo.

e tuttavia fa del suo meglio Così ho intrapreso il folle progetto di consegnare con discrezione il corpo di Romy alle cure di professionisti esperti. Era un po’ la disperazione che ti prende quando sei sul GameBoy con la pila quasi a zero mentre stai per raggiungere il tuo record personale. Ma ovviamente anche peggio. Era come se il tempo fosse finito, ma anche dilatato. Ho afferrato Romy sotto le ascelle e l’ho trascinata più delicatamente che potevo fino a farle scivolare le gambe giù dal letto, sul 28

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pavimento, quindi le ho adagiato il busto a terra. Non è stato facilissimo, ma comunque più facile che rimetterle gli abiti. Era come vestire una bambina che fa storie, tipo che è stanchissima e non vuole uscire dal corso di danza. Le braccia sono state complicatissime e all’improvviso sembrava avere le gambe incredibilmente lunghe. Comunque sono riuscito in qualche modo a vestirla. Ma per potercene andare mi sono reso conto che prima dovevo fare in modo che la stanza sembrasse in ordine. Così ho sfilato la federa insanguinata e anche il lenzuolo con vomito e bava. Credo che se fossi riuscito a parlare la mia voce sarebbe stata più profonda, un vero e proprio basso, tipo quando nei film horror mettono le voci al rallentatore o quando si consumavano le batterie nei registratori di quando ero piccolo. Non sapevo che cosa fare con il lenzuolo e la federa e il già citato asciugamano zuppo. Avevo un sacchetto per la spesa ma, come ho scoperto in quel momento, era bucato in due punti; e avevo anche il mio zainetto, ma se potevo evitarlo avrei preferito non insanguinare e sporcare lo zainetto, altrimenti poi avrei dovuto abbandonarlo, il che non mi preoccupava tanto per lo zainetto in sé quanto per la sua possibile futura esistenza come reperto contro di me nel caso Romy fosse morta all’improvviso. Ho guardato il cestino della camera. Il cestino della camera era un secchio di acciaio inossidabile. Ma dentro il cestino a pedale del bagno c’era una busta di plastica nuova, ancora ripiegata. L’ho allargata infilandoci dentro la mano, tipo quei sacchetti per raccogliere la cacca di cane. Poi, tenendola aperta, ci ho premuto dentro con cautela la federa e il lenzuolo, e quindi l’asciugamano insanguinato, ma la busta restava spalancata e il sangue era parecchio visibile. Ho cercato di levarmi le stringhe dalle sneakers. Ero così affannato e terrorizzato che non riuscivo a sfilarle: le stringhe non venivano fuori, erano sporche, quindi mi sono messo a sfregare 29

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sugli incroci e mi veniva da piangere. Alla fine, dalle mani mi penzolavano due stringhe. Le scarpe erano così larghe che i piedi sembravano sguazzare. Ho strangolato la busta con le stringhe e l’ho posata piano sul pavimento. E lo so che in qualche modo il furto di lenzuolo, federa e asciugamano era sicuramente un reato, e un reato che sarebbe senz’altro stato scoperto, ma mi sembrava anche roba molto minore, il tipo di reato che porta solo a un prelievo extra dalla carta di credito; ed era sicuramente meglio che far scoprire il sangue, con le conseguenti deduzioni da parte delle autorità. Ora che il lenzuolo era tolto, però, ho notato che oltre al cuscino, anche il materasso aveva questa macchia informe, una specie di orribile trascoloramento. Non avevo mai visto nulla del genere. Non riesco a trovargli una somiglianza con niente. È come cercare qualcosa che somiglia al capoc, o alla tundra. Ecco con quanta facilità una cosa informe può infiltrarsi nella tua vita. E in queste situazioni credo che mia madre direbbe che devi solo fare il meglio che puoi, perché da te non ci si può aspettare nient’altro, e quindi ho deciso che ci avrei provato, il che significava voltare il materasso dall’altra parte. Ma un materasso è enorme. E io sono piccolo. Dico sul serio. Non sono un Gorilla Monsoon o un Brutus Beefcake. Ogni volta che vedo un personal trainer, e non capita spesso, lui tende a guardarmi con dolce sgomento, nel modo in cui la gente comune guarda i nani disgraziati, perché alla fine ciascuno non può che tenere in considerazione il proprio posto nell’infinita catena dell’essere. Per spostare un materasso, quindi, ho sudato e ansimato. Ho manipolato quel compatto materasso a molle in modo da fargli descrivere un cerchio approssimativo. L’ho ripiegato su se stesso fino al punto in cui, per un istante, si è fermato in equilibrio instabile sulla cresta della sua onda fradicia. Quindi è crollato sotto il proprio peso ed è ricaduto in posizione orizzontale. 30

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L’ho ricoperto con il piumino. A quel punto il problema da risolvere nei quattro minuti restanti prima del ritorno della cameriera era manovrare il corpo di Romy per farlo uscire dalla porta e caricarlo sulla macchina in un modo che sembrasse il più normale possibile. Per prima cosa sono andato al lavandino del bagno e ho cercato di sfregarmi lo sporco dalle unghie, senza ottenere grandi risultati. Avevo ancora un gran bisogno di sedermi sulla tazza, ma ormai era fuori discussione. Niente in quella stanza avrebbe mai più potuto essermi d’aiuto.

& scompare dalla scena insanguinata Mi chiedo se sono riuscito a mantenere il controllo della situazione solo perché siamo nell’era della pianificazione a tappeto. In una giornata qualsiasi ci sono così tanti conteggi di calorie, ripetizioni di esercizi fisici e controlli di email che in fondo questo scarrozzare corpi è molto meno strano di quanto diresti. È un modo come tanti altri di organizzare un’incombenza nel dettaglio. Ho trascinato Romy verso la soglia. Ho cercato di essere delicato, ma ovviamente alla fine non mi è riuscito granché. Poi ho dovuto fare in modo di reggerla in piedi tenendola più o meno all’altezza delle mie spalle, e a un tratto mi sono pentito di tutte le ore passate sugli aggregatori di news e sui video di YouTube. L’intera cronologia del mio tempo perso mi ha messo tristezza, come fosse spuntata una minaccia quando non sembrava esserci alcuna minaccia in vista, e attento come sono sempre ai segnali di pericolo mi sono rimproverato di non essermi accorto che il vero pericolo era proprio lì, mentre io non facevo altro che esistere. Era pieno giorno, non proprio la situazione migliore per infilare un corpo comatoso in una macchina te31

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nendolo dritto. Stavo anche riflettendo sul fatto che nella mia consueta attrazione per le donne più alte di me, forse mi ero spinto un po’ troppo in là. Se non altro la cameriera era andata da qualche parte, a telefonare al figlio o anche solo a guardare le auto sulla motorway mentre si rollava una sigarettina in piedi. Non c’era nessuno. Il Fato doveva essere andato un attimo a farsi un hamburger o un succo di albicocca. Mentre cercavo di aprire la portiera della macchina dalla parte del passeggero ho visto dispiegarsi l’intera sequenza degli eventi futuri, e poi è stato tipo quei momenti nelle storie dei santi in cui il saggio che ha vissuto tutta la vita nel deserto o, che so, nella foresta, è investito da un bagno di luce pazzesco, una rivelazione profonda. Mi piacerebbe chiamare questa visione amore, o qualcosa del genere. Era come se riuscissi a sentire mezzo addormentato mia moglie che mi respirava accanto e ho pensato di nuovo di essere sul punto di piangere, ma poi gradualmente mi sono trattenuto. C’erano intorno un po’ di alberi morti, forse palme, che producevano un ticchettio secco: i palmetti erano un’infilata di vecchi orologi. Una farfalla di una varietà che pensavo estinta da un pezzo mi è passata accanto come se vibrasse su un filo di vento afoso. Ho spinto dentro Romy tenendole la mano sopra la testa, delicatamente, come un’aureola. Poi dal sacchetto che stringevo si è sciolta una stringa ed è apparso l’asciugamano, una patacca molle di rosso bagnaticcio e denso. Ho pensato che si sarebbe rovesciato fuori tutto l’accrocco e sono andato nel panico, e invece ha retto, nel più fragile degli equilibri. Ho fatto passare in qualche modo la cintura di sicurezza sopra Romy e l’ho agganciata e ho chiuso la portiera. Stavo girando intorno alla macchina ed ero come in stand-by quando ho cominciato a tremare. Non mi riusciva facile convincere le mani a fare quel che volevo. Sono cose che capitano, mi sono detto. I casini capitano. Poi mi sono 32

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accorto che Quincy mi stava osservando durante la sua pausa sigaretta. Perché non c’è motivo per cui una vita non debba presentarsi con tanto di risate fuori scena, proprio non c’è motivo. Ho detto pausa sigaretta ma ovviamente non ho idea di cosa stesse facendo in realtà. Era solo lì sulla porta del ristorante e ha attaccato una mezza conversazione a distanza. « Vuoi una sigaretta? » ha detto. « Come? » ho detto io. « Se vuoi una sigaretta. » « Non lo so. » « Non lo sai? » « Cioè, no. » Dopo lo scambio di battute certo non soddisfacente è caduto il silenzio. Speravo che questo l’avrebbe fatta desistere, invece ha ripreso. « Come ti chiami? » ha detto. « Come mi chiamo? » A volte è utile avere il mio aspetto, almeno per come mi vedono alcuni, cioè più giovane di quanto sono; ho questa faccia innocente con gli occhioni sgranati, e in certe occasioni la cosa ha i suoi vantaggi. Perciò mi sono limitato a guardarla. Ho lasciato che il silenzio si gonfiasse fino a farla sclerare. « Va be’. Fa niente » ha detto Quincy. E se n’è andata perplessa e stranita, lasciandomi lì in uno stato di invidia o malinconia per la sua beata condizione di dipendente incorrotta, anche se questo mio stato continuava a essere anche di panico totale. E con questo intendo: era giusto che fossi punito a quel modo? La situazione peggiorerà ancora, e di tanto, eppure credo che sia il momento giusto per porre questa domanda. Non avevo fatto altro che svegliarmi – per la primissima volta in vita mia – accanto a una donna che non era mia moglie. È davvero tanto deplorevole? 33

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Io nemmeno credevo che cose enormi – tipo omicidi e morte e distruzione – fossero davvero reali, cioè non avevo mai pensato che nella vita potesse capitare sul serio roba del genere, e adesso che una roba del genere stava succedendo mi sentivo sbalordito e anche confuso. Sì, credo sia stato più o meno allora che ho iniziato a cogliere il primo vago sospetto – tipo quando vedi un gatto che entra nella ripresa di un porno amatoriale e si mette a sedere lì, ecco, l’ho colto nella stessa maniera periferica – che forse la mia sorte era segnata. Era tipo quando guardi per aria e vedi un aereo che passa lontano e solo per un triste istante pensi che magari gli si stanno guastando i motori. Mi è sembrato che fosse proprio un’ingiustizia. Odio il male in tutte le sue forme. Sono diventato vegetariano perché ho visualizzato una mucca che sanguinava completamente scuoiata, e sanguinava, sanguinava dagli occhi. Il piatto più buono che ho mai mangiato è stato un’oca finta, che ho apprezzato soprattutto per la nobile ingegnosità. Sto imparando da solo a suonare il banjo. Leggere gli annunci sul giornale mi mette tristezza. In me non c’è cattiveria. E invece ecco che, mentre contemplava la scena con occhio da intenditore, il Fato si stava dicendo: assicurati che nemmeno un angolino di suolo liscio resti senza impronte di scarpe insanguinate. Non credo di esagerare. Corrisponde ai fatti per come li vedo io. Avrei preferito che il Fato si concentrasse di più sul futuro di – che ne so – Aldebaran, ma invece no, sembrava preferire me. E per tutta risposta io vorrei dire che non era per niente giusto. O meglio, no, ecco cosa pensavo. Sono altrove, da qualche parte nella loro nave nera, i tuoi nemici. I pirati sono ormeggiati là fuori nel porto a bere champagne. Dentro la nave-cisterna nera. E parlo di tutti gli altri. Mentre tu sei qui e sei da solo. E non ti interessano più le poesie dei saggi buddhisti o i film girati con la camera a mano o quel che è. L’intera cultura non 34

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c’entra niente. Non è più roba tua, la cultura. Perché adesso, contro la tua volontà, hai subito una metamorfosi. All’improvviso mi sono sentito vuoto, come fossi la Piantagione di Windsor che per colpa di una sola, incauta sigaretta si trasforma di botto e diventa le Rovine di Windsor. Stavo uscendo dal parcheggio con una macchina che aveva lo sterzo messo male e, ho pensato, andava sistemato prima che qualcosa andasse storto sulla strada e mi ammazzassi, ma se questo era un problema, non era un problema grande quanto il trasporto coatto di una ragazza priva di conoscenza di cui potresti essere illecitamente innamorato. E mi stavo dicendo: ragazzo mio, al momento sei il gangster più imbranato del mondo. O, in altre parole, sei sempre stato ingenuo da morire. Tua madre diceva sempre che era la qualità più carina che avevi. E adesso guardati.

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Fotocomposizione: Nuovo Gruppo Grafico S.r.l. – Milano Finito di stampare nel mese di agosto 2015 per conto della Ugo Guanda S.r.l. dal Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche – Bergamo Printed in Italy

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