NUMERO 05 | OTTOBRE 2015
Storie di eccellenza e innovazione
56 58 62
Scenari Smart city in Italia, fra prospettive e criticità
Tecnologie La società connessa passa per le reti 5G
Esperienze La catena del cibo e la sfida della logistica 2.0
Connected Society L'ECOSISTEMA DIGITALE STA PRENDENDO FORMA. CON IMPATTI E BENEFICI SUL MONDO PUBBLICO E PRIVATO
SCENARI
Vizi e virtù della società connessa L'INFORMATION TECHNOLOGY GIOCA UN RUOLO CHIAVE NELLO SVILUPPO SOSTENIBILE DEL PIANETA E PER REALIZZARE UN ECOSISTEMA DIGITALE ACCESSIBILE A TUTTI. MA SERVONO COOPERAZIONE FRA PUBBLICO E PRIVATO E UN’INNOVAZIONE FACILE DA USARE. Testo di Gianni Rusconi
D
all’uso efficiente dell’energia alla tutela degli oceani, dall’accesso all’istruzione fino all’ambizioso sogno della lotta alla povertà. Sono alcuni dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dalle Nazioni Unite e approvati da rappresentanti di 193 Paesi nel corso del Sustainable Development Summit tenutosi a New York a fine settembre. In queste sfide, da portare a termine entro il 2030, le tecnologie Ict giocano un ruolo fondamentale. Quale? La risposta è contenuta in uno studio condotto da Ericsson e dall’Earth Institute della Columbia University, presentato proprio in occasione dell’evento newyorchese. A dare man forte allo sviluppo sostenibile della società digitale, questo l’assunto, saranno in particolare alcune tecnologie, come la banda larga mobile di nuova generazione, l’Internet delle cose, l’intelligenza artificiale e le stampanti 52
3D. Strumenti in grado di abilitare progressi senza precedenti in campo sanitario e agricolo, nell’educazione e nella tutela dell’ambiente. Un punto centrale emerso dal report chiama in causa i governi, a cui spetta il compito di assicurare che l’intero settore pubblico sia pienamente supportato da servizi e soluzioni informatiche e di rete adeguate. Nella lista delle “cose da fare” spiccano per esempio la copertura broadband di tutte le strutture entro il 2020, la formazione Ict per tutti i funzionari e i fornitori di servizi e l’implementazione di soluzioni IoT (e quindi l’utilizzo di dispositivi connessi da remoto) per le infrastrutture e il monitoraggio ambientale. Non meno importante sarà la creazione di un sistema di gestione delle informazioni che connetta, a fini cooperativi e collaborativi, gli organismi pubblici con il settore privato.
SCENARI A detta di Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute e Professore di Health Policy e Management alla Columbia University, l’Ict è fondamentale in quanto “offre la possibilità di aggiornare la tecnologia e di introdurre nuovi servizi più velocemente e ad un minor costo”. Ma a una precisa condizione, e cioè “solo se i sistemi sono progettati e implementati velocemente, perché con gli obiettivi del 2030 che incombono non ci sarà alcuna possibilità per una lenta, prudente o graduale adozione di nuovi approcci”. L’idea di una società connessa virtuosa, in ogni caso, non è utopica. E lo confermano precisi indicatori come la penetrazione della banda larga, un motore di crescita del Pil di una nazione che va dall’1% fino al 10%. Un primo passo per affrontare le sfide globali di sviluppo sostenibile, come ricorda Ericsson, è quello di assicurare (entro il 2020) al 90% della popolazione mondiale l’accesso alle reti a banda larga mobile. Chi deve giocare un ruolo chiave nella realizzazione dell’ecosistema digitale sono le aziende Ict e i carrier telco. Uno studio di Accenture (“Engaging the Digital Customer in the New Connected World”) conferma come il 79% di chi possiede dispositivi intelligenti preferirebbe un unico fornitore per gestire tutte le soluzioni di comunicazione e intrattenimento utilizzate. I vendor tecnologici, in altre parole, sono considerati dagli stessi utenti i primi abilitatori di servizi digitali avanzati. Se di società connessa è lecito parlare, è anche vero che i cambiamenti dettati dalla “digital transformation” si riflettono anche nell’esperienza dei consumatori che vivono e lavorano a contatto con gli smart device. Circa l’83% degli utenti, dice l’indagine, trova complicato attivarli, connetterli a Internet e gestirne la complessità. Come sottolinea Tom Loozen, managing director and global communications industry lead di Accenture, “Orientarsi nell’ecosistema digitale può rivelarsi un compito arduo”. Per questo motivo le aziende tecnologiche hanno un compito inderogabile per contribuire alla diffusione di massa del digitale: realizzare prodotti innovativi, ma di facile utilizzo. 53
SCENARI
LO SPREAD DIGITALE COSTA CARO All’economia italiana basterebbero alcune azioni mirate per recuperare, grazie alla tecnologia, circa 3,6 miliardi di euro l’anno. La stima è del Censis, che ha misurato lo “spread digitale” del Belpaese ovvero il suo ritardo rispetto al resto d’Europa. Meno di sei italiani su dieci (il 58% dei 16-74enni) navigano su Internet, contro l’84% dei tedeschi e l’82% dei francesi, mentre solo il 5% delle imprese è attivo sul canale e-commerce. Quali sono, per il Censis, le azioni da compiere? Innanzitutto, bisognerebbe mettere ordine nelle banche dati della Pubblica Amministrazione, digitalizzandole e riducendone il numero dalle oltre 1.500 esistenti a un centinaio. Andrebbe poi azzerato il disavanzo nella bilancia dei pagamenti per i servizi informatici e infine, terzo step, l’e-commerce e l’utilizzo della moneta elettronica necessiterebbero di incentivi, per raggiungere i livelli europei.
54
La digital transformation non aspetta: è l’ora del “dentro o fuori” Il “Global Connectivity Index 2015” mette a confronto le economie di 50 Paesi valutate in base agli investimenti in campo Ict. In testa ci sono gli Usa, l’Italia si muove nel limbo dei cosiddetti “follower”. ECCO COME SI CAVALCA L'ONDA DIGITALE. Testo di Alessandro Andriolo
I
l numero delle sottoscrizioni alla banda larga mobile ha superato nel mondo, alla fine del secondo trimestre di quest’anno, quota 3,1 miliardi, con un aumento del 25% rispetto al 2014. Il traffico dati è cresciuto invece anno su anno del 55%, mentre gli abbonamenti ai servizi di quarta generazione Lte sono arrivati a 740 milioni, sfruttando la crescente diffusione degli smartphone. Su quattro telefonini venduti, tre
sono apparecchi intelligenti. I numeri, roboanti, contenuti nell’ultimo “Mobility Report” di Ericsson, sono una faccia della società digitale ma ovviamente non l’unica. Prendiamo per esempio l’Internet delle cose. Le analisi sulla crescita dei dispositivi connessi si sprecano, ma sono più rare le stime sul loro impatto potenziale sulle aziende e sulle grandi organizzazioni in particolare. Che cosa succederebbe
SCENARI
SIAMO nell’era delle informazioni, LE AZIENDE CAMBIANO PELLE Dai Baby Boomer, attraverso la Generazione X, fino ai MIllennials. Uno studio ha fatto piazza pulita di tutte le etichette generazionali con una nuova definizione, trasversale alle età anagrafiche e che indica l’appartenenza a un diverso modello di interazione fra persone, tecnologie e dati. I “figli”, giovani e meno giovani, della “Information Generation” sono coloro che vivono e lavorano connessi alla Rete, tramite Pc e soprattutto tramite dispositivi mobili, visualizzando, creando e condividendo un flusso costante di contenuti. Il ritratto emerge da un’indagine sponsorizzata da Emc e condotta da Vanson Bourne intervistando 3.600 manager di aziende medio-grandi e oltre una quarantina tra accademici, influencer e opinion leader in materia di tecnologia in 18 Paesi, Italia compresa. Ebbene, quasi tutti gli interpellati (il 96%) concordano sul fatto che molti paradigmi di business, oggi ancora validi, tra pochi anni saranno radicalmente messi in discussione dalle nuove tecnologie. Quali? Alla domanda su quali saranno i motori di cambiamento per la propria azienda entro i prossimi cinque-dieci anni, il 66% ha citato i dispositivi mobili, il 51% gli analytics, il 45% il cloud computing e il 40% i social media. Circa un terzo degli intervistati tiene in considerazione anche l’Internet delle cose (citato dal 34%), la data visualization (34%), gli analytics in tempo reale (30%) e i dispositivi indossabili, mentre solo il 4% dei professionisti pensa che le tecnologie non avranno alcun impatto significativo sulle modalità di lavoro e di business. Purtroppo, secondo la ricerca, le imprese della Penisola hanno ancora la “vista corta”: solo il 15% degli intervistati italiani crede che la propria azienda sia in grado di sviluppare previsioni affidabili sulle nuove opportunità di mercato, sfruttando le potenzialità dei Big Data e degli analytics. La media globale è invece del 23%. Quel che è certo, comunque, è che l’esplosione dei dati richiederà necessariamente nuove capacità di filtrarli, analizzarli e gestirli.
se processi produttivi o intere catene distributive fossero adattate per implementare tecnologie IoT? La Ford potrebbe ridurre i costi di 1,13 miliardi, la Coca-Cola migliorare il reddito netto di 3,5 punti percentuali, la FedEx evitare di spendere 447 milioni di dollari in carburante. Le stime in questione sono contenute nel “Global Connectivity Index 2015” diffuso da Huawei, indagine che ha messo a confronto le economie di cinquanta Paesi in termini di connettività, grado di utilizzo delle tecnologie Ict e trasformazione digitale. Quest’ultima è un processo ormai inarrestabile, che può determinare il successo e allo stesso tempo il crollo delle economie moderne. Come ammoniscono gli autori del report, “Gli Stati e le comunità che non abbracceranno questo trend rischiano di rimanere indietro. I Paesi sentono l’enorme pressione per cavalcare in tempo l’onda digitale e accelerare così lo sviluppo economico e sociale, aumentando anche la competitività”. L’obiettivo di adattarsi ai cambiamenti introdotti dal-
le nuove tecnologie, cui sono sono chiamati tutti gli attori attivi della società (governi, imprese e ovviamente cittadini), è quello di creare nuovi paradigmi di sviluppo, di produzione e di realizzazione di servizi che combinino elementi del mondo reale e di quello informatico. Quali sono, quindi, i Paesi che hanno già acquisito le esperienze per “surfare” sull’onda digitale? Manco a dirlo, i primi sono gli Stati Uniti, grazie a un importante mercato dei servizi Ict e a un avanzato stato di adozione delle nuove tecnologie. Il report evidenzia in generale come i Paesi con un valore Global Connectivity Index maggiore siano anche quelli con un Pil più corposo. Dietro gli Usa (85 punti) troviamo Svezia (82), Singapore (81), Svizzera e Regno Unito (78) e Olanda (74): tutta la prima parte della classifica, quella dei “leader”, consta di nazioni dell’Occidente più sviluppato. L’Italia (con 51 punti) è nel gruppo dei “follower” ed è fra quei Paesi che, sebbene definiti maturi dal Fondo Monetario Internazionale, evidenziano performan-
ce di connettività da economia in via di sviluppo. Oltre a rischiare di perdere ulteriore competitività. Le sostanziali differenze tra i Paesi più avanzati e gli altri si trovano nei maggiori investimenti nella banda larga, in particolar modo quella mobile (sinonimo di maggiore fruibilità dei servizi), e in una parte consistente di budget Ict trasferita alle piattaforme cloud. Il rapporto tra i due valori, connettività e Pil, è fortemente correlato: aumentare del 20% gli investimenti in campo Ict significa fa risalire il Prodotto Interno Lordo di un punto percentuale. È chiaro quindi come spendere nella connettività globale significhi ottenere un impatto tangibile sulla crescita e sulle performance economiche generali. Il digitale, essendo per sua natura proiettato nel futuro, dovrà però affrontare nei prossimi mesi problematiche sempre più complesse, che aumenteranno al crescere della domanda. Il report di Huawei identifica in tal senso quattro criticità: privacy, sicurezza, abbondanza di dati e investimenti nelle infrastrutture. 55
SCENARI
Smart city in Italia fra prospettive e criticità Gli enti pubblici spesso non hanno fondi da investire in tecnologie e servizi innovativi. In altri casi sono bloccati da vincoli tecnici. Ma non è solo un problema di risorse e di burocrazia. E il bicchiere resta mezza vuoto. Testo di Gianni Rusconi
G
iuseppe Anastasi è il direttore del Laboratorio Nazionale Smart Cities & Communities attivato di recente dal Cini, il Consorzio Inter-universitario Nazionale per l’Informatica. Un ruolo privilegiato, il suo, per osservare l’evoluzione dei progetti in materia di città intelligenti. A lui, che ricopre anche la carica di direttore del Master Universitario in Smart Cities organizzato dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Istituto di Informatica e Telematica del Cnr, abbiamo chiesto di scattare una fotografia del fenomeno per mettere in evidenza anche gli ostacoli che limitano il processo di innovazione dei centri urbani della Penisola. Le smart city in Italia: il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Dal mio punto di vista direi che è mezzo vuoto. Diversi progetti sono stati avviati negli ultimi anni ma siamo ancora indietro. Se guardiamo alle classifiche delle città europee più smart, per quello che possono valere queste graduatorie, nei primi posti non figura alcuna città italiana. E anche rimanendo nell’ambito nazionale le città del Nord sono molto più attive rispetto a quelle del Sud. Inoltre, sempre secondo queste classifiche, le città più smart sono, tipicamente, le metropoli. Le criticità maggiori che limitano la diffusione sistemica di questi progetti sono di tipo economico? Certamente la mancanza di risorse limita molto la capacità di innovazione. Spesso gli enti pubblici non hanno fondi da inve56
stire in tecnologie e in servizi innovativi. In altri casi hanno le risorse ma sono bloccati da vincoli di bilancio. Ma non c’é solo un problema di risorse. In alcuni casi basterebbe poco a rendere le città più amichevoli, facendo semplicemente funzionare adeguatamente gli strumenti che già ci sono. Incidono sicuramente anche altri fattori, quali la mancanza di incentivi. Pianificare e realizzare l’innovazione costa, in termini di energie e tempo. Senza incentivi appropriati, è comprensibile che ci si limiti a portare avanti le semplici attività di routine. Un altro ostacolo è la burocrazia: anche quando un’azienda è disponibile a offrire gratuitamente le proprie soluzioni, spesso le resistenze poste dagli uffici tecnici e i tempi decisionali estremamente lunghi degli enti vanificano il progetto e fanno venire meno la disponibilità dell’azienda. Quali sono i settori più bisognosi di diventare smart? Tutti i settori, a mio parere, necessitano di innovazione continua. Non sarebbe saggio concentrarsi su alcuni a scapito di altri. Certamente alcuni sono più vicini alla sensibilità delle persone e, conseguentemente, dei politici che governano le città. Penso, per esempio, alla sanità e a tutto ciò che riguarda la sicurezza dei cittadini e delle infrastrutture. Altri, data la peculiarità delle città italiane, spesso città d’arte e a forte vocazione turistica, andrebbero particolarmente valorizzati. E quindi converrebbe investire in attività in ambito e-tourism ed e-culture.
SCENARI Ha senso fare riferimento a best practice su scala internazionale? Certamente si. Anche se le città sono tutte diverse fra di loro, per cui le soluzioni non sono immediatamente replicabili. Tuttavia alcune soluzioni già implementate possono essere facilmente adattate al contesto locale. In questa prospettiva giudico molto positivamente l’Osservatorio Smart City dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) nato per raccogliere, classificare e condividere tutti i progetti realizzati in Italia. Uno strumento che vuole favorire la creazione di una rete di soggetti in grado di promuovere innovazione nei territori. Vedremo se gli amministratori sapranno farne buon uso. Perché nasce il Laboratorio Nazionale Smart Cities & Communities? Rendere le città e le comunità più smart è un processo assai complesso che coinvolge diversi attori e pone numerose sfide, non solo di tipo tecnologico, ma anche in
campo sociale, economico, organizzativo, politico. Il ruolo delle tecnologie Ict in questo processo è fuori discussione. In questo contesto il Laboratorio promosso dal Cini mette a disposizione il suo potenziale di competenze tecniche e le soluzioni già sviluppate nei precedenti progetti, con l’intento di collaborare con amministrazioni pubbliche e aziende in attività di formazione, di trasferimento tecnologico e/o di sviluppo di nuove idee progettuali. Come opera? È un laboratorio organizzato a rete e distribuito su tutto il territorio nazionale. Attualmente è costituito da 26 nodi, siti in altrettante Università Italiane, e comprende circa 350 ricercatori che operano principalmente nell’ambito delle tecnologie Ict e per la loro applicazione in aree quali l’efficienza energetica, la sostenibilità ambientale, la mobilità intelligente, la sicurezza dei cittadini e delle infrastrutture, il turismo, la cultura e l’egovernment.
La formula magica? Si chiama integrazione “Senza una visione d’insieme di tutte le iniziative, parlare di città connessa è solo un modo di vendere una visione del futuro per ottenere sovvenzioni pubbliche”. Parole di David Socha, numero uno della divisione Utility di Teradata per Europa, Medio Oriente e Africa, Asia Pacifico e Giappone. Su Forbes anima un blog in cui argomenta di analitycs e Internet of Things ed è scettico nei confronti di chi crede che molte iniziative “smart” in Europa siano destinate a morire prematuramente. I progetti di città intelligente avviati nelle zone urbane densamente popolate sono molti e si declinano nell’illuminazione stradale a basso consumo energetico, nei sistemi di individuazione automatica dei parcheggi liberi, nell’accesso online ai portali della Pubblica Amministrazione con un unico account e altro ancora. Tutte espressioni di quello che l’esperto di Teradata chiama semplicemente “progresso ed evoluzione naturale delle cose, proprio come le città che si sono sempre evolute sin da quando esistono”. Ma che cosa, allora, rende davvero “smart” una città? Secondo Socha, solo un fattore abilitante: l’integrazione. Perché quando si arriva all’integrazione si inizia a generare valore aggiunto da tutte le iniziative e il beneficio di tutti i singoli progetti sarà maggiore della somma delle loro parti. Un esempio? In campo energetico potrebbe significare la correlazione dei dati sui consumi domestici di energia con quelli dell’auto elettrica, con vantaggi per il singolo cittadino e per la comunità (per esempio, tariffe agevolate per chi sfrutta fonti rinnovabili o la possibilità di rivendere l’energia risparmiata al gestore della rete). Integrando altri dati si potrebbe creare un “profilo energetico” individuale doppiamente valorizzabile , sotto l’aspetto economico e in termini di maggiore efficienza comune. La formula magica per creare una città intelligente non esiste. Ma è certo che l’integrazione sia un ingrediente irrinunciabile della ricetta “smart”.
57
TECNOLOGIE
COLONNINE ECOSOSTENIBILI Sul territorio italiano sono ormai centinaia: tante ma mai abbastanza, specie se si considera la loro distribuzione disomogenea, concentrata soprattutto a Roma e a Milano. Parliamo delle stazioni di ricarica per i veicoli elettrici, capaci di restituire energia alle automobili green ma anche a moto e biciclette. Per il successo dei trasporti ecosostenibili, è facile intuirlo, sarà cruciale la diffusione dei punti di ricarica ma anche la loro buona gestione. A questo mira la nuova soluzione sviluppata da Abb Italia per Repower, multinazionale svizzera del settore energetico (che con la stessa Abb da anni ha già lanciato la colonnina di ricarica Palina): si tratta di un servizio che permette ai proprietari dei network di stazioni di ricarica di monitorare ciascun sistema da remoto, tramite portale Web, rilevando disservizi ed eseguendo diagnosi dei malfunzionamenti. Il sistema, inoltre, è pensato per operare con applicazioni mobili utili a gestire le ricariche e diversi metodi di pagamento.
58
La società connessa passa per le reti 5G PER GESTIRE MILIONI DI OGGETTI DELL'IOT IN AREE MOLTO CONCENTRATE SARANNO NECESSARIE TRASMISSIONI OTTICHE DA DECINE DI TERABIT AL SECONDO. Testo di Roberto Loiola presidente e amministratore delegato alcatel-lucent italia
e regional leader south and central europe
S
tiamo vivendo una grande trasformazione tecnologica che sta impattando sui fornitori di reti e servizi, ma soprattutto impatterà sull’evoluzione dei modelli economici e sociali. Una trasformazione che vuole dare risposte alle esigenze sempre più marcate degli utenti, come l’esplosiva richiesta di traffico dati a basso costo su terminali mobili/wireless e su televisori connessi per gli utenti residenziali (nel 2015 circa il 60% del traffico Internet sarà generato da contenuti video) e come l’utilizzo di servizi online per gli utenti business (circa l’80% di tutti i nuovi pacchetti software/applicativi è già oggi disponibile
TECNOLOGIE
IL PONTE FRA LE ISOLE SI FA CON LE RETI A MICROONDE Una tecnologia sviluppata nel nostro Paese, nata per avvicinare gli italiani. È quanto realizzato di recente da Alcatel-Lucent fornendo a Tim un collegamento su ponte radio per garantire la continuità della connessione a banda ultralarga tra le isole siciliane di Pantelleria e Lampedusa, distanti fra loro circa 147 chilometri. La tecnologia, messa a punto nei laboratori di ricerca e sviluppo di Vimercate, rafforzerà l’affidabilità dei servizi voce e di accesso ultra broadband per cittadini e turisti. Il ponte radio è caratterizzato da alta capacità (800 Mbits) e da alta disponibilità per supportare una combinazione fra traffico Ip e tradizionale. Per gestire la connessione opera l’appliance 9500 Microwave Packet Radio (Mpr) di Alcatel-Lucent, un sistema a lunga distanza capace di massimizzare lo spettro elettromagnetico riducendo al contempo il costo totale di possesso delle reti a microonde. A.A.
in modalità cloud). A trasformare la vita quotidiana delle persone e a mutare la tipologia di servizi offerti dalle imprese e dalle pubbliche amministrazioni sarà soprattutto la pervasività degli oggetti intelligenti e connessi: il cosiddetto Internet of Things, per cui i nostri Bell Labs prevedono per il 2020 più di 20 miliardi di dispositivi in azione. Il cambiamento più grande che a livello globale l’industria tecnologica ha iniziato ad affrontare, per poter così rispondere alle sfide poste dal mercato, è quello della quinta generazione delle reti mobili, il 5G. Questa nuova architettura richiederà una mutazione, sia per la parte di accesso mobile sia per tutti i segmenti delle reti di comunicazione, per poter sfruttare al meglio potenzialità che saranno veramente “disruptive” se confrontate con quelle delle reti mobili realizzate con tecnologia 4G/Lte. Il 5G avrà una velocità
di connessione dati cento volte maggiore, arrivando a toccare i 10Gbps. In un’area di un chilometro quadrato le celle telefoniche 5G potranno gestire la presenza di un milione di oggetti connessi e un traffico dati aggregato di un terabit al secondo. Con un incremento di mille volte rispetto al 4G, queste caratteristiche permetteranno di realizzare l’infrastruttura di base per l’IoT e di garantire un’eccellente user experience. Si aggiungono, inoltre, altre peculiarità che permetteranno alle reti 5G di essere la piattaforma abilitante per l’ampia diffusione delle applicazioni “mission critical” in ambito trasporti, mobilità, salute e assistenza: un’affidabilità della rete al 99,999%, una latenza delle comunicazioni end-to-end garantita in cinque millisecondi e la possibilità di creare un nuovo servizio in circa 90 minuti rispetto ai 90 giorni delle attuali piattaforme. Il 5G rappresenta una grande opportunità di rilancio dell’industria digitale in Europa. La Commissione Europea sta promuovendo con forza il rilancio della ricerca e sviluppo e nello specifico quella legata alle reti di quinta generazione. Nell’ambito del programma quadro Horizon2020 è stata creata una partnership pubblico-
privata denominata 5G-Ppp, mirata alla definizione di standard e tecnologie, con il coinvolgimento di aziende Ict, centri di ricerca e università. Alcatel-Lucent è tra i membri fondatori e sono parte attiva di questa iniziativa realtà italiane quali Telecom Italia, Telespazio (di Finmeccanica) e il Cnit, il Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Telecomunicazioni. I nostri laboratori di ricerca e sviluppo in Italia sono un’eccellenza riconosciuta a livello globale nell’ambito di due segmenti di rete molto importanti per l’evoluzione verso il 5G. Il primo è quello dei sistemi per le trasmissioni ottiche a grandi capacità: stiamo parlando di apparati attualmente in grado di trasportare 100/200/400 Gbps per singolo flusso ottico. Il secondo è quello delle tecnologie per le trasmissioni Ip wireless, e cioè i ponti radio che permettono sia connettività a grandi distanze sia connettività a bassi costi in ambito urbano per collegare celle radiomobili. In questi laboratori si stanno già studiando e iniziando a progettare soluzioni che abiliteranno la trasformazione richiesta dal 5G. Saranno infatti necessarie trasmissioni ottiche da decine di Terabit al secondo e ponti radio di piccola dimensione per essere sempre più vicini ai milioni di dispositivi intelligenti che si dovranno gestire nella “connected society”. Ma una società connessa, dotata dei benefici offerti dalle trasformazioni tecnologiche in corso, potrà realizzarsi in Italia solo se facciamo velocemente significativi passi avanti quanto alla disponibilità di infrastrutture ad alta velocità e prestazioni. Servono e serviranno sempre più tecnologie digitali di nuova generazione come il 5G, ma serve soprattutto un cambio culturale verso il digitale dei policy maker, delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e dei consumatori.
Le reti mobili di quinta generazione rappresentano una grande opportunità di rilancio dell’industria digitale in Europa e permetteranno di realizzare l’infrastruttura di base per l’Internet of Things. 59
TECNOLOGIE
Reti, fotonica, cloud: abilitatori della networked society
S
tiamo assistendo a una profonda trasformazione digitale guidata da mobilità, banda larga e cloud, che porterà alla realizzazione di quella che in Ericsson chiamiamo “networked society”, dove tutto ciò che può beneficiare di una connessione sarà connesso, generando benefici per cittadini, imprese e ambiente. L’innovazione rappresenta una leva strategica per accelerare la crescita economica e quella sociale, anche in Italia. E ci sono dati che lo confermano. Il 72% degli italiani, lo dice una ricerca che abbiamo condotto con la Luiss Business School, è convinto che lo sviluppo tecnologico sia una leva strategica per creare nuovi mercati e posti 60
Innovare è un passaggio obbligato per accedere ai benefici economici e sociali garantiti dalla società connessa. I centri di ricerca Ericsson e le università italiane sono in prima fila per lo sviluppo del 5G. Testo di Nunzio Mirtillo, amministratore delegato di ericsson italia e presidente regione mediterranea
di lavoro. Un altro studio, realizzato con Arthur D. Little, dimostra che il raddoppio della velocità di connessione porta a un incremento dello 0,3% del Pil e che a ogni incremento del 10% del tasso di penetrazione della banda larga corrisponde un aumento del prodotto interno lordo dell’1%. Tassello fondamentale di
questa evoluzione è la rete, che deve essere in grado di sostenere il traffico dati in costante crescita. Ericsson ricopre un ruolo centrale nello sviluppo delle reti mobili del futuro e ha recentemente deciso di lanciare una sua iniziativa su scala europea, il progetto “5G for Europe”: l’obiettivo è quello di
TECNOLOGIE creare – coinvolgendo operatori, industrie, centri di ricerca e università – un vero e proprio ecosistema mirato a rafforzare la competitività delle aziende europee, anche quelle di piccole dimensioni, attraverso progetti pilota innovativi che avranno proprio le reti 5G come abilitatore. Il nostro compito è inoltre quello di identificare i giusti requisiti tecnologici che dovranno avere le reti del futuro e in questo contesto l’Italia ha un ruolo centrale. Basti pensare al progetto Iris, che ha prodotto uno switch basato sulla fotonica del silicio e in grado di ospitare migliaia di circuiti ottici in un solo chip; alla partnership avviata con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa per studiare e creare prototipi di componenti, moduli e sottosistemi fotonici di nuova concezione che giocheranno un ruolo dirompente nello sviluppo del 5G; alle collaborazioni in essere con l’Istituto di Biorobotica della stessa Scuola Superiore di Pisa e con Zucchetti Centro Sistemi per il mobile cloud robotics. Progetti che si affiancano alle attività dei centri di ricerca e sviluppo di Ericsson in Italia (a Genova, Pisa e Pagani, con oltre 800 ricercatori impegnati), tra i più attivi nello sviluppo delle tecnologie per la società connessa, come dimostrano i 250 brevetti depositati negli ultimi cinque anni. Grazie a una maggiore velocità, a una minore latenza e a una migliore prestazione nelle aree densamente popolate, le reti di quinta generazione permetteranno un’evoluzione della user experience, oltre ad abilitare nuove applicazioni che avranno un impatto sia sui consumatori sia sulle industrie. Qualche esempio? Ericsson ha lanciato al fianco di Abb, Boliden e Volvo Construction Equipment un progetto pilota nelle miniere svedesi che sfrutta la rete 5G per le operazioni di comunicazione e di controllo a distanza, confermando le potenzialità della tecnologia per migliorare la sicurezza e la produttività in ambienti pericolosi. Pensiamo al settore dei trasporti. Il futuro delle vetture è quello di essere sempre più connesse a Internet e al cloud. Serve quindi sviluppare un’offerta di soluzioni affinché conducenti e
DIALOGO A DISTANZA FRA EUROPA E CINA Le reti mobili di quinta generazione avvicineranno ancora di più il Vecchio Continente al Paese del Dragone, nel segno di un’innovazione che vuole e che deve fare ecosistema. Lo dice l’accordo sancito a fine settembre fra l’Unione Europea e il governo di Pechino per collaborare allo sviluppo della tecnologia 5G, definita come la “spina dorsale della società digitale del futuro”. La dichiarazione d’intenti permetterà alle due parti di avere completo accesso anche ai finanziamenti previsti dai due principali progetti messi in campo da Bruxelles e Pechino, e cioè la 5G Ppp Association (che prevede lo stanziamento di 3,5 miliardi di euro di investimenti privati, in aggiunta ai 700 milioni di euro di fondi Ue del programma Horizon 2020) e la Imt-2020 (5G) Promotion Association. I cardini della collaborazione sono cinque e comprendono l’identificazione delle bande radio più promettenti per la velocità e l’efficienza del segnale. Azioni necessarie, perché la prossima generazione di reti a banda larghissima non dovrà soltanto distribuire dati con una rapidità maggiore (fino a 20 Gbps), ma anche fare i conti con un traffico decisamente più intasato rispetto a oggi: il numero dei dispositivi connessi porterà nel 2020 a un aumento del traffico pari a trenta volte rispetto al 2010. E, proprio per il boom di oggetti collegati alla Rete e disseminati ovunque, le reti 5G dovranno dimostrare di essere molto performanti anche in termini di consumi energetici. L’accordo siglato con la Cina ricalca le partnership già avviate dall’Unione Europea con Corea del Sud e Giappone nel 2014 e nel 2015. “Con la firma dell’accordo”, ha dichiarato Günther Oettinger, commissario per l’economia e la società digitale, “la Ue si è messa al fianco del più importante partner asiatico nella corsa per rendere il 5G una realtà entro il 2020”. L’Asia è attualmente capofila nella diffusione delle reti di quarta generazione, come certificato dai dati di OpenSignal, con quattro Paesi nelle prime cinque posizioni (in testa c’è la Corea del Sud, con il 97% di copertura per le 4G). L’Italia figura al cinquantesimo posto nel mondo come copertura (50%) ma vanta una velocità media di 17 Mbps (superiore a quella della Cina) e si dichiara pronta alla sfida.
Le reti di quinta generazione permetteranno un’evoluzione della user experience e abiliteranno applicazioni che avranno un impatto sia sui consumatori sia sulle industrie. passeggeri possano accedere a servizi e applicazioni di infotainment in tempo reale. Le amministrazioni pubbliche, da parte loro, potrebbero fare in modo che le auto diventino un’importante fonte di informazione per le società di assicurazioni, con il fine di garantire polizze più vantaggiose ai clienti finali. Guardiamo infine anche al mondo della sanità e alla chirurgia a distanza, un ambito che richiede la trasmissione di enormi quantità di dati e quindi una rete estremamente affidabile con un ritardo bassissimo. Caratteristiche proprie della rete 5G. 61
ESPERIENZE
LA FILIERA ALIMENTARE DIVENTA PIÙ INTELLIGENTE GRAZIE A NUOVI MODELLI, COME GLI SMART CONTAINER. PER RISPONDERE ALL’ESIGENZA DI SEMPRE: GARANTIRE QUALITÀ AL CONSUMATORE FINALE. Testo di Riccardo Manzini professore di logistica e direttore del food supply chain center dell'università di bologna
La catena del cibo e la sfida della logistica 2.0
O
ggi più che mai, anche grazie a Expo, la filiera agroalimentare è al centro dell’attenzione di tutti, istituzioni e settore produttivo in primis. Se muovere un prodotto da un estremo all’altro della Terra è costoso e difficile, la complessità cresce se l’alimento è deperibile e se qualità e sicurezza sono sensibili agli stress fisici e ambientali cui è esposto lungo il suo ciclo di vita. Si parla non a caso di “food supply chain”, ambito che per l’industria alimentare ha ancora notevoli margini di miglioramento e di efficientamento di sistema. Provando a ribaltare una prospettiva molto popolare nel dibattito sulla sostenibilità di filiera, si può passare dalla visione “from farm to fork” a quella “from fork to farm”, ovvero “dalla forchetta al campo”. Quest’ultima sposta l’attenzione sulla movimentazione dei prodotti, ovvero sul loro stoccaggio e trasporto, e i suoi elementi chiave sono integrazione e multidiscipli62
narietà. Il focus è quindi su tutta la filiera, prescindendo dall’interesse del singolo operatore. Negli ultimi anni il Centro di Ricerca sul Food Supply Chain dell’Università di Bologna ha condotto numerosi studi sul controllo della qualità e della sicurezza di prodotti deperibili secchi, freschi e surgelati, arrivando a delineare linee guida utili ai produttori e ai numerosi attori della filiera (dai fornitori di materie prime agli operatori della distribuzione organizzata). Governare e controllare in modo integrato e simultaneo sicurezza, qualità, sostenibilità ambientale ed efficienza logistica è un compito molto ambizioso, perché non esistono soluzioni di valore assoluto nella scelta delle modalità di trasporto, packaging e tratta/percorso. Ogni filiera circostanziata con un particolare profilo di domanda finale e georeferenziata in tutte le sue anime è configurabile in modo ottimale. La maglia della rete logistica
può contabilizzare decine di migliaia di nodi, ciascuno con un determinato ruolo (produzione, stoccaggio, trasformazione, trasporto, ecc.) e attrezzato con disponibilità energetiche, tecnologiche e di smaltimento particolari. Ci si trova di fronte a modelli di ottimizzazione fatti da centinaia di migliaia di variabili, ed è questo l’ostacolo da superare per massimizzare le prestazioni globali del sistema, riducendo al minimo costi e impatto ambientale e garantendo alti livelli di qualità e servizio al consumatore finale.
ESPERIENZE
APP, SENSORI E ANALYTICS RIVOLUZIONANO I TRASPORTI Altro che partenze intelligenti. Con l’Internet of Things l’intero sistema dei trasporti – da quelli che corrono sui binari a quelli in navigazione verso i porti cittadini – diventa più efficiente, economico e anche sicuro. Dai navigatori Gps, cioè dal primo tassello dell’Internet delle cose applicato agli spostamenti, molta strada è stata percorsa e oggi si riflette non più soltanto sulla raccolta e trasmissione dei dati ma su sistemi più completi, che integrino comunicazione, controllo e analisi delle informazioni. Lo stesso Gps sta diventando uno fra i tanti ingredienti delle “auto connesse”, dotate di Bluetooth e WiFi per le comunicazioni fra dispositivi mobili e sistemi di infotainment, o fra la vettura e il Web, oppure ancora fra veicolo e veicolo. Un business che attrae i produttori di tecnologie hardware ma anche i fornitori di servizi, come Google con le sue Maps (e non è un caso che proprio l’azienda di Mountain View sia da anni concentrata sulla sperimentazione delle automobili senza conducente). C’è poi il ruolo delle istituzioni: negli Usa, per esempio, la National Highway Transportation Safety Administration è al lavoro sulla definizione di standard per la comunicazione wireless applicata ad automobili e mezzi pesanti. Lo scambio di informazioni in tempo reale permetterà di ridurre il traffico, il consumo di benzina e – quel che più conta – gli incidenti, tant’è che la tecnologia “vehicle-to-vehicle” è stata citata dal Segretario ai Trasporti degli Stati Uniti, Anthony Foxx, come un’innovazione paragonabile agli airbag e alle cinture di sicurezza. E standard simili sono l’obiettivo della Federal Railroad Administration, per un progetto che già consente di sfruttare le app per smartphone per inviare ai passeggeri informazioni su orari, ritardi e percorsi di treni e autobus. L’intelligenza che viaggia sui binari nasce anche da Huawei e dalle sue soluzioni basate su protocollo Ip e tecnologia eLte, attualmente già testate e impiegate su circa 85mila chilometri di tracciati ferroviari in diversi Paesi del mondo. Si spazia dal supporto ai sistemi di controllo della segnaletica alle attività di videosorveglianza, passando per la connettività wireless (ad alta velocità) a bordo dei treni. Anche un luogo catalogato come patrimonio Unesco e testimonianza della storia di una città può diventare esempio di avanguardia smart. È il caso del porto di Amburgo, inserito all’interno di un progetto sperimentale di Cisco. Quattro le finalità: aiutare, attraverso gli analytics, i responsabili della gestione della viabilità del porto a monitorare il traffico stradale; usare sensori posti sulle infrastrutture, per esempio ponti, per controllarne il funzionamento e pianificare interventi di manutenzione; vigilare sull’area portuale attraverso sensori ambientali; sfruttare un sistema di illuminazione intelligente (con luci che “inseguono” le persone) per migliorare la sicurezza di pedoni e ciclisti in transito e per ridurre i consumi di energia elettrica. L’obiettivo finale è quella di realizzare la prima “smart road” d’Europa. V.B.
La sfida per il futuro è guardare alla filiera come a un vero ecosistema che va progettato, gestito e controllato nella sua interezza, cercando un compromesso fra tutte le variabili in gioco. La logistica 2.0 si sposa, di conseguenza, alla gestione dell’energia e di risorse quali terra e acqua, il cui fabbisogno da qui al 2050 è previsto in significativa crescita. Obiettivo di ogni ecosistema è quello di essere bilanciato: servono quindi scelte logistiche che supportino lo stoccaggio e la movimentazione “from farm to fork” della
merce, dalla materia prima ai prodotti finiti e senza dimenticare gli scarti, che non si generano solo nel fine vita. Una Internet “fisica” Le tecnologie sono parte integrante delle linee guida definite dal nostro Centro di Ricerca. Sull’Internet of Things la logistica sta investendo moltissimo e c’è in particolare un modello concettuale cui fare riferimento: quello del “Physical Internet”, che mira all’integrazione e alla condivisione di strumenti fisici e digitali per esten-
dere l’interconnettività a tutta la filiera. Fa leva principalmente sulla modularità e scalabilità delle infrastrutture logistiche, con il fine di rendere più efficienti i sistemi di movimentazione della merce. L’elemento base è lo “smart container”. Il Physical Internet si basa infatti su un concetto di rete, che ricorda molto il Www e che veicola informazioni spacchettandole, facendole viaggiare su maglie fittissime. Si tratta di un modello in linea con molte sfide lanciate recentemente da alcuni grandi operatori, a cominciare da Amazon. 63
ESPERIENZE
L’efficienza energetica nelle città intelligenti? Si fa anche senza le rinnovabili
LA SMART ISLAND INQUINA MENO E FA RISPARMIARE MILIONI Per far “sbocciare” l’Isola del Giglio, coniugando tecnologia ed ecologia, si sono messi d’impegno Ibm, Terna Plus (controllata dell’operatore per la trasmissione dell’energia), la società concessionaria locale dell’erogazione di elettricità (Sie), l’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e l’Acquedotto del Fiora. Il progetto di “smart island” prevede la realizzazione di un sistema elettrico più efficiente e meno inquinante, che potrà abbattere costi e impatto ambientale grazie all’impiego di fonti rinnovabili. Come accade anche su altre isole minori, non connesse alla rete nazionale, la produzione di elettricità è affidata a motori alimentati a gasolio, che disperdono nell’ambiente circa i tre quarti dell’energia sotto forma di calore refluo e fumi nocivi. Per soddisfare una domanda annua di 10 milioni di kilowattora si bruciano oltre 2.300 tonnellate di combustibile, immettendo nell’atmosfera 7.500 tonnellate di CO2. Quantità che potrebbe essere quasi dimezzata utilizzando un modello “ibrido”, cioè associando motori a gasolio, impianti fotovoltaici e sistemi di accumulo. Considerato l’attuale costo della produzione di elettricità sull’Isola del Giglio (in media sei volte più alto rispetto a quello continentale), con questo metodo si otterrebbe un risparmio di oltre 60 milioni di euro l’anno. V.B.
64
La smart grid di Expo 2015 è un esempio virtuoso, e replicabile ANCHE In ambiti industriali, di come sia possibile tenere sotto controllo i consumi aumentando l’affidabilità del sistema. Grazie a TECNOLOGIE e software ALL'AVANGUARDIA, sviluppate in Italia.
Testo di Gianni Rusconi
ESPERIENZE
I
l tema della sostenibilità energetica è uno dei leitmotiv di Expo 2015. Un evento che è stato considerato a ragione un esempio reale di cittadella intelligente e che rappresentava un banco di prova altisonante per testare sul campo il funzionamento di una smart grid. La natura “green” dell’esposizione universale ha trovato concretezza in un sistema di distribuzione dell’energia elettrica che prometteva di essere intelligente, sicuro ed efficiente grazie a un software di gestione con capacità previsionali e di autodiagnostica basato su piattaforma cloud. A tirare le fila della smart grid di Expo ci hanno pensato Enel Distribuzione e Siemens. Quest’ultima ha realizzato una soluzione il cui compito è stato quello di abilitare il monitoraggio e il reporting di tutti i consumi energetici all’interno della manifestazione, dalle parti comuni ai padiglioni, dalle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici a quelle dell’illuminazione a Led (oltre 8.500 punti luce in tutta l’area espositiva). Il tutto, integrando fonti energetiche rinnovabili, per quanto la capacità di autoproduzione da fotovoltaico sia risultata essere limitata. Come si può, allora, rendere più efficiente la rete non potendo agire sulla generazione di energia? L’esperienza di successo maturata in Expo ci fornisce la risposta: facendo leva sui consumi, ottimizzandoli. Qui entrano in gioco il sistema Ems (Energy Management System) sviluppato nei laboratori milanesi di Siemens e basato su piattaforma cloud. La sua peculiarità è quella di verificare in tempo reale lo stato di funzionamento di tutti i dispositivi della smart grid, effettuare operazioni di controllo e supportare i processi di manutenzione ordinaria e straordinaria, segnalando l’eventuale presenza di anomalie. Il sistema accessibile anche da remoto attraverso un’applicazione per smartphone. Benefici misurabili La flessibilità d’uso della soluzione è comunque solo uno dei benefici che la smart grid ha elevato a livello di vera e propria best practice. Gli energy manager di ciascun padiglione dell’esposizione possono, infatti, verificare le informazioni di
UN CERVELLO PIÙ EVOLUTO PER PREVEDERE SOLE E PIOGGIA Alla proverbiale precisione dei suoi orologi, la Svizzera vuole associare un nuovo vanto in fatto di capacità di calcolo: le previsioni del meteo. Un nuovo supercomputer, equipaggiato con le unità di calcolo grafico Nvidia Tesla, garantirà infatti all’Ente di Meteorologia elvetico e al suo servizio MeteoSwiss prestazioni quaranta volte superiori a quelle offerte dal sistema (basato su Cpu) che andrà a sostituire. Perché è importante questa innovazione? Perché da Cray – questo il nome del “supercervello” – usciranno modelli di previsione con una risoluzione raddoppiata per i bollettini meteo di breve raggio (entro le 24 ore) e addirittura triplicata per quelli a medio raggio. “La sfida dei modelli previsionali di nuova generazione risiede nel tempo estremamente breve che i meteorologi hanno a disposizione per completare queste simulazioni”, ha spiegato Thomas Schulthess, direttore dello Swiss National Supercomputing Centre di Lugano, che dalla primavera/estate del prossimo anno ospiterà Cray. “L’accelerazione via Gpu”, ha proseguito, “permette ai meteorologi di creare rapidamente previsioni del tempo a elevata risoluzione, assicurando un più elevato livello di attendibilità”.
propria competenza (come il consumo di luci e climatizzazione) ed eventualmente intervenire sui singoli carichi connessi al sistema mediante un’interfaccia Web multilingue fruibile con poche istruzioni. Quali benefici ha prodotto? Le percentuali di risparmio energetico sono confermate a due cifre e si tratta del parametro decisamente più importante, considerando che (secondo le stime di Avvenia) alla fine dell’esposizione i consumi ammonteranno a circa 150 milioni di kilowattora. Ma la valenza del progetto non si esaurisce in questo numero, per quanto indicativo. L’architettura in questione raccoglie dati da oggetti e servizi diversi grazie alla compatibilità in ingresso con una varietà di protocolli aperti e stan-
dardizzati, sposando in toto il paradigma dell’Internet delle cose. Definire la smart grid di Expo come un’applicazione IoT su larga scala è tutt’altro che improprio. L’Ems di Siemens è infatti un “pacchetto” implementabile anche in contesti esistenti, modulabile e personalizzabile a seconda delle esigenze: non solo smart city e building automation, ma anche fabbriche e processi industriali. Applicando questo modello a una grande azienda produttiva, si intuisce come un’architettura di questo genere possa costituire un sostanziale salto in avanti nelle modalità di gestione e ed efficientamento energetico in ambienti a elevato consumo. Cavalcando la rivoluzione digitale dettata da Industry 4.0. 65
ESPERIENZE
La carta di identità delle città smart La piattaforma creata dall’Anci segnala per l’Italia più di mille progetti in corso, con al primo posto il tema dell’ambiente. E Anche per il popolo del Web questa è la priorità. Testo di Valentina Bernocco
C
he cosa rende “smart” una smart city? Per rispondere ci sono almeno due punti di vista diversi da considerare: da un lato, la definizione formale di città intelligente così come elaborata dalle istituzioni; dall’altro le aspettative e i desideri delle persone. Punti di vista che a volte convergono, ma non perfettamente. Nello Stivale, dal maggio di quest’anno, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci) ha affrontato la questione creando Italian Smart City: una piattaforma Web che cataloga le buone pratiche dei Comuni più orientati alla trasformazione e che può fungere da orientamento per gli altri. La carne al fuoco non manca, perché l’Osservatorio dell’Anci considera 110 Comuni, oltre 1.200 azioni in corso e 14 milioni di cittadini beneficiari. Otto le categorie prese in esame dalla piattaforma, ovvero ambiente (con 191 progetti in divenire, fra monitoraggio e controllo dell’inquinamento, gestione delle risorse idriche e smaltimento dei rifiuti), energia (130 iniziative su fonti rinnovabili ed efficientamento dei sistemi esistenti), economia (107 piani di sviluppo dell’imprenditoria locale e finanziamento di startup), persone (163 campagne di sensibilizzazione, coinvolgimento e informazione), qualità della vita (151 iniziative per sanità, istruzione e sicurezza), Pubblica Amministrazione (semplificazione delle comunicazioni e nuovi servizi, 151 progetti in corso) e pianificazione (92 azioni trasversali alle categorie citate). Dietro queste tematiche stanno le tecnologie, come l’Internet of Things che collega i sistemi di illuminazione pubblica o di monitoraggio delle smart grid, e come le app mobili con cui i cittadini fruiscono di nuovi servizi o le reti WiFi pubbliche. 66
I singoli esempi potrebbero essere infiniti, ma vale la pena tornare alla visione d’insieme per cogliere un’indicazione importante: il primo attributo di una città (o di un territorio) smart è il rispetto per l’ambiente. Anche spostandosi sul fattore non istituzionale, l’ecologismo risulta infatti al primo posto nella lista dei desideri. Un sondaggio condotto dalla società di ricerca WelikeCrm ha svelato che sui social network, in Italia, questo è il tema che compare più spesso (39%) in associazione alle smart city, seguito a cortissima distanza (38%) dalla cultura e dunque dall’offerta di beni immateriali. Vengono poi i temi dell’educazione (6% di citazioni), del government (5%) e della cura degli anziani (6%), a dimostrazione di come la tecnologia non sia il valore fondante delle smart city ma piuttosto un mezzo per migliorare la qualità della vita, l’istruzione e l’inclusione sociale.
VIAGGIARE SENZA BIGLIETTO Dimentichiamo le code alla biglietteria o davanti alle vending machine. Il modo più facile per acquistare titoli di viaggio sono le app, appoggiate a circuiti di mobile payment e spesso in grado di “obliterare virtualmente” i biglietti attraverso la scansione di un Qr code. Così permette di fare, per esempio, Tep SmarTicket, applicazione per iOs e Android creata dalla società di trasporto pubblico di Parma e Provincia insieme al Consorzio Movincom. Con l’app si acquistano corse urbane ed extraurbane, si conservano i biglietti non usati e si esegue la vidimazione inquadrando un codice Qr con la fotocamera del telefono. In Trentino, invece, dalla primavera scorsa tutto il sistema di trasporti pubblici (bus, treni e funivie) è gestito da OpenMove, piattaforma che consente non solo di comprare biglietti ma anche di trovare la migliore combinazione di viaggio. Pianificare gli spostamenti è infine l’unica missione di Moovit, che oggi si vanta di essere l’app per il trasporto pubblico più usata al mondo: se ne servono 28 milioni di persone (di cui un milione solo in Italia) per controllare orari, coincidenze e percorsi in più di trecento aree metropolitane.