IMPRINTING 2 Rivista su Storie e Studi di Ineffabili Fatti d'Arte

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Febbraio 2018


IN QUESTO NUMERO:

RIVISTA SU STORIE E STUDI DI INEFFABILI FATTI D'ARTE Febbraio 2018 numero 2

Comune di Bari

pag. 4 EDITORIALE di Giuiana Schiavone (Storico e critico d’arte) pag. 8 IMPRINTING descrizione del progetto pag. 10 IMPRINTING - PREMIO INTERNAZIONALE TESI SULL'ARTE - ed. 2017 di MariaMichela Sarcinelli

REDAZIONE Raffaella Del Giudice Teodora Mancini Arianna Spizzico

pag. 13 L'ARTISTA PAOLO LUNANOVA di Manlio Ruggiero

COLLABORATORI Maurizio Brunialti Mirella Casamassima Alessandro Cecchi Sabrina Del Piano Clemente Francavilla Stefano Garosi Margherita Labbe Antonella Pierno Manlio Ruggiero MariaMichela Sarcinelli Giuliana Schiavone Grazia Tagliente Maristella Trombetta Peter Zeller

pag. 16 OGNI RICERCA É UN VIAGGIO di Sabrina Del Piano

PROGETTAZIONE GRAFICA E IMPAGINAZIONE Chiara Loiudice STAFF FOTOGRAFICO Agnes Terez Peterfi Luca Potente Gianni Reali SUPERVISION Menico Spizzico AMMINISTRAZIONE exstudentiaccademiabelleartiba@gmail.com www.exstudentiaccademiabellearti.com

pag. 14 PASQUALE CARENZA E I SUOI COLORI di Antonio Bosna

pag. 26 AUGURI ANTONIA SGUERA (discussione di tesi)

(in collaborazione con l'Associazione Culturale Ex Studenti di Belle Arti di Bari)

pag. 28 RESTAURO CONSERVATIVO DEL PREZIOSO MANTELLO DI MURAT di Monica Cannillo pag. 30 VASARI di Stefano Garosi pag. 34 MARIA CUMANI, MIA MADRE di Alessandro Quosimodo pag. 36 IL MARE di Maurizio Brunialti - sociologo pag. 38 ALLE MADRI, ALLE SORELLE, ALLE MOGLI DEL SUD di Sabrina Del Piano pag. 40 KOUNELLIS. UN RICORDO. di Maurizio Brunialti - sociologo pag. 46 “URBANO|POST-URBANO”di Maurizio Brunialti - sociologo pag 50 IL POTERE DELLA BELLEZZA di Maristella Trombetta pag. 52 PIER PAOLO BISLERI Biografia pag. 54 INCONTRO CON PIER PAOLO BISLERI di MariaMichela Sarcinelli pag. 58 A PROPOSITO DI ROTHKO di Clemente Francavilla

Sponsor:

*Tutte le collaborazioni si intendono a titolo gratuito

seguiteci su:

pag. 62 IL FUTURO POSSIBILE di Alfio Cangiani


Editoriale

di Giuiana Schiavone

IMPRINTING

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Quando si parla di arte contemporanea è ancora difficile comunicarne le molteplici declinazioni e intenti creativi, e lo è ancora di più, stabilire un ponte tra dimensione accademica e sociale, passato e futuro, mondo degli addetti ai lavori e non, in altre parole, attuare e mantenere una comunicazione efficace, utile per una comprensione delle sue peculiarità stilistiche e caratteri, soprattutto per chi la osserva dall’esterno. Di fronte alla vastità dei paradigmi dell’arte contemporanea, si ha come

la sensazione che ci sia tanto ancora da scrivere, tanto da tracciare, per una lettura globale dell’andamento dei suoi linguaggi nella loro “contemporaneità”. Tale percezione riguarda tutto ciò che appare fisiologicamente vicino, incluso nel nostro presente: è più semplice attribuire alle manifestazioni culturali uno status quo di arte quando la distanza temporale con l’osservatore si fa più consistente. E invece, l’arte è sempre contemporanea nelle sue funzioni, parla all’uomo del suo tempo, restituisce dettagli emozionali e critici rispetto agli eventi, si fa portavoce della propria epoca. I linguaggi artistici sono talmente frutto del proprio tempo storico che sono assolutamente necessari per la comprensione globale dell’esistenza collettiva. Abbiamo però bisogno di finestre sul mondo, di spazi in cui sia possibile attuare processi che permettano di sviluppare un pensiero critico sulla propria presenza nel mondo come individui e come gruppi sociali, abbiamo bisogno di sguardi, tracce, azioni. Così nasce IMPRINTING, attraverso interviste e recensioni, la creazione di un Premio Internazionale Tesi sull’arte patrocinato dal Ministero dei Beni Culturali e un festival annuale rivolto a tutti gli studenti e docenti italiani, eventi, conferenze e dibattiti, collaborazioni attive con Università e Accademie, iniziative in corso di definizione, la rivista si propone di dare visibilità all’arte contemporanea creando un collegamento tra eredità culturale e scenario futuro, una continuità che proprio gli ex studenti dell’Accademia di Belle Arti con la loro Associazione culturale possono tutelare e rappresentare al meglio attraverso una progettualità consapevole e aperta all’uso degli strumenti del web. Legame con le radici dell’arte, con quel denominatore comune a tutte le sue manifestazioni e, al contempo, traccia da cui partire e traccia da lasciare al domani, costruzione di un luogo di confronto essenziale per l’evoluzione culturale della nostra società: sono questi gli elementi che caratterizzano questa rivista, questi i suoi propositi, queste le idee da cui riprendere un cammino di consapevolezza e pensiero critico nei confronti della bellezza globale che ci circonda e di cui siamo depositari.


I M PRINTING

Vignetta realizzata da Francesco Albanese

Antonio Cicchelli - Giuseppe Sylos Labini - Giancarlo Chielli

Storie e Studi di Ineffabili Fatti d'Arte ​ IMPRINTING nasce in rete dalla volontà e dalla voglia di sperimentare. L'esperienza in campo sperimentale conquistata in vari anni di professione e, forse, anche un pizzico di nostalgia e tanta voglia di mettersi in gioco hanno condotto il gruppo EX a puntare sul print on demand per concretizzare quella che essi stessi definiscono «la necessità di uno spazio libero». È nato in questo modo IMPRINTING la seconda edizione di Archeomodernitas, una pubblicazione che vuole restituire priorità allo sguardo sulla pagina fisica, recuperare attenzione per il passato, il presente, il futuro, senza vincoli con quanto vi appare rappresentato: «un atto d'amore per l'arte e la sperimentazione di essa». Per il momento IMPRINTING esce soprattutto online e a nostro avviso si tratta di un esperimento interessante che vale la pena di avere in libreria, in quanto anello di congiunzione tra il mondo della rete e quello dell'editoria tradizionale, e tra passato e presente, dove gli autori si raccontano e raccontano Storie di Studi di Ineffabili Fatti d'Arte.

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I M PRINTING IMPRINTING (EX ArcheoModernitas II), una rivista online, una mostra d’arte e Premio Tesi sull’Arte Seconda Edizione 2017 che ad ogni edizione presenterà importanti opere di artisti di chiara fama, provenienti da collezioni private. Quest’anno dedicata a Paolo Lunanova, con la partecipazioni dell’Accademia di Belle Arti di Bari, docenti e artisti dell’Associazione culturale organizzatrice, tutto nasce dall’ idea che l’arte è un importante mezzo per la ricerca di identità, oltre ad essere uno strumento di riflessione sociale. Il nostro intento è quello di promuovere l'Arte come mezzo di conoscenza e comunicazione, di incrementare le arti visive seminando stimoli culturali in un territorio ancora oggi arido. In quest’ambito si collocano i contenuti del secondo numero della rivista online IMPRINTING (EX ArcheoModernitas) presente sulla home page del sito della nostra Associazione e su tutti i principali social ad essa collegati, per dar luogo ad un evento che soddisfi, attraverso la realizzazione di mostre, eventi culturali, seminari, corsi di breve e lunga durata, opportunità di crescita culturale e professionale. Inoltre si intende sollecitare l’unione in sinergia con tutte le Accademie del territorio e la collaborazione di cultori di tutte le altre arti letteratura e giornalismo, musica e teatro, cinematografia e fotografia, critica e storia dell’arte, si propone di trovare contatti con il mondo del lavoro.

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DESCRIZIONE DEL PROGETTO Le finalità del presente progetto annuale sono collegate agli intenti culturali della nostra Associazione e in particolare intende offrire l’occasione di valorizzare l’attività artistica degli Studenti delle Accademie di Belle Arti e degli artisti selezionati attraverso la presentazione di opere e lavori di ricerca tramite i docenti delle singole discipline. Ad ogni edizione tramite un bando verranno premiati gli studenti che pubblicheranno la tesi di laurea, dell’evento realizzando un memocatalogo storico. Quest'anno si è svolta la II Edizione che rappresenta il proseguo della prima manifestazione svoltasi dal 6 al 28 Giugno 2016, in uno stesso contesto individuato negli spazi espositivi attigui alla Sala degli Affreschi dell’Ateneo “Aldo Moro” di Bari, con una selezione di lavori di giovani artisti indicati dagli Organi Accademici dell’Accademia di Bari e Lecce accanto ad opere inedite di artisti contemporanei di fama riconosciuta provenienti da collezioni private, nonché ad altri artisti membri dell’Associazione, in occasione della presentazione ufficiale della nostra rivista online IMPRINTING (Ex ArcheoModernitas) pubblicata nel sito “Associazione Culturale Ex Studenti Accademia Belle Arti” e che nel suo secondo numero contiene articoli inediti. Attraverso la presentazione del secondo numero della rivista, vista l’assoluta qualità dei membri del suo direttivo e di quella degli studiosi ed esperti di fama che vi collaborano si consulti il sommario degli articoli del primo numero della rivista online, ed il primo numero della collana editoriale del memocatalogo realizzato con la collaborazione di Antonio Rollo dalla laureanda Antonia Sguera, della mostra tenutasi dal 06 al 28 giugno 2016 presso il palazzo dell’ Ateneo dell’Università Aldo Moro degli studi di Bari, e il sommario degli articoli del secondo numero. In tal modo una rivista dedicata alle arti visive antiche e moderne che si sofferma sull’interazione tra ineffabili occasioni espressive e di Storie di Studi, si offre, anche grazie alla fruibilità online, all’approfondimento dei vari fatti esposti in modo scientifico e dettagliato degli articoli, con foto e disegni, consultabili anche online (ciò rappresenta uno stra-

ordinario sussidio di alto profilo tecnico, per chi voglia affrontare temi simili sia a livello di studio che di elaborazione sul campo. Parteciperanno docenti e professionisti di varie discipline. Conferenze con i massimi esponenti dell’Arte. Aperto agli studenti delle scuole medie secondarie e agli studenti universitari delle facoltà di Lettere, Architettura e Accademie di Belle Arti a cui saranno accordati crediti didattici. L’Associazione “Ex Studenti” intende avviare un percorso di supporto universitario legato all’insegnamento delle arti visive, storia dell’Arte di genere e con l’eventuale finanziamento di codesto Assessorato si potrebbero istituire premi in denaro per i vincitori e/o pubblicazioni cartacee. Verranno resi noti e premiati i nomi dei finalisti del “Premio Internazionale Tesi Sull’Arte destinato a studenti laureati delle suddette facoltà che abbiano realizzato tesi di Laurea particolarmente interessanti su argomenti d’arte visiva e storia dell'Arte di genere o ad essa collegate, selezionate da una commissione costituita da docenti universitari e membri dell’Associazione Ex Studenti da pubblicare sulla rivista. Prenderà il via con la II| edizione del grande evento “PREMIO INTERNAZIONALE TESI SULL’ARTE 2018/2019”pensato per i giovani e costruito con i giovani delle Accademie e Università italiane. La manifestazione è patrocinata dal Ministero dei Beni Culturali, la Regione Puglia, la città Metropolitana di Bari, l’Ateneo Aldo Moro di Bari e del Salento. Il Premio Tesi sull’Arte, è la prima espressione del progetto dedicato al futuro dei giovani artisti. Una kermesse di incontri culturali, che ha scelto Bari per dare il via ad un appuntamento rivolto a tutti coloro che dedicano la loro vita con passione allo studio della bellezza e ai docenti che hanno lasciato un segno intangibile nonché maestri di vita. ....Un Festival per incontrarsi, conoscersi e confrontarsi sui temi del futuro, in un contesto inizialmente nazionale e successivamente europeo ed internazionale. Il Festival Premio Tesi sull’ Arte sarà: dibattiti, seminari di orientamento al futuro e scoperta delle nuove professioni, mostre, eventi, workshop, percorsi tematici, ma anche la possibilità esporre e discutere in sede di premiazioni dei propri progetti di tesi e ricerca, presenta-

zioni di iniziative e progetti. Per i giovani di tutta Italia sarà, dunque, il Festival della curiosità e della voglia di essere protagonisti e fiduciosi del proprio futuro. L'appuntamento per la premiazione e l'apertura del Festival del Premio tesi sull’Arte, sarà allestito presso l’ateneo Aldo Moro di Bari, e la data verrà stabilita dopo aver scelto i vincitori. Si ricorda che le informazioni saranno disponibili sul sito dell’Associazione e sarà operativa, per fornire informazioni ed assistenza ai partecipanti.

Chiara Loiudice

Collaboratori: Francesco Arrivo, Bari; Mirella Casamassima, Bari; Pier Paolo Bisleri, Firenze; Alessandro Cecchi, Firenze; Antonio Cicchelli, Bari; Giovanna Clingo, Matera; Guido Corazziari, Bari; Sabrina Del Piano, Taranto; Clemente Francavilla, Bari; Stefano Garosi, Firenze; Margherita Labbe, Brera; Paolo Lunanova, Bari; Antonella Pierno, Brera; Grazia Tagliente, Lecce; Raffaele Valletta, Bari; Peter Zeller, Bari; Luigi Mastromauro, Bari. www.exstudentiaccademiabellearti.com exstudentiaccademiabelleartiba@gmail.com Sede Legale in via Guido De Ruggiero, 1 Bari 70125


Imprinting

Premio Internazionale tesi sull’arte ed. 2017 Nella mattinata dell’ 11 settembre 2017, la Sala degli Affreschi del Palazzo Ateneo Aldo Moro di Bari ha ospitato un convegno organizzato dall’associazione “Ex Studenti Accademia Belle Arti di Bari” in sinergia con la stessa Accademia. Un appuntamento al quale hanno preso parte tante personalità di spicco del mondo artistico come il noto artista Tarshito oltre ad appassionati delle arti visive. La dott.ssa Sabrina Del Piano impossibilitata a partecipare all’evento ha fatto sentire la sua calorosa presenza attraverso una lettera. Il convegno ha inaugurato una mostra contemporanea allestita nella Sala degli Affreschi fruibile al pubblico sino al 22 settembre.

Arianna Spizzico - Giovanni Carpignano

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di MariaMichela Sarcinelli

A descrivere brevemente le opere esposte fra le quali quelle della Collezione dell’illustre artista Paolo Lunanova, è stato durante il convegno il critico d’arte Dott.ssa Mirella Casamassima che ha anche ricordato quanto l’arte sia di primaria importanza in un mondo globalizzato in cui predomina la tecnologia. A seguire l’intervento del Prof. Raffaele Valletta che ha spiegato quale sia l’importanza dell’arte all’interno delle odierne comunicazioni di massa. Alla conferenza ha preso parte anche la Presidente della Commissione regionale pugliese Pari Opportunità Patrizia Del Giudice che ha espresso il suo plauso per queste iniziative a sostengono della cultura. Mentre i relatori esponevano i loro interventi, su un maxi schermo venivano proiettate le immagini del primo Memo Catalogo storico redatto sulla mostra svoltasi lo scorso anno. Dopo l’illustrazione della mostra e della rivista online “Imprinting” si è passati alla presentazione del “Premio Tesi Arte 2017”. Il concorso che è alla prima edizione, è frutto di un’iniziativa promossa dall’associazione “Ex Studenti Accademia Belle Arti di Bari” e si sviluppa con l’intendo di premiare studenti che abbiano realizzato una tesi di laurea particolarmente interessante su argomenti di arte visiva e storia dell' arte di genere. Una commissione presieduta dalla docente di grafica e incisione dell’Accademia di Lecce Prof.ssa Grazia Tagliente, ha decretato i tre vincitori i quali si sono aggiudicati oltre ad un premio in denaro, una valigetta donata dalla famiglia Carenza sponsor ufficiale dell’evento. A conseguire il primo posto è stata la tesi di De Giorgi MariaGrazia, al secondo posto quella di Miryam Trevisani ed al terzo Federica Claudia Soldani. Alla figlia di Pasquale, Enrica Carenza, storico commerciante barese venuto a mancare lo scorso anno, è stata consegnata una targa in segno di riconoscenza. Il 19 settembre nella Sala degli Affreschi: una

mostra nella mostra ha imprigionato gli spettatori in un’atmosfera surreale. “La bellezza salverà il mondo” questo il messaggio augurale lanciato durante la conferenza che richiama molto la celebre frase di Oscar Wilde “Ciò che l’arte tenta di distruggere è la monotonia del tipo, la schiavitù della moda, la tirannia delle abitudini, e l’abbassamento dell’uomo a livello della macchina”.

Partecipanti: Guido Corazziari, Gianni De Serio, Raffaele Fiorella, Fabio Lanzillotta, Luigi Mastromauro, Arianna Spizzico, Tarshito; Giovanni Carpignano, Pierluca Cetera, Carlo Dicillo, Nicola Di Renzo, Beppe Labianca, Pino Lacava; Cosima Acquaviva, Francesco Albanese, Giusy Burdi, Angela Capotorto, Stefania Cicchelli, Vincenzo De Bari, Eva Novielli, Tullia Pugliese, Serena Semeraro.

Grazia Tagliente - Teodora Mancini - MariaMichela Sarcinelli

Presidente di giuria Grazia Tagliente, Accademia di Belle Arti di Lecce


Imprinting presenta collezione dell'artista Paolo Lunanova. Paolo Lunanova ĂŠ un artista che ha saputo evolversi e cambiare prospettiva, proprio come molteplici prospettive sono presenti nei suoi lavori agli occhi di chi guarda. Specializzato in "tecniche e tecnologie di decorazione", gioca con le forme e con i colori in quello che egli stesso definisce uno "sberleffo della pittura" dove una dimensione tragica fa posto alla ludicitĂĄ dettata da geometrie e sovrapposizioni concettuali veicolate dall' "intelligenza della mano" dell'artista. Manlio Ruggiero

Luca Potente - Paolo Lunanova - Manlio Ruggiero

Agnes Terez Peterfi - Paolo Lunanova

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Pasquale Carenza e i suoi colori

di Antonio Bosna

L'Amore per i colori di Pasquale Carenza lo ha sicuramente trasmesso a sua figlia Enrica, la quale ha ereditato la prestigiosa attività del padre, che a sua volta l'aveva ricevuta dal nonno, colui che aveva fondato la ditta nel lontano 1872. La trasmissione di un'attività commerciale da una generazione all'altra, come qualsiasi altra trasmissione di un'arte, di un mestiere o di una professione, si arricchisce naturalmente di nuovi elementi strutturali, dovuti al raffinamento di ciò che si eredita, da una generazione all'altra. Però, affinchè possa avvenire tale miglioramento dell'attività umana è indispensabile che, accanto alle tecniche e ai segreti dell'arte, del mestiere o della professione, si trasmetta l'elemento più importante: l'Amore-Conoscenza. Difatti, certamente Pasquale Carenza ha trasmesso alla figlia Enrica, insieme ai segreti e alle tecniche della sua attività, anche e sopratutto l'Amore per essa; tant'è vero che Enrica, andando oltre la trasmissione paterna, ha frequentato l'Accademia delle Belle Arti di Bari, conseguendo presso di essa il relativo Diploma. Cosa ha spinto Enrica a seguire tale curriculum di studi artistici? - Con molta probabilità sarà stato il fascino del Colore in sè. Trattare il mondo dei colori,anche se solo in termini commerciali, crea comunque un desiderio di conoscenza di essi, che all'inizio può essere solo di natura tecnica, ma in un secondo momento, specialmente nei riguardi di un soggetto di una certa sensibilità, stabilisce un rapporto misterioso con essi.

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Al di là delle qualità fisiche che i vari colori possono avere, da un punto di vista spirituale, cioè da un punto di vista di una possibile esperienza interiore di essi, i colori traducono le indefinite qualità dell'Essere, concetto questo che difficilmente può essere compreso con le sole parole, frutto di argomentazione logica. L'esperienza interiore del significato dei colori, in alcuni rari casi potrebbe avvenire spontaneamente, mentre in altri casi è frutto di una lunga e severa disciplina spirituale; cosa che può dirsi anche per i suoni. La base teologica e, ancora di più, metafisica di quanto sopra detto, la si rinviene nei testi delle Sacre Scritture, le quali per poter essere pienamente comprese, vanno lette "sub specie interioritatis", cioè andando oltre il loro significato apparente e storico - letterale. Nel libro del Genesi è detto: "Dio disse: sia la Luce! - e la Luce fu. Dio vide che la Luce era cosa buona e separò la Luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattino: primo giorno. "(Genesi 1,35). La Luce che Dio crea prima dell'inizio del tempo, è la sostanza primordiale di cui ogni essere parteciperà nel seguito del processo creativo e che quindi non è da confondersi con la luce fisica che deriva dal Sole, dalla Luna e dalle Stelle, astri che vengono creati solo al quarto giorno. A sua volta la Luce, quale sostanza primordiale, viene scissa da Dio nella luce e nelle tenebre,cioè nei due Colori fondamentali: Il Bianco e il Nero e, come si sa, tra questi due colori si snoda tutta la serie degli altri colori che formano l'Arcobaleno.

Chiaramente, per poter intendere nel giusto modo tali riferimenti metafisici, è necessario seguire un itinerario di Conoscenza Spirituale, tramite il quale le sparse intuizioni su ciò che i colori sono nella propria essenza, possono trasformarsi in uno stato di Chiara Coscienza, che rappresenta lo sviluppo totale del nostro Essere.


Ogni ricerca è un viaggio (Atelier Mediterrane ArtePura Taranto/Nizza).

Ogni ricerca è un viaggio, che sia geografico o mentale, ed i grandi intellettuali di ogni tempo lo hanno sempre saputo, così come i grandi esploratori. In più ci vuole il pretesto: nessun viaggio nasce senza un’idea, una motivazione, una spinta iniziale. Per risalire alle sorgenti dell’Arte-Pura e capirne il significato primo, utile a comprendere il ruolo e la funzione dell’arte nel Mezzogiorno d’Italia e nel Mediterraneo oggi, per afferrare il senso del lavoro artistico e l’impegno durato una vita di Vittorio Del Piano, artista ed intellettuale della nostra terra, bisogna trovare la guida adatta, una carta alla giusta scala e la voglia di addentrarsi in questa foresta. L’occasione ce la forniscono almeno tre anniversari: 30 anni dalla prima presentazione ufficiale del Manifesto Dell’Arte-Pura e Programma/Progetto di Mediterranea (Bari, 7 marzo 1985); 85 anni dalla nascita di Pierre Restany, critico d’arte e fondatore del Nouveau Réalisme (Amélie-les-Baines-Palalda, 24 giugno 1930); un anno dalla scomparsa di Vittorio Del Piano, docente artista ed ideatore dell’Arte-Pura (Taranto, 14 giugno 2014). 1-Dove nasce il Naturalismo Integrale? Il 14 luglio 1978 Pierre Restany arriva da Parigi a Manaus, in Brasile, per dare avvio ad un’avventura che gli cambierà la vita: la risalita dell’alto corso del Rio Negro in compagnia di Frans Krajcberg (1921), pittore, incisore e scultore polacco e di Sepp Baendereck (19201988), illustratore, pubblicista e fotografo di origini serbo-montenegrine, entrambi naturalizzati brasiliani. Accompagnati da André Palluch, che produr-

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di Sabrina Del Piano

rà la documentazione foto/video, i tre percorrono l’Alto Rio Negro in battello per un mese fino al 15 di agosto, dialogando intensamente tra loro sul caldo tema della deforestazione amazzonica e della salvaguardia delle aree bioetnoculturali residue incontaminate dell’Amazzonia. “Qual è l’inizio di questo viaggio? Un’avventura umana guidata da un interrogativo sul divenire di una natura minacciata che preoccupa da molto tempo i due amici di Restany, di cui essi vogliono fargli comprendere l’importanza, e condividere con lui l’esperienza della foresta.” In realtà le riflessioni di Restany ben presto prenderanno un’altra piega, e si concentreranno sul rapporto tra l’Uomo contemporaneo, la sua estetica, la sua etica e la Natura. Una serie di domande scaturiranno spontanee dall’immersione in questo ambiente primordiale e fascinoso, le cui risposte giungeranno proprio dall’osservazione e dalla percezione profonda della foresta stessa, egli che si è sempre occupato (come lui stesso dichiara) dei fenomeni estetici, artistici e socioantropologici negli ambienti urbani. Restany considera “la natura come catalizzatore dell’attività percettiva, della sensibilità,” “come una scuola ed una disciplina,” ed appare chiaro che per lui la questione ecologica supera la sola preservazione della foresta. “Grazie alla natura, insomma, noi siamo obbligati a sbarazzarci di quel che ci imprigiona lo sguardo, e che soffoca la nostra sensibilità. La natura (…) è propriamente scioccante, e la sua contemplazione fa saltare tutte le serrature che ci impediscono di vederla tutta semplicemente. La disciplina è innanzitutto questa: imparare ad allentare la presa per percepire ed avvertire.” Da queste riflessioni scaturisce, scritto di getto il 3 agosto 1978, il Manifesto del Naturalismo Integrale, pubblicato poi l’anno successivo nel suo volume L’altra faccia dell’Arte, ed. Domus.

Il Manifesto è di una portata esplosiva per i suoi contenuti, rivoluzionaria ad una scala senza precedenti, perché si rivolge alla globalità umana ed invita ad una <mutazione antropologica>. Ovviamente appena presentato in Brasile non viene compreso, o viene compreso troppo bene e per questo motivo duramente e violentemente rifiutato. Restany non si scoraggia, anzi, comincia un giro di conferenze per il pianeta andando dagli Stati Uniti all’Asia passando per l’Europa e l’America Latina, facendo leva sulla sua indiscussa notorietà ed autorità, per diffondere i contenuti del Manifesto e cominciare un’azione di sensibilizzazione che non si fermerà più finché vivrà. L’esperienza del Rio Negro gli ha cambiato la vita, gli ha rivelato chiavi di lettura inaspettate ed insperate, gli ha fornito risposte che vanno assolutamente diffuse e condivise. 2-Naturalismo Integrale e Arte-Pura. Ma quali sono i concetti che Restany ha colto e che vuole condividere con l’umanità intera? Con tutti gli spiriti sensibili? Con chi è disposto ad ascoltarlo per migliorare l’esistente? Egli, fatta una prima distinzione tra Naturalismo e Realismo, sostiene che il Naturalismo Integrale non è metaforico ma <reale>, e conduce ad uno “stadio globale della percezione, [al] passaggio individuale alla coscienza planetaria” , ed il Naturalismo così inteso è esso stesso espressione della coscienza planetaria. Permette di interpretare in maniera idealistica l’oggetto d’arte, ritornando “ai sensi nascosti delle cose e alla loro simbologia (…), fenomeni che si iscrivono come un preambolo operativo nel nostro Secondo Rinascimento, la tappa necessaria verso la mutazione antropologica finale”. E ancora: “La natura originale deve essere esaltata come un’igiene della percezione e un ossigeno mentale: un naturalismo integrale, gigantesco catalizzatore ed acceleratore delle nostre facoltà di sentire, di pensare e di agire”. Insomma, mica roba da poco, considerando che Restany sottolinea che il Naturalismo Integrale non aspira a nessuna volontà di potere, ma tende ad un “altro stato della sensibilità, un’apertura maggiore della coscienza”, e tutto questo avverrebbe “in armonia con l’emozione assunta come l’ultima realtà del linguaggio umano”.


Vittorio Del Piano conosce Restany già dalla fine degli anni ‘60, avendolo incontrato a Milano in quel luogo di nuovi lieviti e fermenti che è la Galleria Apollinaire, diretta con lungimiranza e coraggioso brio dal martinese Guido Le Noci. Nel 1973 esce per l’Editrice PuntoZero un quaderno a cura di Del Piano chiamato Contributi Critici che raccoglie, con la presentazione di Michele Perfetti ed una nota di Del Piano, due importanti interviste rilasciate da Restany a Rocco Tancredi che allora scriveva per il Corriere del Giorno. Temi ancora attualissimi le cui osservazioni del critico francese suonano, a rileggerle ora, singolarmente profetiche: “l’arte dall’oggetto ai dubbi del concetto” e “sul risanamento della Città Vecchia - perché non salvare anche i tarantini?”. Il <miracolo a Taranto> doveva ancora avvenire. Dalle informazioni scritte da Del Piano sul profilo biografico della pagina Facebook “Mediterranea la Città dell’ArtePura”: << Alla fine degli anni ’70 il critico Pierre Restany (prima glie ne “parla” lungamente una sera a Nizza), e in un secondo incontro gli fa dono di due esemplari del Manifesto del Rio Negro” e Del Piano coglie l’occasione per una riflessione critica del ruolo dell’arte contemporanea e della posizione attuale dell’artista. E dopo aver esposto il progetto a Restany una sera del 1979, nell’Hotel Manzoni a Milano, Del Piano fonda la “Città dell’Arte-Pura di Mediterranea” >> . Quindi Restany incontra Del Piano per la prima volta dopo il suo viaggio iniziatico lungo il Rio Negro alla fine del 1978 a Nizza, e poi a Milano l’anno successivo gli anticipa l’idea del progetto di Mediterranea. La loro corrispondenza epistolare è sempre stata fitta, così come gli scambi telefonici, ma con il loro incontro i due finalmente approfondiscono de visu la tematica del Naturalismo Integrale (e conoscendoli bene, non dubito sul fatto che la migliore conversazione sia avvenuta a tavola, davanti a qualche cibo gustoso e succulento). Per Vittorio Del Piano le parole dell’amico sono così rivelatrici, illuminanti e corroboranti, che non può fare a meno di mettersi subito al lavoro. Esse sono la conferma di quel che aveva sempre percepito tramite la sua personalissima esperienza e la sua spiccata sensibilità non solo artistica ma anche umana, e che aveva già in parte espresso

con performances collettive di carattere ambientale (es. Taranto fa l’amore a senso unico in Piazza della Vittoria, a Taranto, nel 1971) . Comincia a sviluppare il concetto di Naturalismo Integrale applicandolo al suo ambiente, alla sua terra, alla città in cui vive ed opera ormai da oltre 10 anni: Taranto. Si moltiplicano gli interventi (happenings ed esposizioni) per la salvaguardia dell’ambiente marino di Mar Piccolo già compromesso dall’inquinamento; tocca il delicato tema delle minoranze sociali e del rapporto tra l’uomo e lo spazio urbano, realizzando opere grafiche ed installazioni presentate, tra l’altro, a Bari (ExpoArte, marzo 1979), a Padova (Europa’79, la lotta per il miglioramento delle condizioni di vita in Europa, maggio 1979), a Leporano – Taranto (Puglia Nostra ’79, “Gli artisti lasciano il segno”, l’arte totale per rivitalizzare i centri storici, luglio-agosto 1979). Ma nella sua mente c’è già dell’altro. Non passa un anno che il 18 marzo 1980 (quindi 35 anni fa, un altro anniversario) Del Piano pubblica un intervento dal titolo <<OPER/ AZIONE COMUNIC/AZIONE TRIANGOL/ AZIONE-COMBIN/AZIONE “NATURALISMO INTEGRALE”>> in cui annuncia di aver concepito questa oper/Azione per “altra città a Taranto (…) dal possibile nome di Mediterranea”, e propone come sindaco Pierre Restany. Con un’azione di Mail-Art invia e richiede comunicazioni ad un numero non ancora specificato di artisti, affinché si autoconvochino in assemblea per formare la prima Giunta e redigere il primo O.d.G. Gli argomenti ed i contenuti operativi sono chiarissimi, perché segnati di suo pugno sulla cartolina/operazione che realizza: “ Recuperare il mare, i suoni e i colori e i respiri della natura, e combinarli con le immagini, i profumi e i silenzi della terra del sole dell’acqua del fuoco del vento del freddo dell’universo “. Medi/Terra/Nea e l’Arte-Pura sono appena nate. O meglio, ne è stato appena dato annuncio ufficiale al mondo esterno. Quando siano nate veramente, questo non lo sapremo mai con esattezza. 3 - In viaggio verso Medi/Terra/Nea Dal 1982 sino al 1990 Del Piano con la moglie ed i figli soggiorna nei mesi estivi in Costa Azzurra, a Nizza, e vi tornerà con assiduità

Locandina della conferenza di Pierre Restany “Natura e Cultura” tenutasi a Grottaglie (Ta), 2 febbraio 1985, in occasione della Mostra/Documento “Omaggio a Emanuele De Giorgio”, Grottaglie, dal 12 gennaio al 2 febbraio 1985.


fino al 2000. Per lui saranno anni importantissimi perché conoscerà personalmente il critico d’arte e poeta Jacques Lepage, fondatore dell’Ecole de Nice, ed i suoi principali componenti, con i quali in questo periodo avrà occasione di lavorare e collaborare. Con Lepage si instaurerà un rapporto di reciproca stima ed amicizia, alimentato da scambi di visite nelle rispettive residenze e con un fitto dialogo operativo. Del Piano comincia a confrontarsi con Lepage sul tema che gli sta a cuore: l’Arte-Pura. Ha in mente di scrivere un Manifesto, comincia a prendere appunti sul suo carnet rouge e sul “quaderno di Nizza” spesso citati successivamente in varie occasioni. Passano due anni di intenso studio e lavoro dal primo incontro con Lepage, ma le ultime battute prima della pubblicazione del Manifesto Vittorio Del Piano le scambia con Pino Lacava, collega amico e concittadino (nato anch’egli a Grottaglie). Tra luglio e settembre del 1984 si scambiano una serie di missive il cui unico – o quasi – argomento è: l’Arte-Pura. Del Piano espone i punti salienti, ancora in bozza, che costituiranno i cardini del Libretto di Medi/ Terra/Nea, e Lacava gli risponde esponendo la sua opinione in merito. Il setaccio a maglie strette che usano entrambi darà come risultato un libretto formato 9x15 cm, 78 pagine di testo e un’appendice documentaria iconografica, per un totale di 106 pagine. Il Manifesto è suddiviso in tre parti: una introduttiva composta da una prima intervista di Del Piano a Restany e datata 3 febbraio 1985, e da una seconda un’intervista-dialogo tra Del Piano e Jacques Lepage risalente al 12 agosto 1984 (in italiano e francese a fronte). Segue il corpo centrale del documento costituito dai testi: “Fondazione del primo Nucleo di Mediterranea”; “Programma e progetto: Mediterranea e Arte-Pura - Il Manifesto”; “Pierre Restany nominato <Syndic> di Mediterranea” e “Ho fondato Mediterranea la città dell’Arte-Pura – intervista di Vincenzo Petrocelli”. Chiudono il volumetto l’appendice documentaria e l’indice dei nomi. Esso fu presentato ufficialmente per la prima volta all’ExpoArte di Bari il 7 marzo 1985 nella Sala Spaziocittà all’interno dell’area Fiera. Erano al tavolo di presidenza lo stesso Vittorio Del Piano, Jacques Lepage, critico d’arte francese e fondatore della “Ecole de Nice” giunto

da Nizza per l’occasione, Pasquale Calvario Assessore alla Cultura Regione Puglia, Filippo Di Lorenzo allora responsabile regionale del PSI, e Michele Del Vecchio per la documentazione iconografica. Fu diffusa una registrazione audio dell’intervento di Pierre Restany, assente per impegni concomitanti. Ci riferisce Pino Lacava: “Del Piano nel presentare il suo Manifesto dichiarò di dovere molto a Pierre Restany autore del MANIFESTO DEL NATURALISMO INTEGRALE, e a Jacques Lepage per le conversazioni tenute a Nizza nell’estate del 1982 e del 1984, nelle quali si discuteva della struttura della CITTA’ e del concetto di ARTE-PURA. Dichiarò inoltre che <<il Manifesto di Restany è stato come “una cascata di una sorgente pura>>. Del Piano parlava di Medi/Terra/ Nea come la Città che sorge dal mare ed il mare assume un concetto totalizzante, l’acqua, il colore, la vita. Il blu del cielo e del mare si riflettono sull’uomo che percepisce i colori della natura in tutte le sue sfumature, sfumature trasmesse al mondo dagli Spiriti Puri con opere ed oper/Azioni sempre in divenire.” Dall’intervista alle pagg. 27-28 del Manifesto dell’Arte-Pura, in cui Restany risponde a Del Piano su come sia stato il suo ritorno in Puglia: <<É stato un momento molto commovente per me perché sono legato a questa terra con delle vecchie amicizie, abbiamo avuto l’occasione di commemorare l’attività e la personalità di Le Noci e sono stato molto felice di essere potuto andare con te, Vittorio, l’indomani della conferenza a Grottaglie, a Martina Franca, la città natia di Le Noci, di rivedere i trulli, di fare qualche buon pranzo, di inserirmi di nuovo in questa civiltà antica di grande cultura greca, borbonica, contadina e anche aperta sul mare, sul Mediterraneo. Beh, insomma, questo Mediterraneo è per te, Vittorio, come il concetto operativo, il punto di riferimento per eccellenza. Non è a caso che tu hai chiamato la tua città ideale “Mediterranea”; città ideale in un senso, perché è la città della tua proiezione teorica, dei tuoi sogni, ma anche laboratorio permanente aperto a tutte le possibilità di iniziative culturali che possono aver luogo su questo posto e in questa zona. E ritengo che facendo questa definizione di “Mediterranea”, legata al tuo concetto di “Arte-Pura”, hai crea-

to la cornice flessibile ed operativa di tutto un programma che tocca a noi di definire. Questo tipo d’impresa può sembrare utopica alla gente che non è generosa di mente e di spirito, ma noi la generosità l’abbiamo; abbiamo l’entusiasmo, abbiamo la nostra amicizia, la nostra fede, e dunque credo che “Mediterranea” può essere veramente il punto di partenza di tutta una programmazione attiva>>. “Videoartesperimentale Taranto/Nizza”, di cui Del Piano era stato il fondatore, esponeva allo Stand 7 - Padiglione 3. Gli artisti chiamati a contribuire con le loro opere sviluppate sul tema di “Mediterranea” erano lo stesso Vittorio Del Piano, Franco Gelli, Pino Lacava e i francesi – conosciuti tramite Lepage - Denis Castellas, Noël Dolla ed Henri Olivier, costituenti “il primo nucleo Taranto/Nizza di Mediterranea” come si legge a pag. 72 del Manifesto. “Le opere del primo nucleo degli Artisti Puri, installate il giorno prima dell’inaugurazione, due per ogni artista, creavano un flusso magnetico che orientava il pensiero verso Medi/ Terra/Nea, la Città dell’Arte-Pura, visibile concretamente grazie ad una cartografia tecnica, una serie di tavole a colori in formato 100x70, che mostrava la città a forma di piramide in pianta e sezioni, bellissima, che sorgeva dalle acque marine”, così rammenta l’artista Pino Lacava quei momenti, a cui abbiamo chiesto informazioni e ricordi. “Le immagini delle varie opere pur nella loro complessità erano essenziali, si integravano tra loro creando una rete concettuale che si espandeva all’unisono, comunicando con diversi stilemi il contenuto di un’arte libera da ogni compromesso ideologico se non quello <<del bisogno di tendere ad un NATURALISMO ESTETICO che salvaguardi l’uomo, la natura, l’ambiente>> così come scriveva Del Piano nel suo Manifesto”. “Non è stata una mostra nel senso tradizionale del temine, ma uno spazio olistico da percorre condotti da un filo invisibile che indicava la luce della Città dell’Arte-Pura; uno spazio che coinvolgeva i visitatori rendendoli attivi e partecipi” ricorda ancora Lacava. Insomma, soffermarsi davanti allo Stand 7 del Padiglione 3 era una gioia per gli occhi e lo spirito. “Ricordo, tra le tante, l’opera di Del Piano: sette coppie di cristalli disposti in verticale, uno

sull’altra, tenuti da un filo invisibile. Stretti nei cristalli vi erano, il Colore-Immagine più scritte e scrittura che rimandavano concettualmente all’idea del’acqua, del mare, del cielo e dell’ambiente. Nello stand si sentiva un fitto vociare sommesso. Tutti cercavano di capire e facevano domande agli artisti presenti per cercare di comprendere di più.” Ancora dal Programma e progetto: MEDITERRANEA & ARTE-PURA – Il manifesto (pagg. 60-67): <<1. Per l’azione “mediterranea” desidero lasciare libero ognuno di dar corso alla propria immaginazione, la mia azione vuol essere solo un’indicazione (guida…), nello spazio e nel tempo in cui vivo (…). L’Arte-Pura che propongo non è un’arte utopica, ma la condizione-operativa (è un’operazione che più volte ho già definito “super/azione combinabile”) che permette di realizzare la propria “estetica-ideale” (…). 2. Io non propongo istituzioni per l’Arte-Pura un’ideologia o nuovi modelli applicativi nell’arte (…). 3. Con “Mediterranea” non voglio offrire nessun “modello finito” di città-nuova o alternativa. 4. Nel cuore di “Mediterranea” vive ed arde una coscienza politica pura, una sensibilità estetica pura, uno spirito libero-nuovo. L’adozione di queste regole è in divenire e, per evitare una “babele estetica”, il riferimento puro è il Naturalismo integrale di Pierre Restany. 5. Una metodologia dovrà permetterci di operare in equipe ed uno dei valori fondamentali è la “sensibilità cosmica”. Tutto questo implica l’elaborazione di regole – minime – e comportamenti fondati sulla memoria della cultura di ognuno di noi, nel pieno rispetto della cultura del proprio “Paese” e del proprio linguaggio (…). 1/a) Salvaguardare l’esistenza delle proprie tradizioni culturali, facendo ricorso a quelle precedenti, ai loro linguaggi, ai loro miti, ai loro riti, per un’immagine “estetica-pura” non degradata, non inquinata della vita. 2/a) Salvaguardare la natura. 3/a) L’arte-Pura come strumento principale per salvaguardare la degradazione dell’ambiente, il nostro pianeta, le nostre città (…). 4/a) (…) Alla crisi dell’arte attuale io propongo l’Arte-Pura, alla crisi dell’essere, la ricerca pura della “bellezza primordiale” della terra-madre, la natura è il mezzo-puro-originale al centro del quale l’Arte-Pura nasce e si sviluppa senza congelare la creatività, senza minacciare di morte l’arte (…).>>ere consu-


misti” io oppongo la qualità dell’ “essere puri” senza limitazioni di creatività, di espressività e di libertà (…). 5/a) La ricerca dell’Arte-Pura non è una nuova impresa dell’avanguardia né un’attività interdisciplinare o multidisciplinare; è intuizione-poesia-teoria, in divenire è Arte-Pura. Arte-Pura è la ricerca pura della “bellezza primordiale” della terra-madre, la natura è il mezzo-puro-originale al centro del quale l’Arte-Pura nasce e si sviluppa senza congelare la creatività, senza minacciare di morte l’arte (…).>> <<L’allargamento delle riflessioni sulle possibilità poetiche dell’ “Arte-Pura” prende i suoi interessi: ricerca affettiva della sensibilità, come risposta oggettiva, cosmica alle domande che l’artista si pone (funzione dell’arte, della propria esistenza...), per tentare di superare (con studi e opere realistiche) la crisi dell’agire insensibile nell’ “artistico-cullturale” contemporaneo.>> si legge sempre nella colonna “Informazioni” della pagina Facebook citata sopra. Pierre Restany nel 1986, presentando il Catalogo della mostra “SOLE/MARE/LUCE - Arte-Pura/Natura-Cultura per il Mar Piccolo” a cura di Vittorio Del Piano, allestita negli spazi della Galleria Comunale del Castello Aragonese di Tacon poche parole fornisce la definizione perfetta di Mediterranea: “Mediterranea è l’illustrazione, la più chiara ed evidente della Natura Integrale, cioè della Natura concepita come Cultura”. Da questo momento in poi le azioni artistiche di Vittorio Del Piano avranno sempre come tema centrale l’Arte-Pura. Saranno sempre espressione e risultato di quel pensiero scritto nel Manifesto e materializzato in mille modi diversi: dalla costituzione del Comitato della Sensibilità Pura per la restituzione della Persefone - Dea in Trono di Taranto, al Museo della Sensiblità Mediterranea così battezzato da Pierre Restany - costituito da 11 pannelli ceramici e una scultura/fontana omaggio a Franchina in allestimento permanente a Tramontone-Taranto; dagli annulli postali figurati speciali all’Arte Visionica (es. VivinCittà, immagini riprodotte a ciclo continuo su tabellone a led); dalle Biografie per Immagini (Alessandro Mendini, Salvatore Quasimodo, Gillo Dorfles, Alessandro Quasimodo) ai Libri d’Artista/ décollage in copia unica(es. Leonida di Ta-

ranto ed. Apollinaire, riproduzione digitale stampata su Carta Amatruda di Amalfi). Come egli stesso scrive di sé: << Diverse mostre-evento sono collegate all’Arte-Pura abbinate alla sua variegata produzione artistica autogestita di grafica-moltiplicata e della propria ricerca espressiva del “Libro d’artista” e dei “Livre d’art pur d’artiste” di fine Secolo nell’epoca della crisi dell’ “immagine di massa” e della disumanizzante <<super comunicazione>> con la massificazione, polverizzazione delle immagini, Del Piano nelle recenti opere strutturalizza pensiero, poesia, sensibilità artistica e comunic/Azione come opera fenomenica d’Arte-Pura e si colloca nello spazio speciale di quell’ “altra faccia dell’arte” alla ricerca di un linguaggio d’arte <oltre> e realizza “opere” - d’arte pura – eliminandone la “forma-immagine” classica tradizionale e ne va riducendo la “visibilità-formale”, limitandosi a notificarne l’essenza “pura” con una comunic/Azione pura – come il “ telegramma-odel “Libro-Puro d’Artista” – dedicato a Giovanni Paolo II, “Mostra Evento Itinerante lungo l’Antica Via Appia”, con il percorso: Brindisi-Roma-Brindisi – presentato nel Convegno: “Arte-Pura Sensibilità e Spiritualità” Auditorium e Gabinetto Delle Stampe, con 2 Annulli Postali Speciali Figurati abbinati – per l’Opera-Omaggio dedicata a Papa Wojtyla - “Giubileo Degli Artisti” curato da Vittorio Del Piano, nell’Anno Santo MM. SULLA COMUNI/ CAZIONE>>. Anche la cura dei blog su cui scriveva personalmente e regolarmente, sono stati e sono tutt’ora “messaggi nella bottiglia” lanciati dal “Marinero”, come amava chiamarsi, e destinati alla massima diffusione dell’Arte-Pura. 4 – Prospettive. Dopo 30 anni le tematiche del Manifesto dell’Arte-Pura sono più che mai attuali, e ancora in via di attuazione. Le argomentazioni in difesa della Natura, dell’Uomo e dell’Ambiente sono oggetto di dibattito quotidiano in tutti i campi e a più livelli a scala globale. Franco Gelli è venuto a mancare oltre 10 anni fa, i citati artisti francesi sono presenti nel web ma non rintracciabili (forse in giro per il mondo?), anche Del Piano Lepage e Restany non sono più tra noi… non

abbiamo potuto fare altro che chiedere a Lacava, al momento unico superstite disponibile del nucleo originario di Medi/Terra/Nea, e testimone diretto di quegli eventi. “Del Piano invitava con azioni concrete a rompere gli schemi precostituiti nel campo dell’estetica, oltre a quelli di un mercato che trattava e <<tratta le opere d’arte con i requisiti utili solo al profitto egoistico dei faccendieri>>, come è scritto nel Manifesto”, ci riferisce. E ancora: “Pierre Restany con il Manifesto del Naturalismo Integrale e Vittorio Del Piano con il Manifesto dell’Arte-Pura hanno tracciato le linee guida per la rivoluzione antropologica, per ritrovare il senso della vita dell’Uomo in piena armonia con la Madre Terra. Noi dobbiamo comprendere di più i loro messaggi e partecipare collettivamente per raggiungere lo spazio luminoso dei luoghi dove la sensibilità può affermarsi liberamente e naturalmente. Ormai il processo capace di formare e liberare le coscienze dagli stereotipi è diventata necessità. L’Arte-Pura deve provocare un corto-circuito al “pensiero confezionato”, al “linguaggio confezionato”, per “VEDERE” di più le contraddizioni all’interno delle società. Soprattutto noi della civiltà post-industriale dobbiamo cercare una forma di comunicazione e una movenza stilistica per un’arte libera da ogni compromesso. La dimensione dell’arte deve essere un dato estetico, ma non solo. L’arte deve creare un movimento che la porti sempre più verso la vita. L’arte non è produrre cose meravigliose ma è l’energia che, nell’agire, nel fare, esprime se stessa e produce in divenire verso una dimensione-altra pura ed infinita.” In conclusione, ci rivolgiamo a tutti coloro i quali Vittorio Del Piano chiamava spiriti sensibili. Agli intellettuali di ogni età e ogni nazionalità, agli artisti giovani e meno giovani, a chi ha ingrossato le fila dei movimenti studenteschi nel 1968, a chi nel ’68 ci è nato e a chi è nato vent’anni dopo il ’68, a chi c’era in Piazza Tienanmen e a chi ha idealmente partecipato a quell’avvenimento guardandolo in tv con il consapevole stupore di assistere ad un pezzo di storia dell’umanità. Ci rivolgiamo a chi crede ancora che le utopie possano diventare realtà attraverso i fatti – “le cose si fanno facendole”, amava ripetere spesso Del Piano. Bisogna continuare a ricostruire e rinsaldare il

Pierre Restany e Vittorio Del Piano Bari, ExpoArte, 1979.

legame primigenio tra uomo e uomo, e tra Uomo e Natura. Bisogna trovare i canali e i mezzi per comunicare l’idea che è possibile l’alternativa alla formula: “Uomo e Natura dissociati”; è necessario sviluppare strategie concrete per soddisfare i bisogni primari – originali – spirituali oltreché i primari materiali, perché l’uomo non è solo stomaco e la “fame nel mondo” non è solo fame di grano o di riso. Bisogna risolvere le contraddizioni che rendono il mondo brutalmente primitivo dove la violenza è la regola. Le Arti, le Scienze naturali, quelle filosofiche e tecnologiche devono trovare insieme il giusto equilibrio per un progresso sicuro, dove il senso delle cose corrisponda al bene di tutti in piena armonia con la Natura nel suo insieme; perché il futuro del genere umano dipenderà sempre di più dal sano e rispettoso rapporto tra Uomo e Natura. Insomma, una primavera tutta mediterranea che ha dato i suoi primi frutti 30 anni fa, e che per il futuro ancora promette fioriture. Sabrina Del Piano – Atelier MediterraneArtePura Taranto/Nizza.


Vittorio Del Piano: interventi nello spazio urbano “per altra città a Taranto”. Messaggi artistici per la vivibilità del Mar Piccolo. Castello Aragonese, 1980 (da Sole Mare Luce, catalogo della mostra “Arte-Pura/Natura-Cultura per il Mar Piccolo”, 1986, pag. 33).

Cartolina-comunic/Azione di Vittorio Del Piano. Marzo 1980.


Auguri! Antonia Sguera

Laurea discussa di Antonia Sguera

L'Accademia inizia proprio quando finisce… Il Progetto ArcheoModernitas che dalla seconda edizione diventa IMPRINTING, il 3 aprile 2017, é divenuto la tesi di laurea discussa da Antonia Sguera, in collaborazione con Antonio Rollo, presso la Provincia di Bari. Un Progetto che è divenuto un importante appuntamento annuale, presso l'ateneo Aldo Moro di Bari, una rivista online e una mostra d’arte, che nasce da un'idea dell' Associazione Culturale Ex Studenti di Belle Arti, in collaborazione con l Accademia di Belle Arti di Bari, poiché l’arte è un importante mezzo per la ricerca di identità, oltre che uno strumento di riflessione sociale. Il nostro intento è quello di promuovere l'Arte come mezzo di conoscenza e comunicazione, di incrementare le arti visive, seminando stimoli culturali in un territorio ancora oggi arido e di dare una continuità all'accademia. Inoltre, si intende sollecitare l’unione e la collaborazione di cultori di tutte le altre arti, letteratura e giornalismo, musica e teatro, cinematografia e fotografia, critica e storia dell’arte. Si propone, anche, di trovare contatti con il mondo del lavoro. L’Associazione Culturale "Ex Studenti” è un’associazione culturale senza scopo di lucro, costituita prevalentemente da artisti, creativi, letterati, cultori, docenti, e non solo, di tutte le nazionalità, con sede a Bari, nel suggestivo Palazzo novecentesco Teodora Massa, nei pressi dall'Accademia. Nell’occasione è stata presentata la seconda edizione di ArcheoModernitas (IMPRINTING) ed il “Premio Internazionale Tesi Sull’Arte” per ricerche artistiche e storia dell’arte di genere, patrocinato dall'Assessorato ai Beni Culturali e con la collaborazione del Direttore della casa Michelangelo Buonarroti di Firenze, Prof. Alessandro Cecchi e il Prof. Stefano Garosi, destinato agli studenti laureati, che abbiano realizzato tesi di Laurea particolarmente interessanti su argo-

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menti d’arte visiva o ad essa collegate, selezionate da una commissione costituita da docenti universitari e membri dell’Associazione Ex Studenti, da pubblicare sulla rivista online, dal 11 al 22 settembre 2017, presso l'Ateneo Aldo Moro di Bari. Conciliare l’attività artistica accademica, la vita da studente, con quella della realtà esterna, speriamo sia possibile grazie al nuovo programma sperimentale dell'Associazione, con progetto che prevede diverse organizzazioni elaborate come strumento integrativo e coalizzato per affrontare in campo le problematiche, lavorative e culturali legate al mondo dell'arte. La piattaforma digitale che verrà utilizzata, conterrà integrazioni ai libri di testo e di tesi appropriate, consentirà la creazione e condivisione di materiali, corsi e prove e l’assegnazione dei compiti, nonché la creazione di gruppi di lavoro in una logica collaborativa e di condivisione, la mappatura e la valutazione delle competenze. L'Arte, la cultura sono componenti fondamentali nella formazione e nella crescita di ciascun individuo. Stiamo avviando un progetto sperimentale importante: Arte a 360 gradi ed accademia e lavoro non devono essere inconciliabili. Obiettivo di questo programma sperimentale è non lasciare indietro nessuno ed evitare che gli studenti proiettati verso una carriera di eccellenza incontrino difficoltà tali da portarli a rinunciare allo studio. È un vero e proprio programma di contrasto dell’abbandono dello studio artistico e culturale.

Non sono pochi gli studenti che, praticando attività artistiche, letterarie ecc. ad alti livelli, incontrano notevoli difficoltà nel mondo esterno e scelgono poi di fare altro. La nostra volontà è quella di abbassare il tasso elevato di dispersione di questi giovani. Noi continuiamo perciò su questa strada, cercando di mettere a disposizione dei ragazzi ambienti e percorsi più accessibili. Siamo convinti che andando avanti, grazie all'Accademia di Belle arti di Bari, all'Assessorato dei Beni Culturali e a noi stessi, che ci mettiamo un grande impegno, e a tutti coloro che collaborano con noi, lavorando e sostenendoci in questo progetto, avremo sicuramente dei buoni risultati e prospettive migliori. Un progetto importante, di qualità, finalizzato a fornire un supporto ai giovani, che si dedicano alle attività artistiche e culturali e che ci riguarda da vicino. Ringraziamo l'assessore Silvio Maselli, a tal proposito, per la sensibilità e l’attenzione che ha mostrato nei nostri confronti. Un sostegno fondamentale nel processo di crescita di un giovane che si cimenta in un arte cosi arginata soprattutto a sud, e ancora più significativo per i disabili, per i quali l'arte rappresenta lo strumento per scardinare muri e per creare un vero e proprio processo di inclusione sociale, un’integrazione reale e sempre più concreta. Un primo passo verso quel contagio virtuoso della società che passa anche e soprattutto attraverso l’esempio che questi giovani forniscono in ambito artistico. Il Vernissage della seconda edizione si terrà l'11 settembre 2017, dalle ore 10.00, con opere di Paolo Lunanova e di studenti, docenti e artisti. Saluterà il direttore dell accademia di belle arti, prof Giuseppe Sylos Labini, e presenterà Antonio Cicchelli.. Ulteriori aggiornamenti e informazioni si troveranno sul sito www.exstudentiaccademiabellearti.co... Ringraziamo l'Assessore Silvio Maselli per la partecipazione, Prof. Alessandro Cecchi Direttore della Casa Michelangelo Buonarroti, Prof. Giuseppe Sylos Labini Direttore dell'Accademia di Belle Arti di Bari, Prof. Antonio Felice Uricchio Rettore dell'Ateneo Aldo Moro di Bari, Prof. Stefano Garosi esperto internazionale di restauro.


Restauro

Conservativo del prezioso mantello di Murat Presso la Curia di Altamura è conservato un prezioso piviale in seta a ricami policromi, sul quale aleggia una nobile provenienza. Secondo una tradizione locale non documentata, si tratterebbe del mantello donato dal re di Napoli, Gioacchino Murat, al mons. Gioacchino De Gemmis, vescovo che nel 1799 ad Altamura si schierò con i rivoluzionari repubblicani e benedisse l’Albero della Libertà. In occasione del bicentenario murattiano della Campagna d'Italia (1815-2015) è stato avviato il seguente studio che ha visto al centro dell'attenzione il pregevole manufatto. Rimane dubbia l’appartenenza del mantello proprio al Re Gioacchino Murat, ma analizzando scrupolosamente il tessuto sembrerebbe essere più vicino ad una mise di una Regina di Napoli. Le ipotesi più plausibili ricadono su Giulia Clary moglie di Re Giuseppe Napoleone, oppure molto più probabilmente su Carolina Bonaparte, moglie del re Gioacchino Murat e sorella di Napoleone Bonaparte che regnò per otto anni. Inoltre il piviale non presenta connotati stilistici ecclesiastici, ma è evidente che i motivi decorativi fanno parte di una simbologia utilizzata per gli abiti civili di corte femminili, visibile con la rappresentazione di frutti e foglie. Tale piviale (cm 320 x 160), di forma semicircolare, presenta uno stolone decorato da un ricamo a punto pittura in cui si alternano tralci di foglie e frutti espressi con straordinaria fantasia cromatica e figurativa. Essi formano una coloratissima ghirlanda continua lungo la profilatura, raccordando la diagonale di seta bianca sulla quale si svolge parte del ricamo, con una larga fascia in cotone di colore rosa, ricoperta di tulle lavorato a fuselli, sulla quale ricadono altri particolari descrittivi del ricamo. Identica fascia percorre come bordura l’intero manufatto. Lo stolone è contornato da un gallone in filato metallico dorato e alle sue estremità pre-

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di Monica Cannillo

senta, applicato, lo stemma di Gioacchino De Gemmis ricamato su tela di cotone. L’arma è composta dall’ inquartato, nel 1° e nel 4° campo d’azzurro alla fascia d’oro sovrastante una scala d’oro posta in sbarra a 5 pioli accompagnata in capo da tre gemme rosse rilucenti ordinate in fascia; nel 2° e 3° d’oro al bove (la posizione della coda lo contraddistingue da un toro) marciante di bianco al naturale. Sormontato da galero verde con 6 nappe verdi 1, 2, 3; con croce astile semplice posta in palo dietro lo scudo. Esecuzione e materiali si differenziano da lavorazioni e materiali del mantello. Il tulle che accompagna la bordura del piviale è ulteriormente decorato con una sorta di cavità ovali chiuse da un leggero reticolo, nelle quali era uso inserire petali di rosa per la profumazione dell’indumento; qualche petalo, ovviamente secco, è sopravvissuto fino a noi, come testimonianza di un vezzo “profano”. Infine, sulla restante superficie del manto sono ordinatamente disposte a scacchiera alcune serie di fiorellini ricamati fra numerose paillettes. I punti utilizzati sono: pittura o raso, nodini, erba e steso. Per quanto riguarda lo stato di conservazione del piviale era compromesso dall'usura e dall’invecchiamento delle fibre del tessuto. Le fibre tessili composte da materiale organico, si sono inevitabilmente deteriorate, sottoposte a determinate condizioni fisico-chimiche e biologiche. Questi processi sono inevitabili e continuativi. Da analisi effettuate ad occhio nudo, è stato rilevato un consistente deposito di particellato superficiale atmosferico (polvere), depositi incoerenti come la cera ed erano presenti sgualciture e pieghe. Il piviale presentava, inoltre, lacerazioni e lacune in diverse zone della superficie tessile. Strappi e lacerazioni sono stati, quindi, rammendati in maniera disordinata con un filato di cotone, spesso e bianco, che ha lasciato le tracce dell'inserzione di aghi dal grande diametro. Il gallone e i filati metallici del ricamo erano leggermente ossidati. Le paillettes erano

mancanti su quasi tutta la superficie e quelle presenti erano completamente ossidate. Nella parte superiore della fodera originale era stata posizionata una nuova di un tessuto incoerente di fattura sintetica in modo da proteggere il tessuto originale. Analizzando e lo studiando i materiali costitutivi del piviale è stato essenziale per la comprensione delle cause del degrado e per poter intervenire ed eseguire un restauro finalizzato al corretto recupero dell’opera. Ė stato effettuato un attento e dettagliato rilievo fotografico del manufatto prima, durante e a conclusione delle fasi d’intervento. Attraverso la mappatura, sono state segnalate le aree del degrado sulla superficie totale. Ė stata effettuata una pulitura meccanica attraverso l’utilizzo di un aspiratore a potenza regolabile, eliminando lo strato di particellato superficiale. Subito dopo è stato eliminato l’ossido metallico dal gallone e dai filati metallici con una soluzione di acqua e acido citrico. Inoltre, i filati metallici sono stati riposizionati e fissati in maniera parallela nella stessa sequenza originale. Si è esclusa la pulitura fisico-chimica in acqua con tensioattivo in quanto si possono creare nuove lacerazioni e perdita di materiale a causa dello stato avanzato del decadimento molecolare delle fibre tessili. Inoltre l’azione fisica dello spostamento e del maneggiamento in acqua può risultare pericoloso per l’integrità dell’opera e potrebbe arrecare un forte stress. L’azione del vaporizzatore, invece, ha disteso e appiattito le pieghe nette, ridando volume alle fibre del tessuto del piviale. Le lacune sono state trattate posizionando un supporto locale sul retro dell’opera, fissandolo a punto posato che ridarà sostegno e una corretta visione estetica. Si è deciso con la direzione dei lavori di riposizionare le paillettes mancanti. Questa decisione è scaturita dalla considerazione che sono rimaste tutte le tracce e che, quindi, andando a reinserire le paillettes non si modifica l’originalità del manufatto, anzi, lo si rende esteticamente più ricco e adornato.La fodera di fattura sintetica è stata rimossa, lasciando apparire quella originale. alla struttura. Le parti smontate sono state riposizionate come in originale. tutte removibili e servono a dare un supporto


Vasari In occasione del cinquecentesimo dalla nascita di Giorgio Vasari, fra settembre e dicembre del 2011, presso la Galleria comunale d’arte contemporanea di Arezzo, si è tenuta una mostra per celebrare il grande artista, curata da Alessandro Cecchi, in collaborazione con Alessandra Baroni e Liletta Fornasari. In previsione di questa mostra, è stato effettuato il restauro del dipinto di Giorgio Vasari, raffigurante ”Le tentazioni di san Girolamo “, appartenente alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti. L’intervento non è stato facile, ed ha costantemente richiesto moltissima attenzione, in particolare in fase di pulitura, eseguita in gran parte con l’ausilio del microscopio. Non si è trattato di uno di quei particolari interventi in occasione dei quali si fanno studi o si adottano metodi nuovi. È stato un lavoro quasi di routine, che però ci ha fornito l’opportunità per alcune interessanti riflessioni sull’opera di Vasari. Durante il restauro abbiamo trovato una testimonianza concreta della coerenza fra il Vasari trattatista e il Vasari artista. È stata, infatti, riscontrata la totale corrispondenza fra la tecnica usata in questo dipinto – per come è stato preparato il supporto e per i materiali usati - e quanto si legge sul modo di eseguire una pittura su tavola nelle “Vite”, nell’Introduzione alle tre arti : della Pittura (nei capitoli VI e VII). Nel capitolo VI troviamo indicazioni su come s’ingessa una tavola, mentre, il successivo, tratta della pittura a olio e di come si prepara una tavola sulla quale si vuol dipingere ad olio. Nel capitolo VI si legge: “Del dipingere a tempera, ovvero a uovo, su tavole o tele; e come si può usare sul muro che sia secco. Da Cimabue in dietro, e da lui in qua, s’è sempre veduto opre lavorate da’ Greci a tempera in tavola e in qualche muro. Ed usavano nello ingessare delle tavole questi maestri vecchi, dubitando che quelle non si aprissero in su le

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di Stefano Garosi commettiture , mettere per tutto, con la colla di carnicci, tela lina, e poi sopra quella ingessavano per lavorarvi sopra”. Nel capitolo VII si legge: “ingessato che hanno le tavole o quadri, gli radono, e, datovi di dolcissima colla quattro o cinque mani con una spugna, vanno poi macinando i colori con olio di noce o di seme di lino (benché il noce è meglio, perché ingialla meno), e così macinati con questi olii, che è la tempera loro, non bisogna altro, quanto a essi, che distenderli col pennello. Ma conviene far prima una mestica di colori seccativi, come biacca, giallolino, terre da campane, mescolati tutti in un corpo e d’un color solo; e quando la colla è secca, impiastrarla su per la tavola e poi batterla con la palma della mano, tanto che ella venga egualmente unita e distesa per tutto: il che molti chiamano l’imprimitura.” Osservando al microscopio (a 15 ingrandimenti) lo strato preparatorio del dipinto, si potevano facilmente notare le sottili strisce di tela applicate sulle commettiture delle quattro tavole in legno di pioppo, che costituiscono il supporto del dipinto (quelle che Vasari chiama tela lina), ma non era possibile distinguere i diversi strati di gesso, colla e d’imprimitura presenti nella preparazione. Quest’ultima sembrava costituita da un tutto unico, e appariva come uno strato di gesso e colla. A questo punto, il dubbio che Vasari non avesse preparato il dipinto seguendo il metodo indicato nel suo scritto, poteva essere legittimo. Dalle indagini eseguite risulta invece che la preparazione del supporto è stata eseguita per filo e per segno come lui scrive. Sul supporto ligneo troviamo: prima uno strato di colla, poi le strisce di tela, sopra a queste lo strato di gesso ed infine lo strato d’imprimitura. Viene da pensare che il titolo della mostra Giorgio Vasari Disegnatore e Pittore “Istudio, diligenza et amorevole fatica” sia stato quanto mai azzeccato, un suggerimento a non fermarsi alle apparenze. Indagini sugli strati preparatori: ART-TEST

OSSERVAZIONI PRELIMINARI Cartellini e scritte, sul retro del dipinto: in un cartellino a stampa: inventario 1912 R. Galleria Palatina 393, in un cartellino scritto in nero: 5035, in un cartellino scritto in rosso il numero 8122, in basso a sinistra sono presenti i residui di un sigillo in ceralacca, il numero 138 scritto a pennello in colore nero barrato in nero (l’otto è scritto alla maniera antica che sembra una esse), il numero 132 in nero barrato in nero, il numero 494 in verde non barrato, il numero 6244 in nero barrato in nero, un numero di tre cifre forse 370 non visibile perché coperto da due cartellini, il numero 135 in rosso barrato in nero. Sulla preparazione, in corrispondenza del bastone a rocchetto del cembalo, è presente un’iscrizione non leggibile. STATO DI CONSERVAZIONE Il dipinto, ad olio su tavola (cm. 170 x 122), è costituito da quattro tavole in legno di pioppo dello spessore di cm. 3,5: la prima tavola partendo da destra è larga cm. 22, la seconda cm. 31, la terza cm. 36 e la quarta cm. 33. Le tavole sono perfettamente assemblate e rinforzate sul retro con due traverse rastremate, in legno d’abete, di 6 centimetri, inserite in una traccia a forma trapezoidale profonda circa 1 centimetro. Le due tracce sembrano coeve alla realizzazione del supporto, mentre le due traverse sono state sostituite presumibilmente tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Il supporto si presenta in ottimo stato di conservazione. Esso, nonostante le traverse siano bloccate, ha mantenuto infatti una perfetta planarità e non si ravvisano segni di cedimento nelle commettiture delle tavole, e la preparazione a gesso e colla (di colore bianco) appare perfettamente aderente al supporto ( le indagini effettuate da ART-TEST confermano che la preparazione è costituita da gesso e colla ). In tutte le commettiture sono presenti delle sottili strisce di tela sottostanti la preparazione. La pittura presenta un mediocre stato di conservazione. Tutta la superficie del dipinto è segnata da micro cadute di colore, particolarmente evidenti sulle gambe di San Girolamo, sul leone, sul terreno e in tutta l’area destra del quadro. Si osservano inoltre numerosi ritocchi

ad olio alterati, rilevabili soprattutto nella figura del Santo, nella sua gamba destra e nel braccio destro, nel terreno e sopra l’amorino che scaglia una freccia. Inoltre, su tutta la superficie pittorica, è presente uno strato di vernice alterata ed ingiallita. Effettuando alcuni saggi di pulitura (sotto il ginocchio di San Girolamo; sul terreno in basso a sinistra; sull’ala destra di una colomba; in alto, sopra i piedi di Cupido; nel cielo, sopra i monti del paesaggio a sinistra) ed osservando la vernice, è stato possibile stabilire che non si tratta di un unico strato, ma bensì di due strati di vernice con caratteristiche simili (ricavate presumibilmente da resine naturali tipo mastice), applicati in tempi diversi. Da un’attenta osservazione dello stato d’invecchiamento dei due strati di vernice e dei ritocchi, si può ragionevolmente ipotizzare che il più vecchio (costituito da vernice addizionata con olio e pigmento o con colori ad olio, al fine di conferire a questa vernice un effetto patina) sia stato applicato tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, e che quello più superficiale (una vernice molto lucida ma incolore, ormai poco trasparente) risalga a circa 30 anni fa. Relativamente alle micro cadute presenti su tutta la superficie del dipinto, è possibile stabilire che risalgono a due periodi diversi, poiché su quelle più evidenti (sulla gamba sinistra del santo e sul leone) si riscontra soltanto uno strato di vernice superficiale e residui di colla. Quelle più vecchie, che sono meno appariscenti, sono coperte da entrambi gli strati di vernice ed i loro margini sono frantumati inoltre in molte di queste si trova del materiale lucido dall’aspetto resinoso e residui di colla.


INTERVENTI DI RESTAURO Effettuando i saggi di pulitura - funzionali sia alla comprensione dello stato di conservazione del dipinto, che alla messa a punto del solvente idoneo alla pulitura - ed osservando la vernice, è stato possibile stabilire che non si trattava di un unico strato, ma bensì di due strati di vernice con caratteristiche simili (entrambe ricavate presumibilmente da resine naturali tipo mastice), applicati in tempi diversi. Da un’attenta osservazione dello stato d’invecchiamento dei due strati di vernice e dei ritocchi, abbiamo formulato un’ipotesi, successivamente confermata in fase di pulitura. Il più vecchio strato di vernice (costituito da vernice addizionata con olio e pigmento o con colori ad olio) era stato applicato in un restauro eseguito presumibilmente tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento -, al fine di conferire a questa vernice un effetto patina che mitigasse i vistosi danni provocati dalla pulitura effettuata durante il suddetto intervento di restauro. Lo strato di vernice più superficiale (una vernice molto lucida ma incolore, ormai poco trasparente) è invece stato applicato circa 30 anni fa. Relativamente alle micro cadute, diffuse su gran parte della superficie del dipinto, inizialmente avevamo ipotizzato che risalissero a due periodi diversi, poiché su quelle più evidenti (presenti sulla gamba sinistra del santo e sul leone) si riscontrava soltanto lo strato di vernice superficiale, mentre quelle meno appariscenti erano coperte da entrambi gli strati di vernice, e all’interno di quasi tutte queste era presente del materiale scuro, lucido, dall’aspetto resinoso. Successivamente, in fase di pulitura - e mediante l’osservazione al microscopio - è stato possibile verificare e confermare la nostra prima ipotesi, ossia che esse non fossero dovute alla decoesione della preparazione, bensì ad una maldestra fermatura effettuata nel vecchio restauro. La prova di ciò è data sia dalla conformazione delle micro cadute, che presentano i margini frantumati (frantumazione osservabile soltanto al microscopio), sia dall’ottima coesione e adesione della preparazione al supporto su tutta la superficie del dipinto, oltre che dalla presenza di residui di colla rilevati nelle aree dove le micro cadute erano più diffuse. In questa fase abbiamo potuto correggere la nostra

ipotesi relativa alle micro cadute più evidenti che ritenevamo fossero più recenti. Esse risultavano più recenti poiché in quelle aree, il materiale scuro, lucido, dall’aspetto resinoso (riscontrabile nelle micro cadute), era stato rimosso contestualmente alla verniciatura effettuata circa trent’anni fa. Sempre in fase di pulitura è stato possibile osservare l’entità delle abrasioni e svelature varie (sul volto e sul corpo di Venere; sulla figura del santo, in particolare sul manto rosso; sulle colombe; sulla figura dell’amorino bendato), provocate dalla pulitura risalente al vecchio restauro. Al contrario, la vegetazione che sta dietro la figura del santo, conserva integra la patina originale. La rimozione dei due strati di vernice, dello sporco, dei residui di colla e dei ritocchi alterati, è stata effettuata gradualmente, attraverso varie fasi di assottigliamento dei vari materiali non pertinenti alla pittura originale - sia a solvente che meccanicamente a bisturi -, usando: alcool, acetone, essenza di petrolio e vernice mastice. I residui di colla sono stati asportati meccanicamente a bisturi, previa applicazione d’impacchi. Sono stati poi consolidati con Klucel-G e colletta alcuni piccolissimi sollevamenti di colore. Le lacune sono state stuccate a gesso e colla, integrate a tempera e colori a vernice. Il ritocco di tipo mimetico imitativo delle micro cadute e delle lacune è stato eseguito con colori a vernice. Le verniciature, durante e dopo il restauro, sono state effettuate con vernice mastice. RESTAURO DELLA CORNICE Rimozione dei depositi di polvere, risanamento della struttura lignea, trattamento antitarlo eseguito con Permetar antitarlo per imbibizione ripetuta due volte, fermatura delle parti di preparazione distaccate o non ben aderenti, pulitura, stuccatura, m reintegrazione delle parti di doratura mancanti con doratura a bolo, trattamento con cera microcristallina. MATERIALI IMPIEGATI Alcool, essenza di petrolio, acetone, acqua distillata, vernice mastice, Klucel- G, gesso, colla di coniglio, colori a tempera, colori a vernice, vernice Talens.

Le tentazioni di San Girolamo Documentazione grafica del restauro


Maria Cumani, mia madre

Maria Cumani, mia madre, ha sempre avuto un forte senso di appartenenza alle acque, a tutto ciò che fosse acqua, liquido. Salvatore Quasimodo, nel componimento a lei dedicato dal titolo"Delfica", scrive infatti "la tua voce orfica e marina". L'acqua è elemento di connotazione e di purezza dell'essere intimamente legato al recupero della dimensione infantile del Sé. "Ora è lo spirito che deve diventare bambino, puro-azzurro, celeste! Bisogna diventare buoni, vedere il bello dentro" (Maria Cumani, Il fuoco tra le dita, ed. Abramo, 2011). La vita di Maria Cumani è tutto un fluire, come i passi della sua danza e come le figure che andava ideando e componendo con il suo esile ed elastico corpo di giovinetta, anche in età matura. D'acqua marina era la luce del suo sguardo, di spruzzi d'acqua i suoi sorrisi. "Il mare con il suo odore, il suo

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IL MARE NELL’ANIMA

di Alessandro Quasimodo

fragore mi è dentro, e mi chiama", così scrive di sé e così è percepita. Donna fuori dal tempo perché in anticipo sul tempo che le è stato dato di vivere, infatti scrive "Sono nata 30 anni prima del mio tempo", intuisce con chiarezza e dichiara: " La pace sia il nostro compito più urgente". E com'è attuale questo suo invito!, così com'è chiara la percezione di sé: "Io sono forte e debolissima. Non c'è che la poesia e la danza che possano salvarmi, il mio bambino e anche l'amato". Infatti, quando ella danza si trasforma davvero in elemento aquoreo, e ritrova la sua dimensione pura di libertà assoluta: "Senza peso, in aria purissima, astratta. Vi è la gioia dell'essere precisi, della perfezione. Strumento perfettissimo sarà il tuo corpo, voce di un'anima astrale. Il cammino sarà quello degli astri con le sue geometrie assolute". Agli artisti che hanno il compito di leggere, interpretare e rendere il Mare nell'Anima, io direi di scavare nel mare dei sentimenti come faceva lei, e di coglierne anche l'aspetto fisico, materico di questo elemento origine di ogni Vita. L'Alto Veliero è la poesia più onirica di Salvatore, è un sogno. Il poeta si trova a casa con la sua sposa, ed immagina che un mare illuminato dalla luna circondi la casa. Alla luce della luna si staglia un veliero, vederlo e desiderare d'esserci è un tutt'uno. Il suo primo istinto di uomo un po' pirata un po' zingaro, infatti, sarebbe quello di scappare dall'isola della sua casa. Ma la donna amata, che aspettava un figlio, gli risponde che è tardi, che è meglio che lasci che questo veliero si allontani. E così egli, richiamato alla realtà dalla voce "marina" della donna, abbandona l'idea del veliero che continua a seguire con lo sguardo, segno di un desiderio e di una inquietudine dell'anima che non riuscirà mai a domare completamente.

Una vera opera d’arte è in sé ‘vita’, nata dalla fusione dinamica tra il sé/microcosmo e l’universo/macrocosmo; “Come ogni cosa si tesse col tutto e l’unica cosa vive e opera nell’altra!”- Goethe. Se la vediamo come interrelazione tra le cose viventi, l’arte - qualsiasi forma assuma, diventa la modalità fondamentale attraverso cui gli esseri umani scoprono i legami con i propri simili, con la natura e con l’universo. Da un’idea di Vittorio del Piano, partendo dal verso *il mare nell’anima* della poesia di Salvatore Quasimodo “L’alto veliero”, con questo percorso intendiamo spiegare le nostre vele verso un viaggio virtuale sulle rotte antichissime ma sempre futuribili e contemporanee, del vivere con l’arte quale espressione indissolubile e irrefrenabile dello Spirito Umano. L’alto veliero Quando vennero uccelli a muovere foglie degli alberi amari lungo la mia casa, (erano ciechi volatili notturni che foravano i nidi sulle scorze) io misi la fronte alla luna, e vidi un alto veliero. A ciglio dell’isola il mare era sale; e s’era distesa la terra e antiche conchiglie lucevano fitte ai macigni sulla rada di nani limoni. E dissi all’amata che in sé agitava un mio figlio, e aveva per esso continuo il mare nell’anima “Io sono stanco di tutte quest’ali che battono a tempo di remo, e delle civette che fanno il lamento dei cani quando è vento di luna ai canneti. Io voglio partire, voglio lasciare quest’isola”. Ed essa: “O caro, è tardi: restiamo”. Allora mi misi lentamente a contare i forti riflessi d’acqua marina che l’aria mi portava sugli occhi. L’Alto Veliero - Quasimodo Salvatore, “Tutte le poesie”, ed.Mondadori, 1995

Maria Cumani - Alessandro Quasimodo


Il mare... “Il mare – lo rivelava Baricco in Oceano Mare - è senza strade, il mare è senza spiegazioni”. Se questo è vero e quindi solo dando per buona una siffatta ipotesi, possiamo comprendere perché la curatrice Arianna Spizzico, realizzando un progetto di Vittorio Del Piano, abbia – insieme all’associazione culturale “Ex Studenti Accademia Belle Arti di Bari” - coraggiosamente chiamato a raccolta alcuni fra gli artisti più interessanti del nostro territorio attorno ad un tema tanto sfidante quanto complesso, soprattutto in una città costiera come Bari. Il mare. Eccellente fucìna di metafore e, nel contempo, metafora per eccellenza, il mare ha ispirato nel corso dei secoli poeti e letterati, migranti e viaggiatori, artisti e cineasti, filosofi e guerrieri permeando di sé - sin dalle origini della Storia - l’immaginario, le narrazioni e la vita reale dell’umanità. Rallentando o accelerando il suo sguardo sulla natura intrinseca dell’uomo, specchio delle ambizioni, delle inquietudini, delle attese e delle avventure realmente vissute, o solo fantasticate, da singoli individui o da interi popoli, il mare ha impregnato anche la nostra contemporaneità colonizzando, persino dal punto di vista lessicale, la tarda modernità. Nell’era dell’accesso, infatti, navighiamo in internet, utilizziamo (proprio come antichi pescatori) la rete per trarne sapere, informazioni, conoscenza ma anche per comunicare con i nostri simili e per costruire identità, sempre più liquide. E non occorre certo scomodare il paradigma più famoso del sociologo polacco Zygmunt Bauman per comprendere la natura profonda dei cambiamenti che stanno investendo le società non solo occidentali in questo inizio millennio. Esiste già una letteratura sconfinata sull’argomento con direzioni di ricerca spesso affascinanti e scientificamente feconde ma non è questo il focus di questa collettiva, né, tantomeno, la metodologia adottata. Tutt’altro. “Il mare – scrisse il poeta beat Jack Kerouac - non parlava per frasi, ma per versi”. Proprio per questo è ne-

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di Maurizio Brunialti cessario sospendere ogni modalità di approccio razionale e lasciarsi sedurre dai linguaggi dell’arte e dalle contaminazioni, scegliendo, appunto, lenti di osservazione libere da categorie precostituite e da vincoli epistemologici. Perché è del tutto evidente che quell’Oceano Mare, quel mare senza spiegazioni, quell’oceano senza strade di cui scrive Baricco, pretende una chiave di lettura altra, insolita, alternativa. E, forse, è proprio questo il senso della provocazione, della sfida immaginata dal compianto Del Piano e rilanciata oggi dalla Spizzico: è capace l’arte contemporanea di render conto della complessità soprattutto simbolica dell’oggetto-mare? Può un’opera, una rappresentazione, un’installazione restituire la ricchezza, la profondità (soprattutto emotiva) di un elemento eterno, insieme coevo e primordiale, intimistico e universale, amniotico ed infernale? Il mare, noi lo sappiamo bene, è - di volta in volta - leggerezza e profondità, dialogo e introspezione, paesaggio e passaggio, spazio fobico o landscape senza confini. Il mare è però anche leggenda e mistero. I lavori selezionati dalla curatrice propongono infatti, fra riflessione critica e qualche audace sperimentazione, un suggestivo bouquet di interpretazioni possibili. Le opere esposte, in un certo senso, si completano, si armonizzano e si sostengono vicendevolmente in un sistema invisibile di forze coerenti, ora centripete, ora centrifughe. Ma è proprio questa successione, questa danza, questa sintesi giocosa di attrazione e repulsione, a conferire una forte dinamica all’intera collettiva. Un’alternanza, un movimento ciclico che evoca, eccezionalmente, proprio il flusso delle maree e che incoraggia ogni visitatore a salire a bordo del battello dei propri ricordi e dei propri sogni per poi salpare, senza remore, l’àncora delle emozioni. In una conferenza sulle eterotopie, Michel Foucalt dichiarò che “la nave è stata per la nostra civiltà non solo il più grande strumento dello sviluppo economico, ma anche il più grande serbatoio d'immaginazione” per poi ammonire che “nelle civiltà senza battelli, i sogni inaridiscono”. I sogni e il mare, insom-

ma. In primo piano. Proprio quel mare che, parafrasando il claim della mostra, è - e rimane - per sempre nell’anima.

a cura di Arianna Spizzico

"Il mare. Eccellente fucina di metafore e, nel contempo, metafora per eccellenza, il mare ha ispirato nel corso dei secoli poeti e letterati, migranti e viaggiatori, artisti e cineasti, filosofi e guerrieri permeando di sé - sin dalle origini della Storia - l’immaginario, le narrazioni e la vita reale dell’umanità." Maurizio Brunialti


Alle madri, alle sorelle, alle mogli del sud di Sabrina Del Piano

Il mare nell’anima nasce da un’idea di Vittorio Del Piano il quale, nella sua vita di uomo e di artista, ha sempre sentito e tentato di esprimere il profondo debito di gratitudine che provava nei confronti delle donne. “Alle madri, alle sorelle, alle mogli del Sud bisognerebbe fare un monumento!” egli soleva ripetere spesso, mettendo in risalto quanta eroicità fosse presente nella vita quotidiana di queste figure, di questi esseri sempre definiti delicati, fragili, deboli ma che, soprattutto nel secolo scorso, causa anche i due conflitti bellici di grande rilevanza, hanno dovuto attingere a tutte le loro energie fisiche, spirituali e morali dal proprio serbatoio interiore per fare in modo che la famiglia, la società, lo Stato potesse evitare di implodere. Vittorio Del Piano citava gli esempi all’apparenza più banali, ma sui quali ancora oggi noi dovremmo riflettere: le donne che andavano al fiume per lavare nelle acque gelide il bucato di tutta la casa; le fanciulle che percorrevano chilometri e chilometri per portare al mercato qualche uovo da vendere; le madri che nottetempo si consumavano gli occhi al lume tremulo di una candela o di una lampada a petrolio per sferruzzare le maglie di lana per i loro bambini, o per i figli più grandi in partenza per il fronte. Loro, anonime e mute eroine a cui mai nessuno ha riconosciuto un merito più pubblico o più ufficiale di un bacio sulla guancia, o di un fugace sguardo di compiacimento per il lavoro svolto - quand'anche questi gesti ci fossero stati... Perché altrimenti tutto era dovuto: impegno e sacrifici passavano scontati e inosservati. Vittorio Del Piano pensa ad un omaggio alle Donne agitate dal "mare nell'anima", scosse dal mare degli affetti, fluttuanti nell'oceano delle emozioni contrastanti la cui vastità interiore permette di sacrificare se stesse per un bene/altro. Maria Cumani, donna modernissima per la sua epoca, colta e raffinata, di ingegno versatile, di ampia cultura e sensibilità profondissima come il mare, incarna la figura-modello di queste donne. Sposa di un personaggio così ingombrante come il Premio Nobel Salvatore Quasimodo, dove per sposa bisognerebbe leggere amica, mamma, compagna, segretaria tuttofare, tata, amante, collaboratrice e tanto altro ancora, vive per amore una vita di ombra, rinunce e privazioni purché il suo "amato" risplenda. Lo fa con una eleganza che non è assenza di sofferenza, ma sublimazione. E quando il "mare nell'anima" comincia ad ingrossarsi perché nel suo corpo cresce il figlio Alessandro, ella saprà trasformare questo mare in salvezza, in purezza, in una dimensione/altra che la incoronerà vittoriosa nel tempo. La consapevolezza di sé e la sua formidabile determinazione saranno il suo salvagente e la sua zattera in un mare spesso in burrasca; il figlio Alessandro il suo approdo felice. Recuperare e completare il progetto di Vittorio Del Piano è non solo un omaggio all'artista scomparso e un'operazione artistica di indubbia valenza, ma innanzitutto un imprescindibile tributo al valore di tutte le Maria Cumani perse nel mare anonimo della nostra storia e restituite, come bianche e pure conchiglie, dal mare della memoria.

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SORGENTE, di Arianna Spizzico


Kounellis. Un ricordo.

di Maurizio Brunialti

Inutile negarlo. Al cospetto di una vera e propria icona, di fronte ad un autentico gigante come Jannis Kounellis ogni intenzione, ogni azione, ogni parola, assume una dimensione minima, insufficiente, lillipuziana. A meno di anno dalla sua scomparsa (l’artista greco è morto a Roma il 16 febbraio ultimo scorso), anche elaborare un breve scritto in cui provare a ricordarne il valore e l’importanza per l’arte (non solo) contemporanea, tentando, perdipiù, di accennare alla serie di rapporti (non sempre facili) fra il maestro e la terra di Bari, è stato per il sottoscritto un compito più difficile del previsto. Difficile, innanzitutto, restituirne il grande valore come scultore, pittore, uomo di pensiero, militante, artista di profilo internazionale. Jannis Kounellis per anni, per molti di noi, è stato una leggenda vivente: il suo nome e le sue opere risaltano, da decenni, in qualsiasi testo di storia dell’arte contemporanea. Su Kounellis e sui suoi lavori si è scritto molto, moltissimo e non sarà certamente la sua dipartita terrena ad interrompere la riflessione e l’analisi sulla sua poetica e sulle sue opere senza tempo. Ancora più arduo poi, da parte mia, collegare la sua straordinaria avventura artistica (ed esistenziale) a qualche mio piccolo frammento autobiografico, evidentemente residuale rispetto alla grande statura e alla eccezionale produzione kounellisiana. Esponente di spicco di quel movimento artistico denominato “Arte Povera” dal critico Germano Celant, Jannis Kounellis, nato al Pireo il 23 marzo del 1936 e trasferitosi a Roma vent’anni dopo, è stato indiscutibilmente uno dei protagonisti assoluti sullo scenario internazionale dell’arte nell’ultimo mezzo secolo. Durante la sua vita, Kounellis ha esposto dappertutto. Le sue opere sono custodite all’interno dei maggiori musei di tutti i continenti. Secondo alcuni critici ed esperti di settore – mi vengono, ad esempio, in mente le analisi di Ludovico Pratesi oppure le conversazioni con Bruno Corà - la sua produzione è stata capa-

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ce, fin dagli esordi, di unire magistralmente tre dimensioni, tre caratteristiche specifiche. La prima è quella del legame profondo con l’universo dei grandi miti. Questa vocazione, questo legame mai reciso con la mitologia classica, può essere ricondotto facilmente alle sue radici, alle sue origini greche, ai poemi omerici. Come nell’arte classica, la dimensione epica in Kounellis è appunto centrale, nella sua poetica l’epicità diventa, prodigiosamente, tratto sostanziale. Ogni opera del maestro è infatti un omaggio alla classicità, un intervento che, però, non è mai citazionistico. S’impadronisce del mondo classico e lo reinterpreta, lo rivisita, per creare una nuova dimensione epica del tempo. Kounellis, però, è stato anche capace di stratificare, di far dialogare, elementi tipici della classicità, del mondo greco-romano con elementi identificativi di un’epoca storicamente più recente, quella della rivoluzione industriale. La seconda particolarità, infatti, è l’uso innovativo di materiali inediti, essenziali, sia all’interno delle sue opere pittoriche che nelle sue sculture e nelle sue installazioni. Sostenitore accanito di un approccio materico all’arte, valicando i limiti della bidimensionalità pittorica, ha lavorato molto non solo con materiali tipicamente industriali (ferro, piombo ed altri metalli) ma anche con elementi naturali quali cera, pietre, fiori, tessuti, carbone e legno. L’artista greco ha edificato sculture ed installazioni con sacchi di iuta, persino con delle fette di carne, utilizzando addirittura animali vivi, come nella celebre performance nella galleria “L’Attico” di Fabio Sargentini a Roma, nel 1969 (vedi foto n. 1). Terzo elemento forte caratterizzante le opere o - per usare le parole dello stesso maestro - “le drammaturgie” messe in scena da Kounellis è il legame fra sovrastrutture culturali e mondo naturale, una natura di cui rivisita il senso e la memoria. Non a caso Rosalba Branà, direttrice della Fondazione Museo “Pino Pascali” di Polignano a Mare, scrisse (in una pubblicazione del 2010) che “Jannis

Kounellis ha trascorso la sua vita d’artista nel tentativo di non rompere l’alleanza fra uomo e natura, filtrata dalla memoria e dalla storia”, per poi concludere che “Kounellis attua nelle sue opere una sospensione del tempo, attinge dalle simbologie più arcaiche che infonde, come un moderno alchimista, ai materiali impiegati”. Proprio a Polignano, infatti, l’artista greco vincerà la V edizione del premio “Pino Pascali”. Era il 1979 e - sulle pagine del catalogo della personale organizzata presso la Pinacoteca Provinciale di Bari – Kounellis rilasciò la seguente dichiarazione: “In questo particolare difficile momento politico, e di conseguenza culturale ed artistico, in un momento dove la critica ufficiale ha sposato la tesi della restaurazione […] io vorrei riproporre alla vostra attenzione, la sensibilità e la problematica internazionalista, critica, immaginaria, visionaria, poetica della mia generazione”. Generazione – quella – ancora dannatamente in grado di coniugare arte e critica sociale, creatività e contestazione, avanguardie culturali ed impegno politico. E fu proprio la politica, molti anni dopo, a riportare – tramite una discussa iniziativa dell’amministrazione comunale allora in carica - Jannis Kounellis a Bari.


Era il 2010 e la personale del maestro apriva i battenti a maggio per terminare a settembre dello stesso anno. In quell’occasione, per un ritorno in terra di Bari atteso da decenni, il maestro realizzò anche due opere permanenti che decise di lasciare alla comunità cittadina: la prima, all’interno degli spazi del Teatro Margherita, era una maestosa e misteriosa installazione quasi monumentale, un’opera site specific dalle proporzioni imponenti sia in profondità che in altezza (vedi foto n. 2). La seconda, invece, era una scultura urbana allocata in una delle piazze storiche della città.

quegli anni, svolgevo l’attività di consigliere circoscrizionale e dove era (ed è tuttora) in corso un ambizioso investimento, non solo in termini economici, in materia di riqualificazione urbana e sociale. Purtroppo, però, la scultura Senza titolo esposta accanto al Palazzo del Mercato del pesce, nella centralissima piazza del Ferrarese, divenne oggetto di ripetuti atti vandalici, veniva utilizzata come bagno pubblico notturno o come base per affiggere locandine commerciali (vedi foto n. 3). Un vero e proprio oltraggio. Contemporaneamente, da più parti (sia nell’opinione pubblica che nel ceto politico, soprattutto fra i banchi dell’opposizione in consiglio comunale) veniva chiesto lo spostamento dell’opera in altra sede. Da semplice appassionato di arte contemporanea, sollevando un inspiegabile (quanto insopportabile) velo di ipocrisia, provai a portare all’attenzione dei media (non solo) locali e degli addetti ai lavori la gravità del trattamento a cui venivano sottoposte la scultura e quindi la figura stessa di Jannis Kounellis, lanciando infine ufficialmente - in sinergia con l’assessore all’urbanistica Elio Sannicandro e con il placet dell’allora sindaco Emiliano - l’idea di trasferire l’opera in un’area ad hoc nel periferico quartiere Japigia, quartiere dove, in

La notizia giunse, evidentemente, alle orecchie dello stesso Kounellis che, tramite amici comuni, con mia grande sorpresa, mi contattò per aprire un confronto sulla delicata questione. Fu in quell’occasione che ebbi l’opportunità di conoscerlo personalmente. Inizialmente, durante una prima lunghissima chiacchierata presso la sua casa-atelier, il maestro non nascose una certa delusione nei confronti della situazione creatasi a Bari ma, una volta stemperata una certa comprensibile amarezza, emerse subito, da parte di Kounellis, la volontà di riallacciare un dialogo costruttivo col capoluogo pugliese e con la comunità artistica locale.


Di quell’incontro (vedi foto n. 4), com’è facile immaginare, conservo un ricordo indelebile, che ancor oggi mi emoziona. Conoscere il maestro è stato per me un grandissimo privilegio, un’esperienza unica e preziosissima. Si discusse della situazione dell’arte contemporanea a Bari e delle potenzialità di un decentramento effettivo della sua installazione in un’area più idonea. Dopo due successivi incontri e numerosi sopralluoghi organizzati, in vari quartieri della città, dal sottoscritto e dall’Assessore comunale alle culture Silvio Maselli, l’ipotesi-Japigia fu però accantonata e lo stesso Kounellis, alla fine, scelse di trasferire la scultura presso la Cittadella della Cultura, dove tuttora è conservata. Come ricordato in apertura, oggi, purtroppo, Jannis Kounellis non è più fra noi ma il suo visionario viaggio (altra potente metafora del suo articolato bouquet concettuale) fra ombre e luci, simboli e tradizioni, archetipi e sperimentazione, continua ininterrottamente per chi ha il piacere e la fortuna di incontrare (e saper leggere) le sue suggestive ed immortali opere.


Urbano|post-urbano

di Maurizio Brunialti

“Credo davvero che ci siano cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate”. (Diane Arbus) La produzione “Urbano|post-urbano” della conversanese Laura Labate – alla sua prima esperienza espositiva al monastero di San Benedetto di Conversano (Bari) per la collettiva “La città delle donne” – si riallaccia solo apparentemente alla ormai consolidata tradizione fotografica della Urban Exploration. Pur riecheggiandone alcune risonanze stilistiche, a differenza del belga Henk Van Renbergen, dello statunitense Rob Dobi o dell’inglese Gina Soden, Labate non ritrae rovine, luoghi in abbandono e spazi poco accessibili ma attraversa, con l’ausilio del suo smartphone, il paesaggio urbano contemporaneo con la sensibilità e la passione dell’antropologa, spiccatamente visuale. Rallentando o accelerando il suo sguardo, ed immergendosi – sulla scorta dell’esperienza di Baudelaire prima e di Walter Benjamin dopo – in una sorta di flânerie 3.0, l’artista ritrae quasi compulsivamente, per poi condividerli in modo social, i “nodi” più suggestivi del tessuto (e del vissuto) urbano quotidiano. Forme, spazi, elementi, segni, frammenti. Tutti rigorosamente descritti in un elegante bianco e nero, quali singoli frames di un unico tessuto emozionale. Ed è proprio qui, appunto, che si staglia la cifra distintiva dei lavori della Labate. La poetica dell’artista non fa sconti: reclama una relazione, impone un ruolo attivo da parte dello spettatore, richiede un’interazione persistente fra produttore e fruitore di senso. Il bisogno, anzi l’urgenza di un rapporto diretto con lo spazio fisico, quasi una compenetrazione con lo spazio reale e con quei “luoghi” – per dirla con Augé – intrisi di elementi identitari, storici e culturali, segna profondamente l’etica e l’estetica di un linguaggio mai esclusivamente rappresentativo ma sempre marcatamente evocativo. Gli scatti della Labate parlano a chi li guarda e spiana-

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no il campo alla riflessione, in una prospettiva bifronte. La severità del bianco e nero, di fatto, non si presta ad equivoci: passato e presente, ombre e luci, pesantezza e lievità, materialità e spiritualità, quali poli di una dualità intrinseca alla complessità dell’agire umano, svelano il disorientamento sempre più evidente della nostra contemporaneità. A dispetto di una falsa frammentarietà, “Urbano|post-urbano” apre insomma il sipario in un atto unico e richiama in scena, in primo piano, la sensibilità e l’emotività dell’osservatore attivando, sin dal primo scatto, quel sofisticato complesso di relazioni che si instaura, attorno all’immagine, fra autore, oggetto e campo della rappresentazione. Laura Labate esclude dai suoi “street-shots” ogni creatura vivente ma i luoghi della sua ricerca sono tutti profondamente antropizzati. Il suo percorso visivo non è solo un’esplorazione attraverso il suggestivo borgo in cui vive da sempre ma anche una modalità di percezione del reale, di chiara matrice postmoderna. Quasi una metodologia di osservazione sistematica, ascolto e lettura della vita urbana, con i suoi abitanti e i suoi spazi agiti e con quei segni e con quei testi che la città propone solo all’osservatore più sensibile e consapevole. Dettagli, espansioni, stupore. Torsioni, memoria, forse nostalgia. Scorci di una città mutevole, segni di discontinuità spaziali che evocano discontinuità nel tempo. La Conversano di “Urbano|post-urbano”, seduce l'obiettivo della Labate con le sue strade, l'asfalto e le basole, con i suoi muri e le finestre che guardano. Con le sue tradizioni e la quotidianità che scorre, con i contrasti dei colori assenti e con una socialità mai invisibile alla fotocamera e a chi sa interpretare le metamorfosi del reale. “Urbano|post-urbano”, infatti, è un caleidoscopio in bianco e nero che sa offrire spunti diversi a ciascun osservatore. é l’incantesimo inaspettato ed inimmaginabile (differente per ognuno e in questo senso “post-urbano”) che Conversano sa offrire. “Urbano|post-urbano”, in definitiva, ci dimostra, passo dopo passo, scatto dopo scatto, quanto – anche nell’era dei social

e dei digital devices - la bellezza dei luoghi sappia sorprenderci ancora. Oggi Laura Labate – intervistata informalmente dal sottoscritto – parla di “Urbano|post-urbano” come di una sorta di viaggio perenne, estetico ed esistenziale. Non anticipa troppi particolari sulle sue prossime iniziative ma conferma di essere al lavoro già da qualche tempo ad un nuovo progetto espositivo. Un progetto che, nel solco dell’esperienza precedente, ossia partendo dalla metodologia adottata e dagli strumenti già utilizzati in “Urbano|post-urbano”, vedrà ancora protagoniste le tecnologie digitali (non solo visuali) ed estenderà il proprio campo d’indagine a nuovi paesaggi e a nuove esplorazioni, in costante bilico fra emozioni e sperimentazione.

La produzione “Urbano|post-urbano” Laura Labate Foto di Mariangela Longo


Maurizio Brunialti

sociologo, Ê nato a Bari 47 anni fa. Lavora in Rai dal 1992. Ama il rock alternativo, la lettura e l’arte contemporanea. Attualmente si occupa di ricerca, documentazione e gestione di contenuti audiovisivi presso le Teche della Sede Regionale Rai di Bari.

Foto di Flavia D'Alessandro


Il potere della bellezza L'arte, nelle sue varie forme

L’arte, nelle sue varie forme e attraverso i molti linguaggi mediante cui si esprime, è un “luogo ideale” nel quale ciascuno può riacquistare confidenza con il proprio essere, imparando a riconoscere le proprie emozioni attraverso il linguaggio simbolico delle forme, dei colori e dei suoni. L’esperienza della bellezza, naturale o artificiale, è immediata. é il concetto in sé di bellezza ad essere al quanto elusivo. Alla domanda che cos’è la bellezza, qual è il suo potere o il suo mistero generalmente si risponde che la bellezza è nell’occhio di chi guarda ma questa non è una risposta esaustiva anzi apre a tutta una serie di problematiche da quelle legate alla sfera psicologica a quelle relative a questioni più tecniche (una delle domande che ci verrebbero immediatamente come conseguenza dell’affermazione precedente è perché delle cose sono bellissime per alcuni occhi e lasciano assolutamente indifferenti altri?). È per questo motivo che, per esempio, considerando l’ambito delle arti figurative, la percezione visiva non può essere ridotta al semplice processo ottico che proietta le immagini sulla retina. Essa implica la comprensione delle immagini e consiste in una presa di coscienza della realtà attraverso l’uso delle emozioni. Del resto è stato il filosofo tedesco Baumgarten il primo a teorizzare, nella prima metà del diciottesimo secolo, la necessità di una scienza della conoscenza sensibile, di una scienza, cioè, che riuscisse a dimostrare come anche l’esperienza sensibile, non solo quella razionale, possa essere fonte di conoscenza. Così nacque l’Estetica, che da un lato indaga il mondo dei sensi (indaga i meccanismi e le modalità del vissuto percettivo), dall’altro quello della sensibilità, dei sentimenti, di ciò che ci permette di operare delle selezioni o c’induce ad esprimere giudizi sulla base delle reazioni emotive che le percezioni suscitano.

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di Maristella Trombetta

La questione del bello e della sua percezione indagata nella modernità ha condotto ad una serie di definizioni di cui ancor oggi viviamo il retaggio e la fascinazione. Una di queste è la definizione di bello come utile o funzionale alla quale si è pervenuti cercando una modalità oggettivante per la definizione di bello. Se ci soffermiamo in particolare sul concetto di funzione che ha avuto una ricaduta notevole nella ridefinizione del concetto di bello (pensiamo alla democratizzazione della fruizione artistica tramite il design) dobbiamo affermare che questo concetto non è poi così oggettivo (per es. io scelgo un determinato scrittoio non solo perché è un supporto che mi consente di praticare comodamente la scrittura in questo non differirebbe da un qualunque tavolo da cucina. La mia scelta è determinata da altri fattori). Inoltre, la funzionalità non dà una spiegazione adeguata del perché quell’oggetto ci seduce (per es. anche i vetri veneziani sono dei bicchieri ma bere da uno di quei bicchieri significa aderire ad un certo stile di vita anche solo per un istante, gustare diversamente e dunque fare un’esperienza estetica nuova). Possiamo, dunque, affermare che, se è pur vero che non possiamo ridurre il nostro concetto di bellezza alla semplice forma, è anche vero che la riflessione sull’idea di funzione ci induce a considerare che ci sono ben altri elementi importanti che determinano la nostra esperienza della bellezza. Elementi che non possono essere categorizzati od oggettivizzati poiché la nostra capacità di cogliere la bellezza dipende dal nostro modus vivendi, dall’idea che abbiamo di noi stessi. L’incontro con il mondo artistico diviene quindi un’occasione straordinaria per favorire e orientare il processo di costruzione dell’identità personale. Davanti alle opere d’arte, e pensando noi stessi e la nostra vita in dialogo costante con le figure e le metafore che gli artisti ci offrono, teniamo sveglia e, per così

dire, alleniamo la nostra sensibilità da due punti di vista: l’uno legato all’uso dei sensi, l’altro alla sfera affettiva, scoprendoci esseri sensibili, emozionandoci. Grazie alle emozioni ed all’esperienza sensibile che induce questi sentimenti noi conosciamo, ci apriamo al mondo. Di fronte ad un’opera d’arte ciascuno di noi ha un’esperienza estetica del tutto soggettiva poiché i sentimenti, i ricordi, il piacere percepito attengono a componenti relative alla storia personale dell’individuo nei suoi aspetti genetici e culturali. Questo accade poiché la rappresentazione dell’artista è espressiva, una rappresentazione che suscita, come dicevamo, emozioni empatiche. Il fascino dell’opera d’arte sta proprio in questo rapporto fra emozione fonte dell’opera ed emozione che dall’opera è generata e dalla quale scaturisce quel processo immaginativo che è la vera fonte di piacere della fruizione di ciò che definiamo bello. Muovendo da queste premesse la nostra indagine si propone di scandagliare, sulla base di intuizioni teoriche riscontrabili nella produzione filosofica, pedagogica e letteraria occidentale degli ultimi tre secoli, i processi che innescano e regolano l’attività immaginativa per comprendere sia le motivazioni che spiegano il perché del piacere dell’immaginare che come questi processi possano essere funzionali a nuove forme di apprendimento. Questo è il terreno sul quale noi teorici e voi artisti siamo chiamati a confrontarci.


Pier Paolo Bisleri Diplomato in scenografia e costume, presso l’Accademia delle Belle Arti di Firenze nel 1978, dal 1970 al 1980 dirige lo spazio Arti Visive del Centro “La Cappella Underground” (uno dei primi centri aperti alle esperienze artistiche degli anni ‘60 e cinema d’essai - fondato nel 1968). Per la Cappella Underground, cura diverse mostre, tra le più importanti: Minimal Art, Mail Art, Fluxus Art. Presenta artisti quali: Joseph Beuys, Arnulf Reiner, e vari esponenti dell’Arte Povera e Concettuale. Nel 1975 collabora con Andy Warhol, nell’allestimento a Ferrara, della mostra “Ladies and Gentleman”. Entrato in contatto con il gruppo artistico austriaco del Wiener Aktionismus, nel 1978, cura la grand’esposizione dell’Azionismo Viennese, presentando artisti quali Gunter Brus, Rudolf Schwarzkogler, Heinz Cibulka, Otto Muhel ed Hermann Nitsch. Di Otto Muhel produce una performance presso l’Istituto Statale d’Arte di Trieste e di Hermann Nitsch, l’azione n° 62 presso il Teatro Romano di Trieste della durata di 12 ore. In quegli anni fonda assieme a Roberto Vidali, Giorgio Basile e Roberto Sofianopulo il Gruppo ArteQuattro, ancora oggi attivo nell’arte contemporanea. Tutte queste esperienze nel campo delle arti visive in seguito lo porteranno, nell’attività di scenografo, ad avere una particolare attenzione per l’arte contemporanea che sarà sempre presente nella sua ricerca artistica. Dal 1978 collabora con il Teatro Stabile di Prosa del Friuli Venezia Giulia di cui dal 1987 diviene Direttore degli Allestimenti Scenici sino al 1996, ruolo che ricopre successivamente al Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa sotto la direzione di Luca Ronconi nelle stagioni 1999/2000 e 2000/2001. Dal 2001 al 2014 è chiamato a ricoprire lo stesso incarico presso la Fondazione Teatro Verdi di Trieste. Come Direttore degli Allestimenti ha partecipato alla realizzazione di oltre 200 spettacoli

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Biografia

di prosa e di lirica. Dal 1987 inizia, parallelamente alla Direzione degli Allestimenti Scenici, la carriera artistica di scenografo e costumista collaborando con vari registi di cui si ricordano in particolar modo: Furio Bordon, Giuseppe Patroni Griffi, Gabriele Lavia, Antonio Calenda, Giorgio Pressburgher, Franco Però, Giovanni Scandella, Deda Cristina Colonna, Alessio Pizzech e dal 1991, in occasione della Norma al Teatro Petruzzelli, la proficua e costante collaborazione con Federico Tiezzi A partire dagli anni ’90 si dedica all’opera lirica firmando oltre cinquanta nuove produzioni per i maggiori teatri nazionali ed internazionali di cui ricorderemo: Teatro alla Scala di Milano, La Fenice in Venezia, Maggio Musicale di Firenze, Teatro Comunale di Bologna, San Carlo di Napoli, Regio di Torino, il Teatro Giuseppe Verdi di Trieste, il Teatro Petruzzelli di Bari, Il Bellini di Catania, Il Teatro Lirico di Cagliari, l’Opera de Monte-Carlo, l’Opera de Montpellier e l’Opera de Toulouse (France), il National Greek Opera in Atene (Grecia), l’Opera di Bilbao e l’Opera de La Maestranza di Siviglia (Spagna), l’Opera Theatre di Baltimora e la Seattle Opera (USA), il Bunkamura di Tokyo e il Centre of Performing Arts di Osaka (Giappone), il Centre of Performing Arts a Seoul (South Corea), il SNG Opera di Ljubljana, l’Innsbrucker Festwochen der Alten Musik di Innsbruck, la New Israeli Opera di Tel-Aviv, il Teatro Bol’šoj di Mosca e molti altri. Nel campo del balletto ha collaborato con: Maggio Danza per le scene de La montagna incantata da Thomas Mann con le coreografie di Massimo Morricone, per Tetraktys balletto ideato da Cristina Deda Colonna nel 2008, con la Marta Graham Dance Company di New York per il Picasso e le Baccanti, per la regia teatrale di Antonio Calenda e ha firmato scene e costumi per il balletto La tragédie de Salomé da Florent Schmitt, coreografia di Emil Fraski

con il Corpo di ballo del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo e con la Caterina Rago Dance Company di New York per Labir-into. Futuri programmi: dal prossimo 8 febbraio la ripresa del Simon Boccanegra al Teatro alla Scala di Milano con la direzione di MyungWung Chung con protagonista Leo Nucci, una nuova produzione della Trilogia Pucciniana con la regia di Vassilis Anastassiou per il Teatro Megaron di Athens e per la New Israeli Opera di Tel-Aviv e il Trovatore al Teatro Goldoni di Livorno. Bari 20 marzo 2017


Incontro

con Pier Paolo Bisleri

di Mariamichela Sarcinelli

Scenografia, arte contemporanea e spazio scenico: tutto questo in un’unica lezione tenuta nell’Aula Magna dell’Ateneo degli studi di Bari dallo scenografo di fama internazionale Pier Paolo Bisleri. Diplomato in scenografia e costume presso l'Accademia delle Belle Arti di Firenze il suo lavoro si è spinto sempre più verso la ricerca di uno 'spazio emotivo' che gli permetta maggiormente di isolare e approfondire i personaggi, le situazioni drammatiche e la musica in tutta la pienezza del loro significato. Il suo lavoro gli ha permesso di collaborare con illustri registi nei più celebri teatri d’Italia e non solo. L’incontro organizzato dall’associazione “Ex studenti Accademia Belle Arti di Bari” ha catturato l’attenzione di un gran numero di studenti ma anche di molti docenti. “Dal settembre del ’75 ad oggi non sono più uscito dal teatro”, cosi Bisleri inizia a parlare alla platea. Rimembra le esperienze della sua lunga carriera artistica, scorre mentalmente l’imprinting della sua vita fino alla proiezione di alcune delle sue produzioni. A presentarlo all’inizio della conferenza è stato il Prof. Francesco Arrivo anche lui scenografo e professore in numerose Accademie d’Italia. “La scenografia non è altro che un linguaggio straordinario. La scrittura di scena è un altro racconto, differente dal testo d’origine”… Bisleri questo lo sa bene poiché negli anni ha avuto modo di vedere il palcoscenico non solo dinnanzi ma anche dietro le quinte e partendo dai testi delle opere da rappresentare ha donato loro una nuova storia, un diverso input, insomma nuove parole. Una lezione imperdibile dove l’arte contemporanea si presta alla creazione di nuovi scenari per noti drammi del teatro classico. Bisleri fa questo anche col dramma shakespeariano “Romeo e Giulietta”. I due amanti sono due comuni rom ed è la strada ad essere portata in teatro tramite la

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scenografia minuziosamente studiata. È cosi che Romeo e Giulietta si incarnano in personaggi reali. Bisleri dà loro un nuovo spazio, innovativo ed alternativo come quello di un campo rom. Studia minuziosamente i dettagli, i costumi, asfalta la scena. Shakespeare non muore nel tempo, le grandi opere sono immortali e per questo possono essere rinnovate dall’interno in una chiave differente. Bisleri da sempre si è sempre fatto promotore di un teatro nuovo ed innovativo, aderendo al “teatro della poesia”, una fase della ricerca artistica che sviluppa le esperienze maturate nel tempo.

Teodora Mancini - Francesco Arrivo

Come direttore degli allestimenti scenici ha partecipato ad oltre duecento spettacoli tra prosa e lirica e nelle aule dell’Ateneo ha irradiato il suo modo di fare teatro e quindi di fare arte mentre sul proiettore non cessavano di scorrere le migliori scenografie di opere illustri che hanno fatto il giro nei teatri del mondo! Se la prosa lascia largo spazio all’innovazione e all’avanguardia non da meno è la lirica..Bisleri ha illustrato la scenografia studiata per l’opera “Iris”, esempio di come anche nella lirica ci possa essere inventiva. Una mattinata all’insegna dell’arte e dopo un breve dibattito finale l’incontro si è concluso con lunghe ovazioni. L’associazione “Ex studenti Accademia belle arti di Bari” ringrazia quanti sono stati presenti al convegno.


Progetto Imprinting

per lo sviluppo di conferenze, incontri, seminari, inerenti la comunicazione e la conoscenza dell'arte in una dimensione globale.

Francesco Arrivo

Pier Paolo Bisleri


A proposito di Rothko

di Clemente Francavilla

Parlando di recente al telefono con un amico, il discorso ha incrociato il nome di un artista, Mark Rothko (Dvinsk, 1903 – New York, 1970). Si tratta certamente di un autore di importanza enorme, ma poco conosciuto ai molti e non solo presso i non “addetti ai lavori”. Chi ha letto qualcosa a proposito dell’evoluzione della pittura nel secondo dopoguerra, ha sicuramente sentito parlare del cosiddetto “impressionismo astratto” (1), riferendo dunque la sua opera ad una corrente della pittura americana che, insieme alle altre esperienze non-figurative di quello stesso periodo, annovera presenze importanti nel panorama artistico del nuovo continente. Faccio riferimento a Willem De Kooning, Arshile Gorky, Mark Tobey, Jackson Pock, eccetera, eccetera. Ma non è mio intento parlare qui di storia dell’arte moderna, anche perché non mi compete. Vi è invece un altro motivo: è invece di questo che intendo raccontare. Ma perché il mio amico mi parlava di Rohtko? Ebbene, a proposito di una rara intervista all’artista che aveva ascoltato in una trasmissione televisiva, nella quale Rohtko diceva di essere stato colpito e ispirato dallo scalone del vestibolo della biblioteca Mediceo-Laurenziana, eseguita da Ammannati su progetto di Michelangelo nella seconda metà del Cinquecento, simbolo dell’architettura manierista. Rothko è un autore molto complesso e “scomodo”, questo è il motivo per il quale si preferisce evitarlo. Personalmente ho dei seri dubbi sul fatto che possa essere affrontato dalla cosiddetta critica d’arte. Questo è vero per tutta l’arte non-figurativa del Novecento e Rothko, anche se più vicino a noi, non fa eccezione. Per comprendere un poco alla volta questa sorprendente confessione dell’artista russo-americano, esorto il lettore a far mente locale sulle parole usate da Argan in un suo noto studio. «La sala – egli spiega, riferendosi al vestibolo della biblioteca Laurenziana – è uno spazio lungo e stretto, tra pareti bianche su

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cui le lesene e le cornici di pietra scura formano un solido telaio, che inquadra le finestre: più che un limite, la barriera tra lo spazio esterno, naturale, e lo spazio interno, dello studio e della meditazione». Suggerisco intanto di soffermarsi sulle parole “limite”, “spazio esterno” e “spazio interno”. «Il motivo dominante – continua Argan – è […] la forza trattenuta: il raccordo tra il vestibolo e la sala è infatti l‘organismo plastico della gradinata, che irrompe nel ricetto come una colata di lava […] (2). Bene, a questo punto mettiamo momentaneamente da parte queste acute osservazioni e leggiamo ciò che lo stesso Argan dirà, in un suo successivo lavoro (3), della pittura di Rothko: « rimane lo spazio – egli dirà – senza persone né cose: uno spazio non teorico ma empirico – Argan a questo punto è chiaro nel ribadire che nella cultura artistica non-figurativa, il tema dominante è quello dello spazio. Infatti, quando la rappresentazione analogica della realtà lascia il posto alla verifica della pura sintassi grafica attraverso l’analisi dei cosiddetti rapporti di configurazione (3), le figure astratte, linee e colori, ricreano, anziché riprodurre, spazi e movimenti reali sulla superficie pittorica. A volte, come nel caso eclatante di Mondrian, lo spazio è teorico, ed è ciò cui allude Argan. Altre volte è empirico, come nel caso di Rothko. Ma cosa significa? Chi ha avuto l’esaltante esperienza di vedere dal vivo una sua tela, può sicuramente dirci qualcosa del genere: «mi è sembrato che mi venisse giù sulla testa». Diciamo intanto che le tele sono di grandi dimensioni e sono coperte di pittura stratificata in velature. L’effetto che si percepisce è quello di una superficie colorata che emana luce (anziché assorbirla) sotto forma di un apparente vapore. La superficie bidimensionale perde la fisicità della tela dipinta, si dissolve e avanza verso lo spettatore. Il colore assume un valore spaziale perché “avanza” o “retrocede” rispetto al punto di vista dell’osservatore. Ma a questo punto torniamo alle parole di Argan quando parla di «un certo grado di profondità o di trasparenza,

e là dov’era un piano rigido e impenetrabile c’è un velario che lascia passare la luce o, addirittura, l’emana attraverso il colore […] – più avanti Argan conclude – un quadro di Rothko non è una superficie, è un ambiente (4). Forse a questo punto possiamo tornare alla biblioteca Laurenziana, a quella scalinata, a quel “limite” sapientemente infranto, a quella spazialità. Ma tutto ciò non è ancora sufficiente per comprendere la pittura di Rothko. Il lettore deve sapere che la profondità spaziale del colore dipende da due fattori: il contrasto di chiarezza fra figura e fondo, la qualità dei margini di una figura. In entrambi i casi stiamo parlando del cosiddetto gradiente marginale. Facciamo un esempio (5): Il quadrato (a) manifesta margini più nitidi rispetto al quadrato (b). Questa peculiarità gli attribuisce una maggiore densità o gradiente cromatico. A parità di colore, i due quadrati (a) e (b) possiedono per questo una diversa qualità spaziale.

Il quadrato (a) risulta più chiaro del quadrato (b), rispetto allo sfondo sul quale si trovano. Il colore giallo saturo del quadrato (a) risulta più luminoso del quadrato (b) di colore giallo ocra, manifestando un maggiore contrasto rispetto allo sfondo, stagliandosi nettamente da esso, “avanzando” verso di noi.

Le figure (b), (b’) e (b”), uguali fra loro per dimensione, forma e collocazione spaziale, manifestano distanze fenomeniche fra loro diverse. Nel primo caso il colore nero denota margini nettamente definiti rispetto allo sfondo bianco (A) e la “distanza percepita” risulta chiara e prossimale. Nel secondo caso la stessa forma quadrata ha margini meno definiti perché il contrasto cromatico rispetto al fondo è minore. Questo contribuisce ad interpretare la figura (b’) “più distante” da noi, a parità di condizioni, rispetto alla figura (b). Nel terzo caso, il quadrato b” ha lo stesso contrasto cromatico della figura (b) ma presenta margini sfumati che contribuiscono ad “allontanare” percettivamente la figura.


é facile intuire che la “vicinanza” fenomenica di un colore rispetto ad uno sfondo dipende dalla qualità formale dei margini, vale a dire dal contrasto più o meno netto (chiarezza o luminosità), più o meno sfumato. In entrambi i casi, verrebbe a modificarsi quella qualità o consistenza cromatica denominata gradiente cromatico. Se consideriamo i colori pigmento nelle tinte primarie e secondarie sature e proviamo a considerare esclusivamente la qualità del contrasto (al di là che si tratti di un rosso un giallo o un verde) rispetto al contesto (il fondo su cui si trovano), sarà possibile individuare una differenza nel rapporto del gradiente marginale, vale a dire il gradino che separa le due superfici contigue. lo stesso Arnheim ha precisato che «a proposito dei colori, non sorprende scoprire che un rosso saturo accresce la qualità di figura più di un blu saturo; il che corrisponde alla generale tendenza del rosso ad avanzare e del blu a indietreggiare» (6). Gli esempi riportati dimostrano che un medesimo colore può apparire spazialmente diverso, più “vicino” o più “lontano”, simulando cioè una distanza fenomenica differente rispetto all’osservatore (7). L’effetto spaziale del colore è oltremodo evidente nei dipinti astratti di Mark Rothko, evocando attraverso espedienti tecnici della pittura, le mutazioni tra le cosiddette modalità di apparenza del colore (8). é esattamente questo il passo definitivo per comprendere la pittura di Rothko. Spero di aver soddisfatto la curiosità del mio amico che ho lasciato al telefono con un dubbio. Lo ringrazio anche per avermi offerto la possibilità di parlare di un artista, Mark Rothko, che “sento” moltissimo, grazie anche ai numerosi scambi di opinioni avute, riguardo la tesi sopra esposta, con Adele Plotkin, di nazionalità russo-americana (guarda caso) anche lei.

(1) Giulio Carlo Argan, L’arte moderna 1770 – 1970, Sansoni Firenze, 1970 (2) Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, vol.3, Sansoni Firenze, 1978 (3) Si pensi alle esperienze di Klee, Kandinsky, Moholy-Nagy e tutti gli altri artisti che lavoravano presso il Bauhaus, e i contemporanei studi condotti dagli psicologi berlinesi della Gestalt (4) Giulio Carlo Argan, ivi, 1970 (5) Gli esempi utilizzati e le didascalie, oltre alle note 7 e 8, sono riportate nel libro di Clemente Francavilla, Vision & Visual Design, Hoepli, Milano, 2017. (6) Rudolf Arnheim, Art and Visual Perception: A Psychology of the Creative Eye, 1954, 1974 Regents of the University of California; trad. It. Arte e Percezione Visiva, Feltrinelli, Milano 1962, 2000 (7) «Hue is a sensory initiator of the experience of space. In the visual field bright hues arrest the eye, localizing as they isolate themselves from their surroundings. The aggressiveness or visual insistence of red is a spatial phenomenon, as is the radiating effect of a yellow, or the recessive quality of a light, desaturated blue» (Lois Swirnoff, Dimensional Color, Birkhauser Boston Inc., 1989). (8) Questa importante distinzione fu specificata dallo psicologo della percezione David Katz. «La classificazione dei modi di apparenza proposta da Katz è nelle sue grandi linee valida tutt’ora […]. La distinzione fondamentale è quella tra colore di superficie, colore filmare e colore volume. Il carattere di superficie è quello che comunemente presenta la maggior parte degli oggetti della nostra esperienza di ogni giorno. Il colore appare come costituente la superficie degli oggetti […]. Il colore nel modo di apparenza filmare, non possiede, come il primo, una localizzazione ben definita nella terza dimensione, ha un carattere meno sostanziale, è meno denso, più soffice, spugnoso, vellutato, vaporoso […]. Tipici colori filmari sono […] il colore del cielo sereno, la nebbia […]. Il colore di volume riempie fenomenicamente una porzione di spazio tridimensionale. é tipicamente il colore di un liquido, oppure di un blocco limpido di ghiaccio, di cristallo o di plexiglas […]. é rappresentata da un certo grado di trasparenza» (Gaetano Kanizsa, Grammatica del vedere, Il Mulino, Bologna 1980).

Mark Rothko, rosso e giallo, 1959


Il Futuro possibile Il Futuro possibile: per un Design della Sostenibilità Nel corso degli ultimi anni, negli ambienti economici ed imprenditoriali è emersa una crescente consapevolezza dello stretto rapporto tra economia ed ambiente e della conseguente necessità di riformulare nuovi modelli di sviluppo basati sull’uso e riuso di risorse ritenute fino a poco tempo fa illimitate. La questione centrale è di stabilire se il rispetto e la conservazione dell’ambiente debbano tradursi in un rallentamento dello sviluppo economico e sociale, o piuttosto nella ricerca di nuovi e più avanzati modelli di sviluppo sostenibile. La difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale non costituisce solo una necessità e quindi un costo, ma anche e soprattutto una straordinaria opportunità per le imprese e per tutto il sistema produttivo. Enrico Villa in un suo intervento su Il Sole 24 ore dal titolo “Ridurre lo smog a basso costo”, aveva calcolato che più di un quarto del potenziale di riduzione è conseguibile ad un costo nullo, se non addirittura negativo, quindi con un risparmio netto. L’interesse imprenditoriale nei confronti di temi ambientali non si limita solo alle imprese di grandi dimensioni e o alle multinazionali, ma sta rapidamente espandendosi a tutti i settori e a tutte le classi dimensionali delle imprese. “ …. la green economy modello italiano è un filo conduttore che lega tutto il made in Italy, attraversa i territori …… tocca i settori di punta. E’ strettamente legata al concetto di qualità. Produzione ed export nel settore green economy hanno senz’altro retto meglio alla grande crisi ancora in atto, visto che generalmente i consumatori di queste nicchie di mercato hanno disponibilità economiche maggiori e una propensione alla spesa meno legata alla congiuntura” questo è in sintesi il pensiero di Nino Ciravegna in un suo scritto del

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di Alfio Cangiani

novembre 2009. L’accresciuta sensibilità della popolazione italiana nei confronti del tema ambientale determina effetti concreti sui comportamenti quotidiani, dallo spegnere le luci quando non servono, al rispettare la raccolta differenziata dei rifiuti, al riuso ed al recupero di capi di abbigliamento, di mobili, e di altri oggetti tecnologici domestici “Tutti dovrebbero progettare per evitare di essere progettati”, ha detto Enzo Mari… Andrea Branzi, tempo fa, parlava del suo stupore rispetto al crescente numero di designer ‘nati’ negli ultimi anni: di loro diceva che “decidono che il mondo, così com’è, non gli sta più bene, e così iniziano a cambiar-lo, cominciando a ridisegnare gli oggetti che hanno intorno..” Quando si parla di Design Industriale, ci si chiede spesso: che cos’è il Design? Quali sono i requisiti perché un progetto possa considerarsi un ‘buon progetto’? Basta che sia funzionale o deve essere anche ‘bello?’ E che cosa significa ‘bello?’ Esiste, infine, anche un valore ‘etico’ degli oggetti? Sempre Enzo Mari, ha detto: “Un guazzabuglio di pensieri e di teste fintamente pensanti hanno liberato le forme dalla loro responsabilità”. Diciamo allora che la forma, perché abbia un senso, deve avere ‘Responsabilità’: siamo sommersi di oggetti, spesso, assolutamente inutili, molti dei quali siamo spinti ad acquistare anche contro la nostra volontà cosciente, pronti poi a sostituirli alla stagione successiva..Davvero possiamo continuare ad ignorare tutto il ‘non detto’ dalle aziende produttrici, guardando solo al ‘qui e ora’ delle cose? Magari potremmo cominciare a pensare che tutto ciò che viene prodotto debba poter essere scomponibile e riciclabile in ogni sua parte, dovremmo tener conto degli impatti che l’oggetto crea durante tutta la sua vita, dalle lavorazioni in fase di produzione fino alla sua dismissione e al riciclo, considerando questo un valore intrinseco al prodotto. Forse potremmo cominciare a scegliere di acquistare solo quegli oggetti che rispondono a questo criterio

di ‘Responsabilità’. Ernst Haekel, nel 1866, coniando il termine, ha detto che “l’Ecologia è semplice scienza delle relazioni: il grado zero dell’urbanizzazione è la relazione con l’utente..’ Trasponendo questo concetto nel campo del Design, basterebbe pensare che ogni nostro acquisto ha effetti positivi e negativi sul mondo circostante, per avvicinarci ad un nuovo modo di pensare al nostro rapporto con gli oggetti, e ai rapporti degli oggetti con i soggetti che incontrano nella loro vita.



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