â‚Ź 1,50 anno VIII - num. 04 - giugno/luglio 2012 Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CNS PZ
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Redazione
Sommario Editoriale
Associazione di Ricerca Culturale e Artistica C.da Montocchino 10/b 85100 - Potenza associazionearca@alice.it
Redazione Largo Pisacane, 15 85100 - Potenza Tel. 0971 25683 Mobile 330 798058 - 392 4263201 web site: www.in-arte.org e-mail: redazione@in-arte.org Direttore editoriale Angelo Telesca editore@in-arte.org Direttore responsabile Mario Latronico Caporedattore Giuseppe Nolé Impaginazione Basileus soc. coop. – www.basileus.it Stampa Grafica Cirillo sas Concessionaria per la pubblicità Associazione A.R.C.A. C/da Montocchino, 10/b 85100 Potenza Mobile: 330 798058 e-mail: informazioni@in-arte.org Iscrizione al ROC n. 19683 del 13/5/2010 Autorizzazione Tribunale di Potenza N° 337 del 5 ottobre 2005 Chiuso per la stampa: 28 giugno 2012 In copertina: Pietra Barrasso, Fascio di luce, 2011, acrilico su tela, cm. 100x100. La redazione non è responsabile delle opinioni liberamente espresse dagli autori, né di quanto riportato negli inserti pubblicitari.
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Mutamento di prospettiva di Giuseppe Nolé .......................................................... pag. 4
Eventi
Cromie in Loco a Moliterno di Giovanna Russillo...................................................... pag. 5 Americani a Firenze di Marcella De Filippo.................................................... pag. 8 Bagliori dorati di Sonia Gammone........................................................ pag. 10
Direzioni
Berlino: Biennale 2012 al Tacheles di Sonia Gammone........................................................ pag. 12 Se Singapore e la Basilicata non sono così lontani... di Fiorella Fiore.............................................................. pag. 14
fotoCromie
Giuseppe Cavalli, maestro di luce di Maria Pia Masella ..................................................... pag. 16
Cromie
Memoria e spirito nell'opera di Vito Miroballi di Deianira Amico......................................................... pag. 18 La comunicazione gestuale di Stefania Rossi di Eleonora D’Auria...................................................... pag. 20 Pietra Barrasso, lo scintillìo della luce di Angela Delle Donne................................................... pag. 22 L’iperrealismo di Luciano Ventrone di Giulia Smeraldo......................................................... pag. 24
Mete
Viaggiare lungo la storia sulla Via Francigena di Francesco Mastrorizzi............................................... pag. 27
Trame
La vertigine del Bello di Fabrizio Corselli......................................................... pag. 29
Mutamento di prospettiva di Giuseppe Nolé
Il terribile disastro del terremoto in Emilia, Lombardia e Veneto ha riproposto il problema della fragilità, non solo del nostro tessuto urbano, ma anche del nostro immenso e meraviglioso patrimonio culturale. Prevenzione e manutenzione rappresentano due nodi centrali per un discorso serio sulle azioni da mettere in campo per garantire la conservazione del nostro patrimonio culturale: attività per limitare le situazioni di rischio connesse al bene ed attività ed interventi destinati al controllo delle condizioni del bene ed al mantenimento della sua integrità ed efficienza funzionale . È necessario però promuovere un mutamento di prospettiva in tal senso, con l'obbiettivo di limitare il ricorso ad azioni singole e slegate nel tempo (gli interventi e gli eventi eclatanti), per promuovere un'idea di prevenzione e manutenzione come “processo”: efficace risposta “nel tempo” alle responsabilità che ci derivano dall'aver ereditato un patrimonio culturale unico al mondo. Dalla tutela del patrimonio culturale e dalle necessità di conservazione non possono essere disgiunte le questioni connesse alla "piena fruizione": la tutela, da sola, è una prospettiva limitata, specie se ridotta a pura tecnica connessa a modalità di intervento singole e non coordinate nel tempo.
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Eventi Moliterno emana un fascino senza tempo. Il borgo di questo bel centro della Val d’Agri si estende ai piedi dell’antico castello e conserva intatti i vicoletti, le piazze e gli eleganti palazzi storici. Questo splendido scenario è stato il protagonista assoluto della prima edizione di Cromie in loco, concorso di pittura estemporanea organizzata dalla nostra rivista e dal Comune di Moliterno. Sabato 9 giugno diciassette artisti provenienti da Basilicata, Campania, Puglia e Molise si sono ritrovati fin dalle prime ore del mattino tra le vie del centro storico per immortalarne gli scorci più suggestivi. Il castello, gli antichi portali e la Chiesa Madre di
Cromie in Loco a Moliterno di Giovanna Russillo
Santa Maria Assunta sono stati i soggetti prescelti dalla maggior parte dei partecipanti che attraverso le proprie creazioni hanno raccontato tutta la magia di un luogo dalla storia millenaria e particolarmente ricco di spunti creativi. Antonio Mazziale, di Toro (Campobasso), è risultato il vincitore del concorso con l’opera “Ricordi nel borgo” (acrilico su tela, 60x80 cm). Nel suo lavoro, di particolare raffinatezza cromatica, è ben riconoscibile il castello di Moliterno inserito all’interno di un contesto di tipo metafisico. Le storie dei luoghi si incrociano, fino a fondersi, con le tracce di una storia personale vissuta tra le vie del borgo. Il paesaggio
Carmine Franco, Fusioni del borgo - 2° classificato.
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finisce così per trasformarsi in un prezioso scrigno di ricordi. Nella ricca produzione pittorica dell’artista molisano è più volte ricorrente il tema del ricordo e del paesaggio inteso come “paesaggio dell’anima”. Anche questo suo ultimo lavoro si orienta verso una costante ricerca di dialogo tra le meraviglie della natura e le emozioni più autentiche che essa suscita. Carmine Franco, con l’opera Fusioni del borgo, si è classificato al secondo posto. Particolarmente apprezzata la sua visione data da tessere cromatiche ricavate da un'armonica distribuzione di segni e geometrie.
Al terzo posto Riflessioni di luce di Antonio Altieri, per la sapiente scelta cromatica e per il suo conferire fluidità al contesto architettonico suddiviso in piani ben distinti creati dalla luce. Con una menzione speciale infine è stata premiata l’originalità di Alfonso Venafro che ha ideato una breve storia a fumetti ambientata tra i vicoli. I premi sono stati consegnati dall’editore di In Arte Multiversi Angelo Telesca, dall’Assessore alla Cultura del Comune di Moliterno Raffaele Acquafredda e dal sindaco Giuseppe Tancredi. Questi i nomi degli altri artisti in gara: Giuseppe Ap-
Sopra: Antonio Altieri, Riflessioni in luce - 3° classificato. A lato: Antonio Mazziale, Ricordi nel borgo - 1° classificato.
pio, Selenia Calcagno, Giuseppe Cantatore, Filippo Carlomagno, Antonietta Dublo, Rosalba Leo, Anna Teresa Mazzilli, Federica Morgante, Michele Paradiso, Vincenzo Tempone, Vittorio Vertone, Diego Viceconte. La manifestazione si è conclusa tra l’entusiasmo dei partecipanti e dell’intera comunità di Moliterno che li ha accolti calorosamente. È stata particolarmente apprezzata dagli artisti l’opportunità di visitare il centro storico insieme a guide locali messe a disposizione dalla pro loco. Un’occasione irrinunciabile per immergersi pienamente nel glorioso passato di questa incantevole cittadina.
Eventi A Cinquecento anni dalla morte di Amerigo Vespucci, Firenze commemora l’illustre cittadino con la mostra Americani a Firenze. Sargant e gli Impressionisti del Nuovo Mondo. L’atmosfera è quella di fine Ottocento, i protagonisti un gruppo di giovani artisti dinamici e cosmopoliti, il tema il “sogno italiano”, il palcoscenico le sale di uno dei più bei palazzi rinascimentali della città. A Palazzo Strozzi, dal 3 marzo e fino al 15 luglio, è di scena il racconto di un passato glorioso a cavallo tra Vecchio e Nuovo Mondo. È la storia di tanti artisti americani che, al termine della guerra civile, navigarono le rotte del vecchio continente per una sorta di viaggio-studio alla scoperta delle grandezze dell’arte europea, conosciuta e apprezzata attraverso i libri. Firenze e il suo Ri-
Americani a Firenze di Marcella De Filippo
nascimento conquistarono da subito i sogni degli americani, gli studi di Ruskin e i romanzi di Scott la resero mito. Nel cuore della città, tra fine Ottocento e inizio Novecento, si stabilì una nutrita colonia angloamericana fatta di intellettuali, scrittori e critici d’arte, che si muovevano tra New York, Parigi e la città toscana. Sei sezioni, centosei opere e più di trenta artisti americani, per narrare l’influenza italiana sulla pittura americana e l’impatto che gli americani, appassionati e travolgenti, ebbero sulla cultura toscana. Dal notissimo John Singer Sargent a Whistler, a Morris Hant, e poi i Ten American Painters e i Duveneck boys, allievi di Franck Duveneck. Tra gli italiani Lega, Signorini, Corcos e Boldoni.
Frank Duveneck, I ponti, Firenze, 1880 circa, olio su tela montata su cartone laminato, cm 38x59, Saint Louis, Saint Louis Art Museum.
Sulle pareti l’eco francese dell’impressionismo si mescola alle “macchie” e alla maniera dei naturalisti toscani. Ciascun pittore ha in sé il ricordo della formazione ricevuta in patria e lo stile maturato nei cen-
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tri artistici europei. Le opere esposte sono un diario di viaggio dipinto su tela; la maniera, sofisticata e densa di suggestioni letterarie, un veicolo su cui corrono le immagini della Firenze dell’epoca: l’albergo
Eventi
John Singer Sargent, Pigiatura dell'uva: cantina fiorentina, 1882 circa, olio su tela, cm 61x50, Fredericton, The Beaverbrook Art Gallery.
del centro (iniziale rifugio), le cartoline della città (trasognante e frenetica all’unisono), le ville sulle colline (dimore predilette) e poi il paesaggio e la campagna toscana, il lavoro dei contadini e i volti della gente. Ma Americani a Firenze non è solo Palazzo Strozzi, è l’occasione di ripercorrere le orme dei passi camminati dagli uomini del nuovo continente; nei mesi dell’esposizione aprono le porte l’Atelier di Hiram Powers (via dei Serragli 111), l’Accademia delle Belle Arti, la Casa di Nathaniel Hawthorne, autore della
Lettera Scarlatta, quella di Egisto Fabbri, noto collezionista di Cezanne (in via Cavour), la Casa Guidi, il cimitero evangelico degli Allori − vero e proprio pantheon degli artisti dell’Ottocento −, la farmacia angloamericana in via Tornabuoni e l’hotel angloamericano in via Garibaldi. Un’occasione preziosa per vedere Firenze con occhi nuovi, quelli dello stupore e della meraviglia, gli stessi di chi a fine Ottocento d’oltreoceano se ne innamorò.
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Bagliori dorati
Eventi
di Sonia Gammone
Sopra: Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi, 1423, tempera su tavola, Galleria degli Uffizi, Firenze. A lato: Lorenzo Monaco e Cosimo Rosselli, Adorazione dei Magi, 1420-1422 ca., tempera su tavola, Galleria degli Uffizi, Firenze.
Inaugurata lo scorso 19 giugno e fino al prossimo 4 novembre 2012, sarà possibile ammirare, nelle sale del piano nobile della Galleria degli Uffizi a Firenze, la splendida esposizione dedicata all’arte fiorentina nel periodo che va dal 1375 al 1440 circa, quando lo stile del gotico internazionale si diffuse nelle regioni settentrionali della penisola assumendo forme diverse e innovative. A Firenze, in particolare, il tardogotico assunse aspetti e sfumature incentrate su una visione elegante e colta che si faceva strada a cavallo dei due secoli. Gli artisti si trovarono a mediare tra la visione tardo trecentesca e le spinte innovative dettate dal nuovo fervore umanistico che suggeriva il recupero dell’antico. Il titolo stesso dell’esposizione, Bagliori Dorati, suggerisce l’eleganza e lo splendore che le opere in mostra regaleranno ai visitatori. Accanto a notissime opere pittoriche, verranno esposti dipinti poco conosciuti ma pregevolissimi, e poi ancora sculture lignee e marmoree, codici miniati, lavori d’arte sacra e profana. Seguendo un percorso cronologico si potranno ammirare opere dei massimi artisti trecenteschi come Agnolo Gaddi, Spinello Aretino, Antonio Veneziano, Gherardo Starnina e Lorenzo Monaco, artista, quest’ultimo, che non aderì alla laica cultura cortese e anzi mise nelle sue opere una forte spiritualità accentuata dal distacco che le figure allungate, coperte da ampi panneggi esprimevano;
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fino ad arrivare al raffinato naturalismo di Gentile da Fabriano, del quale troviamo in mostra diverse opere tra le più belle come l’Adorazione dei Magi (1423), conosciuta anche come Pala Strozzi, per via del committente, il colto banchiere Palla Strozzi che la volle per la sua cappella. In quest’opera è possibile individuare alcuni degli elementi principali del gotico internazionale quali le figure elegantissime vestite con sfarzosi abiti alla moda e il grande interesse per la descrizione minuziosa dei particolari; infine l’uso consapevole del dorato che illumina tutta l’opera. Insieme ad artisti meno noti come Lippo d’Andrea, Mariotto di Cristofano, Giovanni Toscani, Ventura di Moro, Francesco d’Antonio e Arcangelo di Cola, troviamo Lorenzo Ghiberti, personalità tra le più alte del tardogotico fiorentino. Sarà nel suo cantiere per la prima porta del Battistero che si formeranno quasi tutti gli artisti di spicco operanti a Firenze. Proseguendo nel percorso sarà possibile scoprire la maniera soave del Beato Angelico e quella di Michelozzo. Il tragitto si conclude con un’opera che sintetizza tutti i sogni di un’epoca straordinaria, la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. Si chiude così, in un ultimo bagliore, una mostra elegante e rappresentativa di un periodo storico-artistico particolare, spartiacque tra due epoche, che già fa intravedere gli splendori del Rinascimento.
Direzioni Entrando si rimane subito colpiti dal mare di graffiti che si stagliano disordinati sulle pareti dell’edificio. Colorati e spesso incomprensibili, corredati da scritte in tedesco affiancate da compagne in cirillico, sono lì, pronti a ricordare, a decorare, a polemizzare sui muri grigi che trasudano di storia. Siamo al Tacheles, storico centro sociale e artistico di Berlino, che quest’anno per la prima volta ospita una sezione della settima edizione della Biennale dell’arte tedesca, curata da Artur Żmijewski, dal titolo Forget Fear. Titolo che non riecheggia all’interno della struttura, dove solo accanto ad una delle entrate si scorge timido il manifesto azzurro che accenna alla manifestazione, anche se della paura gli artisti del Tacheles non hanno un ricordo troppo lontano. L’ex centro commerciale, poi sede delle SS, venne occupato nel 1990, dopo la caduta del muro, da un gruppo di artisti che ne fecero il fulcro dell’arte underground, dando la possibilità di esprimersi a chi, stanco della repressione della politica della DDR, sentiva il bisogno di libertà, ma soprattutto di spazio. Uno spazio concesso sì, ma non a lungo. Proprio quest’anno infatti, quello che ormai era diventato un’istituzione, nonché una tappa obbligata per i turisti, ha rischiato di chiudere per sempre. Tre anni fa, dopo che al collettivo fu negato di detenere un regolare contratto d’affitto, l’HSH Northbank avrebbe acquistato l’immobile con una procedura non ancora ben chiara, scatenando proteste all’interno e al di
fuori delle mura dell’art house. Mentre le autorità elaboravano il da farsi, il clima di tensione tra la Banca, desiderosa di costruire sulle macerie del Tacheles un grande albergo, e gli artisti del collettivo si faceva sempre più ostico. Lo scorso dicembre, un blitz di trenta uomini della Private Security della Northbank, fece incursione nell’edificio al fine di prenderlo con la forza, cacciando gli artisti e provocando numerosi danni alle opere, in particolare a quelle di Alexander Rodin, pittore bielorusso di sessantacinque anni, violentemente percosso e privato di alcuni dei suoi lavori, al tempo esposti nelle sale del quinto piano. Tra i 72 artisti che partecipano alla biennale, a lui in particolare è dedicata questa sezione, e lo si capisce dai numerosi volantini attaccati malamente sulle pareti dei vano scala a ricordare l’accaduto. Ed ecco aprirsi al pian terreno, gridando più forte che mai il motto “Kunst und Politik”, la grande sala che ospita, come in un teatro, alcune delle opere pittoriche di Rodin ed alcune installazioni. Le grandi tele sono ricche di grovigli figurativi e mostrano, come fossero dei sogni ad occhi aperti, l’insieme di tutto quello che viaggia nella testa dell’artista, che gira libero attraverso i suoi pensieri, mentre manichini costruiti con materiale di recupero aspettano il visitatore in modo un po’inquietante. Intanto da fuori i rumori dei laboratori d’arte richiamano l’attenzione, qui tutto è un work in progress. Lasciamo l’edificio e una piccola offerta di sostegno alla loro battaglia.
Sopra: Alexander Rodin, Rush hour, 2012, olio su tela, cm 300x680. Pagina a lato: Alexander Rodin, Heart transplantation, 2012, olio su tela e stampa, cm 300x200.
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Berlino: Biennale 2012 al Tacheles Quando si lotta per non dimenticare di Laura Redondi
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Direzioni contesti internazionali tra cui Documenta, Manifesta, Tribeca Film Festival, oltre che il Festival del Cinema di Venezia dove ha ricevuto una menzione spe-
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Charles Lim Yi Yong, filmaker e artista nato nel 1973 a Singapore, dove vive e lavora, è stato protagonista nella metà di maggio di O’A.I.R., residenza per
Ciclo Seastories.
Ciclo Seastories.
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ciale dalla giuria per il suo All the Lines Flow Out) trova infatti un interessante punto di collegamento in quello che è il rapporto tra ambiente ed infrastrutture in Basilicata, in particolare nel capoluogo di regione, Potenza. Lim è infatti autore di Seastories, un progetto che integra fotografia, video e performance, strutturato su un'analisi di come l'acqua a Singapore – lo ‘stato isola’ – abbia sovvertito i confini in un ciclo di degrado e rigenerazione: scopo della residenza, quello di trovare dinamiche simili anche in realtà del tutto lontane e differenti. Potenza ha strutturato il suo spazio urbano lasciando poche Image courtesy of the artist
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artisti romana, Qwatz e Archiviazioni, resa possibile da FARE RESIDENZA ITALIA 2011 in collaborazione con Open Care/Milano, con il contributo di Fondazione Cariplo, NABA - Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e GAI - Associazione Circuito Giovani Artisti Italiani, Fondazione SoutHeritage di Matera e il Museo della Memoria Migrante di Brindisi. Una residenza che ha avuto come oggetto un percorso tra Puglia e Basilicata, caratterizzato dall’acqua come elemento conduttore: lo studio della reciprocità tra uomo e ambiente, fulcro della poetica di Charles Lim Yi Yong, (il cui lavoro è stato presentato in diversi
Se Singapore e la Basilicata non sono così lontani... di Fiorella Fiore
tracce di quello che è stato il passato, amplificando invece il recente e mai del tutto sviluppato contesto industriale, una condizione che bene si rappresenta nel breve percorso che lega due dei ponti più importanti che attraversano il fiume Basento, ovvero l'antico ponte romano della città e quello edificato da Sergio Musmeci nel 1967, lungo i quali si sviluppa l'area industriale. Il ponte romano, privato della sua funzione a causa dell'impossibile fruibilità di una delle sue sponde, conduce ad un attraversamento mancato che è simbolo dei contrasti e delle contraddizioni di questo tessuto urbano; accanto al letto del fiume si sviluppa il consorzio industriale che nella realizzazione del ponte Musmeci, dalla forma fluida, senza travi o piloni, trova il suo punto di confine e con esso le contraddizioni fatte di bellezza e degrado della zona. Un contrasto visibile anche nei Laghi di Monticchio, visitati sempre dall'artista, un ambien-
te dal microclima particolare ed unico, caratterizzato da una bellezza amena, esaltata dall'antica abbazia di San Michele, edificata tra l'XI e il XII secolo, dove nascono alcune delle fonti di acqua minerale più note d'Italia: queste stesse fonti, fino a 10 anni fa del tutto fruibili, sono state letteralmente segregate da multinazionali che hanno comprato dalla Regione la concessione e l'utilizzo esclusivo di un bene pubblico, divenuto ormai privato. Si realizza qui un perfetto esempio delle "relazioni tra ordini sistemici e di potere che vengono a crearsi tra di essi" che sono il perno del lavoro di Charles Lim, a conferma dell'universalità non solo del messaggio dell'artista, proveniente da luoghi così lontani per distanza geografica e cultura, ma anche di quei meccanismi di controllo e sovvertimento che dimostrano tutta la fragilità dell'equilibrio tra ambiente e uomo.
Foto dal report sulla visita in Basilicata dell'artista.
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fotoCromie
Ritratti, scorci di strade di provincia, spiagge dell’Adriatico, campagne, nature morte: le immagini di Cavalli, artista di origini pugliesi che abbandonò la carriera di avvocato per dedicarsi alla passione fotografica, fino alla morte prematura nel ’61, tornano alla Estorick Collection di Londra a pochi anni dalla rassegna del 2005. Si ripete anche la scelta curatoriale di affiancare Cavalli ai contemporanei Luigi Veronesi (1908-1998), Piergiorgio Branzi (1928), Mario Giacomelli (1925-2000). Artisti che formò e incoraggiò attraverso la creazione di due gruppi; il primo, nel 1947, “La Bussola” e poi, nel 1953, “Misa”, oltre che dai numerosi scritti e manifesti in cui si fece portavoce della necessità della fotografia di restare arte, staccandosi dal realismo e dalle urgenze di denuncia sociale dell’immediato dopoguerra. Eppure, nonostante l’impressione di privilegiare la luce, la composizione, il materiale e, a dispetto dell’atteggiamento del dilettante che fa arte per hobby, nei lavori di Cavalli sembra di ritrovarsi, come nei film di de Sica e Rossellini, in quegli anni di rinascita e dolore che scemava nel quotidiano e nell’intimità dei gesti piccoli. Come quello di stendere i panni e farli asciugare al sole di In fondo alla strada.
Giuseppe Cavalli, In fondo alla strada, data sconosciuta, stampa in argentico, cm 27,7x36,5, Collezione Prelz Oltramonti, Londra.
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Giuseppe Cavalli, Scatto brasiliano, data sconosciuta, stampa in argentico, cm 30x36, Collezione Prelz Oltramonti, Londra.
Primo piano ravvicinato di un panno steso su cui poggia una coperta militare di lana ruvida (quelle con la striscia bianca, degli alleati americani passate poi agli italiani) che, a guerra finita, continuava ad essere usato e pulito dai trascorsi sanguigni e dai ricordi. Un’immagine che, se, nei giochi di luce e ombre sulle pieghe (come pennellate di tono su tono), nella scelta prospettica della diagonale, nella quasi assenza di sfondo che dà il senso di distacco dal contesto, materializza la ricerca stilistica, in un senso più profondo parla della guerra appena finita, del sole che non discrimina, del gesto quotidiano di pulire e di aver cura anche di un panno vecchio. Lo stesso si può dire di Balilla, scatto su una macchina che non si vede. L’icona della motorizzazione come meta delle aspirazioni di un bambino di provincia, in bermuda, calzini e scarpe consumate, che la spia dal tetto di un palazzo bianco: le braccia aperte sul muretto, la testa incollata a un orizzonte in cui si confondono sogni, Balilla, linee di confine, posti lontani e un futuro migliore. Anche qui la composizione orizzontale del muretto sul vuoto arioso, la calce ruvida e bianca su cui la luce si posa, dividendo l’immagine in diagonali ripetute dalla gamba piegata del bambino, sembrano solo parte di un’immagine che parla anche di verità, inclusa quella del fallimento di un’aspirazione dell’arte senza soggetto, fine a se stessa.
Giuseppe Cavalli, maestro di luce di Maria Pia Masella
Giuseppe Cavalli, Balilla, 1940 ca, stampa in argentico, cm 31,5x28,5, Collezione Prelz Oltramonti, Londra.
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Cromie
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Presenza e assenza, luce e oscurità, traccia, temporalità sospesa: questi sono i temi che animano l'opera di Vito Miroballi, in cui ritmi e ordini seriali, differenze e ripetizioni, organizzano una geografia di luoghi emotivi. Acqua, terra, fuoco e aria sembrano essere i pigmenti della tavolozza dell'artista, impegnato in una ricerca alchemica del tempo perduto o del ricordo delle cose passate, poiché, come scriveva Marcel Proust, «la realtà non si forma che nella memoria». La natura della pittura di Vito Miroballi è lunare, notturna, musicale; le sue opere sono melodiche nella progressione delle forme appena accennate e dei colori, e armoniche nel mostrare sfumature diverse e iridescenti negli stessi punti e luoghi. Lo spetta-
tore diventa attore di una rappresentazione che lo impegna nel decifrare le minime variazioni, che lo fa precipitare in una dimensione di meditazione e di scoperta di piccole differenze. Il dettaglio di una presenza astrale e un orizzonte abbozzato è costante, come la stratificazione di fasci luminosi che sfondano la superficie del quadro: nell'incontro con questi elementi lo spettatore è invitato a partecipare e a confrontarsi con un altro se stesso, diventato più sensibile nella sfida di vedere oltre il visibile. Le opere di Vito Miroballi, come campi di energia magnetica, fanno vibrare l’animo dell'osservatore: nelle profondità e trasparenze affiorano e scompaiono entità che riprendono vita nella memoria e nei sogni attraverso le stratificazioni cromatiche.
Riflessi tra terra e cielo, 2010, pastello su cartoncino, cm. 90x59,5.
Ricordo di cielo, 2010, pastello su cartoncino, cm. 90x59,5.
Memoria e spirito nell'opera di Vito Miroballi
Cromie di Deianira Amico
Le opere di Miroballi non possono essere considerate meramente astratte, il loro scopo non è quello di enfatizzare una certa disposizione coloristica-formale; il fatto che si allontanino da una rappresentazione naturalistica della realtà è il tentativo di conferire una maggiore intensità all'espressione del soggetto: ogni elemento descrittivo è eliminato per distruggere l'illusione e rivelare la verità. La luce è romantica, racconta fantastici enigmi ed è capace di rappresentare gli umori della natura arcaica e primitiva con il fine di raggiungere un sentimento di trascendenza. Vito Miroballi non inventa nuove iconografie, ma ricerca nel paesaggio le ragioni astratte di una compenetrazione di motivi e nel colore lo strumento di comunicazione diretta ed avvolgente, che tra-
sforma il soggetto in chiave espressiva, simbolica e drammatica: molteplici solitudini si uniscono in una spiaggia, in strada o nel parco, per formare tableaux vivant dell'umana incomunicabilità. Non è questione di essere figurativi o astratti, ma di infrangere il senso di solitudine, per raggiungere con chiarezza lo spettatore, per essere compresi, scardinando gli ostacoli tra pittura e idea, tra idea e osservatore: le opere sembrano infatti chiedere al fruitore di creare con loro un senso di intimità, di relazione. Controcorrente rispetto a un'idea di contemporaneità giudicata solo in base all'esplicita appartenenza a scelte di gusto postmodernista, Vito Miroballi porta avanti il suo percorso artistico, un'esigenza lirica in cui la realtà è affermata come spirito.
Attesa, 2010, pastello su cartoncino, cm. 90x65.
Cielo di Ripacandida, 2010, pastello su cartoncino, cm. 90x65.
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Cromie
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La comunicazione gestuale di Stefania Rossi di Eleonora D’Auria
È un dato certo che l’età sia sinonimo di esperienza. Affermazione che risulta essere maggiormente valida qualora ci si relaziona con un’attività in continua e costante evoluzione, come può esserlo il lavoro di un artista. E di un’artista si tratta, quando il riferimento è rivolto a Stefania Rossi. Si potrebbe quasi
di là del calice ricolmo di vino e della sensazione da esso emanata, oltre l’apparenza ben tangibile di grappoli d’uva calibrati da differenti timbri cromatici, risulta che la vera partita sia giocata tutta lungo i margini, margini nei quali l’artista tenta di far emergere quello è l’aspetto gestuale del suo lavoro. Aggreden-
Colori e odori del vino, tecnica mista su tela, cm 70x80.
Luci nella notte, acrilico su tela, cm 50x70.
dire l’eccezione che conferma la regola, perché, se ancora molto ha da indagare e approfondire, questa giovane e promettente artista di Campobasso dimostra, nonostante la sua giovane età (24 anni), la capacità di relazionarsi con esperienze pittoriche di notevole caratura e spessore artistico. Il riconoscimento speciale della redazione di In Arte, a lei assegnato in occasione del Premio Enogenius 2011 per l’opera dal titolo Colori e odori del vino, è significativo di come Stefania Rossi sia assorbita da un orientamento che, muovendo dal dato concreto e reale, pilota quasi involontariamente l’occhio dell’osservatore all’ambito sensoriale. Ecco che allora, al
do la tela, pregna di un blu di Prussia sfumato con abile uso del procedimento tecnico, Stefania Rossi marca il suo lavoro quasi come una firma tracciata al margine, caratterizzando l’opera di una vivacità cromatica e di una forte pregnanza individuale. Risulterebbe riduttivo soffermarsi su quest’unica opera, seppur degna di attenzione e non a caso recentemente premiata, ma basta osservare altri lavori per evidenziare come, alla freschezza di un’intuizione artistica generata da una mente giovane, vada associata una qualità tecnica non indifferente. L’opera dal titolo Inverno dimostra come non sempre sia necessario ancorarsi all’aspetto figurativo per
Inverno, tecnica mista su tela, cm 50x60.
esprimere ciò che si intende comunicare. In tal caso, venendo meno l’individuazione oggettiva della realtà, il compito di una resa efficace viene affidato interamente alla tecnica adoperata e al colore, in questo caso steso ed utilizzato con abilità esecutiva che inevitabilmente richiama l’aspetto segnico e gestuale dalla straordinaria stagione dell’espressionismo astratto americano.
Ed in questo è da fare una precisazione, perché se l’arte di Stefania Rossi rimanda a quella particolare resa tecnica, a quel gioco sublime di gesto ed azione, ciò non è in nessun modo assimilabile ad una imitazione passiva di tale esempio, ma risulta essere un punto di partenza dal quale l’artista procede indipendente, nella sperimentazione delle sue capacità pittoriche.
Finestra sul mare, acrilico su tela, cm 60x80.
Natura morta, acrilico su tela, cm 60x80.
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Cromie La produzione artistica di Pierina Barrasso, in arte Pietra, si connota fortemente per il tratto deciso e per la consistenza materica del colore. I toni caldi primeggiano e, di volta in volta, si alternano ai toni delicati del verde e ai toni intensi del blu. L’artista campana porta con sé un’esperienza pluridecennale che si è consolidata nel tempo, attraverso incontri proficui con personalità artistiche e della critica d’arte, e attraverso sodalizi con musei e gallerie, anche oltreoceano. Il figurativo essenziale del dato floreale, piano piano è venuto meno per dare spazio alla pennellata, che si traduce in vortici di colore, tratti ondulatori e fasce ben distese e delineate. La vitalità delle sue opere traduce in arte gli aspetti positivi della natura umana; il perdersi del confine tra un colore e l’altro, tra una pennellata e l’altra, rimanda prepotentemente alla complessità della dimen-
Rosso - Vibrazioni di luce, 2012, acrilico su tela, cm 100x100.
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Pietra Barrasso, lo scintillìo della luce di Angela Delle Donne
sione umana che richiede introspezione e fiducia per essere compresa. Nell’opera Fascio di luce la tela è attraversata da una folgorazione di gialli; dall’alto verso il basso, perfettamente nel mezzo, il colore scivola fino alla fine e non c’è possibilità di sfuggire a tale forza espressiva. Tutto il resto rimane dietro, si tratta comunque di colori intensi e materici, ma il fascio centrale diventa lo spazio di luce sotto il quale posizionarsi per poter guardare e per potersi relazionare con se stessi. E se anche l’opera non fosse frontale, ma in basso rispetto al nostro sguardo, oppure posta in alto, ecco il fascio di luce ancora lì: la scia si espande per continuare al di fuori dell’opera, per essere seguita ovunque, per condurci in ogni direzione al di fuori delle nostre – tal volta ristrette – riflessioni. La tela Onde luminose ci restituisce la medesima riflessione: qui è la purezza del bianco a condurre
i passi della mente; l’occhio è costretto a osservare la scia, non riesce a concentrarsi su altro poiché la striscia verticale si pone al di sopra di tutto il resto. In Riflessi di luce la fascia accentratrice nasce da un vortice, ma assume presto la sua forma e ci rivela ancora una volta tutta la forza vitale. Non possiamo sottrarci alla traccia luminosa che unisce l’espressività di Pietra Barrasso con il mondo esterno. Il 9 luglio si inaugura la mostra Fasci e scintille di luce, negli spazi espositivi romani della Sala Egon von Fürstenberg di Palazzo Valentini, sede della
Provincia di Roma. La personale, curata dal Prof. Marcello Carlino dell’Università La Sapienza, sarà visitabile, con ingresso libero, fino al 21 luglio, dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle ore 19.00 ed il sabato dalle ore 10.00 alle ore 13.00. La mostra ha ricevuto il patrocinio della Provincia di Roma, della Regione Lazio, di Roma Capitale e della Provincia di Avellino. Altre personali sono previste nei prossimi mesi a Pontremoli (21-29 luglio), Frosinone (9-19 agosto) e Montone (30 ottobre-1 novembre).
Onde luminose, 2012, acrilico su tela, cm 100x100.
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Cromie
Si è scritto molto su Luciano Ventrone: i più importanti critici d’arte contemporanea se ne sono occupati, cogliendo al massimo il senso delle sue opere. Ma Luciano Ventrone non è solo l’espressione più alta dell’iperrealismo italiano degli ultimi vent’anni, rappresenta altresì il capostipite di quella che è oramai diventata la scuola della pittura figurativa italiana. I soggetti ventroniani cambiano, si modificano e si rimodellano attraverso l’evoluzione stessa dell’artista: la vita attraverso gli occhi di Luciano Ventrone. Nature morte “caravaggesche”, per dirla con Federico Zeri, nudi che ricordano allo stesso tempo le bagnanti di Ingres e le madonne di Raffaello, paesaggi “sublimi” che anche agli occhi del più acuto osservatore non fanno altro che infondere pace, tranquillità, serenità. «Ed ecco che con l’occhio di Ventrone si legge l’innovazione continua e mutevole della realtà nel caleidoscopio formale della realtà stessa, con la mano di Ventrone si accompagna il disegno che esprime l’intuizione armonica del reale, con la poetica di Ventrone si vive un realismo di grado superiore che spinge l’analisi dal piano della pittura a quello della filosofia.» (Sergio Gaddi, Luciano Ventrone, catalogo della mostra, The State Russian Museum, San Pietroburgo 2010). Le parole di Sergio Gaddi ci raccontano come l’artista si concentri su ciò che
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L’iperrealismo di Luciano Ventrone di Giulia Smeraldo
i suoi occhi rapiscono: ogni elemento osservato dagli occhi di Ventrone si trasforma e diventa qualcosa di più, va al di là del suo semplice significato. Un esempio può essere In fondo alla memoria, olio su lino in cui i colori tenui e aspri si accomodano su un letto di rocce e parlano di una storia lontana, che ci porta addirittura ai templi dell’antica Grecia, quando le foglie di questi splendidi limoni ornavano le case e il profumo incantevole inebriava l’aria. La perfezione formale e compositiva della sua pittura supera il confine tra oggetto e riproduzione, e riesce ad aggiungere qualità alla visione, indifferentemente dal soggetto scelto. Il senso di eternità che si percepisce nel momento in cui guardiamo i quadri di Ventrone è disorientante: l’artista rende visibile l’invisibile attraverso la sua qualità pittorica, la sua sensibilità e il suo tocco per così dire magico. Ventrone scruta la natura, la ispeziona e ce la rende diversa da quella che abbiamo visto fino ad un attimo prima. La pazienza con la quale l’artista romano crea le sue opere è il sintomo più evidente della sua passione per la pittura, dell’amore per i colori che stende sul lino. Ciò che Ventrone vuole regalarci è un nuovo sguardo su quello che ci circonda: una realtà aumentata, una realtà perfetta, una realtà iperreale.
a lato: Labile sogno, 2009, olio su lino, cm. 40x40 sopra: Dopo la caduta, 2010, olio su lino, cm. 70x100 sotto: In fondo alla memoria, 2007-2009, olio su lino, cm. 60x90
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Luciano Ventrone, Tentata fuga, 2009-10, olio su tela, cm 55x50.
Viaggiare lungo la storia sulla Via Francigena di Francesco Mastrorizzi
La Cattedrale di Canterbury.
Nel corso del Medioevo il pellegrinaggio, inteso come cammino di purificazione, rappresentava una grande aspirazione che accomunava tutte le classi sociali: dal ricco al povero, dal mercante al cavaliere, dall’uomo di chiesa al comune fedele. Esso per ragioni penitenziali doveva compiersi a piedi, con un percorso di circa 25 chilometri al giorno, e portava in sé un fondamentale aspetto devozionale, quello cioè di raggiungere una delle tre principali mete religiose cristiane (peregrinationes maiores): Roma, luogo del martirio dei Santi Pietro e Paolo, Santiago de Compostela, luogo in cui si trova il sepolcro di San Giacomo, e Gerusalemme, in Terra Santa. Fu soprattutto all'inizio del secondo millenio che l'Europa fu percorsa a piedi da una moltitudine di fedeli. Il pellegrinaggio verso Roma si effettuava lungo le cosiddette Vie Romee, che ricalcavano in parte il percorso delle strade consolari romane. Molti pellegrini, tuttavia, non si fermavano a Roma, ma scendevano lungo la penisola fino al porto di Brindisi e da lì si imbarcavano per la Terra Santa. La più
conosciuta tra le Vie Romee era la Via Francigena, ovvero la strada che nasceva dalla Francia, la quale fino al XIII secolo costituì la principale arteria terrestre tra l’Europa continentale e il Mediterraneo. Il più importante documento che ci permette di ricostruire con sufficiente precisione il tracciato della Via Francigena è il diario del pellegrino Sigerico, del 990, giunto a noi in un prezioso manoscritto conservato presso la British Library di Londra. Recatosi a Roma per ricevere da papa Giovanni XV il pallium (mantello), segno dell’investitura ad Arcivescovo di Canterbury, durante il ritorno alla sua sede episcopale sulla costa atlantica Sigerico compilò uno scarno ma preciso elenco delle 79 tappe giornaliere (submansiones) da lui toccate. Seguendo a ritroso il viaggio di Sigerico e partendo da Canterbury, il percorso attraversa la contea del Kent, arriva alla Manica, prosegue lungo le regioni francesi di Nord Pas de Calais, Picardie, Champagne-Ardenne e Franche-Comté, varca la frontiera Svizzera nei cantoni di Vaud e Vallese ed entra in
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Panorama di San Gimignano.
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Italia. Qui, in 44 tappe, solca sette regioni – Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Lazio – e attraversa 140 Comuni, fino a raggiungere Roma dopo un totale di 1.800 chilometri. Questo cammino prevede, però, una ricca serie di alternative e varianti, a causa delle divisioni politiche presenti in epoca medievale e delle alterne condizioni viarie, che non permettevano di vincolare il cammino ad un unico tracciato. La Via Francigena ha svolto per secoli la funzione di luogo di incontro e scambio tra civiltà diverse, forgiando la base culturale, artistica, economica e politica dell'Europa moderna.
È per questo che il Consiglio d'Europa nel 1994 l’ha dichiarata “Itinerario Culturale” e, successivamente, “Grande Itinerario Culturale” nel 2004, adottando come percorso ufficiale del Cammino per Roma quello di Sigerico e permettendo così una migliore fruibilità turistica dei beni culturali ad essa afferenti. Lungo la Via Francigena, infatti, nei secoli sono sorti paesi, città, monasteri, ospedali, chiese, ospizi, oratori dove i viandanti potevano trovare ristoro alle fatiche del viaggio, centri di scambi commerciali e di ritrovi religiosi. Ad alcuni di questi luoghi sarà dato spazio nei prossimi numeri di “In Arte” all’interno di questa rubrica.
Lucca, Cattedrale di San Martino.
La via Francigena nei pressi di Torino.
Trame
La scrittura non è il dominio delle sole Muse ma, per similitudine, essa è avvicinata al rito orgiastico, alla danza rituale che caratterizza le menadi nel loro pieno raggiungimento di quell’ebbrezza che accosta il poeta al satiro e che con esso condivide proprio lo stato dell’essere “ebbro” (satyros). Il poeta affronta il “pericolo” dello smarrimento ma anche il “piacere” dello stordimento, del cadere vittima della divinità stessa, l’Ispirazione, in una sorta di contemplazione estatica. La relazione di tale piacere interessa anche una pratica ludica vigente nella sfera dei bambini, quella dell’Ilinx; parola greca che significa «gorgo». Consiste nel piacere della mancanza, del capogiro, il fascino del panico ludico. Un’appercezione tipica del fanciullo che prova meraviglia innanzi a ciò che è a lui sconosciuto, a ciò che va scoperto poco a poco con gli occhi di chi ancora possiede il velo di quella illusorietà che lo preserva dalla freddezza di una cruda realtà. Le parti, spesso però si capovolgono, e il poeta, che fino a un momento fa aveva subìto l’influsso dell’incanto poetico, adesso riveste il ruolo di domino delle Muse ovvero
La vertigine del Bello di Fabrizio Corselli
di chi le coordina insieme, quali parti del tutto. Egli ricerca quel gorgheggio che tanto “oblia l’umano senno”, non presso le pendici del monte Parnaso, bensì oltre le liriche vette di una dimensione intelligibile che caratterizza la composizione di versi. Il canto incontra la propria forma, e così la poesia diviene il simulacro del potere delle Muse, di quella capacità che fatto d’Orfeo eterno cantore. Comune a molti giochi, in cui si opera un distacco totale dalla realtà, in questa categoria rientra quindi anche la danza, attraverso la quale si cerca la perdita della stabilità, l’accesso a una specie di spasmo, e finanche lo stato di trance. La danza intesa come “movimento uniforme” si lega così al ritmos e stabilisce con esso un rapporto duale, scandendo in maniera quasi intima la forma della scrittura, la sua armonia originaria. La ricerca della “vertigine” si lega immancabilmente alla categoria del “mascheramento”, in cui viene operato uno sdoppiamento di sé, l’intorpidimento della coscienza. Lo si ravvisa, per esempio, nelle pratiche rituali di certi popoli indigeni o negli stes-
Lord Frederic Leighton, Idillio, 1880-81 ca., olio su tela, cm. 104x 212, Collezione Keswick.
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Trame
Pieter Paul Rubens, Due Satiri, 1618-1619, olio su tavola, cm. 76x66, Pinacoteca Vecchia, Monaco.
si Baccanti, i quali indossavano maschere o pelli di cerbiatto attuando un’azione mimetica. La maschera mette in ombra la personalità sociale dell’individuo, liberando i suoi istinti, e mette a nudo la vera personalità del soggetto. Questa potente miscela esplosiva sconvolge la lucidità dell’individuo, produce certi eccessi che sconfinano nella coscienza allucinata, avvicinandosi a una
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versione inedita della realtà (processo che sta alla base della trasfigurazione artistica). L’opera poetica è dunque la maschera attraverso la quale il poeta libera i suoi istinti, e ritrova in essa quel “voluttuoso panico” che lo renderà un essere libero. Soprattutto attraverso quella maschera, per eccellenza, che è la metafora.