NUMERO 07 | MAGGIO 2016
Storie di eccellenza e innovazione
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Scenari Tutte le strade del mondo iperconnesso
Tecnologie Una tappa verso la trasformazione
Esperienze Competenze e visione per reggere l’impatto del cambiamento
Internet of Things OGGETTI E DISPOSITIVI CONNESSI CAMBIERANNO FACCIA ALLA SOCIETÀ, ALLE IMPRESE, ALLE CITTÀ. ECCO COME
SCENARI
CON EFFETTO DOMINO, L’INTERNET DELLE COSE AVRÀ UN IMPATTO SUI PROCESSI AZIENDALI E INDUSTRIALI E POI SUI SERVIZI E SUI PRODOTTI. SECONDO IDC, NEL 2025 ARRIVEREMO A CONTARE 80 MILIARDI DI OGGETTI CHE DIALOGHERANNO IN RETE. MA RESTANO ALCUNI PUNTI INTERROGATIVI.
Testo di Valentina Bernocco
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obot industriali, elettrodomestici, automobili, terminali Pos, televisori, bracciali per il fitness, videocamere, sistemi di monitoraggio per l’edilizia e l’agricoltura. Apparati e apaprecchi che comunicano fra di loro, con la Rete, con le persone: l’elenco non basta a descrivere il variegato mondo dell’Internet delle cose. Un mondo che quotidianamente si popola di circa 5,5 milioni nuovi “oggetti connessi”, secondo i rilevamenti di Gartner riferiti al 2016. Il numero rende l’idea di quanto l’IoT sia ufficialmente uscito dalle nicchie di mercato in cui esiste da tempo per diventare fenomeno di massa, che accelera la tra50
Tutte le strade del mondo iperconnesso sformazione delle fabbriche, la gestione dell’energia, l’agricoltura, l’automotive e le smart city, oltre che il lavoro di diverse categorie professionali (dai medici ai magazzinieri, dagli ingegneri edili ai commessi di negozio). A detta di Verizon e del suo ultimo report (“State of the Market: Internet of Things 2016”), mentre il 2015 è stato l’anno della legittimazione dell’IoT, adesso si può parlare di un’adozione “mainstream”. I vuoti ancora da riempire, certo, sono moltissimi, ma già oggi il 72% delle aziende lo considera come un elemento fondamentale per acquisire un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza.
“I dispositivi indossabili sono il volto consumer dell’Internet of Things”, ha ben riassunto un analista di Idc, Vernon Turner, “ma le vere opportunità riguardano le aziende e il settore pubblico. L’effetto domino dell’IoT sta facendo muovere i modelli di business tradizionali”. A detta di Idc, la tecnologia delle cose connesse ha dato il “colpetto iniziale” impattando sui processi aziendali e industriali, mentre ora – proprio come accade nelle reazioni a catena – stanno per crollare le tessere del domino successive: prima i servizi e, infine, i prodotti. Ma quanto vale, tradotta in denaro, questa evoluzione? Secondo le stime della stessa
SCENARI Oracle, Huawei, Ericsson e altri ancora) ma anche i colossi delle telecomunicazioni (come Vodafone) e del Web.
L‘adozione dell‘IoT è oggi mainstream: il mondo dell’Internet delle cose si popola quotidianamente di circa 5,5 milioni di nuovi oggetti connessi. Entro il 2025 si potrebbe arrivare a 80 miliardi di dispositivi dialoganti in Rete. Idc, nel 2020 il mercato IoT arriverà a valere 1.700 miliardi di dollari, crescendo a un tasso del 16,9% l’anno. Oltre due terzi del giro d’affari saranno generati dalla vendita di dispositivi, sensori, software e servizi informatici necessari a raccogliere, spostare, conservare e analizzare dati.
Vista la ghiotta opportunità, non è certo un caso se molti grandi nomi dell’Information e Communication Technology stanno investendo massicciamente in questo settore, in particolare i vendor specializzati in reti, sistemi e apparati per data center (come Cisco, Fujitsu, Schneider Electric,
La cornucopia delle opportunità Un esempio su tutti sono i 3,2 miliardi di dollari spesi da Google nel 2014 per acquistare Nest, la società creatrice dell’omonimo termostato intelligente. Ma gli ultimi anni sono tappezzati di operazioni, più o meno onerose, nell’ambito degli oggetti connessi: la più recente (già annunciata e valutata 170 milioni di euro, ma non ancora effettiva) è l’acquisizione da parte di Nokia della francese Withings, un produttore di dispositivi (smartwatch, bilance “intelligenti” e misuratori di pressione del sangue) per il monitoraggio della salute e della forma fisica. Per gli operatori di telecomunicazioni, invece, le opportunità di guadagno derivano dal far viaggiare sulle loro reti fisse o mobili servizi di vario tipo, come quelli di infotainment delle automobili o come i sistemi di localizzazione di treni e mezzi pubblici. Negli Usa, per esempio, la rete di AT&T conta attualmente più di 26 milioni di oggetti connessi, mentre Verizon lo scorso anno ha guadagnato dai servizi di connettività IoT circa 690 milioni di dollari. In mezzo al generale ottimismo galleggia, tuttavia, qualche dubbio. Le ipotesi non sono tutte concordanti: basti pensare che le previsioni fatte da Cisco nel 2011 immaginavano per la fine questo decennio il raggiungimento della soglia dei 50 miliardi di dispositivi dialoganti in Rete, mentre Idc stima per il 2020 un numero intorno ai 30 miliardi. Salvo poi pronosticare un boom per il lustro successivo, con l’idea di arrivare a 80 miliardi nel 2025. Sul perché della maggior prudenza degli analisti sul futuro più immediato si può intuire qualcosa dalle parole pronunciate da Turner durante una recente convention tenutasi a San José, in California: “In assenza di network scalabili, non ci si potrà connettere. Le nostre reti dovranno essere in grado di gestire tutto questo”. Non solo sulle opportunità di mercato ma soprattutto sulla progressione delle infrastrutture si gioca, dunque, il futuro del mondo iperconnesso. 51
SCENARI
LA PENISOLA È PIÙ SMART CON 10 MILIONI DI OGGETTI CONNESSI Fabbriche, abitazioni, automobili, intere città sono sempre più connesse. Anche in Italia, dove lo scorso anno gli investimenti in tecnologie e servizi di Internet of Things hanno raggiunto i due miliardi di euro, crescendo del 30% rispetto al 2014. Il dato arriva dall’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano, che ha anche conteggiato lungo lo Stivale un “esercito” di 10,3 milioni di oggetti connessi tramite rete cellulare (+29%), a cui vanno aggiunti i dispositivi che sfruttano altre tecnologie di comunicazione. La lista include 36 milioni di contatori elettrici collegati mediante i cosiddetti controllori a logica programmabile, e poi 500mila contatori gas che sfruttano la radiofrequenza wireless, e ancora 600mila lampioni che inviano dati in rete attraverso l’uno o l’altro metodo. Numeri che in parte (almeno per quanto riguarda i contatori gas) sono l’effetto dell’adeguamento a obblighi normativi. Le soluzioni di smart metering, per la misura dei consumi, e quelle di smart asset management (nelle utility, la gestione in remoto per rilevare guasti, manomissioni, localizzazione e altro ancora) rappresentano le fette più grandi nella torta dell’IoT tricolore. Al terzo posto si piazzano le tecnologie per i veicoli connessi: oggi in Italia si contano 5,3 milioni di auto connesse, un settimo del totale parco circolante. L’opera di colonizzazione dell’Internet delle cose è più acerba, ma in avanzamento, in settori come l’edilizia smart, la videosorveglianza e la gestione degli impianti fotovoltaici, la logistica, la gestione di flotte aziendali e antifurti satellitari. Ancora scarsa la diffusione della domotica, sebbene con buone prospettive di crescita: il 79% dei consumatori italiani si dice interessato ad acquistare prodotti per la smart home, ma solo uno su quattro lo farà entro i prossimi dodici mesi. V.B.
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L’impatto sul Pil dei principali Paesi al mondo, a fronte dell’aumento degli investimenti nei sistemi interconnessi, sarebbe di qualche punto percentuale e varrebbe miliardi. Il ruolo dei vendor tecnologici. Testo di Gianni Rusconi
Quanto vale l’economia dell’Iot? O gni euro investito nell’Internet of Things ne potrà generare fino a 12 e permetterà all’Europa di guadagnare sette punti di Pil da qui al 2025. Lo dice uno studio a firma di At Kearney, secondo cui l’economia creata dalle cose e dagli oggetti connessi potrebbe aggirarsi intorno ai mille miliardi di euro. Un valore che andrà ad alimentare la crescita non solo delle aziende impegnate in questo settore ma anche i tagli sulle spese degli utenti finali, singoli cittadini o imprese che siano. Il saving sui consumi energetici derivante da un uso ottimizzato degli apparecchi domestici, per esempio, è stimato nell’ordine dei 300 miliardi di euro mentre per le imprese si calcola un au-
mento di produttività equivalente a 430 miliardi di euro. A livelli di investimenti effettuati, invece, in Italia si parla per il 2015 di circa 1,95 miliardi di euro, con una crescita del 28% rispetto al 2014. Quelle sopra descritte sono comunque solo alcune delle tante facce dell’Internet of Things. In ambito industriale, infatti, il fenomeno potrebbe avere un impatto economico a livello mondiale di 14,2 trilioni di dollari entro il 2030 mentre in Italia questo incremento potrebbe valere fino all’1.1% del prodotto interno lordo. A dirlo sono i dati di una ricerca di Accenture, che evidenziano uno scenario sì in forte evoluzione, ma vincolato a un necessario cambio di rotta nelle iniziative da dedica-
SCENARI
LE INDUSTRY CHE GUIDANO L’ADOZIONE Il 2016 è l’anno della svolta per l’Internet delle cose, almeno dal punto di vista della sua diffusione nelle aziende. Ne sono certi gli analisti di Gartner, sulla base di un sondaggio condotto su 465 fra professionisti It e manager. Secondo lo studio, il 43% delle imprese adotterà una soluzione IoT entro la fine dell’anno, con una decisa crescita rispetto al 29% del 2015. E tale percentuale salirà al 4% a fine 2017. Oltre sei compagnie su dieci hanno pianificato di adottare sensori, oggetti e dispositivi intelligenti e connessi, mentre il 36% delle realtà intervistate non ha dimostrato interesse e tra queste solo il 9% non crede di avere alcun buon motivo per dotarsi di questi sistemi. I settori più attratti dall’Internet of Things, secondo la ricerca, sono il petrolifero, il manifatturiero e le utility: il 56% delle imprese che operano in queste industry, infatti, adotteranno soluzioni IoT entro la fine del 2016. In futuro potrebbero essere segmenti verticali più “leggeri” a ricorrere in modo significativo ai servizi dell’Internet delle cose, soprattutto per migliorare la customer experience e i processi che interessano i clienti finali.
re alla diffusione su larga scala delle nuove tecnologie digitali. Gli analisti sono comunque convinti che i nuovi modelli aziendali basati su dispositivi e macchine intelligenti potranno potenziare in modo decisivo la crescita nei mercati maturi. Gli Stati Uniti, aumentando del 50% gli investimenti in tecnologie di Industrial IoT, potrebbero aggiungere 7,1 trilioni di dollari al proprio Pil, crescendo del 2,3%. Una prospettiva di crescita importante interessa anche due delle locomotive europee, Germania e Regno Unito, checon l’IoT potrebbero far lievitare le rispettive economie, nei prossimi quindici anni, dell’1,7% e dell’1,8% rispetto alle previsioni. Anche la Cina potrebbe avere grossi vantaggi nell’investire nelle tecnologie interconesse (più degli altri Paesi del Bric, e cioè Russia, India e Brasile), con un impatto potenziale sul Pil di 1,8
trilioni di dollari entro il 2030. L’Italia, invece, si trova in coda alla classifica dei Paesi maggiormente predisposti a cogliere le potenzialità dell’Industrial Internet of Things. Secondo Accenture, gli investimenti aggiuntivi in questo settore porterebbero un aumento di produttività stimabile in 197 miliardi di euro, pari adun salto in avanti dell’1,1%. Ma per ambire a questi obiettivi servono come detto piani concreti, soprattutto da parte delle aziende, che dovranno essere capaci di andare oltre l’obiettivo del miglioramento dell’efficienza, riconoscendo il valore di business dei dati generati dalle cose connesse. Gli investimenti dei vendor hi-tech Dal 2011 al 2015, gli attori telco e quelli del comparto tecnologico hanno speso 31 miliardi di dollari nell’Internet delle cose.
Qualcomm, Intel, Vodafone e Google guidano un interesse sempre più strutturato in questo mercato e lo prova il fatto che il numero di acquisizioni è salito dalle quattro del 2011 alle 19 nel 2015. La fotografia l’ha scatta la società di ricerca inglese Ovum, che ha contato nel complesso 76 accordi in diverse aree specifiche dell’IoT o in qualche modo legate a questo comparto, dai servizi It ai dispositivi indossabili per arrivare alle auto connesse. Di questi accordi, alcuni costituiscono passaggi chiave nelle strategie dei singoli vendor, come l’acquisizione di Altera da parte di Intel, che ha messo sul piatto la cifra record di 16,7 miliardi di dollari per portarsi a casa la tecnologia alla base di chip programmabili impiegati in una vasta gamma di apparati e dispositivi in campo automotive, industriale, medicale e militare. 53
SCENARI
Progresso possibile, fra business ed etica il 70% delle aziende pensa di ottenere dall'Iot benefici in tempi brevi. Ma questa rivoluzione tecnologica avrà impatti anche sulla società e sulla riduzione dell'impatto ambientale. Testo di Valentina Bernocco
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uno strumento formidabile per il business, in tanti e variegati ambiti, ma può prestarsi a finalità ancor più nobili. L’Internet delle cose può diventare un mezzo al servizio del benessere individuale (nelle tecnologie healthcare), sociale (per soluzioni di smart city, trasporto e sicurezza cittadina) e ambientale. Si può fare: sensori, monitoraggi e analytics sono i presupposti per ottenere un uso più razionale delle risorse (quelle idriche in agricoltura, per esempio) e dei combustibili fossili. Secondo una stima di Frost & Sullivan, per esempio, i sistemi di gestione delle flotte automobilistiche basati sull’Internet of Things e sui veicoli connessi permetterebbero di tagliare i consumi di petrolio di un 20% o 25%. Questa visione di progresso è condivisa da molti dirigenti e manager aziendali, convinti che entro una manciata di anni le soluzioni IoT saranno usate per affrontare le sfide ambientali e sociali del nostro tempo: così emerge dall’indagine “IoT 2020 Business Report”, commissionata a Redshift Research da Schneider Electric e basata su circa 2.600 interviste a decisori di business di medie e grandi aziende di dodici Paesi, Italia inclusa. La sola tecnologia, senza politiche nazionali e internazionali che la promuovano, non
basterà. Ma sarà il fondamentale mezzo per raggiungere obiettivi come il contenimento del surriscaldamento globale (entro i due gradi, in base all’accordo raggiunto da 196 Paesi all’ultima conferenza di Parigi sul cambiamento climatico) tramite la riduzione dei gas serra, oppure il più equo utilizzo delle risorse idriche e agricole. “L’Internet of Things”, commenta Davide Zardo, vice president della divisione It di Schneider Electric Italia, “ha in sé una serie infinita di possibilità per aiutare i Paesi e le loro economie a rispondere alle sfide planetarie, fra cui il riscaldamento globale, la scarsità di acqua, l’inquinamento. Per la maggioranza degli intervistati, infatti, uno dei principali vantaggi dell’IoT per la società sta proprio nella possibilità di usare
Davide Zardo
Manifattura, il traino degli investimenti Non meno di 70 miliardi di dollari entro il 2020, rispetto ai 29 miliardi del 2015 e ai 40 miliardi previsti per il prossimo anno: a tanto ammontano gli investimenti in soluzioni IoT del settore manifatturiero secondo un recente studio di Business Insider. Significativi incrementi di budget li segneranno in particolare l’industria automobilistica, quella dei prodotti elettronici, il tessile, l’agricoltura, la sanità e l’aerospaziale. Le diverse applicazioni delle tecnologie connesse vanno dalla robotica alla realtà aumentata, dall’additive manufacturing ai sistemi di monitoraggio automatico e di manutenzione predittiva. L’IoT catturerà un crescente interesse nel variegatissimo mondo della produzione e attirerà investimenti importanti, spesso accompagnati da ritorni misurabili. Stando alle rilevazioni di Tata Consultancy Services, infatti, i produttori che sfruttano l’IoT fra il 2013 e il 2014 hanno osservato, in media, un incremento di fatturato superiore al 28%. P.A.
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meglio le risorse”. Schneider Electric sta attualmente sviluppando tecnologie per la raccolta, misurazione e gestione dell’energia per diversi ambiti, “dall’Industry 4.0 al Data Center Infrastructure Management, dal Power Metering ai sistemi software di Energy Management, solo per citarne alcuni”, illustra Zardo. A completare il quadro mondiale del futuro ridisegnato dalla tecnologia, citiamo una ricerca di McKinsey secondo cui nei nei prossimi anni il 40% del giro d’affari delle soluzioni IoT sarà generato da Paesi in via di sviluppo. Questi, addirittura più di quanto sapranno fare le economie avanzate, potranno sfruttare rapidamente i vantaggi dell’Internet of Things senza avere sulle spalle il peso di infrastrutture preesistenti.
SCENARI Il traino dei settori verticali Che si tratti di etica, progresso o profitto, siamo in un’epoca di trasformazione. “È passato il momento di domandarsi se l’Internet of Things produrrà valore”, ha sottolineato Prith Banerjee, chief technology officer di Schneider Electric. “Per le aziende è il momento di prendere decisioni e posizionarsi nel modo giusto per sfruttare al massimo il valore dell’IoT”. Nella già citata indagine, il 75% delle aziende interpellate si è detto ottimista sui vantaggi che si potranno ottenere già nel futuro immediato. Il 63% delle organizzazioni, in particolare, pensa di poter utilizzare già nel corso di quest’anno soluzioni IoT che permettano di migliorare l’esperienza del cliente e il customer service, mentre analoghe percentuali si attendono risparmi in ambito edile e industriale grazie a nuove tecnologie di automazione. “Non tutti gli ambiti industriali”, precisa Davide Zardo, “hanno colto con la stessa prontezza l’innovazione insita nelle tecnologie IoT e quindi non tutti cresceranno rapidamente come sarebbe pos-
sibile. Nel futuro immediato le prospettive di crescita maggiori si concretizzeranno nei settori che sono oggi all’avanguardia, e cioè in quelli dei servizi energetici, dell’automazione industriale e dell’autotrasporto”. Lo scenario generale, in ogni caso, è quello di una progressiva adozione dell’IoT come strumento di trasformazione del business. Un’indagine di Verizon (“State of the Market: Internet of Things 2016”) svela come il 72% delle aziende lo ritenga fondamentale per acquisire un vantaggio competitivo sulla concorrenza, mentre il 50% è concretamente impegnato a sfruttare i dati raccolti da sensori e app per scopi di analytics, con progetti da realizzarsi al massimo entro tre anni. “Per lungo tempo si è pensato che IoT fosse una combinazione di tecnologie complesse usata solamente da early adopter”, ha dichiarato Mark Bartolomeo, vice presidente IoT connected solutions di Verizon. “Nell’ultimo anno abbiamo invece avuto la prova di come IoT sia utilizzato da una vasta gamma di aziende, imprenditori, enti pubblici e sviluppatori”.
NEL SEGNO DELLA PRIVACY “L’Internet of Things è una rivoluzione che può dare vita a un asse portante del mercato digitale europeo e che implica dei cambiamenti radicali nella creazione del valore”. Parole di Antonio Preto, commissario dell’Agcom, secondo cui la fluidità permanente della connessione richiede un approccio uniforme. “Il rischio è la frammentazione dei mercati e il lock-in degli utenti ed è indispensabile tutelare i diritti degli utenti stessi, a partire dalla tutela dei dati personali”, ha detto ancora Preto sull’argomento. A inizio aprile, intanto, il Garante della Privacy italiano (insieme alle Authority di altri 28 Paesi riunite nel Global Privacy Enforcement Network) ha annunciato l’avvio dell’annuale “privacy sweep”, indagine a tappeto che analizzerà il fenomeno IoT per stabilire quali rischi comporti per la vita privata dei cittadini. Il raggio d’azione dell’analisi (i cui risultati saranno resi noti il prossimo settembre) è decisamente ampio e copre i dispositivi più diversi, dai contatori intelligenti ai termostati regolabili via Web, dalle auto connesse agli orologi intelligenti che misurano il battito cardiaco e la pressione sanguigna, fino al controllo a distanza degli ascensori e ai frigoriferi che segnalano la scadenza dei cibi. Il Garante italiano, sotto la guida di Antonello Soro, si occuperà in modo particolare della domotica, verificando se le condizioni d’uso dei dispositivi prodotti da aziende anche multinazionali rispettino le norme sulla riservatezza del consumatore e dei suoi dati. Se da un lato è necessaria piena trasparenza sulle modalità di trattamento delle informazioni personali, dall’altro rimane il grande punto interrogativo sul futuro dell’IoT in Europa in base alle nuove regole Ue in materia di privacy dei dati. Un’interpretazione troppo rigida della normativa da parte dei singoli Garanti, dicono alcuni esperti, potrebbe rallentare drasticamente il progresso dell’IoT. G.R.
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Una tappa verso la trasformazione L’intelligenza artificiale fa fare un salto evolutivo agli oggetti connessi. Ma l’IoT è solo un passaggio all’interno di un percorso più lungo, quello della digital transformation. Come ci spiega l’amministratore delegato di Fujitsu in Italia.
Testo di Valentina Bernocco
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iù che di oggetti connessi e tecnologie, per le aziende ha senso parlare di trasformazione digitale. L’Internet delle cose è soltanto una tappa di un viaggio verso il futuro, un futuro che è fatto di ottimizzazioni e risparmi 56
(pensiamo ai vantaggi della manutenzione preventiva di impianti o edifici, grazie ai dati raccolti dai sensori), di un uso più razionale delle risorse (in agricoltura o nella gestione dell’energia), di responsabilità sociale (con le tecnologie di assistenza e monitoraggio per malati e anziani), ma anche di applicazioni di robotica e intelligenza artificiale. In Giappone, per esempio, da un lavoro a sei mani dei ricercatori di Fujitsu, dell’Università di Nagoya e dell’Istituto Nazionale di Informatica, è nato Todai: un robot capace di rispondere correttamente a quesiti su varie materie. Dopo anni di “studio”, cioè di machine learning, ha saputo superare diversi test di ingresso di atenei nipponici. Ne abbiamo discusso con Bruno Sirletti, presidente e amministratore delegato di Fujitsu Italia. Quali vantaggi possono ottenere le aziende con l’Internet of Things? Per noi l’IoT non è un obiettivo fine a se stesso bensì è parte di qualcosa di più
grande, che ha come scopo finale la digital transformation. È un elemento abilitante. Ma dobbiamo capire che i dati raccolti da sensori e oggetti connessi non sono sfruttabili immediatamente: serve la mediazione di software e strumenti di analytics per trasformarli in informazioni utili, e serve il supporto del cloud come infrastruttura di sostegno. Oggi osserviamo già nel concreto alcune realizzazioni di questa “tappa”, che in futuro includerà sempre di più anche i robot e l’intelligenza artificiale. Studi di settore e analisti citano spesso il problema dell’interoperabilità. Può essere un ostacolo? Non penso che questo sia realmente un problema. Gli standard sono in via di definizione e credo che per l’IoT accadrà quello che è successo nel mondo dell’informatica con ogni innovazione: inizialmente emergono alcune tecnologie, quelle più avanzate, poi si va verso l’apertura e
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PROGETTI IOT: PREVALE LA LINEA CONSERVATIVA Sistemi di sicurezza, tracciamento di dipendenti e beni aziendali, gestione dei consumi energetici e controllo di qualità. Sono questi, oggi, i principali ambiti di applicazione dell’Internet of Things, con progetti portati avanti da imprese e organizzazioni che si limitano, nel 58% dei casi, al collegamento di circa mezzo migliaio dispositivi. Non di più, perché la gestione dell’architettura potrebbe altrimenti diventare troppo complessa. Lo scenario descritto porta la firma della società di ricerca Current Analysis, che ha intervistato mille manager già coinvolti in progetti IoT. Secondo lo studio, il 43% delle iniziative è su base nazionale, il 24% locale, il 23% regionale e solo il 10% si estende su scala globale. L’idea di una serie di oggetti intelligenti che comunicano in tempo reale con una piattaforma centralizzata è, al momento, una mera utopia: soltanto un quarto del campione, infatti, ha già portato a termine o sta realizzando progetti che prevedono dispositivi in grado di trasmettere dati in real time. Nella maggior parte dei casi considerati, inoltre, i device comunicano una volta al giorno o solo quando vengono rilevate anomalie ai sistemi. Una peculiarità che si può intravedere anche nelle singole voci di spesa. Le aziende investono poco in telecomunicazioni, preferendo al momento concentrarsi soprattutto sui servizi in cloud e sulle soluzioni software mirate a estrarre valore dai dati. Current Analysis ha identificato, quindi, quattro tipologie di fornitori tecnologici che possono aiutare un’impresa nella corretta implementazione di una strategia IoT: software vendor, hardware vendor, provider di telecomunicazioni e specialisti in servizi professionali. A dominare è per ora quest’ultima categoria, vista dalle aziende come referente principale poiché le scelte da compiere riguardano ancora il business, piuttosto che le tecnologie in senso stretto. Il merito riconosciuto ai fornitori di servizi è quello di poter svolgere un ruolo determinante nel superare i tre maggiori ostacoli nella realizzazione di progetti IoT: sicurezza, dimostrazione del valore delle singole iniziative e giustificazione dei costi. G.R.
Bruno Sirletti
la progressiva interoperabilità, finché in modo quasi autonomo e senza decisioni dall’alto il mercato seleziona le alternative destinate a imporsi. Quali sono, allora, le criticità che osservate? Non basta l’esistenza di miriadi di oggetti connessi per risolvere ogni problema. Molte aziende e clienti ci dicono che vorrebbero intraprendere la digital tran-
sformation ma che non sanno come fare. Altre hanno messo in campo dei progetti, rivelatisi però dei fallimenti. L’Internet of Things funziona se si comprende quale sia la specifica esigenza da soddisfare e se i progetti sono realizzati da persone esperte. Parlo di esperienza “di mestiere”, del personale dell’azienda che conosce il suo lavoro e le sue necessità, e di esperienza tecnologica del vendor che deve fare consulenza e contribuire al progetto. Questi due punti di vista devono incontrarsi. Quanto è oneroso investire in progetti IoT? I costi dipendono molto dai settori. Per esempio, per una soluzione di retail analytics l’ordine di grandezza è di qualche decina o centinaia di migliaia di euro, a seconda delle dimensioni dell’attività. Si tratta, comunque, di progetti che hanno un ritorno sull’investimento entro un paio di anni e che attualmente vengono affrontati con un approccio “tailor made”, in cui
il vendor realizza una soluzione su misura per il cliente. Quale futuro immaginate per l’Internet of Things? In futuro potranno diventare più diffuse tecnologie robotiche e di intelligenza artificiale, che oggi stiamo già sperimentando. In Giappone, per esempio, i laboratori di ricerca di Fujitsu hanno creato un robot con le sembianze di un orsacchiotto, testato in due aeroporti di Tokio per vendere polizze di viaggio ai passeggeri in partenza. Ebbene, il sistema si è rivelato più efficace dei venditori in carne e ossa. Il robot pone all’interlocutore delle domande piuttosto semplici, sulla destinazione, durata e classe di viaggio, poi prosegue nel questionario differenziandolo in base alle prime risposte ricevute e in base a elementi non verbali, come il numero di battiti degli occhi (un segnale di interesse). E per finire propone una polizza assicurativa specifica per i bisogni dell’interlocutore. 57
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Come evitare il rischio di una Babele IL DIALOGO FRA DECINE DI MILIARDI DI OGGETTI CONNESSI, PIATTAFORME CLOUD E APPLICAZIONI PASSA PER STANDARD E MODELLI COMUNI. L'IMPERATIVO È ANALIZZARE IN TEMPO REALE UN IMPONENTE FLUSSO DI DATI. Testo di Piero Aprile
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i sono tanti, troppi, standard e nessuno è chiaramente vincente sull’altro. Le circa 300 piattaforme IoT in esercizio oggi nel mondo suggeriscono l’idea che ci sia un evidente rischio di confusione tecnologica, di una cacofonia di protocolli che mal si conciliano con l’esigenza di un linguaggio universale che dovrebbe facilitare e stimolare la comunicazione fra oggetti, persone e processi connessi. La normalizzazione dei dati, secondo diversi addetti ai lavori, è il compito prioritario delle piattaforme dell’Internet of Things e in particolare di quelle che offrono grande facilità di integrazione a livello di Api (Application Programming Interface, le interfacce di programmazione), che sono disegnate per favorire le funzioni di data analytics e l’interazione fra sistemi cloudbased differenti.
Dieci tecnologie a cui guardare Sicurezza, analisi dei dati, connettività, processi, sistemi operativi ad hoc e molto altro ancora. Nel calderone dell’Internet delle cose, nei prossimi anni, “cuoceranno” sicuramente parecchi ingredienti. Gartner ne ha individuati dieci esaminando il grado di interesse mostrato dalle aziende su opportunità e temi critici dell’IoT. Dieci “applicazioni” in grado di orientare le sviluppo tecnologico delle reti degli oggetti connessi nei prossimi anni. E in cima alla lista c’è la security. Entro il 2018 osserveremo progressi dell’hardware e del software mirati a soddisfare questa esigenza, ma allo stesso tempo si andrà accentuando il problema della scarsità di competenze: molti degli attuali problemi di sicurezza, infatti, derivano da errori di progettazione o di implementazione,
L’IOT “SU MISURA” E IN FORMA DI SERVIZIO Una piattaforma infrastrutturale di integrazione, un marketplace e una componente di servizi professionali. È questo il tridente messo in campo da Ericsson, in occasione della recente fiera di Hannover, per dare vita al proprio IoT Accelerator: un acceleratore tecnologico (non finanziario) che il colosso svedese andrà a proporre alle aziende per semplificarne il processo di avvicinamento al mondo dell’Internet delle cose. Nello specifico, il pacchetto racchiude soluzioni per la gestione di dati e dispositivi, per la fatturazione, per la connettività e per gli analytics. Tutto, ovviamente, è basato sul cloud e offerto in modalità as-a-Service. Il marketplace è invece sia un contenitore di app sia un portale di sviluppo collaborativo, il cui fine è quello di aiutare le imprese a realizzare applicazioni in stretta collaborazione con il proprio ecosistema dei partner. Infine, l’offerta di servizi professionali include tutto il portafoglio di Ericsson, per coprire la filiera “dalla A alla Z”: dal setup iniziale alla consulenza, passando per lo sviluppo applicativo e per l’integrazione di componenti tecnologiche e sistemi.
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risolvibili solo disponendo di personale qualificato. Il secondo tema caldo è quello degli analytics: per comprendere i dati che transitano dagli oggetti connessi saranno necessari nuovi algoritmi, nuove architetture e un approccio più strutturato al machine learning. In terzo luogo, Gartner parla di Iot Device Management, una pratica che richiede tecnologie context-aware e state-aware e in cui, nei prossimi anni, si osserveranno “significative innovazioni”. Quanto alle reti, nel lungo periodo (entro il 2025) quelle a bassa potenza e a corto raggio si affermeranno come dominanti. Le tecnologie radiomobili tradizionali, infatti, non possono garantire né le fun-
TECNOLOGIE
OGGETTI RIPROGRAMMABILI E INTERFACCE TRASPARENTI Come mai c’è tanto interesse intorno all’Internet delle cose? Perché l’IoT “permette di creare prodotti più intelligenti e capaci di migliorare nel tempo”, come ci spiega Danilo Poccia, Emea evangelist di Amazon Web Services. “Qui sta uno dei vantaggi dei dispositivi connessi: un prodotto vecchio di dieci anni oggi è in grado di fare cose che al momento della sua nascita nemmeno esistevano. Con un semplice aggiornamento software si può aggiungere un servizio musicale o modificare le funzioni associate a un pulsante”. Un esempio è lo “smart speaker” di Sonos, azienda californiana che ha cominciato a vendere i primi prodotti connessi nel 2006 e che da allora ha esteso il supporto a più di sessanta servizi musicali, incluso lo streaming. Un altro caso di soluzione non immaginabile in passato è Philips HealthSuite, una piattaforma digitale che attraverso il cloud gestisce più di sette milioni fra apparati connessi, sensori e applicazioni mediche utilizzate sia dai pazienti, sia dal personale medico. Appoggiandosi alla piattaforma IoT di Amazon, Philips può acquisire, processare e reagire a dati raccolti in tempo reale da un insieme eterogeneo di dispositivi. C’è poi un altro motivo per interessarsi all’IoT: i dispositivi connessi avvicinano le aziende ai clienti perché sono in grado di fornire feedback che aiutano a capire le modalità d’uso dei dispositivi stessi, le preferenze degli utenti e ciò che gli utenti non gradiscono. “In un certo senso”, spiega ancora il manager di Aws, “questo ricorda la metodologia agile applicata allo sviluppo software, secondo la quale si implementano piccoli aggiornamenti che vengono poi messi in produzione rapidamente, in modo da usare i feedback per capire il passo successivo da compiere. Grazie ai feedback provenienti dagli oggetti connessi, il medesimo approccio agile può essere applicato allo sviluppo dell’hardware”. Un’altra interessante conseguenza dell’IoT riguarda l’interfaccia dei prodotti. “Per anni”, prosegue Poccia, “siamo stati abituati a interfacce di mediazione, come tastiere o mouse nel caso dei computer, oppure telecomandi pieni di pulsanti per i televisori. Qualche anno fa, poi, i display tattili hanno permesso di creare interfacce simulate e questo ha portato nuovi utenti, per esempio persone anziane oppure molto giovani, a interagire con dispositivi come smartphone e tablet. Adesso, con i dispositivi connessi, l’interfaccia è diretta, perché il prodotto stesso è l’interfaccia da toccare o da stringere fra le mani. E quelle sempre più sofisticate, come il riconoscimento vocale, rendono naturale la comunicazione”. Un esempio è Amazon Echo, uno smart device attraverso il quale è possibile interagire con diversi servizi usando la voce: basta chiedere, e si possono ricevere notizie o impostare un timer mentre si è impegnati a cucinare.
zionalità né i costi operativi di cui le applicazioni IoT necessitano. Serviranno, al contrario, soluzioni economicamente più vantaggiose sia a livello di infrastrutture hardware sia per la gestione delle reti stesse, in grado di supportare un’alta densità di connessioni a fronte di una larghezza di banda contenuta. Un altro tassello chiave per l’IoT di domani riguarda i processori. Entro il 2019, infatti, negli oggetti connessi spopoleranno quelli a 8-bit di fascia bassa, ma già nel 2020 i modelli a 32-bit inizieranno a sostituirli. Curiosamente, Gartner non immagina una fase di affermazione di massa per i chip “intermedi” a 16-bit. Quanto ai
sistemi operativi, l’inadeguatezza di piattaforme complesse e avide di risorse quali Windows e Apple iOs diventerà palese intorno al 2020, anno in cui si affermeranno alternative software “minimali” e poco esigenti in termini di memoria e di energia. Alcune applicazioni pensate per l’Internet of Things produrranno dati in grandi volumi, spesso legati all’esigenza di un’analisi in tempo reale. Già oggi esistono sistemi capaci di generare decine di migliaia di eventi al secondo, mentre in ambito telco e telematico (nell’automotive in primis) si arriva a milioni di eventi al secondo: per poter gestire questi numeri, saranno sempre più necessarie piattafor-
me di tipo “distributed stream computing”. C’è quindi un’altra e più generica tipologia di piattaforma che dovrà essere definita, mettendo insieme in un’unica soluzione componenti infrastrutturali diversi, sistemi di controllo e di sicurezza, piattaforme di comunicazione, aggiornamenti del firmware, modelli di acquisizione e di gestione dei dati. Non si potrà fare a meno, infine, di standard ed ecosistemi dedicati per l’IoT, ovvero di regole comuni sintetizzate in Api universalmente valide. Solo così gli oggetti connessi e le applicazioni potranno comunicare fra loro senza il rischio che l’Internet delle cose diventi una Babele. 59
TECNOLOGIE
Le mille possibilità dell’IoT e i gap da colmare L’Internet of Things non conosce confini applicativi, spaziando dall’autovettura che dialoga con i sensori a bordo strada, ai sistemi che monitorano parametri ambientali. Ma andranno definiti gli standard comuni e bisognerà creare prodotti sicuri “by design” . Testo di Carlo Maria Eugenio Vaiti, chief technologist and strategist Emea di Hewlett-Packard Enterprise
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el mondo dell’Internet of Things gli standard sono necessari per garantire interoperabilità tra i domini e all’interno degli stessi. Su questo processo influiscono le legislazioni, le regole, le procedure di qualificazione e certificazione dei prodotti. In un ambito che contempla anche l’uso contemporaneo e coordinato di tecnologie assai diverse
STARTUP ITALIANE DA ESPORTAZIONE Solair è una startup bolognese (di Casalecchio di Reno, per la precision) appena acquisita ( itermini dell’operazione non sono noti) da Microsoft. Attiva dal 2011, è specializzata in soluzioni di Internet of Things rivolte a vari settori industriali, fra cui manifatturiero, retail, food&beverage e trasporti. Più che i natali inglesi del suo Ceo, Tom Davis, ad aver stimolato l’interesse dell’azienda di Redmond è la vicinanza delle rispettive offerte. Le soluzioni Solair per la customizzazione e il deployment dell’IoT poggiano infatti sulla piattaforma di cloud pubblico Azure e, come ha sottolineato Davis, “sono progettate per aiutare le aziende di qualsiasi settore a usare l’Internet of Things per ottenere più efficienza e redditività”. La tecnologia della startup verrà gradualmente integrata nella Azure IoT Suite. Muovendosi sulle proprie gambe, Solair ha comunque già ottenuto successi. In Italia ha aiutato un produttore di macchine del caffè, Rancilio Group, a monitorare da remoto i propri dispositivi e a ottimizzare la supply chain, mentre in Giappone è stata scelta da numerose aziende del comparto manifatturiero.
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(cloud, mobile, machine-to-machine, security, networking) appare chiaro che ci si troverà di fronte a una continua evoluzione degli standard di riferimento. L’Internet of Things non conosce però confini applicativi, spaziando dall’autovettura che dialoga con i sensori a bordo strada o con i veicoli che precede, ai sistemi che monitorano parametri
ambientali, per arrivare ad applicazioni utili alla localizzazione o per identificare un paziente e monitorare specifiche patologie, anche tramite connessioni remote. Alla verticalizzazione delle soluzioni corrisponde una verticalizzazione degli standard. Un ruolo decisivo per assicurare un assessment tecnologico adeguato è
TECNOLOGIE assegnato quindi agli enti di standardizzazione come l’Aioti (l’Alleanza per l’Internet of Things, promossa nel 2015 dalla Commissione Europea), che però stanno operando da relativamente poco tempo in campo IoT. A oggi, gli standard funzionali esistenti sono estremamente frammentati: i nove principali enti hanno prodotto (a tutto febbraio 2016) 418 standard, di cui 278 dedicati all’architettura It. A questi, occorre aggiungere il contributo offerto da un’ampia tipologia di organismi associativi, pubblici o privati, finalizzati alla produzione di standard o alla creazione di un ecosistema di sviluppo di specifiche condivise. Il viaggio verso la società digitale Secondo Hpe, sicurezza e privacy sono al primo posto fra i rischi legati al pas-
BASSI CONSUMI, QUALITÀ E COPERTURA: I VANTAGGI DEL NARROWBAND IOT Un consumo energetico molto contenuto, bassi costi dei componenti e un’eccellente copertura: sono i vantaggi della tecnologia Narrowband IoT (Nb-IoT), una delle possibili strade per portare le connessioni dell’Internet of Things ovunque, anche in luoghi remoti e ostici da raggiungere. Senza scendere in tecnicismi, basti dire che questo metodo di tipo “Low Power Wide Area” ha ottenuto l’approvazione del 3Gpp, un’organizzazione internazionale che riunisce diverse alleanze ed enti regolatori nel campo delle telecomunicazioni: lo standard è in via di definizione. E l’Nb-IoT ha il pieno sostegno di Huawei, che sta lavorando al suo sviluppo fin da un paio di anni, con la collaborazione di Vodafone. L’azienda cinese si è detta certa del suo avvento già entro la fine del 2016. Secondo Zhu Cheng, il dirigente a capo della divisione Cellular IoT della società cinese, entro il 2020 si conteranno tre miliardi di oggetti connessi tramite rete mobile, e a far da traino a questi numeri saranno le applicazioni di smart metering e quelle per le smart city. Huawei non teme la concorrenza di altre tecnologie proprietarie per la trasmissione dei dati dell’IoT, tecnologie che hanno tentato di imporsi in modo “molto, molto aggressivo”, ha detto Cheng, ma che non possono vantare i medesimi vantaggi di standardizzazione, qualità del servizio, sicurezza, basso consumo e copertura del segnale. Lo scorso febbraio Huawei e Vodafone hanno annunciato l’intenzione di creare un centro di ricerca per lavorare insieme sull’Nb-IoT: aprirà i battenti nel Regno Unito, a Newbury.
saggio al paradigma dell’Industry 4.0. Per questo stiamo lavorando per offrire un’architettura IoT che sia sicura in ambito end-to-end e soprattutto “by design”, ossia sin dallo sviluppo delle applicazioni associate ai vari settori verticali, in particolare all’automotive, all’oil&gas e al manifatturiero, attualmente in testa alle nostre priorità. Nei processi industriali iniziano a delinearsi le prime implementazioni di “fabbriche intelligenti”, soprattutto con alcuni operatori delle telecomunicazioni e in cooperazione con alcune startup. Tali progetti hanno come scopo quello di dotare gli impianti produttivi di reti mobili Lte ultra-broadband dedicate, con servizi di telecomunicazione dati, video e voce, a sostegno di soluzioni di videosorveglianza, monitoraggio dei mezzi in movimento e trasmissione di allarmi (sulla base di sensori fissi o indossati dal personale). Nel settore manifatturiero si stanno sviluppando anche servizi legati alla diagnostica predittiva, al workforce management, alla sicurezza e all’efficienza dei costi di esercizio attraverso l’automazione intelligente. Nelle aziende, tuttavia, in molti casi non si sono ancora pienamente compresi i vantaggi raggiungibili con i progetti IoT, non sono state sviluppate applicazioni
concrete e molte realtà lamentano ancora una mancanza di competenze specifiche a causa della mancanza di formazione. Nell’intraprendere un percorso verso l’Internet delle cose, inoltre, oggi le aziende non considerano l’investimento in sicurezza come una solida base per salvaguardare il proprio business. E invece un attacco cybercriminale provoca nel migliore dei casi delle notevoli ricadute sul business, se non la perdita di segreti commerciali e proprietà intellettuali. Molte volte la posizione dell’azienda è reattiva e non proattiva. In ogni caso, il 2016 rappresenterà un anno strategico per l’adozione dell’Internet of Things. La vera sfida, adesso, è quella di dimostrare il ritorno sugli investimenti dei progetti che tante aziende hanno messo in campo. In Italia, in particolare, alcuni settori si dimostrano più reattivi di altri: quello della mobilità urbana e dei trasporti pubblici, per esempio, è fra i più maturi e giù sfrutta piattaforme per l’erogazione di dati in real time e per l’offerta di servizi (l’acquisto di biglietti, per esempio). Anche il comparto delle smart grid è molto ricettivo per via della normativa focalizzata sull’efficienza energetica e sulla riprogettazione delle città metropolitane in chiave di smart city. 61
ESPERIENZE
Reggere l’impatto del cambiamento L’INTERNET OF EVERYTHING RICHIEDE COMPETENZE E VISIONE. LE PERSONE DIVENTANO UNO SNODO FONDAMENTALE PER L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA. Testo di Agostino Santoni, amministratore delegato di Cisco Italia
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on si contano più, ormai, le voci che confermano come l’Internet of Things – e per estensione l’esplosione della connettività fra oggetti, dati, processi e persone di cui l’IoT è un elemento chiave – offra un’opportunità senza precedenti a imprese, persone e interi Paesi. Allo stesso tempo, le medesime voci richiamano l’attenzione sulla necessità di prepararsi, capire il cambiamento e riflettere attentamente su come esso possa meglio applicarsi al proprio business o alle caratteri-
stiche del tessuto economico e sociale di un Paese che vuole fare dell’innovazione il propulsore della propria crescita. Come punto di partenza basti un dato, che Cisco ha reso noto già un anno fa attraverso uno studio del Global Center for Business Transformation: entro cinque anni, quattro aziende leader di mercato su dieci saranno scalzate dal loro primato da realtà più dinamiche e pronte a cavalcare la trasformazione digitale. Una trasformazione che, nella gran parte dei casi, ancora
RISAIE E VITIGNI PIù SMART GRAZIE A SENSORI E SATELLITI Per fare l’albero ci vuole il seme, questo è scontato. Ma se con le nuove tecnologie si riuscisse a seguire tutto il ciclo di vita del seme e a migliorarne la resa, riducendo i costi? L’agricoltura smart è già una realtà, in buona parte fondata sul tecnologie di Internet of Things quali i sensori e i dispositivi connessi che permettono ai produttori di raccogliere dati dal suolo e dalle piante. Oppure di ridurre l’impatto ambientale razionalizzando l’irrigazione e l’impiego di pesticidi. Nelle risaie della Tenuta Castello, a Desana, in provincia di Vercelli, la tecnologia viene utilizzata sia per la semina sia per lo spianamento. I trattori vengono collegati a un satellite e ad apparecchi laser che aiutano l’operatore a svolgere un lavoro di grande precisione. L’agricoltura smart è un pallino anche per alcuni vendor tecnologici. Ericsson, per esempio, ha recentemente annunciato che collaborerà con MyOmega, Intel e Telenor Connexion per creare un servizio di connettività sicura “punto-a-punto” per l’IoT dedicato ai produttori di vino. La soluzione che nascerà da questo sodalizio permetterà di raccogliere i dati ambientali attraverso sensori e gateway connessi a un servizio cloud, per poi usare tali informazioni per realizzare analisi predittive.
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non è arrivata all’attenzione dei board di direzione delle aziende. Nello studio si analizzavano dodici diversi settori economici, ma se volessimo trasferire questa riflessione a livello di singoli governi e di singoli Paesi non avremmo troppe difficoltà. E anche per gli ecosistemi di innovazione e per le città vale lo stesso principio. Nella corsa sempre più rapida dell’innovazione, chi si ferma è potenzialmente perduto. Questa “iperconnettività”, intrecciandosi con altre occasioni legate alla
ESPERIENZE Agostino Santoni
tecnologia (dal cloud ai Big Data, per arrivare al mobile), crea una nuova normalità fatta di accelerazione, che si può affrontare soltanto con il supporto di una visione del futuro collettiva, la quale ricomprenda l’azienda e il suo pubblico, un territorio e i suoi abitanti. Come vorrei che fosse, tra cinque anni, vivere nella città che amministro? Che cosa vorrei offrire ai miei clienti, e in che forma me lo chiederanno? Come possiamo costruire innovazione insieme? Il futuro e
le opportunità della tecnologia nell’era dell’Internet “di tutte le cose”, oggi mai come prima assumono la forma di una rete, e mai come prima mettono al centro le persone quale snodo fondamentale. Le persone ma anche le loro competenze, perché se la tecnologia trasforma ogni aspetto della vita è necessario essere pronti a utilizzarla, a domarla, a indirizzarla verso i propri obiettivi. Insieme alla capacità di elaborare una visione, le competenze sono la chiave nascosta del successo nell’affrontare l’impatto tecnologico. Venti su venticinque dei profili professionali più ricercati dalle aziende nel 2016, secondo una recente analisi fatta da LinkedIn e riportata dal World Economic Forum, sono di area tecnologica. Con salti tecnologici che in cinque anni trasformano radicalmente lo scenario, chi inizia oggi un corso di laurea quadriennale è “matematicamente” già indietro. Nel nostro Paese sappiamo che le difficol-
tà sono evidenti, soprattutto se guardiamo alla realtà della piccola e media impresa, proprio quella che corre il rischio più grande e che avrebbe le massime opportunità dal crearsi una rivoluzione tecnologica “su misura” per le proprie caratteristiche e specificità. È una situazione complessa, che però si può affrontare facendo delle competenze digitali – oltre che dell’accesso alle risorse digitali – un nuovo terreno comune di sperimentazione nella collaborazione fra un settore pubblico illuminato e un settore privato che non teme la sfida dell’innovazione. Lavorando insieme a un ecosistema che allinei sistema educativo, ricerca, condizioni favorevoli allo sviluppo di realtà innovative e il contributo di quelle imprese che siano già più avanti nella strada della digitalizzazione, a supporto di chi deve ancora intraprenderla, l’Italia non perderà il treno del cambiamento. E ritroverà, anche attraverso la tecnologia, quella capacità di eccellere che già è stata sua in passato.
L’IOE AIUTA LA MEDICINA L’Internet of Things, o meglio l’Internet of Everything (IoE), significa anche salute: dalla telemedicina di prima maniera alla raccolta dati direttamente sul corpo dei pazienti, attraverso sensori connessi, fino ai sistemi di monitoraggio a distanza. La sanità in “formato digitale” è fatta di esperienze come quella dell’Asl dell’Alto Adige, che ha realizzato un innovativo modello gestionale per la cura dei pazienti oncologi. Appoggiandosi alla tecnologia di Telepresence di Cisco, l’azienda sanitaria ha collegato sette presidi sul territorio, permettendo a medici fisicamente lontani tra loro di lavorare in tempo reale sulla medesima cartella clinica e di condividere sessioni video interdisciplinari per migliorare i percorsi terapeutici dei pazienti. Se bisognava scegliere tra fax e telefono o spendere tempo per incontrarsi in sede, oggi gli strumenti dell’IoE permettono di gestire in rete l’operatività e le informazioni.
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ESPERIENZE
Alla scoperta dei rischi cyber nascosti nelle nostre case Secondo le stime di Gartner, quest’anno nel mondo si spenderanno 348 milioni di dollari in tecnologie e servizi di sicurezza per l’IoT, e la cifra salirà a 840 milioni nel 2020. I budget da soli non basteranno: si dovranno superare errori di progettazione e di gestione degli oggetti connessi. Testo di Valentina Bernocco
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erché i sogni dell’Internet delle cose non si trasformino in incubi servono strategie, investimenti, migliori conoscenze e un bel po’ di correttivi tecnologici. La strada è lunga, ma praticabile. Pur con i distinguo necessari fra oggetti molto diversi che rientrano nel calderone dell’IoT – impianti industriali, centrali elettriche, ma anche elettrodomestici, sistemi di domotica, videosorveglianza e
dispositivi indossabili – in generale oggi il livello di sicurezza è inferiore a quello delle infrastrutture tecnologiche classiche, dei server, dei computer o degli smartphone. E c’è un primo motivo: uno strumento di protezione basilare, quale la crittografia end-to-end dei dati, è ancora scarsamente diffuso. Può dunque capitare, ed è capitato, che alcuni “connected device” da usare in abbinamento a un’app per lo smartphone vengano intercettati per spiare gli utenti, catturare immagini con la fotocamera oppure ottenere la password di una rete WiFi domestica (come nel caso di un citofono smart che non proteggeva adeguatamente tale informazione dallo sguardo degli hacker). Un fondamentale contributo per un futuro più sicuro dovrà, dunque, arrivare dai vendor di tecnologie e servizi per il mondo connesso. Ma anche i destinatari e i gestori dell’IoT dovranno cambiare approccio. Incredibilmente, se si pensa alla delicatezza della materia trattata, gli impianti di produzione dell’energia non rappresentano un’eccezione positiva, anzi.
ASSICURAZIONI A RISCHIO DISRUPTION? Le nuove tecnologie e la crescente domanda di servizi digitali possono fare saltare gli schemi delle compagnie assicurative, chiamate a raccogliere una sfida lanciata dagli attori emergenti di questo mercato, come le startup e l’universo fintech. È il messaggio, forte, emerso dal “World Insurance Report 2016” di Capgemini, secondo cui la continua evoluzione degli strumenti legati all’Internet of Things, combinata con i comportamenti e le preferenze dei clienti della Generazione Y (i cosiddetti Millennials), impone un radicale cambiamento ai tradizionali attori del mondo insurance. L’IoT e la prossima ondata di innovazioni tecnologiche relative a ecosistemi intelligenti per la casa, device indossabili, robot e automobili impongono un passaggio verso nuovi modelli di business e nuove forme di interazione con i clienti. Nel mondo connesso, infatti, i dati raccolti dai sensori e dagli oggetti intelligenti aumenteranno la “risk transparency”, impattando sulle dinamiche di offerta e di pricing, di governance e di controllo del rischio stesso. Eppure, nonostante questa minaccia incombente, le società di assicurazione stanno oggi sottovalutando in modo significativo le modalità con cui le tecnologie connesse saranno adottate. E non gioca certo a loro favore il fatto che quasi un Millennial su due (il 47%) si dica propenso ad acquistare una nuova polizza direttamente da aziende “trainate dalla tecnologia”, invece che da quelle convenzionali. P.A.
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Utilizzando il motore di ricerca Shodan, per esempio, a vari ricercatori e in tempi diversi è capitato di individuare sistemi facilmente hackerabili. In più di un caso, sia in Francia (a Tolosa) sia in Italia, l’infrastruttura Scada di piccole centrali idroelettriche è risultata tutt’altro che a prova di intrusione. Per un hacker sarebbe stato quindi possibile attivare o fermare il generatore dell’impianto, mentre nella centrale idroelettrica di Tolosa gli amministratori It non si erano premurati di impostare una password di accesso alla connessione di rete. Secondo uno studio realizzato lo scorso anno da Chatham House, un ente non governativo britannico che si interessa di politica estera, nemmeno sulle centrali nucleari possiamo dormire sogni tranquil-
ESPERIENZE
ABITAZIONI PIÙ INTELLIGENTI MA PIÙ FACILI DA ESPUGNARE
li. “Molti sistemi di controllo industriale”, si legge nel report, “sono intrinsecamente insicuri, perché la misura di sicurezza non sono state incluse nella progettazione iniziale”. Altri problemi sono il diffuso utilizzo di software commerciali di terze parti (convenienti dal punto di vista dei costi, ma più soggetti al rischio di hackeraggio) e l’insufficiente preparazione tecnica del personale. In questo scenario a tratti catastrofico c’è, però, una buona notizia. Secondo recenti stime di Gartner, in tutto il mondo la spesa per la “IoT security” salirà dagli attuali 348 milioni di dollari fino a 840 milioni nel 2020. L’incremento sarà inizialmente moderato, per poi accelerare a fine decennio grazie a migliori competenze, cambiamenti organizzativi e offerte di servizi più
scalabili. Tra i settori, quelli più impegnati nel rafforzamento della sicurezza saranno l’automotive e i trasporti su rotaia e via aerea, il mondo delle fabbriche e gli impianti agricoli. Ma per alimentare e far crescere l’IoT applicato a diversi contesti sarà necessario, dicono gli analisti, tenere il passo con le esigenze di monitoraggio, detenzione delle minacce, controllo degli accessi e con altre necessità di sicurezza. Non un’impresa da poco. La stessa Gartner, fra l’altro, ipotizza che nel 2020 oltre un quarto degli attacchi informatici diretti alle aziende coinvolgeranno l’Internet of Things. A questa ascesa delle minacce, però, non corrisponde un adeguato incremento dei budget di sicurezza aziendali, che all’IoT dedicheranno appena il 10% in più di quanto non facciano oggi.
Lavatrici, termostati, lampadine, impianti di videosorveglianza e televisori: la connettività oggi pervade le nostre abitazioni. Portandosi dietro, purtroppo, anche il rischio di intrusioni cybercriminali. Fra i novemila intervistati di un’indagine condotta da Vanson Bourne per conto di Intel in diversi Paesi (l’Italia non è stata inclusa), il 66% si è detto molto preoccupato che i dati presenti nelle smart home possano essere violati dai criminali informatici. Vista la scarsa diffusione di sistemi di crittografia “end-to-end” in molti oggetti e servizi connessi, la preoccupazione è più che lecita. Qualora anche le tecnologie di “encryption” diventino la norma, non necessariamente saranno una barriera inattaccabile. Sistemi intelligenti oggi avanzatissimi ed elitari, come i computer quantistici del Mit di Boston, stanno imparando a eseguire calcoli complessi in meno tempo e – in un futuro non specificato – potranno trasformarsi in potenti “macchine decrittografiche”. A detta di Lori MacVittie, principal technical evangelist di F5 Networks, “si dovrebbe insistere sul promuovere dei test di sicurezza per ogni applicazione a cui l’oggetto può accedere in rete. Sia che si trovi nel cloud sia nel data center, l’applicazione deve essere testata e protetta”. Un ulteriore aiuto potrà arrivare dalle tecnologie di riconoscimento biometrico, oggi appena all’esordio. Fra gli intervistati dell’indagine Vanson Bourne, tre su quattro si sono detti preoccupati dell’eccessivo numero di password da memorizzare per gli oggetti e i sistemi IoT delle smart home. In alternativa, il 54% opterebbe per l’autenticazione tramite impronta digitale, il 46% per il riconoscimento vocale e il 42% per la scansione dell’iride.
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ESPERIENZE
Gli investitori sono ancora pochi ma il movimento delle imprese innovative che operano nel mondo Iot è in fermento. Anche oltre i confini nazionali. Testo di Piero Aprile
Per le startup italiane una grande opportunità
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ase intelligenti, auto connesse, smart agriculture e smart city: questi gli ambiti di azione delle startup italiane che operano nell’ecosistema Internet of Things. Non sono moltissime (l’Osservatorio del Politecnico di Milano ne ha recensite una quarantina, rispetto alle 350 attive su scala globale) e non sanno attrarre neppure corposi finanziamenti (su una raccolta mondiale di oltre cinque miliardi di dollari) dagli investitori istituzionali. Anzi, tutt’altro. Solo una su sette è stata interessata da operazioni oltre il milione di euro e solo una su tre ha beneficiato di investimenti significativi. Ma il dinamismo del fenomeno è tale, secondo vari addetti ai lavori, da concedere di essere ottimisti. Abitazioni residenziali e veicoli connessi sono, in ogni caso, gli ambiti più vivaci: vi guardano realtà come la bergamasca Almadom.us, le pisane Laqy e Wriggle Solutions, la romana CarMe. In particolare, un terzo delle nuove imprese monitorate è attivo in campo smart home, a conferma della centralità acquisita dalla casa nell’ecosistema Internet of Things. Nomi sconosciuti al grande pubblico come iBebot, che sviluppa soluzioni per il monitoraggio dell’ambiente e della salute delle persone, Movibell, che spazia ad ampio raggio nelle applicazioni di gestione remota degli oggetti in ambito smart city, Sal Engineering e Melixa, specializzate in sistemi intelligenti per l’agricoltura, Smart-I e 66
ParkSmart, impegnate nell’ambito della mobilità sostenibile, concorrono a formare una “community” che cerca opportunità e spazi vitali di crescita in uno dei segmenti a maggior potenziale di tutto il mercato IoT. Non è un caso, infatti, che alcune startup abbiano deciso di andare a cercare (e trovare) fortuna fuori dai confini della Penisola. Empatica, che opera dalle sedi di Milano e Boston, è una di queste e ha saputo raccogliere due milioni di dollari negli Stati Uniti. Non mancano, come detto, segnali incoraggianti di un’accelerazione interna, come la maggiore consistenza degli investimenti indirizzati alle startup più giovani, a realtà come 1Control e Morpheos (nate entrambe nel 2015 e finanziate rispettivamente con 500mila e 800mila euro) o come Xmetrics e Over Technologies (capaci di catturare un milione di euro nel 2014). Le recenti acquisizioni, da parte di Intel e Microsoft, delle nostrane Yogitech e Solair sono un’ulteriore testimonianza che l’innovazione IoT “made in Italy” proveniente dal basso ha valore e può far breccia nel cuore delle grandi multinazionali tecnologiche. E non mancano, infine, progetti che guardano all’esportazione delle tecnologie dell’Internet of Things nostrane. È il caso di Ingdan Italia, joint venture italo-cinese che nasce grazie all’interesse di Cogobuy, colosso della componentistica elettronica. In pochi mesi la
compagnia ha raccolto oltre un migliaio di progetti relativi a soluzione hardware ed è in procinto di portare quattro startup nella Shenzen Valley, una delle aree di manufacturing più importanti al mondo in campo elettronico, per incontrare i produttori locali, aziende della distribuzione e potenziali investitori. Ingdan nasce come piattaforma per raccogliere innovazione e mettere in connessione startupper, maker e Pmi con la Cina, e ha un obiettivo ambizioso: creare il primo ecosistema hardware IoT europeo.
LA FAVOLA DI YOGITECH Dalla provincia di Pisa alla Silicon Valley. La storia di Yogitech, azienda nata nel 2000 e specializzata in sicurezza funzionale in ambito industriale (rivolti all’automotive, ai trasporti ferroviari e al settore medicale) ha conosciuto una svolta in aprile, quando è stata ufficializzata la sua acquisizione da parte di Intel, per una cifra non resa nota. La società entrerà presto a far parte dell’Internet of Things Group del colosso di Santa Clara, ma la sede e il team di lavoro resteranno in Italia. L’obiettivo a tendere è quello di sfruttare la tecnologia e il know-how di Yogitech per realizzare componenti avanzati per i sistemi di guida autonoma e assistita dei veicoli.
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