InArte luglio 2009

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Associazione di Ricerca Culturale e Artistica

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Rivista mensile a diffusione nazionale - anno V - num. 7 - Luglio 2009

Sedute in opera

Specia

l

Cromie

Il “Satiro” di Zora


Viggiano inMusica Corsi Musicali XV edizione

21 LUGLIO Corsi Musicali Estivi in Val D’Agri XV edizione Concerto degli allievi del corso d’arpa (Piazza Plebiscito ore 20.30 ). 22 LUGLIO Corsi Musicali Estivi in Val D’Agri XV edizione Concerto degli allievi del corso di chitarra (Piazza Plebiscito ore 20.30). 23 LUGLIO

Corsi

Musicali Estivi in Val D’Agri XV edizione Concerto degli allievi del corso di chitarra (Piazza Plebiscito ore 20.30 ).

24 LUGLIO Corsi Musicali Estivi in Val D’Agri XV edizione Concerto degli allievi del corso di flauto (Piazza Plebiscito ore 20.30 ). 25 LUGLIO Corsi Musicali Estivi in Val D’Agri XV edizione concerto musica da camera. Tramutola 26 LUGLIO Corsi Musicali Estivi in Val D’Agri XV edizione concerto orchestra. (Piazza Plebiscito ore 20.30 ). 2° Rassegna dell’arpa Viggianese “Salvi” 28 LUGLIO 2° rassegna dell’arpa Viggianese Salvi ore 20.30 VINCENZO ZITELLO in concerto - Scavi di Grumento 29 LUGLIO 2° rassegna dell’arpa Viggianese Salvi ore 20.30 LINCOLN ALMADA arpa latino-americana (Piazza Plebiscito ore 20.30 ). 30 LUGLIO 2° rassegna dell’arpa Viggianese Salvi ore 20.30 ANDREAS VOLLENWEIDER – Arpa elettroacustica + Premio “Harpo Max” (Piazza Plebiscito ore 20.30 ). 31 LUGLIO 2° rassegna dell’arpa Viggianese Salvi ore 20.30 DANIEL JORDAN – Arpa popolare- (Piazza Plebiscito ore 20.30 ). 1 AGOSTO 2° rassegna dell’arpa Viggianese Salvi ore 20.30 ROSELLINA GUZZO -Arpa celtica e trio - (Piazza Plebiscito ore 20.30 ). 2 AGOSTO 2° rassegna dell’arpa Viggianese Salvi ore 20.30 ANNA PASETTI arpa classica e voce arie sacre (Basilica S.Antonio ore 20.30 ). “A BANDA LARGA” 6 AGOSTO “A BANDA LARGA” “Banda Improvvisa “(dir.Orio Odori) Viggiano ore 20.30 7 AGOSTO “A BANDA LARGA” “Contrabbanda” (dir.Luciano Russo) Viggiano ore 20.30 8 AGOSTO “A BANDA LARGA” “Neilston District Pipe Band ” (dir.Iain McDONALD) Sarconi ore 18.00 - Viggiano (ore 20.30 pisciolo).


Redazione Associazione di Ricerca Culturale e Artistica C.da Montocchino 10/b 85100 - Potenza Tel e Fax 0971 449629 Redazione C/da Montocchino 10/b 85100 - Potenza Mobile 330 798058 - 392 4263201 - 389 1729735 web site: www.in-arte.org e-mail: redazione@in-arte.org Direttore editoriale Angelo Telesca editore@in-arte.org Direttore responsabile Mario Latronico Impaginazione Basileus soc. coop. – www.basileus.it Stampa Arti Grafiche Lapelosa - tel. 0975 526800

Sommario Editoriale

... spazio all’Arte di Angelo Telesca ......................................................... pag.

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Forme

Sedute in opera di Giuseppe Nolè........................................................... pag.

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Persistenze

Viggiano: città dell’arpa... e della musica di Francesco Marstrorizzi.............................................. pag.

8-11

Special Cromie

Rosa Nuzzaco e il suo alter ego di Chiara Lostaglio......................................................... pag. Maddalena Spinelli: tra Ripacandida e l’America di Giovanna Russillo...................................................... pag. Le maschere nascoste di Giovanni Scioscia di Fiorella Fiore.............................................................. pag. Vittorio Vertone e la vittoria del colore di Angela Delle Donne................................................... pag. L’arte soave di Donato Larotonda di Chiara Lostaglio......................................................... pag. Il Surreastrattismo di Angelo Ermanno di Amelia Monaco.......................................................... pag.

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Concessionaria per la pubblicità Associazione A.R.C.A. C/da Montocchino, 10/b 85100 Potenza Tel e fax 0971-449629 e-mail: pubblicita@in-arte.org informazioni@in-arte.org

Summer Exhibition: arte e denaro mai stati così vicini di Maria Pia Masella...................................................... pag. 24-25

Autorizzazione Tribunale di Potenza N° 337 del 5 ottobre 2005

Il Satiro danzante e la versione integrale di Domenico Zora di Fabrizio Corselli......................................................... pag. 26-27

Chiuso per la stampa: 7 luglio 2009

Eventi

Mythos

Architettando

In copertina: Vittorio Vertone, Maratea trasudata, olio su tela

Un’architettura che apre le porte al secondo millennio di Mario Restaino.......................................................... pag. 28-29

La redazione non è responsabile delle opinioni liberamente espresse dagli autori, né di quanto riportato negli inserti pubblicitari.

a cura di Sonia Gammone............................................. pag.

Art Tour

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...spazio all’Arte di Angelo Telesca

Cari Lettori, da diversi anni “In Arte” tenta di dare ai suoi lettori uno spaccato dell’arte antica, moderna e contemporanea, attraverso percorsi tematici, valorizzazione del territorio, recensioni di eventi e mostre. Consentiteci però in questo numero di riservare uno spazio privilegiato alla pittura intesa non solo come espressione dell’arte, ma, come sosteneva Picasso, come continua ricerca e sperimentazione. Ecco il perché allora di Special Cromie, un inserto che abbiamo voluto dedicare a pittori contemporanei che in ogni stagione dell’anno ci regalano emozioni con le loro opere e le loro intuizioni artistiche. Un impegno non indifferente per la nostra redazione, ma che speriamo possa dare piacere a tutti i nostri lettori e agli artisti recensiti. Ampio spazio, nella rubrica Persistenze, al paese di Viggiano, che vanta una particolare tradizione musicale legata all’arpa. Da tenere d’occhio anche Assises: sedute in Opera, originale esposizione che mette insieme arte e vita quotidiana attraverso la sedia come “oggetto d’arte” e la mostra Summer Exhibition alla Royal Academy di Londra, evento internazionale che si propone di affiancare ai grandi nomi dell’arte contemporanea, quelli di giovani artisti emergenti. Un’ultima sottolineatura merita l’articolo di Fabrizio Corselli che, all’interno del percorso Mythos, incrocia la storia artistica del Satiro danzante di Mazara del Vallo con l’audace versione integrale di Domenico Zora: una perfetta sinergia artistica tra strumenti della modernità e arte antica.

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Sedute in opera

fOrme

di Giuseppe Nolè

Un “atto di trasfigurazione rivitalizzante del quotidiano” ha spinto 101 artisti della scena contemporanea francese ed internazionale a cimentarsi in una originalissima proposta lanciata dal collezionista francese Philippe Delaunay, che ha avuto la geniale intuizione di far pervenire a ciascuno di loro una sedia imballata e da assemblare, senza indicazioni particolari oltre a quella di farne un’opera unica e

irripetibile. A partire da un oggetto comune ognuno degli artisti ha sviluppato la propria proposta creativa: esempi lampanti sono le opere di Anne Rochette e Damien Cabanes; Léo Delarue, Claude Viallat e Pierre Buraglio, invece, hanno danno vita a delle interpretazioni che ci rimandano al loro interesse per la plasticità; Shigéo Shinjo impone allo spettatore un risultato inatteso e dissonante. Artisti dagli stili così

Jean-Christophe Ballot, Envol immobile.

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fOrme

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diversi, quali François Arnal e Lydie Régnier, appendono al muro delle opere che vanno ben al di là dell’oggetto di partenza. Anche la scelta del numero degli artisti non è casuale: per Philippe Delaunay, il 101 significa essenzialmente la somma del 100, inteso come l’intero, l’Universo, la totalità, e dell’1, che rappresenta invece l’inizio di ogni cosa: la creazione, la forza generatrice, l’essenza della vita, della nascita e di tutto il creato. Aggiungere questa singola unità al 100 significa così aggiungere una scintilla, in questo caso artistica, capace di dare nuova vita all’Universo, generare un nuovo inizio, una nuova creazione a partire dalla totalità. Le 101 opere in mostra sono quindi 101 scintille di creatività che si impadroniscono dell’Universo per restituircelo restaurato, rivitalizzato, nuovo. Attraverso questa mostra viene proposta una grande apertura: artisti conosciuti, meno conosciuti, francesi o stranieri che abbiano lavorato o vissuto in Francia, di generazioni differenti e contraddistinti da visioni artistiche diversificate, le quali permettono di sviluppare confronti proficui in svariati ambiti. Il confronto tra le singole individualità di ciascuno di essi ha concretizzato questo evento.

Le “sedute in opera” - sculture, dipinti, installazioni, video art - danno corpo alla mostra ASSISES, la cui prima edizione si è svolta lo scorso autunno presso la sede del Ministero della Cultura e della Comunicazione del Governo francese a Parigi, e che ora viene riproposta integralmente al MACA – Museo d’Arte Contemporanea di Acri (Cs); esse rappresentano una proposta artistica che si presta a qualsiasi genere di pubblico per il suo approccio multiplo e ludico e favorisce una presa di coscienza aperta agli effetti dell’arte contemporanea. La mostra, curata da Philippe Delaunay e Boris Brollo, sarà visitabile fino al prossimo 20 settembre presso il MACA di Acri nella sua prestigiosa sede di Palazzo Sanseverino; il museo, con la sua collezione permanente frutto della selezione delle opere di Silvio Vigliaturo e le numerose esposizioni temporanee, da anni rappresenta un punto di osservazione del tutto originale sull’arte contemporanea; e questa mostra ne è una testimonianza. Per appassionati e curiosi segnaliamo il sito www. museovigliaturo.it su cui è possibile trovare tutte le informazioni sulla mostra ASSISES e sulle attività del MACA.

Joe Neil, Un uncommon object.

Nicolas Colin, L’art de la fugue.


Città di Acri

Provincia di Cosenza

Association A vol d’oiseau du cercle

Regione Calabria

a

AIAP - Associazione Internazionale Arti Plastiche Comitato Italiano

OTDidierGUTHGérardGUYOMARDMyungokHANLottaH ANNERZJulietteJOUANNAISLaurieKARPLadislasKIJNO SunMiKIMGérardKOCHMarcelKORENHOFKatiaKRYLOV AEricLEMAIREMichelLEONARDIGuillaumeLIFFRANMar cAntoineLOUTTREFredMAESPascalMAHOUChristineM AIGNEDidierMENCOBONIMarieLaureMOITYGabrielaMO

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Collezione Philippe Delaunay a cura di Boris Brollo

5 luglio 20 settembre

2009

REGIONE PIEMONTE

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI

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Distretto 2100 Club di Acri

in

OPERA

RAWETZMitzoukoMORIStéphaneMROCZKOWSKIJoeNEILBiagioPANCINOPat ricePANTINJeanLucPARANTAgnèsPEZEUBernardPHILIPPEAUXHenriPROSIQ uentinQUINTSayedHaiterRAZALydieREGNIERAlbertoREGUERAPhilippeRICH ARDJeanFrançoisROBICAnneROCHETTEGermainROESZOlivierdeSAGAZAN WadeSAUNDERSFrançoisSCHMITTAntonioSEGUIShigéoSHINJOinnuitSINISWI CHITsunekoTANIUCHIClaudeTETOTDominiqueTHEBAULTVlad&AlinaTURCOGhi slaineVAPPEREAUClaudeVIALLATSylvieVILLAUMEEgideVILOUXCatherineVIOL LETRéginaVIRSERIUSClaudeVISEUXMariePierreWEINHOLDHeidiWOODAnXIA

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MarcelALOCCOFrançoisARNALErwanBALLANJeanChristopheBALLOTCyrilBARRANDJeanPhilippeBAUDRYClau deBELLEGARDEJeanMarcBERGUELDavideBERTOCCHIBISTRAOctavioBLASIMyriamBORNANDJeanPierreBRIG AUDIOTColetteBRUNSCHWIGMarionDEVILLERS&PierreBURAGLIODamienCABANESMichelCHARLIERCarmenC HARPINMarcCHARPINAlainCHAUVETPierreCHEUREHenriCHOPINClaudeCLAVELNicolasCOLINCarolineCOPPEY ClaudeCOURTECUISSEOdileDARBELLEYMichelJACQUELINDenisDARZACQJeanDAVIOTDominiqueDEBEIRRose lineDELACOURLéoDELARUEGérardDESCHAMPSNicolasDESCOTTESMichelDUPORTNathalieELEMENTOMaurice FONTANELJérômeFORTINVincentGAGLIARDIClaudeGARACHESaraswatiGRAMICHRobertGROBORNESylvieGUI

ASSISES SedutE

M A C A

www.museovigliaturo.it maca@museovigliaturo.it

Museo Arte Contemporanea Acri


Persistenze

Viggiano: città dell’arpa ...e della musica

Il paese di Viggiano, in provincia di Potenza, vanta una particolare tradizione musicale, legata ad uno strumento, il cui uso non è attestato in nessuna altra area del territorio italiano: l’arpa. Si tratta, in particolare, di una piccola arpa diatonica portativa, leggera e facilmente trasportabile a spalla, senza pedali e spesso con meno di venti corde, che iniziò a diffondersi tra gli abitanti di Viaggiano, dediti in gran numero alla musica, alla fine del Settecento. La tradizione dell’arpa è strettamente legata al fenomeno dei musicanti di strada, di cui è testimoniata la presenza già dalla seconda metà del Settecento nella città di Napoli, dove essi giungevano in occasione della novene per l’Immacolata e per il Natale. Questi musicanti erano impiegati principalmente in ambiti rituali e devozionali e sembra che fossero dei veri e propri specialisti, per alcuni dei quali la musica di strada costituiva l’impiego abituale, tanto che nel resto dell’anno continuavano a spostarsi di città in città. Esisteva a quei tempi, infatti, un’ampia richiesta di musica da parte della popolazione e i musicisti di strada, tra cui quelli viggianesi, seppero offrire un

Australia, inizio Novecento, orchestra di musicisti di Viggiano.

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di Francesco Mastrorizzi

servizio in grado di soddisfare questo bisogno. La propensione alla musicalità dei viggianesi ha radici profonde e rimanda ad una natura ricca di monti, boschi, sorgenti e corsi d’acqua, che evoca il mondo del mito. Ciò che caratterizzò i musicanti di Viaggiano e che concorse a renderli facilmente identificabili nelle strade e nelle piazze e a distinguerli dagli altri suonatori di strada fu appunto l’uso dell’arpa, che costituì quasi del tutto una loro prerogativa. A Viggiano erano presenti molte botteghe artigiane specializzate nella costruzione di questo strumento, la cui cassa armonica veniva prodotta con un legno autoctono, e tale competenza venne condotta ai massimi livelli mondiali nel Novecento dall’azienda fondata da Victor Salvi, nato a Chicago da madre viggianese e da padre veneziano, abile liutaio, recatosi proprio a Viggiano per la rinomata tradizione liutaia. I musicisti girovaghi viggianesi si esibivano in piccole compagnie di tre o quattro elementi, tra cui quasi sempre c’erano anche uno o più bambini. Erano invece del tutto assenti le donne. Spesso i gruppi erano formati in base a vincoli familiari, ma la loro


I Viggianesi; disegno di F. Palizzi, in F. De Boucard (a cura di), Usi e Costumi di Napoli e contorni, Napoli, 1853-1860.

I Viggianesi, disegno di Molino pubblicato a corredo dell’articolo di C. Malpica, I Viggianesi in “Poliorama Pittoresco”, 1836-1837.

composizione poteva essere determinata anche da differenti necessità di tipo pratico. All’arpa venivano affiancati la viola, il violino e meno spesso il flauto, la zampogna e il triangolo, quest’ultimo utilizzato dai più piccoli. Il repertorio che portavano in giro era un intreccio di motivi popolari (tarantelle, ballate, romanzi, ritornelli, novene natalizie, canzoni napoletane di successo) e

arie d’opera di grandi maestri italiani (Rossini, Cimarosa, Bellini). Finivano così per essere una sorta di mediatori culturali tra classi sociali. La loro musica poteva essere definita in termini di arte e allo stesso tempo di mestiere. Essi non erano istruiti alla musica, non avendola mai studiata, perciò suonavano ad orecchio. Il mestiere di musicante veniva trasmesso di padre in figlio e l’apprendimento

Nicola Reale, liutaio, emigrato negli Stati Uniti, dona a R. M. Nixon un violino di propria fabbricazione.

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Musicanti girovaghi nei pressi di una edicola votiva, Acquaforte firmata Quevado e D’Embrum in Jean-Claude Richard de Saint-Non, Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples ed de Sicilie, Paris, 1781.

avveniva in modo del tutto informale, al di fuori dei circuiti istituzionali. Essere musicanti di strada significava dedicarsi ad un’attività itinerante basata su continui viaggi, intervallati da soste brevi nelle località raggiunte e da sistematici rientri al paese. Tali viaggi raggiungevano non solo le maggiori città d’Italia, ma anche quelle d’Europa e degli Stati Uniti, permettendo ai viggianesi di divulgare ovunque il nome del proprio luogo di provenienza. L’espressione “i Viggianesi” divenne ben presto un modo per designare una categoria sociale, fatta di viaggiatori infaticabili, portatori di saggezza popolare. Nel corso della prima metà dell’Ottocento praticare la musica di strada per alcuni era la soluzione per

sopravvivere ad una vita condotta ai limiti dell’indigenza, per altri un sistema per integrare economicamente le attività agricole. Alcune famiglie di musicisti riuscirono a raggiungere un’entità patrimoniale piuttosto considerevole, diventando un modello per altre famiglie, che intrapresero lo stesso percorso. Questo permise a molte famiglie viggianesi, nella seconda metà del secolo e ancor di più nei primi decenni del Novecento, di avviare i propri figli allo studio della musica nei conservatori di Napoli e di Roma. Fu così che la tradizione popolare si professionalizzò e i viggianesi riuscirono ad entrare nei circuiti musicali internazionali, arrivando ad esibirsi, nel corso della loro carriera, nelle orchestre e nei teatri più importanti del mondo.

Taverna, in Teodoro Witting, Scene popolari di Napoli, Napoli, 1831. A lato: Stati Uniti, inizio Novecento, gruppo di musicisti di Viggiano.

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Specia

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Cromie

Quello che a prima vista colpisce di Rosa Nuzzaco è il suo sguardo lievemente malinconico e intenso. I suoi occhi verdi, simili a quelli di un gatto, di cui conservano la forma ed il colore brillante; i capelli neri e il profilo netto riflettono il mare e gli antichi coloni che dalla Grecia toccarono le coste dello Jonio, millenni or sono. È lì che abita, nel cuore del Golfo di Taranto. Attraversando la barriera visiva, ci inoltriamo nel suo mondo, percepiamo il suo sentire espresso in opere dal forte impatto. La sua prima fase pittorica è caratterizzata dal riferimento ai classici, dall’imitazione dei canoni accademici. Il Surrealismo è la corrente cui si ispira: la sua capacità esegetica le fa riscoprire come proprie, tanto da imitarne precisamente i tratti. Cavalli, come in De Chirico, dalle criniere ondeggianti; archi, colonne, capitelli di epoca classica sono i motivi che primeggiano nelle sue tele: retaggio di Magna Grecia e lei, l’artista, che ci appare come una Medea. L’ispirazione al Surrealismo e ai motivi dell’epoca

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classica denotano una fuga dalla realtà e una forte brama di approdare in mondi paralleli, ovvero di ritornare al passato, ai sentimenti puri e autentici, per tralasciare le angosce terrene, le ingiustizie che la vita le ha inferto, inesorabilmente. Nel 1990 ad una mostra a Roma, la Nuzzaco conosce il suo “alter ego” pittorico: Tamara de Lempicka, baronessa dell’Art decò. Ai suoi occhi un’apoteosi di raffinata femminilità. Sinuose fanciulle dallo sguardo languido, impongono la propria libertà, la volitiva trasgressione. Così come era pure Tamara, ambiziosa e seducente. A ventisette anni esule dalla Polonia, aveva già attraversato l’Europa, in lungo e largo, conosciuto banchieri, letterati, artisti e si era dedicata con successo alla pittura. In esilio a Parigi aveva ripreso a disegnare seguendo i consigli di due pittori come Maurice Denis, che aveva esperienze nabis e simboliste e André Lhote che amava Ingres e il cubismo. In breve la De Lempicka trovò l’ispirazione adatta alla sua originale personalità e riuscì ad imporsi nel panorama artistico che desiderava arti nuove fuori


Rosa Nuzzaco e il suo alter ego di Chiara Lostaglio

dagli accademismi, adatte a far dimenticare gli orrori della guerra. Tamara diventa così l’interprete perfetta dell’Art déco, riuscendo nel suo intento di “creare uno stile nuovo, colori brillanti e leggeri, ritornare all’eleganza dei modelli”. Una pittura fatta di luci psichedeliche, lineamenti marcati e ombre violente inferte su corpi sensuali definiti con ammaliante fervore. La Nuzzaco studia a fondo l’arte e la vita della pittrice polacca. Ne riproduce con precisione le opere e

anche se lontana dal suo stile di vita, si sente altrettanto anticonformista e vicina ad una impercettibile tristezza che traspare dagli occhi della sua musa, di vetro, come i suoi: una amarezza dovuta all’assenza del vero amore, come le piace pensare. Forse Rosa sente di appartenere all’Arem di Tamara rivedendosi in opere come Andromeda prigioniera di catene, repressa e soggiogata alla brutalità del sistema, oppure ne La musicista, malinconica sognatrice che canta al suo amore.

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Specia

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Cromie

Maddalena Spinelli nasce a Ripacandida, in provincia di Potenza, ma è negli Stati Uniti, dove arriva nel ‘66 con le due sorelle minori, che completa la sua formazione culturale. Chicago, la città dei grattacieli e delle grandi opportunità che incontra chi ha voglia di emergere e di dar forma alle proprie idee, è per l’artista una fonte inesauribile di stimoli e di contaminazioni. Qui, dopo il primo anno di permanenza, si avvicina alle arti figurative. Frequenta l’Art Institute of Chicago e successivamente consegue il B.A. alla Roosvelt University. Abile fin da adolescente nel conciliare gli studi universitari con l’attività lavorativa, anche per affinare il suo inglese, ottiene una mini laurea in architettura, sua originaria inclinazione, mentre collabora con uno studio di architetti. Durante l’università sperimenta il disegno su stoffa e le serigrafie, ma è in particolare la pittura ad attrarla. “Avevo un professore found object – ricorda – che ci invitava a realizzare

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composizioni con qualsiasi materiale cartaceo”. Le sue prime esposizioni in quegli anni sono in ambito universitario e, seguendo una consuetudine molto diffusa negli Stati Uniti, in due occasioni realizza delle personali anche per strada. Terminati gli studi, pur continuando ad assecondare la sua vena artistica, intraprende con le sorelle un’entusiasmante avventura nel ramo gastronomico mettendo su un ristorante lucano di successo che in breve tempo si afferma come uno tra i migliori locali italiani della città. Qui, ogni giorno, questo piccolo e affiatato team tutto al femminile non perde occasione di promuovere i sapori e le bellezze della Basilicata, dove la Spinelli, da sola, fa ritorno qualche anno dopo. La solida esperienza maturata lavorando in una realtà come quella statunitense e gli anni di viaggi in giro per il mondo, la spingono ad aprire un’agenzia di viaggi. Gli impegni lavorativi non riescono a farle dimenticare però il suo


Maddalena Spinelli: tra Ripacandida e l’America di Giovanna Russillo

amore per la pittura, che resta per lei spazio espressivo a tutto campo. Grazie ad essa la sua personalità, costantemente rivolta alla ricerca di nuovi stimoli e aperta al confronto con mondi e culture differenti, delicatamente si rivela all’altro. Le sue tele conservano i colori caldi e vivaci delle terre del sud (il sud delle sue origini, i sud del mondo da lei visitati), passando per delicate sfumature pastello e i toni più freddi del blu, del grigio e dell’azzurro. Il suo immaginario è popolato da figure femminili che rievocano l’adolescenza vissuta nel Michigan con le sue sorelle, e simboleggiano la grazia e la forza che

contraddistingue le donne di ogni paese e di ogni latitudine. Nudi composti e raffinati, donne capaci di essere sensuali e materne al tempo stesso, profili austeri e solitari o straordinariamente complici. Il loro è un mondo variegato e complesso che l’artista esplora e racconta a tutto tondo. Altrettanto interessante è il suo rapporto con la fotografia, che le ha procurato diversi riconoscimenti. Anche in questo caso la natura incontaminata, il viaggio, i volti di uomini, donne e bambini, costituiscono delle finestrelle su piccole storie quotidiane che, da attenta osservatrice, è costantemente pronta a cogliere nei suoi tratti più sinceri e spontanei.

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Specia

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Cromie

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Giovanni Scioscia “festeggia” nel 2009 il quarantennio di una carriera artistica che, pur mantenendo intatta la propria poetica, si è saputa rinnovare tecnicamente, grazie ad una ricerca continua su materiali e colori. Originario di Potenza, Scioscia, dopo aver frequentato il Liceo artistico, alla fine degli anni Sessanta si sposta a Napoli per frequentare l’Accademia di Belle Arti, sotto la guida dei maestri Brancaccio e Spinoso. La base accademica è molto evidente nella sua opera, che si struttura in un impianto compositivo saldo, dove la linea tracciata dalla china sulla tela incamera un colore smaltato, in cui la rappresentazione non è frutto di un guizzo istantaneo, ma di una lunga meditazione: l’immagine finale, infatti, è solo l’ultimo passo di un processo coadiuvato da bozze preparatorie.

tre sezioni: La vita non è un balocco. Giù la maschera!; Utopia - disegno di una società perfetta; Come deve essere bello il mondo visto dalle nuvole. Tre momenti che sono le diverse raffigurazioni di un dialogo muto tra l’industriale, il politico, l’artista e l’operaio che in una società perfetta, utopistica, dovrebbero rappresentare i cardini della società stessa e convivere all’interno di una città ideale, che con un aggettivo molto attuale potremmo definire multietnica (rappresentata su tela dalle icone delle diverse culture asiatica, africana, europea). L’atmosfera si fa onirica in queste tele, ma il sogno è velato della malinconia e della consapevolezza che quel dialogo resta muto e quella società lungi dal realizzarsi. Emblematica è la figura del politico, rappresentato dal pagliaccio, isolato dal resto del mondo sui suoi alti trampoli, o seduto sullo spicchio della luna, idea-

L’ultimo ciclo di opere, esposto a maggio presso la Certosa di Padula e che sarà riproposto in autunno a Forio presso la Fondazione Rizzoli e poi a Potenza presso la Galleria Idearte, conferma questo carattere dell’arte di Scioscia: pur rinnovando i temi del passato, infatti, esso è anche una “summa” di questi quarant’anni. Il ciclo è composto da una parte pittorica (acrilici su tela e serigrafie), una videoproiezione e una rappresentazione scenica con il supporto di mimi, espressione dell’arte nella sua “totalità”. Il ciclo si divide in

le torre d’avorio. Queste figure sono tutte rappresentate da una maschera, che ne identifica il personaggio e nello stesso tempo lo nasconde ai nostri occhi. Infatti, soprattutto nelle tele, pur riecheggiando i temi cari all’artista e al suo “codice linguistico” che hanno fatto capolino nei cicli pittorici degli ultimi anni, come i tangheri e le mongolfiere, simbolo di bellezza e libertà, è proprio la maschera che diventa la chiave di lettura di queste opere. Utilizzando le parole di Bruno Meroni, nel saggio La maschera inevitabile. Attualità della maschera, essa compare quando:


Le maschere nascoste di Giovanni Scioscia di Fiorella Fiore

«da parte dell’Io, sul piano collettivo e di riflesso su quello individuale viene sofferta un’irreparabile separazione dalla propria identità pre-esistente» ovvero «[la maschera] dichiara l’esistenza di un’altra verità, celata oltre la sua apparenza. Da un lato esprime la verità ultima, dall’altro il momento più artificioso di una presenza che non ha vita». (B. Meroni, La maschera inevitabile. Attualità della maschera, collana

Il Tridente, Campus 45, ed. Moretti e Vitali, Bergamo, 2005) Ciò che è rappresentato in queste opere è il labile confine tra la rivelazione della verità e il suo nascondimento, tra la libertà e la prigionia cui obbliga la maschera stessa: ed è su questo che l’artista si e ci interroga, costringendoci a riflettere sulle maschere che ognuno porta su di sè.

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Specia

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Cromie

La produzione pittorica di Vittorio Vertone nasce da un’attività consolidata nel tempo, da studi che hanno accompagnato le sue abilità artistiche attraverso i canali istituzionali della scuola d’arte, ma non solo, poiché ha sempre cercato il confronto con gruppi di ricerca e comunità artistiche. Nei lavori giovanili spesso si è dedicato alla grafica, per giungere negli anni successivi all’utilizzo dei colori ad olio, studiando i maestri lucani. Negli anni ha riscosso continui successi attraverso concorsi, premiazioni e mostre. Il dato pittorico di Vertone diventa riconoscibile e consolidato attraverso la produzione di opere nette ed impetuose. I colori sono forti, accesi, talvolta infuocati. Le pennellate creano spazi precisi nella tela seguendo le linee di fuga che percorrono in lungo e largo l’opera, come in Scelte (olio su tela). Le quattro direttrici della strada dividono lo spazio in quattro zone, dove il colore corre veloce, come scaraventato ai margini dello spazio disponibile. La linea dell’orizzonte si inarca leggermente per perdersi anch’essa ai margini. Tutta l’opera comunica un senso di marginalità e periferia, terre anonime che si animano flebilmente all’ombra di arbusti ed alberi. Eppure la forza espressiva non si perde, anzi è accentuata e lo sguardo dell’osservatore è catapultato nei colori e nelle forme.

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Vittorio Vertone e la vittoria del colore di Angela Delle Donne In Confino dell’amore il moto è condotto da un unico punto di fuga, i colori si aprono a ventaglio, la lucentezza dei colori ancora una volta si infuoca per imprigionare pennellate indefinite e nette, pennellate che si incontrano- scontrano come impazzite, e ad un tratto il nero si diffonde ai margini della tela. L’impatto visivo è forte, l’occhio dell’osservatore non distoglie lo sguardo dal punto di fuga, poi ritorna sul vortice dei colori e poi ancora sul punto di fuga. Il colore e la linea sono magneti inarrestabili. Anche quando l’artista introduce forme antropomorfe come in Water road, l’opera è incentrata sui colori, sulle linee, sulla definizione di spazi. La tela si svela per accogliere spazi aperti e sconfinati. La pennellata si adegua alle linee, le linee sono nette, come netto è il tratto che contorna il solitario passeggiatore che sembra non rendersi conto dello spazio immenso che si dischiude alle sue spalle. Metafora della natura che vive e si insinua tra le tracce lasciate dall’uomo. E così, continuando a guardare la produzione pittorica di Vittorio Vertone, l’occhio dell’osservatore ritorna ad essere attratto dai vortici dei colori, dai tagli netti che creano spazi talvolta immensi ed aperti, talvolta fitti e densi. L’occhio è condotto e non può esimersi dall’essere attratto dalla forza espressiva del dato pittorico di un pittore che assembra le masse di colore.



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Cromie

Quando le opere di un artista “locale” trovano ospitalità in ambito nazionale, suscitano una certa esultanza in quanti credono che l’arte rappresenti anche la maniera (fra le più elevate) per mettere in luce e divulgare la cultura di un territorio. È quanto si può comunicare delle opere di Donato Larotonda, artista di Rionero in Vulture, non nuovo (appunto) ad esperienze espositive in altre regioni. Tra le più rilevanti si evidenziano la partecipazione alle mostre itineranti “13x17” a cura di Philippe Daverio e Jean Blanchaert, il progetto “Sorsi d’arte” a Monte San Pietro (BO), l’esposizione con una personale dal titolo “Sogni e paesaggi” a Garlasco (PV). Dal 27 al 29 marzo scorso, Donato Larotonda è stato nuovamente selezionato nella rosa degli artisti cui è stato conferito uno stand a “Vernice art fair”, una mostra mercato presso la Fiera di Forlì (a cui partecipa dal 2003) dove quest’anno ha esposto venticinque opere. Opere che sottolineano aspetti naturalistici con un linguaggio romantico e mescolano la grazia e la percezione visionaria a problematiche contemporanee. La difesa ambientale, ad esempio, espressa in Lacrime d’inquinamento, dove una macchia nera deturpa la purezza del paesaggio e un albero piange l’insensibilità umana. L’uso del colore e delle forme è la chiave di lettura delle sue composizioni, e attraverso l’opera compiu-

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L’arte soave di Donato Larotonda di Chiara Lostaglio

ta l’artista riesce a trasmettere pensieri, emozioni e provocazioni all’osservatore. Larotonda si misura spesso con cromatismi dolci, efficaci nel rappresentare la natura, conferendone quindi grande senso di quiete e di armonia. Una pittura che evoca il ciclo pittorico L’età dell’oro dove si è in simbiosi totale con la natura ed il paesaggio, in un’aura celeste di silenzio. Nei suoi quadri ci si perde in un luogo ameno in cui l’affanno quotidiano si dissolve nel conforto onirico. La luna, regina di luce e speranza, veglia sopra le case o su un campo incontaminato; “artefice di tutto, si impegna proteggere le loro notti d’amore” com’è scritto ne La luna e l’amore. Il riposo è beato sotto la notte stellata, il tempo detta lentezza e l’arcobaleno, emblema di pace, sorride al paese. I cromatismi luminosi, protagonisti delle sue tele sono distensivi, per nulla invadenti: sa raccontare il mondo senza avere peraltro la pretesa di sconfinare in territori altri. Nelle miti distese di prati e papaveri, albergano alberi dalle tante forme. Ora sono pini, ora spogli, ora rigogliosi. Sono chiome in un intreccio d’amore, oppure ondeggiano al vento. L’albero rappresenta un altro sensibile elemento dell’arte di Larotonda. Vita, unione tra cielo e terra, rigenerazione, eterna giovinezza e immortalità: “secondo la mitologia cinese – dice il pittore – il centro dell’universo è rappresentato proprio da un albero, il cosiddetto


legno eretto, uno dei cinque elementi di cui è composta la realtà insieme ad aria, terra, acqua e fuoco. L’albero è una parte di me, come tale in continua evoluzione e trasformazione”. Così sono nati alcuni lavori: L’albero dei desideri, Fiaba d’amore, Albero in festa, La danza degli alberi, L’albero dei frutti d’oro, Alberi sulla luna. Alberi all’infinito, perché come recita un antico adagio indiano “gli alberi sono le colonne del mondo, quando tutti gli alberi saranno tagliati il cielo cadrà sopra di noi”. In taluni casi Larotonda compone a collage diversi eventi e gioca con la fantasia, misurandosi anche con tecniche innovative. Secondo un dettato di Wassilij Kandinskij quando afferma: «L’Arte nel suo insieme non è creare degli oggetti senza scopo, bensì una forza che deve servire sensatamente alla creazione ed all’affinamento dell’animo umano». Larotonda risponde con esiti incoraggianti mediante una cifra artistica che riconcilia con la natura e con la fantasia, sempre fertile. Sul sito www.donatolarotonda.com è possibile vedere l’ampia galleria di opere dell’artista lucano.

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Specia

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Cromie

Surreastrattismo. È questo il termine coniato da Angelo Ermanno, pittore lucano promotore di un nuovo modo di fare arte. Il suo è un affacciarsi al nuovo millennio proponendo un linguaggio artistico e allo stesso tempo fortemente comunicativo, attraverso una pittura che, mediante il tangibile, rappresenta il lato più recondito dell’essere umano. Ed infatti, la formula vincente è quella data dal recupero dell’onirico, di matrice surrealista, ed il principio dell’astrazione con cui il pittore riesce a giungere alla vera essenza delle cose, alla struttura più profonda delle forze della natura. Del resto, testimone di questa precisa scelta artistica è anche il suo nome d’arte, Dialkan, omaggio ai due grandi rappresentanti di un pezzo significativo di produzione artistica del Novecento, Salvador Dalì e Vassilij Kandiskij. Nei suoi dipinti, contrassegnati dall’uso di tinte forti, dai colori puri applicati sulla tela senza sbavature, quasi a darne l’idea di una stampa nella quale si alternano in modo dinamico i rossi, i gialli, gli azzurri, Angelo Ermanno sembra non distaccarsi mai dal passato e, contemporaneamente, proiettarsi verso un linguaggio proprio. In altre parole, il suo legame

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Il Surreastrattismo di Angelo Ermanno di Amelia Monaco

con il passato va inteso come una rivalorizzazione dei principi ispiratori dei grandi maestri. In effetti, osservando i suoi dipinti, traspare, nel recupero delle forme geometriche e nell’uso dei colori, come in Scomposizione nera o in Punti, linee e squadre, il ricorso al principio kandiskiano secondo cui la “musicalità dei colori” è “necessaria perché l’arte diventi astratta”. È chiaro, quindi, che la precisa scelta di far propria quella fase più prettamente astratta del pittore russo, non resta fine a sé stessa ma viene rivisitata attraverso quelle atmosfere oniriche ed il subconscio che, teorizzato da Freud e diventato fonte ispiratrice per Dalì, assume un nuovo significato nell’opera di Dialkan. Come, infatti, viene riportato nel Manifesto del Surreastrattismo, pubblicato nel 1989 a Rionero in Vulture (PZ): «L’obiettivo principale del Surreastrattismo è portare in superficie i contenuti profondi dell’inconscio infantile, essendo questa parte della mente non ancora inquinata dalla falsità della vita e capace di spaziare con i sogni e la fantasia. Attraverso i ricordi, l’aiuto dei sogni e dell’ipnosi, si creano le immagini che affiorano dal cervello e vengono impresse su tele


o altro supporto». Quello che si legge e che emerge dai suoi quadri è un continuo viaggio alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni, frutto dei ricordi e delle esperienze passate. Le sue rappresentazioni, commistione di geometrismo puro, inframmezzato da elementi tratti dal quotidiano e spesso allieta-

ti dalla presenza dalla figura umana, costituiscono un’altalena tra realtà e sogno; il fine ultimo è dare le giuste sembianze a ciò che affiora dal proprio io allo scopo di “raffigurare ciò che non esiste in natura, ma che può essere rappresentato per mezzo della pittura”.

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Eventi Dal 1768, la Royal Academy mette a disposizione le sue stanze palladiane ai finalisti dell’annuale selezione della Summer Exhibition. Aperta al pubblico da giugno ad agosto, la mostra si propone di affiancare ai grandi nomi dell’arte contemporanea, quelli di giovani emergenti, di professionisti e addirittura di alcuni dilettanti. A una condizione però: superata la selezione, i lavori dovranno sottoporsi ai giudizi ben più severi del mercato con un numero cui corrispondono, nel catalogo, artista, titolo e prezzo Le cifre vanno dalle centinaia di sterline per stampe e fotografie, alle migliaia per lavori di artisti già quotati, fino alle stime aperte a trattativa privata. In cima, su piedistalli senza gradini, ci sono le opere di artisti non quotati. Il trittico di Anselm Kiefer nella Gallery one è indicato come nfs, ovvero: not for sale. Il paesaggio tinte invernali, atmosfera desolata, dimensioni monumentali, occupa un’intera parete. Intitolato Tryptique, l’opera si presenta come l’esaltazione di una natura apocalittica. Dense e corpose applicazioni di grigi e bianchi rendono il paesaggio solitario, senza uomini, sotto un cielo ottenuto da colate di fango secco, che opprime le cime degli alberi e le abitazioni. Protette, ma anche separate dalla realtà, da compartimenti in vetro, le tele appaiono come dei mondi lontani, troppo naturali e veri per confondersi con le realtà di plastica della nostra quotidianità. Simile al trittico di Kiefer per dimensioni, l’opera Rose ne è agli antipodi per soggetto e tavolozza. Dei

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quattro pannelli di cui si compone, in tre appaiono rose sgargianti su uno sfondo verde acqua. Le rose creano un effetto bagnato ripreso nella calligrafia ondulata con cui Twombly ripropone alcuni versi della poesia Rosa di Rainer Maria Rilke. Più avanti, nella galleria dedicata all’architettura, tra i modelli di Sir Norman Foster, tutti contrassegnati dall’ormai riconoscibile sigla, spicca il progetto per la scuola in Sierra Leone. Esposto per la prima volta alla Summer Exhibition e ispirato a forme di architettura africane, il plastico si materializza in una serie di componenti modulari creati per adeguarsi alle condizioni socioclimatiche dell’ambiente circostante La galleria dedicata ai progetti è senz’altro il punto forte della 241esima edizione dell’esposizione che infatti, partendo da un concetto architettonico come lo spazio riesce a fornire alla mostra il suo

Anselm Kiefer, Tryptique, 2007. Olio su tela, vetro, metallo, rami d’albero.


Summer Exhibition: arte e denaro mai stati così vicini

Eventi

di Maria Pia Masella

Vista dell’atrio della Royal Academy. Opera di Bryan Kneale: Triton III, 2008, acciaio inossidabile.

Anselm Kiefer, Elizabeth von Osterreich.

filo conduttore: Mooving Space, tema attorno al quale gravitano i circa 1200 lavori selezionati unisce l’eterogeneità delle forme d’arte selezionate (dalle tradizionali pittura, scultura e disegno, ai progetti d’architettura e ai video, passando per la fotografia e le stampe), oltre a tracciare il filo che lega architettura

e belle arti. Ma se trovare un filo a volte vuol dire anche perdersi si capisce come mai, uno scaffale sopra la scuola di Norman Foster, ci sia il modello di un esperimento in carta di un fortunato dilettante. Per ogni informazione sulla mostra è possibile consultare il sito www.royalacademy.org.uk

Cy Twombly, Rose, 2008.

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Il deliquio ferace e la duratura ebbrezza che sono soliti rappresentare il momento più intenso del corteo di Dioniso, durante il Baccanale, è anche il contesto ideale in cui viene inserita la figura del Satiro Danzante di Mazara del Vallo (Periboetos), oggetto di questo appuntamento di Mythos. Ritrovato nel Marzo del 1998, nelle profondità del mare di Mazara, dal Peschereccio “Capitan Ciccio”, comandato da Francesco Adragna, il satiro viene attribuito senza alcun dubbio a Prassitele. L’arte dello scultore greco che si allontana dal kanon policleteo, con il suo senso dell’equilibrio, approda a una morbidezza del modellato che si risolve invece nell’abbandono delle figure che quasi sempre necessitano di un appoggio. I suoi personaggi, infatti, non sono più gli equilibrati eroi del passato, ma dèi, giovani e altresì vinti da un’esistenza mortale che li rende umani, lasciando quindi la dimensione eroica per riscoprire nuovamente il quotidiano. Prassitele ottiene questo effetto spostando il baricentro della

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figura su un lato, di modo che la figura stessa rappresentata si mostri in una posizione di riposo. Un processo che serve altresì a stemperare i passaggi più intensi, così che le figure acquistano una mollezza che attenua i forti caratteri di vigore fisico propri del periodo classico precedente. Per la situazione in cui si trova il Satiro Danzante, ci si aspetterebbe un pathos intenso, ma la grazia particolare della statua è affidata al busto, leggermente arcuato, alla testa, reclinata su una spalla, ai capelli mossi dal vento della danza, e alle gambe, che ci si immagina spiccanti un salto, il tutto pur sempre incorniciato in un alone di tranquillità. L’elemento che sembra attestare proprio l’appartenenza a Prassitele, è la “presenza” del tirso. Il famoso bastone rituale con il quale la menade entrava in deliquio, mirando durante il volteggio, il fascio di tralci a mo’ di “pigna” sulla sua sommità, comunque idealizzato nel Satiro, diviene requisito necessario per quel senso di abbandono estatico, di malinconi-


Il Satiro danzante e la versione integrale di Domenico Zora di Fabrizio Corselli

ca postura che Prassitele conferisce alle sue statue, e che gli assicurano la “paternità” del Satiro Danzante. Al pari della scoperta nei fondali del canale di Sicilia, della scultura attribuita a Prassitele, affiora dalle profondità del mito, per la gioia degli amanti della cultura classica, l’impresa dello scultore Domenico Zora: con la perizia e il coraggio di chi affronta un lungo viaggio, seppur fra le profondità della dimensione artistica, egli cerca di disvelare i segreti celati dietro la statua del Periboetos. La statua di bronzo alla quale “ha dato vita”, presentata in anteprima mondiale presso l’evento Approdi di Ulisse, misura ben 70 cm con un’apertura di braccia di 57 cm; seppur di dimensioni ridotte, la sua grandezza risiede nel non essere una mera copia bensì la sintesi di una ricca teoresi che, via via sviluppandosi fra accurate ricerche e confronti con le argomentazioni di emeriti critici, archeologi e studiosi, ha consegnato all’osservatore ciò che, si suppone, doveva essere alle origini la forma integrale effettiva del Satiro Danzante. Zora non è solo un modellatore di figure, ma ciò che lo sottrae all’insuccesso è proprio il pensiero forte a supporto della sua rappresentazione scultorea; l’artista, forte della sua carriera trentennale, infatti così si esprime nei confronti dell’opera di Prassitele: «La statua di Ma-

zara del Vallo doveva essere sollevata da terra, durante un momento di danza estrema e per l’euforia sprigionata dal vino. Mi sono piuttosto chiesto, quale fosse l’aspetto dell’opera prima che la furia marina, o forse quella umana, lo mutilasse delle braccia e di una gamba. La chiave della risposta pare che sia in un foro ben visibile ad anello, regolare e rinforzato, che si trova in fondo alla colonna vertebrale, grosso modo all’altezza del coccige. Questo foro, che doveva sicuramente tenere sollevata la statua, mi ha suggerito la probabile dinamica che stava per compiere e la possibile posizione che doveva assumere il giovane satiro, raffigurato dall’artista greco». Secondo tale teoria, ci viene restituita la statua nel suo perfetto equilibrio fra la dimensione dell’estasi bacchica, in cui esso è avvinto, dominato da quella ebbrezza che apre i cancelli a un pathos senza precedenti, destinato solo ai componenti del corteo orgiastico di Dioniso (per l’appunto “satyros”, cioè “ebbro”) e la dimensione terrena, primitiva; in sostanza, il ricongiungimento fra materia e spirito, fra apollineo e dionisiaco che opera attraverso il trascendente. A Zora, il primato di aver non solo donato all’osservatore una possibile chiave di risoluzione al mistero del Satiro ma di aver dimostrato come gli strumenti della modernità possono ancora coesistere, in una perfetta sinergia artistica, con l’antico.

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Architettando “Luccicante marchingegno neofuturista piantato con baldanza americana nel ferruginoso cuore malato di una periferica città del continente europeo, il Guggenheim di Frank O. Gehry propone un disneiano racconto della miracolosa trasformazione del brutto anatroccolo della modernità paleoindustriale nell’argenteo cigno postmoderno…” Con queste parole Fulvio Ierace presenta il progetto del nuovo Museo Guggenheim d’Arte Moderna e Contemporanea di Bilbao, uno dei tanti edifici sparsi per il mondo ed appartenenti all’omonima fondazione, ritenuto da più parti il progetto simbolo che conclude la grande avventura architettonica del XXI secolo. Se fino al 18 ottobre 1997, giorno del gran galà d’inaugurazione del museo, che ha visto la partecipazione di importanti architetti, di personalità del mondo della cultura e perfino del re di Spagna, la regione basca e la sua capitale Bilbao erano legati alle bellezze della costa atlantica ed alle nefandezze terroristiche dell’E.T.A., oggi la loro immagine è definita, per chiunque al mondo, dalla mole sorprendente del Guggenheim dell’architetto, canadese di nascita ma americano d’adozione, Frank O. Gehry. Bilbao è una città che in pochi decenni ha attraversato il boom dell’industrializzazione, il riflusso della crisi industriale e che ora cerca fortemente di terziarizzarsi. I segni disordinati di questi recenti passaggi storici, cantieri navali ed altiforni ormai abbandonati e quartieri d’abitazione sorti al di fuori di ogni piano regolatore, sono ben visibili accanto alla città vecchia, con la sua dignitosa pianta ottocentesca ed i palazzi di fine novecento. Nel suo museo Gehry, come egli stesso afferma, ha cercato di “incorporare queste contraddizioni in modo ottimistico”, ha provato ad erigere un edificio “riassuntivo”: invece di isolarlo, in quanto “non puoi fare un’isola nel caos”, ha tentato di integrarvi, e per suo tramite risolvere, il disordine cittadino, affinché il museo ne diventasse “il commento culturale come fanno Jasper o Warhol nel rendere bella la pubblici-

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tà”. E questo è davvero il risultato magico del Guggenheim, che riesce letteralmente a connettere gli elementi sparsi di un paesaggio urbano proliferato in modo del tutto casuale. Nel 1991 viene firmato un accordo tra il governo basco e la Solomon R. Guggenheim Foundation, diretta allora da Thomas Krens, che prevedeva la costruzione di un museo di arte contemporanea. In questa circostanza viene indetto un concorso ad inviti al quale partecipano Arata Isozaki, lo studio Coop Himmelb(l)au e Frank O. Gehry , che ne risulterà il vincitore. La collocazione dell’edificio fu scelta a nord del centro urbano, a lato de la ría de Bilbao, perché da qui il museo sarebbe stato visibile da tre punti strategici, sul luogo di un vecchio terreno industriale, di circa 24.290 metri quadri, facente parte di un piano di rivalutazione urbanistica della città, iniziato nel 1989, che includeva un palazzo dei congressi, un aeroporto internazionale, una nuova metropolitana e un piano di sistemazione delle rive del fiume Nerviòn. Due bacini d’acqua, definiti dallo stesso progettista “giardini d’acqua”, compensano le differenti quote a cui si trovano la città storica e il fiume integrandoli con la struttura museale. Una rampa collega la passeggiata a fiume con una torre dalla forma irregolare, dotata di una scala che permette di salire sul Ponte de La Salve, una delle principali vie d’ingresso alla città. La struttura interna dell’edificio si sviluppa su tre livelli, che contengono le sale espositive, a cui si aggiunge un ulteriore livello, per i sistemi di condizionamento. Da un punto di vista spaziale il fulcro dell’intero progetto è il grande atrio, di 650 metri quadri e di 50 metri di altezza, dal quale prendono luce anche i tre piani


Un’architettura che apre le porte al secondo millennio di Mario Restaino

che vi si affacciano. Questo spazio viene illuminato sia dalla luce naturale che penetra lateralmente dalle grandi vetrate che danno sul fiume, sia dalla vetrata che costituisce la copertura del punto più alto dell’edificio da cui la luce proviene zenitalmente. Dall’atrio, inoltre, si accede alla terrazza che si affaccia sul laghetto artificiale ed è coperta da una gigantesca tettoia sorretta da un unico pilastro in pietra. Le diciannove gallerie, destinate ad ospitare a rotazione le collezioni della fondazione Guggenheim, le opere della collezione permanente, ma anche alcuni percorsi espositivi dedicati ad artisti baschi e spagnoli contemporanei, si raccordano alla grande hall centrale attraverso un sistema di passerelle curvilinee sospese, di ascensori a vetro e di torri di scale. Per quanto riguarda la tecnica di realizzazione, la struttura portante è mista e vede l’impiego di calcestruzzo armato per i pilastri e le scale, il metallo per

la struttura reticolare che dà la forma all’edificio. A questa è fissata una seconda struttura reticolare con maglie molto più fitte alla quale si ancora il rivestimento esterno. Le lastre sono in acciaio galvanizzato dello spessore di 2 mm su cui è stata stesa una membrana impermeabile continua ricoperta da pannelli di titanio dello spessore di 0,38 mm. L’edificio, visto dal fiume, sembra avere la forma di una nave, rendendo così omaggio alla città portuale nella quale si trova. I pannelli brillanti al sole assomigliano alle squame di un pesce, ricordando le influenze delle forme organiche presenti in molte opere dell’architetto americano. Visto dall’alto l’edificio mostra senza ombra di dubbio la forma di un fiore. Per la progettazione il team di Gehry ha utilizzato intensamente simulazioni computerizzate delle strutture, riuscendo così a ideare forme che solamente qualche anno prima sarebbero risultate impossibili anche solo da immaginare.

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art Tour a cura di Sonia Gammone Venezia Capolavori futuristi

di della Valle dei Re, nasce con lo scopo di illustrare il rituale funerario egiziano in età ramesside, mettendo a confronto lo

vi, con i Politipi degli anni ‘60 e ‘70, fino ai recuperi neodadaisti degli anni ‘80, si approda allo straordinario ciclo degli Assemblaggi della fine degli anni ‘90, tuttora perdurante. Il percorso espositivo è messo dunque in relazione alle varie fasi della stratificata attività di Alberto Biasi e racconta la complessità imprevedibile di un artista che ha saputo rinnovarsi nel tempo mantenendo intatta la coerenza espressiva e l’energia vitale delle sue opere.

Tivoli Tesori dall’Ager Tiburtinus

Fino al 22 novembre 2009. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia. Orari: tutti i giorni dalla 10 alle 18; chiuso il martedì e il 25 dicembre. Informazioni: 041.2405.411; info@guggenheim-venice.it Robert Rauschenberg: Gluts presenta una selezione di circa 40 sculture provenienti da istituzioni e collezioni private americane e non solo. Dopo aver stravolto il mondo artistico con i suoi celebri Combines, alla fine degli anni ‘50, con la sua esplorazione dell’arte basata sulla tecnologia anni ’60, con il suo focalizzarsi su materiali naturali, come carta, cartone e tessuti nel corso degli anni ’70, negli anni ’80 Rauschemberg concentra il proprio interesse artistico sull’esplorazione delle proprietà visive del metallo. Assemblando oggetti vari, soprattutto materiali di scarto raccolti nelle stazioni di benzina, pezzi di automobili abbandonate, e altri rifiuti industriali, l’artista texano crea altorilievi e sculture. Nasce così la serie di Gluts, lavori scultorei cominciati nel 1986 e su cui l’artista lavora ad intermittenza fino al 1995.

Chianciano Terme Tutte le anime della mummia Fino al 6 gennaio 2010. Museo Civico Archeologico Via Dante, Chianciano. Informazioni: 0478-30471; museoetrusco@libero.it; museo@comune.chianciano-terme.si.it Il 20 giugno si è aperta presso il Museo Civico Archeologico di Chianciano la mostra “Tutte le anime della mummia. La vita oltre la morte ai tempi di Sety I”. L’esposizione, che raccoglie un centinaio di oggetti provenienti dalle maggiori collezioni egiziane d’Italia e la ricostruzione parziale di una delle sepolture faraoniche più gran-

straordinario contesto sepolcrale del faraone Sety I (Nuovo Regno: XIX dinastia, 1290-1279 a.C.), dal quale provengono una quarantina di statuette e un rilievo riuniti per la prima volta a Chianciano, con un ideale corredo funerario di privato della stessa epoca. Oltre al corpo e alla mummia, i raffinati oggetti esposti raccontano quali “elementi incorporei” costituiscono la persona, e cioè quante sono le “anime” di un egiziano, da proteggere con cura nella tomba perché il defunto abbia una vita eterna dopo la morte.

Genova Alberto Biasi. Kaleidoscope

Fino al 1 novembre 2009 Villa Adriana, Tivoli Orari: aperto tutti i giorni dalle 9 ad un’ora prima del tramonto.

Fino al 30 settembre Museo di Palazzo Reale, Via Balbi 10, Genova. Informazioni: 010 2710236; www.palazzorealegenova.it Il 30 giugno è stata inaugurata al Palazzo Reale di Genova la mostra “Alberto Biasi. Kaleidoscope: dalle trame agli assemblaggi” a cura di Giovanni Granzotto che raccoglie una serie di opere scelte a documentazione di gran parte dei cicli operativi del maestro padovano, uno dei padri del Gruppo Enne, fondamentale corrente dell’arte programmata e cinetica italiana. Partendo dalle Trame della fine degli anni ‘50, continuando con le Torsioni e i Rilievi ottico-dinamici degli anni ‘60 e successi-

Nelle sale dell’Antiquarium del Canopo di Villa Adriana a Tivoli la Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio presenta un’eccezionale raccolta di circa ottanta reperti che provengono dagli scavi di Villa Adriana e del territorio di Tivoli. Qui dalla fine del II sec. a.C. al I sec. a.C., oltre alle numerosissime villae rusticae, sorgono tutta una serie di insediamenti a carattere residenziale e lussuoso. Naturalmente, la presenza della villa dell’imperatore Adriano, non farà che sancire l’eccellenza del sito e segnare anche nell’immaginario dei moderni la valenza di luogo destinato a residenza di lusso e di svago. Questo spiega la bellezza e la raffinatezza dei pezzi che ornavano le ville. Grazie a questa iniziativa le meravigliose statue frammentarie rappresentanti Ercole, le splendide coppe di ceramica, gli architravi di marmo bianco scolpiti con eroti, delfini, cesti di frutta provenienti da Villa Adriana, escono dai depositi per essere ammirati in tutta la loro bellezza.


Viggiano inMusica MUSICA POPOLARE – FOLK 5

AGOSTO

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AGOSTO

Serata musicale etnico-popolare a cura degli “Amarimai” ( pisciolo ore 20.30) “FOOLK MEETING” 21° Festival del Folklore (ore 20.30 pisciolo).

17 agosto Graziano Accinni Ethnos Trio Multimediale (ore 20.30 pisciolo). 26 agosto Visitiamo insieme il centro storico ore 20.30

“vino sotto le stelle” degustazione dei vini locali e tanta musica

27 agosto Visitiamo insieme il centro storico ore 20.30

“vino sotto le stelle” degustazione dei vini locali e tanta musica.

Viggiano Jazz 19 AGOSTO Viggiano Jazz Mario Raja Quartetto Viggiano Jazz

Moliterno ore 20.30

20 AGOSTO Viggiano Jazz Dario Deidda “Atre” – Alice Ricciardi Quartetto S.Antonio) 21

AGOSTO

quartetto

(ore 20.30 Convento

Viggiano Jazz Carboni Antonimi duo – Tomolo,Boltro,Bex,Chambers”The Translators” (ore 20.30 Convento S.Antonio)

22 AGOSTO Viggiano Jazz Orchestra Napoletana di Jazz (ore 20.30 pisciolo) VII Concorso Internazionale L.De Lorenzo 10

AGOSTO

Concerto del pianista Bruno Canino e della violinista Serena Canino VII Concorso Internazionale De Lorenzo Viggiano- Hotel dell’Arpa ore 20.30

28 AGOSTO Concerto Concerto Musicale con il Maestro Petrucci ore 20.30 Marsico Nuovo 29 AGOSTO Concerto dei componenti della giuria del VII Concorso Internazionale L.De Lorenzo Hotel dell’Arpa ore 20.30 30 AGOSTO Concerto dei vincitori del VII Concorso Internazionale L.De Lorenzo (Piazza Plebiscito ore 20.30 )


Foto Chiaradia, Archivio APT Basilicata

18 agosto 2009 - Banzi (PZ)


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