14 minute read
Salvaguardia della Torre di Pisa
Torri medioevali di Pavia
Tali indagini furono preziose alla Commissione ministeriale per effettuare le verifiche di stabilità di altre sei torri medioevali di Pavia: la Torre dell’Orologio, la Torre Fraccaro, la Torre del Majno, la Torre Belcredi, la Torre di San Dalmazio, il Campanile del Carmine.
Advertisement
La Torre di San Dalmazio ebbe un intervento urgente. La Torre Fraccaro mostrò movimenti anelastici tali da costringere all’evacuazione dell’area e fu successivamente consolidata. La Torre del Majno fu anch’essa consolidata. La progettazione degli interventi fu affidata dalle proprietà a professionisti estranei alla Commissione.
Il Duomo di Pavia. Interventi urgenti
La Commissione ministeriale si occupò del Duomo con urgenti indagini e valutazioni del rischio, la ricostruzione della cappella crollata, l’apposizione di catene temporanee alla navata sinistra e di una catena di sei barre tra le sommità dei pilastri n. 4 e n. 5, che avevano mostrato in breve periodo un chiaro movimento di convergenza.
Nei primi tre mesi di attività la Commissione realizzò in Duomo e sulle torri uno dei più completi sistemi di monitoraggio on-line all’epoca applicato su un monumento.
La Commissione ministeriale decadde e fu sciolta il 30 giugno 1993, con un avanzo sul finanziamento stanziato che consentì altri interventi e il controllo del monitoraggio. La Relazione preliminare di dicembre 1991 dichiarò che il Duomo, con i suoi 92 m di altezza e la cupola di 30 m di diametro, era una costruzione grandiosa, alla quale però facevano riscontro una grande esilità degli elementi strutturali portanti realizzati in un processo di costruzione durato cinque secoli, la difficoltà di trovare informazioni documentali, l’impressionante stato di fratturazione dei marmi e le impressionanti fessure nelle murature, le preoccupanti informazioni sui dissesti verificatisi . I rilievi e le analisi strutturali avrebbero richiesto diversi anni di lavoro e importanti mezzi. La Commissione concordava sulla riapertura al pubblico della Cattedrale a partire dal 9 dicembre 1991 in avanti e raccomandava che il Duomo venisse sottoposto a quella verifica statica globale che non era ad ora possibile, dando inizio così a un vero restauro. Affidava temporaneamente la sicurezza a un efficiente monitoraggio.
Le autorità competenti, dopo essere intervenute attivamente nella Commissione ministeriale, si attivarono per il necessario intervento sul Duomo. Il Prov
IUAV, AP, FSTM 4, NP 070505, Torri di Pavia, 1989-1993, Commissione tecnico-scientifica per l’esame delle cause del crollo della Torre civica e indagini sullo stato di conservazione di altri monumenti cittadini circostanti, Relazione preliminare, Pavia, dicembre 1991.
Torri medioevali di Pavia
veditorato alle opere pubbliche per la Lombardia esperì il 9 novembre 1993 una gara fra professionisti per progettazioni e studi delle opere di consolidamento del Duomo di Pavia. Il Provveditorato mi affidò l’incarico il 21 dicembre 1993; tra il giugno e l’agosto 1994 la competenza dei lavori passò alla Regione Lombardia e quindi alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Ambientali, sotto la direzione dell’arch. Lucia Gremmo.
Le indagini furono affidate a ISMES, con l’assistenza dell’Impresa San Marco; il 25 gennaio 1995 mi fu affidata la direzione delle indagini, comprendente il rilievo, le analisi numeriche, le verifiche e le indicazioni progettuali. La relazione Conclusioni sulle indagini. Studi ed analisi (maggio 1998) riportava i risultati raggiunti da tale complessa serie di indagini estese a tutto il Duomo, che per la prima volta consentivano di valutare il suo stato patologico dovuto agli eventi di 500 anni . Ma i capitoli Indicazioni sugli interventi di consolidamento e Sperimentazione su modello mostrano che si trattava di un vero e proprio Progetto preliminare con la proposta di un metodo innovativo (già sperimentato su modello in laboratorio) per l’intervento sui pilastri dell’Ottagono, l’intervento più urgente e importante .
Storia strutturale del Duomo di Pavia
Nella tormentata storia del Duomo di Pavia si trovano le ragioni delle sue gravi patologie, quella della fratturazione dei marmi e quella della grande Cupola.
Iniziato nel 1488, il Duomo è terminato solo nel 1932 con la costruzione dei due bracci trasversali. Con il grandioso edificio rinascimentale s’intendevano sostituire sia le due esistenti basiliche romaniche di S. Stefano e S. Maria del Popolo sia il Battistero: il magnifico modello ligneo del Fugazza (1501), conservato al Museo del Castello visconteo, è considerato il vero “progetto” della Cattedrale, attribuito a Bramante insieme ad altri architetti lombardi, benché le differenze della costruzione rispetto al modello siano sostanziali.
La costruzione iniziò dall’abside, dal presbiterio e dalle sacrestie: poi subì lunghe interruzioni dovute alla caduta degli Sforza, tanto che la realizzazione degli otto pilastri dell’Ottagono richiese circa 150 anni. A tale epoca, senza il peso della sovrastante costruzione, il marmo dei pilastri era già in parte “scagliato”. Gli architetti del Settecento rifiutarono di costruire la cupola; la chiesa, costruito il tamburo, fu coperta con un soffittone ligneo.
IUAV, AP, FSTM 4, NP 070506, Duomo di Pavia: protocollo 44, 1995-2005, Conclusioni sulle indagini, studi ed analisi numeriche, verifiche statiche, indicazioni progettuali degli interventi di consolidamento, Milano, maggio 1998. IUAV, AP, FSTM 4, NP 070506, Duomo di Pavia: protocollo 44, 1995-2005, rel cit., pp. 107-110 e 127-128.
Interno del Duomo di Pavia (foto G. Chiolini & C., Pavia)
alta velocit: “ viadotti modena ” a via inferiore 1998-1999
Un’infrastruttura impopolare
Mentre l’inaugurazione delle ferrovie e dei trafori ottocenteschi era un’apoteosi di bandiere, fanfare ed entusiasmo popolare, l’Alta Velocità ferroviaria, infrastruttura attesa da decenni, fu il più amato bersaglio della politica “verde” negli anni Novanta in Italia.
I “Viadotti Modena” sono figli di quella politica. Ogni straniero o alieno che capiti qui non mancherà di chiedersi perché, nell’anno 2000, per percorrere il tragitto tra Rimini e Milano, che i Romani (popolo senza fantasia!) avevano tracciato quasi con una retta, l’Alta Velocità deve compiere un’ampia deviazione verso nord, allontanandosi per 3 km da Modena, la città che deve servire (e infatti serve con un braccio addizionale!). Si chiederà anche perché quest’ampia divagazione di ben 12 km il treno la debba compiere in viadotto (a 5 m di altezza sulla tranquilla pianura), perdendo in velocità e raddoppiando almeno i costi. Per rispondere alla domanda occorre conoscere la storia.
Per cinque anni il Consiglio comunale di Modena disse di no al passaggio della ferrovia ad alta velocità nel tratto modenese, arrestando di fatto l’intera linea Milano-Roma: la motivazione fondamentale era l’impatto ambientale, in particolare quello acustico. All’obiezione che il traffico normale nelle vie di Modena produce un rumore ben maggiore veniva risposto che non era un buon motivo per peggiorarlo.
All’inizio del 1998, all’ennesima riunione della Conferenza di servizi, il Consiglio comunale diede il suo assenso. Nel tripudio generale non si valutarono abbastanza le condizioni dell’assenso: deviare la linea, passando 3 km a nord di Modena con un viadotto di 12 km.
«Lei ha un’idea?»
TAV, Italferr, Cepav Uno e il suo capogruppo Snamprogetti affrontarono subito il problema. Rivangando soluzioni di viadotto a via superiore e a via inferiore già presentate nel 1996 per il Viadotto Piacenza e confrontate fra loro in relazione agli effetti dell’impatto acustico, conclusero che la soluzione di Progetto preliminare avrebbe avuto, sulla luce imposta di 31,50 m, due travate a U indipendenti in c.a.
Alta Velocità, Viadotti Modena
precompresso, dell’altezza di 4,05 m, cui si sarebbe dovuta aggiungere una barriera antirumore di altezza tra 3 e 5 m. In definitiva le varie soluzioni raggiungevano un’altezza totale di circa 7 m.
Un bravissimo dirigente di Snamprogetti, l’ing. Severino Candido, mi chiamò il 26 gennaio 1998 presentandomi la situazione: muri alti 7 m per 12 km, un viadotto che si sarebbe visto dalla luna, come la muraglia cinese. Mi disse che non l’avrebbe mai fatto! Poi mi chiese: «Lei ha un’idea?».
Esaminate rapidamente le misure effettuate e convinto che in realtà non era l’impatto acustico, ma quello visivo che rendeva la soluzione inaccettabile, promisi di presentare una mia idea. Il 3 febbraio presentai una sezione-tipo preliminare a via inferiore, caratterizzata da un profilo composto di ellissi, dello spessore minimo di 60 cm e dell’altezza totale di 3,20 m. Il tipo di profilo, immediatamente sottoposto a verifica acustica, risultò non necessitare di barriere anti-rumore per i percettori previsti. Al profilo esterno, già efficace a ridurre l’altezza “percepita” della struttura, aggiunsi delle scanalature dedotte dalle colonne doriche. L’altezza totale percepita era ridotta a meno di 2 m.
La proposta fu accolta con grande favore. Restava però da risolvere un problema non da poco: nel percorso di 12 km si dovevano anche attraversare cinque ostacoli (fiumi, canali, autostrada), che richiedevano una campata libera di 54 m! Proposi tre alternative, con il principio di mantenere invariato il nastro d’impalcato di 3,20 m, scanalato, delle campate appoggiate di 31,50 m. Proposi campate strallate, campate ad arco superiore oppure travate continue con aumento dell’altezza sugli appoggi: quest’ultima alternativa apparve più semplice e più soddisfacente per l’impatto paesistico.
Il 9 marzo 1998, sostenuto da una numerosa delegazione, presentai a Roma il Progetto preliminare, con i calcoli statici e acustici, all’ing. Traini di Italferr, il terrore di tutte le imprese.
L’accoglienza della strana struttura fu inaspettatamente positiva; venne richiesto solo di aumentare l’altezza a 3,60 m e di eliminare le scanalature dal tronco delle pile.
Il progetto esecutivo
Incaricati dall’Impresa Pizzarotti, concessionaria, procedemmo alla progettazione esecutiva della prima fase contrattuale: dettagli travata isostatica 31,50 m, travata 29 m, travata 26,50 m, travata 24 m, travata continua Brennero 40-54-40 m e calcoli, travata continua Secchia, travata continua Panaro, travata continua Interconnessione.
Il Progetto richiese la definizione di un gran numero di dettagli inusuali che l’innovativa sezione ad omega del doppio binario imponeva alla linea ferroviaria, così come le armature di precompressione (barre ad alta resistenza previste all’i-
nizio per tutte le strutture), che potevano essere solo rettilinee e obbligarono a rinunciare ai tradizionali criteri di resistenza allo sforzo di taglio mediante curvatura delle armature pretese e staffe verticali. Al tempo stesso si dovette risolvere il problema dell’asse curvo nei tratti in curva della linea. Ancora più complesso fu il progetto delle travate continue con le relative variazioni della sezione lungo l’asse.
Il 25 gennaio 1999 fu consegnato il completamento del Progetto esecutivo con 17 relazioni di calcolo e relativi allegati .
L’instabilità elastica del profilo aperto
Già alla prima riunione con la committenza misi in evidenza come la struttura portante a via inferiore e il conseguente profilo aperto fossero stati tra le soluzioni più attraenti nello sviluppo delle ferrovie, ma anche le più disastrose: nell’Ottocento infatti erano stati molti i ponti ferroviari in acciaio a via inferiore a crollare per instabilità del corrente compresso. Di conseguenza la stabilità delle strutture in calcestruzzo con il nuovo, inedito profilo poneva un arduo problema di Scienza delle costruzioni, complicato dalla visco-elasticità del materiale, ma non insolubile.
Non capii mai quanto questa preoccupazione fosse condivisa dai miei committenti. Come altre volte, con proposte innovative (Torre di Pisa, Basilica di San Pietro, Duomo di Pavia, Campanile di San Marco, torri di refrigerazione) mi trovai ad essere la persona più preoccupata per i rischi della costruzione, con lunghi incubi non sufficientemente domati dalla Scienza. I dubbi sono stati superati con ripetuti calcoli agli elementi finiti con non-linearità geometrica che mostrarono come, con uno spessore minimo di 0,60 m del profilo, esistesse un elevato margine di sicurezza, largamente sufficiente a coprire ogni incertezza di modello come ogni incertezza di materiale.
Ma raggiunsi una certa tranquillità solo quando potei verificare che la qualità dell’esecuzione sarebbe stata eccezionale, come in effetti fu. È infatti regola nelle costruzioni che concezione strutturale e qualità dell’esecuzione debbano coesistere per garantire la sicurezza anche riguardo a eventi non conosciuti. L’esecuzione di un campione di guscio in scala reale mostrò come le difficoltà poste dall’innovativa sezione erano state superate.
Il progetto, i materiali e il problema della durata
Già nello Studio di fattibilità del 3 marzo 1998 osservavo che «i fatti hanno mostrato che le grandi infrastrutture del territorio non sono reversibili dopo 25-30 anni dalla loro costruzione, come invece si era ipotizzato negli anni
IUAV, AP, FSTM 4, NP 070485, Linea AV: viadotto Modena, 1998-2000.
ponti sull ’ arno a levane e a incisa, autostrada a1 1962-1963
Ricordo ancora con terrore i viaggi che gli ingegneri dovevano compiere per raggiungere i cantieri dell’Autostrada A1 tra Bologna e Firenze e tra Firenze e Roma, partendo da Milano alle quattro del mattino e attraversando in auto l’Appennino su strade medioevali.
Due “ponti fratelli” furono affidati dal fato a Zorzi, sapendo che ne avrebbe fatto due capolavori: fratelli ma diversamente belli, i ponti sull’Arno a Levane e a Incisa. Egli associò due concezioni dell’arte di costruire, l’arco e la precompressione, fino allora decisamente contrapposti.
Forse il fato conosceva anche il costruttore, Sante Astaldi, cui affidare il lavoro. Ed era una fortuna conoscerlo.
Era già avanzato nelle sua brillante e quasi incredibile carriera di costruttore famoso all’estero. Attraversando l’Africa, pensò che uno sbarramento del fiume Congo a Inga avrebbe fornito tutta l’energia elettrica allora necessaria all’intero continente. E lo fece.
Dicevano che a ogni sosta di aereo fondasse una società. Lasciava invece con evidente ammirazione ed entusiasmo i ruoli e le gioie della cultura e dei premi letterari a una moglie-dea, Maria Luisa Astaldi.
Il Ponte di Levane
Il punto dell’autostrada per il pricipale attraversamento dell’Arno fu cercato con attenzione dai geologi e fu trovato vicino a Levane, fra due speroni di roccia, ideali appoggi per un ponte ad arco di 142 m di luce, la più grande luce della Milano-Roma. Si evitarono così le pile in alveo – che si prospettavano avere un’altezza dell’ordine di 100 m – in una sezione del fiume interessata da un bacino di ritenuta.
Il ponte è formato da un arco poligonale, uno degli ultimi archi costruiti in calcestruzzo; dopo di allora, i viadotti italiani furono una sequenza infinita di travate costruite a sbalzo a partire dalle pile .
IUAV, AP, FSTM presenti le fotografie. 2, NP 070426, Ponte sul Po per l’autostrada A1 a Levane, nel fascicolo sono
Ponte sull’Arno a Levane (Arezzo) (foto G. Chiolini & C., Pavia)
Centina del ponte sull’Arno a Lèvane (foto G. Romanelli, Montevarchi) Centinatura tubolare del ponte di Lèvane
Incisa (Firenze). I due ponti gemelli Dettaglio del portale precompresso
Ponti sull’Arno a portale precompresso, Incisa (foto P. Guidotto, Figline Valdarno)
Il calcolo della struttura si presentava arduo, con una calcolatrice elettromeccanica Divisumma Olivetti. Pensai a tre paginette sugli archi del libro Scienza delle Costruzioni di Gustavo Colonnetti (Le linee d’influenza delle reazioni dei vincoli) e, benedicendo il Maestro del mio Maestro e il suo “Secondo principio di reciprocità”, mi misi ad applicarle.
Con inimmaginata maestria, che lasciò di stucco il mio collaboratore Marco Nascè, tracciai a matita sul tavolo da disegno i cinque poligoni funicolari che rappresentano le linee d’influenza delle reazioni dei vincoli dell’arco. Usai poi tali poligoni come strumenti di progettazione: e sono orgoglioso di aver risolto un problema (allora) notevole con l’elegante teoria dell’ellisse di elasticità.
Durante l’esecuzione una prima sorpresa l’ebbero i geologi. La sezione scelta non era proprio quella “ideale”, e la roccia sana di fondazione era tagliata sistematicamente in orizzontale da strati di argilla che avrebbero potuto provocare inaccettabili cedimenti dell’imposta a sud. Fu necessario forare la roccia per costruire 12 giganteschi pali di cemento armato, profondi decine di metri.
Ponti a Incisa, 2000 anni dopo il ponte in pietra di Annibale
Un ponte di caratteristiche simili a quello prossimo di Levane è stato costruito a Incisa Valdarno, nel luogo dove verso la metà dell’anno 218 a.C. Annibale attraversò il fiume su un ponte in pietra costruito dai suoi soldati.
Il nuovo ponte è costituito dagli stessi elementi formali del “fratello” maggiore di Levane, ma è più raffinato malgrado la minor luce, di soli 102 m. Lo sfalsamento longitudinale delle carreggiate, suggerendo lo sdoppiamento in due opere più ristrette, ha favorito la leggerezza dell’intervento . Arco precompresso anch’esso, Incisa è stato ugualmente calcolato con il tracciamento grafico dei cinque poligoni, grazie alla geniale invenzione di Culmann, “l’ellisse di elasticità”, e l’altrettanto elegante “Secondo principio di reciprocità”, dimostrato da Colonnetti nel 1912.
Cosa avverrà con la costruzione della quarta corsia dell’autostrada?
Testi di riferimento
L’autoroute du Soleil va traverser l’Arno sur un double pont jumelé de 40 m de haut, «Études routières», vol. VI, 9, 1963, pp. 2-7. Silvano Zorzi: ingegnere 1950-1990, a cura di A. Villa, con la collaborazione di E. Martinelli, Milano, Electa, 1995, pp. 46-51.
G. Colonnetti, Scienza delle costruzioni, Torino, Einaudi, 1948, pp. 333-379. IUAV, AP, FSTM 2, NP 070427, Ponte sull’Arno a Incisa, nel fascicolo sono presenti le fotografie e un fascicolo di periodico.
Ponte Guillaume le Conquerant a Rouen sulla Senna in costruzione (foto Paris-Normandie, Rouen) Fasi dei cassoni ad aria compressa Veduta del ponte (foto Paris-Normandie, Rouen)