etfe thesis

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L’impiego dell’ETFE in architettura: studio dell’evoluzione delle pressostrutture, valutazione delle prestazioni e analisi di progetti rilevanti Studente: Lorenzo De Vecchi Relatrice: Alessandra Zanelli

POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle costruzioni Laurea di primo livello Scienze dell’Architettura A.a. 2015-2016



POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle costruzioni Laurea di primo livello Corso di studio: Scienze dell’Architettura Anno accademico: 2015 - 2016 Studente: Lorenzo De Vecchi 795320 Relatrice: Alessandra Zanelli



INTRODUZIONE 1 - IL PERCORSO STORICO CHE HA PORTATO ALLA NASCITA DELL’ETFE 1.1 - Il contributo di R. Buckminster Fuller e Frei Otto al concetto di aria come materiale da costruzione

10 - 21

1.2 - Il processo di avanzamento delle pressostrutture

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1.3 - Lo sviluppo dei primi involucri in ETFE

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2 - ETFE: UNA “PELLE” PERFORMANTE 2.1 - Le diverse fasi di lavorazione che ne caratterizzano la produzione

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2.2 - Le potenzialità dell’ETFE in ambito architettonico: vantaggi e possibili miglioramenti

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3 - CRONOLOGIA RAGIONATA DEI PRINCIPALI PROGETTI CON RIVESTIMENTI IN ETFE

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4 - ANALISI DI SEI CASI STUDIO CHE METTONO IN LUCE I VANTAGGI DERIVATI DALL’IMPIEGO DELL’ETFE 4.1 - Eden Project. Il primo progetto su misura per l’ETFE 4.2 - Southern Cross Station. Leggerezza e flessibilità per gestire ampi spazi luminosi

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4.3 - San Mamés Barria Stadium. Modularità, dinamismo, efficienza

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4.4 - Coca-Cola Beatbox Pavilion. Trarre vantaggio dal difetto acustico del materiale

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4.5 - Serpentine Pavilion (2015). Una tecnologia complessa resa semplice e divertente

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4.6 - German Pavilion at Expo 2015. Nuove prospettive di sostenibilità attraverso i sistemi OPV

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CONCLUSIONI La situazione di utilizzo al giorno d’oggi e le prospettive future PHOTO CREDITS BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

E’ raro trovare nel corso della storia un nuovo materiale, che, una volta introdotto nell’industria edilizia, abbia avuto un rilevante impatto sul design e le performance costruttive così come l’ETFE. Durante il Novecento si è assistito a numerose proposte di nuovi materiali e tecnologie frutto della creatività e dell’inventiva di esperti ingegneri. In molti casi, questi materiali hanno riscosso un notevole successo nel primo periodo del loro impiego, perdendo consenso poi, e finendo col diventare sempre meno utilizzati. I gusci in calcestruzzo, per esempio, furono proposti negli anni cinquanta e riscontrarono maggior successo una decina di anni dopo, ma, da lì in avanti, causa il cambiamento nell’industria edilizia dettato dalla crisi economica e dalla continua evoluzione dei requisiti e dei canoni imposti dai committenti, l’interesse per questa tecnologia è andato via via diminuendo. Un cambiamento sostanziale avvenne, invece, quando nel 1955 fu introdotto un nuovo metodo di laminazione e indurimento del vetro, il cosiddetto float glass, che ne rivoluzionò l’uso in ambito edilizio, permettendo di ottenere lastre di dimensioni superiori. Tuttavia, fratture e rotture di una o più lastre che compongono il vetro sono molto frequenti e costituiscono, assieme al costo e all’eccessiva fragilità, il principale problema di questa innovazione. Anche l’architettura tessile si sviluppò in quel periodo e raggiunse l’apice di utilizzo negli anni set-

tanta, ma rimase poi una tecnologia marginale all’interno del settore edile. Nonostante ciò, il suo avvento non fu inutile, poiché i principi di trasportabilità, adattabilità e flessibilità, dei quali era promotrice non andarono persi negli anni, ma, anzi, giunsero fino ai giorni nostri, contribuendo all’evoluzione del pensiero architettonico che ha condotto poi alle pressostrutture contemporanee. Durante i conflitti mondiali, le esigenze militari e le emergenze umanitarie furono determinanti per l’avvio di nuovi studi che ebbero come obiettivo la messa a punto di sistemi costruttivi temporanei leggeri e trasportabili. In periodo di guerra occorreva infatti progettare strutture il più possibile leggere, veloci da assemblare e smontare e che potessero adattarsi con relativa facilità alle asperità del terreno in prossimità dei campi di battaglia. L’evoluzione di queste strutture si verificò poi nell’immediato dopoguerra quando vennero convertite in una vera e propria tecnologia costruttiva e si incominciò ad utilizzarla in alcuni ambiti della vita quotidiana. Successivamente occupò un ruolo primario la ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali che potessero essere utilizzati per migliorare le tecnologie costruttive leggere messe a punto poco prima. Una categoria di materiali che incominciò ad essere impiegata in campo militare per poi ampliare le proprie prospettive in architettura fu quella dei rivestimenti pneumatici.


A questo proposito fu essenziale l’intero lavoro condotto dall’ingegnere Walter Bird, che fu tra i primi a scoprire le valide proprietà isolanti di questi materiali e a sfruttarle per la realizzazione di involucri di protezione per le antenne radar. Oltre a Bird vi furono altre menti illustri che contribuirono alla ricerca e allo sviluppo delle prime strutture superleggere col fine di perseguire l’efficienza costruttiva. Tra i principali promotori vi furono Richard Buckminster Fuller e Frei Otto, ma anche Ted Happold e David Geiger. Fuller (1895 - 1983) fu un vero e proprio filosofo, oltre che ingegnere e architetto, e dedicò gran parte della sua vita allo studio e allo sviluppo di strutture geodetiche superleggere attraverso le quali promosse le proprie idee legate al concetto di mitigazione del clima e rigenerazione dell’habitat ideale per la sopravvivenza del genere umano. L’architetto e ingegnere tedesco F. Otto (1925- 2015) riprese alcune delle idee promosse da Fuller e diede un enorme contributo all’evoluzione delle strutture leggere tramite la messa a punto di sistemi di rivestimento composti da materiali tessili e trasparenti molto sottili e versatili. Il lavoro sperimentale e pratico condotto da questi promotori della ricerca contribuì in modo evidente ad indirizzare l’architettura verso l’obiettivo di una maggior efficienza. Questo agevolò lo sviluppo di nuove tecnologie costruttive più che mai leggere e flessibili. Verso la fine degli anni settanta questi sistemi costruttivi consentirono l’impiego dei primi involucri costituiti da membrane di ETFE disposte in modo da formare dei cuscini. Successivamente il duro lavoro portato avanti dal team di Buro Happold (lo studio di consulenza strutturale fondato da Ted Happold) fece sì che la nuova tecnologia si sviluppasse velocemente e trovasse largo consenso nella realizzazione di serre e

strutture per attività sportive di ogni genere, fino ad arrivare alle prime costruzioni complesse a cura della Vector Foiltec, tra cui il Chelsea and Westminster Hospital di Londra. L’obiettivo del primo capitolo di questo testo é quello di indagare gli eventi storici principali che hanno condotto alla nascita dell’ETFE, ripercorrendo i passaggi chiave dagli involucri pneumatici gonfiati interamente ad aria fino ai prematuri rivestimenti a cuscini di ETFE. Per agevolare la comprensione del funzionamento della tecnologia a cuscino é stato approfondito anche il tema dell’aria come elemento da costruzione, ponendo particolare attenzione alla distinzione tra le due principali tecnologie costruttive che si fondano su questo concetto, ovvero air-supported envelopes e air filled cushion envelopes. La differenza tra i due sistemi di rivestimenti architettonici é evidenziata attraverso l’esposizione universale di Osaka avvenuta nel 1970, che vantava un gran numero di pressostrutture e sanciva di fatto il prevalere della tecnologia a cuscino sulla preesistente. La seconda parte, invece, è incentrata esclusivamente sull’ETFE e ne mette in luce le proprietà chimiche così come le fasi di lavorazione, confrontandole con quelle simili (ma differenti) dei materiali tessili. Sono approfondite, poi, le caratteristiche che rendono l’ETFE un materiale particolarmente adatto ad essere impiegato per la realizzazione di rivestimenti trasparenti, leggeri e flessibili. Ogni sua proprietà è stata approfondita con uno sguardo critico volto ad analizzare le concrete possibilità e gli straordinari vantaggi che il materiale può recare alla progettazione di involucri trasparenti, dedicando poi uno spazio anche ai probabili


impieghi futuri e ponendo particolare attenzione a quelle che appaiono come le nuove prospettive sostenibili. Nel terzo capitolo, invece, viene riportata la schematizzazione di tutti i principali progetti che vantano l’utilizzo dell’ETFE sotto forma di diversi sistemi tecnologici confrontati tra loro. L’obiettivo in questo caso è quello di verificare l’effettivo sviluppo di questa tecnologia costruttiva durante gli ultimi quindici anni, prendendo in esame le strutture più note ad opera di celebri esponenti dell’architettura contemporanea e disponendole secondo un ordine cronologico ragionato evidenziando i principali autori del progetto e le rispettive località. In questo modo è possibile avere una visione complessiva (da un punto di vista qualitativo) di quali siano le funzioni ospitate dalle strutture con involucri in ETFE. Questo procedimento può rivelarsi molto utile per identificare le tipologie funzionali che più comunemente contribuiscono allo sviluppo dell’ETFE in tutto il pianeta e localizzandole è possibile fare una stima di quali aree del globo siano più predisposte all’utilizzo di questa tecnologia. Valutando i dati raccolti si possono fare alcune considerazioni: l’ETFE si è sviluppato inizialmente in Europa, dove é stato impiegato per ogni tipologia funzionale possibile (per strutture sanitarie, commerciali, sportive e anche in relazione a preesistenze). Di recente ha avuto un rapido sviluppo anche in territori asiatici, tra cui le principali metropoli di Cina e Giappone, ma passando anche per diverse isole del Pacifico. Anche nelle Americhe si assiste alla presenza di numerose architetture che sfruttano i vantaggi dell’ETFE, però sono pochi i casi studio di particolare rilievo e, al di là delle coperture di alcuni impianti sportivi, viene prevalentemente utilizzato nei resort

e nei gli atrii dei villaggi turistici, oppure per usi privati di certe ville monofamiliari. La tipologia di strutture che sta contribuendo maggiormente allo sviluppo di questo materiale (soprattutto attraverso la tecnologia a cuscino costituito da due o tre membrane) è quella degli impianti sportivi, in quanto l’ETFE possiede tutte le caratteristiche necessarie per garantire involucri trasparenti estremamente performanti e sempre più sostenibili. In seguito sono stati analizzati sei diversi casi studio, tre dei quali sono edifici permanenti che hanno avuto un notevole successo e hanno aiutato lo sviluppo di nuove tecniche costruttive. Questi edifici sono: l’Eden Project di Cornovaglia e la Southern Cross Station di Melbourne, entrambi ad opera dello studio Grimshaw and partners; mentre il terzo é il nuovo San Mamés Stadium di Bilbao, curato dallo studio basco ACXT (di César Azcàrate) in collaborazione con IDOM. Gli altri tre progetti studiati riguardano invece strutture temporanee, preziose per prendere visione di alcuni metodi costruttivi inediti ed estremamente originali, che sfruttano al massimo il potenziale dell’ETFE. Queste strutture sono: il Coca-Cola Beatbox Pavilion ad opera di due giovani architetti (Asif Khan e Pernilla Ohrstedt) esposto durante il periodo delle Olimpiadi di Londra del 2012; poi il Serpentine Pavilion 2015 firmato da SelgasCano in occasione della quindicesima edizione organizzata dalla Serpentine Pavilion all’interno dei Kensington Gardens di Londra; e in ultimo il Padiglione Germania progettato da Schmidhuber e ARGE per rappresentare il Paese tedesco durante l’esposizione universale di Milano avvenuta nel 2015. Lo studio di entrambe le categorie di progetti che sono presentate può rivelarsi interessante per confrontare le tecnologie costruttive impiegate in


ognuno di questi con quelle degli altri casi studio e constatare la versatilità dell’ETFE. Nei progetti di strutture permanenti si può vedere come l’utilizzo dell’ETFE sia stato determinante per l’articolazione degli spazi architettonici. Pur essendo tipologie di progetti molto diverse tra loro, l’approccio nei confronti dell’involucro è simile, poiché si sfrutta sempre la leggerezza, la trasparenza e la flessibilità del materiale, per migliorare le qualità climatica e spaziale del luogo racchiuso dal rivestimento. Nei tre casi studio temporanei proposti, invece, la questione é differente, poiché in ognuno l’ETFE viene utilizzato per una caratteristica ben precisa e vengono messe in atto soluzioni innovative mirate a massimizzare il beneficio che la struttura ne ricava. Nel Coca-Cola Beatbox, per esempio si è puntato sulla caratteristica acustica del materiale, che in altre situazioni poteva risultare negativa per l’eccessivo rimbombo, mentre qui viene sfruttata per creare effetti sonori mai raggiunti prima. Il progetto di SelgasCano per il Serpentine Pavilion 2015, invece, mira a dar vita ad un edificio in cui le differenti tinte cromatiche delle membrane impiegate caratterizzano lo spazio interno in modo vario e dinamico. In ultimo il Padiglione Germania di Expo 2015 mostra una delle innovazioni principali che potrebbero consentire un futuro prospero per l’ETFE. Qui viene messo in luce per la prima volta un sistema fotovoltaico molto più efficiente di quelli tradizionali che permette di immaginare (solo per ora) le numerose prospettive future delle quali l’ETFE può essere protagonista. In conclusione è presente una considerazione del pensiero critico dell’autore volta a dare un giudizio sull’evoluzione dell’ETFE riguardo tutte le possibili

applicazioni attraverso le quali è stato utilizzato fino ai giorni nostri e facendo delle ipotesi ragionate sui probabili impieghi futuri di questa tecnologia estremamente performante. La questione sulla quale si vuole aprire una riflessione conclusiva riguarda proprio il futuro di questo materiale e dei differenti metodi attraverso i quali si presenta. Si pone particolare attenzione alla tecnologia a cuscini di ETFE che è ad oggi la più sfruttata e performante. Si vuole ragionare su quale possa essere il destino di questo sistema, se sia in grado o meno a resistere alla moda temporanea di uno stile architettonico affermandosi in questo settore. Si discute quindi se sia già possibile avanzare ipotesi fondate su quale sarà il futuro dell’ETFE e ne consegue che i tempi non sono ancora maturi per predire con esattezza quale sarà la sorte di questo materiale. Certo è che il numero di strutture che vantano un rivestimento composto da questo materiale sono aumentate notevolmente nel corso dell’ultimo decennio e l’ammontare dei nuovi progetti che sono in fase di costruzione o devono essere cominciati è incrementato anch’esso. Queste premesse lasciano quindi ben sperare per gli interventi futuri. Al momento, inoltre, l’ETFE possiede caratteristiche eccellenti sotto diversi punti di vista, che fanno di lui uno dei materiali migliori per la costruzione di rivestimenti efficienti. Tuttavia saranno necessarie in futuro diverse sperimentazioni pratiche coordinate da un ingente lavoro di ricerca mirato a trovare soluzioni in grado di rendere ancora più efficiente la tecnologia a cuscini di ETFE in modo da ampliarne i campi di impiego.


1 - INDAGINE SUL PERCORSO STORICO CHE HA PORTATO ALLA NASCITA DELL’ETFE

1.1 - IL CONTRIBUTO DI R. BUCKMINSTER FULLER E FREI OTTO AL CONCETTO DI ARIA COME MATERIALE DA COSTRUZIONE La prima proposta di realizzare un edificio gonfiato ad aria è attribuita all’ingegnere inglese Frederick William Lanchester, il quale brevettò il progetto di un ospedale da campo nel 1917. Questo tentativo era privo di un tipo di struttura tradizionale e pensato per essere sostenuto da un flusso costante di aria a bassa pressione. Circa vent’anni dopo si occupò, in collaborazione con il fratello architetto, del disegno di un edificio per esposizioni. La struttura doveva estendersi fino a raggiungere 300 metri di diametro ed essere sorretta tramite la pressione dell’aria e una maglia tubolare. Nel 1942 gli ingegneri Herbert H. Stevens e Al Bush furono indotti dalla continua crescita di richieste nel campo dell’ingegneria bellica a completare un piano di costruzione per un’industria di aeroplani degli Stati Uniti, per il quale avrebbero dovuto adoperare dei fogli di acciaio dello spessore di 1.2 millimetri controllati attraverso la pressione esercitata dall’aria. Questi furono i primi passi che permisero dopo qualche decennio lo sviluppo delle presso-strutture. Purtroppo nessuno di questi progetti venne mai realizzato a causa del ritardo di avanzamento della tecnologia rispetto all’immaginazione e alla creatività dei loro inventori. Tuttavia le ricerche iniziate in questo campo non furono vane, ma vennero perseguite da altri architetti e ingegneri in tempi più maturi e furono 10

supportati da un’approfondita conoscenza dei materiali e dei loro utilizzi. Buckminster Fuller contribuì alla ricerca con molteplici studi accomunati dall’intento di limitare il peso e rendere trasportabile qualunque sistema di costruzione, sia che si trattasse di tipologie abitative, o di ampie coperture aviotrasportabili, oppure di strutture pieghevoli ed espandibili. Il desiderio di Fuller di realizzare abitazioni con materiali leggeri prodotti industrialmente, con un peso perfettamente controllabile e quantificabile, diventa realtà solo con l’avvento della seconda guerra mondiale. Le prime cellule abitative frutto del suo genio, le ‘Dymaxion Deploiment Unit’ (DDU), furono installate a Washington, all’interno dell’Haynes Point Park, nell’aprile del 1941, come esperimento delle agenzie governative e militari per gli alloggi. Queste micro-case su misura erano estremamente semplici, leggere e rigorosamente prefabbricate, tant’è che per montarle era stato messo a punto un kit che comprendeva l’arredo, il piccolo bagno cilindrico e una stufa. L’assemblaggio a secco avveniva a partire da un unico elemento di sostegno verticale, posto nel centro, come una sorta di tronco che sorreggeva il resto della struttura. In seguito, una volta terminata la costruzione, era possibile rimuovere questo sostegno, poiché la copertura conica lavorava come una cupola, scaricando tutto il peso sul perimetro circolare sottostante. La copertura poteva essere comodamente as-


semblata a terra ed era costituita da una doppia membrana di tessuto impermeabilizzato e da uno strato intermedio di fibra di vetro, per migliorare l’assorbimento termico e acustico. Ogni parte della membrana veniva fatta passare all’interno di apposite guide radiali in alluminio, curvate per conferire al tetto la forma conica, e aventi funzione sia di cerniere di collegamento tra due teli adiacenti, sia di canali di gronda. La stabilità del tetto veniva raggiunta solamente se tutti gli spicchi di tessuto erano ben tesi e ancorati alle rispettive guide. Le finestre, simili a degli oblò di forma circolare, erano composte da plastica acrilica trasparente ed erano di dimensioni modeste in modo da ridurre al minimo la superficie vulnerabile nel caso in cui scoppiasse un’ordigno nelle vicinanze. Le DDU furono acquisite dall’esercito americano che le impiegò in diversi fronti militari, tra i quali il Golfo Persico, prevalentemente come dormitori per i meccanici dei caccia-bombardieri. Prima di arrivare a progettare la DDU, i molteplici studi compiuti da Fuller sfociarono nella prima unità abitativa efficiente, la Dymaxion House del 1927. Nonostante non venne mai realizzata, è interessante notare che per il suo progetto pensò di impiegare diversi materiali come l’acciaio e l’alluminio sotto forma di pali e tubi strutturali, attraverso alcuni dei quali doveva passare il flusso d’aria necessario per mantenere il materiale tessile che costituiva la copertura in costante tensione. Il nome era frutto della fusione dei termini dynamic maximum e tension; era rigorosamente governata da leggi geometriche e anche l’arredo interno era disposto in modo da seguire il ritmo modulare imposto dalla pianta.

Bedroom Bath

Kitchen

Living Bedroom

Bedroom

Figura 1 pianta tipo di una delle DDU progettate da Fuller nel 1941.

Figura 2 una delle DDU assemblate all’interno dell’Haynes Point Park di Washington.

Figura 3 la Wichita House (1948), il prototipo della casa efficiente secondo il suo ideatore Fuller. Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

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Figura 4 uno scatto che ritrae Fuller e il plastico della Dymaxion House nel 1927.

Nella Dymaxion House, a differenza della DDU, il tronco centrale non poteva essere rimosso una volta completato l’assemblaggio, poiché era questo elemento a sorreggere l’intera struttura, nata da una ben evidente ispirazione al mondo naturale, paragonabile infatti ad un albero reso ospitale per l’uomo. L’intero sistema era sorretto da questo tronco centrale e mantenuto stabile da una serie di pali verticali, ai quali veniva ancorata la copertura costituita da un materiale tessile chiamato Airmat, prodotto solo negli Stati Uniti e nel Regno Unito da parte dell’Istituto di Ricerca e Sviluppo Militare. Fuller descriveva così la struttura della Dymaxion House nella raccolta delle “Lightful Houses” nel 1928: “...made of duralumin tubes, inflated to high pressure, in triangulation with piano-wire steel – similar to a battleship mast or a dirigible mooring…The floors likewise, in tension between two flexible shells, the upper one which might be something like synthetic approximations of leather.” 1

Figura 5 la planimetria e l’alzato frontale della Dymaxion House.

12 Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

La Whichita House venne costruita nel 1945 e presentava sostanziali differenze rispetto alla precedente Dymaxion House. La prima risiedeva nella forma sferica, con una sagoma simile ad un ombrello o un dirigibile; la seconda nella facilità del montaggio, che, secondo il progettista, avrebbe risolto il problema derivato dalla crisi degli alloggi e avrebbe rinnovato radicalmente il settore dell’edilizia, proprio come Henry Ford aveva fatto nell’industria automobilistica. Il concetto di efficienza, inteso come il raggiungimento del miglior risultato con il minor sforzo strutturale, era strettamente legato all’idea di leggerezza dei materiali da impiegare, requisiti fondamentali per Fuller, che seppe coordinare


assieme ad una meticolosa attenzione nei confronti dell’ambiente. Buckminster infatti non si limitò a sperimentare le potenzialità degli habitat trasportabili e flessibili solo attraverso sistemi di tensostrutture, ma studiò anche i sistemi geodetici. Le strutture geodetiche si configuravano come insiemi di aste e nodi che, una volta sviluppati nello spazio, permettevano di dar vita ad ampie coperture senza ricorrere a sostegni verticali intermedi, con luci dell’ordine di 200/300 metri. Anche in questo ambito ha operato con l’intento di raggiungere la massima efficienza, realizzando strutture sempre più leggere e semplici da assemblare e trasportare, fino ad indagare la possibilità di mettere a punto soluzioni pieghevoli. La quantità di cupole costruite da Fuller é inimmaginabile e altrettanti sono gli utilizzi per i quali venivano progettate. Due hanno influenzato in particolar modo i sistemi costruttivi riproposti svariate volte nella contemporaneità. Le cupole geodetiche, chiamate anche “bubbles” da Fuller, ‘Instant Dome’ del 1947 e ‘Garden of Eden’ del 1949 propongono soluzioni innovative in termini di portabilità e sono, allo stesso tempo, la dimostrazione dell’importanza che Fuller ha avuto nelle generazioni dei suoi studenti, sia come progettista, sia come professore, nel trasmettere loro un approccio alla sperimentazione e all’uso appropriato dei materiali disponibili. Questi due esperimenti infatti sono stati i primi di una lunga serie di sistemi costruttivi compiuti in collaborazione dei suoi stessi studenti. La categoria di cupole che Fuller denominò Instan Dome nel 1947 si differenziava dalle strutture geodetiche realizzate in precedenza poiché dovevano soddisfare il requisito primario che corrispondeva ad un semplice montaggio e

Figura 6 Fuller testa la resistenza di una struttura geodetica assieme ai suoi studenti.

Figura 7 la prima Instant Dome realizzata da Fuller e i suoi studenti nel 1947 con rivestimento totalmente trasparente.

Figura 8 Fuller e il prototipo della struttura geodesica superleggera chiamata Garden of Eden. Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

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Figura 9 uno scatto che ritrae la Dymaxion Car e la Fly’s Eye Dome assieme al loro inventore B. Fuller in occasione del suo ottantacinquesimo compleanno.

smontabilità; dovevano essere sufficientemente leggere, ma allo stesso tempo rigide per agevolare l’assemblaggio istantaneo; oppure potevano essere di dimensioni più modeste ed essere quindi imballabili, per poter aprirsi, come i petali di un fiore, fino al raggiungimento della posizione stabile. La prima Instant Dome fu progettata da Fuller e i suoi studenti tra il 1947 e il 1950 presso il Black Mountain College, dove successivamente completarono anche la ‘Necklace Dome’, una delle cupole più leggere che abbia mai realizzato. Nel 1953, invece, insieme agli studenti della Washington University di S. Louis, realizzò il progetto della ‘Flying Seedpod’, una delle cupole aviotrasportabili. Quando era chiusa e adagiata al terreno, questa appariva come un fascio di aste disposte in allineamento l’una con l’altra e molto semplice da imballare e trasportare. Ponendo poi il fascio di aste in posizione verticale ed esercitando una forza di trazione in ogni segmento di corda posto nelle articolazioni tra le aste, la cupola assumeva la forma finale, raggiungendo 14 Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

il diametro massimo di 12,8 metri in meno di un minuto. Il dispiegamento delle aste é reso possibile dall’azione di un pistone pneumatico posto in ognuno dei vertici e caricato a pressione. All’intradosso della struttura geodetica viene poi fissata una membrana che funge da involucro. L’ancoraggio al terreno é sempre necessario e cambia in virtù del tipo di utilizzo previsto per la copertura. La Flying Seedpod funse da modello per le cupole retrattili progettate dall’allievo Chuck Hoberman, che ancora oggi conduce ricerche sulla possibilità di espandere i sistemi portatili e anche quelli permanenti. La Instant Dome era ricoperta da un materiale plastico perfettamente trasparente, che permetteva il controllo climatico dello spazio coperto dalla cupola, marcando l’interesse per quella porzione di verde racchiuso, che Buckminster chiamò ‘Garden of Eden’. L’intuizione che ebbe realizzando l’involucro in modo semplice ed economico, sovrapponendo alla complessa geometria geodetica un doppio strato di film di polietilene pressurizzato all’interno, migliorò l’isolamento e spianò la strada a numerosi esempi di coperture trasparenti. Il polietilene era l’unico materiale plastico disponibile in commercio fino a quel periodo che poteva permettere di completare i sistemi costruttivi delle cupole, e fu proprio di questo che si servì Fuller per realizzare la struttura sperimentale Garden of Eden del 1949, oltre alla successiva abitazione minima trasportabile Autonomous package improntata sullo schema della prima. Nel 1969, l’allievo John Baldwin realizzò la prima variante alla Garden of Eden, che decise di chiamare ‘Pillow-dome’. Questa aveva un diametro ridotto pari a 6 metri ed era molto più leggera, poiché per le aste di sostegno erano stati utilizzati i tubi plastici solitamente impiegati per


i condotti elettrici, mentre l’involucro era composto da cuscini pneumatici in film di vinile. Proprio l’involucro rappresentava la miglioria più interessante, dato che alcuni dei cuscini pneumatici che si trovavano in sommità alla cupola erano apribili e consentivano il ricambio d’aria all’interno. Questa rivisitazione della dome é stata riutilizzata come base di progetto dai fratelli Grimshaw nel 2000 per la copertura del giardino botanico in Cornovaglia. “…Fuller pursued the goal of optimum development of geodesic domes as ‘environmental controls’ as spatial and climatic skins, as regulators and valves of the desired exchange with the environment…The idea was to work together with Nature.” 2

Parallelamente alle cupole e all’efficienza legata all’impiego di materiali innovativi e molto leggeri, Fuller maturò svariate ricerche riguardo il concetto di Eden, immaginando un giorno di poter ricreare quel luogo in cui, secondo lui, l’uomo e la natura avrebbero potuto coesistere in una sorta di equilibrio armonioso. Nel 1951, molto prima che il desiderio di sostenibilità assumesse un ruolo di primaria importanza nell’ambito della progettazione architettonica, Fuller raccolse gli studi condotti fino a lì nel testo ‘Spaceship Earth’, attraverso il quale intendeva riconoscere nel nostro pianeta i tratti distintivi del secolare giardino dell’Eden. Negli anni seguenti continuò a studiare come unire il sogno utopico di rigenerare il giardino dell’Eden attraverso l’utilizzo delle domes, fino a quando nel 1960 formulò una proposta di ricoprire una porzione della città di Manhattan con la più grande cupola geodetica mai vista finora. Se fosse stata realizzata, questa enorme calotta avrebbe avuto un diametro pari a 3200 metri,

Figura 10 la proposta di Fuller di ricoprire Manhattan con una enorme cupola geodesica, la Manhattan Dome (1960).

sarebbe stata trasparente e avrebbe permesso di controllare la dispersione e l’accumulo di energia sotto forma di calore all’interno della cupola, mitigando il clima e dando origine all’habitat ideale per la sopravvivenza dell’uomo. In un’intervista rilasciata al giornale ‘St. Louis Post-Dispatch’ il 26 settembre del 1965, Fuller descriveva i vantaggi derivanti dalla costruzione di una città coperta: “...each time we double the size of a dome, the amount of the surface of the dome through which each molecule of interior athmospheric gas could dissipate its heat is halved; also, the number of molecules able to reach the surface in a given time is halved. We can say that the larger the dome, the slower the rate of energy loss as heat - that is, when the heat is greater inside than outside; coversely, when the exterior heat is greater, the larger the dome the lower the rate of energy gain as heat from outside is received and transmitted through the dome’s surface to the gaseous molecules inside the dome.” 3

Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

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Figura 11 ricostruzione di un’immagine della città di Manhattan con alle spalle la struttura geodetica della cupola.

La proposta di Fuller di ricoprire Manhattan fece clamore e attirò l’attenzione dei media, tuttavia ricevette numerose critiche e venne visto come pura utopia il tentativo di realizzare una cupola di tali dimensioni sopra una città già altamente edificata e con un’identità ben consolidata. Nonostante il fallimento, continuò a lavorare al progetto della “domed-over city” compiendo numerosi studi, con l’intento di mettere a punto un piano che potesse offrire una serie di vantaggi non ignorabili e gli avrebbe permesso di ottenere il consenso. Tra i tanti studi, vi furono quelli condotti allo Snow Institute in Giappone con la collaborazione della Mitsubishi Co., i quali diedero un’idea dei costi necessari per il riscaldamento della superficie della cupola, che sarebbe avvenuto mediante i tubi muniti di resistenze elettriche impiantati all’interno dell’involucro e sorretti dalla trama geodetica. Con questa soluzione, utilizzando energia per riscaldare la pelle della semisfera solo quando necessario, ovvero per evitare il deposito di neve e ghiaccio, si sarebbe risparmiato sul costo annuo di rimozione della neve dalle strade a tal punto che in dieci anni si sarebbe ammortizzato il costo per la realizzazio16 Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

ne della cupola. Inoltre l’acqua piovana e quella ricavata dallo scioglimento della neve depositata sulla superficie, scivolando lungo la pelle trasparente che ricopriva la struttura, sarebbero state immagazzinate in appositi canali disposti lungo la base, consentendone il riutilizzo durante periodi di scarse precipitazioni. Si sarebbe potuto ottenere un ulteriore vantaggio dalla riduzione delle perdite di energia derivate dal sistema di riscaldamento e raffrescamento via cavo, che avrebbe ripulito l’aria contenuta all’interno da tutti i gas inquinanti. Questo scudo monumentale avrebbe annullato quasi ogni tipo di rumore esterno, anche quello provocato dal moto di un aeroplano o di un jet. L’involucro sarebbe stato realizzato in vetro infrangibile, rinforzato dai tubi per il riscaldamento e ricoperto da alluminio, che l’avrebbe resa simile ad uno specchio dall’esterno, mentre trasparente dall’interno. Questa combinazione avrebbe schermato i raggi UV provenienti dall’illuminazione solare, senza rendere lattiginosa la vista del cielo da dentro la cupola. Le informazioni raccolte in diversi anni di lavoro e sperimentazioni vennero rilasciate da Fuller durante un’intervista successiva presso la sede della rivista ‘American Scientist’ che si tenne nel gennaio del 1970, in occasione della quale aggiunse: “City-covering domes of prestressed and poststressed steel and concrete could be made so powerful that they could be covered with earth and become man-made earth mountains, completely air conditioned. When such large domes are made the captive athmosphere in itself is enough to support the structural shell, as does a large pneumatic tire. The larger the dome, the lower the pressure necessary to carry a given load. With such very large domes, the air


introduced with the air conditioning would keep up the shell-sustaining structure.” 4

La Manhattan Dome non fu mai realizzata, tuttavia Fuller continuò a lavorare al progetto ancora per qualche anno, convinto che un mondo caratterizzato da tante città coperte da cupole in grado di regolare e autogestire il clima al loro interno fosse la risposta alla ricerca dell’habitat ideale per la vita dell’uomo. Un luogo dove poter controllare i consumi energetici e ridurre le emissioni di agenti inquinanti, dove garantire un clima mite in inverno e non troppo caldo in estate, può essere considerato l’habitat perfetto in cui vivere? Questo fu uno dei temi trattati nel testo ‘Utopia or Oblivion’, una raccolta di scritti pubblicata da Fuller nel 1969, in cui ipotizzò come si sarebbe evoluto il mondo se l’umanità fosse stata a conoscenza di tutte le sue esigenze e avesse avuto a disposizione i mezzi per poterle soddisfare. Come si evince già dal titolo del libro, l’autore era perfettamente consapevole del fatto che l’immagine del mondo che stava dipingendo fosse utopica e non reale, ma se ne servì per affermare che la ricerca fosse l’unico elemento di cui l’uomo poteva disporre per provare a cambiare le sorti della realtà nella quale viveva. La ricerca andava indirizzata verso un futuro sostenibile, nel pieno rispetto dell’ambiente, e ciò era possibile solo attraverso il progresso e l’introduzione di nuovi materiali che agevolassero la realizzazione di sistemi costruttivi in grado di ricreare l’habitat ideale per la convivenza e la sopravvivenza dell’umanità. Il lavoro sperimentale e teorico di Fuller funse da ispirazione per molti architetti successivi, primo fra tutti il tedesco Frei Otto, il quale condivideva l’importanza di costruire strutture efficienti, con materiali leggeri e in continuità con la natura.

Questo approccio alla progettazione si fondava su quel concetto di “less is more” insegnatogli da Mies van der Rohe nel 1950, quando Otto, studente di architettura della Technische Universität di Berlino, decise di intraprendere un viaggio di studi verso gli Stati Uniti, dove ebbe l’opportunità di apprendere anche i metodi di Frank Lloyd Wright, Eero Saarinen ed Erich Mendelsohn. In occasione di quel viaggio che lo portò lontano dalle terre devastate dalla guerra, il giovane Otto affermò che: “Le città in fiamme viste dall’alto sono uno dei semestri più duri per uno studente di architettura!” 5

Il lugubre scenario di distruzione e di morte di cui era stato spettatore influenzò il suo modo di concepire l’architettura e costituì anch’esso una tappa importante del percorso che lo portò a mettere a punto sistemi costruttivi leggeri, economici in ottica di costi e di tempo e flessibili. Tuttavia fu l’incontro con Mies l’evento che permise la sua maturazione sia a livello architettonico sia, soprattutto, umano. Proprio le lezioni del suo mentore ritornano più volte nei suoi testi ed affiorano anche nei suoi progetti, quasi come una sorta di monito. Questa sua predisposizione al levare, alla sottrazione di peso, trae di certo origini nella sua appartenenza ad una famiglia di scultori, nonché al suo stesso apprendistato giovanile da scultore. Secondo Oswald Mathias Ungers, Frei Otto, al contrario delle sue intenzioni di superare la natura con l’architettura, ha costantemente cercato di capirne le leggi costruttive per poter sviluppare poi i propri progetti. Al posto di sviluppare un interesse per le pareti e i muri, per i corpi chiusi, Otto si é impegnato nella scoperta delle membrane, nell’utilizzo del vetro, in sostanza, improntando i suoi studi verso la trasparenza. Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

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La ricerca e l’interdisciplinarità dell’attività progettuale di Frei Otto sono scandagliate in profondità nei diversi saggi che occupano la prima parte del volume intitolato ‘Tensile Structures’. Tra questi é possibile trovare quello di Ulrich Kull riguardo i suoi rapporti con la biologia e in particolare con il biologo e antropologo JohannGerhard Helmcke, che portò alla fondazione del gruppo di ricerca Biologie und Bauen (Biologia e Costruire) e che ebbe come obbiettivo principale non quello: “di trasferire sistemi o forme della natura nella tecnica o nell’architettura, quanto piuttosto la conoscenza e la descrizione dei fenomeni fisici sia nella natura vivente e non che nella tecnica”. 6

Il saggio di Eberhard Möller sul principio del ‘Leichtbau’, o costruzione leggera, affronta un altro dei temi fondamentali dell’opera di Frei Otto: “La forma di costruzioni relativamente leggere solo di rado è casuale. Piuttosto è il risultato di processi di sviluppo ed ottimizzazione, che seguono il principio della riduzione della propria massa. Questo è il principio che noi chiamiamo del Leichtbau”. 7

Figura 12 a.b.c.d alcune immagini dei modelli in film di sapone realizzati da Frei Otto e raccolti nella prima parte del volume Tensile Structures.

18 Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

Quanto materiale occorre realmente per costruire? A questa domanda Otto rispondeva spesso citando Buckminster Fuller, il quale sosteneva che se si volesse davvero sapere quanto economico fosse un edificio, inteso in senso energetico, questo sarebbe stato necessario pesarlo! Potendo arrivare alla conclusione che quello che costruiamo potrebbe reggere alle sollecitazioni della natura (neve, vento, terremoti) impiegando solo l’uno per cento se non l’uno per mille dei materiali solitamente utilizzati. La sperimentazione è evidentemente la sola strada possibile per sostenere tesi così ‘audaci’.


Per sperimentare si sono costantemente confrontati tramite l’ausilio di plastici, che, quando necessario raggiungevano perfino la scala 1:1. Molti di questi sono preziosamente documentati nella seconda parte del volume ‘Tensile Structures’ (quella relativa alla raccolta e alla descrizione dei progetti), che si avvale di una straordinaria documentazione fotografica. Da sottolineare è anche la vasta riproduzione di disegni e schizzi originali, oltre ad una ricca bibliografia di e su l’autore stesso. Le sue prime realizzazioni furono il risultato delle ricerche sulle tensostrutture, la maggior parte delle quali era destinata a manifestazioni temporanee, come quelle per la Bundesgartenschau (Esposizione nazionale di orticoltura) di Kassel del 1955 e di Colonia del 1957, nonché quella del 1963 ad Amburgo. Da queste tensostrutture fisse derivarono anche le prime coperture adattabili e trasformabili, le quali, avvalendosi dello stesso sistema di sospensioni su cavi di acciaio, permettevano grazie ad un meccanismo mobile a motore una flessibilità ulteriore dei sistemi costruttivi a cui queste erano destinate. Il progetto per l’edificio sperimentale, che diventerà la sede dell’Institut für leichte Flächentragwerke (Istituto per le superfici portanti piane leggere), servirà da prototipo per il padiglione tedesco dell’Esposizione Universale di Montréal del 1967, in collaborazione con Rolf Gutbrod, e realizzato dalla ditta specializzata in coperture a tenda Stromeyer & Co. La consacrazione che ne conseguì, a livello di critica internazionale, fu confermata pochi anni più avanti dalla realizzazione, in occasione dei giochi olimpici di Monaco del 1972, delle grandi tensostrutture per le coperture a tenda dello Stadio e del Villaggio Olimpico (in collaborazione con Günter Behnisch). La copertura trasparente di oltre 60.000

Figura 13 dettaglio della copertura semi- trasparente dello Stadio Olimpico di Monaco di Baviera realizzato da Otto e Behnisch nel 1972.

metri quadri in fogli traslucidi di plexiglas diventò presto emblema della capitale bavarese e soprattutto metafora di una Germania democratica e desiderosa di riscattarsi dal peso di un cupo passato non molto lontano. Gli incarichi internazionali, che seguirono alle realizzazioni di Montréal e di Monaco, in particolare quelli in Medio Oriente, portarono ad esiti altrettanto positivi. I progetti per il Centro Congressi e Hotel presso la Mecca del 1974 (con Rolf Gutbrod) e quello del Club Diplomatico a Riad del 1986, furono la prova della sua sensibilità nei confronti del contesto, seppure con una forte

Figura 14 inquadratura laterale della copertura dello Stadio Olimpico di Monaco.

Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE 19


Figura 15 F. Otto e il suo team testano una porzione della copertura dello Stadio Olimpico di Monaco.

Figura 16 F. Otto e il plastico della città coperta nell’artico realizzato assieme a Kenzo Tange e Ove Arup.

20 Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

carica espressiva sia alla scala strutturale che a quella formale. Nel corso di una lunga attività di architetto-ingegnere, ricercatore ed inventore, Frei Otto ha concepito molte delle sue visioni, anche quelle restate sulla carta, non come utopie. Sosteneva infatti che la fantasia visionaria non fosse mai utopica. Prendendo come esempio il progetto-studio di una cupola pneumatica per una città nel circolo polare artico del 1971, per il quale collaborò assieme a Kenzo Tange e lo studio Ove Arup & Partners, si può notare che mise a frutto le reiterate ricerche nel campo delle costruzioni pneumatiche. Questo progetto é una sorta di proseguimento del lavoro sperimentale condotto da Buckminster Fuller nei confronti della Manhattan Dome circa dieci anni prima, tuttavia Otto aveva capito che una cupola di tali dimensioni non poteva essere applicata ad una città già conformata e costruita, però se pensata come copertura di una città che ancora non esisteva ed era in procinto di sorgere, allora il discorso cambiava. Frei Otto è considerato anche come il pioniere se non uno dei fondatori della cosiddetta ‘architettura ecologica’ ( Ökologisches Bauen). Ma a parte le sterili classificazioni, ciò che conta è la portata delle sue innovazioni. Costruire con la natura e non contro la natura è stata sempre la sua fonte primaria di ispirazione. Questo significa ottenere il maggior risultato con il minor impiego di risorse, di energia, di materiali e di tempo. Un esempio paradigmatico è rappresentato dalle poetiche voliere del Tierpark Hellabrunn di Monaco di Baviera (1978-1980): un altro manifesto dell’architettura sostenibile di Frei Otto, una costruzione leggera come il volo degli animali destinati ad ospitare, senza un inizio e senza una fine.


Nell’ultimo capitolo del libro “Un omaggio a Frei Otto” vi é una serie di testimonianze e ricordi di alcuni colleghi, tra cui quella di Shigeru Ban (con il quale Otto ha collaborato per la realizzazione del Padiglione giapponese all’Expo 2000 di Hannover) e quella di Sir Norman Foster, che attribuisce a Frei Otto un ruolo di ispiratore con il suo distacco da ogni tipo di convenzione e con il suo costante richiamo ai valori della leggerezza e del rispetto della natura. Figura 17 il primo involucro pneumatico realizzato da W. Bird nel 1948 per ricoprire le antenne radar e proteggerle dagli agenti climatici.

1.2 - IL PROCESSO DI AVANZAMENTO DELLE PRESSOSTRUTTURE La prima costruzione ad essere annoverata tra le pressostrutture era ‘air-supported’, ovvero sorretta interamente per mezzo della pressione esercitata da un flusso d’aria costante soffiato all’interno dell’involucro, e fu accreditata all’ingegnere Walter Bird, che iniziò la propria carriera con la ricerca improntata verso la scoperta e i test di nuovi materiali da impiegare nel settore militare. Quando lavorò per il Cornell Aeronautical Lab ( CAL), disegnò con successo le coperture per le antenne dei radar mettendo a punto un involucro pneumatico ancorato a numerosi anelli d’acciaio che gli conferivano una forma a calotta molto simile a quella delle cupole geodetiche prodotte più o meno negli stessi anni da Buckminster Fuller. Nel 1946 la US Air Force lo incaricò di progettare un ‘riparo’ per le antenne che potesse essere trasportato e che resistesse alle dure condizioni

Figura 18 la realizzazione della struttura leggera del Boston Arts Center Theater e della copertura pneumatica con diametro pari a 44m.

Figura 19 l’intero rivestimento pneumatico del Boston Arts Center Theater completato. Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE 21


Figura 20 vista complessiva di una delle piscine realizzate nel 1957 dalla Birdair Inc. con involucro pneumatico di tipo air-supported.

Figura 21 immagine pubblicata sulla rivista ‘LIFE’ che dimostra l’ottimo funzionamento dell’involucro progettato da Bird.

Figura 22 a.b.c alcuni scatti che ritraggono il modello e il padiglione della US Atomic Energy finito: il primo ibrido costituito da un involucro pneumatico in parte air-supported e in parte air-filled cushion.

22 Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

climatiche dell’artico. Bird riuscì nell’impresa nel 1948 quando pianificò una struttura pneumatica a forma di cupola sorretta grazie al flusso d’aria a bassa pressione generato da un compressore. La struttura misurava 16,5 metri di diametro e fu la prima costruzione supportata dall’aria. Tale sistema permetteva la minimalizzazione dello spessore del materiale dell’involucro originato dalla gomma e rinforzato con fibre di Dacron, che non interferivano con i segnali radar. I test di collaudo confermarono il successo del lavoro svolto dall’ingegnere e costituirono il primo passo verso l’affermarsi di un nuovo sistema costruttivo fondato sul concetto di aria inteso come materiale da costruzione. Nel 1955 fondò la compagnia Birdair Inc. attraverso la quale continuò a progettare coperture gonfiabili per antenne, torri ed edifici militari, sperimentando diverse applicazioni per le strutture air-supported e tessili. Le cupole realizzate da Bird ebbero più successo di quelle precedenti non solo per le dimensioni ridotte, ma anche per le agevolazioni derivate dall’esperienza ingegneristica nell’impiego di elementi pneumatici e per la proliferazione di scudi e piscine sfruttanti gli stessi materiali. Nel 1957 sulla rivista ‘LIFE’ apparvero alcune delle piscine realizzate da Bird, a testimonianza del fatto che ormai la cosiddetta ‘air architecture’ era stata accettata e si stava diffondendo rapidamente non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa. Anche altri architetti cominciarono a muovere i primi passi in direzione di questa innovazione tecnologica. Nel 1959, infatti, gli architetti Carl Koch e Margaret Ross, collaborarono con l’ingegnere Paul Weidlinger e la Birdair Inc. per progettare il Boston Arts Center Theater. Il design team inizialmente era orientato verso


tutt’altra soluzione, pensando di costruire una cupola di cemento. Poi immaginarono che sarebbe stato più facile sfruttarlo se fosse stato una struttura temporanea, per questo motivo e anche perché al teatro serviva una lunga luce di diametro, volsero all’utilizzo di uno scheletro d’acciaio e una copertura di nylon. Sulla rivista “Architectural Forum” fu accennata la conclusione del padiglione per la US Athomic Energy Commission nel 1960 con un elogio: “a great balloon for peaceful atoms.” Fu disegnato dall’architetto Victor Lundy insieme alla Birdair Inc. e descritto da Reyner Banham come il primo monumento di successo della tecnologia ‘air-supported structure’. Questa struttura dal volume innovativo vantava diversi diametri di curvatura e due strati di pelle che la separavano in due compartimenti pressurizzati indipendentemente l’uno dall’altro, inoltre la copertura composta da un involucro di 1.2 metri di spessore garantiva il corretto isolamento dall’esterno. Per motivi di sicurezza questa pelle venne progettata in modo che, qualora la seconda pelle si fosse bucata o strappata, il danno sarebbe rimasto limitato solo a questo compartimento e non avrebbe intaccato l’altro. Il padiglione può essere definito come un ibrido delle tecnologie ‘air-supported’, per la conservazione della forma globale, e ‘air-filled’, per il mantenimento dello spessore dell’involucro di copertura. A concludere l’edificio, che misurava 91 metri di lunghezza, 38 metri di larghezza (massima) e 19 metri di altezza (consentita), vi erano due porte chiuse ermeticamente a pressione (air-lock). L’intera struttura era leggera, trasportabile tramite un container standard, costruibile in un lasso di tempo variabile tra i tre e i quattro giorni, gonfiabile in 30 minuti e con il contributo di una

Figura 22 d il rapido gonfiaggio del padiglione US Atomic Energic che nel 1960 venne trasportato in tutta l’America del Sud animando spettacoli pubblici.

Figura 23 Echo I, il satellite per le comunicazioni lanciato dalla NASA nel 1960, gonfiato fino al raggiungimento del diametro di 30m. Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE 23


Figura 24 la prima prova di apertura del progetto Cuschicle ideato da Archigram negli anni sessanta.

Figura 25 il progetto Cushicle and Suitaloon dello studio Archigram mentre viene testato da Michael Webb nel 1968.

Figura 26 il progetto Oasis No. 7 di Haus Rucker Co. installato al Victoria and Albert Museum in occasione dell’esposizione Cold War Modern nel 1972.

24 Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

dozzina di lavoratori (anche privi di esperienza) e senza il bisogno di impalcature. Il processo di gonfiamento dell’edificio era diventato un’attrazione al pari dell’esposizione interna ospitata dal padiglione, per questo motivo si tennero diverse mostre in tutta l’America del Sud e la struttura venne trasportata e rigonfiata di città in città. Durante gli anni sessanta la National Aeronautical and Space Administration (NASA) si servì degli studi intrapresi da Bird e dai suoi predecessori per realizzare una nuova membrana composta da uno strato di mylar trasparente dello spessore di 0.127 millimetri e ricoperto con vapore d’alluminio per aumentarne le proprietà riflettenti. Questa bolla venne sfruttata per ricoprire i satelliti (Echo I) lanciati nello spazio e aveva un diametro di 30 metri. Ben presto vennero apportate delle modifiche per renderla più resistente e fu possibile ricoprire satelliti più grandi (Echo II) e più a lungo nel tempo. Le prime calotte proposte da Fuller e Otto erano considerate effimere e del tutto utopiche se pensando al tentativo di impiegarle per ricoprire intere città già costruite. Quelle sviluppate dalla NASA, invece, hanno unito la caratteristica gonfiabile dei palloni alla durabilità richiesta dai satelliti. Nella stessa decade degli esperimenti NASA, in Europa ci furono dei tentativi di utilizzo dei palloni trasparenti come piccole celle abitative personali. Questo esperimento bizzarro si chiamava Cushicle and Suitaloon e venne sviluppato dal gruppo Archigram prendendo ispirazione per il sistema di gonfiamento ad aria da quelli progettati dalla NASA per i satelliti. La sua particolarità risiedeva nell’utilizzo, infatti da sgonfio era indossabile da una persona come una specie di tuta, poi, una volta aperto l’involucro e aziona-


to il sistema di gonfiamento che avveniva attraverso dei sottili tubi di plastica collegati ad una piccola batteria, incominciava a prendere forma la ‘bolla’ trasparente che poteva fungere da micro-stanza trasportabile. Il progetto degli Archigram fu testato da Michael Webb, membro fondatore del gruppo, nel 1968 e fu una sorta di manifestazione influenzata dall’estro e dalla stravaganza promossi dalla ‘pop culture’ che, a cominciare dall’arte, si stava diffondendo anche nella musica, nel design e quindi nell’architettura. L’intento dichiarato dal gruppo Archigram era quello di proporre una visione differente della vita e del modo di vivere che non fosse intrappolato negli schemi tradizionali e, per quanto riguarda l’architettura, questa stanza trasparente in formato tascabile era uno dei tentativi di porsi in contrapposizione ai tradizionali sistemi costruttivi monumentali e cercare di innescare un cambiamento. Da lì a poco, l’esperimento del Cushicle venne preso come esempio da un gruppo di studenti dell’Ecole des Beaux Arts di Parigi che si faceva chiamare Utopie e ripropose un progetto simile a quello degli Archigram con il desiderio di ridefinire la disciplina dell’architettura, smuovendola dall’elitismo, dalla monumentalità e dalla permanenza. Un ulteriore tentativo fu quello mosso da Haus Rucker Co., che esplorò il mondo delle pressostrutture attraverso il progetto Oasis No. 7, una serie di celle abitative trasparenti, che pose provocatoriamente in forte contrasto con l’architettura statica e imponente, immaginate per essere assemblate e dar vita a intere città. L’Oasis venne installata attraverso una delle finestre della facciata principale del Victoria and Albert Museum in occasione della mostra d’ar-

te chiamata ‘Cold War Modern’ che si tenne nel 1972 e per la quale erano state raccolte opere dal 1945 fino al 1970. Da questi avvenimenti si può notare come le strutture ad aria non abbiano perso del tutto la caratteristica effimera e abbiano influenzato l’arte, infatti, nel marzo del 1968 si tenne la prima esposizione d’arte presso il Musée d’Art Moderne, che incluse veicoli, macchinari, strumenti, oggetti, opere d’arte e architetture, seguendo il tema delle strutture gonfiabili. Successivamente seguirono altre esposizioni in diverse città. Nel giugno del 1968 presso il Contemporary Art Center di Cincinnati si tenne la mostra temporanea chiamata ‘Air Art’, che, tra i tanti, ospitava opere di Andy Warhol, Les Levine e Hans Haacke. Il decennio di progresso per le prime pressostrutture si concluse nel 1970 con l’Esposizione universale di Osaka, che aveva “Progress and Harmony for Mankind” come titolo futuristico e metteva in mostrata la più vasta collezione di edifici air-supported mai vista prima. Questo fu il segnale dell’avvenuta integrazione e dell’istituzione delle architetture gonfiabili. Il nodo centrale dell’esposizione era il Festival Plaza, progettato dall’architetto Kenzo Tange, traendo ispirazione dal concetto di Frei Otto di strutture composite, combinando uno scheletro in acciaio a forma di griglia con un involucro costituito da un air-filled cushion. Questo cuscino ricopriva un’area di 116.6 metri quadrati ed era composto da due membrane di un film multistrato di poliestere trasparente, che svolgeva in maniera ottimale il ruolo di isolante termico e i doveri strutturali. Lo spessore, o per meglio dire, l’ampiezza tra gli strati che componevano l’involucro, era regolabile a seconda della variazione della pressione Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE 25


Figura 27 il Festival Plaza, padiglione principale dell’Esposizione Universale di Osaka, progettato da Kenzo Tange nel 1970.

Figura 28 il plastico del Festival Plaza di Kenzo Tange che mostra l’articolazione a cuscini trasparenti della copertura.

Figura 29 dettaglio del progetto dei cuscini che compongono la copertura del Festival Plaza e dell’ancoraggio del cuscino alla struttura metallica portante.

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dell’aria, che veniva “soffiata” dall’esterno verso l’interno del cuscino in modo naturale, tramite la predisposizione di appositi canali o tubi di ventilazione, ma era sprovvisto di un sistema in grado di generare energia che potesse mantenerlo costantemente gonfio. Nonostante il sistema di ventilazione del cuscino non gli permettesse di assumere sempre l’ampiezza corretta, il Festival Plaza può essere certamente considerato il precursore dei sistemi ad involucro utilizzati al giorno d’oggi. Un’altra struttura che ebbe un notevole impatto all’Expo di Osaka fu il padiglione degli Stati Uniti, il quale fu realizzato dagli architetti Davis, Brody, Chermayeff e De Harak, collaborando con l’ingegnere David Geiger e la Birdair Inc. e i costruttori Ohbayashi-Gumi e Tayo Kogyo. L’edificio rendeva omaggio allo schema dell’incompiuto ospedale di Lanchester di circa trent’anni prima ed era composto da un sistema di travi imponente, che misurava 142 metri in lunghezza e 83.5 metri in larghezza, a supporto di una copertura in vinile avvolto da fibre di vetro. Questa composizione dell’involucro era utilizzata esclusivamente dall’industria aerospaziale per lo sviluppo delle tute degli astronauti, ma qui venne reimpiegata per la progettazione di una struttura leggera secondo la tecnologia air-supported. Per evitare che troppo peso si concentrasse nel mezzo della copertura, pensarono di sfruttare una griglia a diamante al posto della tradizionale griglia rettangolare. In questo modo il peso dei cavi diminuì del 33%. Questi vennero ancorati ad un anello in cemento armato con massa sufficiente per prevenire che si staccasse verso l’alto. Al posto di essere legato al terreno, l’anello venne separato dalla base in cemento


da uno strato di acciaio galvanizzato, per lasciare ai cavi un piccolo margine di slittamento che consentisse all’intera copertura di mantenere la stabilità anche in caso di forti raffiche di vento o attività sismiche. Questo edificio air-supported, che pesava 4.9 chilogrammi al metro quadrato, era cento volte più leggero ed è costato circa la metà, rispetto alla ben più piccola cupola geodetica (con un diametro di 77 metri) che fece costruire Buckminster Fuller in Montreal solo tre anni prima, Quando l’ingegnere David Geiger si rese conto dello straordinario incremento dell’efficienza della struttura temporanea che aveva progettato, dichiarò che:

Figura 30 dettaglio dall’esterno della copertura in vinile ricoperto da fibre di vetro del padiglione degli Stati Uniti dell’Expo di Osaka, 1970.

“There appears to be no maximum span for application of this type of roof…” 8

Al termine dell’Expo di Osaka, le proposte di realizzare cupole grandi abbastanza da essere considerate interventi urbani aumentarono e tra queste vi fu anche quella di Birdair che sviluppò il progetto per una struttura air-supported larga più di 300 metri. Davis Brody, architetto collaboratore del padiglione degli Stati Uniti, propose il progetto per la copertura di una città nell’artico con una membrana sorretta ad aria e lunga circa 2500 metri. Per promuovere lo sviluppo delle pressostrutture, le istituzioni artefici dell’Esposizione Universale di Osaka fecero realizzare una serie di stadi basati sullo schema strutturale del padiglione degli Stati Uniti. Tra questi vi erano la ‘Pontiac Silverdome Arena’ eretta nel 1975 in un paese vicino a Detroit e la ‘Hubert H. Humphrey Metrodome Arena’ di Minneapolis nel 1982. Entrambe sorrette tramite l’utilizzo di aria e costituite da un involucro in Teflon rivestito da fibre di vetro. Questa fu la prima volta in cui venne utilizzato

Figura 31 veduta aerea del padiglione degli Stati Uniti, frutto della collaborazione di Davis, Brody, Geiger e la Birdair (1970).

Figura 32 la copertura del padiglione degli Stati Uniti dell’Esposizione Universale di Osaka visto dall’interno (1970). Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE 27


Figura 33 a.b.c.d alcuni scatti che mostrano il collasso della prima copertura della Pontiac Silverdome (1975).

Figura 34 veduta aerea della Pontiac Silverdome dopo il collasso della seconda copertura nel 1985 e il successivo abbandono della struttura.

Figura 35 la Pontiac Silverdome vista dallo interno dopo il terzo ed ultimo rifacimento delle tribune, degli interni e della copertura (2006).

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il teflon per la composizione della copertura di un edificio adibito ad attività sportive. Ne derivò che l’esperienza nell’assemblare un sistema costruttivo del genere non fosse all’altezza e di conseguenza anche i test condotti per verificare il livello di stabilità della struttura non furono eccellenti, tuttavia entrambi gli edifici vennero realizzati. Dopo qualche anno però, la copertura della Pontiac Silverdome Arena si lacerò in diverse aree causando il conseguente collasso dell’involucro che precipitò al suolo, mettendo in luce gli effetti di una scarsa conoscenza del materiale e una competenza nel progettare la griglia di travi portanti tutt’altro che impeccabile. La struttura della Pontiac Silverdome cedette nel 1985 e venne ricostruita in tessuto sostenuto da una griglia di travi in acciaio. Nonostante la Hubert H. Humphrey Metrodome Arena resse più a lungo alle variazioni climatiche, é evidente che entrambe ebbero diversi problemi di stabilità, soprattutto durante il verificarsi di forti tempeste e con l’accumulo della neve. Il teflon utilizzato per la Pontiac Silverdome Arena era un materiale molto flessibile, estremamente resistente al calore e permetteva di ricoprire ampie luci, però era anche molto sottile e troppo poco resistente agli strappi. Furono proprio gli studi sul teflon e in generale sui PTFE portati avanti dall’azienda du Pont, leader nella ricerca sulle fibre tessili e plastiche, che consentirono lo sviluppo dell’ETFE, che avrebbe offerto oltre alle caratteristiche di flessibilità, resistenza termica e leggerezza, già appartenenti ai ptfe, una maggior resistenza allo strappo e un’ottima trasparenza. L’intervento dello studio Foster and Partners, di ben più modeste dimensioni rispetto agli stadi


proliferati all’inizio degli anni settanta, riguardava il progetto di una sede di uffici temporanea per la Computer Technology Limited. L’inusuale destinazione d’uso e il tipo di progetto innovativo contribuirono a cambiare volto alle pressostrutture. Forse proprio il fatto che non fosse stato concepito per essere permanente diede una spinta all’immaginazione di nuove architetture d’aria. Foster cercò innovazione e leggerezza nell’industria aerospaziale, anticipando gran parte dei progetti delle decadi successive e capì che la potenzialità di questa tecnologia risiedeva nel raggiungimento di un involucro altamente performante in modo da sfruttare le condizioni climatiche e ambientali a proprio vantaggio. “The potential of these is the possibility of bending the environment to one’s will through high technology…the proof is in the performance.” 9

1.3 - LO SVILUPPO DEI PRIMI INVOLUCRI IN ETFE Nel 1967 ad un convegno presso l’Istituto per Strutture Leggere di Stoccarda, il fisico Nikolaus Laing presentò gli studi di un multistrato pneumatico leggero e dinamico, il cui scopo era di ridurre la quantità di energia da assorbire per il suo riscaldamento e raffreddamento, economizzando i costi e migliorando l’efficienza degli involucri per i quali veniva utilizzato. Nel giugno del 1968 la rivista ‘Architectural Design’ descrisse i multilayer mobili di Laing rivestiti da metallo sottile, come capaci di regolare con assoluta precisione la temperatura e la circolazione dell’aria, la luce, l’umidità e la pioggia, servendosi della radiazione solare come unica fonte di energia, fatta eccezione per quella elettrica

Figura 36 il progetto di Foster and partners per gli uffici temporanei della Computer Technology Limited.

necessaria per controllare la pressione del flusso d’aria soffiato all’interno dell’involucro in modo da mantenere nella forma gonfia più adeguata e stabile gli elementi che lo compongono. Le potenzialità introdotte da questa scoperta, facevano sperare le menti più visionarie che in futuro sarebbe stato possibile creare un clima tropicale nel nord del Canada, oppure imporre gli zero gradi nel Sahara, estendendo l’habitat ideale per l’uomo in diverse zone del pianeta. Tuttavia, ci vorranno più di trent’anni, prima che venga realizzato un involucro composto da questi strati ultra-sottili e dinamici per un edificio di lunga durata. Ciò nonostante é interessante notare che si stava indirizzando la ricerca verso lo sviluppo in ottica di sostenibilità e la scoperta di Laing fu molto utile per lo sviluppo successivo di pressostrutture efficienti e trasparenti. Negli stessi anni in cui Laing lavorara alla realizzazione dei multistrato dinamici a basso consumo di energia; l’azienda chimica du Pont aveva già prodotto numerosi polimeri come il neoprene, il nylon, il corian, il teflon, il mylar, il kevlar e stava lavorando per sintetizzare un nuovo materiale ricavato dal fluoro, l’etilene tetrafluoro-etilene (ETFE). La prima volta che si pensò di utilizzare l’ETFE come materiale da costruzione fu nel 1980, Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE 29


Figura 37 il plastico della città coperta nell’artico realizzato da Huppold e il suo team negli anni settanta.

Key 1 Long term housing 2 Transition housing 3 Park 4 Commercial/public service 5 Horticulture

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Figura 38 la planimetria di 58 Degrees North, la città nell’artico progettata da Buro Happold.

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30 Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

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quando l’ingegnere Buro Happold stava lavorando per realizzare una città coperta nell’Artico, chiamata ‘58 Degrees North’. Il luogo stabilito per il progetto doveva essere nel nord della regione canadese dell’Alberta, circa 160 chilometri a nord di Fort McMurray che dà sul fiume Athabasca, dove la compagnia Syncrude stava effettuando gli scavi per l’estrazione del petrolio. Il clima lì è molto cupo e rigido, con temperature che in inverno possono scendere di parecchie decine di gradi sotto lo zero. Questo progetto nacque dagli studi dell’architetto canadese Arni Fullerton con la collaborazione di un team di esperti provenienti sia dal Canada sia dall’Europa. Tra questi vi erano due abili ingegneri come Frei Otto e Mike Barnes, l’antropologo Ed Van Dyke, l’orticoltore Peter Thoday ed un conoscitore dell’impatto che provocano la luce e gli stimoli visivi sulle facoltà psichiche e fisiche umane. In quel periodo il gruppo di ingegneri stava lavorando ad un programma di ricerca sulle strutture pneumatiche (air-supported). L’industria tessile esercitava pressione affinché utilizzassero il ptfe/vetro, ma dopo aver visitato alcuni stadi nei quali era stato utilizzato il medesimo materiale, che possedeva una trasparenza del 10% e delle linee scure che conferivano una tinta giallastra, pensarono che questa non fosse la soluzione più adatta per la città nell’artico. L’ingegnere Ian Liddell, collaboratore di Buro Happold, disse che il materiale che stavano cercando per il progetto doveva essere molto trasparente, in modo da agevolare la crescita delle piante, doveva essere resistente, per sfruttare l’ampiezza del sito e avere ottime capacità isolanti.


“We believed strongly that the enclosing membrane for the arctic city had to be transparent to the full visible light spectrum to give stimulus to the occupants in the cold winter months and to enable plant growth. As well as being transparent, the cladding would have to be at least double skinned to provide some insulation and eliminate the build-up of freezing condensation on the inner surface.” 10

La prima scelta per il materiale da utilizzare ricadde senza dubbio sul vetro, oppure una plastica rigida, tuttavia entrambi non raggiunsero i requisiti iniziali. Un rappresentante dell’azienda chimica DuPont suggerì al team di Happold di provare uno strato fluoropolimero conosciuto come Tedlar. Questo materiale venne testato e soddisfò la maggior parte delle richieste, con l’unica eccezione della resistenza al fuoco. Il tedlar infatti dimostrò di infiammarsi molto facilmente anche a temperature non particolarmente elevate. Per questo motivo optarono per la seconda scelta, l’etilene tetrafluoro-etilene (etfe), un materiale nuovo, di cui non si conoscevano a pieno le potenzialità. Lo testarono alla City University di Londra e scoprirono che possedeva una grande capacità elastica, che consentiva una strabiliante curvatura e un’ottima sopportazione dei carichi applicati. Questa caratteristica lo rendeva straordinariamente resistente, facendo sì che fosse quasi impossibile strapparlo. Anche il design team concordò con gli ingegneri sul fatto che l’ETFE fosse il materiale più appropriato per la realizzazione dell’involucro della nuova città coperta dell’artico. La struttura fu progettata come una rete di tubi in acciaio che avrebbero sorretto poi l’involucro composto da numerosi fogli in ETFE della larghezza di

1.8 metri, collegati tra loro da profili in alluminio molto leggeri e avvolti da epdm (monomero etilene-propilene diene), ricoprendo un’area di 150000 metri quadrati. La proposta avanzata fu accettata con grande entusiasmo dal committente Tom Chambers, che era ministro dei Lavori Pubblici nello Stato dell’Alberta. Tuttavia, da lì a poco il prezzo del petrolio calò drasticamente e di conseguenza il progetto di ampliamento della compagnia di estrazione Syncrude venne abbandonato. Quando il progetto venne ripreso circa dieci anni più tardi, l’affermarsi della tecnologia robotica aveva già dimezzato il numero di operativi necessari per i lavori di estrazione e quindi il progetto non fu mai realizzato. Il secondo incarico, nel quale si vide impegnato Buro Happold e il suo team di esperti nel tentativo di sfruttare i vantaggi dovuti all’utilizzo dell’ETFE si ebbe nel 1987, quando gli venne chiesto di occuparsi della realizzazione della copertura dell’atrio del Chelsea and Westminster Hospital di Londra. Il team di architetti avrebbe optato per un materiale tessile sorretto da una struttura in acciaio leggero, tuttavia il team di esperti ingegneri, che aveva già collaborato con Happold in Canada, propose di sfruttare i test sull’ETFE svolti in passato, che avevano dato esiti positivi, utilizzando di nuovo una struttura tubolare in alluminio rivestita da cuscini del medesimo materiale. Alla fine venne scelta la soluzione degli ingegneri, che garantì una maggior trasmissione della luce all’interno dell’ospedale e un migliore isolamento termico. L’atrio fu progettato in modo da essere quasi uno spazio aperto per merito di un sistema di ventilazione che soffiava aria fresca dall’esterno verso il basso. Ciò è fondamentale per le stanze Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

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Figura 39 veduta aerea della copertura in ETFE del Chelsea & Westminster Hospital progettata da Happold e il suo team.

Figura 40 il sistema dell’involucro trasparente in etfe del Chelsea & Westminster Hospital visto dall’interno.

dell’ospedale che possiedono finestre che affacciano sull’atrio e si servono di questo espediente per ottenere luce e ricambio d’aria. Lo stesso sistema di ventilazione era già stato utilizzato in precedenza per la realizzazione di alcune coperture di edifici sportivi come campi da tennis e piscine. Per questi progetti, la compagnia Vector Foiltec aveva prodotto una struttura a maglia in allumi-

32 Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

nio in grado di sorreggere e integrare un cuscino costituito da tre strati di ETFE. La struttura era composta da degli archi lunghi 18 metri che incorporavano dei canali per il drenaggio e la ventilazione dell’involucro. Questa scoperta rivoluzionò il modo di progettare con l’ETFE e condizionò l’intero mondo delle presso-strutture. Per la prima volta venne impiegato il sistema chiamato air-filled cushion, che ben presto sostituì il precedente air-supported structure, Il termine air-supported indica la categoria di strutture interamente gonfiate e sorrette dall’aria sottostante. Ciò significa che qualora dovesse diminuire la quantità di aria contenuta nella struttura, questa si sgonfierebbe perdendo volume e rigidezza. Mentre con l’utilizzo dell’involucro composto da diversi strati di materiale come l’ETFE si introduce la nuova tecnologia dal nome air-filled cushion, nella quale l’aria non è più il materiale che sostiene l’intera struttura, ma serve a mantenere il cuscino costantemente gonfio e teso, in modo che possa svolgere il proprio compito. Quindi, nella tecnologia a cuscino l’aria è essenziale per la tensione del cuscino stesso, mentre il ruolo strutturale spetta alla rete di alluminio o acciaio. In questo modo, se lo strato esterno del cuscino dovesse strapparsi o tagliarsi, la struttura non crollerebbe al suolo (come invece accadrebbe nell’air-supported structure), poiché rimanendo intatti gli altri strati che completano l’involucro, questo si limiterebbe a perdere di tensione e a sgonfiarsi lentamente, senza precipitare a terra. L’introduzione di questa nuova tipologia ha permesso il progredire dei progetti delle pressostrutture e ha posto le basi per i miglioramenti futuri. Nonostante ci fosse dello scetticismo nell’impie-


gare un nuovo materiale in un edificio di carattere urbano, lo schema strutturale dell’ETFE fu paragonato alla tradizionale maglia composta da travi in acciaio e elementi in vetro. Una volta realizzato continuò ad essere performante per molti anni, superando le aspettative che gli ingegneri avevano pianificato inizialmente. Quando venne estrapolata un’analisi dettagliata dell’intero ciclo di vita del progetto di Happold, fu la dimostrazione evidente che il cuscino di ETFE era in grado di offrire dei vantaggi significativi e dei costi di mantenimento minori rispetto a molti altri materiali. La realizzazione della nuova copertura del Chelsea and Westminster Hospital servì da esempio e fu il primo di una lunga serie di edifici di carattere urbano. Inoltre marcò il successo dell’architetto artefice del progetto, Ben Morris, che in seguito prese parte alla compagnia Vector Foiltec e contribuì al suo sviluppo. Successivamente Morris e Happold collaborarono per diversi anni e ricevettero un cospicuo numero di incarichi, tra i quali emerge la ristrutturazione dell’Hampshire Tennis and Health Club. L’intento della giovane committenza era quello di cambiare volto all’edificio attraverso un progetto per la copertura dei campi da tennis che li valorizzasse rendendoli utilizzabili anche con pessime condizioni climatiche e ne favorisse l’illuminazione. Il design team propose di ricoprire l’area con un involucro di ETFE molto leggero e trasparente, in modo che l’illuminazione facesse sembrare agli spettatori di essere all’aria aperta, ma senza gli svantaggi del sole battente, del vento e della pioggia. I fogli esterni ed interni del cuscino di ETFE (esclusi quelli nel mezzo) che utilizzarono per questo lavoro avevano una tinta bianca col 50%

Figura 41 a.b la copertura in ETFE dello Hampshire Tennis & Health Club dall’interno realizzata da Buro Happold.

di trasparenza. Questo fattore avrebbe ridotto notevolmente l’abbaglio dovuto alla luce solare e avrebbe creato l’atmosfera e le condizioni ideali per giocare a tennis. Il risultato che volevano ottenere era che i campi coperti venissero utilizzati più spesso e soprattutto più volentieri rispetto a quelli privi di copertura sia nel periodo invernale sia in quello estivo. Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE 33


Dopo aver discusso la proposta con Ben Morris e il team di ingegneri, decisero di adottare un nuovo genere di struttura differente da quella del Chelsea Hospital e da tutti gli altri progetti conclusi finora. Si utilizzò infatti una rete di cavi tesi, sospesi parallelamente al terreno di gioco, sopra i quali vennero adagiati e fissati molteplici cuscini di ETFE con le caratteristiche pensate dal design team. Quando lo schema strutturale venne presentato al cliente, egli fu soddisfatto del piano, ma non altrettanto dei costi, per questo motivo la struttura fu terminata solo nel 1955, dopo una lunga trattativa sul prezzo dell’intervento. Nonostante la perdita di tempo legata al costo del progetto abbia tolto la possibilità di effettuare dei test completi sul prototipo della struttura, la nuova sistemazione dei campi da tennis ha riscosso molto successo ed è tuttora utilizzata. L’esperienza che si può trarre da questo progetto è che il cuscino trasparente può avere diversi metodi di utilizzo. In questa occasione la scelta di sorreggere l’involucro con una rete di cavi sospesi si è rivelata vincente, poiché ha permesso di ricoprire lunghezze significative con il minimo sforzo strutturale. Sin da questi primi impieghi è possibile notare come la tecnologia air-filled cushion abbia prodotto dei notevoli vantaggi soprattutto per la resistenza e la durabilità delle opere nelle quali era stata preferita alla ormai superata tecnica air-supported structure. Il vantaggio più significativo risiede nell’atto di scomposizione dell’involucro in tanti cuscini adiacenti e perfettamente connessi, ma allo stesso tempo indipendenti l’uno dall’altro. In questo modo se dovesse verificarsi un taglio su uno dei fogli che compongono la copertura, la 34 Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

frattura non si dilaterebbe nemmeno se sottoposta all’effetto di una macchina simulante un forte vento. Mentre la stessa cosa non potrebbe verificarsi nel caso di una struttura air-supported, poiché un taglio sulla superficie dell’involucro composto da due soli strati, seppur di modeste dimensioni, provocherebbe il repentino sgonfiarsi dell’intera copertura, diventando instabile e insicuro. L’esperto ingegnere Ian Liddell si espresse in questo modo per certificare la resistenza dell’ETFE: “While walking on the cushions is not recommended, the roof of the Hampshire Tennis and Health Club now features a set of large indented footprints up one of the cushions where a maintenance man with heavily treaded boots has walked.” 11

Ad oggi l’interesse nei confronti di questo materiale è ancora vivo e il numero di installazioni aumenta costantemente in ogni parte del globo. Sembra evidente che il diffondersi di questa tecnologia sia soprattutto legato ai vantaggi economici e ai benefici ambientali, pur sapendo che una falla strutturale potrebbe causarne il declino. La falla a cui si fa riferimento potrebbe verificarsi qualora il desiderio che porta l’uomo a tentare di spingersi sempre oltre non fosse supportato da un’adeguata conoscenza del materiale e della struttura che lo sorregge. Questa discrepanza in passato causò il decrescere dell’impiego delle strutture tessili, quando l’avanzare della tecnologia fu frenato dalla volontà di mantenere bassi i costi. Fortunatamente il declino di strutture air-supported era stato accompagnato da lunghe ricerche, tra cui quelle di Frei Otto e Ben Morris, che hanno permesso l’evoluzione dei sistemi pneumatici padroneggiando la tec-


nologia air-filled cushion e dando inizio ad una nuova era per le pressostrutture. Progettare con l’ETFE può sembrare semplice, tuttavia solo con un gruppo di pratici ingegneri che conosce i pregi e i difetti del materiale è possibile evitare problemi. I lavori di Happold testimoniano quanto sia importante collaborare con un team di esperti accuratamente selezionato come la Vector Foiltec, compagnia che per prima intravide le potenzialità di questo materiale e si dedicò instancabilmente al suo sviluppo. L’unico modo per favorire il progresso nell’impiego di un materiale così come per l’affermarsi di nuove tecnologie costruttive é fondamentale la ricerca. Per l’etilene tetrafluoro-etilene si può dire che Happold sia stato il suo promotore, dato che per primo raccolse il lavoro iniziato dalla azienda Du Pont e dalla Vector Foiltec per studiare e testare il nuovo polimero che avrebbe utilizzato nell’intervento dell’artico. Gli studi perfezionati dal team di Happold furono sicuramente imprescindibili per lo sviluppo che si verificò nel corso degli anni e permise di migliorare le tecniche e i sistemi costruttivi utilizzati fino agli anni settanta in modo da poter supportare l’applicazione dei nuovi materiali di natura sia tessile sia plastica. Tuttavia é interessante notare che gli studi e i progetti di Happold si riconducono spesso agli ideali di maestri del passato come Buckminster Fuller, Frei Otto e Walter Bird. Se si considera il progetto per ‘58 Degrees North’, la città coperta dell’artico che Happold tentò di realizzare per ben due volte, é ben evidente la ripresa della ricerca nelle strutture geodetiche superleggere, trasparenti e assemblabili (per mezzo di veri e propri kit di montaggio) che Fuller

condusse per gran parte della sua esistenza. Per quel progetto Happold sicuramente esaminò la proposta della ‘Manhattan Dome’ presentata da Fuller pochi anni prima. Happold sembra aver ereditato anche il valore della ricerca dell’efficienza, ovvero di raggiungere l’obiettivo con le risorse e il tempo indispensabili riducendo al minimo gli scarti; così come gli studi riguardo il giardino dell’Eden e come ricreare quello che utopicamente rappresenta il luogo ideale per la vita dell’uomo. Altrettanto importanti furono i progetti e gli studi condotti da Frei Otto sulle tensostrutture e i sistemi costruttivi tanto leggeri quanto trasparenti, con una particolare attenzione nei confronti dell’ambiente. Furono determinanti per lo sviluppo delle pressostrutture anche i numerosi incarichi e le sperimentazioni di Walter Bird che fu tra i primi a sfruttare le proprietà dei materiali plastici in ambito edilizio. Si occupò di lavori differenti, spaziando dalle coperture per antenne radar a quelle per le piscine, fino ad occuparsi di strutture temporanee come i teatri. Lo studio dei lavori di questi esperti é stato fondamentale per capire quando e in quale modo si sono affermate le pressostrutture, risalendo ai primi tentativi di utilizzo dell’aria come materiale da costruzione per favorire la comprensione dei sistemi costruttivi più recenti basati sulla stessa concezione. E’ stato interessante notare che lo sviluppo di questa tecnologia sia avvenuto in diversi decenni per merito del contributo di numerosi esperti e sia ancora in atto un’evoluzione sostenuta da tecniche, conoscenze e materiali differenti, mutati rispetto a quelli di fine Novecento, e che necessitano di essere supportati dalla ricerca per garantirne un ulteriore miglioramento. Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE 35


2 - ETFE: UNA “PELLE” PERFORMANTE

2.1 - LE DIVERSE FASI DI LAVORAZIONE CHE CARATTERIZZANO LA PRODUZIONE DELL’ETFE L’etilene tetrafluoro-etilene ( C4H4F4)n fu prodotto per la prima volta negli anni settanta dall’azienda chimica du Pont con l’intento di ricavare dal fluoro un nuovo polimero che potesse essere impiegato come isolante da destinare all’industria aeronautica. L’etilene (o etene) è la molecola di base del polimero ed è costituita da due atomi di carbonio legati attraverso un doppio legame covalente a quattro atomi di idrogeno. La caratteristica principale per la quale é stato sintetizzato l’ETFE è l’elevata resistenza al calore e alla corrosione che lo vede trionfare su qualsiasi altro polimero derivato dalla plastica e ha fatto sì che il suo utilizzo si diffondesse rapidamente a partire dall’industria aeronautica, dove lo si trovava soprattutto sotto forma di resina per l’isolamento termico e acustico. Successivamente venne prodotto il film di ETFE e, verso la fine degli anni settanta, fu collaudato per essere impiegato anche in altri settori, tra cui quello edilizio. Come si é visto, il primo a testarne le qualità per applicarlo in un progetto articolato e complesso come la città coperta nell’artico 58 Degrees North fu l’ingegnere Ted Happold, poiché intendeva costruire una cupola trasparente, per la realizzazione della quale il vetro non fu considerato il materiale più adatto e, una volta tentati diversi polimeri plastici e tessili, si giunse alla scoperta 36

della membrana di etilene che garantiva ottime prestazioni sotto diversi punti di vista. Le doti che maggiormente stupirono il team di lavoro di Happold furono la straordinaria leggerezza che però non incideva sull’ottima resistenza al taglio, allo strappo e in generale ad ogni tipo di stress che poteva essere provocato dalle condizioni climatiche critiche dell’artico. Inoltre anche la trasparenza fu un fattore determinante nella scelta dell’ETFE, poiché era il requisito necessario per favorire la crescita spontanea delle piante contenute al di sotto della cupola. La quasi totale trasparenza e la notevole leggerezza costituivano la chiave per raggiungere l’efficienza tanto ricercata e acclamata da Richard Buckminster Fuller, ma non solo, infatti contribuivano a rendere più rapido il processo di raffreddamento e di riscaldamento dell’involucro, riducendo così i costi energetici volti a controllare il clima interno alla cupola l’elevata resistenza al calore, che lo rendevano non fiammabile e autoestinguente. In fine, la caratteristica decisiva per l’impiego dell’ETFE in architettura fu l’elevata resistenza al calore, che, nonostante fosse ipotizzabile data la natura dei componenti del polimero, sorprese l’intero team per la capacità autoestinguente e l’assoluta non fiammabilità. Come sappiamo il progetto per la città coperta nell’artico non fu mai iniziato a causa della crisi economica che colpì la compagnia di estrazione petrolifera che l’avrebbe sovvenzionato. Tuttavia gli studi per testare il nuovo materiale che aveva


FASE 1

MATERIALE DI BASE Estrusione

FASE 2

MATERIALE SEMILAVORATO Tessitura

FASE 3

FASE 4

MATERIALE FINITO

CONFEZIONAMENTO MEMBRANA

Rivestimento

Taglio

FASE 5

INSTALLAZIONE E MANUTENZIONE Installazione*

estrusione fibre

tessitura a intreccio

spalmatura

patterning e fitting*

imballaggio e trasporto

estrusione film*

tessitura weft inserted

laminazione

esecuzione taglio*

assemblaggio

impregnazione

Giunzione

collaudo

Finissaggio

cucitura

laccatura

saldatura

pulitura

stampa*

giunzione mista

riparazione in situ

incollaggio

sostituzione

morsettatura

Manutenzione*

Dismissione

sagomatura cuscini

smaltimento

legatura

riuso riciclo

convinto Happold e il suo team vennero portati a termine con successo e costituirono il primo passo compiuto dalla ricerca in merito alla scoperta e al miglioramento dei nuovi materiali con componenti plastiche. Da subito fu chiaro infatti che l’ETFE soddisfava numerosi requisiti adatti per un uso in campo edilizio, occorreva però investire nella ricerca per mettere a punto nuove tecniche di lavorazione del materiale che rendessero più semplice il suo utilizzo in architettura partendo dagli studi già apportati in ambito aerospaziale e navale. Nel 1981, il dottor Stefan Lehnert della Vector Foiltec, brevettò un sistema di estrusione composto da barre saldatrici che era in grado di produrre fogli di ETFE di dimensioni maggiori. Questa scoperta permise il miglioramento delle tecniche che costituiscono la filiera delle lavorazioni e fu indispensabile per lo sviluppo dei mo-

derni sistemi di rivestimento a cuscino. L’estrusione, infatti, è il primo processo al quale viene sottoposto il materiale di base, che, nel caso dell’etilene tetrafluoro-etilene, si presenta sotto forma di granuli. La resina incandescente ottenuta con il passaggio iniziale viene poi fatta passare sotto pressione attraverso una lamina sagomata, che imprime la propria forma al fuso, prima che questo venga prontamente raffreddato all’uscita dalla macchina e conservi le fattezze acquisite. Quindi, a seconda della lamina utilizzata, il materiale può essere estruso in maniere diverse: si possono ottenere delle fibre (di vario spessore), come nel caso del poliestere, del vetro o dell’eptfe; oppure film, come per le membrane monocomponente in ETFE o anche per eventuali rivestimenti di tessuti (estrusione per calandratura). Mentre le fibre come il ptfe (teflon) vengono prodotte tramite il processo

Tabella 1 la tabella riporta le possibili fasi della produzione del film di ETFE ( * ) confrontate con quelle dei materiali tessili. Rif. appendice2.1 a pagina 126.

ETFE: una “pelle” performante 37


di riscaldamento e stiramento, che origina dei filamenti che in seguito vengono raffreddati; i film in ETFE si ricavano per soffiatura mediante lamine di forma anulare. All’uscita dalla fessura anulare, il fuso si assotiglierà fino a diventare film, verrà soffiato da un flusso d’aria e scorrerà attraverso un percorso di raffreddamento, in fine verrà spianato da apposite apparecchiature e avvolto fino a formare un rotolo. Figura 42 la macchina atta a compiere l’estrusione del film di ETFE.

Figura 43 un generico tipo di stampa da applicare al foglio di ETFE per modificarne la trasmissione dell’illuminazione.

Figura 44 il processo di taglio a laser di una membrana di ETFE.

38 ETFE: una “pelle” performante

Una volta che il film ha preso forma è possibile aggiungergli un secondo estruso più piccolo e fungere da rivestimento per il materiale di base con strati sottili di un altro materiale (tendenzialmente) di natura plastica o tessile, costituendo il processo di “coestrusione”. Il suo scopo è, ad esempio, quello di dar vita a pellicole che possiedano strati di protezione ai raggi UV. L’adattatore che compie la coestrusione è posizionato su degli ugelli che imprimono la forma al materiale semilavorato. I fogli singoli, doppi o multipli, a seconda del numero degli strati, vengono quindi realizzati in base alla forma degli ugelli, e sono poi eventualmente rivestiti e tagliati. La calandratura, invece, è un processo che riguarda per lo più la produzione di film in PVC, dove il materiale di base è il cloruro di polivinile e viene realizzato mediante la polimerizzazione in sospensione o in massa. Dopo che il materiale è stato fuso ed estruso la prima volta, va convogliato sulla calandra di laminazione, dove viene finemente lavorato dall’azione di diverse viti planetarie rotanti. Questo processo, seppure interessante, non riguarda quasi mai i film di ETFE, per i quali è sufficiente la prima lavorazione di estrusione e non necessitano di una laminazione successiva.


Per questi infatti possono essere attuati i processi di estrusione convenzionali. Rispetto ai comuni materiali termoplastici, è necessario moderare la velocità di estrusione ad un livello inferiore, poichè è più bassa la soglia critica della velocità di scorrimento del polimero fuso, limitata dal pericolo di strappi. Questo processo fa si che l’ETFE mantenga uno spessore più ridotto rispetto ad altri polimeri come il pvc senza però perdere l’adesione tra le fibre che ne consente un’ottima resistenza allo strappo. Una volta terminata l’estrusione in film, il materiale plastico che si è ottenuto è semilavorato, ovvero ha già subito una trasformazione, che in alcuni casi, è sufficiente e consente già la sua adoperazione; mentre in altri, è necessario procedere con la lavorazione che darà luogo al materiale finito. I prodotti semilavorati infatti possono ancora essere trattati tramite il processo di finissaggio, che riguarda soprattutto le superfici degli strati. Per quanto riguarda l’ETFE, questa tecnica spesso consiste nella realizzazione di stampe sulle membrane, che può contribuire ad migliorarne la qualità estetica, oppure determinare l’ottimizzazione della schermatura dell’illuminazione solare. Questo fattore è molto importante soprattutto per impieghi in copertura, in cui questi risultati possono essere raggiunti assieme all’accrescimento delle prestazioni energetiche. I film in ETFE si caratterizzano in genere per un’elevata trasparenza che nella maggior parte dei casi occorre regolare per far sì che il calore che passa attraverso l’involucro e riscalda l’edificio non sia eccessivo per il comfort termico dell’uomo. A questo proposito è possibile applicare in superficie delle stampe con effetti grafici in rilievo a colori o in bianco e nero. Lo scopo del

Figura 45 ogni foglio viene arrotolato e catalogato in base alle caratteristiche (dimensioni, colore, serigrafia).

Figura 46 le membrane in ETFE vengono sottoposte al taglio a mano.

Figura 47 la stampa serigrafata viene applicata (in modo permanente) ad uno strato di ETFE compatibile. ETFE: una “pelle” performante 39


Figura 48 la copertura dei Festo Headquarters composta da cuscini in ETFE schermati dall’interno dell’edificio.

a)

Figura 49 esempi di schermature multistrato dinamiche: a) la radiazione incidente é schermata solo in parte. b) la radiazione incidente é completamente schermata.

40 ETFE: una “pelle” performante

b)

loro impiego è proprio quello di migliorare le prestazioni termiche delle membrane, permettendo di moderare la risposta degli involucri in funzione delle variazioni di luminosità esterna. Per avere un esempio, si consideri l’intervento per i Festo Headquarters di Essling (vicino a Stoccarda), dove vennero applicate delle stampe con rappresentate forme geometriche in rilievo sugli strati più esterni dei cuscini. Con questo espediente venne modificata la trasparenza dei fogli in etfe, attraverso il cambiamento di posizione degli strati dinamici, che originavano un ombreggiamento variabile a seconda dell’illuminazione esterna e miglioravano le prestazioni energetiche dell’intero sistema. Una volta completato il finissaggio e ottenuto quindi il materiale finito sotto forma di membrane della larghezza massima di 2 metri, queste vengono prodotte in lunghi teli e arrotolate su appositi rulli. Successivamente vengono predisposte alla fase di taglio attraverso una procedura che consta nella messa a punto di modelli guida per l’incisione, chiamata patterning, e nella rappresentazione di disegni accurati per l’assemblaggio, chiamata fitting. Questo processo riguarda praticamente tutti i tipi di materiale che, al termine delle prime fasi della lavorazione, si presentano come lunghi fogli plastici o tessili avvolti a formare dei rotoli e necessitano di essere tagliati per poter essere impiegati in uno specifico settore. Le ampie membrane possono essere recise originando tanti pezzi singoli in due differenti modi: manualmente, tramite l’uso di temperini rigidi o apposite forbici; oppure a laser, servendosi di macchine computerizzate presettate e regolate per questo tipo di taglio. Dopo aver scelto il metodo più appropriato in base al tipo di materiale, é necessario mante-


nere monitorata la superficie del film per tutto l’arco della lavorazione, per poter localizzare le zone che presentano imperfezioni e qualora vi siano delle parti difettose si dovrà provvedere a rimuoverle in modo definitivo per evitare che vengano utilizzate nuovamente. Uno strato che ha riportato dei difetti normalmente viene schedato e conservato per essere impiegato come campione in modo da avere conferme in futuro per quanto riguarda la correttezza delle dimensioni di ogni membrana, così come per gli spessori e le rispettive tolleranze, oltre che per le variazioni cromatiche che ne influenzano la trasparenza e la lucidità. Per prevenire ulteriori difetti dello stesso tipo può inoltre rivelarsi utile catalogare ogni strato di ETFE con un numero e/o un colore che aiutino ad identificare i macchinari che hanno già riportato dei malfunzionamenti in passato in modo prendere le dovute precauzioni. I singoli pezzi di membrana dovrebbero poi essere contrassegnati con appositi marchi, seguendo lo schema distributivo in codice, così da essere collocati correttamente all’interno dei pannelli dove vengono conservati. Un ulteriore elemento che necessita di particolare attenzione nel periodo di produzione, ma soprattutto in quello successivo sono le giunzioni. Queste rappresentano il collegamento lineare tra strati di membrana adiacenti. Ne esistono diversi tipi, a partire dalle giunzioni strutturali come la cucitura, la saldatura e l’incollaggio, oppure sistemi misti (cucitura/saldatura). E’ possibile servirsi anche di elementi strutturali come cavi o collegamenti metallici di ancoraggio.

Più strati di membrane di ETFE possono essere tagliate su misura e sovrapposte in modo da formare dei giunti sui lati, comunemente costituiti da profili in alluminio o di qualche altro materiale molto leggero. Dopodiché viene effettuato il gonfiaggio pneumatico dell’involucro che porta alla formazione di cuscini chiusi, isolati e a pressione costante. Si possono anche aggiungere più strati dello stasso materiale per originare più camere d’aria, tra loro separate, aumentando così l’isolamento termico del cuscino. Nelle camere d’aria separate, infatti, il movimento convettivo dell’aria è inferiore a quello che si verificherebbe all’interno di un’unica camera d’aria. Il materiale più appropriato per la formazione dei cuscini è il film in ETFE o in poliestere/pvc (se non si ha la necessità di mettere a punto un involucro perfettamente trasparente). Gli elementi gonfiati prevengono la perdita di trazione nella copertura. Inoltre le camere d’aria provvedono ad incrementare le proprietà isolanti dell’intera copertura. Tuttavia il sistema non influisce sulle proprietà strutturali, come nel caso delle strutture pneumatiche air-supported, nelle quali un abbassamento della pressione interna provocherebbe il collasso della struttura. Dopo che i cuscini hanno raggiunto la forma più idonea e l’involucro è pronto per essere utilizzato, si può procedere con l’installazione delle membrane, che, assieme al resto degli elementi che compongono l’edificio, costituisce la conclusione della prima macrofase del processo edilizio. Successivamente, segue la fase gestionale, che riguarderà tutto l’arco di vita del sistema costruttivo. L’installazione comprende le fasi di imballaggio del materiale e il trasporto in cantiere, l’assemblaggio e il collaudo. ETFE: una “pelle” performante

41


L’imballaggio deve essere preceduto da una scrupolosa ispezione del materiale da inviare, seguita dalla stesura di un rapporto dettagliato. Il controllo deve essere effettuato anche sullo stoccaggio della merce perché potrebbe determinare delle variazioni nelle caratteristiche delle membrane confezionate. Il rapporto é indispensabile per accertare che quanto riportato nei documenti corrisponda alle caratteristiche del materiale come le dimensioni, le forme, le giunture o le saldature,... Dalla presentazione di tutti i documenti riguardanti la merce imballata a carico del progettista e del supervisore della produzione dipende anche il rilascio del visto richiesto per il trasporto della merce stessa. L’assemblaggio deve avvenire secondo il piano previsto in fase progettuale, tenendo conto dei dettagli strutturali, delle differenti possibilità di posa in opera e degli eventuali slittamenti o rotazioni di alcuni elementi durante la fase di montaggio. Per prima cosa si rimuove la membrana dall’involucro protettivo, si verifica che sia integra e completa dispiegandola sopra un telo e rispettando le indicazioni di piegatura. Dopodiché si può procedere al sollevamento, che deve essere svolto con estrema cautela per prevenire possibili danni o strappi. Gli accessori e le teste dei cavi da collegare al terreno vanno protetti con delle guaine. La membrana può essere quindi posizionata seguendo le istruzioni di installazione del supervisore, in accordo con le norme di sicurezza e in condizioni atmosferiche opportune. Questo processo deve avvenire il più velocemente possibile per prevenire eventuali danni durante la fase iniziale di cantiere. L’involucro installato va controllato costantemente, 42 ETFE: una “pelle” performante

soprattutto quando le condizioni atmosferiche peggiorano. Solo in questo modo è possibile agire in tempo con il corretto provvedimento. Una volta completata l’opera, il committente richiede che questa sia controllata e certificata come conforme al progetto, che sia idonea all’uso, che ne sia verificata la qualità nell’esecuzione e la congruità finanziaria. Queste operazioni si effettuano sull’organismo edilizio finito e identificano il collaudo dell’opera. Ma il collaudo finale è preceduto da diversi collaudi specialistici (ad esempio il collaudo statico) oltre che da una serie di controlli e prove assimilabili a veri e propri collaudi e che seguono lo sviluppo dei lavori. Prima del montaggio viene anche controllata l’accuratezza dimensionale dei pali di supporto. A questo proposito il fornitore della struttura portante ha l’obbligo di sottoscrivere un protocollo dimensionale al finito. E’ anche necessario che venga condotta una ispezione volta ad individuare difetti o scostamenti dai parametri stabiliti. In seguito, tutti i dati raccolti da ciascun controllo o revisione devono essere messi sotto forma di rapporti di collaudo, devono essere conservati e dati in copia al cliente. Al termine delle operazioni deve essere stilato un diario di cantiere che riporti in modo dettagliato le fasi di avanzamento dei lavori e le condizioni climatiche giorno dopo giorno. Una volta completata la fase di montaggio, deve essere preparato un rapporto finale per attestare che l’installazione sia stata completata nel rispetto delle specifiche tecniche del progetto. Tutte le fasi della lavorazione devono essere registrate, comprese alcune indicazioni atte a rendere le future installazioni più efficienti e sicure. Infine, la Direzione dei Lavori deve predisporre la


documentazione contrattuale prevista per tutte le lavorazioni che devono essere ancora completate e deve essere realizzata una relazione di accettazione. Successivamente seguono le procedure di manutenzione, che prevedono: la pulitura, non necessaria per il film in ETFE, poiché è un materiale autopulente; la riparazione in situ, che avviene rattoppando gli eventuali buchi o lievi tagli, agendo direttamente sulle porzioni della membrana intaccate da questo problema e senza dover cambiare o toccare gli altri cuscini intatti; o la sostituzione, con la quale si provvede a rimuovere un cuscino o involucro danneggiato oppure giunto al termine del proprio ciclo di vita (in genere oltre i 30 anni), quando, in sostanza, non è più in grado di garantire i livelli prestazionali definiti da progetto. La fase di dismissione, invece, può prevedere lo smaltimento del materiale che solitamente avviene in discarica oppure tramite incenerimento, e in questo caso si assiste al termine del suo ciclo di vita; in altre situazioni, come spesso capita per l’ETFE, il materiale viene rimosso e preparato per il processo di riciclo, dove verrà mescolat con un materiale primario della stessa natura e subirà la lavorazione che lo porterà ad essere riutilizzato. Come si è visto, le lavorazioni che caratterizzano la produzione, l’installazione e il collaudo, fino alla manutenzione dei sistemi ad involucro in ETFE sono complesse. Ognuna di queste richiede un equipe di esperti che sappia portare a termine i vari processi in modo professionale, soprattutto nella prima fase dove viene sintetizzato il fluoro per originare il film. Negli anni settanta, quando venne prodotto il film di ETFE per la prima volta, i macchinari utilizzati per compiere l’estrusione erano molto

differenti da quelli all’avanguardia che si dispongono oggi. Basti pensare che inizialmente le misure utili nelle quali era possibile produrre le membrane erano fortemente limitate dalle dimensioni delle macchine che si avevano a disposizione. Di conseguenza anche le performance che il materiale poteva garantire quando impiegato in ambito architettonico erano limitate rispetto a quelle dei primi anni del XXI secolo e decisamente inferiori rispetto ai vantaggi che può recare oggi. Solo dopo quasi un ventennio fu possibile produrre membrane di svariate dimensioni, in grado di adattarsi nel miglior modo possibile ai desideri progettuali degli architetti. La ricerca ha permesso lo sviluppo del materiale e delle differenti tecniche costruttive con le quali può essere impiegato, tuttavia ulteriori evoluzioni sono ancora possibili, poichè l’ETFE possiede altri margini di miglioramento, soprattutto dal punto di vista acustico. Per questo motivo è essenziale che il processo di sperimentazione teorica e pratica non sia arrestato, ma venga portato avanti per consentire a questa tecnologia di progredire e potersi affermare come un sistema costruttivo primario in ambito di realizzazione di rivestimenti architettonici trasparenti. Le aziende chimiche in grado di sostenere una simile lavorazione del fluoro non sono molte, ma aumentano lievemente nel corso degli anni. Ad oggi quelle con una maggior esperienza in questo campo sono: la du Pont, la Vector Foiltec, la Dyneon, la Asahi Glass e la Daikin. In seguito verranno catalogati alcuni dei progetti in ETFE più rilevanti realizzati grazie al lavoro di queste aziende e di altre, tra cui la Birdair e la Taiyo Europe. ETFE: una “pelle” performante 43


2.2 - LE POTENZIALITÀ DELL’ETFE IN AMBITO ARCHITETTONICO: VANTAGGI E POSSIBILI MIGLIORAMENTI L’ETFE è un polimero ottenuto dalla molecola di base dell’etene ( C2H4), la quale viene stabilizzata aggiungendo quattro atomi di fluoro a formare un legame covalente. La presenza di questo legame C-F (carbonio-fluoro), che è uno dei legami chimici a più alta energia, è la caratteristica che rende particolarmente efficienti i polimeri fluorurati, poichè le molecole che li compongono sono molto stabili e in grado di sopportare alti livelli di sollecitazione termica e aggressione chimica, cosa difficilmente riscontrabile negli altri polimeri. Le tecniche di lavorazione e i macchinari a disposizione fino agli anni sessanta del secolo scorso erano molto differenti rispetto a quelli impiegati oggi, per cui è facile intuire che, prima che entrassero in vigore le macchine computerizzate atte a compiere l’estrusione e i successivi processi che portano alla realizzazione del film e dei cuscini in ETFE, l’utilizzo di questo, così come altri materiali di derivazione plastica, era molto ridotto. Questo spiega il motivo per cui in origine l’etilene era prodotto quasi esclusivamente sotto forma di resina isolante ed era destinata ai soli settori navale e aerospaziale. Le industrie produttrici di scafi per imbarcazioni si servivano della resina di etilene florurato per una delle poche caratteristiche conosciute di quel polimero, ovvero l’elevata resistenza al calore termico. Ricoprendo la chiglia di un’imbarcazione con uno strato di questo materiale si poteva scongiurare il rischio di infiammabilità dello scafo, aumentarne le proprietà isolanti e rendere quindi più sicura l’imbarcazione stessa. Dunque la prima caratteristica dell’etilene ad 44 ETFE: una “pelle” performante

essere scoperta fu la notevole sopportazione del calore data proprio dalla presenza del legame covalente tra carbonio e fluoro che rende il polimero autoestinguente e previene il gocciolamento in caso di combustione. Il film di ETFE è stato sottoposto a numerosi test per verificarne le proprietà chimico-fisiche, tra cui quelli mirati ad accertare la resistenza e la reazione del polimero quando sottoposto ad alte temperature che simulano un incendio. I risultati di questi test confermarono che è un polimero a bassa infiammabilità ed è infatti annoverato nella classe A secondo la normativa DIN 4102. Un’osservazione che rende unico l’ETFE è che in caso di incendio in cui i gas raggiungono temperature attorno ai 200°C, la membrana più esterna è la prima che tende a bucarsi favorendo la fuoriuscita verso l’esterno dell’edificio dei gas nocivi. Questo evita inoltre che la temperatura salga ulteriormente rischiando di causare dei danni alla struttura portante dell’involucro. Quando il calore aumenta e supera il punto di fusione del materiale che è di 275°C, la membrana inizia a sciogliersi, tuttavia, per merito delle proprietà autoestinguenti derivate dalla forte presenza di fluoro nella sua composizione molecolare, non tende a gocciolare e tanto meno a frantumarsi, non favorendo quindi la propagazione dell’incendio. Gli altri materiali che rispondono al fuoco in maniera ottimale sono il PTFE espanso (politetrafluoro-etilene) e il vetro/silicone che appartengono entrambi alla classe A secondo la stessa normativa DIN 4102. Il PTFE espanso è praticamente non infiammabile se situato in ambienti in cui la quantità di ossigeno presente è inferiore al 95%. Il vetro/silicone invece ha una bassa infiamma-


bilità, ma soprattutto è uno dei pochi materiali che non rilasciano fumi tossici nell’aria dopo che è stata raggiunta la soglia di fusione.

Classe 1 alta

Figura 50 dati relativi alla classificazione dell’ETFE per la reazione e la resistenza al fuoco, confrontato con altri materiali concorrenti. (fonte: DuPont e norma DIN 4102 in vigore in Italia e in alcuni paesi dell’Unione Europea)

Classe 2 buona

Dalla documentazione storica dell’azienda Vector Foiltec è possibile risalire ai primi interventi che riguardarono le coperture delle serre all’interno del Burger Zoo di Arnhem in Olanda. Nel 1982 venne contattata per provvedere al rifacimento di alcune delle coperture dei giardini botanici dello zoo che erano collassate in seguito a un periodo di mal tempo in cui il vento incessante aveva provocato diversi strappi con il conseguente crollo del tetto. Dopo un breve periodo l’installazione della copertura della Mangrove Hall composta da cuscini in FEP (fluorato etilene-propilene) lunghi 45 metri cedette sotto le spinte originate dal vento. L’intervento ad opera del team di Happold con il supporto e la consulenza della Vector Foiltec sostituì la vecchia copertura con un sistema di cuscini in ETFE di dimensioni ridotte e decisamente più performanti. Il nuovo involucro infatti si dimostrò più resistente, più duraturo e meno dispendioso in termini

Classe 3

ETFE

PTFE espanso

vetro / silicone

vetro / PTFE

bassa

PVC / PES

Oltre alla resistenza alle alte temperature, il secondo motivo per il quale si incominciò ad utilizzare l’etilene tetrafluoro-etilene in edilizia fu la trasparenza. I primi progetti per i quali venne impiegato questo nuovo polimero durante gli anni settanta furono prevalentemente serre botaniche. Questo è spiegato dal fatto che fin da subito si è scoperto che l’ETFE era un materiale estremamente trasparente e in grado di fornire un irraggiamento completo dello spettro del visibile e dei raggi UV, fondamentale per la crescita spontanea delle piante.

Figura 51 veduta dall’interno della Mangrove Hall dello zoo di Arnhem dopo la sostituzione della coperturain FEP con una in ETFE (1983). ETFE: una “pelle” performante 45


100 90 70 60 50 40 30 20

Figura 53 la copertura composta da cuscini in ETFE colorato della stazione dei treni di Lodz; progetto di FOOROM sp. (2014).

Figura 54 il rivestimento in ETFE bianco singolo strato del Ruhr Park di Bochum; progetto di Hùttenes Gmbh (2012).

46 ETFE: una “pelle” performante

ETFE

PTFE espanso

vetro / silicone

vetro / PTFE

10

PVC / PES

Figura 52 dati relativi alla trasmissione della luce da parte dell’ETFE e di alcuni materiali a confronto. (Fonte: Vector Foiltec, Carl Maywald report TR14).

traslucenza (%)

80

di manutenzione, ma soprattutto di gran lunga più traslucente e quindi ideale per il processo di fotosintesi necessario per la crescita delle piante. La nuova membrana venne utilizzata anche per le altre serre dello zoo e venne applicata su strutture composte da travi in acciaio e cavi già presenti, a dimostrazione dei notevoli miglioramenti avvenuti in ambito di assemblaggio di ogni singolo cuscino e dell’ancoraggio dell’intero sistema ad una struttura portante già pronta. Il successo ottenuto con il primo intervento permise il completamento di altri edifici a scopo botanico tra cui la Tropical Hall del 1988 e la Desert Hall del 1993. Questi tre interventi assieme trasformarono l’esperienza di vivere lo zoo di Arnhem e ne quadruplicarono i visitatori. In questo caso si impiegò la tecnologia a cuscino (air-filled cushion) in cui ogni elemento era composto da un doppio strato di membrana bianco e trasparente, poiché l’obiettivo era quello di trasmettere all’interno della serra tutta la luce possibile. Il film di ETFE di colore bianco e trasparente ha infatti una traslucenza media del 94%, che può però variare dal 92% fino al 96%, a seconda del colore e del numero degli strati che compongono l’involucro. Nel caso della realizzazione di giardini botanici è naturale pensare che l’ETFE sia il materiale più appropriato per il progetto ed è quasi scontato pensare di impiegare una membrana che sia quanto più possibile trasparente per agevolare la trasmissione della luce all’interno dell’edificio. In altri casi, invece, può non essere così scontata la scelta del colore degli strati ed è da valutare con altrettanta attenzione la possibilità di aggiungere delle schermature dinamiche appli-


cabili direttamente sulle superfici delle membrane più esterne del cuscino per controllare il flusso di luce che attraversa l’involucro e illumina l’edificio. Questo aspetto è di fondamentale importanza perché può determinare l’illuminazione dell’intero progetto, soprattutto quando l’ETFE viene impiegato in copertura e ricopre quindi un ruolo primario per l’equilibrio tra spazi in ombra e illuminati. Il sistema multistrato infatti può essere regolato per gestire nel modo più funzionale possibile la propagazione della luce con il tipo di isolamento più adeguato. Come si è visto il film in ETFE è molto trasparente e consente la trasmissione dei raggi UV, che nel caso di un edificio adibito a scopi botanici è l’ideale, poichè favorisce la crescita delle piante agevolandone la fotosintesi; ma in altri casi, l’eccessiva illuminazione può risultare dannosa. Il modo più efficace per prevenire questo fatto è con l’applicazione di uno strato serigrafato composto da un pattern lievemente inciso ultra-sottile e leggero ad uno o più fogli dell’involucro. L’ampia varietà di tipologie di pattern differenti consente di scegliere quello più adatto e specifico per il progetto. La giusta schermatura applicata ad uno o più layer del cuscino di ETFE modifica la risposta dell’involucro alla radiazione solare incidente, ovvero fa in modo che venga filtrata, permettendo il passaggio solo di una parte di questa, mentre il resto viene bloccato. Esistono diverse soluzioni di patterning per le schermature, che variano a seconda delle geometrie e della densità (fittezza) del disegno. Frequentemente si utilizzano disegni geometrici costituiti da pallini o da celle a nido d’ape perchè consentono di controllare meglio il fil-

Figura 55 I diversi tipi di pattern con i quali possono essere realizzate le stampe da sovrapporre agli strati di ETFE come schermature. (fonte: Birdair Inc.) ETFE: una “pelle” performante 47


traggio della luce, tuttavia sono disponibili anche texture non geometriche e non simmetriche, nel caso si volesse dar vita a dei particolari giochi di chiaro/scuro. Al di là del disegno scelto per la schermatura, ciò che condiziona maggiormente la variazione della trasmittanza dello strato di ETFE al quale é applicato il pattern è la densità (o fittezza) del disegno stesso. Infatti più un pattern è concentrato, o meglio più è ridotta la distanza tra i pallini (o qualunque altra forma geometrica) che costituiscono il disegno, minore sarà la quantità di radiazione luminosa lasciata passare. Tuttavia prima ancora di pensare alla schermatura é necessario stabilire quanti strati debbano comporre l’involucro.

Figura 56 a.b.c immagini della copertura multistrato del AVM Carport di Monaco con pannelli solari integrati.

48 ETFE: una “pelle” performante

Fino ad oggi la tecnologia a cuscino (air-filled cushion) è stata studiata, testata ed impiegata con il numero di membrane che varia da un minimo di due (strati) ad un massimo di cinque (strati). Ovviamente è possibile anche l’installazione di un involucro monostrato in ETFE, ma questo provoca una riduzione della resistenza della membrana e non agevola la regolazione della trasmissione della luce che lo attraversa. Nel caso di una tecnologia a cuscino invece bisogna tener conto che all’aumentare del numero degli strati dai quali è costituita diminuisce la potenza termica scambiata dal materiale comportando una riduzione dell’irraggiamento. Quindi già il fatto di servirsi di un multistrato composto da più di due fogli contribuisce a limitare il flusso di luce che oltrepassa l’involucro. Qualora, poi, fosse richiesto di sfruttare al meglio l’illuminazione in determinati periodi del giorno e limitarla in altri si potrebbe provvedere all’installazione di schermature in materiale plastico compatibile in grado di modificare il proprio as-


90

trasmittanza (%)

80 70 60

Figura 57 Il grafico indica la trasmittanza di un film in ETFE bianco e trasparente in funzione della lunghezza d’onda. (fonte: Vector Foiltec)

50 40 30 20 10 0 0

300

800

1300

1800

2300

lunghezza d’onda (nm)

100 90 80

trasmittanza (%)

Un edificio che sfrutta la capacità dell’etilene tetrafluoro-etilene di inglobare sistemi fotovoltaici è il Carport AWM di Monaco di Baviera. Questo intervento di Ackermann & Partner risale al 2011 e consta di 220 cuscini gonfiati ad aria. Ognuno di questi è composto da un triplo strato di membrana di cui solo il foglio più basso è colorato per ridurre la luce trasmessa al di sotto della copertura. Sono presenti poi 12 moduli fotovoltaici ancorati al layer situato nel mezzo e ogni sistema è dotato di parti fisse e parti mobili. Per consentire lo slittamento controllato di queste parti dinamiche è stato necessario staccare il layer in mezzo al cuscino e pensare alla sua sospensione per mezzo di un sistema di cavi tesi, in modo che non avesse alcun ruolo strutturale ed evitare quindi che in caso di neve o di un carico concentrato in sommità della copertura i moduli fotovoltaici potessero rovinarsi. In più la scelta di staccare il layer centrale risulta

100

70 60

Figura 58 Il grafico indica la trasmittanza di un film in ETFE colorato in funzione della lunghezza d’onda. (fonte: Vector Foiltec)

50 40 30 20 10 0 0

300

800

1300

1800

2300

lunghezza d’onda (nm)

100 90 80

trasmittanza (%)

setto e la propria disposizione a seconda della variazione dell’intensità e dell’angolazione della radiazione incidente. Da quando è stato scoperto questo espediente si è verificato un incremento del numero di impieghi dell’ETFE in ambito architettonico e spesso è stata sfruttata questa tecnica per ottimizzare i costi relativi al riscaldamento e al raffreddamento degli edifici, perseguendo l’obiettivo di una miglior sostenibilità e compatibilità con l’ambiente circostante. Inoltre al cuscino in ETFE può essere integrato un sistema a celle fotovoltaiche in grado di immagazzinare una parte della radiazione solare incidente convertendola in energia fruibile per l’immissione d’aria all’interno dell’involucro necessaria a mantenere ogni strato teso, gonfio ed efficiente.

70 60

Figura 59 Il grafico indica la trasmittanza di un film in ETFE bianco opaco in funzione della lunghezza d’onda. (fonte: Vector Foiltec)

50 40 30 20 10 0 0

300

800

1300

1800

2300

lunghezza d’onda (nm) ETFE: una “pelle” performante 49


trale in modo alternato ed è stato previsto anzi tempo dall’ingegnere che tale processo si compiesse 1,5 volte al giorno per un totale di 3000m3 aspirati nell’arco di 24 ore. Per camera d’aria s’intende lo spazio compreso tra due strati di ETFE che compongono un cuscino. E’ possibile che un cuscino sia costituito da più membrane e quindi sia dotato di più camere d’aria. Il numero massimo raggiungibile é di quattro camere d’aria nel caso di un sistema complesso originato da cinque layer di etilene.

Figura 60 Dettaglio di una generica valvola di drenaggio per il ricambio della camera d’aria di un cuscino.

a)

Figura 61 Disegno di un generico cuscino doppiostrato di ETFE (a) che mostra il processo di inflazione dell’aria all’interno (b) della camera d’aria tramite l’utilizzo delle valvole. b)

intelligente anche in ottica di future manutenzioni, poiché in caso di guasto di uno dei pannelli fotovoltaici, sarebbe più semplice provvedere al suo ricambio distaccandolo dallo strato centrale. I cuscini sono mantenuti stabili da un flusso d’aria costante che viene soffiata al loro interno, inoltre sono presenti delle valvole di drenaggio che consentono il ricambio d’aria necessario per evitare che si crei condensa sulle superfici interne degli strati e che questa possa danneggiare il sistema fotovoltaico. Per questo progetto il ricambio d’aria tra la camera d’aria superiore e quella inferiore avviene tramite queste valvole posizionate sul layer cen50 ETFE: una “pelle” performante

Come si è già avuto modo di osservare, all’aumentare del numero di strati di un sistema a cuscino (air-filled cushion) migliora l’isolamento termico, si riduce il flusso di luce trasmesso dall’involucro e si incrementa la resistenza ai carichi agenti in sommità. Tuttavia non vengono quasi mai impiegati più di tre layer per realizzare un sistema a cuscino, perchè questo è considerato il miglior compromesso per garantire un ottimo isolamento senza incrementare il peso e i costi della struttura. La trasmittanza di un multistrato composto da due layer di ETFE è invece di 2,94 W/m2K ed é inversamente proporzionale all’incremento del numero di strati del cuscino. Infatti un sistema composto da un triplo strato di etilene ha una trasmittanza molto minore (1,96 W/m2K) rispetto a quella di un doppio strato. Questo perché tra uno strato e l’altro vi è una camera d’aria mantenuta gonfia tramite l’influsso di una corrente d’aria ad una pressione specifica e studiata “ad hoc” per il progetto. Lo spessore della camera d’aria, o meglio la quantità di aria immagazzinata costituisce il pri-


mo fattore di isolamento sia acustico sia visivo. La pressione dell’aria all’interno della camera deve rispettare sempre i valori stabiliti dall’ingegnere in accordo con l’azienda produttrice, per questo motivo è indispensabile la presenza di valvole di drenaggio che consentano il ricambio costante in un intervallo di tempo prefissato. In questo modo si garantisce che ogni cuscino sia sempre teso e mantenga la forma ottimale. Per quanto riguarda il peso invece il discorso è differente. Un singolo foglio di ETFE pesa circa 400 g/m2 e va ad aumentare di pari passo al numero degli strati aggiunti per formare l’involucro. Confrontando quindi l’ETFE con gli altri materiali simili utilizzati per rivestimenti trasparenti, si può notare che nel caso di applicazione di un monostrato di etilene il peso di questa struttura è nettamente inferiore rispetto a un sistema che impieghi uno qualsiasi degli altri polimeri. Bisogna tener conto però che un involucro composto da un singolo strato di ETFE non può soddisfare gli stessi requisiti garantiti da un sistema multistrato a cuscino del medesimo materiale. Certamente la scelta di installare una copertura ad unico layer è vantaggiosa per un motivo economico rispetto ad un multistrato, tuttavia la condizione che detta quale delle due soluzioni sia la più appropriata è la funzione che ricopre l’edificio nel quale va effettuato l’intervento. Il sistema a singolo layer è impiegato raramente infatti perché non risponde tanto efficacemente quanto la tecnologia a cuscino in termini di isolamento (sia termico che acustico), di resistenza ai carichi verticali e a stiramenti orizzontali, inoltre non rende possibile la regolazione e il controllo ottimale dell’illuminazione trasmessa.

Figura 62 a.b Dettaglio della copertura doppiostrato del Central St. Martins College of Art and Design.

Se si considera quindi che per rendere migliore un involucro monostrato bisognerebbe incrementare notevolmente le sue proprietà e che questo comporterebbe un annullamento del vantaggio sul costo dell’ETFE che si avrebbe rispetto ad un multistrato, e che comunque non sarebbe possibile raggiungere l’efficienza garantita da quest’ultimo, si evince che il sistema di copertura composto da un solo layer non è per nulla conveniente se confrontato con uno a cuscino costituito da due o tre strati dello stesso materiale. Prendendo in esame il cuscino formato da due o tre strati di ETFE si può notare che il peso (del solo involucro esclusa la struttura portante) é paETFE: una “pelle” performante

51


4

robustezza (MPa)

Figura 63 Il grafico indica il comportamento dell’ETFE mettendo in relazione robustezza e allungamento. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler)

3

22

2

1

0

0 10

400

800

allungamento (%) 1- tipico valore dello sforzo ammissibile 2- limite di proporzionalità 3- punto di snervamento 4- massima robustezza della membrana

25 20 sforzo (N/mm2)

Figura 64 Il grafico indica il comportamento dell’ETFE mettendo in relazione sforzo e allungamento. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler)

15 10 5 0

1

2

3

4

5

allungamento (%)

Figura 65 Il grafico indica il risultato dei test biassiali con carico longitudinale e trasversale ai quali é stato sottoposto il film di ETFE. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler)

sforzo (N/mm2)

diagramma con carico monoassiale diagramma con carico biassiale

20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 0

1000

2000 time (h)

diagramma con carico longitudinale diagramma con carico trasversale

52 ETFE: una “pelle” performante

3000

4000

6

ragonabile a quello del PTFE espanso (800 W/ m2K) ed è invece inferiore rispetto agli altri materiali trasparenti per rivestimenti presi in considerazione. Questo é possibile poiché l’ETFE è un materiale estremamente leggero sebbene sia anche dotato di una buona resistenza. Proprio queste caratteristiche ne garantiscono una straordinaria flessibilità e un’ampia varietà di impieghi in ambito architettonico. In quanto a flessibilità l’ETFE supera nettamente il vetro, sia per l’ampia varietà di forme e dimensioni nelle quali è possibile produrlo, sia per la notevole pieghevolezza, sia per l’elevata resistenza ai carichi che vi vengono applicati. Uno strato di ETFE può avere diversi spessori, che tendenzialmente variano dai 150 micron per i layer più sottili, fino a raggiungere 200 e 250 micron per quelli più consistenti. Anche questo fattore, che è strettamente legato al tipo di produzione e di lavorazione del materiale, è estremamente importante, poichè consente all’architetto di “personalizzare” il materiale in virtù dei compiti e delle funzioni che dovrà ricoprire, permettendo di soddisfare i requisiti dell’intervento progettuale da effettuare in maniera più efficace. Questo concetto potrebbe essere sottovalutato, tuttavia è forse la caratteristica principale del film e deriva direttamente dalla lavorazione selettiva e specifica che subisce l’etilene prima di diventare uno dei più efficienti materiali per rivestimenti trasparenti. Per un architetto infatti è estremamente importante avere un’ampia gamma di possibili materiali dalla quale poter scegliere quello più appropriato per il progetto, così come, una volta effettuata la scelta, è bene che il materiale selezionato possa essere adattato alla specificità del progetto nel modo migliore.


La durezza e la leggerezza sono caratteristiche che rendono l’ETFE molto flessibile e sono state verificate da numerosi test che ne hanno messo alla prova la resistenza. E’ stato sottoposto infatti a test che ne hanno valutato le proprietà meccaniche usando trazione, compressione, flessione, fatica, carico dinamico e multiassiale. Sono state effettuate numerose prove, tra cui le Instron a 100 mm/min, che hanno verificato la resistenza a trazione, la capacità di flessione e di allungamento del polimero prima di raggiungere la soglia critica di frattura o taglio e la rapidità con la quale uno strappo superficiale si può propagare e dilatare.

sforzo (N/mm2)

20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 -2

2

0

4

6

8

Figura 66 Il grafico indica il comportamento dell’ETFE mettendo in relazione sforzo e allungamento con carichi trasversali e longitudinali alla temperatura di -25°C. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler)

allungamento (%) effetto del carico trasversale a temperatura costante di -25°C effetto del carico longitudinale a temperatura costante di -25°C

allungamento (%)

3.0 2.5

Figura 67 Il grafico indica il comportamento dell’ETFE mettendo in relazione allungamento e tempo. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler)

13 N/mm2

2.0 1.5

9.5 N/mm2

1.0

6 N/mm2

0.5 0.0 -0.5 -1.0 10

1

100

1000

10000

tempo (h) effetto del carico longitudinale effetto del carico trasversale di 4 N/mm2

sforzo (N/mm2)

L’ETFE sembra essere la soluzione ideale quando si deve realizzare un involucro trasparente perché consente un’elevata adattabilità rispettando le esigenze dei progettisti e consentendo loro di personalizzarlo scegliendo il numero di strati, lo spessore, le dimensioni, l’ampiezza delle camere d’aria interposte tra i layer e quindi la pressione d’aria interna all’involucro, l’utilizzo di schermature, il colore e via dicendo. Lo spessore dello strato così sottile gli permette di allungarsi e deformarsi garantendo un’ottima resistenza agli sforzi di trazione, ma riducendo inevitabilmente la soglia di sopportazione dei carichi trasversali all’involucro. Questo aspetto può limitare in certi casi la luce massima dei cuscini in ETFE. Tuttavia è possibile porvi rimedio con l’impiego di una struttura di rinforzo che può essere pensata in accordo con la struttura portante o, come succede più frequentemente, può riguardare un sistema di cavi tesi e disposti al di sotto del cuscino con il compito di sostenere l’involucro in casi di estremo carico trasversale, come per esempio un accumulo di neve.

Figura 68 Il grafico indica il comportamento dell’ETFE mettendo in relazione sforzo e allungamento con carichi trasversali e longitudinali alla temperatura di -35°C. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler)

20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 -2

0

2

4

6

8

allungamento (%) effetto del carico trasversale a temperatura costante di 35°C effetto del carico longitudinale a temperatura costante di 35°C ETFE: una “pelle” performante 53


Gli esiti hanno confermato quanto già si pensava, ovvero che il cuscino in ETFE risponde in maniera ottimale agli sforzi longitudinali di trazione e ha una capacità di allungamento che precede la rottura variabile tra valori del 300% fino al 400%. Altri test invece (DIN 53363) hanno valutato la propagazione di strappi lungo la superficie della membrana a diverse temperature. Si è visto che ad una temperatura medio-bassa come 23 °C una frattura si può diffondere a valori variabili tra 400 e 500 N/mm. Gli esiti ricevuti dai test che hanno verificato la capacità di sopportare carichi trasversali di compressione invece non sono stati altrettanto positivi, confermando quello che fin qui sembra essere l’unico punto a sfavore di questa membrana. Il ridotto spessore e la straordinaria flessibilità del film costituiscono uno dei principali vantaggi che questa tecnologia può offrire, poichè permettono al progettista di realizzare architetture dalle forme innovative, spesso non concepibili o non altrettanto performanti con l’utilizzo di altri materiali. Tuttavia questo pregio in alcuni casi può anche manifestarsi come un difetto che necessita di opportune precauzioni per porvi rimedio. Si fa riferimento soprattutto a casi in cui la tecnologia a cuscino in ETFE viene impiegata a scopo di copertura orizzontale ed è doveroso prevedere che la natura del materiale lo porta a deformarsi notevolmente sotto l’azione di compressione e quindi sarà necessario studiare una soluzione per supportare l’involucro a livello strutturale in situazioni critiche di carico ed evitare che possa strapparsi o collassare. Il sistema di ventilazione si basa sull’utilizzo del54 ETFE: una “pelle” performante

le valvole di drenaggio che ricambiano l’aria all’interno degli strati durante intervalli di tempo costanti. In verità, però, quando la condizione di carico trasversale aumenta è necessario incrementare il flusso d’aria verso l’interno per consentire ad ogni cuscino di gonfiarsi maggiormente, guadagnare resistenza e sopportare la pressione dovuta al peso che lo porta a deformarsi. Questo sistema è molto vantaggioso perchè permette di mantenere invariata l’ampiezza di ogni cuscino in situazioni normali, cioè quando non vi sono particolari carichi che agiscono sulla struttura, e invece di regolarne lo spessore qualora inizi la decompressione delle camere d’aria. Nonostante questo meccanismo sembri semplice ed efficace non è per nulla scontato, ma anzi necessita di studi approfonditi per poter essere sfruttato nella maniera più ottimale ed efficiente. Occorre tenere presente che le dimensioni del cuscino influiscono sulla rapidità con la quale può essere gonfiato e quindi sulla resistenza agli sforzi. Inoltre anche il fattore ambientale non è da trascurare, poiché quando si sceglie di impiegare l’ETFE bisogna conoscere le condizioni climatiche caratteristiche del luogo e considerare che potrebbero comportare notevoli sforzi di compressione o di trazione in base ai quali pianificare il progetto dell’involucro e della struttura portante. L’ambiente ricopre un ruolo importante nelle scelte progettuali che prevedono l’impiego dell’ETFE. Per poter scegliere il materiale più adeguato al rivestimento trasparente di un edificio occorre considerare diversi fattori, tra i quali quelli derivanti dall’ambiente circostante. Si è già avuto modo di verificare l’importanza


900 800

peso (g/m2)

700

Figura 69 Il grafico indica il peso di un singolo strato di ETFE e lo mette a confronto con gli altri materiali concorrenti. Fonte: Architettura Tessile (di A. Campioli e A. Zanelli)

600 500 400 300 200

vetro / silicone

PTFE espanso

ETFE

ETFE con RS2

policarbonato

doppio vetro

vetro / PTFE

PVC / PES

100

Figura 70 i valori relativi alla trasmissione delle onde sonore da parte di un involucro in ETFE con Rain Suppression mesh 1 (RS1), con Rain Suppression mesh 2 (RS2) e privo di mesh, confrontati con il policarbonato e il vetro. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler)

100 90 80 70 60 50 40 30 20

ETFE con RS1

10

ETFE

L’ETFE è un materiale estremamente trasparente e leggero, con una massa inferiore a 1kg/m2. Questo aspetto incide sulle proprietà isolanti sia dal punto di vista termico, infatti la radiazione luminosa attraversa abbondantemente il singolo strato di ETFE a meno che non si usi un sistema multistrato a cuscino e ci si serva di schermature; sia da quello acustico, poichè la massa ridotta fa sì che il rumore prodotto all’esterno dell’edificio si propaghi all’interno con relativa facilità, a meno che non si adottino delle contromisure per risolvere il problema. Il rumore generato dalla pioggia insistente, per esempio, può rappresentare una forma di disagio in casi di edifici come uffici o librerie in cui si necessita silenzio. Qualora però i rumori di sottofondo prodotti esternamente costituiscano un intralcio per le funzioni che si andranno a svolgere nell’edificio, è possibile porvi rimedio applicando a uno o più layer del cuscino in ETFE una maglia isolan-

1000

intensità del suono (dB)

dell’illuminazione solare e l’ottima capacità del materiale di trasmetterne più del 90%, ma altrettanto rilevanti sono le proprietà acustiche. A questo proposito le caratteristiche che hanno costituito fino ad ora i pregi dell’ETFE per un uso in architettura, quali l’elevata trasparenza, la leggerezza e la deformabilità, influiscono negativamente sulle proprietà acustiche come la trasmissione, il riflesso e l’isolamento delle onde sonore. Quando un suono o un rumore viene prodotto in uno spazio chiuso si verifica il processo di riverbero, ovvero le onde sonore si propagano e quando entrano in contatto con le pareti dell’edificio vengono deviate (o riflesse) e così continua fino a quando il suono non viene completamente dissipato.

Figura 71 dettaglio di due differenti tipi di aggancio della rain suppression mesh. ETFE: una “pelle” performante 55


40 30 20

PVC / PES

vetro / PTFE

vetro / silicone

PTFE espanso

ETFE

vetro / PTFE

vetro / silicone

PTFE espanso

ETFE

10

PVC / PES

vita utile (anni)

Figura 72 Il grafico indica il periodo di vita di un singolo strato di ETFE e lo mette a confronto con i materiali concorrenti. Fonte: Architettura Tessile (di A. Campioli e A. Zanelli)

80 70

costo (€/m2)

Figura 73 Il grafico indica il costo di un singolo strato di ETFE e lo mette a confronto con i materiali concorrenti. Fonte: Architettura Tessile (di A. Campioli e A. Zanelli)

60 50 40 30 20 10

te trasparente e molto leggera chiamata ‘Rain Suppression mesh’ (RS). Questa mesh è costituita da fibre di fluoropolimeri o filamenti di tessuti con una distanza tipica tra un intreccio e l’altro che può variare dai 20mm ai 40mm. Va applicata sulla superficie esterna dello strato che compone l’involucro e va mantenuta in tensione su di essa. La sua funzione è quella di costituire uno strato tampone che si impregni di acqua intrappolando la pioggia incidente e aumentando così la massa superficiale, contribuendo a ridurre la generazione e la trasmissione del suono. 56 ETFE: una “pelle” performante

I test condotti dalla Vector Foiltec su un cuscino di ETFE con RS integrata hanno dimostrato che la maglia riduce il livello di onde sonore trasmesse di circa 9,7 dB, che equivale ad una riduzione del rumore pari al 50% per l’orecchio umano. La mesh è facilmente installabile sulla superficie dei layer che compongono un cuscino già assemblato e in utilizzo, per cui in casi standard si tende a non prevedere anzi tempo l’impiego della rain suppression mesh, poiché è possibile applicarla a uno o più strati dei cuscini che si desidera anche a progetto concluso. Motivo in più per aspettare a decidere se sia il caso di aggiungere la mesh all’involucro deriva dal fatto che l’uso della RS comporta una riduzione, seppur lieve, nella trasmissione della radiazione solare incidente, che può variare da un valore minimo del 5% fino a un massimo del 10%. Si è visto quindi che la straordinaria leggerezza e trasparenza dell’ETFE agevolano il passaggio delle onde sonore attraverso la superficie del materiale, poiché solo una frazione molto ridotta viene riflessa, mentre la maggioranza oltrepassa l’involucro. Nel caso in cui si abbia a che fare con condizioni acustiche estreme, in cui i rumori provenienti dall’esterno sono molto forti e persistenti, è necessario predisporre la struttura di rivestimento trasparente con una o più barriere anti-rumore. In questo modo si può diminuire l’intensità del suono fino a raggiungere valori pari a 55,5 dB con l’utilizzo di una rain suppression mesh di tipo 2. Servendosi invece di una mesh di tipo 1 l’intensità verrebbe limitata fino a valori di 62,7 dB, che è già un buon risultato se confrontato con quello di un cuscino in ETFE privo di alcuna mesh anti rumore, che è pari a 68,9 dB. Tuttavia come l’ETFE privo di ogni sorta di ma-


glia anti pioggia non isola dal rumore esterno, allo stesso modo non riflette i suoni emessi all’interno. Questo è decisamente un vantaggio, poiché una stanza ben isolata e composta da un involucro in etilene tetrafluoro etilene in copertura farà sì che le onde sonore generate internamente, una volta iniziato a propagarsi, si dissolvano rapidamente, rendendo molto rapido il tempo di riverbero. L’isolamento acustico è forse la proprietà di questo materiale rispetto alla quale si stanno effettuando ancora molte ricerche e sono in atto diversi test per mettere a punto nuovi sistemi che consentano il progresso della tecnologia a cuscino. L’ETFE è inoltre un materiale autopulente ed estremamente resistente a condizioni climatiche critiche. Queste proprietà lo rendono uno dei materiali da rivestimento trasparenti con l’aspettativa di vita più lunga e ne agevolano le operazioni di manutenzione. Gli studi sulle installazioni completate e ancora in uso confermano che la durabilità minima del materiale sia approssimabile a 30 anni, tuttavia é molto probabile che questa soglia possa essere superata senza particolari preoccupazioni. Una testimonianza della sua durabilità si ha dalle serre dello zoo di Arnhem che costituiscono le prime realizzazioni di involucri in ETFE installate a partire dal 1982 e perfettamente funzionanti ancora ad oggi. L’etilene tetrafluoro-etilene è vantaggioso anche sotto il profilo economico, poichè consente di risparmiare sul prezzo del materiale, infatti il costo di un singolo strato di spessore pari a 150 micron si aggira attorno agli 11,5 euro/m2, ben più

basso rispetto a quello dei materiali concorrenti, fatta eccezione per il PVC. Oltre a ciò è possibile trarre beneficio economico dalla scelta dell’ETFE anche per le ridotte opere di manutenzione alle quali può essere sottoposto. Non sono richieste, infatti, particolari cure manutentive, ma sono comunque consigliabili ispezioni regolari delle superfici che compongono l’involucro, per verificarne l’integrità e prevenire eventuali strappi derivabili da oggetti appuntiti o da uccelli. In ogni caso le superfici degli strati sono semplici da riparare con degli appositi fogli adesivi qualora invece si riscontrassero dei danni seri che potrebbero portare all’instabilità del rivestimento bisognerebbe sostituire lo strato compromesso con uno nuovo e perfettamente utilizzabile. La sostenibilità ambientale è l’ultima proprietà per la quale l’etilene tetrafluoro-etilene si distingue tra tutti i materiali da rivestimento. La membrana di ETFE è infatti interamente riciclabile (al 100%), caratteristica che deriva dal processo di produzione basato sull’acqua e privo di trattamenti con solventi chimici o composti del petrolio. Se bruciato l’ETFE può diventare tossico poichè, come tutti i polimeri derivati dal fluoro, produce diossina. Tuttavia la temperatura alla quale inizia a fondere è molto elevata e questo fa sì che la membrana abbia un’ottima resistenza al calore. Questa proprietà è posseduta da pochi altri materiali trasparenti ed è fondamentale per la realizzazione di involucri basati sulla sicurezza stabilita dalla tecnologia a cuscini di ETFE. La tecnologia a cuscini in ETFE è più articolata rispetto ai tradizionali sistemi costruttivi che imETFE: una “pelle” performante 57


Figura 74 un esempio di involucro totale, costituito interamente da cuscini di ETFE. L’Allianz Arena, progetto di Herzog & De Meuron, 2004, Monaco di Baviera.

Figura 75 un ulteriore celebre progetto con involucro in ETFE. Il National Aquatics Centre (o Watercube) di Pechino, realizzato da PTW Architects nel 2008.

Figura 76 veduta interna del Khan Shatyr Entertainment Center ad opera di Norman Foster and associates, 2011, Astana.

58 ETFE: una “pelle” performante

piegano materiali più comunemente utilizzati ma meno performanti come il PVC o il policarbonato. La maggior complessità della tecnologia air-filled cushion risiede soprattutto nella composizione stessa della struttura, ovvero dal numero di strati di membrana che la compongono. Ovviamente la stabilità, la sicurezza e le prestazioni dell’intero sistema non dipendono solamente dal numero di strati che necessita, ma anche dalle dimensioni di ogni cuscino, dalla struttura di supporto e da molte altre variabili, comprese le proprietà fisiche e chimiche del materiale impiegato. L’ETFE è un materiale che si presta in maniera ottimale per questo utilizzo, ma non è l’unico sfruttabile per tale scopo. Prima di lui, infatti, erano stati svolti alcuni tentativi con il film di vinile e il PVC rivestito da fibre di vetro. Tuttavia è con l’ETFE che la tecnologia air-filled cushion ha maggiori prospettive e vanta livelli prestazionali di gran lunga superiori a quelli dei comuni rivestimenti trasparenti. Questo perchè i cuscini in ETFE non sono paragonabili ad un semplice rivestimento. Piuttosto è più opportuno parlare di involucro e in certi casi si può perfino definire “pelle”. Involucro è senza dubbio il termine più appropriato per definire un sistema realizzato per mezzo di questa tecnologia, poichè esprime al meglio la natura di ogni cuscino di lavorare sia singolarmente sia come parte integrante di un “organismo” articolato e composto da una moltitudine di elementi distinti. La caratteristica che rende, infatti, i cuscini in ETFE unici è proprio l’ampia varietà di regolazioni attraverso le quali può essere controllato ogni singolo elemento. La portata del flusso d’aria che viene insufflato all’interno delle camere d’aria di ogni cuscino può variare rispetto a quella degli


altri cuscini e questo fa sì che si alterino anche le prestazioni e le proprietà dell’involucro. L’abilità del progettista risiede nel valutare assieme all’azienda produttrice e installatrice delle membrane quali siano i valori di gonfiamento più adatti, affinchè ogni cuscino raggiunga il massimo del proprio potenziale utile, che varia a seconda della disposizione nello spazio del multistrato, dellesue proprietà e delle dimensioni. In certi casi, invece, quando l’involucro riveste l’intero edificio si può parlare di “pelle artificiale”. Gli strati che compongono ogni cuscino sono chiamati a lavorare in maniera combinata come se l’involucro nel suo insieme fosse un unico elemento estremamente flessibile ed adattabile alla morfologia della costruzione architettonica. Questa tecnologia richiede una notevole combinazione non solo tra un cuscino e quelli adiacenti, ma anche (soprattutto) tra gli strati di membrana che compongono il singolo elemento. Occorre, infatti, che ogni rivestimento (interno o esterno) che compone un multistrato lavori in sincronismo con gli altri al fine di ottenere un involucro compatto e dalle elevate prestazioni in termini di trasmissione luminosa, isolamento e stabilità strutturale. Alcuni tra i più celebri progetti che vantano l’impiego di un involucro esteso all’intero volume architettonico sono l’impianto sportivo di Monaco di Baviera, l’Allianz Arena (2004), progettato da Herzog & De Meuron; così come la struttura a cuscini esagonali di dimensioni variabili del National Aquatics Center (Watercube) di Pechino, che ha ospitato alcune delle manifestazioni sportive dei Giochi Olimpici del 2008; oppure il più recente Khan Shatyr Entertainment Centre (2011), ad Astana, realizzato dallo studio Norman Foster and associates. In questo ambito il primo edificio ad essere realizzato interamente

Figura 77 sezione costruttiva del Watercube di Pechino ce mostra le differenti dimensioni dei cuscini e le variazioni di gonfiamento delle rispettive camere d’aria.

in ETFE, escludendo le componenti in acciaio e alluminio della struttura primaria e secondaria, è stato l’Eden Project. Il complesso di serre di forme geodetiche progettato da Nicholas Grimshaw & partners, situato in Cornovaglia e risalente al 2001, ha sancito il successo della tecnologia air-filled cushion e dell’ETFE, segnando l’inizio di numerose sperimentazioni riguardo involucri sempre più leggeri ed efficienti. L’Eden Project, assieme ad altri progetti noti e più recenti verranno trattati in seguito nel prossimo capitolo.

ETFE: una “pelle” performante 59


3 - CRONOLOGIA RAGIONATA DEI PRINCIPALI PROGETTI IN ETFE

Nonostante l’uso di materiali tessili e plastici come rivestimenti architettonici sia aumentato nell’ultimo decennio, le pressostrutture e le tensostrutture rimangono tuttora ai margini della progettazione e spesso vengono considerate come alternative secondarie rispetto ai tradizionali metodi costruttivi contemporanei. Eppure si è investito molto tempo, molti fondi e molta fatica per arrivare alla scoperta e alla conoscenza di alcuni materiali tessili o di derivazione plastica che in certe situazioni si rivelano estremamente utili per l’architetto e soprattutto per la buona riuscita del progetto. L’ETFE così come il PTFE (espanso) e altri materiali di simile composizione, se usati a dovere, possono rispondere positivamente a tutti i requisiti che ci si aspetta vengano soddisfatti da un materiale impiegato come rivestimento totalmente o semi trasparente. Fino ad ora infatti è stato possibile notare le caratteristiche di questo materiale, con i conseguenti vantaggi e svantaggi che reca con sè durante il processo da cui prende vita il progetto architettonico. Lo studio delle prime forme di pressostrutture ha messo in evidenza l’enorme evoluzione che si è verificata nell’arco di quasi quarant’anni. Le numerose ricerche e le sperimentazioni condotte tra gli anni sessanta e settanta hanno permesso lo sviluppo di nuove tecniche costruttive, portando alla scoperta di materiali sempre più innovativi e performanti. Come si è notato l’ETFE possiede molte risorse 60

vantaggiose, tra cui la trasparenza, la leggerezza, la flessibilità, la resistenza ad alte temperature, la sostenibilità e la riciclabilità; ma nonostante ciò sono ancora limitati gli interventi architettonici nei quali lo si può ammirare in un ruolo primeggiante. Spesso infatti gli vengono preferiti altri materiali plastici meglio conosciuti come il PVC o il policarbonato, oppure l’eterno vetro. In questi casi la scelta può essere dettata dall’esigenza di utilizzare un altro materiale diverso dall’ETFE, oppure per una carenza di conoscenza delle proprietà di cui dispone, o ancora magari per la volontà di servirsi di materiali più semplici da installare e con meno variabili di cui dover tenere conto. Le variabili a cui ci si riferisce possono essere molteplici e devono essere regolate in base alle esigenze che il progetto richiede, come per esempio la quantità di aria da imprimere all’interno del sistema a cuscino di ETFE per mantenerlo efficiente, oppure l’implemento di strutture secondarie spesso composte da travature tubolari o cavi per garantire che il rivestimento rimanga stabile anche sotto l’azione di forti carichi trasversali. Si é investito molto nella ricerca per consentire il miglioramento dei materiali e il conseguente avanzamento di nuove tecniche di costruzione per rivestimenti sempre più all’avanguardia e con il minor impatto ambientale possibile. Ora è necessario non arrestare questo processo, ma, anzi, agevolarlo sfruttando la consapevo-


lezza acquisita fin qui con il lavoro condotto da innumerevoli menti brillanti come Buckminster Fuller che per primo iniziò a sperimentare tipologie di strutture super leggere, assemblabili in modo semplice e rapido, le cosiddette “domes” che ispirarono molti altri progettisti dopo di lui, tra cui Frei Otto, con il quale si assistette alla nascita dei primi sistemi moderni di pressostrutture che avevano come obiettivo principale quello di adattarsi all’ambiente circostante rispettando la natura e senza danneggiarla. Si può dire che l’ETFE sia stato creato proprio per rispondere in maniera ottimale a questa esigenza, ovvero la ricerca della sostenibilità in chiave ambientale. Quando l’azienda chimica Du Pont incominciò a lavorare alla produzione dell’etilene tetrafluoro -etilene, il suo intento era proprio quello di dar vita ad un materiale che fosse il meno impattante possibile. Per questo motivo cercarono di variare il tipo di lavorazione, che divenne a base d’acqua e senza l’aggiunta di composti chimici. Ad oggi gli interventi che riguardano l’impiego di ETFE e di PTFE (espanso) sono numerosi e in costante crescita sull’intera superficie terrestre, a dimostrazione del fatto che la carenza di risorse e il tasso d’inquinamento in aumento stanno spingendo verso la necessità di progettare in maniera sostenibile e nel rispetto dell’ambiente. Tuttavia resta ancora limitato il numero dei progetti di spessore internazionale che godono di una chiara notorietà. Se si osserva infatti a questi progetti (cioè quelli che ricoprono un certo interesse sia per la soluzione costruttiva finale raggiunta sia per il prestigio del progettista) attraverso una mappa che li localizzi, si potrà notare che sono disseminati nel mondo in maniera disomogenea, confermando

l’ipotesi che la scelta di perseguire una maggiore sostenibilità ambientale attraverso l’utilizzo dei nuovi composti fluorurati sia ancora frenata dalla carenza di conoscenza delle proprietà dei materiali stessi e dell’efficienza con la quale possono rispondere alle esigenze dei clienti e dei progettisti. In questo capitolo verrà mostrata una panoramica di quelli che sono gli edifici in ETFE più conosciuti al mondo, dei quali sono state raccolte le informazioni principali per permettere di comprendere ulteriormente il concreto processo di evoluzione che si é protratto dal 2000 fino ad oggi. Per facilitarne il confronto i progetti sono stati suddivisi e ordinati secondo le categorie funzionali alle quali appartengono e disposti poi in ordine cronologico. Questo elenco ha lo scopo di raccogliere il patrimonio dei progetti in ETFE dai quali poter trarre consapevolezza per gestire scelte tecnologiche per progetti futuri. Si potrà notare che si ha una sovrabbondanza di edifici adibiti ad attività sportive come stadi, arene e centri natatori, proprio perchè molto spesso dietro questi interventi di notevoli dimensioni vi è la richiesta di sostenibilità e preservazione dell’ambiente circostante. Tuttavia sono numerosi anche i progetti di restauro o ristrutturazioni, in cui è stato necessario confrontarsi con delle preesistenze e quindi l’intervento di rivestimento doveva adattarsi all’identità dell’edificio già presente. In seguito verranno messi in evidenza quattro casi studio principali dei quali verrà svolta un’analisi e un confronto con altri interventi simili in modo da chiarire quali siano effettivamente i limiti del materiale e soprattutto i miglioramenti che costituiranno il lavoro degli anni a venire. Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE 61


SSE HYDRO ARENA WATERWORKS PAVILION VICTORIA STATION ; ARCHIBALD V. HILL BUILDING COCA-COLA BEATBOX PAVILION SERPENTINE PAVILION HEATHROW 4 TERMINAL AVIVA STADIUM FESTO HEADQUARTERS CARNIVAL UK HEADQUARTERS EDEN PROJECT CLASSIC REMISE

BC PLACE STADIUM

GRAND STADE LE HAVRE CENTER PARK, LE BOIS AUX DAIMS

U.S. BANK STADIUM

CENTRE PARK DES VERGERS DE LA PLANE SHOPPING CITÉ ERLENBISWELT ZOO SAN MAMÉS STADIUM DOLCE VITA SHOPPING CENTRE 11 MARCH MEMORIAL NOU CAMP NOU ALLIANZ RIVIERA STADIUM

YONKERS RACEWAY CASINO A.R.T.I.C.

BOCA RATON RESORT & CLUB

ESTADIO CUAUHTÉMOC

ITAIPAVA ARENA PERNAMBUCO

La mappatura dei progetti più noti su scala globale che vantano l’impiego di involucri costituiti da membrane di ETFE. Legenda

Strutture per ricerca, sviluppo, salute Strutture per attività culturali e intrattenimento

62 Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE

Interventi su preesistenze Strutture per attività commerciali

Strutture per attività sportive Strutture residenziali

Strutture temporanee

ARENA DAS DUNAS


NATIONAL SPACE CENTRE CYCLEBOWL UNILEVER HEADQUARTERS CFEL RUHR PARK LIBRARY OF HUMBOLDT UNIVERSITY TUM, MONACO UNIVERSITY ALLIANZ ARENA ; AWM CARPORT GERONTOLOGY CENTRE TRAM STATION LEGIA STADION KHAN SHATYR ENTERTAINMENT CENTRE OLYMPIC STADIUM ACQUADROM SLOVENSKA SPORITELNA BANK HEADQUARTERS FISHT OLYMPIC STADIUM ; AKTER GALAXY APARTMENT HOTEL

NATIONAL ACQUATIC CENTRE DALIAN SPORTS CENTRE STADIUM

BAKU OLYMPIC STADIUM YAPI KREDI BANKING ACADEMY ORTO BOTANICO PALAZZO DELLA REGIONE LOMBARDIA BUS TERMINAL

NATIONAL STADIUM RIVER CULTURE THEATER PAVILION CANOPIES OF SEMBRANCE HOSPITAL UNIQLO SHINSAIBASHI CULTURAL & RESIDENTIAL CENTRE

THE LAKES AND THE AVENUES SPORTS CENTRE

FLON BUILDING

WIND EAVES

HUAFA METRO ATRIUM

HUANGTING SHOPPING MALL

SIAM DISCOVERY KCC MALL

INSTITUTE OF TECHNICAL EDUCATION NATIONAL STADIUM SENTOSA WORLD RESORT

PROTEA COURT IN SANDTON CITY

ENTERTAINMENT CENTRE EDEN PARK

SOUTHERN CROSS STATION

CLARENCE INTEGRATED CARE CENTRE

WAITOMO CAVES

Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE 63


WATERWORKS PAVILION L: Doncaster (England) 2000 P: Alsop and Stormer arch. A: Vector Foiltec I: Atelier One

NATIONAL SPACE CENTRE L: Leicester (England) 2001 P: Grimshaw and Partners A: Hightex GmbH I: Ove Arup

FESTO HEADQUARTERS L: Esslingen (Germany) 2002 P: Jaschek and partner A: Hightex GmbH I: Jaschek and partner

TUM, MONACO UNIVERISTY L: Freising (Germany) 2004 P: Staatliches Hochbauamt Freising A: Vector Foiltec I: Staatliches Hochbauamt Freising

CLASSIC REMISE L: Dusseldorf (Germany) 2006 P: Rhode Kellermann Wawrowsky A: Ceno Tec I: form TL; Radolfzell

2000s

CYCLEBOWL PAVILION L: Hannover (Germany) 2000 P: Atelier Bruckner A: Vector Foiltec I: Ove Arup; Form TL

EDEN PROJECT L: Cornovaglia (England) 2001 P: Grimshaw and partners A: Vector Foiltec I: A. Hunt associates

GERONTOLOGY CENTRE L: Bad Tolz (Germany) 2004 P: Worsching Gmbh & Co; Starnberg A: Solar Next AG I: J. D. Siegert

Legenda L = località

P = progettisti

A = azienda produttrice dell’involucro

64 Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE

I = ingegneri

ALLIANZ ARENA L: Munich (Germany) 2004 P: Herzog & De Meuron A: Vector Foiltec I: Ove Arup

LIBRARY OF HUMBOLDT UNIV. L: Berlin (Germany) 2006 P: Norman Foster and partners A: Clauss Markisen projekt GmbH I: Pichler Ingenieure; Moll GmbH


SOUTHERN CROSS STATION L: Melbourne (Australia) P: Grimshaw and partners A: Vector Foiltec I: WSP Global

11 MARCH MEMORIAL L: Madrid (Spain) 2007 P: FAM arquitectura y urbanismo A: Vector Foiltec I: Schlaich, Bergermann und Partner

SHOPPING CITÉ L: Baden Baden (Germany) 2006 P: farm A Architekten A: Vector Foiltec I: Knopp Gmbh

ARCHIBALD V. HILL BUILDING L: Manchester (England) 2007 P: Wilson Mason Arch. A: Vector Foiltec I: -

FLON BUILDING L: Losanna (Switzerland) 2007 P: B + W Architecture A: Hightex Gmbh I: -

SLOVENSKA SPORITELNA HEAD.S L: Bratislava (Slovakia) 2008 P: Jabornegg & Paiffy Architekten A: Hightex Gmbh I: Hightex; Alfred Rein Ingenieure

CULTURAL & RESIDENTIAL CENTRE L: Pusan (North Korea) 2007 P: Minsuk Cho & Kisu Park, Mass Studios A: MakMax I: Teo Structure

CARNIVAL UK HEADQUARTERS L: Southampton (England) 2008 P: Aukett F. Robinson A: Hightex GmbH I: Tony Hogg Design

NATIONAL STADIUM L: Beijing (China) 2008 P: Herzog & De Meuron A: Vector Foiltec I: R. Fuchs

NATIONAL ACQUATIC CENTRE L: Beijing (China) 2008 P: PTW architects A: Vector Foiltec I: Ove Arup

Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE 65


ERLENBISWELT ZOO L: Gelsenkirchen (Germany) 2009 P: Planunsgruppe A: Vector Foiltec I: Planunsgruppe

UNIQLO SHINSAIBASHI L: Osaka (Japan) 2009 P: Sou Fujimoto Architects A: Taiyo Europe; MakMax I: Nikken Sekkei LTD

UNILEVER HEADQUARTERS L: Hamburg (Germany) 2009 P: Behnisch Architekten A: Vector Foiltec I: -

ENTERTAINMENT CENTRE L: Adelaide (Australia) 2010 P: Design Inc. A: Vector Foiltec I: Samaras Structural Engineers

WAITOMO CAVES L: North Island (New Zealand) 2010 P: Architecture Workshop A: Vector Foiltec I: Architecture Workshop

2010s

DOLCE VITA SHOPPING CENTRE L: Lisbon (Portugal) 2009 P: RTKL UK Ltd. A: Hightex Gmbh I: Atelier One

HEATHROW TERMINAL 4 L: London (England) 2009 P: 3D Reid A: Hightex Gmbh I: Buro Happold

YAPI KREDI BANKING ACADEMY L: Istanbul (Turkey) 2010 P: TEGET A: Tayo Europe; Mak Max I: Maffeis Engineering S.p.A

Legenda L = località

P = progettisti

A = azienda produttrice dell’involucro

66 Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE

I = ingegneri

SIAM DISCOVERY L: Bangkok (Thailand) 2010 P: Design 103 International Ltd. A: Vector Foiltec I: Automotive Engineering

PALAZZO DELLA REGIONE L: Milan (Italy) 2010 P: Pei Cobb Freed & Partners A: Vector Foiltec I: -


KHAN SHATYR ENTERTAINMENT CEN. AVIVA STADIUM L: Astana (Kazakistan) 2010 L: Astana (Kazakistan) 2010 P: Norman Foster and partners P: Dublin (Northern Ireland) A: Vector Foiltec A: Taiyo Europe; MakMax I: Buro Happold I: RCR

EDEN PARK L: Auckland (New Zealand) 2010 P: Populous A: MakMax I: LEICHT

CLARENCE INTEGRATED CARE CENTRE L: Hobart (Australia) 2011 P: FB & P Architects A: Birdair I: FB & P Architects

BC PLACE STADIUM L: Vancouver (Canada) 2011 P: Stantec Architecture A: FabriTec Structures I: Geiger Engineers

AWM CARPORT L: Munich (Germany) 2011 P: Ackermann & Partner A: Taiyo Europe; MakMax I: konstruct AG

RIVER CULTURE THEATER PAVILION L: Daegu (South Korea) 2012 P: Asymptote; Hani Rashid A: Taiyo Europe; Mak Max I: Withworks; konstruct AG

PROTEA COURT IN SANDTON CITY INSTITUTE OF TECHNICAL EDUCATION L: Singapore 2012 L: Johannesburg (South Africa) 2011 P: Arup Architects P: MDS Architecture A: Taiyo Europe; Mak Max A: Vector Foiltec I: Maffeis Engineering S.p.a I: AKI

ORTO BOTANICO L: Padova (Italy) 2012 P: VS Associati A: Taiyo Europe; Mak Max I: Maffeis Engineering S.p.a

Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE 67


COCA-COLA BEATBOX PAVILION L: London (England) 2012 P: Asif Khan & Pernilla Ohrstedt A: Taiyo Europe I: AKT II

THE LAKES AND THE AVENUES L: Kuwait 2012 P: Gensler A: Vector Foiltec I: CGL Systems Ltd.

RUHR PARK L: Bochum (Germany) 2012 P: Hutténes Gmbh A: Taiyo Europe I: konstruct AG

GRAND STADE LE HAVRE L: Le Havre (France) 2012 P: SCAU A: Serge Ferrari I: LEICHT

CENTRE PARC VERGERS DE LA PLANE L: Chambourcy (France) 2012 P: SCAU A: Birdair I: LEICHT

OLYMPIC STADIUM L: Kiev (Ucraine) 2012 P: gmp Architects A: Hightex GmbH I: S. Bergermann und partner

Legenda L = località

P = progettisti

A = azienda produttrice dell’involucro

68 Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE

CHIOSCHI DELLA STAZIONE CENTRALE L: Milan (Italy) 2013 P: Politecnica A: Taiyo Europe; MakMax I: Maffeis Engineering S.p.a

I = ingegneri

HUANGTING SHOPPING MALL L: Shenzhen (China) 2013 P: Shenzhen Shi engineering group A: Birdair I: Shenzhen Shi engineering group

KCC MALL L: Philippines 2013 P: GF & Partners A: Vector Foiltec I: -

YONKERS RACEWAY CASINO L: Las Vegas (USA) 2013 P: Studio V Architecture A: Birdair I: FTL; konstruct AG


BUS TERMINAL L: Aarau (Switzerland) 2013 P: Vehovar & Jauslin Architektur AG A: VectorFoiltec I: form TL; Suisseplan Ingenieure

SSE HYDRO ARENA L: Glasgow (Scotland) 2013 P: Norman Foster and partners A: Vector Foiltec I: Ove Arup

FISHT OLYMPIC STADIUM L: Sochi (Russia) 2013 P: Populous A: VectorFoiltec I: Buro Happold

ITAIPAVA ARENA PERNAMBUCO CANOPIES OF SEMBRANCE HOSPITAL SPORTS CENTER L: Sรฃo Lourenรงo da Mata (Brasil) 2013 L: Seoul (Korea) 2014 L: QingKou (China) 2014 P: Fernandes arquitectos asociados P: MMK P: China U. Design & Research Ins, A: VectorFoiltec A: Birdair A: Birdair I: Ove Arup I: I: China U. Design & Research Ins.

DALIAN SPORTS CENTER STADIUM L: Dalian (China) 2013 P: Nadel A: Taiyo Europe; MakMax I: Ove Arup

TRAM STATION L: Lodz (Poland) 2014 P: FOROOM sp. z.o.o A: Taiyo Europe; MakMax I: Buro Happold

AKTER GALAXY APARTMENT HOTEL L: Sochi (Russia) 2014 P: MR Group A: Taiyo Europe I: Maffeis Engineering S.p.A

ALLIANZ RIVIERA STADIUM L: Nice (France) 2014 P: Wilmotte and associates A: EDF ENR Solaire I: EGIS France

Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE 69


A.R.T.I.C. L: Anaheim (USA) 2014 P: HOK International A: Vector Foiltec I: Thorton Tomasetti

ARENA DAS DUNAS L: Natal (Brasil) 2014 P: Populous A: Serge Farrari I: Thorton Tomasetti

NATIONAL STADIUM L: Singapore 2014 P: DP Architects, AECOM A: Vector Foiltec I: Ove Arup & partners

NEW SAN MAMÉS STADIUM L: Bilbao (Spain) 2014 P: ACXT; IDOM A: Vector Foiltec I: IDOM; ACXT

ESTADIO CUAUHTÉMOC L: Puebla (Mexico) 2014 P: Dünn Lightweight Architecture A: Birdair I: -

BAKU OLYMPIC STADIUM HAZZA BIN ZAYED STADIUM L: Baku (Azerbaijan) 2014 L: Abu Dhabi (United Arab Emirates) 2014 P: Heerim Architects and Planners P: Broadway Malyan Architects A: Vector Foiltec A: MakMax I: Thorton Tomasetti I: Thorton Tomasetti

Legenda L = località

P = progettisti

A = azienda produttrice dell’involucro

70 Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE

U.S. BANK STADIUM L: Minneapolis (USA) 2014 P: HKS inc. A: Serge Farrari I: Thorton Tomasetti

I = ingegneri

HUAFA METRO ATRIUM L: Zhuhai (Cina) 2015 P: HOK International A: Birdair I: HOK International

WIND EAVES L: Taiwan (China) 2015 P: Kengo Kuma and associates A: MakMax I: -


MEXICAN PAVILION L: Expo 2015 (Milan) P: Francisco L.G. Almada A: Taiyo Europe; MakMax I: Jorge Vallejo

SERPENTINE PAVILION 2015 L: London (England) 2015 P: José Selgas & Lucìa Cano A: Taiyo Europe I: AECOM and D. Glover

VICTORIA STATION L: Manchester (England) 2015 P: Building Design Partnership A: Vector Foiltec I: -

EMBASSY OF THE U.S. L: London (England) 2018 P: Kieran Timberlake A: Birdair I: Ove Arup

NUOVO STADIO DELLA ROMA L: Rome (Italy) 2019 P: MEIS Architects A: I: Thorton Tomasetti

future projects

GERMAN PAVILION L: Expo 2015 (Milan) P: Schmidhuber A: Taiyo Europe; MakMax I: ARGE

CENTER PARC, LE BOIS AUX DAIMS L: Vienne (France) 2015 P: ART’UR Architectes A: Birdair I: LEICHT

NOU CAMP NOU L: Barcelona (Spain) 2018 P: B.I.G.; BAAS Arquitectura A: I: IDOM; ACXT

NEW WHITE HART LANE L: London (England) 2018 P: Populous A: I: -

KHALIFA INTERNATIONAL STADIUM L: Doha (Qatar) 2020 P: Dar Al-Handasah A: Taiyo Europe I: Projacs

Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE

71


4 - ANALISI DI SEI CASI STUDIO CHE METTONO IN LUCE I VANTAGGI DERIVATI DALL’IMPIEGO DELL’ETFE

4.1 - EDEN PROJECT Località: St. Austell, Cornovaglia (Regno Unito) . Dimensioni: 23 000 m2 Progettisti: Grimshaw and partners Anno: 2001 Ingegnere strutturale: Anthony Hunt associates Struttura portante: acciaio Rivestimento: ETFE bianco (doppio strato) Produttore del rivestimento: Vector Foiltec

72 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

Meriti riconosciuti: Structural Steel Design Awards (2000). Business Commitment to the Environment Awards (2001). British Construction Industry Awards (2001). RIBA Awards (2001). AIA London/UK Chapter Excellence in Design Awards (2001). Stirling Prize for Architecture: Runner Up (2001).


0m 25m

50m

100m

Figura 79 planimetria e sezione dell’Eden Project ideato da Grimshaw and Partners. Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 73


LA STORIA L’Eden Project risulta sia il primo intervento su larga scala in cui venne impiegato il sistema di rivestimento composto da cuscini in ETFE. I lavori che diedero vita alla serie di biomi che caratterizzano il progetto iniziarono nella seconda metà degli anni novanta e terminarono nel 2001 con la realizzazione di uno dei giardini botanici più suggestivi del pianeta sorto su un territorio scosceso della contea di St. Austell, in Cornovaglia, sulla costa sud-ovest del Regno Unito. Prima che prendesse atto la fase di costruzione, il sito sul quale sarebbe sorto l’Eden si presentava in maniera tutt’altro che idilliaca. Vi era infatti una cava di argilla arida e rocciosa ai piedi di una collina altrettanto secca e priva di particolari forme di vegetazione. Per lo studio d’architettura inglese Grimshaw and partners la sfida era quindi di duplice natura, ovvero dar luogo a diversi sistemi ecologici che costituissero assieme il più grande e caratteristico giardino botanico esistente e, in più, produrre un progetto fluido adattandolo ai vari dislivelli presenti nell’area. Inoltre era di primaria importanza servirsi del materiale più adatto ad originare un rivestimento leggero e molto trasparente che agevolasse la crescita spontanea della vegetazione che avrebbe ospitato il nuovo “museo botanico”. Sir Nicholas Grimshaw elaborò la proposta progettuale traendo ispirazione dal mondo naturale e dal lavoro sperimentale di Richard Buckminster Fuller, con il quale condivideva l’interesse per la ricerca dell’efficienza architettonica. Fin dal principio, infatti, il piano per la realizzazione dell’Eden si fondò sulla concezione di mettere a punto un sistema costruttivo efficiente che permettesse di ottenere il massimo volume con il minor peso strutturale possibile. 74 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

Venne quindi spontaneo che la sfera fosse la forma geometrica più adatta per raggiungere l’obiettivo prefissato e per questo motivo tornò d’attualità il lungo lavoro sulle strutture geodetiche condotto da Buckminster Fuller fino alla metà degli anni sessanta. Grimshaw conosceva molto bene Fuller e il suo operato, così come le sue teorie volte a dimostrare la dipendenza dell’uomo dall’ecosistema naturale (e viceversa), sposando l’ideale che il paradiso, o meglio l’eden, fosse la condizione di vita ideale per entrambi e che potesse essere ricreato attraverso il controllo tecnologico del clima e dell’ambiente. Guardando all’Eden Project è evidente quanto Fuller abbia influenzato il progetto ed é possibile riscontrare numerose somiglianze con alcune delle realizzazioni più celebri dell’architetto americano come la Climatron dome immersa nei giardini botanici del Missouri nel St. Louis (USA) e la Montreal Biosphere in Canada. Quando venne presentata la proposta di progetto con il relativo plastico i clienti ne furono entusiasti, infatti successivamente il cofondatore di Eden, Tim Smit dichiarò: “The moment we saw it we loved it, because it felt natural – a biological response to our needs, but forged in materials that would allow us to explore the cultivation of plants in a way never before attempted.” 12

L’idea che convinse i committenti della genialità dell’intervento proposto da Grimshaw era legata ad un concetto molto semplice, dettato dalla complessa morfologia del territorio e traeva spunto non solo dall’operato di Fuller, ma anche da quello di Frei Otto. Si è già discusso infatti delle lunghe sperimentazioni dell’architetto tedesco sulla realizzazione


di strutture sempre più leggere fino alle prove con modelli sfruttanti il film ricavato dal sapone. I notevoli cambi di pendenza che caratterizzavano la cava da destinare al progetto rendevano assai complicato l’atto stesso della progettazione dei volumi architettonici e l’articolazione di quello spazio davvero enorme. Per questo motivo Grimshaw decise di risolvere il problema in modo particolare facendo collimare l’esperienza in campo geodetico di Fuller con il lungo lavoro di sperimentazione di Otto, immaginando di dar vita ad un complesso di edifici a forma di cupole dai diametri variabili, superleggere e molto trasparenti. L’idea ispiratrice fu quella delle bolle di sapone che sono in grado di adattarsi a qualsiasi superficie sulla quale vadano ad adagiarsi. Allo stesso modo, infatti, la serie di biomi connessi di Grimshaw neutralizzò le condizioni poco agevoli del sito creando un unico edificio che muta le proprie dimensioni in base al terreno sul quale poggia e sfrutta i dislivelli a proprio vantaggio per delineare ambiti climatici e botanici differenti. IL PROGETTO L’Eden Project è stato il primo edificio a segnare l’inizio di una nuova generazione di costruzioni progettate appositamente per un materiale, in questo caso l’ETFE, in maniera tale da sfruttare al meglio le sue potenzialità. É chiaramente intuibile, infatti, che questo progetto sia stato ideato e configurato in modo da poter essere costruito solo ed esclusivamente tramite il sistema a cuscini in ETFE. Con un qualunque altro materiale da rivestimento trasparente non sarebbe stato possibile realizzarlo. L’etilene tetrafluoro-etilene è l’unico materiale ad essere estremamente trasparente (96% di

Figura 80 uno scatto che raffigura Sir N. Grimshaw e B. Fuller durante un colloquio.

Figura 81 B. Fuller e una delle sue strutture geodesiche più celebri, la Montreal Biosphere situata in Canada. Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 75


La principale richiesta dei committenti, come si é detto, era quella di ottenere la massima quantità di illuminazione solare possibile per favorire la crescita spontanea delle piante. Questo aspetto richiedeva la massima trasparenza e che tutti gli elementi strutturali fossero di dimensioni limitate e, per quanto possibile, ridotte in quantità. Un involucro costituito da una doppia lastra di vetro avrebbe comportato una struttura di sostegno per piccoli moduli vetrati molto più pesante della soluzione adottata da Grimshaw (considerando inoltre che l’ETFE ha un peso pari all’1% di quello di due lastre di vetro con camera d’aria) si evince che questa ipotesi progettuale non poteva essere compatibile con la richiesta del cliente. Il sistema tecnologico basato sui cuscini in ETFE invece, in virtù della sua straordinaria leggerezza, unita a flessibilità e resistenza, permetteva di realizzare moduli di notevoli dimensioni ma stabili e molto più trasparenti. Per questo motivo l’etilene tetrafluoro-etilene si dimostrò il materiale più compatibile con il compito affidato all’architetto.

Figura 82 veduta del luogo di progetto prima dell’intervento di Grimshaw.

Figura 83 veduta dal visitor centre delle strutture costituenti il Rainforest Biome in fase di costruzione.

traslucenza), molto resistente e oltremodo flessibile. L’aspetto duttile di questo materiale ha consentito la realizzazione di una serie di biomi intersecati tra loro a formare una catena geodetica che si articola longitudinalmente su e giù tra i dislivelli che caratterizzano la cava di argilla più profonda della Cornovaglia. L’Eden Project consta, infatti, di otto cupole geodetiche di maglia esagonale che variano il loro raggio (e quindi anche la loro altezza) di un valore compreso tra i 18 e i 65 metri. 76 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

Dopo diversi studi il design team decise di adottare la struttura geodetica perfezionata da Fuller che garantiva una perfetta organizzazione dei carichi sfruttando elementi tubolari in acciaio dal diametro di 500 millimetri e permetteva di scegliere il dimensionamento del raggio della cupola in modo da ottenere le proporzioni degli elementi modulari in ETFE più adatte al raggiungimento dell’efficienza strutturale. Tuttavia l’esigenza di massima trasparenza implicò dei cambiamenti strutturali rispetto alle cupole di maglia triangolare di Fuller. La mesh triangolare, infatti, era sfavorevole poi-


chè riduceva le dimensioni dei moduli di rivestimento trasparenti e aumentava il numero di elementi strutturali, tra cui anche i nodi. La seconda proposta, invece, composta da una rete esagonale (“hex-tri-hex net”), di cui ogni involucro constava di un doppio layer in ETFE, offrì maggior leggerezza e luminosità, oltre ad una significativa riduzione del peso proprio dei tubi in acciaio che variano di spessore in base al ruolo strutturale che ricoprono. I tubi più esterni che foggiano il bioma hanno, infatti, un diametro di 193 millimetri, mentre quelli interni ai quali sono agganciati gli strati di ETFE sottostanti hanno un diametro minore pari a 114 millimetri. In questo modo si è ridotto il peso totale della struttura primaria di circa il 50%. Il secondo obiettivo del design team coordinato da Grimshaw era quello di ricavare la massima estensione possibile per i moduli esagonali di rivestimento ottimizzando l’efficienza dell’intera struttura che interamente (cioè struttura primaria e sistema di involucro a cuscini in ETFE) pesava 22 kg/m2. Il problema che si pensava potesse derivare da una struttura composta da superfici così ampie e leggere era quello di una possibile instabilità provocata da forti spinte originate dal vento. Tuttavia i numerosi test nella galleria del vento che sono stati compiuti dal team hanno dimostrato che la morfologia del territorio della cava, che fin da principio era sembrato uno dei principali scogli alla progettazione dell’eden, in questo caso forniva un aiuto prezioso alla catena di biomi ideata da Grimshaw. La cava, infatti, non era altro che un enorme cratere, in cui la profondità maggiore era situata al centro e il livello del terreno si alzava progressivamente fino alle estremità. Quindi la scelta ini-

Figura 84 dettaglio di un generico nodo in assonometria e in sezione. 1- 400,6mm steel tube 2- 6mm sheet steel 3- three layer inflated ETFE cushion 4- aluminium clamping strip 5- 70mm steel cylinder as safety rail 6- cast-steel node 7- 89mm tubular diagonal member 8extruded-aluminium frame to opening flap 9- thermal insulation, steel section; composite sheet-metal and plastic-sheet gutter 10- pneumatically operated cylindrical opening shaft 11high-pressure-air tube for operating flap Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 77


ziale di posizionare l’edificio a ridosso delle pareti quasi-verticali ai lati della cava era corretta, poiché in questo modo il complesso di cupole risultò riparato dalle forti spinte sprigionate dal vento ed è oggetto solamente di deboli correnti basse che non influiscono sulla sua stabilità. Il progetto delle dimensioni dei cuscini invece fu organizzato in maniera tale che potessero essere adattati alle variazioni di diametro dei biomi utilizzando esagoni inscritti in circonferenze di diametro variabile da 5 a 11 metri. Questo fatto ovviamente pose il problema di come gestire le giunzioni nei punti in cui i biomi si intersecavano. Data l’impossibilità di unire in modo pratico due cupole con diametri diversi, si pensò di risolvere la situazione posizionando degli archi reticolari in acciaio tubolare che collegassero tutti i nodi in corrispondenza dei punti di contatto tra due biomi in modo da rendere le due strutture stabili e compatte. In virtù del fatto che non erano mai stati progettati cuscini in ETFE di quelle dimensioni, la Vector Foiltec (azienda produttrice) produsse una serie di plastici del progetto a diverse scale e condusse innumerevoli test fisici sui singoli elementi per verificarne la stabilità e la sicurezza. Di principio non venne considerata la natura del territorio che agisce da scudo all’edificio riparandolo dalle forti raffiche di vento e si pensò, quindi, che fosse necessario un sistema strutturale secondario aggiuntivo composto da una rete di cavi tesi per far fronte non solo alle spinte del vento, ma anche al carico dovuto alle precipitazioni piovose e al deposito della neve. Tuttavia l’applicazione di questa sorta di controventamento non fu necessaria, non solo perché in seguito si ebbe modo di verificare che effetti78 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

vamente le pareti rocciose della cava operavano da scudo per l’Eden Project, ma anche perché nel frattempo si svilupparono nuove macchine per la produzione del film di ETFE che consentirono di foggiare layer di spessore maggiore, più robusti, che resero superflua l’aggiunta dei cavi di sostegno. Inoltre le spinte causate dal vento sono percepite dall’involucro come sforzi di pressione negativi agenti sullo strato esterno, ai quali si potrebbe ovviare in due modi distinti. Il primo modo prevede l’inspessimento dei fogli che costituiscono il cuscino; il secondo, invece, sfrutta al meglio le proprietà del sistema e si basa sull’aumento di aria insufflata nel cuscino per aumentarne l’ampiezza e quindi la capacità di resistenza alle forze esterne. Tuttavia il design team certamente ha tenuto conto del fatto che un foglio che supera i 250 micron di spessore diventa fragile, così come una camera d’aria che eccede dai normali valori di gonfiezza che si aggirano tra le 10 e le 20 spanne rischia di perdere stabilità laterale in seguito all’azione di un carico trasversale. Per questo motivo le principali aziende produttrici del film di ETFE, tra cui la Vector Foiltec, hanno rilasciato numerosi parametri standard sui quali poter fare affidamento. Tra questi vi sono anche indicazioni riguardo il livello normale di gonfiamento della camera d’aria del cuscino composto da due layer pari a 250 Pa, ma che può essere incrementato in casi particolari d carico (come la neve) fino a 400 Pa. L’utilizzo di una rete di cavi metallica è richiesta al di sotto dell’involucro solo in prossimità delle intersezioni tra i biomi, per far fronte a possibili cedimenti dovuti a carichi improvvisi.


Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 79


Nonostante la struttura geodetica sia un sistema che risponde in maniera uniforme alle forze esterne che vi vengono applicate, è opportuno considerare, invece, che ogni cuscino di ETFE è sia unico e pertanto possa essere concepito come elemento autonomo così come parte di un sistema composito e articolato. La natura duttile e facilmente adattabile (nonchè flessibile) dell’ETFE consente, infatti, di poter trattare un cuscino come elemento a sé stante, modificandone lo spessore degli strati che lo compongono, così come l’ampiezza delle camere d’aria, il colore, le dimensioni e gli eventuali pattern, senza che questo comporti necessariamente di modificare le caratteristiche degli altri cuscini che foggiano l’involucro. Questo procedimento è stato messo in atto proprio per la costruzione dell’Eden Project. Si può notare infatti che nei punti in cui i biomi si intersecano entrambe le strutture geodetiche appoggiano sul terreno solo alle due estremità. In prossimità di queste giunzioni i cuscini hanno uno spessore ridotto e sono meno gonfi rispetto a quelli in sommità della cupola. In questo modo i cuscini parzialmente sgonfi e più “morbidi” rimangono più flessibili e sono in grado di assorbire meglio le spinte elastiche provenienti dai membri superiori, agevolando anche il sistema di scarico sull’arco in acciaio reticolare che congiunge i nodi in corrispondenza delle intersezioni e trasmettendo tali forze verso il terreno. Con questo espediente é stato possibile raggiungere l’equilibrio della struttura in maniera molto efficace ed efficiente, senza aver aggiunto elementi in acciaio di supporto, ma sfruttando a dovere le innumerevoli risorse di cui dispone il materiale. 80 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

LE FUNZIONI L’Eden Project consta di otto cupole geodetiche disposte come a formare una catena di cui ogni elemento ha dimensioni differenti e ospita funzioni e attività particolari. Si può considerare la catena come insieme di due sistemi ben distinti. Il primo è composto da quattro biomi di notevoli dimensioni ed é situato a nord, mentre il secondo é dato dai restanti quattro biomi di dimensioni inferiori e segue al di sotto degli altri. Queste due sezioni sono connesse da un tunnel ricavato da un rialzo della cava che costituisce anche l’accesso principale per i visitatori alle serre presenti all’interno delle strutture geodetiche. Questo espediente è stato studiato dal team di Grimshaw per rendere più caratteristico e suggestivo il passaggio dall’esterno, dove sono presenti i giardini, all’interno delle cupole. In questo modo i visitatori sono veicolati dentro le serre tramite un tunnel dalle misure certamente inferiori rispetto alle altezze vertiginose dei biomi e ciò fa sì che lo stupore aumenti una volta immersi in quei giardini botanici paradisiaci. Dall’ingresso è possibile accedere ad entrambi i complessi di cupole che il tunnel collega. Quello a nord prende il nome di Rainforest Biome, mentre quello sottostante Mediterranean Biome. Il Rainforest Biome ospita la più estesa foresta pluviale coperta del pianeta, con oltre mille varietà di piante, tra cui le palme, i bambù, diverse spezie, noci, caffé e molte piante da frutto tropicali. Al suo interno è possibile fare esperienza delle essenze presenti nelle varie foreste pluviali del pianeta. Ad ognuna di esse infatti è dedicata una regione ben precisa del bioma tra cui: Tropical Islands, Southeast Asia, West America, Tropical South America e Crops.


Questo bioma ricopre un’area complessiva in. torno ai 15 500 m2 e le temperature variano da 18°C fino a 35°C. Anche in questa circostanza è doveroso notare che per merito delle caratteristiche isolanti dell’ETFE è possibile ridurre al minimo le perdite di energia, potendo, inoltre, imprimere calore o raffreddamento in tempi ristretti e pertanto agevolare la crescita sana e spontanea delle piante. I numerosi sentieri principali hanno forme curvilinee che seguono l’andamento del terreno e offrono la via più semplice e più rapida per spostarsi da una regione tropicale all’altra. Oltre a questi però vi sono una serie di passaggi brevi e minuti che permettono di muoversi in modo pratico in mezzo alla vegetazione che segue uno schema ben preciso ed ordinato. In diversi punti i sentieri principali si snodano e si allargano indicando che sono presenti dei punti di ristoro dove è possibile gustare i sapori tipici delle regioni presenti. Al centro del bioma vi è un piccolo canale fluviale che scende dalla parete rocciosa retrostante alla cupola maggiore e scorre creando in certi punti delle piccole cascatelle per poi formare un’oasi nella regione delle Tropical Islands. In aggiunta ai sentieri che articolano e smistano il terreno, vi è un percorso sopraelevato, la Canopy Walkway, che procede per un tratto del perimetro della cupola maggiore e poi si accentra, conducendo i visitatori ad una passerella di forma esagonale sospesa nel vuoto. Da qui è possibile avere una visione completa del giardino botanico sottostante. Il Mediterranean Biome invece ricopre un area inferiore rispetto al Rainforest Biome, ma presenta oltre mille varietà di piante tipiche delle regioni con clima simile a quello mediterraneo, tra cui il South Africa e la California.

Per il corretto sviluppo delle piante qui le temperature sono più miti e possono variare da 9°C fino a 25°C. Anche qui sono presenti dei percorsi principali e secondari come nel bioma precedente, di cui ve ne è uno ricoperto da un mosaico colorato che è accompagnato da un viale floreale. Diverse sculture sono disseminate in tutte le regioni e vi è una suddivisione della vegetazione molto più marcata rispetto alle altre cupole. Qui, infatti, la separazione tra le regioni è più visibile proprio per una gestione differente dello spazio dedicato alle piante. Ne sono un esempio il giardino degli aromi, il giardino mediterraneo, l’oliveto, il vigneto e la limonaia che delineano i tratti riconoscitivi del paesaggio mediterraneo; il giardino africano invece è evidentemente diverso da questi e, così come quello californiano, facilmente distinguibile dagli altri. All’esterno dei biomi si estendono gli Outdoor Gardens, giardini che seguono uno schema a spirale basato sulla sequenza numerica di Fibonacci e ricoprono l’intera area della cava. Questi sono disposti su livelli differenti, la parte prossima all’accesso dei biomi é quella più bassa, mentre più ci si allontana più i livelli si alzano gradualmente. I giardini si presentano molto vari e si articolano per mezzo di giustapposizioni cromatiche date da composizioni floreali seguite da orti. I limiti del giardino esterno sono le pareti della vecchia cava sui fronti nord-est e una serie di colline verdi sui fronti sud e ovest. A sud delle cupole geodesiche si erge anche The Core, una struttura dalla forma particolare che segue l’orientamento del giardino e i dettami della sequenza numerica di Fibonacci. Questo edificio, composto per lo più da acciaio e Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 81


82 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE


Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 83


Figura 87 veduta del Rainforest Biome dalla Canopy Walkway, la passerella rialzata che ne percorre parte del perimetro.

Figura 88 veduta interna del Rainforest Biome.

Figura 89 veduta di una porzione di Giardino Mediterraneo all’interno del Mediterranean Biome.

84 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

legno, è stato l’ultimo ad essere stato costruito e ha completato la realizzazione di Eden Project. Apparentemente The Core può sembrare un elemento stonato se confrontato con le geometrie tonde e trasparenti dei biomi. Se si osserva il complesso dall’alto, invece, è possibile notare che la legge algebrica di Fibonacci regola lo spazio, unendo le cupole geodetiche ai giardini esterni tramite le forme curvilinee dei percorsi all’aperto che inglobano il progetto di Grimshaw e lo collegano dolcemente a quello successivo di The Core. Il posizionamento delle piante, dei fiori e degli orti mantiene un ruolo di primaria importanza nella composizione globale dello spazio. Lo studio per l’esatta disposizione di questi elementi non è infatti frutto del caso, bensì di precisi ragionamenti, prove di prospettiva e logica di percorrenza. Non è casuale che quando si acceda alla valle si trovino piante alte e fitte che impediscono di avere una veduta completa della scena. Mentre quando ci si avvicina la vegetazione cambia, variano le specie arboree e incominciano i primi “parterre” di arbusti, fino ad arrivare in prossimità degli edifici dove la scena è dominata dall’imponenza delle strutture geodetiche trasparenti e le composizioni floreali arricchiscono la veduta d’insieme del progetto. La stessa logica ordinatrice dell’esterno é rintracciabile anche nelle serre contenute dai biomi. Anche qui infatti le piante sono disposte seguendo i percorsi curvilinei dettati dalle asperità del terreno (reso solo in parte pianeggiante). Tuttavia l’aspetto più interessante è che entrando nel Rainforest Biome si ha l’impressione di addentrarsi in una sorta di foresta ordinata che man mano ci si avvicina a degli spazi in cui sono presenti delle sculture o dei punti da cui si ha


una vista da valorizzare, cambia il tipo di vegetazione che diventa meno alto e più fitto. In questa maniera è come se lo spettatore scoprisse uno spazio dopo l’altro solo quando vi si avvicina a sufficienza, poichè da lontano le piante di altezze significative ne impediscono la vista. Questa disposizione degli elementi che compongo il paesaggio botanico genera ogni volta un senso di stupore nel visitatore, poichè egli non riesce da subito ad avere una visione di ciò che incontrerà poco più avanti, ma lo scopre solo procedendo lungo i sentieri principali e secondari. L’unico modo per avere una visione complessiva del microclima tropicale è percorrendo la Canopy Walkway, il percorso rialzato che permette di avere una prospettiva sul paesaggio sottostante. Tuttavia nemmeno da qui è possibile capire a dovere l’ordinamento de giardino, poiché le piante più grandi ostacolano la vista del disegno del terreno. L’unica maniera quindi per poter apprendere l’organizzazione spaziale del giardino è percorrerlo.

messo di sfruttare un luogo arido e inutilizzabile ricreando una sorta di paradiso terrestre; ma è anche sede di ricerca in ottica di energie rinnovabili ricavabili da alcuni tipi di piante; di sviluppo di nuove tecniche di coltivazione che rispettano l’ambiente; di istruzione, poichè i visitatori non sono semplici spettatori ma è concesso loro di vedere anche i laboratori per approfondire i temi trattati nell’arco della giornata e inoltre sono disponibili dei corsi di apprendimento in apposite aree del complesso. L’area che di principio era occupata dalla cava è ora una valle verde e rigogliosa, di cui solo una parte è stata occupata dall’attuale progetto eden, ciò quindi non esclude che in futuro il complesso possa essere ampliato ulteriormente e magari sfruttando ancora una volta le risorse di cui dispone l’ETFE.

Il discorso cambia invece se si prende in considerazione il Mediterranean Biome. Qui il clima e il tipo di vegetazione sono differenti rispetto al paesaggio tropicale, per cui variano anche i tratti distintivi del microclima, che quindi non sarà più composto da foreste, ma dagli elementi che costituiscono il paesaggio mediterraneo, come ulivi, limoni, erbe aromatiche, fiori e alberi da frutto. In questo caso la disposizione delle essenze è molto più schematica e organizzata in virtù degli spazi in cui sono collocate le diverse regioni a clima mediterraneo. Come si può intuire già dal nome, Eden Project è un progetto ambizioso, che non solo ha perAnalisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 85


4.2 - SOUTHERN CROSS STATION Località: Melbourne (Australia) . Dimensioni: 60 000 m2 Progettisti: Grimshaw and partners Anno: 2006 Ingegnere strutturale: WSP Global Struttura portante: acciaio Rivestimento: ETFE bianco (doppio strato) Produttore del rivestimento: Vector Foiltec Meriti riconosciuti: Lubetkin Prize (2007).

86 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

RAIA Walter Burley Griffin Award for Urban Design (2007). RIBA International Awards (2007). Australian Construction Achievement Awards (2007). Victorian Industry Capability Awards (2007). RAIA Victorian Architecture Medal (2007). Structural Steel Design Awards (2007). William Wardle Public Architecture Award (2007).


Fronte est (Spencer Street) 10m 20m

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10m 20m

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Fronte sud ( Collins Street)

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Figura 91 ortofoto del sito della Southern Cross Station con accessi in evidenza e i rispettivi fronti est e sud. Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 87


LA STORIA Nel 2006 venne ultimato il progetto per l’espansione e la riorganizzazione della vecchia Spencer Street Station, situata appena fuori il centro di Melbourne, nella zona a sud-ovest prima del fiume Yarra. Tuttavia in questo caso si può parlare di un vero e proprio rifacimento, poichè la vecchia stazione, eretta nel 1859, era già stata oggetto di alcuni tentativi di restauro che non raggiunsero l’esito sperato. Il primo intervento ebbe inizio nel 1888 e terminò verso la fine del 1919 e mirò a collegare questa con l’altra stazione principale di Melbourne, la Flinders Street Station, oltre ad aggiungere la piattaforma per la linea suburbana. Il secondo intervento invece prese atto negli anni sessanta del secolo scorso e aggiunse un collegamento interurbano fino a Sidney e si occupò sostanzialmente di modernizzare l’edificio compresa la linea suburbana. Il terzo ed ultimo intervento fu quindi un vero e proprio rifacimento della vecchia stazione, che fu ampliata e resa più efficiente per mezzo di un aumento di binari che la collegarono ad un numero elevato di stazioni sia a livello urbano che suburbano e interurbano. Quest’ultimo piano di riorganizzazione della stazione era ben più ambizioso dei due che l’avevano preceduto. Per questo motivo la Leighton Contractors Pty Ltd affidò l’incarico di consegnare ai cittadini di Melbourne una nuova stazione moderna e in grado di fornire una quantità di servizi migliore e maggiore allo studio di architettura Grimshaw and partners. La scelta ricadde su Sir Nicholas Grimshaw per una serie di ragioni distinte. 88 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

La prima è dovuta al fatto che, dopo gli insuccessi derivati dai primi due interventi, questo doveva essere quello decisivo, in grado di mettere in mostra l’efficienza della città in ottica infrastrutturale e dei trasporti. Serviva quindi un architetto esperto e capace, che tenesse conto dell’identità storica lasciata dalla vecchia stazione, ma che allo stesso tempo riuscisse a rendere l’edificio un simbolo per la città di Melbourne in pieno sviluppo e improntata verso il futuro. Non a caso, infatti, gli venne presentata la richiesta agli inizi del 2002, dopo nemmeno un anno dall’inaugurazione di Eden Project, il celebre complesso di biomi trasparenti adibiti a giardino botanico e stanziato in Cornovaglia, che aveva messo in risalto le doti dell’architetto e del suo team. La realizzazione di quella catena geodetica maestosa e allo stesso tempo superleggera aveva lanciato un segnale forte e chiaro: l’Architettura stava cambiando, si stava evolvendo.

L’Eden Project diventò simbolo di questo cambiamento e incoraggiò gli altri architetti, dando conferma del fatto che ciò che fino al decennio precedente era impensabile e tanto meno realizzabile, ora invece era possibile. La ricerca in campo di produzione di nuovi materiali era già iniziata verso la fine del Novecento e ora si era raggiunto un livello superiore di consapevolezza che unito ad una maggior praticità ottenuta per mezzo della sperimentazione di sistemi costruttivi innovativi, consentiva agli architetti di dar vita ad edifici sempre più varii, flessibili, adattabili e soprattutto molto più leggeri. Anche per questo motivo quindi si pensò che Grimshaw fosse la persona più adatta a ridare


fiducia ai cittadini che per diversi decenni avevano assistito inermi al decadere della loro stazione e speravano che il nuovo piano potesse incrementare sia il servizio ferroviario sia quello metropolitano. Oltretutto Grimshaw aveva già lavorato in Australia per diversi enti privati ed era in possesso anche di una buona conoscenza delle articolazioni di alcune stazioni inglesi, specialmente di quelle londinesi. A maggior ragione quindi i clienti erano convinti che l’architetto e il suo team fossero la soluzione più appropriata al loro problema. IL PROGETTO Nel 2002, subito dopo l’approvazione del progetto ad opera di Grimshaw, iniziarono i lavori di riorganizzazione della vecchia Spencer Street Station e una volta conclusi nel 2006, la stazione era pronta per essere inaugurata davanti ai cittadini di Melbourne con il nome Southern Cross Station. Il luogo di progetto era situato appena fuori dal centro di Melbourne e assieme ad altri edifici sanciva l’inizio della zona industriale della città che si estende a sud e ad ovest del centro superando il fiume Yarra che meglio delinea questa divisione. Il terreno destinato all’intervento era di forma trapezoidale e delimitato da vie stradali su tre lati. Il fronte sud è il lato più corto ed è costituito da un cavalcavia della St. Collins Street che favorisce il sottopassaggio della Wurundjeri Way, la strada che marca il fronte ovest e che, una volta superato il ponte, permette di immettersi nella tangenziale che porta a sud di Melbourne. Ad est invece si costeggia la Spencer Street, che a fine Ottocento aveva ispirato il nome della vecchia stazione; mentre a nord si aveva il limite imposto dai binari e da alcune strutture com-

Figura 92 veduta aerea della stazione e del contesto urbano in prossimità.

merciali che vennero comprese nei lavori di riorganizzazione della stazione. Grimshaw doveva sapere che il lotto sul quale sarebbe sorta Southern Cross Station marcava in qualche modo il confine invisibile tra il centro della città e la zona sud. Il progetto dell’edificio necessitava quindi di particolare cura all’identità di entrambe le parti per adeguarsi ottimamente al contesto urbano. Inoltre era opportuno considerare di mantenere alcuni elementi della vecchia Spencer Street Station che potevano essere utili (su tutti i binari e i servizi) ma dando loro una nuova organizzazione, forma e rendendoli più facilmente accessibili. I binari ferroviari furono sostanzialmente gli unici membri rimasti quasi intatti della struttura della vecchia stazione. Questi, infatti, furono aumentati di numero in modo da migliorare il sistema di trasporto su mezzi pubblici per i cittadini che chiedevano maggior efficienza e la possibilità di raggiungere molti più luoghi dalla loro stazione. Il cambiamento radicale è dato dal fatto che la Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 89


90 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE


Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 91


Spencer Street Station precedente era il capolinea per quanto riguarda i trasporti pubblici su rotaie, mentre la Southern Cross Station è diventata la stazione centrale di Melbourne in grado di smistare il traffico in tutte e quattro le direzioni cardinali. Da subito sia l’ente committente del lavoro sia la popolazione di Melbourne furono entusiasti di questo progetto, poichè finalmente avrebbero avuto una stazione all’avanguardia ed efficiente. Ancora una volta l’architetto inglese fu molto abile nel comprendere il disagio dei cittadini dovuto ad un servizio non all’altezza di una metropoli in via di sviluppo come Melbourne e della volontà del cliente di realizzare questo desiderio. Per questo motivo Grimshaw e il suo team non si limitarono ad incrementare il sistema di trasporto urbano e interurbano in superficie, ma migliorarono anche quello metropolitano già presente con il rifacimento di alcune banchine, delle biglietterie e dei servizi. Collaborarono inoltre con lo studio locale Jackson Architecture per il progetto della parte commerciale e degli uffici che sono stati allocati nella parte ovest dell’edificio e terminano a nord-ovest con una piazza di modeste dimensioni che sancisce l’ingresso su quel lato e collega direttamente la stazione con l’Etihad Stadium che dista un centinaio di metri in direzione nord. Dalla piccola piazza si estende poi una passerella rialzata piuttosto ampia che si protrae perpendicolarmente alla Wurundjeri Way delineando il fronte nord fino a raggiungere Spencer Street dove vi è l’accesso tramite una scalinata. Affianco alla rampa è presente il secondo ingresso della stazione su questo lato (est); il primo, invece, è situato in corrispondenza della conclusione del fronte, marcata dall’incrocio tra la Collins Street e la Spencer Street. 92 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

Il concetto chiave sul quale poggia l’articolazione del progetto è dato dall’agevolare il più possibile la circolazione dei fruitori all’interno dell’edificio. Per conseguire questo obiettivo il primo problema da affrontare era quello dell’organizzazione spaziale. Il sistema costruttivo infatti avrebbe dovuto essere il più possibile libero da ostacoli e da impedimenti al transito dei passeggeri. Erano da escludere quindi grandi murature massicce che avrebbero certamente limitato sia la vista sia la viabilità dei pedoni e inoltre avrebbero comportato una diminuzione dell’illuminazione solare distribuita all’interno dell’edificio. Tralasciando il fronte nord, che è quello da dove giungono e ripartono i treni, gli altri tre fronti sono tutti caratterizzati da grandi vetrate in facciata e sono interamente trasparenti. Questa scelta progettuale è stata resa possibile per mezzo dell’assoluzione di compiti strutturali dovuta alla presenza delle gigantesche colonne a forma di Y che sostengono la copertura. Questi pilastri hanno spessori che variano e si assottigliano man mano che si alzano. Alla base hanno un diametro di 4 metri, che si riduce a 2 metri quando raggiungono la sommità. Lo spessore delle colonne è fortemente influenzato dal peso della copertura che devono sostenere. Proprio la particolarità della copertura rende unico l’edificio progettato da Grimshaw e lo innalza a diventare un segno distintivo della città. Questa si estende fino a ricoprire l’intero lotto . con una superficie pari a 37 000 m2 e fornisce un riparo ideale alle temperature torride che caratterizzano il clima australiano. Il tetto è una rete di travi in acciaio a sezione circolare del diametro di 356 millimetri che si


articolano secondo uno schema irregolare che segue la disposizione dei binari con un andamento curvilineo che simula il movimento delle dune del deserto. A questa maglia metallica incurvata è applicata una serie di pannelli in alluminio che ricoprono l’intera struttura e le conferiscono una notevole lucentezza quando esposta all’illuminazione solare incidente. La particolarità degli elementi tubolari risiede nel fatto che il loro spessore è costante nella sezione più esterna e lontana dalla copertura, mentre in corrispondenza di questa diventano considerevolmente più robusti per far fronte all’effetto di slittamento causato dalla copertura. Questa rete di travi ondulate che si intersecano è reso più stabile da un sistema di controventi diagonali che mantengono la struttura salda e indirizzano le spinte agenti sulla copertura verso i pilastri a Y che assorbono queste forze e le trasmettono direttamente al terreno. Ogni colonna è posizionata a 40 metri di distanza da quelle che la precedono in maniera da formare una griglia composta da quadrati. Agli estremi di tutti i quadrati è posizionata quindi un pilastro che raggiungerà la struttura reticolare della copertura nei punti in cui questa si deforma originando una composizione di concavità verso il basso. Per il disegno della copertura il team di Grimshaw si è ispirato alla caratteristica mutevole delle dune del deserto con l’intento di assecondare il movimento frenetico dei treni mediante un progetto che conferisse anche esteticamente l’idea di moto. La copertura, considerata nel suo insieme, può essere vista come la combinazione di quattro navate affiancate. Quella più ad est ha forma

Figura 94 veduta aerea della copertura della Southern Cross Station.

Figura 95 dettaglio del rivestimento in ETFE situato in mezzo tra le “dune” che compongono la copertura.

Figura 96 veduta della struttura della copertura dall’interno. Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 93


triangolare e si allarga man mano che si procede verso nord. Le altre tre navate invece hanno forma rettangolare longitudinale, si allargano procedendo verso ovest e la profondità delle concavità da cui sono composte diminuisce in prossimità del fronte nord. Si può quindi pensare ad ogni concavità come una specie di volta stondata in cima alla quale è posizionata esteriormente una valvola che regola i ricambi d’aria all’interno della stazione. Non a caso l’apice delle “volte” è posizionato sopra ad un insieme di binari, poichè in questo modo i fumi e l’inquinamento rilasciato nell’aria dai treni confluisce verso l’alto e viene convogliato all’esterno dalle apposite valvole. Figura 97 alcuni disegni del concept del progetto Southern Cross Station raccolti nello sketchbook di Grimshaw. PRE-DRILL 6,5mm 250mm CENTRES

180mm

10mm

FINS AT NOOM. 500 CENTRES

CONTINUOUS FLAT

Figura 98 dettaglio dell’attacco dei layer componenti i cuscini in ETFE alla struttura in alluminio e alla struttura tubolare in acciaio della Southern Cross Station.

94 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

L’UTILIZZO DELL’ETFE In opposizione all’Eden Project, dove l’ETFE ricopriva un ruolo di primaria importanza poichè era l’unico materiale impiegato per il rivestimento dei biomi; qui invece sembrerebbe avere un compito marginale e non fondamentale ai fini dell’equilibrio e dell’armonia dell’intero sistema costruttivo. In questo progetto, infatti, l’ETFE è disposto longitudinalmente in parallelo all’andamento delle navate ed è situato proprio tra ciascuno di questi sistemi di volte con concavità irregolari. Qui la tecnologia basata sul sistema a cuscino di ETFE (air-filled cushion) è stata utilizzata in maniera non convenzionale rispetto ai progetti studiati fino ad ora, poichè si presenta sotto forma di lunghe strisce trasparenti composte da numerosi cuscini affiancati l’uno con l’altro tramite il lato corto di ognuno di essi. Queste lunghe catene trasparenti corrono dal fronte sud fino a quello nord seguendo l’andamento dettato dalle dune della copertura, affiancandole e trasmettendo all’interno della sta-


zione una grande quantità di luce naturale. Ogni cuscino impiegato per la realizzazione di questi “lucernari” stretti e allungati ha le stesse dimensioni pari a 5 metri di larghezza e 20 metri di lunghezza e sono tutti involucri costituiti da due layer di etilene tetrafluoro-etilene. Ciò che li differenzia infatti è la pressione e la quantità di aria che riempie la camera d’aria presente nel doppio-strato. I cuscini sono normalmente meno gonfi nei punti in cui la copertura si inclina verso il basso, poichè in quelle zone sono presenti anche i pilastri che raccolgono tutti gli sforzi, derivati dalle forze esterne e dal peso proprio della struttura, e li trasferiscono al terreno. Il fatto che i cuscini siano leggermente meno gonfi in corrispondenza delle colonne, fa sì che si possa sfruttare la loro proprietà elastica e che le spinte ricevute dalla rete in acciaio siano per una piccola parte assorbite dai cuscini che le trasmettono poi ai pilastri. Anche in questo progetto l’estrema flessibilità del materiale ha permesso che si adattasse in maniera ottimale alla struttura a dune della copertura. L’esito raggiunto è quello di due membri distinti che uniti danno origine ad un unico elemento in armonia con i restanti componenti della stazione. L’unicità dell’ETFE risiede anche nella sua impareggiabile trasparenza, che permette di illuminare al meglio le banchine e gli altri spazi destinati al transito dei fruitori della stazione. Il vetro, diversamente dall’ETFE che è molto flessibile e leggero, ma allo stesso tempo resistente; è un materiale rigido e fragile che non avrebbe mai potuto adattarsi allo stesso modo alla forma impressa alla copertura, poichè in quelle condizioni avrebbe ceduto.

Altri materiali di derivazione plastica come il pvc o il policarbonato avrebbero magari sopportato meglio del vetro gli sforzi strutturali e avrebbero avuto la flessibilità sufficiente a permettere loro di essere utilizzati in maniera simile all’ETFE. Tuttavia nessun altro materiale adatto per rivestimenti trasparenti possiede una trasparenza paragonabile a quella dell’ETFE e di conseguenza non sarebbero stati la soluzione migliore per portare all’interno dell’edificio la quantità maggiore di luce solare. L’ultimo aspetto che rende ancora più evidente il vantaggio tratto dall’impiego dell’ETFE in questo progetto risiede nella sua leggerezza. Si è visto infatti che i pilastri sono soggetti ad elevati carichi che agiscono sulla loro sommità per via dell’assenza di pareti portanti in corrispondenza dei fronti strada. Per questo motivo era opportuno scegliere il materiale più leggero possibile tra tutti quelli utilizzabili per il rivestimento trasparente. Anche in questo caso l’ETFE si è dimostrato il materiale più efficiente e più efficace per assolvere a questo compito.

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4.3 - SAN MAMÉS BARRIA STADIUM Località: Bilbao (Spagna) . Dimensioni: 116 760 m2 Progettisti: César Azcàrate (in seguito ACXT) Anno: 2014 Ingegnere strutturale: ACXT-IDOM . Capienza: 53 229 posti a sedere Rivestimento copertura: ETFE bianco (doppio strato) Rivestimento facciata: ETFE bianco (singolo strato)

96 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

Meriti Riconosciuti: TheStadiumBusiness Awards (2015) - Finalist. WAF Awards (2015) - First prize. World Stadium Congress Awards (2015) - First prize. Stadium DB Awards (2015) - Second prize.


Fronte nord-est

Sezione longitudinale

Figura 100 collocazione del San Mamès all’interno del contesto urbano di Bilbao. Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 97


LA STORIA L’Athletic Club ha sede a Bilbao, nei Paesi Baschi, é una delle società calcistiche più antiche d’Europa e milita nella massima serie del campionato spagnolo. Il club ha una tradizione molto forte, radicata attraverso un senso di appartenenza profondo a quelli che possono essere definiti come i tratti distintivi dei Paesi Baschi, tra cui l’amore per lo sport e in particolar modo del football. La storia dell’Athletic é ricca di successi a livello nazionale e incominciò di fatto con la costruzione dello stadio di proprietà della società, che si concluse nel 1913 dando alla luce il San Mamés. Chi conosce abbastanza la provincia di Biscaglia, dove é situata la città di Bilbao, può intuire quanto sia stato importante per i cittadini tifosi avere uno stadio ad uso esclusivo del proprio team. Questo spirito di autogestione e di libertà é uno dei principi alla base della tradizione del popolo basco, che da diversi decenni ormai manifesta il desiderio di indipendenza nei confronti dello Stato spagnolo. La volontà di gestire autonomamente ogni singolo aspetto che compone la società calcistica, compreso lo stadio, é da ricercare quindi in valori ben più profondi e antichi che non riguardano solamente la città di Bilbao, bensì l’intera regione dei Paesi Baschi. I lavori finalizzati alla costruzione del San Mamés, il primo stadio di proprietà dell’Athletic Club, iniziarono nel 1913 a gennaio inoltrato e terminarono nel mese di ottobre dello stesso anno. Il luogo scelto per la realizzazione dell’impianto sportivo si trova nella regione ovest della città di Bilbao, non lontano dal centro cittadino e distante un centinaio di metri dalla riva dell’estuario del Nerviòn. 98 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

Appena venne completato, il San Mamés generò stupore nella popolazione. Era uno stadio di modeste dimensioni se paragonato a quelli moderni dei giorni nostri, con . una capienza di 40 000 posti a sedere e una struttura in cemento armato bianca, mentre le sedute erano tinte di rosso, nel pieno rispetto della tradizione che vuole che i colori rosso e bianco siano il simbolo della regione basca. L’impianto era disposto trasversalmente rispetto ai viali che conducono verso il centro del capoluogo basco ed era situato appena prima del dislivello che scende rapidamente verso la riva del fiume. Si relazionava con il contesto pareggiando l’altezza dei bassi edifici che aveva nelle vicinanze e si rivolgeva verso il centro tramite il primo lato lungo, dove era presente la tribuna vip, avente un’altezza moderatamente inferiore rispetto a quella delle due ali corrispondenti ai lati corti della struttura, dove, invece, vi erano le tribune coperte destinate alla parte di tifoseria più calda, e terminava in fine con la tribuna scoperta che si affacciava sul fiume retrostante. La tifoseria che supporta l’Athletic Club é una tra quelle più invidiate in Europa, per la determinazione e la grinta con le quali sostengono la propria squadra del cuore, ma anche per la storia e la tradizione che la contraddistinguono. Questo faceva sì che durante ogni partita disputata dal club lo stadio fosse sempre al completo e che il rimbombo dei cori provenienti dal suo interno giungesse fino in centro. Questa era una caratteristica che derivava dal fatto che fosse un impianto relativamente modesto e racchiuso, il che favoriva l’eco e dava la sensazione che gli spettatori fossero molto più vicini ai giocatori di quanto già non fossero.


Verso la fine degli anni trenta prese atto la Guerra Civile spagnola che interruppe ogni attività sportiva e durò tre anni, a seguito dei quali una buona parte degli edifici di Bilbao, compreso il San Mamés, erano stati in parte demoliti dai bombardamenti. La società decise quindi di risistemarlo (o per meglio dire ricostruirlo) tenendo fede al vecchio progetto se non per delle modifiche riguardanti le tribune. Nei decenni successivi seguirono ulteriori ristrutturazioni e riorganizzazioni delle tribune, che prevedevano l’eliminazione dei posti in piedi su richiesta della UEFA (Union of European Football Association); e una risistemazione degli spazi interni dedicati ai tifosi. In fine, nel 2010 la società dell’Athletic Club decise che i tempi erano maturi per dare il via alla realizzazione di un nuovo stadio, che si adeguasse al livello di funzionalità, efficienza, comfort e modernismo raggiunti dagli altri impianti sportivi europei, tra i quali emergono quelli inglesi e tedeschi. Negli ultimi tempi il San Mamés non era più in grado di garantire le elevate performance richieste dalle normative internazionali, oltre a non disporre della molteplicità di servizi che rendono oggi gli stadi complessi e ipertecnologici dagli alti costi di realizzazione bilanciati negli anni da altrettanti cospicui ricavi gestionali. A malincuore i cittadini dovettero accettare la decisione della società di porre fine all’epoca di uno stadio leggendario che era andato oltre il normale significato sportivo ed era diventato uno dei tratti distintivi della città di Bilbao così come per l’intera regione dei Paesi Baschi. Per avere un’idea del valore che aveva raggiunto il San Mamés per i bilbaini, basti pensare che

consideravano il football quasi al pari di una religione e che quindi il loro stadio era paragonabile ad un tempio, o meglio ad una cattedrale. Proprio questo, infatti, era il nome con il quale erano soliti chiamare il San Mamés: “la Catedral de Fùtbol”. La società in seguito si trovò d’accordo con i tifosi e con la squadra nel mantenere il nome storico dello stadio invariato. Decisero quindi che la loro “catedral” avrebbe continuato a chiamarsi San Mamés, così come i suoi tifosi non avrebbero smesso di essere “los leones”. Nel pieno rispetto della tradizione basca che vuole che San Mamés (conosciuto in Italia come Mamante) fosse un cristiano perseguitato dai Romani e che, dopo esser stato catturato venne gettato in pasto ai leoni, i quali, però, si rifiutarono di mangiarlo. Per questo motivo il club, che é molto legato ai valori della tradizione, accetta simbolicamente il significato metaforico che vede i leoni impersonificati dai tifosi, i quali si schierano in difesa di San Mamés e sostengono la propria squadra. IL PROGETTO Il nuovo impianto sportivo destinato ad ospitare i match casalinghi dell’Athletic Club fu eretto nel polo fieristico adiacente al vecchio San Mamés. Il progetto venne assegnato nel 2011 allo studio di architettura locale di César Azcàrate e il suo team ACXT, il quale collaborò in stretta relazione con IDOM per la progettazione strutturale. I lavori di costruzione iniziarono subito e vennero gestiti in maniera molto precisa, nonostante il ristretto margine di tempo e la conseguente frenesia che ne derivava. La società aveva espressamente richiesto che il nuovo impianto fosse realizzato nel lotto di Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 99


terreno adiacente al vecchio stadio e che il suo completamento non interrompesse gli impegni calcistici casalinghi del team, imponendo che la inaugurazione avvenisse entro la fine del 2014. Queste direttive erano evidentemente i due compiti più complessi da gestire per i progettisti e gli ingegneri ed erano un’ulteriore prova dell’attaccamento del club alla tradizione locale. Il desiderio di mantenere invariato il luogo sul quale sarebbe sorto il nuovo stadio derivava da due ragioni: la prima era dovuta al fatto che la Catedral era diventata un punto di riferimento da un secolo a questa parte e doveva rimanere tale, con lo stesso nome e nella stessa posizione; la seconda invece per un significato simbolico dettato dalla vicinanza alla chiesa dedicata a San Mamés. La realizzazione del nuovo stadio recava come conseguenza la demolizione totale di quello vecchio, poiché, per volere della società, il nuovo San Mamés doveva sorgere nello stesso luogo di quello vecchio e quindi prenderne il posto. Da questo fatto derivavano una lunga serie di problematiche, relative sia all’atto stesso della costruzione, per via della vicinanza del fiume in prossimità del quale il terreno scende vertiginosamente, sia alle tempistiche, poiché lo stadio doveva essere pronto entro il 2014 e non doveva provocare alcun intoppo al proseguo del campionato della squadra. La volontà invece che la realizzazione del nuovo San Mamés non implicasse alcun tipo di intralcio alla stagione calcistica dell’Athletic risiedeva nell’orgoglio e la fierezza di Bilbao di appartenere ai Paesi Baschi. In nessun modo, infatti, nè la società nè tanto meno i tifosi avrebbero accettato che la loro squadra disputasse gli incontri casalinghi del campionato in uno stadio che non fosse il loro. 100 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

Consideravano il fatto che il proprio team giocasse nel rispettivo stadio quasi come un atto sacro. Una volta ultimata la costruzione del nuovo San Mamés, César Azcàrate, l’architetto a capo del progetto, dichiarò: “Thanks to a phased construction program, Athletic Club has played all their matches at home” 13

Proprio per merito di un’ organizzazione basata su un piano di costruzione suddiviso in fasi ben precise, fu possibile portare a termine il cantiere rispettando le scadenze prefissate e i dettami del cliente. Senza questo procedimento sarebbe stato ancora più complicato ultimare l’edificio tenendo fede ai compiti imposti dalla società. Tuttavia, pur servendosi di questo tipo di programma compartimentato e ben organizzato, non fu affatto semplice dirigere il progetto del nuovo stadio nel totale rispetto del luogo all’interno del quale si sarebbe introdotta la struttura; in più senza trascurare il vernacolo basco e provando a incrementare i servizi offerti dal vecchio impianto rendendoli più efficienti. Il piano per il nuovo stadio era organizzato in maniera molto differente da quello preesistente sotto svariati punti di vista, incominciando da quello strutturale, dell’aspetto, della articolazione spaziale interna (sia del campo da gioco sia delle tribune sia soprattutto delle funzioni interne atte ad accogliere e ospitare la tifoseria), per finire con la disposizione del complesso edilizio nel contesto urbano di Bilbao e le relative modifiche della viabilità per favorirne l’accessibilità. Dal punto di vista della sistemazione dell’edificio nel tessuto urbano si può notare che il nuovo San Mamés sia disposto trasversalmente rispet-


FASE 1 da: 06 / 2011 a: 06 / 2013 I 2/3 del nuovo stadio vennero costruiti senza interrompere gli incontri che nel frattempo continuarono ad essere disputati nel vecchio stadio.

FASE 2 da: 06 / 2013 a: 09 / 2013 Venne portata a termine la totale demolizione del vecchio stadio e contemporaneamente vennero completati il manto erboso e le finiture (ETFE compreso) del nuovo San Mamés.

FASE 3 da: 09 / 2013 a: 08 / 2014 Per ultimare la costruzione del San Mamés venne completata l’ultima parte con le funzioni destinate ai tifosi e le tribune, raggiungendo la capienza massima . di 53 229 sedute.

Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 101


to al vecchio impianto con i due lati più lunghi allineati con gli edifici a sud e moderatamente inclinati rispetto ai viali che conducono al centro di BIlbao. Le dimensioni dello stadio sono state ricavate su misura dai limiti presenti in quel terreno. Uno di questi era il considerevole abbassamento di quota tra il piano sul quale poggiava il vecchio stadio e il fiume. Il terreno infatti rimaneva piano per qualche decina di metri, ma poi iniziava a degradare sempre di più fino a raggiungere la riva del fiume. Per far fronte a questo primo impedimento venne prolungato il basamento in cemento armato che si estendeva sotto la Catedral, interrompendo la viabilità nel tratto tra la piccola scogliera e il vecchio San Mamés, fino a foggiare una nuova piattaforma che livellasse il terreno consentendo di cominciare il progetto con le fondazioni. Una volta iniziati i lavori riguardanti la prima fase, l’obiettivo del progetto era di raggiungere il completamento dello stadio escluso il lato corto dove era ancora presente il vecchio impianto, entro il mese di settembre del 2013. Per questo lasso di tempo l’Athletic Club continuò a disputare gli incontri in casa nella Catedral e potè trasferirsi nel nuovo San Mamés solo una volta resi agibili sia il campo di gioco sia le tribune. Il raggiungimento di questo traguardo segnava anche il compimento della prima richiesta della società, che risiedeva nel garantire alla squadra di giocare i propri impegni stagionali sempre nel rispettivo stadio e necessitava di un’ottima organizzazione tra realizzazione del nuovo San Mamés e demolizione del vecchio. Prendeva atto quindi la seconda fase del cantiere volta a demolire totalmente l’impianto preesistente e rendere agibile il nuovo. Fu possibile utilizzare il nuovo polo calcistico, 102 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

nonostante fosse privo di uno dei due lati corti, per mezzo della sistemazione di una struttura leggera provvisoria fruibile come tribuna di scarsa capienza (un solo anello) che si collegava ai due spalti già finiti a livello del primo piano di sedute. L’Athletic poté quindi incominciare ad utilizzare la propria “casa” mentre il cantiere si avviava verso la fine, nel pieno rispetto dei tempi pianificati, tramite la terza ed ultima fase con la quale venne rimossa la struttura provvisoria e ultimata la tribuna mancante assieme al rispettivo accesso e alle sottostanti fan-zones dedicate ai tifosi. Tre anni e due mesi dopo l’inizio dei lavori era quindi possibile ammirare il nuovo San Mamés Barria di Bilbao realizzato soprattutto per merito di un’eccellente organizzazione e suddivisione dei compiti prima e durante il cantiere. Una volta ultimato la soddisfazione era totale da entrambe le parti. La società aveva ottenuto un impianto tra i più moderni e all’avanguardia sia per lo sfruttamento delle risorse già presenti sia per un notevole abbattimento dei costi dovuto all’utilizzo di materiali molto leggeri sia per la sostenibilità e il rispetto dell’ambiente raggiunti grazie all’impiego di materiali riciclabili, riutilizzabili e relativamente veloci da disassemblare, principi alla base del progetto di ACXT. “The first challenge in designing the stadium was to preserve and enhance the magic of the Cathedral” 14 César Azcàrate, head architect

Anche il design team era fiero di aver consegnato alla società e ai tifosi il nuovo San Mamés avendo rispettato tutte le richieste ricevute e avendo riscosso successo e approvazione fin dal primo giorno di vita.


Il nuovo San Mamés è subito entrato di diritto nella classifica dei migliori stadi europei ed è stato selezionato come uno degli impianti destinati ad ospitare il Campionato Europeo di Calcio 2020. Dispone di una molteplicità di dotazioni fruibili da tutta la città, le quali comprendono le aree premium, il museo e lo shop ufficiale, le caffetterie, il ristorante e le superaccessoriate fan-zones, che assieme costituiscono la totalità dell’area destinata ai tifosi senza alcuna restrizione. Vi è poi un’area dedicata al settore commerciale che include alcuni uffici e delle sale apposite per riunioni. Queste innovazioni, oltre alle tribune vip più larghe e confortevoli e ad una buona capienza che ha raggiunto più di 53 mila posti a sedere, hanno permesso al San Mamés di diventare uno degli impianti più avanzati in Europa e di acquisire quattro stelle che lo posizionano in alto nella graduatoria della Uefa. L’IMPIEGO DELL’ETFE L’aspetto con il quale il San Mamés si presenta è estremamente interessante e consente di capire in quale modo rappresenti una cucitura tra il tessuto urbano di Bilbao, la zona rurale a sud e quella situata ad ovest al di là del fiume. La nuova Catedral ha una forma che rimanda ad un prisma rettangolare stondato con gli angoli smussati ed è caratterizzato da due livelli ipogei (occupati dai vari depositi e dai parcheggi privati e pubblici), mentre dal livello del basamento che pareggia il terreno circostante si innalzano cinque piani che aumentano progressivamente di dimensioni man mano che aumenta la quota. Ogni livello è una sorta di ellisse avente lo stesso baricentro rispetto alle altre, ma ad una quota differente che varia di piano in piano. Allo stes-

so modo variano anche le dimensioni dei piani. Ognuno ha un perimetro esterno che esce a sbalzo di poco più di un metro dal piano sottostante, quindi, come una sorta di effetto matriosca, l’ultimo livello può contenere al suo interno tutti i perimetri dei livelli sottostanti. In facciata ogni piano, fatta eccezione per il piano terra, è caratterizzato da una serie continua di elementi rettangolari in torsione che ricreano l’effetto delle vele in movimento. Questi elementi sono composti da tubi del diametro di 9 centimetri e bullonati tra loro per formare un telaio a forma di prisma a base triangolare disposto verticalmente e ancorato al proprio livello mediante i lati corti. Sui lati di ogni telaio è agganciato un foglio di ETFE bianco e parzialmente opaco. ACXT e IDOM si sono serviti di questo espediente non solo come elemento per caratterizzare la facciata dell’edificio, ma soprattutto per sfruttare l’azione di contenimento alle spinte laterali provocate da particolari condizioni climatiche. Il perimetro di ogni piano è costituito da vetrate oblique che si congiungono alla sporgenza del piano superiore e si può presumere, quindi, che il sistema di facciata costituito dalle vele in ETFE si comporti come una sorta di controventamento molto leggero. Questa tecnica è stata sottoposta a numerose prove di resistenza al vento che hanno confermato la sua utilità per le pareti vetrate in virtù di schermo dai flussi d’aria tangenziali. La scelta di far ricorso all’ETFE piuttosto di altri materiali risiede nella sua straordinaria leggerezza, che lo rende il rivestimento traslucido per eccellenza. In questo modo è stato possibile ridurre i costi riguardanti il sistema di schermature per le Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 103


104 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE


Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 105


pareti vetrate perimetrali. Inoltre in certi punti sono presenti anche degli strati composti da una mesh microforata frapposti tra le vetrate e le vele di ETFE che servono a filtrare ulteriormente sia l’illuminazione solare sia le spinte del vento.

Figura 103 dettaglio degli elementi in ETFE simili a delle vele che scandiscono il ritmo della facciata del San Mamés.

Figura 104 veduta della facciata e degli elementi in ETFE.

106 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

Gli elementi in ETFE utilizzati per ricoprire l’inte. ra facciata dell’impianto sono 2 500 e sono stati progettati secondo quella particolare forma che ricorda la vela di un’imbarcazione appositamente per ridurre i costi necessari per il funzionamento del sistema HVAC (Heating, Ventilating and Air Conditioning) e i Fire Protection Systems. I numerosi test condotti nei wind tunnels hanno dato conferma delle elevate performance raggiunte con l’applicazione delle vele, verificate anche con il supporto delle simulazioni CFD per valutare qualitativamente la percentuale di risparmio sulla totalità dei costi per la costruzione e il mantenimento del San Mamés. I numerosi telai muniti di ETFE tuttavia sono meglio noti per la loro funzione estetica esaltata, soprattutto dopo il calar del sole, da una serie di piccole luci led inserite lateralmente nei montanti verticali di supporto per i tubi ai quali sono agganciate le membrane. Il sistema a led di cui è stato dotato il nuovo San Mamés è uno dei più moderni, poichè permette che ogni singolo faretto possa essere regolato per intensità, posizione e colore della luce emessa. L’impianto può quindi presentarsi in diversi modi ai visitatori. Quando i led sono spenti le vele sono di un colore bianco lattiginoso, dovuto alla percentuale di opacità di questi particolari strati di ETFE che non sono del tutto trasparenti come quelli studiati in precedenza. Prima degli incontri di campionato casalinghi


dell’Athletic Club invece si colora con strisce bianche e rosse diagonali che ricordano le tinte del club secondo la tradizione di Bilbao; mentre prima dei match europei i disegni proiettati sulle vele possono variare, ma normalmente raffigurano delle stelle. Numerosi architetti hanno iniziato ad utilizzare l’ETFE per la realizzazione di involucri trasparenti (o parzialmente) negli impianti sportivi. Primi tra tutti sono stati Herzog e De Meuron, artefici dell’Allianz Arena, il celebre stadio di Monaco di Baviera inaugurato nel 2007. In quel caso i due architetti svizzeri scelsero di affidarsi alle elevate prestazioni della tecnologia air-filled cushion per ricoprire interamente la struttura dell’edificio e garantirne un ottimo isolamento termico e acustico, oltre a sfruttare l’assoluta leggerezza del materiale per dar vita ad un rivestimento efficiente se considerati il peso totale dell’opera e l’abbattimento dei costi sia di costruzione sia di mantenimento. Nell’Allianz Arena, come si può ben intendere, viene fatto un uso dell’ETFE molto diverso da quello del San Mamés. Nell’edificio bavarese, infatti, l’ETFE é presente sotto forma di cuscino composto da due o più strati, mentre in quello spagnolo si ha un solo layer di materiale agganciato a un telaio ultraleggero di supporto. La differenza tra i due approcci é insita nella concezione strutturale dell’intero edificio. A Bilbao, infatti, le vele in ETFE non svolgono prettamente il compito strutturale di sostegno dei carichi, ma servono più come un controvento utile a smorzare l’azione di effetti climatici (come il forte vento) e proteggere le vetrate perimetrali incrementando il sistema di raffreddamento e l’isolamento termico. A Monaco, invece, l’ETFE ha una maggior rile-

Figura 105 il progetto in pianta e in alzato frontale delle vele in ETFE che costituiscono la facciata a cura dello studio ACXT. Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 107


Figura 106 il progetto del San Mamés a livello della copertura in ETFE. La corona più esterna è quella maggiormente schermata e lascia passare la minor quantità di illuminazione; mentre quella più interna è la più trasparente.

vanza sotto il profilo strutturale, poichè i cuscini disposti come un unico membro, uno accanto all’altro, agiscono assorbendo in quantità moderata le spinte laterali per veicolarle ai pilastri portanti, ai quali spetta in fine l’onere di scaricare al terreno assieme alla totalità di carichi presenti dalla sommità dell’edificio. Dal punto di vista estetico invece i progetti si somigliano, anche se l’Allianz Arena è interamente rivestita da cuscini di membrana opaca, mentre il San Mamés ha elementi monostrato in facciata e involucri doppiostrato in copertura. Entrambi gli edifici in fine possono essere illuminati da sistemi a led, ma con la differenza che nell’Allianz Arena l’illuminazione avviene dall’interno, mentre nel San Mamés dall’esterno (late. ralmente) mediante l’utilizzo di 42 500 luci led. Le membrane utilizzate in facciata nel San Mamés sono tutti elementi modulari di forma rettangolare con 100 centimetri di larghezza (orizzontale) e 540 centimetri di lunghezza (verticale). Ogni elemento è costituito da un singolo foglio di ETFE ritorto su se stesso. La ripetizione costante e precisa di ogni elemen108 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

to costituisce il ritmo della facciata. Ogni piano ha quindi lo stesso ritmo, poichè gli elementi sono gli stessi e hanno le stesse dimensioni, tuttavia ciascun livello si differenzia minimamente dagli altri per via di uno slittamento orizzontale dell’intero sistema di vele. In questo modo l’edificio assume maggior dinamismo. Gli unici punti in cui il sistema di vele in ETFE si interrompe è in corrispondenza delle lievi sporgenze incorniciate da alluminio tinto di rosso che in alcuni casi costituiscono dei punti di osservazione sulla città e sono quindi vetrati, in altri, invece, racchiudono lo stemma simbolico del club. Nel San Mamés l’ETFE oltre a rivestire la facciata è utilizzato anche come involucro trasparente per la copertura. Qui è impiegato sotto forma di cuscini, in modo differente quindi rispetto a come è trattato in facciata. Questo per un motivo più che altro di resistenza e di massima efficienza prestazionale. La copertura si basa su un sistema di travi reticolari in acciaio composto da 36 elementi. Ognuna di esse ha forma triangolare e si assottiglia man mano che si accentra ed è disposta a raggiera secondo uno schema ben preciso. L’articolazione delle travi è sorretta nella parte più esterna del perimetro dell’ultimo piano dell’edificio da una rete di tubi metallici intrecciati a formare tanti elementi triangolari disposti secondo un’orditura primaria e una secondaria. Questo sistema a maglia sorregge le travi della copertura e a sua volta è sorretto dalle pareti e dai pilastri in cemento armato. Alle travi è saldato un sistema di supporto molto leggero composto prevalentemente da alluminio che funge da telaio al quale sono agganciati i cuscini in ETFE.


Tra due travi reticolari sono disposti longitudinalmente tre cuscini con dimensioni e livelli di pressione delle camere d’aria differenti. Un ulteriore aspetto che caratterizza le membrane da 200 micron degli involucri è la presenza o meno di una stampa serigrafata al di sopra dello strato più esterno in grado di filtrare a piacere la radiazione solare incidente. Lo studio di questo sistema é estremamente interessante, poichè permette di notare che solo la corona più esterna e quella in mezzeria sono dotate di schermature con stampe puntiformi, mentre la corona più interna (quella più accentrata verso il campo da gioco) é stata lasciata completamente trasparente. Questo per un motivo ben preciso, poiché la trasparenza dei cuscini che compongono la corona più vicina al manto erboso del terreno di gioco incrementano il processo di crescita spontanea, mentre la corona centrale è schermata con delle stampe a pallini moderatamente densi, in modo da rendere più confortevole per i tifosi seduti nelle zone sottostanti la visione degli incontri. Lo stesso discorso vale per i cuscini della corona più esterna, ma lì si hanno delle schermature con stampe a pallini più densi che lasciano passare meno luce solare e migliorano il confort termico per gli spettatori stanziati nelle tribune più alte dello stadio.

Figura 107 la struttura a travireticolari supporta la copertura composta da tre corone di cuscini in ETFE.

Cuscino

punta

Cuscino

1

2

Cuscino

3

interno

Massima pressione differenziale (1s) [kg/m2] aspirazione pressione Figura 108 cuscino 1 272 (punta) - 143(interno) 239 (punta) - 154 (interno) dettaglio di una delle 60 117 travi disposte a ragcuscino 2 cuscino 3 43 180 giera che sostengono l’involucro in ETFE e Massima pressione differenziale (3s) [kg/m2] tabella riguardante la pressione aspirazione pressione dei cuscini cuscino 1 208 (punta) - 1115(interno) 182 (punta) - 115 (interno) trasparenti e il tempo necessario per goncuscino 2 50,5 98,5 fiarli. cuscino 3 30 156 (Fonte:ACXT, IDOM)

Figura 109 veduta complessiva della copertura del nuovo impianto e della distribuzione dei posti a sedere. Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 109


4.4 - COCA-COLA BEATBOX PAVILION Località: Olympic Park, Londra (Inghilterra) . Dimensioni: 1 421 m2 Progettisti: Asif Khan & Pernilla Ohrstedt Anno: 2012 Ingegnere strutturale: AKT II Rivestimento: ETFE bianco e rosso Produttore del rivestimento: Taiyo Europe

110 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE


IL PROGETTO Il Beatbox Pavilion fu progettato dalla collaborazione dei due giovani architetti Asif Khan e Pernilla Ohrstedt e realizzato per conto di Coca-Cola come luogo di mostra temporaneo durante i Giochi Olimpici di Londra 2012. Venne inaugurato il 27 luglio del 2012 assieme all’apertura delle Olimpiadi e fu visitabile per tutta la durata dei Giochi dopodichè venne disassemblato. L’aspetto stravagante del padiglione fu ispirato dalla campagna promozionale di Coca-Cola, sponsor delle Olimpiadi di Londra, chiamata “Move to the Beat” e mirata ad avvicinare la popolazione più giovane alla tradizione dei Giochi tramite la passione per la musica e per lo sport. L’obiettivo del progetto era quello di essere immediatamente riconoscibile, per questo motivo i progettisti hanno dato molta importanza alla

Figura 111 ortofoto dello Olympic Park destinato ad ospitare i Giochi Olimpici di Londra 2012 e posizione provvisoria del Coca-Cola Beatbox Pavilion. Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 111


caratterizzazione della facciata servendosi di oltre 200 cuscini in ETFE di colore rosso e bianco. Ogni cuscino è composto da due strati di ETFE molto sottili e altrettanto vicini, con dimensioni diverse e sono disposti nello spazio in maniera apparentemente casuale originando un edificio dall’aspetto dinamico e mutevole. Involucri bianchi sono posizionati nella parte più bassa della facciata, mentre il resto é occupato da quelli di color rosso.

Figura 112 il Coca-Cola Beatbox in fase di costruzione mentre vengono applicati alla facciata i primi elementi in ETFE.

Figura 113 i pannelli in ETFE più vicini all’inizio della rampa che permette di salire fino al tetto del padiglione.

112 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

La particolare novità introdotta dal Beatbox Pavilion risiede in un sistema innovativo di diffusione sonora collocato all’interno dei cuscini più prossimi alla passerella che circonda l’esterno dell’edificio e sale gradualmente fino al tetto. Ogni cuscino dotato di questa tecnologia sonora può essere azionato semplicemente attraverso il contatto con il palmo della mano e produce un tipo di suono differente che può simulare alcuni dei rumori tipici delle discipline presenti alle Olimpiadi di Londra come il tiro con l’arco, oppure altri suoni come il rullo di un tamburo o il battito cardiaco di un atleta e molti altri ancora. Ogni persona che visita il padiglione può toccare direttamente i cuscini e sprigionare così differenti suoni che assieme esprimono al meglio la campagna “Move to the beat” promossa da Coca-Cola. I suoni che possono essere riprodotti da questo sistema sono stati registrati dal tecnico e designer sonoro Marc Ronson contenuti nella collezione “Anywhere in the world” e mixati appositamente per l’occasione. Il produttore Marc Ronson, vincitore di un Grammy Award affermò che il Beatbox Pavilion era un edificio unico, dove poter sperimentare l’emozione dei Giochi Olimpici pur senza prenderne parte.


“The Coca-Cola Beatbox is a sensory experience that fuses design, music, sport and architecture. It is something that people have never seen or heard before!” 15 Marc Ronson

Mentre si ascoltano le melodie riprodotte dai cuscini si può proseguire l’ascesa tramite una rampa a forma di spirale verso il tetto calpestabile dell’edificio, dal quale si può avere una panoramica completa dell’Olympic Park prima di scendere mediante una seconda rampa simile a quella per la salita ma interna al padiglione. Il sistema di involucri in ETFE è reso ancora più suggestivo da una notevole quantità di luci led situate sui lati interni dei montanti a sostegno delle membrane, le quali producono effetti luminosi varii e dinamici.

Figura 114 vista notturna di alcuni pannelli in ETFE incastrati tra loro e illuminati da luci led.

La stabilità degli elementi in ETFE è basata su un sistema per certi versi modulare, poichè la struttura è composta da più “blocchi”, ognuno dei quali ha un numero preciso di cuscini che si sostengono tra loro. Ciascun blocco ha degli elementi che lo uniscono ai blocchi adiacenti e in questo modo si origina una struttura dalla trama non casuale e stabile. Di per sè, infatti, un singolo blocco sarebbe instabile, è solo quando esso viene collegato agli altri blocchi che guadagna stabilità e resistenza, poiché gli elementi che li compongono si incastrano tra loro e si sostengono. “The depth of the system means that by itself it is still unstable and it is only when the next unit of three is interfaced with it that each pillow achieves the minimum three connections it needs to become stable.” 16 Ed Mosely, ingegnere associato di AKT II

Figura 115 veduta complessiva del Coca-Cola Beatbox illuminato dalle luci led. Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 113


4.5 - SERPENTINE PAVILION (2015) Località: Londra (Inghilterra) Progettisti: SelgasCano Committente: Serpentine Galleries Anno: 2015 Ingegnere strutturale: AECOM e David Glover Rivestimento: ETFE colorato monostrato Produttore del rivestimento: Taiyo Europe

114 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE


Figura 117 la pianta del Serpentine Pavilion 2015 progettato da SelgasCano e il rispettivo plastico colorato

Hyde Park Serpentine Pavilion 2015

Figura 118 collocazione del padiglione all’interno di Hyde Park e del contesto urbano di Londra, Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 115


116 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE


Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 117


davano all’aspetto di una crisalide, non vi era alcuna somiglianza volta a chiarire quale fosse la forma precisa alla quale facesse riferimento. La caratteristica principale di questa sorta di animale dalla forma non definita risiede nel cromatismo della doppia pelle costituita da un rivestimento in ETFE monostrato e multicolore. Figura 120 veduta aerea del Serpentine Pavilion 2015 di SelgasCano difronte alla sede della Serpentine Gallery.

LA STORIA Il Serpentine Pavilion è diventato un sito dove poter acquisire esperienza internazionale in ambito architettonico, in occasione del quale si assiste alla presentazione di strutture temporanee simboliche progettate da alcuni tra i migliori architetti in attività. Questo evento emerge ogni estate per mezzo di una nuova proposta progettuale e si eleva a icona dell’intera Londra, poichè i Padiglioni sono una delle dieci architetture e/o esposizioni di design più visitate al mondo. Nel 2015, gli architetti spagnoli SelgasCano disegnarono il quindicesimo Serpentine Pavilion. Lo studio pluripremiato composto da José Selgas e Lucìa Cano fu il primo proveniente dalla penisola iberica a progettare il Padiglione nel terreno in prossimità della sede della Serpentine Galleries all’interno dei Kensington Gardens di Londra. Questa era oltretutto la prima architettura realizzata dallo studio in tutto il Regno Unito. Sarebbe appropriato definire il loro Padiglione con il termine amorfo, poichè nonostante si intravedessero nella struttura dei tratti che riman118 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

Gli architetti spagnoli presero diverse fonti di ispirazione per il progetto. Non considerarono infatti solamente l’ambiente interno ai Kensington Gardens dove sarebbe sorto il padiglione, ma ammirarono anche l’ambiente esterno, come la metropolitana londinese, dotata di numerosi livelli, tunnel e con un flusso di gente sempre elevato. Oltre a ciò studiarono i progetti delle quattordici edizioni precedenti alla loro, tra i quali vi furono: quello di Siljan Radic del 2014 che da molti venne comparato ad una sorta di astronave neolitica; così come quelli di Sou Fujimoto del 2013, quello di Herzog & De Meuron in collaborazione con Ai Weiwei del 2012, in più anche quello di Frank Gehry del 2008, Rem Koolhas e Cecil Balmond assieme a Ove Arup del 2006, quello di Oscar Niemeyer del 2003, per finire con quelli meno recenti di Daniel Libeskind e Arup (2001) e il primo padiglione inaugurale da parte di Zaha Hadid (2000). “When the Serpentine invited us to design the Pavilion, we began to think about what the structure needed to provide and what materials should be used in a Royal Park in London. These questions, mixed with our own architectural interests and the knowledge that the design needs to connect with nature and feel part of the landscape, provided us with a concept based on pure visitor experience. [ ... ] The structure therefore had to be – without resembling previous


Pavilions – a tribute to them all and a homage to all the stories told within those designs.” 17 José Selgas and Lucìa Cano, the architects

Lo scopo del progetto di SelgasCano è quello di porre al centro il visitatore e coinvolgerlo attraverso la spazialità e i materiali permettendogli di sperimentare un modo alternativo di produrre un’architettura funzionale e attraente. L’intento di SelgasCano fu proprio quello di trovare un modo per permettere al pubblico di sperimentare e scoprire passo dopo passo l’architettura attraverso pochi elementi semplici: la struttura e la sua leggerezza, la luce e la trasparenza della membrana, i colori e la variazione delle forme. La semplicità è la caratteristica che regola l’intera struttura se si considera che la quantità di materiali impiegati per realizzarla è molto ridotta, poichè i progettisti pensarono di puntare maggiormente sull’utilizzare uno stesso materiale in modi diversi. Questa tecnica fu più che mai utile per caratterizzare le distinte aree del padiglione, ma allo stesso tempo dare uniformità.

Figura 121 veduta interna del padiglione.

Dopo neanche un mese dall’inaugurazione del nuovo Serpentine Pavilion la compagnia di arti creative Second Home si aggiudicò il diritto di mettere in mostra i propri lavori all’interno dello spazio espositivo. In seguito al termine annuo di vita il padiglione venne smantellato e la compagnia si spostò definitivamente a Los Angeles, dove, grazie all’esperienza maturata con il Serpentine Pavilion, incrementò i propri guadagni. Una volta ammirato il progetto di José Selgas e Lucìa Cano i direttori dell’evento organizzato da Serpentine Pavilions furono molto soddisfatti e

Figura 122 veduta della Serpentine Gallery da uno degli ingressi del padiglione. Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 119


si congratularono con il duo spagnolo per il risultato ottenuto. “We can’t wait to go inside to experience the light diffused through the coloured panels like stained glass windows. It will be a place for people to meet, to have coffee and to experience the live events we put on throughout the summer.” 18 Julia Payton Jones (Serpentine Galleries Director) and Hans Ulrich Obrist (co-Director)

Figura 123 veduta della caffetteria interna al padiglione.

Figura 124 uno dei corridoi perimetrali da cui si può accedere allo spazio centrale.

120 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

IL PROGETTO Il progetto fu pensato appositamente perchè fosse possibile entrare e uscire dal padiglione in diversi punti, percorrendo i corridoi presenti tra lo strato esterno e quello interno della struttura. Grazie a questo espediente i visitatori accedono al cuore del padiglione gradualmente e nel frattempo hanno modo di scoprire le variazioni delle tinte cromatiche delle membrane costituenti l’involucro. L’articolazione spaziale del padiglione si dispiega solo quando si accede alla struttura e ci si ritrova immersi in essa. Ogni ingresso consente un percorso specifico nello spazio, caratterizzato dal colore, dalla luce e dalle forme irregolari che conduce verso il punto centrale del Padiglione dove è presente una caffetteria e un area libera dove poter organizzare eventi e mostre. Questa particolare gestione dello spazio è resa possibile dal doppio guscio che separa la parte più interna da quella perimetrale. Il Padiglione non ha una forma ben precisa, ma è costituito da quattro tunnel congiungenti al centro e ognuno di essi ha caratteristiche differenti sia per quanto riguarda le dimensioni sia per i colori e il tipo di rivestimento. Quest’ultimo è l’elemento che caratterizza mag-


giormente ogni tunnel ed è composto da diverse membrane disposte trasversalmente rispetto la lunghezza dell’edificio. Ogni membrana è un singolo strato di ETFE colorato che ricalca l’andamento imposto dalla struttura tubolare metallica alla quale è agganciato. La maglia strutturale consta di numerosi elementi simili a degli archi spezzettati di forma poligonale del diametro di 12 centimetri circa. In corrispondenza dei nodi continui tra un segmento e quello successivo che compongono l’arco vi sono degli elementi trasversali della stessa natura ma di diametro dimezzato che collegano ogni arco. Tuttavia l’aspetto vario e mutevole del progetto si vede anche qui, poichè questi elementi metallici non seguono uno schema preciso e ripetitivo, ma sono disposti a distanze differenti l’uno dall’altro e non sempre si hanno gli elementi trasversali di collegamento, a volte infatti sono assenti, in atri punti invece sono presenti in abbondanza sotto forma di doppio controvento diagonale. Il telaio metallico che costituisce la struttura è quindi differente in ogni punto per via del fatto che gli archi hanno larghezze diverse e altezze che variano da un minimo poco superiore ai 2 metri fino a raggiungere più di 4 metri. Questa soluzione progettuale influenza anche la realizzazione del rivestimento in ETFE che essendo agganciato a questi elementi ne segue l’andamento poligonale. Ogni membrana impiegata ha dimensioni notevoli e ricopre esternamente l’ossatura metallica. Il rivestimento interno é stato concepito per essere sempre differente rispetto a quello esterno sia per le tinte cromatiche sia per le caratteristiche proprie della membrana.

In alcuni punti dell’involucro interno, infatti, l’ampio strato di ETFE che ricopre la struttura metallica lascia il posto ad un divisorio tra interno e corridoio esterno costituito da un elevato numero di fasce (del medesimo materiale) agganciate ai segmenti tubolari degli archi tramite appositi profili forati. Queste fasce vengono quindi tenute ben tese diagonalmente tra un arco e l’altro e si intrecciano svariate volte originando una schermatura parziale, poiché nei vuoti dove non si intersecano le fasce è possibile vedere ciò che sta al di là del divisorio. Le soluzioni per il rivestimento interno pensate da SelgasCano comprendono anche tratti in cui la membrana che riveste la struttura é quasi del tutto opaca e non permette quindi di poter stabilire con accuratezza ciò che é situato oltre il divisorio. In altre zone, invece, la membrana utilizzata é molto più trasparente e lucida e consente quindi di percepire con maggior precisione gli oggetti o le persone pur avendo frapposto il divisorio in ETFE. Per la realizzazione dell’involucro esterno vennero utilizzate le stesse tecniche dell’interno, ma ponendo maggior attenzione alla caratterizzazione degli accessi e al rispetto dell’ambiente esterno. Gli ingressi del Padiglione erano numerosi e ben distinguibili l’uno dall’altro. Alcuni si aprivano ai visitatori come una porta direttamente sul lato corto all’estremità di un tunnel, altri invece erano molto più simili a dei corridoi che venivano percorsi tra i due rivestimenti fino a quando questi non si univano e in quel punto si aveva un vuoto nel “guscio” interno che consentiva agli spettatori di entrare. Il secondo aspetto da dover considerare era che lo strato di ETFE possiede determinate proprietà Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 121


122 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE


riflettenti che variano in funzione dell’opacità o della trasparenza oltre che allo spessore della membrana stessa. José Selgas e Lucìa Cano, ben consapevoli delle caratteristiche del materiale, hanno studiato il contesto in prossimità del sito di progetto proprio per disporre le parti del rivestimento più riflettenti di fronte a luoghi o oggetti caratteristici, mentre le aree rivestite dalle semplici fasce incrociate sono state impiegate soprattutto in corrispondenza degli accessi a corridoio. Questo accorgimento lo si può notare quando ci si avvicina alla struttura da nord-ovest, poiché l’edificio della Serpentine Gallery viene in parte specchiato sulla pelle plastica del Padiglione. Tutta la parte centrale della crisalide progettata da SelgasCano è molto traslucente proprio per garantire questo effetto, mentre le due ali sono una arancione opaca e l’altra rivestita esternamente da fasce tese e intricate di colore bianco. Anche in questo progetto è possibile constatare le potenzialità dell’ETFE grazie all’abilità di SelgasCano nell’esaltare lo spazio e la forma indefinita del padiglione attraverso la gestione della luminosità del materiale. Sono proprio i colori, le luci e le ombre che armonizzano il progetto, lo rendono vivo e unico. I due termini con i quali si può descrivere il Padiglione sono: semplice ed essenziale. L’intento dello studio di architettura spagnolo era quello di realizzare un edificio semplice, con l’utilizzo di pochi ma efficaci materiali e renderlo interessante e articolato sfruttando al massimo le proprietà di trasmissione dell’illuminazione solare del rivestimento impiegato in ogni sfaccettatura possibile. L’essenzialità del progetto risiede invece nella li-

mitata quantità di materiali utilizzati, nella loro leggerezza e nella straordinaria luminosità che rende magico lo spazio racchiuso tra i diversi gusci frammentati e colorati. Inoltre venne adoperato il sistema tecnologico più semplice e più leggero possibile costituito da un singolo layer mantenuto in tensione all’esterno della struttura metallica di sostegno. Le tecniche costruttive basate sui cuscini in ETFE non erano appropriate in questo caso, poiché non era necessario alcun aumento dell’isolamento termico nè di quello acustico. Un sistema a più strati della stessa membrana sarebbe stato controproducente perchè avrebbe causato l’incremento del peso della struttura oltre che dei costi e in più avrebbe limitato la quantità di illuminazione naturale trasmessa all’interno del Padiglione. Il sistema che venne utilizzato, invece, costituito da un solo strato si rivelò essere la soluzione ideale soprattutto per la gestione della trasparenza del film, per un vantaggio economico e per la facilità con la quale poteva essere disassemblato e riutilizzato. Occorre considerare infine che gli architetti si servirono dell’ETFE perchè erano consapevoli del fatto che nessun altro materiale avrebbe potuto garantire le stesse prestazioni raggiunte con questa membrana. Nessun altro materiale con composizione a base di fluoro, nè tanto meno il vetro, sarebbe stato in grado di eguagliare tutti i livelli di resistenza agli sforzi di tensione, trasparenza, flessibilità e leggerezza dell’ETFE.

Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 123


4.6 - GERMAN PAVILION AT EXPO 2015 Località: Milano (Italia) . Dimensioni: 60 000 m2 Progettisti: Schmidhuber; ARGE Anno: 2015 Cliente: German Federal Ministry for Economic Affairs and Energy Ingegnere strutturale: ARGE; Nüssli Deutchland Rivestimento: ETFE bianco; PVC Produttore del rivestimento: Taiyo Europe

124 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

Meriti riconosciuti: - Deutscher Designer Club Award 2015. - FAMAB Award 2015. - Exhibitor Magazine’s Expo Award 2015. - Bureau International des Exposition Expo Milano Award 2015. - Red Dot Award 2015. - Green GOOD DESIGN Award 2015. -Golden Award of Montreux 2015. - ADC Award 2015.


Figura 127 plastico del padiglione Germania d Expo Milano 2015.

Figura 128 planimetria del sito di Expo Milano 2015 con localizzazione del lotto destinato al padiglione Germania. Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 125


Figura 129 a.b.c sezione longitudinale, alzato ovest e planimetria a livello della copertura.

IL PROGETTO Il Padiglione Germania all’Expo di Milano 2015 è stata una delle strutture più interessanti ad essere esposte sia per l’articolazione architettonica dello spazio espositivo stesso sia per la qualità delle idee chiamate in causa dai diversi sistemi interattivi e multimediali presenti al suo interno. Lo scopo principale dei progettisti Schmidhuber e ARGE era quello di sensibilizzare i visitatori ad un uso più ragionato delle risorse che si utilizzano quotidianamente, limitando gli sprechi, e mostrando loro alcune realtà nelle quali l’uomo e il paesaggio naturale vivono in armonia attraverso una costante relazione “do ut des”. Il secondo obiettivo del Padiglione era quindi di fornire esempi nei quali il genere umano si relaziona con totale rispetto e sensibilità nei con126 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

fronti dell’ambiente che abita e ottiene dalla natura i frutti migliori che essa può donare. Per questo motivo il tema della struttura è “Fields of Ideas”, attraverso il quale la Germania presenta al mondo intero il suo paesaggio prospero di vegetazione e di frutti, ed estremamente ricco di idee. Il Padiglione era situato lungo il Decumano, nell’area ad est, appena sotto l’intersezione con il Cardo ed era affiancato dai padiglioni di Ecuador e Kuwait. . Con un’area totale pari a 4 933 m2 la struttura occupava uno dei lotti più ampi nei quali era stato suddiviso il sito dell’esposizione universale e riproduceva sia in maniera simbolica sia reale il ti-


pico paesaggio rurale tedesco, caratterizzato da lunghe distese di campi fioriti e terreni coltivati. L’edificio era distribuito su tutto il lotto e ricreava una sorta di collina che si alzava gradualmente e in maniera dolce dalla parte antistante sino a raggiungere il centro, dove era collocato il Padiglione, mantenendo la stessa quota anche nell’area posteriore, in cui erano disposti ampi prati erbosi e fioriti. L’intera composizione floreale era stata trapiantata dopo esser stata trasportata dal pese natale in Germania. L’attenzione all’aspetto naturale del Padiglione era stato curato dai progettisti con assoluta precisione. Vi erano, infatti, una serie di elementi artificiali volti a richiamare alla mente del visitatore alcuni ambiti del mondo rurale. Questi si susseguivano in modo ordinato ed erano di diversi tipi: dalle forme delle strutture in cima al lotto, ricoperte da una scocca bianca lucida, che rimandavano in maniera simbolica alle proporzioni aggraziate di un’ape, alle strutture in PVC e ETFE che costituivano delle speci di alberi artificiali stilizzati che accompagnavano il percorso esterno fungendo da lucernari per i piani sottostanti. L’edificio si differenziava per l’appunto tra piani inferiori e piani superiori, ognuno dei quali trattava un tema dell’esposizione differente dagli altri. La facciata era rivestita da pannelli rettangolari in fibrocemento inclinati in maniera diversa per dare l’effetto di una roccia scistosa dall’andamento stratificato. La particolarità del progetto risiedeva nell’abilità con la quale erano stati integrati gli elementi naturali con quelli artificiali a conferma del tema trattato dal Padiglione. Il percorso espositivo iniziava con le fonti dell’alimentazione (suolo, acqua, clima e biodiversità) e proseguiva con la produzione e il consumo in un contesto urbano. Vi era inoltre degli spazi

in cui ogni visitatore poteva interagire in prima persona attraverso postazioni multimediali che permettevano di approfondire le tematiche trattate, completate dall’istallazione “Be(e)active”, che constava di 3.000 schermi attraverso i quali i visitatori potevano calarsi nei panni di due api e sperimentare l’emozione di un volo sui paesaggi della Germania. L’esposizione era infine arricchita grazie a una tavoletta in cartone riciclato che veniva data ad ogni visitatore che permetteva loro di interagire con le varie postazioni multimediali disposte ad originare il percorso istruttivo. Su questi dispositivi venivano proiettate immagini e filmati che mostravano progetti eco-solidali in via di sviluppo che permettevano di immaginare quante soluzioni sostenibili fossero possibili per una qualunque delle azioni che svolgiamo quotidianamente. Tuttavia, oltre al percorso interno all’edificio che consentiva di prendere visione dell’intera esposizione del Padiglione Germania, era possibile percorrere il padiglione anche dall’esterno e ammirare le straordinarie composizioni floreali. Le due parti però non erano completamente separate. Gli elementi trasparenti simili a degli alberi citati in precedenza, infatti, provenivano dall’interno della struttura e salivano fino ad oltrepassarne la copertura e si ergevano di alcuni metri al di sopra del suolo calpestabile esterno. Attraverso questi elementi trasparenti dalle forme dinamiche e flessibili era possibile dare un rapido sguardo a ciò che avveniva all’interno dell’edificio. Il Padiglione prende forma mediante un insieme di tecnologie avanzate, materiali tradizionali ed ecosostenibili, incentrato soprattutto su un impiego economico ed efficiente di risorse e spazio. Di base sfrutta una struttura in acciaio, mentre Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 127


la facciata è composta da una sistema lamellare in fibrocemento regolabile, che permette di inclinare i vari elementi secondo quattro diverse angolazioni cambiando la quantità di luce che entra nel padiglione e ne modifica l’aspetto.

Figura 130 dettaglio tridimensionale di uno degli alberi artificiali con scocca in PVC e pannelli OPV integrati.

Figura 131 veduta del percorso esterno al padiglione con primo piano di un albero artificiale.

Figura 132 dettaglio dei pannelli fotovoltaici OPV collocati in cima agli alberi artificiali esterni al padiglione Germania.

128 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

L’ETFE E L’INNOVATIVO SISTEMA O.P.V. In questo progetto l’ETFE è usato in quantità decisamente inferiori rispetto agli altri casi studio esaminati finora, tuttavia anche qui ricopre un ruolo davvero importante e non sarebbe stato per nulla scontato raggiungere lo stesso risultato con una ltro materiale trasparente. Il tema centrale attorno al quale ruotava l’esposizione del Padiglione Germania, come si è detto, era la ricerca di una maggior sostenibilità attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie che permettano di nutrire il pianeta e di raccoglierne i frutti nel totale rispetto dell’ambiente. A questo proposito i progettisti si sono mossi sia in modo divulgativo, organizzando un’esposizione volta a sensibilizzare i visitatori in questa direzione, sia in modo pratico, proponendo un esempio di sistema voltaici molto leggero in grado di assorbire una quantità di energia luminosa che contribuisce a mantenere attivo il funzionamento del Padiglione. Il sistema fotovoltaico utilizzato in questo progetto è chiamato Organic Photovoltaic Technology ( OPV) ed è l’ultima evoluzione di questa tecnologia disponibile al giorno d’oggi. Il Padiglione Germania è stato il primo edificio di grandi dimensioni sul quale é stato provato l’innovativo sistema OPV. Questa tecnologia si è rivelata indispensabile per l’armonia dell’intero progetto, poichè i tradizionali sistemi fotovoltaici erano piuttosto rigidi e inadatti a piegarsi e a flettersi per raggiungere la forma curva ottimale che garantiva invece il sistema OPV. Scegliendo la tecnologia innovativa é stato possibile adattare ogni singola cella fotovoltaica alla forma degli


Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 129


130 Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE


alberi artificiali uniformando il progetto e dando continuità al tema del padiglione. Tuttavia questo sistema non era conveniente solo dal punto di vista estetico, ma anche, soprattutto, da quello prestazionale, poichè l’OPV ha costi di manifattura inferiori rispetto a quelli dei fotovoltaici tradizionali. Inoltre vanta una maggior flessibilità e leggerezza e può essere posizionato su superfici non piane. Queste caratteristiche rendono l’OPV estremamente interessante e lo candidano a numerosi impieghi in futuro. Il sistema OPV può essere integrato tra due fogli di plastica trasparenti e molto leggeri, tuttavia in questo caso non venne utilizzata una plastica qualunque, ma l’ETFE. Il motivo di questa scelta probabilmente risiede nelle straordinarie qualità isolanti e ignifughe dell’ETFE che previene possibili surriscaldamenti della tecnologia fotovoltaica. Anche l’OPV, infatti, assorbe energia luminosa e la converte in energia elettrica di pronto utilizzo. Tuttavia quando avviene questo processo il sistema fotovoltaico si scalda e in alcuni casi può raggiungere temperature davvero elevate, che non tutti i materiali di derivazione plastica potrebbero essere in grado di gestire senza un danneggiamento per sovraccarico termico. Nel Padiglione Germania la tecnologia OPV è stata disposta sui sei alberi artificiali che accompagnavano il percorso esterno del padiglione ed è stata impiegata sotto forma di numerose celle di forma esagonale inscritte tra due membrane di ETFE da 200 micron e tenute assieme da una maglia metallica molto sottile. Ogni albero artificiale aveva forme e dimensioni differenti, ma sfruttava lo stesso sistema costruttivo caratterizzato da due elementi metallici tubolari tinti di bianco lunghi diversi metri e che si curvavano per conferire una forma dinamica alla struttura.

Gli elementi tubolari disposti a formare delle speci di archi stondati e inflessi erano riempiti da una scocca in PVC bianco traslucido che veniva ancorato e tenuto in tensione tra questi elementi. I due archi che costituivano un arco erano distanti non più di un metro l’uno dall’altro e proprio in corrispondenza di questi spazi vuoti erano collocate le reti con pannelli OPV integrati. La delicata maglia in acciaio filato agiva sia come supporto strutturale sia come conduttore elettrico per l’energia sprigionata dalle celle fotovoltaiche. Questa rete univa ogni cella e foggiava il sistema fotovoltaico che si estendeva dalla sommità dell’albero fino al terreno del piano più basso del edificio, passando attraverso i livelli intermedi senza interruzioni. “We had the opportunity here to do more than just integrate an existing technology in our design. We were able to specify every element of the structure, right down to the shape and appearance of the individual solar cells, to make everything a seamless part of the overall design.” 19 Lennart Wiechell, lead architect at SCHMIDHUBER

In questo caso studio l’ETFE è stato impiegato in una maniera differente rispetto gli altri progetti presi in analisi. Qui non ha avuto un ruolo di vero e proprio involucro come lo si era visto finora, bensì come elemento parte di un sistema fotovoltaico innovativo. L’OPV è una tecnologia che funziona in maniera simile a quelle tradizionali, tuttavia promuove una sostanziale differenza che risiede nella possibilità di catturare la radiazione luminosa incidente in qualsiasi direzione ed è in grado di produrre energia perfino con situazioni climatiche avverse come la nebbia.

Analisi di sei casi studio che mettono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE 131


CONCLUSIONI

LA SITUAZIONE DI UTILIZZO DELL’ETFE AL GIORNO D’OGGI E LE PROSPETTIVE FUTURE Il film di ETFE può essere considerato e soprattutto impiegato in ambito architettonico come una specie di pelle straordinariamente leggera, flessibile e resistente alle alte temperature. Queste caratteristiche, unite ad una trasparenza fuori dal comune e ad una durata di vita utile tendenzialmente superiore ai trent’anni, rendono l’ETFE un materiale unico e particolarmente adatto ad essere utilizzato per chiusure trasparenti di ogni genere. Nonostante le ampie prospettive d’impiego e la ricerca costante nel tentativo di produrre film sempre più efficienti, sia la tecnologia a cuscino sia il singolo strato di ETFE sono ancora sistemi costruttivi sotto utilizzati rispetto al loro valore reale e ai vantaggi che possono procurare. Questo probabilmente dipende dal fatto che il materiale é ancora poco conosciuto a livello globale, o meglio non sono del tutto chiare le molteplici applicazioni con cui si può presentare questa leggerissima membrana plastica trasparente. Il vetro, infatti, seppur meno performante sotto diversi punti di vista rispetto l’ETFE, continua ad essere il materiale prediletto dai progettisti per la realizzazione di chiusure trasparenti di una qualsivoglia natura. Da quando nel XVIII Secolo vennero prodotte le prime lastre di vetro, il genere umano fu sempre 132

più attratto dall’idea di realizzare spazi ed edifici molto più trasparenti e leggeri. Questa tendenza ha sicuramente raggiunto l’apice grazie ad edifici come il Crystal Palace di Paxton (1851, Inghilterra) ed é aumentata verso la fine del XIX Secolo, quando vennero perfezionati nuovi tipi di vetro che consentivano agli edifici di raggiungere altezze considerevoli. Tuttavia solo dopo la fine del secondo conflitto mondiale si ebbe una vera svolta in questa direzione. Durante gli anni sessanta, infatti, vennero ricavati i primi profili in alluminio estruso che, assieme all’invenzione del sistema a doppia lastra di vetro con camera d’aria interna, permisero di ricoprire il volume di interi edifici permanenti garantendo un ottimo isolamento. Questa tecnologia ha permesso lo sviluppo dei tipi di strutture che incontriamo oggi, come spazi aperti e luminosi adibiti ad atrio e intere strade concepite come shopping mall, luoghi in cui lo spazio “pubblico” esterno viene incorporato all’interno di quello “privato” e racchiuso dall’involucro dell’edificio. Il rivestimento degli edifici, inteso quindi come separazione più o meno marcata tra esterno e interno, ha acquisito sempre più valore nel corso dei decenni al punto da diventare oggetto di alcune proposte utopiche da parte di esponenti illustri del panorama architettonico del XX Secolo come Buckminster Fuller e Frei Otto.


Questi in particolar modo formularono diversi progetti con l’intento di mettere a punto delle vere e proprie città ricoperte da un involucro trasparente in grado di regolare il clima interno e liberare la popolazione dai rigori del clima. La prima proposta utopica, risalente al 1960, fu di B. Fuller ed era volta a rivestire la città di Manhattan, ripresa dieci anni più tardi da F. Otto e K. Tange con il progetto della città coperta nell’artico. Dopo la guerra si verificò un notevole sviluppo che portò alla luce nuove materie plastiche, tra cui il vinile, il policarbonato e gli acrilici. Questi materiali permisero la realizzazione di alcune delle prime visioni di questi autori, anche se la tecnologia implicata si rivelava sempre arretrata e non all’altezza, provocando spesso fallimenti legati agli spostamenti termici, alla fiammabilità e al degrado causato dai raggi UV. Si incominciò a produrre l’ETFE sotto forma di materiale da rivestimento solo verso la fine degli anni settanta. In principio il processo di produzione era molto complesso e il principale uso che ne veniva fatto era quello di semplice membrana tesa con larghezza limitata a 1,5 metri dalle dimensioni ridotte dei macchinari che ne compivano l’estrusione. Le primitive tecniche di impiego dell’ETFE, infatti, consistevano in un “fascio” di fogli tesi e sovrapposti a formare un unico strato resistente dalle misure simili a quelle delle lastre di vetro. “It was not until my partner Stefan Lehnert developed ways of welding these incredibly thin membranes together with a consistent quality of structural weld that did not compromise the strenght of the parent material that the technology could develop.” 20

Secondo quanto riportato dalla LeCuyer solo in un secondo momento fu possibile produrre film di spessori differenti senza compromettere la resistenza del foglio stesso una volta sottoposto a carichi estremi. Nonostante il sistema a cuscini (air filled cushion) composto da più strati di ETFE sia stato sperimentato verso la fine degli anni novanta, si é raggiunto un ottimo grado di conoscenza e di praticità solo agli inizi del XXI Secolo. I primi progetti con esito positivo furono gli interventi presso il Burgers’ Zoo che riguardarono il rifacimento delle coperture delle serre botaniche, tra cui la Mangrove Hall nel 1982. Le prime applicazioni dell’ETFE riguardarono edifici adibiti a funzioni botaniche e sfruttarono una delle principali caratteristiche di questo materiale, la straordinaria trasparenza. Si scoprì subito, infatti, che questo era ben più trasparente del vetro e di qualunque altra materia plastica conosciuta finora. Oltre ad una trasparenza media del 94% (che non scherma i raggi UV), l’ETFE possedeva innate proprietà isolanti derivate dalla presenza di legami covalenti carbonio-fluoro nella sua struttura molecolare. Queste proprietà permisero il rapido sviluppo del materiale e vennero presto prodotte numerose strutture natatorie e per attività del tempo libero in aggiunta alle serre. Entrambe le caratteristiche furono sfruttate al massimo nel Chelsea and Westminster Hospital di Londra (1990). In questo caso, infatti, l’edificio era articolato in modo innovativo attorno ad un atrio in ETFE che utilizzava l’energia ricavata dall’illuminazione solare per scaldare e raffreddare lo spazio coperto e concepiva il rivestimento trasparente come una barriera in grado di aumentare l’isolamento e massimizzare la ritenzione di calore. 133


Successivamente questa tecnologia venne impiegata e promossa in tutta Europa da un cospicuo numero di architetti destinato a crescere col trascorrere degli anni. Nel 2001 lo studio Grimshaw and Partners collaborò con la Vector Foiltec per costruire l’Eden Project, che più di ogni altro progetto fece conoscere l’ETFE a scala mondiale. Da quel momento in poi l’ETFE venne impiegato con maggior frequenza e per progetti di varia natura: dalle coperture di edifici industriali o commerciali agli involucri trasparenti di alcune ville francesi; dalle ambasciate di governi in territori stranieri ai rivestimenti di certi impianti sportivi. Questa evoluzione prese atto nel momento in cui si investì maggiormente nella produzione di materie plastiche innovative. Vennero installati nuovi macchinari ad alta tecnologia che poterono perfezionare le diverse fasi di produzione di materiali come l’etilene tetrafluoro-etilene e il politetrafluoro-etilene. Ciò permise di dar vita a membrane in ETFE di dimensioni ben maggiori rispetto a quelle utilizzate fino a quel momento, più flessibili e più resistenti alle azioni di strappo. Inoltre fu possibile aumentare la stabilità del sistema multistrato a cuscino tramite la messa a punto di tecniche per il ricambio d’aria più efficienti. Le nuove valvole consentivano, infatti, di operare il gonfiaggio e lo sgonfiaggio del cuscino in ETFE in maniera molto rapida e con un consumo di energia ridotto. Se si considera poi che l’ETFE, grazie alla sua flessibilità, alla leggerezza e alla trasparenza, é particolarmente adatto ad interagire con la maggior parte dei sistemi fotovoltaici esistenti, si può intuire il vantaggio economico e prestazionale che può derivare dal suo utilizzo. Strutture come il Water Cube di Pechino e il 134

Khan Shatyr Entertainment Center di Astana, progettato dallo studio di Norman Foster, sono due esempi di edifici nei quali l’involucro ricopre un ruolo molto importante dal punto di vista climatico, poiché allo stesso tempo racchiude ed isola la moltitudine di “micro-edifici” che stanno al suo interno. Questi due edifici, assieme all’Allianz Arena di Monaco, progettata da Herzog & De Meuron, e l’Eden Project di Cornovaglia, rappresentano alcuni dei più celebri esempi di rivestimenti totali in ETFE e dimostrano tutta l’efficienza di questo materiale e della tecnologia air filled cushion. Probabilmente é ancora troppo presto per dire con assoluta precisione se l’ETFE sia una tecnologia passeggera in grado di incantare i progettisti per un periodo di tempo limitato per poi scomparire e restare di nicchia, oppure se sia in grado di affermarsi e avere un ruolo di rilievo nello sviluppo delle architetture future. Ian Liddell, un esperto ingegnere del team di Buro Happold, di cui già si era parlato nel corso del primo capitolo, é stato una figura di riferimento nello sviluppo delle membrane tese e delle strutture a cuscino di ETFE, analizzando l’ascesa e la caduta delle principali tecnologie strutturali che si sono verificate negli anni in ambito architettonico. Studiò i gusci in calcestruzzo e le diverse articolazioni degli spazi degli anni sessanta, l’evoluzione delle membrane tessili tese e leggere degli anni settanta, per finire con l’invenzione dell’ETFE degli anni ottanta e indicò le percentuali di impiego di ognuna di queste. Al termine della sua ricerca, Liddell dichiarò proprio questo, ovvero che i tempi erano ancora prematuri per stabilire se l’ETFE avrebbe cambiato le regole dell’architettura o se sarebbe rimasta ai margini.


“It is yet undetermined whether ETFE will follow concrete shells and the like into architectural oblivion, or whether it will, like the curtain wall, become a dominant technology in the conception and cladding of buildings.” 21

Dall’operato di Liddell e della Vector Foiltec sono trascorsi alcuni anni e il numero di progetti che vantano l’impiego di rivestimenti in ETFE é cresciuto notevolmente rispetto ai primi anni del secolo corrente. Tuttavia non é ancora ben delineato il destino di questa tecnologia. Ciò che é certo resta l’aumento dei progetti in ETFE orientati verso l’orizzonte della sostenibilità, caratterizzati per lo più dalle strutture volte ad ospitare attività sportive. Gli impianti sportivi legati al football americano e inglese assieme ai centri natatori sono i progetti nei quali l’uso dell’ETFE é diventato una costante negli ultimi cinque anni e sono in programma molti altri progetti da realizzare nell’imminente futuro. Il Nou Camp Nou (2018) di Barcellona ideato da Bjarke Ingels Group e BAAS così come il nuovo White Hart Lane di Londra ad opera di Populous sono solo i primi di una lunga serie di progetti per strutture sportive cha hanno come obiettivo la sostenibilità e la cura dell’ambiente oltre ad alte prestazioni e confort che rendano unico il tempo legato agli spettacoli sportivi che sono destinati ad ospitare. Dalla mia ricerca risulta, infatti, che l’ETFE e il PTFE espanso siano i due materiali più utilizzati per la realizzazione dei rivestimenti trasparenti (o semitrasparenti) degli impianti sportivi dell’ultimo decennio. Tuttavia, non volendosi basare solamente sui dati relativi all’incremento di edifici che vantano

l’impiego di film in ETFE, può essere utile, ai fini di una ipotesi sufficientemente ragionata sul futuro dell’ETFE, esaminare i caratteri che stanno dettando lo sviluppo dell’architettura contemporanea e confrontarli con le reali qualità del materiale in questione. I seguenti sono i principali canoni che influenzano l’evoluzione e i cambiamenti dell’architettura dei giorni nostri: la riduzione dei costi di costruzione e di mantenimento, il miglioramento delle performance a lungo termine, un ridotto uso di energia e la riciclabilità. Questi sono tutti i fattori che influenzano maggiormente l’architettura contemporanea e determinano quindi il successo o il fallimento di una tecnologia. L’utilizzo dell’ETFE soddisfa tutti questi fattori e in alcuni casi dimostra per fino di eccellere. Questa tecnologia infatti, é decisamente economica, se utilizzata in modo appropriato, può durare molto più a lungo di altri materiali di natura plastica e conservare le proprie caratteristiche inalterate per alcuni decenni. Al raggiungimento del termine del ciclo di vita dell’edificio, l’ETFE può essere tranquillamente riciclato e/o riutilizzato. Inoltre la sua ineguagliabile leggerezza consente di di dar vita a involucri sostenuti da un minor numero di elementi strutturali, il che favorisce il raggiungimento dell’efficienza. Questa tecnologia, infatti, si basa su un’idea semplice: utilizzare l’aria per originare un sistema di rivestimento composto da due o più membrane trasparenti. Tale sistema non lavora di forza, aggiungendo materiale, al contrario, fornisce la massima sicurezza e stabilità possibili attraverso elasticità e plasticità per assorbire, distribuire e dissipare i carichi, piuttosto che “combatterli”. A maggior ragione questa tecnologia é stata messa a punto affinché cambiasse facilmente la propria morfologia per rispondere in maniera 135


ideale e ottimale alla natura di qualsiasi carico agisse su di essa. Le tecnologie costruttive tradizionali trattengono il movimento naturale del rivestimento e tendono a concentrare i carichi in certi punti specifici laddove sono necessari degli appositi nodi. L’ETFE, invece, sfrutta il movimento elastico di cui é dotato per assorbire e distribuire il carico in maniera omogenea lungo tutto il rivestimento, piuttosto che concentrarlo in corrispondenza delle intersezioni. Le tecnologie costruttive tradizionali inoltre aggiungono materiale per diminuire la flessione della struttura. I cuscini di ETFE, invece, assorbono la flessione tramite l’aria pressurizzata al loro interno, riducendo il deterioramento del materiale e sfruttando filosofie ingegneristiche totalmente differenti da quelle comuni. Le tecnologie costruttive tradizionali in più di un equipaggiamento meccanico particolare per prevenire il rischio di incendio e la conseguente emissione di gas nocivi dal rivestimento di un edificio di ampio volume. I cuscini in ETFE, invece, sono autoestinguenti e in caso di incendio rispondono mediante l’auto-ventilazione e tagliando lo strato esterno per far fuoriuscire il gas. L’ETFE agisce in maniera efficiente manipolando le forze naturali. Può cambiare trasmissione della luce così come le proprietà isolanti qualora fosse richiesto un minor consumo di energia e contribuire in maniera sostanziale alla sostenibilità dell’intero edificio. La questione ora sembra non sia più se il rivestimento composto da cuscini di ETFE sia destinato a superare la moda temporanea e passeggere dello stile architettonico, quanto piuttosto se questa tecnologia sia ambasciatore e pioniere di un gruppo di tecnologie costruttive che lavo136

rano nel rispetto della natura e non sottomettendola, mirando a raggiungere benefici per l’intera umanità. Non sembra ancora possibile quindi predire se l’ETFE supererà la moda di un periodo architettonico e guadagnerà consensi che gli permetteranno di porsi come simbolo di una nuova era volta a costruire in maniera efficiente e preventiva nei confronti dell’ambiente. Occorre altro tempo, altre sperimentazioni e altre ricerche per poter stabilire con maggior precisione quale sia il suo futuro. Tuttavia é possibile affermare già da ora che la tecnologia basata su cuscini di ETFE é estremamente performante, mantiene elevate prestazioni fino ai trent’anni di vita (o forse oltre) e l’unico difetto che possiede, dal punto di vista acustico, può essere per ora risolto con specifiche mesh che aiutano ad assorbire i rumori. L’ETFE é quindi a tutti gli effetti un materiale efficiente e questa tecnologia può consentire di esplorare nuovi orizzonti sostenibili impensabili attraverso le tecnologie costruttive tradizionali. Per cui non é possibile conoscere a priori il futuro di questa tecnologia, ma sicuramente sarà rivolto al rispetto dell’ambiente e ad un funzionamento complice della natura e delle sue risorse.


PHOTO CREDITS Indagine sul percorso storico che ha portato alla nascita dell’ETFE

il film di sapone da parte di Frei Otto. Fonte: Materialpraxis

1.1 - Il contributo di R. Buckminster Fuller e Frei Otto al concetto di aria come materiale da costruzione

Figura 13 - Immagine del dettaglio della copertura dello stadio olimpico di Monaco progettato da F. Otto e Behnisch. Fonte: Atribune

Figura 1 - Ridisegno di un generico schema planimetrico di una DDU (Dymaxion Deploiment Unit) progettato da Buckminster Fuller. Fonte: Dymaxion Artifacts Figura 2 - Immagine di una DDU ricostruita nell’Haynes Point Park (USA). Fonte: Buckminster Fuller Institute Figura 3 - Immagine della Wichita House progettata da Buckminster Fuller e realizzata nel 1948. Fonte: Buckminster Fuller Institute Figura 4 - Immagine della Dymaxion House progettata da Buckminster Fuller nel 1927. Fonte: Buckminster Fuller Institute Figura 5 - Ridisegno della planimetria e del prospetto della Dymaxion House. Fonte: Dymaxion Artifacts Figura 6 - Fuller assieme ai suoi studenti mentre testa la resistenza di una struttura geodesica. Fonte: Buckminster Fuller Institute Figura 7 - Fuller assieme ai suoi studenti mentre costruisce una delle Instant Dome. Fonte: Buckminster Fuller Institute Figura 8 - Buckminster Fuller mentre testa una delle strutture geodesiche chiamate Garden of Eden. Fonte: Buckminster Fuller Institute Figura 9 - Buckminster Fuller, la Dymaxion Car e la Fly’s Eye Dome. Fonte: Buckminster Fuller Institute Figura 10 - Riproduzione del progetto della Manhattan Dome proposto da Fuller nel 1960. Fonte: St. Louis Post Dispatch, art. 26.09.1965 Figura 11 - Riproduzione di un immagine di Manhattan ricoperta dalla cupola di Fuller. Fonte: St. Louis Post Dispatch, art. 26.09.1965 Figura 12 a.b.c.d - Schizzi e fotografie dei tentativi di riprodurre

Figura 14 - Immagine dello stadio olimpico di Monaco progettato da F. Otto e Behnisch. Fonte: Atribune Figura 15 - Alcuni test condotti da F. Otto e il suo team. Fonte: Pinterest, Frei Otto Figura 16 - Frei Otto e il plastico del progetto per la città coperta nell’artico, 1971. Fonte: Pinterest, Frei Otto 1.2 - Il processo di avanzamento delle pressostrutture Figura 17 - Immagine della prima antenna radar progettata da Walter Bird. Fonte: FabricatedSystems Figura 18 - Immagine del Boston Arts Center Theater in costruzione. Fonte: Pinterest, Walter Bird Figura 19 - Immagine del Boston Arts Center Theater a costruzone ultimata. Fonte: Pinterest, Walter Bird Figura 20 - Immagine di una delle piscine air-supported realizzate da Bird e pubblicizzate dalla rivista ‘Life’. Fonte: Pinterest, Walter Bird Figura 21 - Dettaglio dell’involucro della piscina progettata da Bird. Fonte: Pinterest, Walter Bird Figura 22 a.b.c - Alcune immagini del padiglione della US Atomic Energy. Fonte: Architectural Forum Figura 22 d - Il processo di inflazione dell’aria per gonfiare il padiglione della US Atomic Energy. Fonte: ETFE: technology and design (A. LeCuyer) Figura 23 - Il satellite Echo I della NASA. Fonte: Pinterest, Walter Bird Figura 24 - Il progetto Cuschicle del gruppo Archigram in fase


di gonfiaggio. Fonte: Grossnational

coperta dell’artico, progettata dal team di Buro Happold. Fonte: ETFE: technology and design (A. LeCuyer)

Figura 25 - Il progetto Cuschicle del gruppo Archigram completamente gonfio. Fonte: Pinterest

Figura 38 - La planimetria della città coperta nell’artico secondo il progetto di Buro Happold. Fonte: ETFE: technology and design (A. LeCuyer)

Figura 26 - Il progetto Oasis 7 di Haus Rucker Co. al Victoria and Albert Museum. Fonte: ETFE: technology and design (A. LeCuyer)

Figura 39 - Immagine aerea del Chelsea and Westminster Hospital dopo l’intervento di Buro Happold. Fonte: Vector Foiltec

Figura 27 - Immagine del Festival Plaza progettato da Kenzo Tange per l’Expo di Osaka 1970. Fonte: ExpoArchitecture

Figura 40 - Immagine interna della copertura del Chelsea and Westminster Hospital dopo l’intervento di Buro Happold. Fonte: Vector Foiltec

Figura 28 - Immagine del plastico del Festival Plaza. Fonte: Pinterest

Figura 41 a.b - Immagine della copertura dell’Hampshire Tennis and Healt Club dopo l’intervento di Buro Happold. Fonte: Vector Foiltec

Figura 29 a.b - Ridisegno del dettaglio della copertura del Festival Plaza progettato da Kenzo Tange. Fonte: Pinterest Figura 30 - Dettaglio della copertura del Padiglione degli Stati Uniti all’Expo di Osaka. Fonte: ExpoArchitecture

ETFE: la pelle performante 2.1 - Le diverse fasi di lavorazione che caratterizzano la produzione dell’ETFE

Figura 31 - Immagine aerea del Padiglione degli Stati Uniti dell’Expo di Osaka. Fonte: Architetturatessile.polimi

Tabella1 - La tabella riporta le fasi di lavorazione dell’ETFE confrontate con quelle dei materiali tessili. Fonte: Architettura Tessile (di A. Campioli e A. Zanelli)

Figura 32 - Dettaglio della struttura e della copertura del Padiglione degli Stati Uniti all’Expo di Osaka. Fonte: Pinterest

Figura 42 - Immagine di un macchinario atto a svolgere l’estrusione del film di ETFE. Fonte: P.A.T.I. Films S.p.a

Figura 33 a.b.c.d - Immagini relative alla prima realizzazione della copertura della Pontiac Silverdome e il primo collasso. Fonte: ETFE: technology and design (A. LeCuyer)

Figura 43 - La fase di rilievo della stampa sul singolo layer di ETFE. Fonte: Vector Foiltec

Figura 34 - Immagine del secondo collasso della copertura della Pontiac Silverdome e conseguente abbandono della struttura. Fonte: Detroitstock-photos

Figura 44 - Il taglio di un film di ETFE tramite macchina a laser. Fonte: Vector Foiltec

Figura 35 - Immagine dell’ultima ricostruzione della copertura della Pontiac Silverdome. Fonte: Detroitstock-photos Figura 36 - Immagine degli uffici temporanei per la Computer Technology Ltd. di Norman Foster. Fonte: ETFE: technology and design (A. LeCuyer) 1.3 - Lo sviluppo dei primi involucri in ETFE Figura 37 - Immagine del plastico di 58 Degrees North, la città

Figura 45 - I fogli di ETFE vengono arrotolati e catalogati in base alle proprietà. Fonte: Vector Foiltec Figura 46 - Il taglio a mano di diversi strati di ETFE. Fonte: Vector Foiltec Figura 47 - L’applicazione delle stampe sugli strati di ETFE. Fonte: Vector Foiltec Figura 48 - Immagine interna della copertura serigrafata dei Festo Headquarters. Fonte: Vector Foiltec


Figura 49 - Ridisegno del dettaglio riguardante la schermatura dinamica di un singolo cuscino della copertura dei Festo Headquarters. Fonte: ETFE: technology and design (A. LeCuyer) 2.2 - Le potenzialità dell’ETFE in ambito architettonico: vantaggi e possibili miglioramenti Figura 50 - Il grafico indica la reazione al fuoco dell’ETFE e lo mette a confronto con gli altri materiali concorrenti. Fonte: Du Pont (ETFE film properties) Figura 51 - Immagine della Mangrove Hall dello zoo di Arnhem. Fonte: Vector Foiltec Figura 52 - Il grafico indica la trasmissione della luce naturale dell’ETFE e lo mette a confronto con gli altri materiali concorrenti. Fonte: ETFE: technology and design (A. LeCuyer) Figura 53 - Dettaglio della copertura in ETFE colorato della stazione dei treni di Lodz. Fonte: Maffeis Engineering Figura 54 - Immagine della copertura a singolo strato di ETFE del Ruhr Park di Bochum. Fonte: Birdair Figura 55 - I diversi tipi di pattern con i quali possono essere realizzate le stampe da sovrapporre agli strati di ETFE come schermature. Fonte: Birdair

Fonte: ETFE: technology and design (A. LeCuyer) Figura 62 a.b - Dettaglio della copertura doppiostrato del Central St. Martins College of Art and Design. Fonte: Vector Foiltec Figura 63 - Il grafico indica il comportamento dell’ETFE mettendo in relazione robustezza e allungamento. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler) Figura 64 - Il grafico indica il comportamento dell’ETFE mettendo in relazione sforzo e allungamento. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler) Figura 65 - Il grafico indica il risultato dei test biassiali con carico longitudinale e trasversale ai quali é stato sottoposto il film di ETFE. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler) Figura 66 - Il grafico indica il comportamento dell’ETFE mettendo in relazione sforzo e allungamento con carichi trasversali e longitudinali alla temperatura di -25°C. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler) Figura 67 - Il grafico indica il comportamento dell’ETFE mettendo in relazione allungamento e tempo. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler)

Figura 56 a.b.c - Immagini della copertura multistrato del AVM Carport di Monaco con pannelli solari integrati. Fonte: Ackermann-ingenieure

Figura 68 - Il grafico indica il comportamento dell’ETFE mettendo in relazione sforzo e allungamento con carichi trasversali e longitudinali alla temperatura di -35°C. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler)

Figura 57 - Il grafico indica la trasmittanza di un film in ETFE bianco e trasparente in funzione della lunghezza d’onda. Fonte: Vector Foiltec

Figura 69 - Il grafico indica il peso di un singolo strato di ETFE e lo mette a confronto con gli altri materiali concorrenti. Fonte: Architettura Tessile (di A. Campioli e A. Zanelli)

Figura 58 - Il grafico indica la trasmittanza di un film in ETFE colorato in funzione della lunghezza d’onda. Fonte: Vector Foiltec

Figura 70 - Il grafico indica il comportamento dell’ETFE quando sottoposto a forti rumori e con l’aggiunta di due tipi di Rain Suppression Mesh. Fonte: Construction Manual for Polymers and Membranes (di J. Knippers, J. Cremers, M. Gabler)

Figura 60 - Dettaglio di una generica valvola di drenaggio per il ricambio della camera d’aria di un cuscino. Fonte: Taiyo Europe, Mak Max Figura 61 - Disegno di un generico cuscino doppiostrato di ETFE che mostra il processo di inflazione dell’aria all’interno della camera d’aria tramite l’utilizzo delle valvole.

Figura 71 - Immagine della trama di una Rain Suppression Mesh. Fonte: Taiyo Europe Figura 72 - Il grafico indica il periodo di vita di un singolo strato


di ETFE e lo mette a confronto con i materiali concorrenti. Fonte: Architettura Tessile (di A. Campioli e A. Zanelli) Figura 73 - Il grafico indica il costo di un singolo strato di ETFE e lo mette a confronto con i materiali concorrenti. Fonte: Architettura Tessile (di A. Campioli e A. Zanelli) Figura 74 - l’Allianz Arena di Herzog & De Meuron. Fonte: Architettura Tessile (di A. Campioli e A. Zanelli) Figura 75 - Il grafico indica il costo di un singolo strato di ETFE e lo mette a confronto con i materiali concorrenti. Fonte: heliflieger.com Figura 76 - Il National Aquatics Center di Pechino. Fonte: wikipedia.org

Cultural & Residential Centre - Fonte: MakMax Slovenska Sporitelna Headquarters - Fonte: Hightex GmbH Carnival UK Headquarters - Fonte: Hightex GmbH National Stadium - Fonte: gamurs.com National acquatic centre - Fonte: Vector Foiltec Erlenbiswelt Zoo - Fonte: Vector Foiltec Dolce vita shopping centre - Fonte: Hightex GmbH Uniqlo Shisaibashi - Fonte: commons wikimedia.com Hethrow Terminal 4 - Fonte: heathrow.com

Figura 77 - Khan Shatyr Entertainment Centre di N. Foster. Fonte: fosterandpartners.com

Unilever Headquarters - Fonte: Behnisch Architekten

Cronologia ragionata dei principali progetti in ETFE

Entertainment Centre - Fonte: Vector Foiltec

In ordine cronologico:

Siam Discovery - Fonte: insideretail.asia

Waterworks Pavilion - Fonte: detail-online.com

Waitomo Caves - Fonte: e-architect.co.uk

Cyclebowl Pavilion - Fonte: Atelier Brueckner.de

Palazzo della Regione - Fonte: it.wikipedia.org

National Space Center - Fonte: reviewordpress.com

Khan Shatyr Entertainment Center - Fonte: fosterandpartners

Eden Project - Fonte: eden project.com

Eden Park - Fonte: MakMax

Festo Headquarters - Fonte: pinterest

Aviva Stadium - Fonte: skyscrapercity.com

Gerontology Centre - Fonte: kochmembranen.com

BC Place Stadium - Fonte: fabritecstructures.com

TUM, Monaco University - Fonte: mapperproject.eu

Clarence Integrated Care Centre - Fonte: Birdair

Allianz Arena - Fonte: heliflieger.com

Protea Court in Sandton City - Fonte: Vector Foiltec

Classic Remise - Fonte: Archiexpo.com

AWM Carport - Fonte: Taiyo Europe

Library of Humboldt University - Fonte: Hu-Berlin

Institute of Technical Education - Fonte: Taiyo Europe

Southern Cross Station - Fonte: daviddexter.co.uk

River Culture Theater Pavilion - Fonte: Taiyo Europe

Shopping CitĂŠ - Fonte: Vector Foiltec

Orto botanico- Fonte: ortobotanicopd.it

11 March Memorial - Fonte: e-architect.co.uk

Coca-Cola Beatbox - Fonte: Asif Khan

Archibald V Hill Building - Fonte: Vector Foiltec

The lakes and the avenues - Fonte: Vector Foiltec

Flon Building - Fonte: Archiexpo.com

Ruhr Park - Fonte: konstruct AG

Yapi Kredi Banking Academy - Fonte: design.office


Centre park Vergeres de la Plane - Fonte: SCAU

Center Parc le bois aux daims - Fonte: Taiyo Europe

Grand Stade Le Havre - Fonte: SCAU

Victoria Station - Fonte: Network.co.uk

Olympic Stadium - Fonte: Bergermann und partner

German Pavilion - Fonte: Schmidhuber

Chioschi della stazione Centrale - Fonte: Taiyo Europe

Mexican Pavilion - Fonte: inhabitat

Huangting SHopping Mall - Fonte: Birdair KCC Mall - Fonte: Vector Foiltec

Nou Camp Nou - Fonte: gazzetta.it

Yonkers Raceway Casino - Fonte: Studio V Architecture Bus Terminal - Fonte: architizer SSE Hydro Arena - Fonte: fosterandpartners Fisht Olympic Stadium - Fonte: dauntlessjaunter.com

Embassy of the US - Fonte: Birdair New White Hart Lane - Fonte: telegraph.co.uk Nuovo stadio della Roma - Fonte: Thorton Tomasetti Khalifa International Stadium - Fonte: designboom.com

Dalian Sports Center Stadium - Fonte: Ove Arup

Analisi di cinque casi studio che emttono in luce i vantaggi derivati dall’impiego dell’ETFE

Itaipava Arena Pernambuco - Fonte: skyscrapercity.com

4.1 - Eden Project

Tram Station - Fonte: commons wikimedia.com

Figura 78 - Immagine dell’Eden Project da sud. Fonte: Architecture of the Eden Project

Canopies of Sembrance Hospital - Fonte: Birdair Akter Galaxy Apartment Hotel - Fonte: maffeis engineering Sports Center - Fonte: Birdair Allianz Riviera Stadium - Fonte: Archiexpo.com A.R.T.I.C. - Fonte: HOK International National Stadium - Fonte: Vector Foiltec Arenas das Dunas - Fonte: Populous New San Mamés - Fonte: IDOM Estadio Cuauthemoc - Fonte: dunn-Iwa.com Hazza Bin Zayed Stadium - Fonte: aasarchitecture.com US Bank Stadium - Fonte: vikings.com Baku Olympic Stadium - Fonte: Heerim architects Huafa Metro Atrium - Fonte: Birdair

Figura 79 - Planimetria dell’Eden Project di Grimshaw and Partners. Fonte: ETFE: technology and design (A. LeCuyer) Figura 80 - Un colloquio tra Sir Grimshaw e B. Fuller. Fonte: Pinterest Figura 81 - Fuller e la sua Montreal Biosphere in Canada. Fonte: Pinterest Figura 82 - Immagine del luogo di progetto prima dell’intervento di Grimshaw. Fonte: Architecture of the Eden Project Figura 83 - La fase di costruzione dell’involucro in ETFE. Fonte: Grimshaw-architects Figura 84 - Dettaglio di un generico nodo in assonometria. Fonte: ETFE: technology and design (A. LeCuyer) Figura 85 - Immagine dei biomi situati a nord con dettaglio delle giunzioni. Fonte: Thegreenrevolution

Wind Eaves - Fonte: designboom.com

Figura 86 - Immagine aerea di Eden Project. Fonte: Grimshaw-architects

Serpentine Pavilion 2015 - Fonte: dezeen

Figura 87 - Immagine della Canopy Walkway.


Fonte: e-architect Figura 88 - Vista interna del Rainforest Biome. Fonte: Pinterest Figura 89 - Vista interna del Mediterranean Biome. Fonte: Architecture of the Eden Project 4.2 - Southern Cross Station Figura 90 - Immagine interna dell’edificio in prossimità del fronte nord. Fonte: Mel365 Figura 91 - Ortofoto del progetto e del contesto. Fonte: Google Earth Figura 92 - Immagine aerea dell’edificio e del contesto. Fonte: mapio Figura 93 - Immagine del progetto di Grimshaw dall’incrocio tra Spencer Street e St. Collins Street. Fonte: MelbourneDaily Figura 94 - Vista aerea della copertura. Fonte: Grimshaw-architects

Figura 103 - Dettaglio delle vele in ETFE che compongono la facciata. Fonte: ACXT, IDOM Figura 104 - Dettaglio della facciata. Fonte: ACXT, IDOM Figura 105 a.b - Dettaglio del progetto delle vele in ETFE in pianta e in alzato frontale. Fonte: ACXT, IDOM Figura 106 - Planimetria della copertura. Fonte: ACXT, IDOM Figura 107 - Dettaglio della struttura reticolare che compone la copertura e dei cuscini in ETFE. Fonte: Estadio San Mamés Figura 108 a.b - Dettaglio di una delle travi della copertura e tabella riguardante la pressione dei cuscini in ETFE. Fonte: ACXT, IDOM Figura 109 - Vista interna complessiva dell’impianto. Fonte: Estadio San Mamés 4.4 - Coca-Cola Beatbox Pavilion

Figura 95 - Dettaglio dell’ETFE impiegato in copertura. Fonte: Grimshaw-architects

Figura 110 - Immagine complessiva del padiglione. Fonte: Asif Khan

Figura 96 - Vista interna della copertura. Fonte: Grimshaw-architects

Figura 111 - Ortofoto dell’Olympic Park di Londra. Fonte: Google Earth

Figura 97 - Alcuni disegni dallo sketchbook di Grimshaw. Fonte: Pinterest

Figura 112 - Immagine del padiglione in costruzione. Fonte: bdonline

Figura 98 - Dettaglio dell’attacco dei cuscini in ETFE al supporto in alluminio e la struttura tubolare in acciaio. Fonte: Architen Landrell

Figura 113 - Dettaglio dei pannelli in ETFE all’ingresso della rampa per la salita. Fonte: Detail online

4.3 - San Mamés Barria Stadium

Figura 114 - Dettaglio di alcuni pannelli in ETFE incastrati. Fonte: Divisare

Figura 99 - Immagine del San Mamés dalla riva del fiume. Fonte: Rubenpb Figura 100 - Planimetria del San Mamès e del contesto. Fonte: ACXT, IDOM

Figura 115 - Immagine notturna del padiglione illuminato. Fonte: Divisare 4.5 - Serpentine Pavilion (2015)

Figura 101 a.b.c - Le tre fasi di costruzione del San Mamés. Fonte: ACXT, IDOM

Figura 116 - Immagine esplicativa del Padiglione. Fonte: Serpentine Galleries

Figura 102 - Immagine notturna del San Mamés illuminato dai led. Fonte: ACXT, IDOM

Figura 117 - Pianta e plastico del Padiglione. Fonte: Dezeen


Figura 118 - La collocazione del Serpentine Pavilion rispetto la città di Londra e l’Hyde Park. Fonte: mapping.cityofondon.gov.uk Figura 119 - Immagine del Padiglione da nord. Fonte: Dezeen Figura 120 - Immagine aerea. Fonte: Serpentine Galleries Figura 121 - Immagine interna. Fonte: Dezeen Figura 122 - Vista sulla Serpentine Gallery dall’interno. Fonte: Detail online Figura 123 - Immagine della caffetteria. Fonte: Dezeen Figura 124 - Immagine di uno dei corridoi perimetrali. Fonte: Inhabitat Figura 125 - Immagine di un ingresso con ETFE traslucido. Fonte: Inhabitat 4.6 - German Pavilion at Expo 2015 Figura 126 - Veduta di una parte del padiglione Germania. . Fonte: Schmidhuber Figura 127 - Plastico del padiglione Germania. Fonte: Schmidhuber Figura 128 - Il padiglione collocato nel sito di Expo Milano 2015. Fonte: Building the Expo Figura 129 - Planimetria, alzato e sezione del padiglione. Fonte: Schmidhuber Figura 130 - Dettaglio della struttura di un albero artificiale. Fonte: Schmidhuber

Citazioni 1 (pp 12) - tratta da “Your Private Sky, R. Buckminster Fuller: The Art of Design Science”; R. Buckminster Fuller; Lars Muller Publishers; series editor J. Krausse, C. Lichtenstein; 1999; cap 4 Dymaxion House, pp 135. 2 (pp 15) - tratta da “Your Private Sky, R. Buckminster Fuller: The Art of Design Science”; R. Buckminster Fuller; Lars Muller Publishers; series editor J. Krausse, C. Lichtenstein; 1999; cap 17 Garden of Eden, pp 412. 3 (pp 15) - tratta da “The Case for a Domed City”; R. Buckminster Fuller; St. Louis Post-Dispatch (26 September 1965); pp 39. 4 (pp 16-17) - tratta da “The Case for a Domed City”; R. Buckminster Fuller; St. Louis Post-Dispatch (26 September 1965); pp 40. 5 (pp 17) - tratta da “Frei Otto e la costruzione leggera”; su Domus 886/Novembre 2005; a cura di A. Ferraro. 6 (pp 18) - tratta da “Frei Otto e la costruzione leggera”; su Domus 886/Novembre 2005; a cura di A. Ferraro. 7 (pp 18) - tratta da “Frei Otto e la costruzione leggera”; su Domus 886/Novembre 2005; a cura di A. Ferraro. 8 (pp 27) - tratta da “ETFE: Technology and Design”; A. Le Cuyer; cap 2 The Pneumatic Imagination_Architectural Ideas and Applications; pp 27. 9 (pp 29) - tratta da “ETFE: Technology and Design”; A. Le Cuyer; cap 1 Sustaining New Technologies, di I. Liddell; pp 7. 10 (pp 31) - tratta da “ETFE: Technology and Design”; A. Le Cuyer; cap 1 Sustaining New Technologies, di I. Liddell; pp 7.

Figura 131 - .Percorso esterno e alberi artificiali in sequenza. Fonte: Divisare

11 (pp 34) - tratta da “ETFE: Technology and Design”; A. Le Cuyer; cap 1 Sustaining New Technologies, di I. Liddell; pp 9.

Figura 132 - I pannelli OPV in cima agli alberi artificiali. Fonte: Schmidhuber

12 (pp 72) - tratta da “Eden Project/Story/Architecture at Eden”; T. Smith, cofondatore del progetto.

Figura 133 - Dettaglio della maglia metallica con OPV e ETFE. Fonte: Solarte

13 (pp 98) - tratta da “New San Mamès Stadium”; idom. ACXT; pp 57.

Figura 134 - Veduta di un albero artificiale contornato dai fiori. Fonte: ExpoMilano2015

14 (pp 100) - tratta da “New San Mamès Stadium”; idom. ACXT; pp 16.


15 (pp 111) - tratta da “Domus 960/Luglio 2012”; B. Galilee; pp 54.

BIBLIOGRAFIA

16 (pp 111) - tratta da “Domus 960/Luglio 2012”; B. Galilee; pp 54. 17 (pp 116-117) - tratta da “Serpentine Galleries/Pavilion 2015/SelgasCano”. 18 (pp 118) - tratta da “Serpentine Galleries/Pavilion 2015/SelgasCano”. 19 (pp 129) - tratta da “Schmidhuber/project/German Pavilion Expo Milan 2015”.

Libri in ordine cronologico - “Nine Chains to the Moon”; R. Buckminster Fuller; Carbondale: Southern Illinois University Press; 1971.

20 (pp 131) - tratta da “ETFE: Technology and Design”; A. Le Cuyer; cap 12 ETFE Futures, di B. Morris; pp 146.

- “Your Private Sky, R. Buckminster Fuller: The Art of Design Science”; R. Buckminster Fuller; Lars Muller Publishers; series editor J. Krausse, C. Lichtenstein; 1999.

21 (pp 133) - tratta da “ETFE: Technology and Design”; A. Le Cuyer; cap 12 ETFE Futures, di B. Morris; pp 146.

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Ringrazio di cuore: i gentilissimi idom e Cèsar Azcà rate per il materiale concessomi, la prof.ssa Alessandra Zanelli per avermi dato la possibilità di sostenere la mia ricerca, la mia famiglia per essermi sempre vicina, i miei amici per il loro sostegno costante.



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