UNIVERSITÀ DI CAGLIARI SCUOLA DI ARCHITETTURA
Laboratorio Integrato di Progettazione e Costruzione I Prof. Giorgio Peghin (Modulo Composizione Architettonica) Prof. Antonello Sanna (Modulo Architettura Tecnica) tutors: Susanna Curioni, Carlo Pisano, Melinda La Mantia
IL MURO E LA CASA
seconda esercitazione - luogo del progetto
17 ottobre, 2012
corso di laurea in scienze dell’architettura A.A. 2012/2013
Giorgio Peghin
CARBONIA. IL SIGNIFICATO DEL PIANO URBANISTICO Testo tratto da: G. Peghin, A. Sanna, CARBONIA Città del Novecento, Skira Editore, Milano, 2009
Tra il 1928 e il 1937 vaste porzioni di territorio della Sardegna vengono trasformate dall’opera dell’uomo in un nuovo paesaggio industriale e produttivo. Queste due date segnano la nascita della prima città fondata in Italia, Mussolinia di Sardegna, e la realizzazione di Carbonia e Fertilia, che concludono la stagione fondativa fascista. Il programma di ruralizzazione e, verso la fine degli anni trenta, la politica economica autarchica sullo sfruttamento delle risorse energetiche nazionali avviano la progettazione e realizzazione di nuovi insediamenti pianificati in prossimità dei luoghi di produzione agricola o di estrazione mineraria, territori spopolati e spesso fortemente decentrati rispetto alle aree urbanizzate del paese. Nell’isola questo disegno trova un campo di applicazione ideale riuscendo, non senza contraddizioni, a innestarsi su processi di sviluppo e di riequilibrio già in atto dalla fine dell’Ottocento con il disegno riformatore del governo sabaudo e dello Stato unitario1. Volendo collocare questa vicenda in una prospettiva storica che sia centrata sulla formulazione del problema dell’urbanesimo nell’Europa del primo Novecento, occorre raffrontarla con le teorie, le ideologie e le concrete realizzazioni che si sono prodotte nello stesso periodo. In particolare la città di fondazione italiana, frequentemente giudicata come una degenerazione culturale della pratica urbanistica, o come un insieme di folkloristici aggregati di architetture storiciste, è stata l’occasione per elaborare un pensiero originale sulla città moderna. Se la diffidenza verso la città fascista può sembrare pertinente, è possibile sostenere una diversa lettura che rende meno ideologico il giudizio: le nuove città italiane, pur non producendo nessuna rivoluzione urbanistica, esprimono il polisenso di movimento moderno e danno vita a una sorta di funzionalismo realizzato, singolare campionario di tecniche, idee e soluzioni sulla città e sulla formazione di una moderna disciplina urbanistica2. Carbonia viene costruita in meno di un anno e inaugurata nel dicembre del 1938 anche se l’attività edilizia proseguirà ininterrottamente sino al 1942. La città del carbone è una company-town, una comunità pianificata che attraverso la definizione di uno schema urbanistico preordinato fissa i rapporti tra impianti produttivi, residenze, infrastrutture. La vicinanza e l’interdipendenza tra il luogo della produzione e la residenza offrono, in questo senso, la chiave di lettura della vicenda progettuale: la miniera, la casa, la grande piazza centrale fanno di Carbonia un modello urbanistico che indica una fisionomia decisamente autoritaria e un nesso azienda-cittàstato tipico delle città industriali di nuova fondazione realizzate dal regime. Carbonia è anche immagine di una comunità idealizzata ed esaltata dalle cronache di regime che cercarono di dare il massimo rilievo all’iniziativa con descrizioni prosaiche e retoriche, come si può constatare in questo brano scritto da Stanis Ruinas nel suo Viaggio per le città di Mussolini: “scorriamo le carte cogli edifici disegnati in uno stile classico modernizzato. [...] Il terreno è tutto picchettato. I paletti di legno infissi nel suolo e coperti di cemento stanno soli, per ora, a segnare il punto e l’area delle varie costruzioni. Pali e fossi. Eppure senza sforzo possiamo vedere Carbonia; cogli occhi dell’ingegnere che a cenni larghi e vigorosi la fa sorgere per incanto. «Questa è la chiesa. Il
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campanile, alto quarantasei metri, è una copia di quello di Aquileia. L’hai in mente?». L’ho in mente: uno squillo nell’aria. «Questa è la Casa del Fascio colla torre littoria: un fortilizio rustico, venticinque metri. La chiesa e il teatro. Il palazzo del Comune e quello delle Poste». Ecco perché, tornando a Carbonia undici mesi dopo, avrò la strana impressione di averla già veduta. Già verdeggiante e popolata di donne e di fanciulli. Novecento famiglie di minatori, cinquantacinque di dirigenti e d’impiegati, quaranta impiegati e millecinquecento operai, scapoli o ancora senza famiglia, sono alloggiati nelle belle villette che si guardano in faccia, nelle piccole case operaie cintate di verde, negli alberghi ariosi”3. Gli autori del piano, Gustavo Pulitzer-Finali, Cesare Valle, Ignazio Guidi ed Eugenio Montuori, sono progettisti con formazione e trascorsi professionali differenti4; alcuni di loro hanno già avuto precedenti esperienze nel progetto di città nuove, in particolare Pulitzer-Finali è autore di Arsia, la prima città italiana del carbone, mentre Montuori fa parte del gruppo di architetti che vinse il concorso per Sabaudia5. L’eterogeneità dei contributi di ciascuno riesce, comunque, a confluire in un progetto unitario che mostra come la cultura architettonica italiana si avviava a una sintesi condivisa e corrispondente alle aspirazioni del regime fascista con la nascita dello stile littorio e della retorica monumentale. La stagione dell’architettura razionale, l’avversione all’egemonia accademica e al primato di una visione storicista e nostalgica del passato, espressa nel tavolo degli orrori esposto alla mostra del 1931 dal Miar, il movimento italiano per l’architettura razionale, si possono dire conclusi. Le politiche antiurbane del regime fascista e il mito della italianità favoriscono lo sviluppo di teorie e modelli alternativi alla metropoli industriale ed alle sperimentazioni della Neue Sachlichkeit. Occorre premettere che nell’Italia del primo Novecento, l’urbanistica è una disciplina quasi esclusivamente tecnica e l’elaborazione di una moderna teoria avviene con lentezza, senza quel dibattito sui problemi dell’urbanesimo industriale che altri paesi avevano avviato; la stessa teoria della cittàgiardino, nata come risposta allo sviluppo liberista della metropoli industriale, non ha esperienze veramente conformi ai principi socio-urbanistici di Howard6, ma viene formulata principalmente in chiave tipologica o come sintesi tra gli aspetti formali originati dalle realizzazioni inglesi di Unwin e una cultura disurbanista che aspira al recupero delle qualità artistiche e formative della città storica. Nelle proposte urbanistiche italiane l’estetica che esalta la sinuosità delle strade, il succedersi di scene diverse, i raggruppamenti irregolari di verde e di parti costruite si combinano, infatti, con il Der Städtebau di Camillo Sitte7, trait d’union tra la cultura della città come organismo in continuità con la tradizione. Il contributo di Sitte, insieme con le opere di Joseph Stübben e di Charles Buls8, ampiamente divulgati in Italia pur con traduzioni non sempre fedeli, sono fondamentali nella definizione di questa nuova urbanistica: “il termine Städtebau viene ripreso e tradotto nell’equivalente italiano di costruzione della città, cui spesso si aggiunge una connotazione estetica: l‘arte di costruire la città diviene una espressione che implica sia conoscenze tecniche che sensibilità artistica”9. In questo contesto il progetto di Carbonia trova la sua spiegazione e supera i suoi limiti nel confronto con la garden-city e la städtebau tedesca, con le idee di Camillo Sitte e le realizzazioni di Tessenow, Fischer, Schmitthenner, Feder10. Va da subito segnalato come il contributo teorico di Gustavo Giovannoni sia fondamentale11. Giovannoni, come Sitte, elabora una visione urbanistica pragmatica che ha nel recupero del significato strutturale della città storica il riferimento principale per la costruzione di un moderno sistema urbano: “[…] le nuove borgate, dovranno essere tali da non alterare il carattere dell’ambiente, pur rispondendo a modernità ed a utilità pratica. Abbiano un nucleo di case compatte, pur non troppo alte che contengano la piazza principale, raccolta e tranquilla come le piazze antiche, al di fuori del movimento di passaggio; poi la fabbricazione venga degradando in intensità verso l’esterno, adattandosi al terreno, creando armoniche associazioni di masse, ma non seguendo troppo rigidi sistemi”12. La creazione di tessuti urbani che per tracciato, volumetria e articolazione di vuoti e pieni si ispirano alla morfologia delle città antiche, alle nozioni di architettura maggiore e minore, alla dialettica tra tessuto e monumento, all’uso di materiali locali e tradizionali, sono per Giovannoni gli elementi primari di un nuovo concetto di ambiente organico strutturato alla scala di un sistema territoriale più ampio fatto di nuovi nuclei, quartieri, centri storici. Ciò che avviene nel bacino carbonifero del Sulcis sembra aderire a questo modello: un sistema territoriale suddiviso gerarchicamente in nuclei urbani differenti (Carbonia, Bacu Abis, Cortoghiana, Portoscuso) e luoghi della produzione. Un organismo infinitamente più vasto e aperto della città tradizionale che si articola in differenti scale spaziali, tentativo già sperimentato nelle nuove città della bonifica integrale con le quali Carbonia condivide l’impostazione urbanistica. Il giudizio di Luigi Piccinato esprime in pieno il carattere di questi insediamenti: “[…] parlare di città è un non senso: né Sabaudia né Littoria sono due città nel significato urbanistico comune della parola. La città suppone qualche cosa di murato, di chiuso, qualche cosa di contrapposto alla campagna”13.
Questa premessa è necessaria per evitare semplificazioni sul significato urbanistico di Carbonia e delle altre città di fondazione italiane che, al contrario, denotano una complessa stratificazione di idee e teorie sulla città ricche di elementi di modernità oggi particolarmente attuali. Il progetto di Carbonia, ad esempio, nel rapportarsi al contesto paesaggistico sottolinea una sensibilità ambientale espressa compiutamente nella chiara aderenza tra forma della città e morfologia del suolo: “la località nella quale dovrà sorgere il nuovo Comune è stata scelta nelle immediate vicinanze dei centri di lavoro [...] Sorgerà in una zona di terreno a mezza costa che discende con dolce declivio verso la miniera di Serbariu aprendosi con ampia vista nella piana sottostante e sul non lontano Tirreno, offrendo notevoli risorse panoramiche per numerose e belle visuali. La località è bene arieggiata con venti di non eccessiva violenza […] La natura del terreno, di origine alluvionale con abbondanza di trachite e calcare nelle immediate vicinanze, è ottima agli effetti della fabbricabilità per il facile approvvigionamento dei materiali da costruzione. La giacitura generale della zona prescelta ben si presta a una chiara disposizione planimetrica sia nei riguardi dell’aderenza della rete viaria alla conformazione altimetrica del terreno sia nei riguardi della direzione dell’asse eliotermico”14. Il paesaggio non è solo un luogo panoramico o romantico, ma esprime potenzialità funzionali: il rapporto di vicinanza con la miniera, le caratteristiche climatiche, la possibilità di reperire facilmente i materiali da costruzione, sono solo alcune delle condizioni necessarie per fondare una nuova città. Estetica e tecnica si integrano perfettamente: “[…] è stata in conseguenza valorizzata al massimo, nella disposizione della rete viaria, la posizione panoramica della zona prescelta, permettendo alla vista di spaziare su vasto orizzonte […] si sono fatte convergere alla miniera di Serbariu quattro strade partenti da quattro distinti e pressoché equidistanti punti dell’abitato. Tre di esse sono destinate a congiungere il luogo di lavoro con le abitazioni ed avranno quindi le caratteristiche di strade di afflusso per gli operai. La quarta assolverà la duplice funzione di strada di accesso principale alla miniera di Serbariu e di collegamento con le abitazioni dei Dirigenti. Pertanto su quest’ultima strada e nella piazza che la termina, centro della vita cittadina, sono situati gli edifici rappresentativi e di uso collettivo, nonché la Direzione delle miniere”15. Il centro di questo sistema è piazza Roma. Situata in posizione elevata rispetto alla miniera, ha un lato verso la miniera e il mare lasciato libero da costruzioni per accentuare il carattere panoramico, mentre gli altri tre sono definiti dagli edifici della Casa del Fascio e del Dopolavoro, il Cine-Teatro, la chiesa e il municipio. La piazza, immagine pubblica e simbolica del regime, è un insieme di architetture ispirate alla storia e alla tradizione (i massicci volumi di pietra degli edifici della torre littoria o il campanile della chiesa di San Ponziano) che, articolandosi secondo una successione di visuali asimmetriche, produce una disposizione scenografica e pittoresca percepita dalle strade che vi convergono. La piazza chiusa è sostituita con uno spazio aperto in cui il paesaggio è uno degli elementi. Un luogo che nel ricordare l’artificio che Bernardo Gambarelli detto il Rossellino attua nella piazza del duomo di Pienza, fonde in un unico contesto i tipi storici dell’Agorà e dell’Acropoli, il luogo recintato e il luogo aperto, lo spazio artificiale e quello naturale. Questo riferimento non deve far supporre che ci troviamo di fronte a uno spazio dal carattere esclusivamente storicista: piazza Roma si mostra con uno sguardo obliquo, privilegia punti di vista eterogenei, è uno spazio del tutto nuovo rispetto alle configurazioni monumentali classiche, difficile da cogliere in una visione frontale e univoca o in una semplice associazione di forme ritrovate della storia. Il carattere composito e diradato di questa piazza esprime per analogia quello della città: in effetti, una delle impressioni che si colgono è l’eccessiva estensione dello spazio urbano per una città che doveva contenere inizialmente 12.000 abitanti. Da questo punto di vista il modello della città giardino è perfettamente applicato anche come negazione dell’isolato di matrice ottocentesca: il riferimento alle comunità rurali e pre-industriali e il superamento della città continua sembrano essere elementi contradditori difficilmente compatibili con l’immagine di una città moderna; eppure il risultato è qualcosa di nuovo, di molto diverso dalla città storica tradizionale. Allo stesso modo, se si analizza la struttura dello spazio urbano, si può constatare come la principale matrice della forma siano gli aspetti tecnici e i principi dello zoning. Il sistema si imposta su due direttrici principali: la prima, costituita da tre assi urbani, collega il centro e le abitazione operaie con la miniera, la seconda, trasversale, unisce il centro della città con i singoli quartieri operai: “tale sistema è studiato in modo da accentuare il carattere residenziale del centro. In esso è previsto un organico sviluppo di viali alberati, spazi erbosi, centri di sosta e di riposo costituenti un complesso di ridenti passeggiate panoramiche”16. La popolazione viene distribuita secondo una successione spaziale che partendo dalle residenze del direttore della miniera, dei dirigenti e degli impiegati concentrate intorno a piazza Roma, si estende sino alla periferia, con gli alloggi dei minatori progressivamente distanziati dal centro: “[…] intorno al centro urbano sede degli edifici rappresentativi e degli uffici, sono disposte le abitazioni dei dirigenti, degli impiegati e dei minatori. Gli alloggi dei dirigenti sono in massima in costruzioni isolate, quelli degli impiegati abbinati. Per i minatori sono previsti vari tipi di edifici da quattro a dieci appartamenti. Dato il carattere estensivo del piano, si sono creati dei piccoli
centri minori che con i loro più necessari servizi (scuola, asilo, spaccio) evitano l’eccessivo affollamento del centro, nonché la servitù di lunghi percorsi agli abitanti per le necessità familiari giornaliere”17. La zonizzazione è studiata sia come strumento funzionale e distributivo per assicurare una corretta relazione tra la città e le strutture minerarie, sia come progetto verticistico idoneo a trasporre nel disegno di aree omogenee le stesse gerarchie presenti nell’organizzazione della produzione. Carbonia, considerato il carattere prettamente funzionale di città-fabbrica, ha lo scopo prioritario di fornire alloggi per la manodopera. A differenza di altre città di fondazione italiane nate come nuclei di servizio per le popolazione residenti nella campagna e non come veri e propri agglomerati residenziali, essa, come Arsia e Pozzo Littorio, si sviluppa prevalentemente in funzione della residenza. Questa esigenza si traduce in un progetto dettagliato dell’abitazione accuratamente studiato nelle soluzioni di piano: estensiva prima, intensiva poi, quando l’immigrazione massiccia minacciava di far dilatare troppo l’abitato. Il piano regolatore del 1937 è caratterizzato dal tipo edilizio quadrifamiliare, un edificio di due piani isolato nel lotto e sviluppato in differenti soluzioni architettoniche. La frase di Heinrich Tessenow “un buon lavoro artigianale teme sempre l’originalità, ma non ciò che è consueto o la ripetizione, che porta sempre con sé la sua spiegazione”18 esprime efficacemente l’immagine di una concezione modesta e artigianale: si tratta di una casa popolare ruralizzata, un modello già sperimentato dai progettisti dello studio Pulitzer-Finali ad Arsia e Bacu Abis, un dispositivo sociale basato sulla centralità della famiglia e sulla rarefazione dei rapporti interpersonali che permette un maggiore controllo delle masse urbanizzate ma che esprime anche una cultura tecnica essenziale, coerente con le politiche autarchiche di quegli anni19. La questione del cantiere rappresenta, infatti, uno dei principali elementi per comprendere la natura della città. Le scelte architettoniche evidenziano una stretta interdipendenza tra forma e costruzione, tra scelte tecniche-costruttive e organizzazione delle fasi esecutive, dovute a una contingenza politico-economica che privilegia l’uso delle risorse locali, la pietra innanzitutto e la dimensione muraria. Non si tratta certo di un universo tecnologicamente arretrato: la tecnologia del cemento armato dà luogo a realizzazioni come le capriate in sezioni sottili di c.a. prefabbricate a piè d’opera, oppure all’esecuzione di solai con travetti prefabbricati, in generale a una tecnologia della costruzione muraria ibridata con gli orizzontamenti in cemento armato che verrà adottata anche in molte realizzazioni residenziali della ricostruzione postbellica. Questa scelta insediativa, adeguata per centri urbani non troppo grandi, mostrerà presto i suoi limiti quando la popolazione operaia della città crescerà e sarà necessario un programma di abitazioni intensive e di massa. Anche il disegno del verde pubblico e privato, opera di Pietro Porcinai, è un fondamentale elemento ordinatore: nelle case degli operai gli alberi sono prevalentemente da frutto, gli arbusti e i rampicanti sono di tipo comune; nelle residenze destinate alla classe dirigente il progetto appare più ricercato e con maggiori specie ornamentali; nei viali e nelle piazze si privilegiano le grandi masse volumetriche del pino marittimo o domestico. Il giardino, strettamente associato alle tipologie edilizie, è misura funzionale della città, come dimostra l’attenzione nel dimensionamento dei lotti residenziali: “nella determinazione della dimensione e disposizione dei lotti, si è seguito il criterio di formare unità edilizie singole, disposte in maniera di ridurre al minimo possibile, le reciproche servitù di vista. Inoltre ognuna sarà dotata di un orto-giardino tale da costituire un opportuno incremento alle entrate familiari e consentire nel complesso una massima libertà individuale ed economica della famiglia”20. L’orto-giardino rafforza il riferimento alla company-town e la diretta influenza in termini di rapporti di proprietà tra gli abitanti-operai e l’istituzione di governo. In questo contesto i minatori trovano condizioni di modernità e benessere superiori a quelle dei luoghi d’origine e, forse per la prima volta, sperimentano il senso della città e della sua organizzazione sociale. In quest’ottica lo stesso Giovannoni sottolinea “la superiorità forse unica della città moderna sull’antica è data dai giardini e dai parchi, sia da quelli di uso pubblico, sia da quelli privati, formanti parte integrale dei quartieri di abitazione estensiva” 21. L’espressione immenso deposito di fatiche coniata da Cesare Cattaneo per il paesaggio sembra esprimere ciò che avviene a Carbonia nell’arco dei primi dieci mesi dalla predisposizione del progetto fondativo: si procede all’ultimazione di quasi tutti gli edifici pubblici e della maggior parte degli alberghi e delle case, con una popolazione di più di diecimila persone tra minatori, operai, dirigenti e impiegati; un grande cantiere autarchico somigliante più alle imprese pionieristiche realizzate in terre ostili che non ai proclami ottimistici del regime: “in tutti i cantieri si lavora febbrilmente: decine e decine, centinaia e centinaia, migliaia e migliaia di muratori, di carpentieri, di terrazzieri, di manovali stanno tirando su le nere sagome della città che prima non esisteva”22. Nonostante l’intensa attività edilizia, la produzione mineraria cresce in misura superiore alle possibilità della città di ospitare un consistente aumento della popolazione. Il bisogno di nuovi alloggi rende, pertanto, necessario l’aggiornamento del piano e la costruzione di nuove unità residenziali: tra il 1938 e il
1940, intorno al monte Rosmarino e negli spazi liberi dei giardini, vengono realizzate nuove abitazioni sulla base di un tipo edilizio quadrifamiliare, le Gra-M e Gra-N, sintesi aggiornata e standardizzata delle precedenti tipologie estensive23. La successiva predisposizione di un piano di ampliamento redatto nel 1940 da Cesare Valle, Ignazio Guidi ed Eugenio Montuori cercherà di offrire soluzioni organiche al problema. Questo piano ha un carattere urbanistico diverso dalla städtebau di Pulitzer-Finali, come viene spiegato dai progettisti: “occorre riassumere brevemente il concetto informatore che guidò i redattori del primo piano regolatore, che, a solo pochi anni dalla sua approvazione e dalla sua attuazione, è nella necessità di richiedere uno sviluppo almeno raddoppiato. Il Piano Regolatore del Comune di Carbonia aveva come tema la formazione di un centro Minerario per 12.000 minatori, in una vasta area da occuparsi in prevalenza con piccole case contenenti al massimo 4 appartamenti e con appezzamenti di terreno di circa 500 mq. per appartamento. I quartieri di abitazione, composti dall’insieme di queste unità edilizie singole, avevano un carattere panoramico, ordinato, logicamente estensivo. II centro di questo sistema di quartieri era costituito da una piazza con pochi e non grandi edifici pubblici; quanto era necessario insomma ad un aggregato urbano di un tale carattere e di una tale entità. L’importanza fondamentale che in seguito è venuta ad acquistare, la necessità di moltiplicare la produzione del Carbone Nazionale ha fatto sì che quel centro di minatori, che poteva bastare per una produzione limitata, si è reso insufficiente ai nuovi fini dell’autarchia. Non più quindi un abitato per 12.000 minatori ma una città di 55.000 abitanti, costituente il centro di una vasta zona con altri minori e periferici nuclei abitati”24. Il nuovo piano affianca al tessuto fondativo originario uno schema compositivo regolare e autonomo rispetto alla città esistente, un nuovo ambito urbano con le caratteristiche di un moderno quartiere residenziale, una sorta di città parallela. È un progetto che applica correttamente gli standard urbanistici razionali e le soluzioni urbanistiche promosse dai CIAM, i congressi di architettura moderna. Tutto ciò trova chiara esemplificazione anche nella scelta del luogo: “la decisione di studiare l’ampliamento della città di Carbonia al di là del Rio Cannas, verso il piccolo abitato di Serbariu, è derivata dall’obbligo di non costruire dove la presenza del carbone nel sottosuolo è accertata. Durante lo studio del piano regionale fu considerata la possibilità di creare un nuovo centro politico, amministrativo rappresentativo, indipendente da Carbonia. Fu cercata a questo scopo un’area centrale rispetto alle borgate previste nel futuro sviluppo della regione del Sulcis e che presentasse tutti i requisiti urbanistici di comunicazioni, di altimetria, di orientamento. L’obbligo di evitare zone carbonifere e l’opportunità di collocare il nuovo centro abitato in una zona di terreno il più possibile pianeggiante, hanno avviato verso la soluzione già detta: costruire al di là del Rio Cannas, in una zona lievemente ondulata e di larghe possibilità costruttive, che fin da adesso è pronta a diventare un immenso cantiere per la vicinanza dal centro attuale e per le vie di comunicazione già esistenti”25. La siedlung progettata da Eugenio Montuori sancisce il declino definitivo della città giardino: “il nuovo quartiere di abitazione […] dovrebbe assumere la fisionomia di un quartiere di abitazione a carattere semintensivo, con vie inquadrate da edifici, con nuove piazze e con zone verdi. Parecchi edifici pubblici potranno essere previsti”26. Montuori sviluppa il progetto di nuove tipologie edilizie intensive che sono l’evidente segno di una ricerca sull’abitazione avviata oramai a confrontarsi con le coeve esperienze europee. Pur trattandosi di edifici rispondenti all’esigenza di una pratica costruttiva essenzialmente muraria e locale, o autarchica, emergono soluzioni razionali e moderne: la scansione regolare dei volumi edilizi e i rapporti spaziali con la strada, rappresentano una modernità inedita che non verrà realizzata. Oltre al nuovo quartiere di Montuori, il piano prevede il disegno di nuove aree pubbliche progettate da Guidi e Valle. Il nuovo centro pubblico, ampliamento di quello esistente, si contraddistingue per l’enfasi posta al disegno di un impianto urbano monumentale costituito da ampi viali e sequenze di edifici multipiano porticati a filo strada. L’insieme è, infatti, pensato come trama di strade regolari, di portici, di rigide prospettive assiali, esaltazione di una classicità retorica che diverge nettamente dal progetto impostato da Pulitzer-Finali nel 1937. Un’idea di città evidentemente finalizzata a soddisfare nuove esigenze simboliche e politiche: “la vasta zona, lasciata libera da costruzioni, che si svolge subito al di dietro della piazza dell’attuale Comune, ben si presta per la costituzione di un insieme di piazze e di vie a carattere urbano e con edifici rappresentativi. Verrebbe così a costituirsi un sistema di piazze tradizionale nell’urbanistica del nostro Paese: la piazza religiosa con la Chiesa, il campanile, il sagrato; la piazza rappresentativa con il Municipio con la Casa del Fascio, con le Poste ecc.; la piazza del Tribunale con gli uffici relativi e con un carattere più riservato. Una grande via principale, il corso della nuova città, tutto porticato e con edifici a più piani, unisce le piazza ed ha come fondali gli edifici più rappresentativi. La piazza del Municipio ha un carattere più monumentale e più aperto e potrà essere il centro delle adunate di popolo. Negozi, caffè, uffici danno il carattere urbano a tutto questo nuovo complesso edilizio”27. La progettazione dei nuovi edifici pubblici sarà affidata anche ad altri architetti tra i quali Enrico Del Debbio e Raffaello Fagnoni, autori del nuovo municipio e del palazzo delle poste e Luigi Piccinato, che più d’ogni altro aveva valorizzato il lavoro del giovane
Montuori già dai tempi di Sabaudia, nonché ideatore di un grande teatro per il nuovo quartiere residenziale. Il piano di ampliamento e i progetti previsti sono destinati a rimanere sulla carta a causa della guerra ormai in atto e dall’innesco latente della crisi del carbone autarchico. In coincidenza con il progetto di ampliamento di Carbonia vengono impostati l’ampliamento di Bacu Abis, il progetto per il villaggio operaio di Cortoghiana di Saverio Muratori e il progetto del Piano Regolatore di Portoscuso di Giuseppe Pagano. Sono i nodi principali di un grande progetto territoriale del distretto del carbone rimasto definitivamente incompiuto. La proposta di Pagano, in particolare, avrebbe rappresentato un’importante affermazione di una urbanistica sociale in aperto contrasto con il contesto autarchico di Carbonia. Il Piano di Portoscuso progettato tra il 1939 e il 1940 prevedeva la trasformazione di quello che era in origine un piccolo borgo di pescatori, probabilmente già visitato da Pagano durante la sua indagine sull’architettura rurale italiana28, in una moderna e razionale cittadina esplicito riferimento al progetto di Milano Verde. Il villaggio operaio di Cortoghiana viene invece costruito. Saverio Muratori progetta il nuovo nucleo secondo uno schema regolare e razionale che cerca di conciliare una moderna impostazione urbanistica con il carattere eterogeneo e autarchico delle tipologie residenziali adottate a Carbonia. Notevole il progetto della grande piazza centrale, uno spazio urbano di straordinaria suggestione metafisica. Per concludere, il significato urbanistico di Carbonia si riassume anche attraverso l’opera dei suoi progettisti, ognuno dei quali ha lasciato nella città le tracce di una presenza che va oltre la singola opera: Pulitzer-Finali e i suoi collaboratori triestini attraverso i riferimenti alla tradizione mitteleuropea; Valle e Guidi con la capacità di interpretare modernamente e professionalmente le esigenze di una committenza spesso incapace di indicare chiaramente le proprie inclinazioni artistiche; Montuori con la continua ricerca di razionalismo mediterraneo; Saverio Muratori con l’unico nucleo perfettamente unitario per concezione e realizzazione; e poi Pagano, Piccinato, Cancellotti, Fagnoni, Del Debbio, ciascuno dei quali riversa a Carbonia l’esperienza maturata nel dibattito degli anni trenta e la propria idea di città. Carbonia acquista, dunque, un significato nella storia del Novecento come esemplare esperienza collettiva e apre una serie di questioni sulla possibilità di conservare e valorizzare un sistema complesso qual è una città, tema evidenziato nel recente dibattito sul restauro dell’architettura moderna ed espresso in maniera lucida da Françoise Choay: “la preoccupazione di conservare il patrimonio architettonico e industriale del XX secolo (compresi gli ultimi decenni), spesso esposto al rischio della demolizione a causa del cattivo stato, genera oggi un «complesso di Noè» che tende a porre al riparo dell’arca patrimoniale l’intero insieme dei nuovi tipi di costruzione apparsi nel corso di questo periodo”29. Se decidere cosa tutelare e conservare comporta sempre una serie di difficoltà, nel caso della città di fondazione, organismo architettonico e urbanistico unitario, l’impossibilità nel dare un giudizio di valore al singolo manufatto senza fargli corrispondere il suo ambiente costituisce, senz’altro, l’elemento di maggiore complessità metodologica ma anche l’obiettivo centrale dell’azione di tutela. 1 Tra il 1928 e il 1940 furono fondate in Italia dodici città nuove: Mussolinia (1928); Littoria (1932); Sabaudia (1934); Pontinia (1935); Guidonia (1935); Fertilia (1936); Aprilia (1936); Arsia (1937); Carbonia (1938); Torviscosa (1938); Pomezia (1938); Pozzo Littorio (1940). Sullo specifico delle città di fondazione in Sardegna: R. Martinelli, L. Nuti, Città nuove in Sardegna durante il periodo fascista, in “Storia urbana”, 1978, n. 6; Le città di fondazione in Sardegna, a cura di A. Lino, Cagliari 1998; Nuove città tra le due guerre. L’esperienza del moderno in Sardegna, a cura di A. Lino, G. Peghin, in “Parametro”, numero monografico, n. 235, XXXI, luglio/ottobre 2001. 2 “Al di là dei luoghi comuni […] si possono scorgere alcune costanti che scavalcarono i confini di stato e di regime e si configurarono come vere e proprie ideologie alternative, espresse dalla classe dirigente con voce insospettabile, autorevole e non di rado prendendo corpo attraverso sperimentazioni abbastanza durevoli”; cfr G. Canella, Gli anni del funzionalismo realizzato, in “Hinterland”, 5, n. 24, dicembre 1982, p. 2. 3 S. Ruinas, Viaggio per le città di Mussolini, Milano 1939, p. 111. 4 Sulle biografie degli architetti di Carbonia si rimanda alla specifica sezione tematica presente in questo libro. 5 Sulla vicenda fondativa italiana esiste una vasta bibliografia; in questa sede si rimanda agli studi di R. Mariani, Fascismo e città nuove, Milano 1976; R. Martinelli, L. Nuti, Le città di strapaese, Milano 1981; D. Ghirardo, D. Foster, I modelli delle città di fondazione in epoca fascista, in “Storia d’Italia – Annali”, vol. 8, Einaudi, Torino 1985; P. Sica, Storia dell’urbanistica. Il Novecento, Laterza, Roma-Bari 1978. 6 I contributi teorici pubblicati e divulgati in Italia sono soprattutto manuali di ingegneria sanitaria a uso dei tecnici e amministratori. L’influenza della manualistica di matrice ingegneristica sarà fondamentale nella formazione della cultura professionale del primo Novecento. Cfr. P. Sica, op. cit., pp. 61-62; C. Barucci, Strumenti e cultura del progetto. Manualistica e letteratura tecnica in Italia 18601920, Officina edizioni, Roma 1984; G. Zucconi, La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1855-1942), Jaca Book, Milano, 1989; P.L. Giordani, Considerazioni intorno a Garden Cities To.morrow, in E. Howard, L’idea della città giardino, Calderini, Bologna 1962, pp. 277-299. 7 C. Sitte, Der Städtebau nach Seinen Künstlerischen Grundsätzen, Wien 1889 (edizione italiana L’arte di costruire le città. L’urbanistica
secondo i suoi fondamenti estetici, Jaca Book, Milano, 1990). 8 J. Stübben, Der Städtebau, Handbuch der Architektur, Bergstràsser, Darmstadt 1890; C. Buls, Esthétique des villes, Bruxelles, 1893, trad. it. Estetica delle città di C. Buls, a cura di M. Pasolini, Officina, Roma 1903. 9 G. Ciucci, Gli architetti e il fascismo, Einaudi, Torino 1989, p. 14. 10 L’opera di Gottfried Feder, in particolare i progetti di una “Città per 20.000 abitanti“ elaborati tra il 1934 e il 1939 dagli allievi ingegneri della Technische Hochschule di Berlino, sembra coincidere con il carattere della città progettata da Pulitzer- Finali. Cfr. C. Schneider, 19331942: Nella Germania del Blut und Boden, in “Hinterland”, anno 5, n. 24, dicembre 1982, pp. 30-43. 11 L’opera teorica di Giovannoni è fondamentale per comprendere la costruzione della disciplina urbanistica in Italia, ma è oggi ritenuta centrale nel precorrere alcuni temi sulla città moderna e sul processo attuale di urbanizzazione. Cfr. G. Giovannoni, Vecchie città ed Edilizia nuova, Torino 1931 (nuova edizione a cura di F. Ventura, Città Studi, Milano 1995). 12 G. Giovannoni, La urbanistica e la deurbanizzazione, Roma 1936, pp. 17-18. 13 L. Piccinato, Il significato urbanistico di Sabaudia, in “Urbanistica”, 1934, n. 1, pp. 10-24. 14 G. Pulitzer-Finali, Relazione al progetto di piano regolatore del comune di Carbonia, 3 luglio 1937 (Archivio IACP Carbonia). 15 Ibid. 16 Ibid. 17 Ibid. 18 H. Tessenow, Osservazioni elementari sul costruire, Franco Angeli, Milano 1998, p. 99. 19 Sui tipi edilizi di Carbonia si rimanda alla specifica sezione tematica presente in questo libro. Su questo tema si veda anche A. Sanna, Tipi e caratteri dell’abitazione razionale a Carbonia, Cuec, Cagliari 2004. 20 G. Pulitzer-Finali, op. cit. 21 G. Giovannoni, Vecchie città ed Edilizia nuova, p. 141. 22 V. Tonini, Terra del carbone, Guanda, Modena 1943, p. 56. 23 A. Sanna, op. cit., pp. 81-82. 24 E. Montuori, G. Valle, I. Guidi, Relazione al Piano Regolatore dell’ampliamento della città di Carbonia, 10 marzo 1940 (Archivio IACP Carbonia). 25 Ibid. 26 Ibid. 27 Ibid. 28 La presenza di Pagano in Sardegna è documentata già in occasione della ricerca sulla casa rurale italiana, periodo nel quale realizza un servizio fotografico nei luoghi di Carbonia. Cfr. G. Pagano, G. Daniel, Architettura rurale italiana, Hoepli, Milano 1936; Pagano fotografo, a cura di C. De Seta, Electa, Milano 1979. L’incarico per la redazione del piano di Portoscuso è dovuta sicuramente alla mediazione di Montuori e Piccinato. In effetti, Pagano guardava all’opera Montuori con un certo interesse: nella polemica sul concorso per il Palazzo Littorio di Roma, presentato da “Casabella” come un’operazione propagandistica del tutto estranea alla città, Pagano segnalerà un unico progetto meritorio, quello di Piccinato e Montuori. Cfr. G. Pagano, Architettura e città durante il fascismo, a cura di C. De Seta, Laterza, Roma- Bari 1976, pp. XLVI-XLVIII. 29 F. Choay, L’allegoria del patrimonio, Officina, Roma 1995, p. 139.
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Programma dell’esercitazione progettuale CARBONIA CAMPO PRIGIONIERI Progetto di un quartiere residenziale
1. Il presupposto metodologico L’architettura della casa, campo di indagine del laboratorio, costituisce il primo momento di una riflessione sui luoghi del nostro territorio teso alla formazione di un metodo di progettazione dello spazio urbano contemporaneo. Il rapporto tra l’abitare e la città, tra la dimensione privata della casa e il ruolo che la stessa assume come elemento generatore dello spazio collettivo costituiscono, infatti, il fondamento del lavoro di questo corso e le ragioni etiche del lavoro dell’architetto. Il luogo scelto per il progetto, Carbonia, è una città sorta nella prima metà del novecento sulla base di un disegno urbanistico ordinatore e di un programma edilizio che prevedeva la costruzione di residenze per circa cinquantamila abitanti. Una città moderna, dunque, che è stata un laboratorio di tipologie abitative, da quelle estensive della città giardino all’edilizia residenziale intensiva e plurifamiliare. Confrontarsi progettualmente con la storia di questa città sul tema dell’abitazione significa poter sperimentare forme residenziali attuali, in continuità o come evoluzione dei modelli abitativi esistenti; significa, anche, confrontarsi con un documento vivo e tuttora attivo dell’abitare contemporaneo, con l’evoluzione e le pratiche innovative che si sono elaborate a partire dall’esperienza moderna del primo novecento. In questi spazi si generano e si riproducono le condizioni della modernità. In questi contesti il progetto della casa può trovare le ragioni per una sua attualizzazione secondo modelli non convenzionali. Riorganizzare, dunque, i luoghi di margine di questa città ha un duplice significato. Da un lato è un’operazione tesa a confrontare il tema dell’abitare con un contesto complesso come quello dei margini urbani, luoghi che si identificano come un tessuto periferico frammentato ed incompleto privi di un disegno che riconosca il limite tra urbano, rurale e naturale. Dall’altro è l’occasione per guardare all’esperienza della città moderna come ad un processo ancora aperto, un continuo incrociarsi, sovrapporsi e mescolarsi di storie e di idee.
2. Il tema progettuale La seconda esercitazione rappresenta la continuazione, in ottica progettuale, della prima parte del corso in cui lo studente ha affrontato la comprensione degli aspetti tipologici e distributivi di alcuni esempi di case. ll progetto avrà luogo nel quartiere denominato “Campo prigionieri” situato nella periferia sud orientale del comune di Carbonia, ai confini col sistema naturale del Monte Leone e del Monte Rosmarino. “Campo prigionieri” è un quartiere periferico sorto per offrire abitazioni per gli operai addetti alla costruzione della città di fondazione. Le tipologie abitative con le quali si è composto il quartiere, denominate GraB,
erano destinate esclusivamente alla residenza temporanea; conclusa, infatti, la funzione di ospitalità, le case dovevano essere sostituite con altre tipologicamente e dimensionalmente più adeguate. Oggi questo quartiere rappresenta un problema sociale e urbanistico, essendo i requisiti igienico-sanitari e tipologici molto al di sotto degli standards minimi previsti per legge. Partendo da questi presupposti, la proposta progettuale potrà prevedere la sostituzione del patrimonio edilizio preesistente delle GraB e il disegno di un nuovo quartiere residenziale all’interno del perimetro dell’attuale edificato. Questo nuovo quartiere dovrà declinarsi in alcune “figure” urbane riferite ai modelli della città del ventesimo secolo: la città orizzontale, la città verticale, la città giardino, la città compatta. Sono modalità di organizzazione dello spazio urbano che non si pongono in contrapposizione, ma rappresentano possibili declinazioni dell’abitare a partire da precise scelte tipologiche. Il disegno del quartiere e il disegno della casa diventano, così, due momenti dello stesso progetto; la scelta tipologica si riflette sul disegno del quartiere come la “figura” urbana che si vuole prefigurare conduce necessariamente ad una precisa espressione tipologica.
3. L’esercitazione L’elaborazione progettuale deve far riferimento alla scelta tipologica che lo studente ha indicato nella prima parte del corso: la casa a corte, la casa isolata, la casa a schiera e in linea. Ogni studente singolarmente dovrà, infatti, confrontarsi con il progetto della medesima tipologia affrontata nella prima esercitazione. La scelta tipologica e la sua formalizzazione architettonica dovrà tener conto dell’aggregazione in tessuto urbano e delle relazioni con la città esistente, le sue infrastrutture e la dimensione ambientale del luogo. L’esercitazione si articola in due fasi: A. Il progetto elaborato all’interno delle attività ordinarie del corso: - la definizione di strategie per la rigenerazione urbana dell’area attraverso schemi, diagrammi, progetti, in grado di evidenziare potenzialità e possibilità del luogo; - la prefigurazione di scenari realizzati mediante il riferimento a progetti e modelli urbani noti; - l’elaborazione del tipo architettonico e delle sue varianti; - il carattere architettonico e la dimensione costruttiva. Il risultato di questa riflessione sarà rappresentato nelle scale adeguate e con gli strumenti del disegno architettonico e del modello B. La conclusione del percorso progettuale con un Workshop intensivo della durata di tre giorni (14-15-16 gennaio 2012, Aula A/B Corte d’Appello)
4. Gli elaborati richiesti Il progetto sarà sviluppato in due tavole formato A2, accompagnate da disegni e schizzi preparatori e da una breve relazione del progetto. La prima tavola dovrà evidenziare le relazioni tra abitazione e spazio aperto, e tra quartiere e contesto; la seconda dovrà sviluppare il tipo architettonico e le modalità di aggregazione. Ad integrazione delle tavole dovrà essere prodotto un modello del progetto urbano, il quartiere, ed un modello del progetto architettonico, quest’ultimo sviluppato in occasione del workshop conclusivo. Nel dettaglio gli elaborati richiesti sono: - un modello in scala 1:2000 di dimensione A2 che chiarirà il rapporto tra il progetto proposto, la città ed il paesaggio. - una tavola A2 in scala 1:500 che chiarirà la tipologia e la metodologia di aggregazione scelti. In questa tavola troveranno posto la pianta dei tetti e la pianta del piano terra. - una tavola A2 in scala 1:100 che definirà una unità abitativa, in pianta, in sezione ed in facciata. Saranno accettati in questa tavola anche altri elaborati quali schemi tipologici e distributivi, assonometrie e prospettive. - un modello in scala 1:100 di dimensione A2 che chiarirà la volumetria ed i caratteri principali del progetto. Al fine di rendere più agevole lo svolgimento della parte progettuale dell’esercitazione, saranno forniti i layout di tutti gli elaborati richiesti. Gli esiti progettuali saranno successivamente sviluppati nel secondo semestre con l’approfondimento degli aspetti costruttivi e tecnologici. Calendario: 05 | 11 | 2012 Lezione introduttiva su Carbonia ed inizio della seconda esercitazione
06 | 11 | 2012 Visita guidata a Carbonia ed al luogo del progetto 12 | 11 | 2012 Lezione teorica e laboratorio 13 | 11 | 2012 Laboratorio 19 | 11 | 2012 Laboratorio | Seminario 20 | 11 | 2012 Laboratorio | Seminario 26 | 11 | 2012 Lezione teorica e laboratorio 27 | 11 | 2012 Laboratorio 03 | 12 | 2012 Critica intermedia 04 | 12 | 2012 Lezione teorica e laboratorio 10 | 12 | 2012 Lezione teorica e laboratorio 11 | 12 | 2012 Laboratorio 17 | 12 | 2012 Lezione teorica e laboratorio 18 | 12 | 2012 Laboratorio 14-16 | 12 | 2012 Workshop intensivo
ALLEGATO 1 BASE CARTOGRAFICA
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ALLEGATO 2 1939-1940 CASA PER OPERAI TIPO GRA B Ufficio Tecnico A.Ca.I.
In alcune zone periferiche del villaggio di Bacu Abis si trovano le tipologie Gra B. Queste case rappresentano il tipo più elementare tra tutti quelli elaborati dall’Istituto Fascista per le Case Popolari dell’A.Ca.I. e, durante le fasi più concitate, furono addirittura costruite con funzione di cameroni per gli operai, senza partizioni interne e con solo gli indispensabili servizi. La Gra B esprime, quindi, la soluzione più economica e immediata al fabbisogno abitativo, tale da divenire un tipo edilizio diffuso anche nell’abitato di Carbonia, soprattutto nelle zone periferiche di monte Rosmarino. In realtà, proprio l’estrema semplicità della loro architettura, con il profilo timpanato e gli ingressi in sequenza, rimanda a un’essenzialità quasi archetipica che cerca un segno di riconoscibilità e decoro proprio nel suo stilizzare gli elementi base del tipo residenziale. La distribuzione interna, nonostante la metratura minima, è altrettanto semplice ma non per questo meno efficace: lo spazio è razionalmente diviso in due fasce, la prima contenente l’ingresso e i servizi e la seconda, più ampia, con le stanze, rivelando un’evidente accortezza all’ottimizzazione degli spazi e alla loro organizzazione reciproca.
ALLEGATO 3 NORMATIVA GUIDA PER IL PROGETTO ESEMPI DI DIMENSIONAMENTO DEI VANI DECRETO MINISTERIALE 5 LUGLIO 1975
Art. 1 ALTEZZA MINIMA INTERNA DELLE ABITAZIONI [1] L’altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione è fissata in m 2,70, riducibili a m 2,40 per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli. [2] Nei comuni montani al di sopra dei m 1.000 s.l.m. può essere consentita, tenuto conto delle condizioni climatiche locali e della locale tipologia edilizia, una riduzione dell’altezza minima dei locali abitabili a m 2,55. “[3] Le altezze minime previste nel primo e secondo comma possono essere derogate entro i limiri già esistenti e documentati per i locali di abitazione di edifici situati in ambito di comunità montane sottoposti ad interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie quando l’edificio presenti caratteristiche tipologiche specifiche del luogo meritevoli di conservazione ed a condizione che la richiesta di deroga sia accompagnata da un progetto di ristrutturazione con soluzioni alternative atte a garantire, comunque, in relazione al numero degli occupanti, idonee condizioni igienico-sanitarie dell’alloggio, ottenibili prevedendo una maggiore superficie dell’alloggio e dei vani abitabili ovvero la possibilità di una adeguata ventilazione naturale favorita dalla dimensione delle finestre, dai riscontri d’aria trasversali e dall’impiego di mezzi di ventilazione naturale ausiliaria” (2). Art. 2 SUPERFICIE ABITABILE [1] Per ogni abitante deve essere assicurata una superficie abitabile non inferiore a mq 14, per i primi 4 abitanti, ed a mq 10, per ciascuno dei successivi. [2] Le stanze da letto debbono avere una superficie minima di mq 9, se per una persona, e di mq 14, se per due persone. [3] Ogni alloggio deve essere dotato di una stanza di soggiorno di almeno mq 14. [4] Le stanze da letto, il soggiorno e la cucina debbono essere provvisti di finestra apribile. Art. 3 ALLOGGIO MONOSTANZA [1] Ferma restando l’altezza minima interna di m 2,70, salvo che per i comuni situati al di sopra dei m 1.000 s.l.m. per i quali valgono le misure ridotte già indicate all’art. 1, l’alloggio monostanza, per una persona, deve avere una superficie minima, comprensiva dei servizi, non inferiore a mq 28, e non inferiore a mq 38, se per due persone.
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Art. 4 IMPIANTI DI RISCALDAMENTO [1] Gli alloggi debbono essere dotati di impianti di riscaldamento ove le condizioni climatiche lo richiedano. [2] La temperatura di progetto dell’aria interna deve essere compresa tra i 18°C e i 20°C; deve essere, in effetti, rispondente a tali valori e deve essere uguale in tutti gli ambienti abitati e nei servizi, esclusi i ripostigli. [3] Nelle condizioni di occupazione e di uso degli alloggi, le superfici interne delle parti opache delle pareti non debbono presentare tracce di condensazione permanente. Art. 5 ILLUMINAZIONE NATURALE DIRETTA [1] Tutti i locali degli alloggi, eccettuati quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli debbono fruire di illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso. [2] Per ciascun locale d’abitazione, l’ampiezza della finestra deve essere proporzionata in modo da assicurare un valore di fattore luce diurna medio non inferiore al 2 per cento, e comunque la superficie finestrata apribile non dovrà essere inferiore a 1/8 della superficie del pavimento. [3] Per gli edifici compresi nell’edilizia pubblica residenziale occorre assicurare, sulla base di quanto sopra disposto e dei risultati e sperimentazioni razionali, l’adozione di dimensioni unificate di finestre e, quindi, dei relativi infissi. Art. 6 VENTILAZIONE MECCANICA [1] Quando le caratteristiche tipologiche degli alloggi diano luogo a condizioni che non consentano di fruire di ventilazione naturale, si dovrà ricorrere alla ventilazione meccanica centralizzata immettendo aria opportunamente captata e con requisiti igienici confacenti. [2] É comunque da assicurare, in ogni caso, l’aspirazione di fumi, vapori ed esalazioni nei punti di produzione (cucine, gabinetti, ecc.) prima che si diffondano. [3] Il “posto di cottura”, eventualmente annesso al locale di soggiorno, deve comunicare ampiamente con quest’ultimo e deve essere adeguatamente munito di impianto di aspirazione forzata sui fornelli. Art. 7 STANZA DA BAGNO [1] La stanza da bagno deve essere fornita di apertura all’esterno per il ricambio dell’aria o dotata di impianto di aspirazione meccanica. [2] Nelle stanze da bagno sprovviste di apertura all’esterno è proibita l’installazione di apparecchi a fiamma libera. [3] Per ciascun alloggio, almeno una stanza da bagno deve essere dotata dei seguenti impianti igienici: vaso, bidet, vasca da bagno o doccia, lavabo. Art. 8 PROTEZIONE ACUSTICA [1] I materiali utilizzati per le costruzioni di alloggi e la loro messa in opera debbono garantire un’adeguata protezione acustica agli ambienti per quanto concerne i rumori da calpestìo, rumori da traffico, rumori da impianti o apparecchi comunque installati nel fabbricato, rumori o suoni aerei provenienti da alloggi contigui e da locali o spazi destinati a servizi comuni. [2] All’uopo per una completa osservanza di quanto sopra disposto occorre far riferimento ai lavori ed agli standards consigliati dal Ministero dei lavori pubblici o da altri qualificati organi pubblici.
1. Lunghezza = 2. Larghezza = A. Tavolo per 4 persone B. Divano C. Mobile D. Letto matrimoniale
5.85 m 5.40 m A 2 B D C
1
1. Lunghezza = 2. Larghezza = 3. Porta = 4. Larghezza armadio = 5. Larghezza vasca = A. Vasca da bagno B. Wc C. Bidet D. Lavabo E. Armadio
3.10 m 1.80 m 0.75 m 0.60 m 0.70 m
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B 2
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A C
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MONOLOCALE
Monolocale: è costituito da un unico vano più servizio igienico. La sua dimensione può variare se progettato per ospitare una o due persone al massimo. Nel R.E. di Cagliari ad esempio esiste specifica norma che impone una dimensione non inferiore a 28 m2 per una singola persona, mentre non inferiore a 38 m2 se progettato per due persone. CUCINA 7 m2 La cucina, può essere ambiente separato o completamente chiusa. Importanti sono le dimensioni degli arredi, nell’ambiente cucina. I moduli standard hanno dimensioni 60X60 cm o moduli più sottili da 45X60 o 30X60 cm altezza. Lo spazio interposto tra gli arredi e parete/altro arredo non può essere inferiore a 90 cm per permettere maggiore facilità di lavoro. Nel monolocale l’ambiente cucina è sempre in comune con la sala da pranzo e l’angolo letto. SALA DA PRANZO-LETTO (28/38 m2) – area bagno Il monolocale, essendo composto da un unico ambiente, consente di sommare le superfici dei singoli vani, sottraendo solo la superficie da destinare al servizio igienico. BAGNO 3/5 m2 La dimensione minima del servizio igienico varia, come già detto, a seconda del R.E.; nella normativa vigente nel comune di Cagliari non è specificato una dimensione minima, ma indica come sanitari obbligatori da installare nel bagno: wc, bidèt, vasca da bagno o doccia e lavabo. In un appartamento di queste dimensioni, la legge consente che il servizio igienico non sia fornito di ventilazione naturale, ma se sprovvisto, sia obbligatorio dotarlo di ventilazione forzata, per consentire il deflusso all’esterno dei vapori prodotti nel locale.
1. Lunghezza = 6.00 m 2. Larghezza passaggio = 1.60 m 3. Larghezza mobili = 0.60 m A. Mobili da cucina B. Tavolo per 4 persone
B
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A
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1. Lunghezza = 6.60 m 2. Larghezza = 4.75 m A. Tavolo per 4/6 persone B. Divano C. Mobile Area cucina Area salone
B A
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C 5
1. Lunghezza = 3.10 m 2. Larghezza = 1.80 m 3. Porta = 0.75 m 4. Larghezza armadio = 0.60 m 5. Larghezza vasca = 0.70 m
A. Vasca da bagno B. Wc C. Bidet D. Lavabo E. Armadio
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1. Lunghezza = 5.00 m 2. Larghezza = 3.00 m 3. Porta = 0.85 m 4. Passaggio = 0.70 m 5. Larghezza armadio = 0.60 m A. Armadio B. Letto matrimoniale
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B
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BILOCALE
Il bilocale è composto da un ambiente cucina (separato o comunicante con il soggiorno), un ambiente soggiornosala da pranzo, una camera da letto e un servizio igienico. CUCINA 7 m2 La cucina, può essere ambiente separato o completamente chiuso. Importanti sono le dimensioni degli arredi, nell’ambiente cucina. I moduli standard hanno dimensioni 60X60 cm o moduli più sottili da 45X60 o 30X60 cm altezza. Lo spazio interposto tra gli arredi e parete/altro arredo non può essere inferiore a 90 cm per permettere maggiore facilità di lavoro. SOGGIORNO-SALA DA PRANZO 14 m2 L’ambiente soggiorno-sala da pranzo deve contenere al suo interno un tavolo per il pranzo per 4 persone e uno spazio dedicato al relax con divano e mobile soggiorno per la tv. In questo caso gli ambienti sommano le loro dimensioni con l’ambiente cucina. BAGNO 3/5 m2 La dimensione minima del servizio igienico varia, come già detto, a seconda del R.E.; nella normativa vigente nel comune di Cagliari non è specificato una dimensione minima, ma indica come sanitari obbligatori da installare nel bagno: wc, bidèt, vasca da bagno o doccia e lavabo. In un appartamento di queste dimensioni, la legge consente che il servizio igienico non sia fornito di ventilazione naturale, ma se sprovvisto, sia obbligatorio dotarlo di ventilazione forzata, per consentire il deflusso all’esterno dei vapori prodotti nel locale. LETTO 14 m2 La camera da letto per buona regola non deve avere un lato inferiore a 2.70 m, così da consentire la disposizione del letto e lasciare il passaggio libero e agevole per una persona. Le dimensioni di un letto standard sono 1.80 X 2.00 m, la larghezza dell’armadio è sempre 0,60 mentre la lunghezza è variabile
1. Lunghezza = 6.00 m 2. Larghezza passaggio = 1.60 m 3. Larghezza mobili = 0.60 m A. Mobili da cucina B. Tavolo per 4 persone
B
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A
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1. Lunghezza = 6.00 m 2. Larghezza = 3.30 m A. Mobili B. Tavolo per 6/8 persone C. Divano D. Mobile porta tv Area pranzo Area salone
C 2 B
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D 1
1. Lunghezza = 2. Larghezza = 3. Porta = 4. Larghezza armadio = 5. Larghezza vasca = A. Vasca da bagno B. Wc C. Bidet D. Lavabo E. Armadio
3.10 m 1.80 m 0.75 m 0.60 m 0.70 m
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TRILOCALE
Il trilocale è composto da un ambiente cucina (generalmente separato), soggiorno-sala da pranzo, due camere da letto (una matrimoniale e una singola o due doppie), servizi igienici (uno o due). CUCINA 7 m2 La cucina, può essere ambiente separato o completamente chiusa. Importanti sono le dimensioni degli arredi, nell’ambiente cucina. I moduli standard hanno dimensioni 60X60 cm o moduli più sottili da 45X60 o 30X60 cm altezza. Lo spazio interposto tra gli arredi e parete/altro arredo non può essere inferiore a 90 cm per permettere maggiore facilità di lavoro. Se la cucina ha dimensioni adeguate per poter contenere un tavolo da 4 persone si dice cucina abitabile. SOGGIORNO-SALA DA PRANZO 14 m2 L’ambiente soggiorno-sala da pranzo deve contenere al suo interno un tavolo per il pranzo per 6-8 persone e uno spazio dedicato al relax con divano e mobile soggiorno per la tv. BAGNO 3/5 m2 La dimensione minima del servizio igienico varia, come già detto, a seconda del R.E.; nella normativa vigente nel comune di Cagliari non è specificato una dimensione minima, ma indica come sanitari obbligatori da installare nel bagno: wc, bidèt, vasca da bagno o doccia e lavabo. In un trilocale è possibile prevedere due bagni, uno dei quali deve avere ventilazione naturale, mentre il secondo può essere servito da ventilazione forzata. Nel secondo bagno è obbligatorio l’installazione di un lavabo e wc, gli altri sanitari sono a discrezione del progettista.
1. Lunghezza = 5.00 m 2. Larghezza = 3.00 m 3. Porta = 0.85 m 4. Passaggio = 0.70 m 5. Larghezza armadio = 0.60 m A. Armadio B. Letto matrimoniale
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B
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1. Lunghezza = 4.20 m 2. Larghezza = 2.45 m 3. Larghezza armadio = 0.60 m 4. Porta = 0.85 m 5. Larghezza letto = 0.90 m A. Armadio B. Letto singolo C. Scrivania
1. Lunghezza = 2. Larghezza = 3. Porta = 4. Larghezza armadio = 5. Passaggio = A. Armadio B. Letto singolo C. Scrivania
4.20 m 2.70 m 0.85 m 0.60 m 0.70 m
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5 A B
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LETTO MATRIMONIALE 14 m2 La camera da letto per buona regola non deve avere un lato inferiore a 2.70 m, così da consentire la disposizione del letto e lasciare il passaggio libero e agevole per una persona. Le dimensioni di un letto standard sono 1.80 X 2.00 m, la larghezza dell’armadio è sempre 0,60 mentre la lunghezza è variabile. LETTO SINGOLO 9m2 La camera da letto singola per buona regola non deve avere un lato inferiore a 2.40 m, così da consentire la disposizione del letto su un lato del muro, l’armadio sul lato opposto e il passaggio al centro Le dimensioni standard di un letto singolo sono 0.90 X 2.00 m, la larghezza dell’armadio è sempre 0,60 mentre la lunghezza è variabile. All’interno della camera singola è inoltre necessario prevedere lo spazio per una libreria, le cui dimensioni sono variabili. Il trilocale può avere una stanza singola o una doppia così composta: LETTO DOPPIO 14 m2 La camera da letto doppia ha le stesse dimensioni di una matrimoniale e deve contenere al suo interno almeno due letti singoli e armadio. Così come la camera da letto matrimoniale anche questa camera non può avere un lato inferiore a 2.80 m per consentire il disposizione dei letti singoli e lasciare un passaggio agevole di circa 0.80 m. Le dimensioni standard di un letto singolo sono 0.90 X 2.00 m, la larghezza dell’armadio è sempre 0,60 mentre la lunghezza è variabile.
1. Lunghezza 2. Larghezza passaggio 3. Larghezza mobili A. Mobili da cucina B. Tavolo per 4 persone
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1. Lunghezza 2. Larghezza passaggio 3. Larghezza mobili A. Tavolo per 6/8 persone B. Divano C. Mobile da sala
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1. Lunghezza 2. Larghezza 3. Porta 4. Larghezza armadio 5. Larghezza vasca A. Vasca da bagno B. Wc C. Bidet D. Lavabo E. Armadio
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QUADRILOCALE
Il quadrilocale è del tutto simile al trilocale ma contiene un vano in più. Detto vano aggiuntivo può essere una camera da letto o un locale studio. CUCINA 7 m2 La cucina, può essere ambiente separato o completamente chiusa. Importanti sono le dimensioni degli arredi, nell’ambiente cucina. I moduli standard hanno dimensioni 60X60 cm o moduli più sottili da 45X60 o 30X60 cm altezza. Lo spazio interposto tra gli arredi e parete/altro arredo non può essere inferiore a 90 cm per permettere maggiore facilità di lavoro. Se la cucina ha dimensioni adeguate per poter contenere un tavolo da 4 persone si dice cucina abitabile. SOGGIORNO-SALA DA PRANZO 14 m2 L’ambiente soggiorno-sala da pranzo deve contenere al suo interno un tavolo per il pranzo per 6-8 persone e uno spazio dedicato al relax con divano e mobile soggiorno per la tv. BAGNO 3/5 m2 La dimensione minima del servizio igienico varia, come già detto, a seconda del R.E.; nella normativa vigente nel comune di Cagliari non è specificato una dimensione minima, ma indica come sanitari obbligatori da installare nel bagno: wc, bidèt, vasca da bagno o doccia e lavabo. In un trilocale è possibile prevedere due bagni, uno dei quali deve avere ventilazione naturale, mentre il secondo può essere servito da ventilazione forzata. Nel secondo bagno è obbligatorio l’installazione di un lavabo e wc, gli altri sanitari sono a discrezione del progettista.
1. Lunghezza 2. Larghezza 3. Porta 4. Passaggio 5. Larghezza armadio A. Armadio B. Letto matrimoniale
5
3
4
2 A
B
1
1. Lunghezza 2. Larghezza 3. Porta 4. Passaggio 5. Larghezza armadio A. Armadio B. Letto singolo C. Scrivania
1. Lunghezza 2. Larghezza 3. Porta 4. Larghezza armadio 5. Passaggio A. Armadio B. Letto singolo C. Scrivania
A
3 4
2
5
B
C 1
3
4
5 A B
B
1
2
LETTO MATRIMONIALE 14 m2 La camera da letto per buona regola non deve avere un lato inferiore a 2.70 m, così da consentire la disposizione del letto e lasciare il passaggio libero e agevole per una persona. Le dimensioni di un letto standard sono 1.80 X 2.00 m, la larghezza dell’armadio è sempre 0,60 mentre la lunghezza è variabile. LETTO SINGOLO 9m2 La camera da letto singola per buona regola non deve avere un lato inferiore a 2.40 m, così da consentire la disposizione del letto su un lato del muro, l’armadio sul lato opposto e il passaggio al centro Le dimensioni standard di un letto singolo sono 0.90 X 2.00 m, la larghezza dell’armadio è sempre 0,60 mentre la lunghezza è variabile. All’interno della camera singola è inoltre necessario prevedere lo spazio per una libreria, le cui dimensioni sono variabili. LETTO DOPPIO 14 m2 La camera da letto doppia ha le stesse dimensioni di una matrimoniale e deve contenere al suo interno almeno due letti singoli e armadio. Così come la camera da letto matrimoniale anche questa camera non può avere un lato inferiore a 2.80 m per consentire il disposizione dei letti singoli e lasciare un passaggio agevole di circa 0.80 m. Le dimensioni standard di un letto singolo sono 0.90 X 2.00 m, la larghezza dell’armadio è sempre 0,60 mentre la lunghezza è variabile.
SUPERFICIE COPERTA MASSIMA 50 % DEL LOTTO
Superficie massima coperta 50 % Superficie di progetto (strade+superficie libera+edificabile) 10.000 m2
Superficie minima libera 50 %
1.5m INIDICE MINIMO 1,5 m3/m2 Area di base 1m x 1m = 1m2 Altezza 1,5m
1m
1m
Superficie 2500 m2 Altezza 6m Volume edificabile 2500m2 x 6m = 15000 m3
Superficie coperta 5000 m2 Altezza 3m Volume edificabile 5000m2 x 3m = 15000 m3
Superficie 10000 m2 Altezza 1.5m
6m
3m
Volume edificabile 10000m2 x1.5m = 15000 m3 Superficie ibera
Superficie libera
50 %
75 %
1.5m 2m INIDICE MASSIMO 2 m3/m2 Area di base 1m x 1m = 1m2 Altezza 2m
1m
Superficie coperta 2500 m2 Volume edificabile 20000 m3= 7500 PT + 7500 1째P + 5000 2째P
1m
3m
3m Superficie coperta 5000 m2 Superficie 10000 m2 Altezza 2m Volume edificabile 10000m2 x2m = 20000 m3
3m
2m
ALTEZZA MASSIMA 9m (3 piani)
6m
Volume edificabile 20000 m3= 15000m3 PT+5000m3 1째P
Superficie ibera
Superficie libera
50 %
75 %
ALLEGATO 4 INDICI E PARAMETRI URBANI DI RIFERIMENTO
L’applicazione di indici, norme e parametri che definiscano la densità e distribuzione dei volumi in urbanistica è diventata parte integrante ed imprescindibile di una corretta progettazione urbana. E’ necessario effettuare una prima distinzione fondamentale tra una densità urbana usata per descrivere un determinato ambiente ed invece quando essa viene utilizzata per prescrivere, normare o influenzare l’evoluzione di un territorio. Possiamo inoltre affermare che questa osservazione ripercorre l’uso che, nel corso della storia dell’urbanistica, è stato fatto dei parametri riguardanti la densità urbana. Dal 1900 ad oggi diversi parametri sono stati utilizzato per definire dei minimi in grado di supportare i servizi ed i trasporti pubblici, produrre un ambiente urbano più sostenibile e favorire le interazioni umane: DENSITÁ ABITATIVA può essere descritto rispettivamente come numero di abitanti in un’area e numero di abitazioni in un’area. Questa metodologia di valutazione è molto usata a livello internazionale per la sua immediatezza nel fornirci delle informazioni riguardanti i servizi e le vie di comunicazione necessarie per una buona qualità di vita. Anche Frank Lloyd Wright, nella sua Broad Acre City definisce una densità di 2.5 proprio usando il numero di abitazioni per ettaro. Le variazioni della dimensioni della famiglia media, la variazione delle dimensioni della abitazione media nel tempo, nelle diverse culture e nelle diverse tipologie abitative evidenziano i limiti di questo parametro che risulta alquanto lontano da una corretta rappresentazione qualitativa dell’ambiente urbano. DENSITÁ EDILIZIA esprime il rapporto aritmetico tra il volume edificato e la superficie del terreno interessata dall’intervento. RAPPORTO DI COPERTURA indica il rapporto in percentuale tra la superficie coperta (proiezione sul piano orizzontale delle superfici edificate fuori terra) e la superficie totale del lotto. ALTEZZA MASSIMA indica la massima altezza raggiungibile dagli edifici e risulta fortemente legata ai valori di Per la seconda esercitazione sono stati definiti degli intervalli dei valori di intensità da seguire per una corretta distribuzione dei volumi. Il RAPPORTO DI COPERTURA del lotto dovrà essere al massimo il 50%. Ciò significa che i volumi dovranno essere distribuiti in modo tale da lasciare almeno la metà del lotto libera. LA DENSITÁ EDILIZIA dovrà essere compresa tra 1.5 e 2. Ciò significa che per ogni m quadrato di superficie del lotto dovrà corrispondere da 1.5 a 2 metri cubi di volume costruito. Il volume così ricavato può essere distribuito in modo vario a seconda dei valori del rapporto di copertura. L’ALTEZZA MASSIMA ammessa per gli edifici è di 3 piani, in conformità con il tessuto urbano circotsnate l’are di progetto.
Ludwig Hilberseimer, varianti di un isolato a densitĂ costante