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VacuaMoenia. Deriva di spazio e di suono, intervista di Gaia Palombo
from IL MURO 17
by IL MURO
VACUAMOENIA // DERIVA DI SPAZIO E DI SUONO Intervista a cura di Gaia Palombo
VacuaMoenia, mura vuote, è il progetto che mette all’unisono il lavoro di due ricercatori siciliani di origine e cosmopoliti nel pensiero: Fabio R. Lattuca – musicologo e ricercatore di Storia della Sicilia del primo Novecento, laureato con una tesi intitolata “Paesaggio sonoro e nuovi media” – e Pietro Bonanno -compositore elettroacustico e sound designer. La centralità delle nuove tecnologie nel loro progetto facilita l’aspetto dell’acquisizione documentaria audiovisiva e va di pari passo con la ricerca storica, con il bisogno di cercare negli archivi per mettere ordine nel presente e trovare il significato degli eventi attraverso la pratica dell’ascoltare. Importante in questo bilanciamento tra storia e contemporaneità è la documentazione sonora che hanno raccolto in questi anni esplorando i Borghi rurali di fondazione in Sicilia. Forti di un continuo bisogno di ricerca il duo VacuaMoenia, inoltre, spesso realizza open call aperte a compositori, musicisti, field recordist, ricercatori acusmatici e del sound scape. L’ultima si intitola Deriva e vi si può partecipare fino al 31 dicembre (www.vacuamoenia.net/it/ evento/deriva-opencall/). Di tutto questo – e di molto altro – abbiamo parlato in questa splendida intervista
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VacuaMoenia è sicuramente un titolo significativo. Qual è la sua origine?
Quando abbiamo deciso iniziare questo percorso, il nome che avevamo in mente, e che potesse esprimere brevemente la nostra idea, doveva comunicare il senso del vuoto. Così pensammo a vacuum che però non era ancora sufficiente. Infatti sentivamo l’esigenza di coniugare l’idea pura di vuoto con quella materica di un qualcosa che la contenesse. Non un’idea statica, insomma, ma dinamica. Addirittura percepibile. Così abbiamo inserito moenia, mura, intendendo per mura quelle che esploriamo attraverso i Borghi e che sono testimoni di una transizione da una condizione antropologica ad un’altra – solo apparentemente dall’essere vissuti all’essere abbandonati. Alla fine, infatti, entrambe le condizioni sono solo transitorie: chi decide da quale punto partire e in quale punto finire nel raccontare la storia di un luogo? Il vuoto delle mura è un vuoto tangibile. La mancanza, l’abbandono, e allo stesso tempo la lenta degradazione dei materiali è come se testimoniassero qualcosa che non c’è. In realtà siamo noi a riempire i luoghi attraverso il significato. Quindi le mura sono vuote solo momentaneamente prima di essere riempite da una visione.
Gli studi sul paesaggio sonoro si fondano su numerose teorie nate a partire dalla fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta. Qual è il vostro pilastro teorico in merito?
Abbiamo sposato di R. Murray Schaffer la sua intenzione di studiare il Paesaggio Sonoro attraverso differenti lenti, come quelle della letteratura o della geografia, e infatti il nostro contatto con altri campi del sapere è alimentato continuamente. Alla stessa maniera cerchiamo il più possibile di porci domande riguardo la classificazione e la comprensione del paesaggio sonoro in cui siamo immersi, perchè non diventi un elemento distratto del nostro vivere. Di Barry Truax amiamo la contaminazione e la profondità tecnologica, infatti, come nel caso del WSP, non separiamo tecnologia da teoria – separazione che continua a persistere in Italia – ma un mezzo aiuta l’altro: un microfono e un registratore hanno la stessa importanza di una ricerca di archivio o di una soundwalk, lo studio della composizione e della forma ha la stessa validità dell’esplorazione sul territorio. E’ con Hildegard Westerkamp e le sue ricerche che abbiamo affrontato l’aspetto più situazionista, o, quanto meno, esperienziale legato, appunto, alle passeggiate
Borgo Santa Rita. Courtesy VacuaMoenia
sonore. Indubbiamente questo mezzo è fondamentale per prendere consapevolezza dell’ambiente che ci circonda. In sintesi non abbiamo un pilastro teorico specifico – e soprattutto nel caso di Truax e Westerkamp abbiamo avuto diversi contatti che hanno arricchito la nostra ricerca, ma cerchiamo di continuare quello spirito, ovviamente con le dovute differenze.
La realizzazione della mappatura dei Borghi siciliani abbandonati è costata un grande lavoro sugli archivi. Ci raccontate gli intenti e le fasi di questo ambizioso progetto di catalogazione?
Inizialmente, ci siamo trovati davanti a qualcosa che non conoscevamo. I borghi, le case coloniche, la storia d’Italia, l’intervento dello Stato, le vite dei contadini, il motivo per cui fosse arrivato l’abbandono.
È scattata in noi la domanda classica: perché tutto questo? Da li è iniziata la ricerca nei vari archivi pubblici e privati. Spesso abbiamo incontrato la disponibilità delle persone in altri casi, va detto, i tempi e i percorsi sono lunghi ed a volte non hanno dato i risultati sperati. Altre volte è stato emozionante prendere in mano faldoni che per quasi un secolo non venivano aperti.I borghi di cui ci occupiamo, che vanno oltre il Ventennio per arrivare agli inizi degli anni ’60, hanno delle storie molto diverse gli uni con gli altri. Ognuno di questi luoghi si è incontrato/scontrato con la grande storia. Una delle sfide di VacuaMoenia, dunque, è quella di raccontare i borghi rurali di fondazione come si stesse leggendo un diario, una biografia geografica che viene accompagnata dai suoni, inteso come medium di paragone tra passato e presente. Le immagini, le mappe, i video completano il processo, sono un ulteriore
mezzo di esplorazione. Proviamo a dare ad ogni singolo visitatore i mezzi per conoscere ma sarà poi lui a decidere che percorso seguire.
Contrariamente a quanto si pensa, la natura del suono è fortemente materiale, tutt’altro che evanescente. Nel lavoro sui borghi rurali abbandonati ne avete dato ampia prova: i suoni diventano l’essenza stessa dei luoghi e in qualche modo ne restituiscono l’identità. Mi piacerebbe che raccontaste la storia invisibile di uno di questi borghi, unicamente secondo ciò che avete percepito sul piano sonoro.
È proprio così: il suono è materia, essenza dei luoghi, identità. Nel 1940, in un suo intervento Nallo Mazzocchi Alemanni scrisse che ognuno di questi borghi – si riferiva ai primi 8 – doveva trovarsi in una posizione ben specifica e caratteristica della Sicilia, che doveva esser costruito con i materiali delle zone circostanti etc. Queste parole potrebbero essere il nostro manifesto: luoghi e materiali, infatti, determinano dal punto di vista acustico caratteristiche uniche che non si trovano in nessun altra parte. Per fare un esempio, spesso prendiamo in esame Borgo Fazio e Borgo Regalmici. Il primo è costruito nel 1939\1940, si trova sulle pendici di una collinetta ed i materiali sono tipici della zona trapanese. Borgo Regalmici, invece, sorge al centro della Sicilia, è del 1927 e le strutture sono a singola elevazione.
Nonostante queste differenze, l’elemento comune è il vento che definisce l’identità dei due luoghi. In Borgo Fazio, gli edifici, l’orografia, i materiali e le distanze fanno suonare il luogo come se dei sonagli rotanti confluissero al centro della piazza mentre sullo sfondo lenti ciclicità causate dai mezzi a motore ricordano una nave in un oceano di terra, mentre Borgo Regalmici ci farà pensare a un Gamelan con antiche finestre e battenti che si danno rimandi ritmici mentre il soffio tra le cisterne di ferro regala imponenti bordoni metallici. In entrambi i casi il suono imponente delle pale eoliche, seppure ad una distanza fisica diversa, agisce attraverso un fruscio ritmico costante o attraverso un lento spostamento dei suoni in distanza.
La percezione del suono ha a che fare con valori soggettivi: in che modo, a vostro parere, i retaggi culturali rendono l’ascolto un’esperienza a sé e dunque strettamente legata all’individuo che ascolta?
Nel tempo ci siamo accorti come le sovrastrutture culturali siano determinanti per l’ascolto. Abbiamo incontrato persone che durante una delle nostre passeggiate sonore all’alba, in mezzo al verde delle campagne, ci ha detto “Ma io non ho sentito nulla!”. Per poter ascoltare occorre tempo. Oggi genericamente c’è un accento maggiore sulla velocità che rende alcune pratiche insopportabili. Persino nel semplice ascolto ci sarà qualcuno che pensa che senza le posture dello Yoga o qualche lezione frontale l’esperienza è ridotta. Probabilmente si cercano elementi per distrarsi dalla propria condizione familiare e lavorativa – gli stessi che si cercano quando si ridicolizzano complesse pratiche tradizionali orientali, quando invece la ricerca sull’ascolto per essere tale deve liberarsi persino dall’io che ascolta. L’ascolto è fine a sé stesso e non è il tempo che passa da una mia risposta ad un’altra.
Per questo ci piace l’idea, che abbiamo accennato in un articolo del 2013, di usare la definizione de “l’ascoltare” invece di quella de “l’ascolto”, in modo da dare enfasi al fatto che ogni cosa ascolta se stessa, liberarla dal soggetto e dall’oggetto.
Borgo Fazio. Courtesy VacuaMoenia
Borgo Regalmici. Courtesy VacuaMoenia
Borgo Regalmici. Courtesy VacuaMoenia
Mi soffermerei sul termine esperienza per porre l’accento su un aspetto: il paesaggio sonoro risulta essere un valido strumento per una percezione di ambiente che vada oltre la semplice visione romantico – contemplativa. Dunque, dal punto di vista degli spettatori, quali reazioni avete riscontrato?
L’esperienza del paesaggio sonoro va oltre ogni semplice visione perchè ha come medium un senso poco usato attivamente come quello dell’udito. Tempo fa una partecipante portò un cerino come simbolo di una protesta contro gli incendi nei boschi. Si tende a fare di ogni cosa un’azione politica e probabilmente questo è un problema più imponente rispetto alla visione contemplativa. La contemplazione, quando sincera, supera il palcoscenico che ti regala un gesto del genere. La partecipante, alla fine, fece tutto il sentiero e nei momenti in cui si parlava continuava a lamentarsi di quello o l’altro difetto che c’era nel paesaggio – dalla foschia a una cancellata divelta – e non visse nulla dell’esperienza.
Ascoltare partendo da una visione tende a volere imprimere la propria visione su ciò che andrai ad esplorare. Per cui non farai altro che fare confronti. All’inizio ci sono molte domande, per esempio: “Cosa devo ascoltare”?
Deriva è il titolo della Open Call lanciata lo scorso 31 marzo e che avrà termine il 31 dicembre. La portata del termine deriva, storicamente, è immensa. Ci raccontate di come nasce questa iniziativa?
Deriva è la terza nostra open call. Crediamo che porre l’attenzione su un aspetto che viene preso in considerazione in altri campi e poco o per nulla in quello sonoro possa essere di reale stimolo, confronto e discussione. Deriva significa conoscere il punto di partenza ma non sapere dove porterà il nostro viaggio. Significa concentrarsi sull’esatto momento della genesi di qualcosa, dargli un valore potente e
“dimenticare” il suo sviluppo. La Deriva è la condizione che troviamo nei paesaggi che esploriamo e ci siamo chiesti: Cosa succederebbe se isolassimo questo concetto dal luogo? Cos’è la Deriva?
Ad oggi, dopo circa sette mesi, quali sono stati gli sviluppi? Le proposte ricevute hanno soddisfatto le vostre aspettative?
Abbiamo ricevuto diverse submission da ogni parte del mondo. Ce ne aspettiamo altre ancora sia perché ancora c’è del tempo per inviare i materiali sia perché la giuria che valuterà le opere è delle più prestigiose. I risultati, oltre a essere presentati in una release per l’etichetta CronicaElectronica, da anni attenta ai nuovi linguaggi sonori, saranno anche… Non sveliamo altro!
ASCOLTA BORGO FAZIO
Borgo Libertinia. Courtesy VacuaMoenia