9 minute read
Senza paura e senza nostalgia. Giorgio Poi racconta la sua musica, intervista di Gaia Palombo
from IL MURO 17
by IL MURO
SENZA PAURA E SENZA NOSTALGIA. GIORGIO POI RACCONTA LA SUA MUSICA
Intervista a cura di Gaia Palombo // Foto: Jamila Campagna
Advertisement
Incontriamo Giorgio Poi un giovedì pomeriggio a Roma, quartiere Flaminio, a pochissime ore dall’uscita del suo ultimo singolo Erica cuore ad elica. Lo vediamo venirci incontro dal Caffè Rubino: occhiali da sole a celare un po’ di stanchezza, sulle spalle il carico di prove per il concerto imminente a Spring Attitude e un tour estivo a dir poco intenso. Scegliamo una panchina su piazza Perin del Vaga, siamo circondati da palazzi monumentali ma accoglienti, c’è un bel silenzio.
Parliamo del tuo nuovo singolo appena uscito, Erica cuore ad elica.
Difficilissimo da pronunciare! (ride) Me ne sono reso conto soltanto quando l’ho detto la prima volta in risposta a qualcuno che mi chiedeva il titolo del pezzo…
È quasi uno scioglilingua! Ci parli di come è nato questo pezzo inaspettato? Un po’ come fu Il tuo vestito bianco, dopo l’uscita di Fa Niente e sempre in autunno… Sì, dopo l’estate è bello far uscire un altro pezzo che ti porti a suonare in autunno. La differenza è che Il tuo vestito bianco era pronto ancor prima dell’uscita di Fa Niente, in questo caso invece l’ho scritto di getto, non appena i concerti estivi si sono conclusi. Mi è costato fatica scriverlo, forse proprio per l’esigenza di far uscire un pezzo, non uno qualsiasi, in breve tempo. Mi stressava l’idea di poter scrivere qualcosa che non mi piacesse, per fortuna invece ora posso dire di essere sollevato e soddisfatto del risultato. Il suono di sax ad esempio è stato chiuso all’ultimo…
Un elemento nuovo in cui ricordo che ti eri cimentato per la produzione del disco di Francesco De Leo, La Malanoche…
Sì, in quel caso il sax lo suonavo io, in Erica cuore ad elica no. Volevo una cosa armonicamente più evoluta, non soltanto tecnicamente complessa ma anche emotivamente forte, qualcosa che non avrei potuto rendere appieno con i miei rudimenti di sassofono.
Erica cuore ad elica avrà una destinazione particolare? Verrà inclusa in una nuova versione di Smog?
In realtà non c’è stato il tempo di pensare a tutto questo, è tutto ancora da elaborare e decidere.
Parliamo della copertina? Bellissima.
Sì, è davvero bella! Ho conosciuto Piero Percoco in occasione di una data in Puglia quest’estate e le sue foto mi avevano colpito, mi sarebbe piaciuto tanto fare qualcosa con lui e ho colto l’occasione appena mi è stato possibile. Cambiamo argomento ma restiamo nell’attualità. Con l’ingresso di un artista come Lucio Battisti su Spotify sembra sia finita definitivamente un’epoca, tu cosa ne pensi? Credi ci sia ancora spazio per un’arte libera e anticonformista nell’era di Spotify?
Penso che Spotify sia un supporto, come una volta potevano esserlo il vinile, la musicassetta o il cd. Penso che anche l’artista più anticonformista farebbe una scelta molto strana rinunciando a Spotify, è come se Battisti avesse rifiutato di incidere su vinile: avrebbe potuto, certo, però a quel punto l’alternativa sarebbe stata esibirsi nei concerti, cosa che non amava fare. Sono talmente belle le canzoni di Battisti che sarebbe un peccato tagliare fuori tutta una nuova generazione di ascoltatori, provocherebbe nel tempo una perdita grave.
Mi piace pensare che un ragazzo di quattordici anni possa imbattersi per caso in Battisti e magari capire qualcosa della vita (ride).
Che Battisti sia uno dei tuoi riferimenti musicali è noto, così come nota è la tua passione per Paolo Conte. Ricordo un concerto in cui hai suonato una versione bellissima di Stradella, che rispetto ad altre tue cover è sicuramente meno comune, penso ad Ancora Ancora di Mina o Il mare d’inverno di Loredana Bertè. Ci racconti questa scelta?
Sono emotivamente affezionato a tantissime canzoni di Paolo Conte, quindi ne ho scelta una che si adattasse di più al mio stile. Musicalmente il linguaggio di Paolo Conte è molto lontano dal mio e abbiamo due voci opposte, ho suonato Stradella perché è più facile farla mia.
I luoghi in cui si interagisce, anche solo per un breve periodo, hanno un certo peso anche a livello musicale. Dal momento che sono tanti e molto diversi i luoghi in cui hai vissuto, puoi dirne uno in particolare che fa da scenario dominante alle tue canzoni? Penso a Tubature e rifletto sul fatto che la dimensione della città è molto presente.
Sì. Quando scrivo una canzone e penso a una città, sicuramente è quella in cui vivo in quel momento. Nel caso di Tubature mi trovavo a Berlino e pensavo tanto a tornare in Italia. In generale Fa niente, il disco a cui il pezzo appartiene, è un effetto di questi pensieri.
È quasi sempre impossibile racchiudere le tue canzoni in tematiche particolari, la tua è una scrittura fatta di suggestioni e credo che questa peculiarità leghi fortemente Fa Niente e Smog: Penso a Paracadute e Maionese, che sembrano essere frammenti di uno stesso flusso di coscienza fatto di tante, piccole immagini forti. Ti ritrovi in questa chiave di lettura?
Sì, assolutamente. Il testo è l’ultima cosa che viene fuori, non so esattamente di cosa parla una canzone finché non è quasi finita, solo a metà dell’opera inizio ad avere un’idea. Spesso la prima frase di una mia canzone è più un sentimento, qualcosa che accade attorno alla canzone stessa, magari il senso di tutto è racchiuso in una parola che inizialmente non ho scritto. Credo comunque che il flusso di coscienza faccia parte di tutti coloro che scrivono o fanno arte in generale…
Nel tuo caso però resta forte questa traccia, non si percepiscono filtri a posteriori che vanno ad aggiustare il senso.
Vero, mi piace rimanga questo alone. È un po’ come nei sogni o i ricordi: spesso non resta niente se non un’idea: magari domani non avrò memoria di questa nostra conversazione ma conserverò il rumore dell’acqua di questa fontana o l’immagine del furgone rosso laggiù.
Copertina del singolo Erica cuore ad elica. Foto di Piero Percoco. Courtesy Bomba Dischi
Il non detto e l’incomunicabilità bilanciano questi lunghi flussi di coscienza attraverso l’immagine frequente della bocca, intesa come “nascondiglio più sicuro” e “groviglio”, così come nella frase significativa del tuo ultimo singolo: “impareremo la lingua dei doppiatori per farci capire”. Nella musica trovi un veicolo per tirar fuori ciò che nella quotidianità fai fatica a manifestare?
Sì, questa però è un’analisi che faccio a posteriori, sul momento accade in maniera del tutto inconscia. Credo che la dinamica abbia a che fare con l’esigenza profonda di comunicare certe sensazioni che è difficile spiegare, così come a volte è difficile capire anche quando la spiegazione è impeccabile. Semplicemente la musica è un tipo di comunicazione diversa e a mio parere più completa rispetto al linguaggio parlato.
Dei tuoi riferimenti musicali si è tanto parlato, così come di quelli letterari, a me interesserebbe conoscere quelli artistici: c’è un museo in particolare che ami visitare?
Un luogo a cui sono stato legato è la Tate Modern, quando ero a Londra era un po’ il mio tempio, i quartieri in cui vivevo non erano il massimo, quindi in quel museo ritrovavo il mio spazio ideale. Sei più orientato verso l’arte contemporanea quindi?
In realtà no, la stessa sensazione a Roma potrei percepirla visitando San Luigi dei Francesi davanti a Caravaggio. Questa sensazione non riguarda tanto il prodotto artistico quanto l’ambiente e il silenzio che c’è intorno, si entra in una dimensione quasi sacra.
Ancora a proposito di arte, parliamo del tuo rapporto con il disegno. Le illustrazioni di Smog, una per ogni traccia del disco, le hai disegnate tu, mentre per Fa Niente hai affidato ad Alessandro Martoz l’artwork della seconda edizione del disco…
Da piccolo ero negato con il disegno, non era una disciplina attraverso cui riuscivo a esprimermi. Una sera, pochi mesi prima dell’uscita del disco, durante una cena a casa di amici venne fuori questo gioco per il quale dovevamo disegnare partendo da alcune parole. Inizialmente l’idea mi respingeva totalmente, poi in realtà ho scoperto che la cosa mi divertiva e quello che disegnavo mi piaceva. Insomma, mi ero autocensurato alle elementari credendo che il disegno non facesse per me e ora l’ho riscoperto, senza nessun tipo di velleità tecnica, s’intende. Trovo affascinante la possibilità che una persona priva di rudimenti di una disciplina come la musica o il disegno possa tirar fuori qualcosa che funzioni, di interessante. Detto questo, posso dire che nei disegni che ho fatto per Smog mi riconosco, in qualche modo storto, ma mi riconosco!
Un aspetto che mi incuriosisce è il tuo rapporto con la fotografia: Ne Le foto non me le fai mai emerge un fatto autobiografico, ossia il tuo rifiuto dell’automatismo di scattare foto per ricordare. Eppure, a livello musicale e testuale, la malinconia e il legame con il passato fanno sempre da sottofondo: “Sottrarre già all’archeologia la vita mia”, e di Archeologia parlavi anche prima della tua carriera come Giorgio Poi, quando con i Vadoinmessico intitolavi Archaeology of The Future il tuo album. Come coniughi questa ricerca del passato con il rifiuto di un mezzo come la fotografia, che del passato si nutre?
Il ricordo di un viso, di un momento o di una sensazione ti può emozionare anche per un dettaglio, qualcosa che magari non è riproducibile dalla fotografia che realizzeremo per il bisogno di trattenere. Il ricordo non è razionale, è più legato a cose a cui sul momento non si dà peso, ne parlavamo giusto poco fa. Mi mette malinconia già il fatto di scattare una fotografia pensando che altrimenti non ricorderò quella determinata cosa, che la riguarderemo quando saremo diversi, più vecchi. Preferisco non ufficializzare con la fotografia la mia preoccupazione, o meglio la mia paura, per qualcosa che temo si perda.
“Senza paura, senza nostalgia”…
Esatto. Andremo al mare, staremo bene e ricorderemo tutto, se ne varrà la pena.
La fotografia nel tempo avrà una qualità che sarà indice immediato di quanto tempo è passato e ci renderà tristi, paradossalmente ci allontanerà da ciò che volevamo a tutti i costi ricordare. Avremo la prova tecnica, la misura di un divario temporale che nella memoria può non esistere: conservo dei ricordi d’infanzia che non mi sembrano così lontani, se li vedessi in foto avrei di certo la sensazione opposta. Pensa poi a quanto la dice lunga la parola immortalare! (ride)
Ora la consueta domanda sui progetti futuri. La tua carriera è costellata da tante collaborazioni: Frah Quintale, Carl Brave, Calcutta, Luca Carboni. Ti vedremo presto accanto ad altri autori?
Non posso svelare molto ma posso dire che in questo momento sto lavorando a una cosa che mi terrà impegnato per i prossimi due – tre mesi. Poi appena avrò il tempo mi metterò a scrivere qualcosa per me.
Per ora ti concentri sulla performance di domani al MAXXI per Spring Attitude.
Sì, che poi è la prima volta nel mio quartiere, non ho mai suonato neanche un saggio da bambino nei dintorni, quindi sarà un debutto nel quartiere a tutti gli effetti!