Technopolis 19

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NUMERO 19 | MARZO 2016

Storie di eccellenza e innovazione

i talenti crescono sul cloud Roberto Speziotto, Hr manager di Banco Popolare, ha portato sulle nuvole la gestione delle risorse umane dell'istituto, guadagnando tempo ed efficienza.

transformation

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Come si vince la sfida della trasformazione It: uno studio di Accenture mette in primo piano il fattore umano.

banche digitali

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L'omnicanalitĂ arriva anche allo sportello. Ma le tecnologie non sono tutto, servono anche leadership e cultura.

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speciale gestionale

Il panorama del software per la gestione aziendale: tendenze e soluzioni per l'automazione del business d'impresa.

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SOMMARIO Storie di eccellenza e innovazione

N° 19 - MARZO 2016 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012.

4 storie di copertina

I talenti restano in banca con il cloud

9 IN EVIDENZA

Il digitale non decolla? Spunta Il manager multinazionale

Smartphone cinesi alla carica

L’intervista: Sicurezza in mobilità Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Alberto Antonietti, Valentina Bernocco, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Alessandro Onano, Fabrizio Tittarelli.

L’uomo della trasformazione Non chiamatelo smartphone

L’intervista: La nuova Business Intelligence

16 SCENARI

Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Dollar Photo Club, Istockphoto, Martina Santimone

Ecco come si vince la sfida

La mentalità digitale è ancora sconosciuta

Dall’e-business al d-business

25 speciale SOFTWARE GESTIONALI

Quale strada scegliere?

L’imperativo è la flessibilità

L’integrazione abbatte le barriere

34 ECCELLENZE.IT Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Iconsulting Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Faruffini, 13 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.com Stampa: RDS Webprinting - Arcore © Copyright 2016 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

Istituto Tecnico Superiore Guglielmo Marconi - Citrix

Cloud Europe - Emerson Network Power

Hotel Château Monfort - March Networks

38 italia digitale Banda larga, pilastro della “nuova” Agenda

Il gap della Penisola? Un’opportunità unica

42 OBBIETTIVO SU Tiscali

47 VETRINA HI-TECH

Multifunzione, vince il “tutto in uno”

In prova: Microsoft Lumia 650 Pubblicazione ceduta gratuitamente.


STORIA DI COPERTINA | Banco Popolare

i talenti restano in banca con il cloud Banco Popolare sta portando la gestione delle risorse umane sulle nuvole, in modo da seguire lo sviluppo tecnologico e da potersi concentrare sulla valorizzazione dei professionisti.

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on più di 17mila dipendenti, 1.800 filiali e oltre due milioni e mezzo di clienti, Banco Popolare è alla costante ricerca del delicato e importante equilibrio tra efficienza e presenza sul territorio. Anche per questo ha deciso, alla fine del 2015, di portare in cloud il sistema informativo e i processi dedicati alla gestione delle risorse umane. Una scelta non facile, dettata dalla volontà di seguire il cambiamento imposto dai tempi sempre più veloci della tecnologia digitale. “Avevamo bisogno di instaura-

re un rapporto più attivo con i dipendenti”, racconta Antonio Maurino, responsabile del servizio sistemi risorse umane, “e di avere a disposizione uno strumento più potente per lo sviluppo dei talenti”. Prima di iniziare la nuova avventura tra le nuvole, le attività legate alla gestione e allo sviluppo delle risorse umane erano svolte attraverso un software proprietario, che richiedeva comunque un alto tasso di manualità. Una minima parte delle funzioni era gestita e automatizzata con l’applicazione Peoplesoft, appar-


Un gruppo legato al territorio

Banco Popolare figura tra i primi cinque gruppi bancari italiani, con i suoi circa 1.800 sportelli, circa 220mila soci e quasi 17mila dipendenti. Nato dall’unione di importanti banche popolari e casse di risparmio, alcune delle quali vantano una lunga tradizione a servizio del credito e dello sviluppo economico locale, il gruppo svolge la propria attività principalmente nei segmenti di clientela rappresentati da famiglie, piccoli operatori economici e Pmi. Un suo tratto caratteristico è il forte radicamento territoriale non solo nell’ambito delle attività economiche e finanziarie, ma anche nell’importante azione sociale e

culturale che si manifesta attraverso le iniziative promosse dalle banche consociate. Il Gruppo Banco Popolare mantiene i tradizionali marchi che hanno contribuito a creare e consolidare oltre un secolo di storia imprenditoriale: Banca Popolare di Verona, Banco S. Geminiano e S. Prospero, Banca Popolare di Lodi, Banca Popolare di Novara, Credito Bergamasco, Cassa di Risparmio di Lucca Pisa Livorno, Banca Popolare di Crema, Banca Popolare di Cremona, Banco San Marco, Banca Popolare del Trentino, Banco di Chiavari e della Riviera Ligure, Cassa di Risparmio di Imola, Banco Popolare Siciliano.

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STORIA DI COPERTINA | Banco Popolare

tenente all’ecosistema Oracle. Coinvolgendo la multinazionale, in particolare la divisione Oracle Consulting, e sfruttando le competenze It di Sgs (la società di servizi del proprio Gruppo), Banco Popolare ha dato il via all’ambizioso progetto di sfruttare le potenzialità di Oracle Hcm Cloud per creare un vero e proprio ambiente integrato, con cui gestire le risorse umane in ottica talentocentrica. “Il sistema che abbiamo pensato insieme a Oracle Consulting”, prosegue Maurino, “ci aiuterà a realizzare il cambiamento che è richiesto oggi a tutte le moderne organizzazioni. Da una parte necessita di una grande snellezza operativa, dall’altra consente di analizzare grandi quantità di dati e soprattutto di poter beneficiare di esperienze fatte in ambito risorse umane in altri contesti, sia geografici sia di settore. Permette la gestione attiva dei talenti, la stesura dei piani di successione e sostituzione, lo sviluppo delle competenze e più in generale di tutti gli aspetti che riguardano la formazione. Inoltre, ci consente di realizzare più efficacemente la modellizzazione dei job profile, di eseguire analisi predittive e di gestire le problematiche di compensation. Insomma, una vera e propria strategia welfare-oriented per reclutare, sviluppare e trattenere i talenti e supportare il raggiungimento degli obiettivi del Gruppo”. “Con Oracle Hcm Cloud, entro la fine del 2016 in Banco Popolare avremo la capacità di sviluppare strategie Hr innovative come il welfare aziendale e la collaborazione social, e quella di proporre ai nostri dipendenti un sistema operativo Hr accessibile, moderno, dove il talento è al centro”, ha dichiarato Roberto Speziotto, Hr manager di Banco Popolare. “Questo sistema completo, personalizzato e collaborativo sarà fondamentale nel garantire la nostra agilità ed eccellenza operativa. La scelta dell’architettura cloud deriva soprattutto dalla nostra fisionomia, una realtà costituita da 16 differenti aziende che avevano 6

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Sopra, gli spazi dedicati ai clienti in una filiale del Gruppo. Sotto, Antonio Maurino del servizio sistemi risorse umane.

altrettante culture in termini di sistemi informativi. Per questo, avere un unico linguaggio era fondamentale, e il cloud ci ha convinti perché ci è parso uno strumento semplice e immediato, grazie al quale possiamo anche dare per scontato l’aggiornamento tecnologico per concentrarci sul nostro core business”. “La gestione dei sistemi informativi oggi sta vivendo un momento di forte trasformazione”, chiosa Maurino, “e il cloud introduce un vero e proprio cambio di passo che consente di aumentare la flessibilità e la facilità con cui si possono inserire nuove funzionalità facilmente integrabili con i sistemi esistenti. Sono questi gli elementi che ci hanno spinto a scegliere Oracle Hcm Cloud”. Emilio Mango

LA SOLUZIONE Oracle Hcm Cloud è una suite completa di applicazioni per gestire i processi Hr nel loro complesso, con soluzioni dedicate per il talent management, per l’incentivazione, per la gestione amministrativa e operativa e per sfruttare tutte le opportunità della collaborazione “social” volte a migliorare le relazioni e la produttività dei dipendenti. Tutto questo va di pari passo con la massima attenzione alla sicurezza e protezione di informazioni sensibili, oltre che con la disponibilità di applicazioni dedicate e di interfacce intese a offrire

ai dipendenti (oltre che al personale dei reparti Hr) un’esperienza d’uso di elevata qualità, capace di fare la differenza. Gli oltre cinquemila clienti di Oracle Hcm Cloud utilizzano le sue soluzioni per contribuire a trasformare le attività di gestione delle risorse umane delle loro aziende, in modo da supportarne la crescita. In Banco Popolare, oltre 270 utenti sono già attivi su qesta piattaforma, ma si prevede a regime un parco di utilizzatori che dovrebbe sfiorare i duemila, includendo i responsabili delle filiali e delle aree.


Siamo hi-tech per leggere il passato e anticipare il futuro è un delicato equilibrio quello trovato da Banco Popolare: preservare la “fisicità” tipica di un istituto vicino alla gente e, insieme, assicurare a clienti e dipendenti i vantaggi del digitale.

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oberto Speziotto, Hr manager di banco Popolare, fa parte di quel gruppo sempre più nutrito di professionisti che non solo accettano il cambiamento, ma cercano di guidarlo, pur non appartenendo alla generazione dei “nativi digitali”. Technopolis ha cercato di capire con lui come può cambiare pelle, grazie alla tecnologia, un Gruppo bancario che fa della tradizione e del territorio i suoi punti di forza. Quanto è importante la tecnologia per Banco Popolare?

Prima di tutto bisogna tracciare il contesto: le banche sono state sulle prime pagine dei giornali per anni a causa della crisi economica, trovandosi di fronte a grandi riorganizzazioni nell’ambito delle risorse umane. Noi, in particolare, siamo nati il primo luglio del 2007 e fin da subito abbiamo dovuto gestire questo tipo di situazioni, ma non abbiamo mai voluto rinunciare a posizionare in modo corretto le persone e a sceglierle bene. Per fare questo serviva e serve la tecnolo-

Roberto Speziotto

gia a supporto, perciò gli investimenti in tecnologia sono stati fatti sin dall’inizio. Quali sono le aree a più forte innovazione in azienda?

Io ho tre figli, e probabilmente nessuno di loro metterà piede in una filiale di una banca; il contatto con l’istituto avverrà solo con i dispositivi mobili. È evidente che una banca sprovvista di importanti piani di investimento in questi settori andrà rapidamente fuori mercato, non ha futuro. Oltre alla mobilità, bisognerà sviluppare prodotti applicativi che permettano di scambiare piccole somme di denaro con meccanismi simili a Whatsapp. Insomma: comodità, semplicità e sicurezza. Coniugare questi tre concetti sarà la vera sfida. Che rapporto c’è tra risorse umane e tecnologia?

Abbiamo bisogno di strumenti che ci permettano di leggere con grande attenzione la carriera delle persone per poter fare le migliori scelte per il futuro. Le in-

formazioni spesso e volentieri arrivano da ambiti diversi, e avere a disposizione procedure che permettano in maniera semplice di aggregare i dati e poterli leggere in modo veloce diventa un fattore di successo. In sintesi: la funzione Hr ha bisogno di strumenti semplici e applicazioni facili da aprire e chiudere, un po’ come ci ha insegnato a fare Apple. Come si stanno trasformando la banca e il servizio verso il cliente finale, attraverso la tecnologia?

Noi abbiamo due tipi di clienti. i primi sono quelli interni, cioè i dipendenti. Con loro l’obiettivo è poter comunicare in modo trasparente, mettendogli a disposizione una serie di servizi, come la possibilità di scegliere i propri percorsi di formazione o i fondi integrativi. Anche il cliente finale deve, però, essere soddisfatto. Per lui stiamo tentando di modulare una banca che abbia le caratteristiche di una popolare, quindi che non perda ancora la “fisicità” dei nostri sportelli ma che ricorra alla tecnologia per facilitarne l’accesso. E.M. 7



IN EVIDENZA

l’analisi

IL DIGITALE NON DECOLLA? SPUNTA IL MANAGER MULTINAZIONALE Diego Piacentini lascia per due anni Amazon per il ruolo di Commissario del governo sull‘innovazione. Tutti plaudono. Ma qualche dubbio resta.

Un cervello che torna a casa, così come l’ha definito qualcuno. Più semplicemente, Diego Piacentini, attuale vice presidente di Amazon con la responsabilità delle attività consumer internazionali, è un manager di successo (nel suo curriculum anche la carica di direttore generale della divisione europea di Apple) che ha deciso di tornare a lavorare in Italia. Che cosa l’ha spinto ad accettare, a titolo gratuito e chiedendo due anni di aspettativa alla sua azienda, il ruolo di coordinatore dei vari soggetti pubblici che si occupano di digitale in Italia? Lo sapremo forse il 17 agosto, giorno del suo previsto insediamento ufficiale. Piacentini ha usato poche parole, pubblicate sul sito del gigante di Seattle, per spiegare la sua filosofia operativa: “La lezione principale è non dire mai che non funzionerà. La seconda è che la chiave sta nell’organizzarsi e concentrarsi sulle idee meritevoli. E questo si può fare se si dispone di pensiero innovativo, trasparenza e capacità di autocritica, visione a lungo

termine”. Qualche differenza concettuale, rispetto ai soliti proclami che sentiamo dai rappresentanti delle istituzioni, c’è. Matteo Renzi, primo regista dell’operazione, ha battezzato il ruolo di Piacentini ricorrendo al termine “plenipotenziario”. E quindi, immaginiamo, alludendo a una figura dotata di poteri trasversali, a cui spetterà l’onere e l’onore di portare risultati che finora, in tre anni abbondanti di grandi promesse, si sono solo intravisti. Molti addetti ai lavori, come il numero uno di Confindustria Digitale, Elio Catania, hanno applaudito xla mossa dell’esecutivo, convinti che con Piacentini si entrerà in una fase di vera politica industriale per il digitale. Sul tavolo, in effetti, sono pendenti la strategia Industry 4.0 (per ora in evidente

impasse), l’Agenda Digitale e il Piano della banda ultralarga. Ma, come dice Catania, “questa è la volta buona”. Altri osservatori, invece, qualche lecita perplessità l’hanno sollevata. Dal possibile conflitto di interesse alle oggettive difficoltà di mettere mano a processi e servizi di e-government inerenti istituzioni, cittadini, aziende e territorio. La domanda rimane dunque aperta: serviva davvero un “digital champion” di ritorno per smuovere la macchina pubblica e i progetti fermi sulla carta? Oppure è solo propaganda? Gianni Rusconi

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IN EVIDENZA

STRADE SMART CON L’IOT

CELLULARI e servizi PER TUTTI A livello teorico è come se ogni abitante del pianeta avesse attivato una sottoscrizione di telefonia mobile. Erano infatti 7,3 miliardi le Sim attive nel 2015, lo stesso numero della popolazione mondiale. Ovviamente la situazione reale non è questa, ma il dato è indicativo della penetrazione della telefonia mobile, giunta quindi al 100%. A riportare le cifre è il nuovo aggiornamento del “Mobility Report” di Ericsson che indica come, a fare realmente il “botto”, siano state le sottoscrizioni ai servizi Lte di quarta generazione, che hanno registrato un aumento di duecento milioni nell’ultimo trimestre del 2015 (più 25% anno su anno), arrivando così a 1,16 miliardi totali. La penetrazione del 4G è accompagnata da una sempre maggiore fruizione di contenuti video, vero fattore trainante (insieme ai social network) del traffico mobile, cresciuto del 65% tra il quarto trimestre 2014 e lo stesso periodo del 2015. Lo streaming ha infatti generato circa la metà dei 20 nuovi exabyte di dati scambiati in mobilità, che si sono quindi aggiunti all’enorme mole di informazioni già trasmessa da terminali come smartphone e tablet. Questo vero e proprio boom è dovuto a diversi fattori, convergenti fra di loro. Innanzitutto, alla sempre maggiore popolarità e disponibilità di servizi come 10

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Il tasso di penetrazione della telefonia mobile ha raggiunto nel 2015 il 100%, pari a 7,3 miliardi di Sim. Oltre un miliardo quelle 4G. Netflix, arrivato il 22 ottobre scorso anche in Italia. Ma vanno citati anche la crescente diffusione di dispositivi caratterizzati da schermi di grandi dimensioni e con una risoluzione migliore, i diversi comportamenti di consumo degli utenti e poi le reti stesse, oggi capaci di garantire una migliore esperienza di visione rispetto al passato, soprattutto sul versante della stabilità del segnale. A sostenere la crescita sono stati in particolar modo gli smartphone, che hanno dominato il mercato mobile a fronte di consegne di tablet in costante diminuzione. Il report di Ericsson ha rilevato un forte incremento negli abbonamenti telefonici con cellulare incluso, trend in aumento in tutto il mondo. Sul totale delle sottoscrizioni circa il 45% era associato a smartphone, il che apre ulteriori possibilità di crescita nel futuro. Infine, nei prossimi sei anni il traffico dati generato dai social network sarà dodici volte superiore a quanto registrato dal 2010 a oggi. A.A.

Una smart city non è veramente tale senza un reticolo di strade intelligenti. Illuminazione di nuova generazione, sensori digitali, oggetti interconnessi, efficienza energetica, mobilità alternativa, sistemi di video sorveglianza e altro ancora: sono i principali componenti delle piattaforme tecnologiche urbane descritte con l’etichetta “smart street”. Elementi che, secondo Navigant Research, entro il 2024 alimenteranno un mercato da 5,3 miliardi di dollari, decuplicato rispetto ai 552 milioni dell’anno scorso. La chiave di volta sarà l’avvento su larga scala dell’Internet of Things e dei sensori a basso consumo energetico, che renderanno intelligenti ed efficienti i dispositivi.

IL CLOUD SPINGE I DATA CENTER Produrre una quantità sempre maggiore di informazioni significa trovare nuovo spazio per archiviarle e gestirle. E, considerato che i volumi del traffico dati cresceranno di venti volte entro il 2018, di capacità di storage ne servirà molta. A risentire in modo positivo di questa “marea” sarà il mercato dei data center. Ne è convinta Idc, che ha stimato il valore del settore nel 2019 in 5,4 miliardi di dollari, con un incremento del 16% nella regione Emea. Metà della spesa finirà nel mercato dei server e l’altro 50% sarà destinato ai supporti per lo storage, mettendo così a disposizione circa 20 exabyte di capacità di archiviazione. In particolare, gli investimenti nel comparto server aumenteranno del 34% nei prossimi quattro anni, grazie soprattutto alla spinta del cloud pubblico.


RETI 5G: LA UE accelera Il futuro, tecnologicamente parlando, è già qui. Dal Mobile World Congress di Barcellona il messaggio portato in dote dai fornitori di infrastrutture e dai produttori di chip mobili è stato esplicito: le reti 5G cambieranno drasticamente le nostre abitudini, a braccetto con i visori di realtà virtuale per collaborare in tempo reale, collegando robot a intelligenze centralizzate per movimentare le merci in magazzino e abilitando piattaforme cloud per gestire migliaia di oggetti connessi. Alla fiera catalana era presente anche il Commissario europeo per l’Economia e la società digitale, Gunther Oettinger, per annunciare un piano d’azione sulle reti mobili di quinta generazione. Un piano esteso agli operatori telco, alle industrie verticali (automotive, sanità, manifattura, energia, media) e alla Pubblica Amminsitrazione, finalizzato a sfruttare le opportunità della nuova tecnologia. L’obiettivo del “5G Action Plan for Europe”, che dovrebbe essere adottato entro la fine dell’anno, è chiaro: evitare di ripetere gli errori commessi con il 4G. “Questa volta”, ha detto Oettinger, “andremo avanti con sinergie, investimenti congiunti e giro di vite sulla riforma dello spettro”.

smartphone cinesi alla carica Chi alla vigilia del Mobile World Congress 2016 parlava di una forte presenza cinese non si sbagliava, e non solo per le dimensioni degli stand delle varie Huawei (marchio Honor annesso), Zte, Lenovo, Haier e HiSense, aziende già conosciute anche in Italia. In rampa di lancio, diretti verso i mercati occidentali, ci sono altri nomi emergenti dell’industria mobile del Paese del Dragone: OnePlus, Oppo, Meizu e, soprattutto, Xiaomi. Suo l’ultimo botto della kermesse, con il lancio dell’atteso Mi 5, anche se per vedere all’opera in Europa e negli Usa il marchio cinese che in pochi anni è salito nell’Olimpo dell’universo smartphone bisognerà aspettare ancora un po’. Ma l’azienda, intanto, ha già sferrato un primo affondo contro Samsung ed Apple portando in casa propria (con la nomina di vice president) Hugo Barra, ex top

manager di Google. Una mossa che prepara una sfida ai big dei telefonini da giocarsi anche fuori dalla Grande Muraglia. Xiaomi, insomma, seguirà le orme di Huawei, oggi terza per volumi venduti nel mercato smartphone, e di Lenovo, che ha ufficializzato il suo ingresso in Europa Occidentale. Interessante è l’analisi che ha fatto il Ceo di quest’ultima, Yuanqing Yang: “Il mercato locale è stato ed è tutt’ora il primo bacino di sbocco per i produttori di smartphone cinesi. In futuro assisteremo a un forte consolidamento di questo settore anche in virtù di nuove acquisizioni e solo pochi vendor rimarranno competitivi su scala globale. Perché serve una strategia chiara per operare in ogni mercato e servono presenza, tecnologia e risorse”. Un assunto che suona, per certi versi, come una dichiarazione di guerra. G.R.


IN EVIDENZA

l’intervista

sicurezza in mobilità: le grandi imprese alzano la soglia di attenzione

Luca Sambucci, operations manager di Eset Italia, dal 1991 si occupa di sicurezza informatica, affrontando i temi legati al malware e ai sistemi di difesa It. È stato consulente del Ministro delle Comunicazioni su aspetti di sicurezza delle reti e ha collaborato con Telespazio (gruppo Finmeccanica) e con la Fondazione Ugo Bordoni. Attualmente si occupa di nuove tecnologie, malware e cyber warfare, è risk analyst certificato Nsa e membro dell’Associazione Italiana esperti in Infrastrutture Critiche. Technopolis lo ha intervistato per avere una fotografia della sicurezza It in mobilità. Le aziende italiane danno il giusto peso alle minacce correlate all’utilizzo di device e applicazioni in mobilità?

Stiamo riscontrando sul mercato una maggiore attenzione rispetto al passato. Ora molte aziende iniziano a capire che gli smartphone e i tablet sono dispositivi critici al pari delle workstation aziendali, che contengono informazioni sensibili, password, contatti, e che la loro natura “mobile” li espone a rischi più complessi e imprevedibili. L’avvento dei ransomware per sistemi operativi mobili sicuramente ha concretizzato il problema. Questa attenzione comunque proviene maggiormente dalle grandi aziende, che dispongono di personale qualificato per condurre un’analisi del rischio e supportare il cliente interno. Nella piccola impresa questo problema è ancora ampiamente fuori dai radar e la sicurezza dei dispositivi mobili è lasciata all’iniziativa dei singoli. 12

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LUCA SAMBUCCI - ESET ITALIA

I dispositivi portatili sono più vulnerabili e aprono la strada alle nuove minacce. Ma le Pmi ancora non riescono a reagire in modo organico

Che tipo di pratiche risultano più pericolose in questo periodo?

In molti casi gli attacchi possono avvenire senza che l’utente abbia particolari colpe. L’uso di un sistema operativo mobile pervasivo, ma allo stesso tempo non semplicissimo da aggiornare, come Android lascia il fianco scoperto ad attacchi che sfruttano vulnerabilità note, come ad esempio Stagefright. In altri casi il comportamento errato degli utenti può essere fondamentale per agevolare gli attacchi o la perdita di dati, ad esempio quando usano network WiFi pubblici senza adeguate protezioni Vpn, o in caso di furto o smarrimento dell’oggetto senza che vi sia la possibilità di cancellazione remota dei dati. Quali sono le soluzioni di sicurezza in ambito mobile che garantiscono le migliori difese?

Un semplice antivirus non basta neanche per le workstation, figuriamoci per dispositivi dalla natura più complessa come quelli mobili. Un software di sicurezza per Android deve non solo

proteggere il dispositivo dal malware, che comunque esiste e si diffonde, ma avvolgere il device con una sicurezza completa che tenga conto del furto dell’oggetto, della modifica della scheda Sim, dei permessi delle app, della privacy dell’utilizzatore. L’obiettivo dell’app Eset Mobile Security è proprio questo, proteggere il terminale mobile e i dati che esso contiene. Siamo molto orgogliosi del fatto che questa app di sicurezza abbia ottenuto sullo store Google Play un voto corrispondente a 4,6, considerato un gradimento decisamente alto, e ottime recensioni dai laboratori specializzati. Ma chi decide di affidare un dispositivo mobile a un figlio minorenne ha a cuore non solo la sicurezza del dispositivo, ma soprattutto la protezione dell’utilizzatore dai rischi online. In questo caso consiglio l’installazione di Eset Parental Control, un’app che non è semplicemente un “controllore arcigno” dei comportamenti del minore, bensì un software che promuove la collaborazione fra bambini e genitori sul tema della sicurezza.


l’uomo della trasformazione Fujitsu ha cambiato pelle. Ne abbiamo parlato sullo scorso numero di Technopolis raccontando la nuova strategia della multinazionale, che ha scelto di puntare su una dimensione globale e sull’offerta di soluzioni per ridisegnare il proprio profilo e muoversi più velocemente sul mercato. Come si riverberano queste strategie nelle varie country e soprattutto in Italia? Lo abbiamo chiesto, questa volta, al nuovo presidente e Ad di Fujitsu Italia, Bruno Sirletti. Quali sono le linee guida della “sua” Fujitsu per i prossimi mesi?

Vogliamo realizzare grosso modo quello che stiamo mettendo in pratica nel resto d’Europa. In passato ogni country poteva scegliere che strategia seguire, quali società acquisire, che mix di prodotti e servizi offrire. Oggi nel mondo globalizzato non ha più molto senso andare in ordine sparso, sia per ragioni di costo sia perché i clienti globali vogliono trovare una sola Fujitsu. Ora c’è un solo business model, anche se si parte da realtà molto diverse. E la nostra realtà, com’è?

In Italia abbiamo un mix piuttosto sbilanciato: il 70% del fatturato è

Bruno Sirletti

espresso dalla vendita di prodotti e soluzioni infrastrutturali, poi ci sono alcuni servizi ad alto valore aggiunto e infine pochissime iniziative di digital transformation. Il mio compito è proprio quello di far crescere queste ultime due componenti, senza penalizzare la prima. Penso mi abbiano scelto anche per portare un tocco internazionale alla filiale italiana, visto che nella mia carriera ho lavorato prevalentemente all’estero. Dalla sua esperienza internazionale, come vede l’Italia?

Abbiamo una presenza consolidata in alcuni mercati verticali: Pubblica Amministrazione, finance e retail. Siamo meno presenti, ad esempio, nel manifatturiero. Ma la vera nota positiva che percepisco è la voglia di partire con i progetti di digital transformation, anche nella Pa. E.M.

36 tonnellate di demo Circa 45mila dipendenti, di cui oltre 11mila ingegneri, 130 fabbriche e una posizione di leadership nel mercato dei semiconduttori per l’automotive e il riconoscimento (badge, carte di credito, ecc.): è il biglietto da visita di Nxp, un colosso da 40 miliardi di dollari risultato dell’acquisizione di Freescale nel 2015. Quest’anno il focus della multinazionale olandese è l’Internet delle Cose, un mercato potenzialmente enorme che, oltre a mostrare numeri da capogiro, spazia dalle applicazioni di domotica, alla logistica, ai wearable, per non citare i settori tradizionalmente già presidiati da Nxp. Per mostrare le soluzioni disponibili la società ha predisposto un tir di 36 tonnellate a due piani, che è in tour per l’Europa (tocca 16 nazioni e 86 città).


IN EVIDENZA

non chiamatelo smartphone Hp punta molto sul nuovo phablet Elite X3. Non è un Pc ma nemmeno un semplice telefono cellulare intelligente. Per la prima volta nella sua storia recente, Hp ha annunciato un prodotto non ancora disponibile (lo sarà in dieci Paesi, tra cui l’Italia, questa estate). Lo strappo alla regola è giustificato, secondo il management della multinazionale, dall’eccezionalità dell’evento. In effetti, che la posta in gioco sia alta lo testimonia anche il fatto che, prima del Mobile World Congress di febbraio (dove l’annuncio è stato ufficializzato), sì sia scomodato direttamente Michael Park, vice presidente e general manager mobility di Hp, cimentatosi in un tour nelle principali città europee. “L’annuncio del nuovo Hp Elite X3 è dirompente”, hanno dichiarato all’unisono Park e Giampiero Savorelli, general manager personal systems

di Hp Italia, “perché arriva in un momento in cui stanno cadendo le ultime barriere tra vita professionale e privata: la nuova one life, come la chiamiamo, richiede strumenti innovativi come questo nuovo device”. In estrema sintesi, lo scopo di Hp è quello di offrire la potenza di un Pc (nel vero e completo senso della parola) su un dispositivo con schermo da 6 pollici. È anche per questo che il management rifugge la classificazione dell’Elite X3 come semplice smartphone, inserendolo invece in una categoria a sé stante. Al di là delle caratteristiche tecniche (processore Qualcomm Snapdragon 820, 4 GB di memoria Ram e una docking station che permette di collegarlo a un monitor ottenendo un sistema-Pc) il vantaggio ma anche il limite del nuovo “phablet” è il sistema operativo. La più grande scommessa, infatti, Hp, l’ha fatta sposando Windows 10 di Microsoft.

collaboration solo in teoria Il “Connected Enterprise Report 2016” pubblicato da Dimension Data è una vera e propria miniera di indicazioni utili per le imprese. Il rapporto offre una panoramica sullo stato dell’implementazione delle strategie di collaboration, grazie a uno studio condotto su 900 partecipanti in 15 Paesi (l’Italia non rientra nella lista). Gli intervistati includono direttori It, Cio e responsabili delle line of business (Lob) all’interno di organizzazioni con oltre mille dipendenti. In sintesi, la ricerca mostra un’alta considerazione delle soluzioni di collaboration, evidenziata dall’87% dei rispondenti che ne descrivono l’utilità nel migliorare il lavoro di gruppo e nell’accelerare il processo decisionale. Ma lo studio mette anche in luce, impietosamente, alcuni aspetti non proprio edificanti: il 37% dichiara che la collaboration non ha raggiunto, nella pratica, lo scopo di dare un vantaggio competitivo a chi la adotta, mentre un responsabile Lob su quattro dichiara di aver adottato strumenti consumer senza il consenso dell’It. Insomma, la strada per una collaborazione efficiente è ancora lunga.

NELLA NUVOLA VINCE L’IBRIDO La progressione del cloud ibrido non si ferma. E i fornitori possono festeggiare: le aziende oggi utilizzano, in media, servizi di sei provider. Inoltre, il 17% delle imprese ha attivato oltre mille macchine virtuali su piattaforme pubbliche (+13% rispetto al 2014), mentre il cloud privato è cresciuto addirittura del 22% anno su anno. Sono i dati contenuti nel report “State of the Cloud 2016”, realizzato da Rightscale su 1.060 professionisti 14

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Ict. L’approccio “multicloud” è sempre più comune e le aziende in media hanno contratti attivi per 1,5 soluzioni pubbliche e 1,7 private, ma stanno anche sperimentando altri 1,5 servizi di public cloud e 1,3 di private cloud. La “regina” del pubblico è sempre Amazon Web Services, i cui servizi sono utilizzati dal 57% delle imprese. La stessa Aws a febbraio ha acquisito Nice, azienda di Asti specializzata nell’High Performance Computing.


l’intervista la NUOVA business intelligence? è ALL'INSEGNA degli open data Tutto ruota intorno al dato, alla capacità di interpretarlo e di massimizzarne il valore. L’evoluzione del concetto di Business Intelligence abbraccia diversi fattori, dalla svolta pragmatica dei Big Data fino alla governance centralizzata delle informazioni. Proviamo a fare luce sulle tendenze in atto con Rosagrazia Bombini, vice president & managing director per l’Italia di Qlik.

Massimizzare il valore delle informazioni: ecco perché la Bi rimane una priorità.

La Business Intelligence era considerata negli anni Duemila una tecnologia “di frontiera”: è passata di moda?

Al contrario. Grazie all’evoluzione della domanda e alla nuova generazione di strumenti disponibili, è più attuale che mai. Ovviamente vi è una trasformazione sostanziale: negli anni Duemila si intendeva prevalentemente come uno strumento di “enterprise It reporting”, oggi la Business Intelligence acquista ancora più importanza nel mondo dei Big Data. La capacità di rendere i dati fruibili, contestualizzati e rilevanti per ogni utente è oggi la base della moderna Bi e delle piattaforme di analytics. Da qui a tre anni parleremo della Bi così come ne parliamo ora?

Cito l’ultimo Magic Quadrant di Gartner, secondo cui la maggioranza degli analisti e degli utenti business, entro il 2018, avranno accesso a strumenti self-service per la preparazione dei dati per le analisi. Pensiamo inoltre che crescerà il modello di “azienda trasparente”, in cui i dati relativi alla supply chain verranno resi disponi-

Rosagrazia Bombini

bili all’esterno per dimostrare un utilizzo virtuoso delle risorse. Allo stesso modo si espanderanno le sorgenti di dati aperte, provenienti da enti pubblici e privati, che integreranno sia le previsioni strategiche sia i piani operativi quotidiani. Anche la modalità di interazione con gli strumenti di Bi, infine, diventerà ancora più efficiente, attraverso la comprensione del linguggio naturale e la capacità di formulare automaticamente delle analisi per evidenziare i fenomeni più rilevanti. Com’è cambiata e, soprattutto, come cambierà ancora in azienda la governance delle informazioni?

La governance ha il ruolo fondamentale di garantire la fruibilità e la correttezza delle informazioni, da parte di comunità di utenti sempre più estese ed esigenti. Da un lato aumentano i detta-

gli che identificano uno scenario, grazie ai sensori e alla disponibilità di dati comportamentali; dall’altro cresce la richiesta di scoprire delle relazioni inaspettate con una visione cross-dipartimentale. Aggiungiamo l’abitudine degli utenti a ottenere un supporto informativo costante in modalità multi-device e a pretendere un’interazione dinamica su ogni aspetto della propria attività, per completare un quadro sempre più complesso. Nella nostra visione, solo unendo governance, scalabilità e autonomia degli utenti in una sola “analytics platform” è possibile produrre un valore permanente per l’azienda, alla velocità che il mercato richiede. Le aziende italiane hanno continuato a investire in questo segmento? Tutte, grandi e medie? Di qualsiasi industry?

Tutti gli analisti concordano nel dire che Business Intelligence e analytics sono la priorità numero uno dei Cio nella distribuzione della spesa It per il 2016, in ogni settore e per le aziende di ogni dimensione. Questo conferma il trend di crescita che ha registrato questo mercato in Italia negli ultimi anni. L’importanza di tali investimenti, sempre più spesso, è portata all’attenzione del management aziendale con un forte impegno sul raggiungimento dei risultati da parte delle diverse funzioni aziendali. Il budget di spesa in questo segmento, quindi, non è più limitato solo all’area It ma viene in parte definito direttamente dai vari responsabili di area. Gianni Rusconi 15


SCENARI | Digital Transformation

ECCO come SI vince la SFIDA Quali trend influenzeranno le aziende nel processo di trasformazione in atto? L'Accenture Technology Vision 2016 ne delinea alcuni. Tutti basati sull’approccio “people first”.

I

l mezzo migliore per portare il Dna del cambiamento digitale dentro le organizzazioni? Le persone. La convinzione di Alessandro Marin, senior managing director di Accenture Technology per Italia, Europa Centrale e Grecia, regge su questo assunto: “Le aziende vincenti saranno quelle che muteranno la forza lavoro in funzione delle nuove dinamiche”. La disruption digitale sta ampliando gli ecosistemi in cui le organizzazioni operano, e in questo scenario il progresso tecnologico non è sufficiente per rendere un’azienda competitiva e innovativa. “La tecnologia”, spiega Marin, “da sola non basta. Al centro dell’evoluzione rimane la persona, che sarà però soggetta a shock molto rilevanti: tante attività verranno automatizzate e si creeranno nuove figure professionali”. A detta del manager di Accenture, però, nel 2020 solo in Italia avremo 176mila posti di lavoro vacanti in ambito tecnologico. “Il nostro Paese”, osserva infine Marin, “ha grandi possibilità di crescita in termini di densità digitale, con un impatto aggiuntivo sul Pil stimabile al 4% entro il 2020. Abbiamo potenzialità di evoluzione enormi ma è in corso uno sviluppo a due velocità: ci sono imprese, soprattutto di grandi dimensioni, che stanno investendo in modo strategico nel ripensamento dei modelli di business, mentre il ritardo digitale è evidente in molte medie aziende”. 16

| MARZO 2016

Fra automazione intelligente e forza lavoro “liquida”

L’aumentata capacità di calcolo computazionale nel cloud ha fatto sì che nascessero nuove generazioni di macchine con il compito di affiancare e supportare l’uomo nei processi aziendali, e in particolare in quelli di decision making. L’intelligenza artificiale, la robotica e la realtà aumentata applicata ai processi, nella vision di Accenture, consentiranno di ridurre i tempi di progettazione e sviluppo dei beni e servizi, aumentando il grado di efficienza e produttività delle imprese. Il 70% degli executive su scala globale conferma un aumento degli investimenti in automazione rispetto a due anni fa, considerando questi strumenti come una risorsa fondamentale per la crescita. La trasformazione digitale impone parimenti alla forza lavoro di essere “liquida” per adattarsi al cambiamento, per apprendere più velocemente e per garantire all’azienda la flessibilità di cui necessita. Cambiano dunque le competenze e i profili richiesti, mentre la tecnologia diventa abilitatore delle competenze grazie agli strumenti di collaborazione e di analisi predittiva. I chief information officer, in questo scenario, a detta di Accenture hanno un’occasione unica per giocare un ruolo attivo nel cambiamento, sfruttando la propria sensibilità per cogliere le opportunità della rivoluzione digitale.

Il ruolo chiave delle piattaforme

I modelli di business basati su piattaforme tecnologiche stanno dando vita al più profondo cambiamento del contesto macroeconomico globale dai tempi della rivoluzione industriale. L’81% del campione di manager intervistati ritiene che tali modelli saranno, entro i prossimi tre anni, uno dei pilastri della crescita delle proprie organizzazioni. Le aziende sono chiamate a definire strategie di utilizzo di queste piattaforme, e delle tecnologie che le abilitano (come il cloud o l’Internet of Things), per allargare il proprio ecosistema di business e ottimizzare lo sviluppo di nuovi servizi


e prodotti. Gli ecosistemi digitali, a loro volta, stanno dando origine a un’ondata di innovazione “disruptive”. Gli attuali confini aziendali spariranno, perché le organizzazioni che fino a ieri avevano un perimetro d’azione consolidato e definito potranno sfruttare la tecnologia come presupposto per allargare i propri orizzonti. Si affacceranno al mercato, in modo sempre più strutturato, nuovi attori. Le aziende più lungimiranti e intraprendenti, grazie alle informazioni raccolte e condivise, avranno inoltre maggiore visibilità sulle variabili futuTechnology Vision 2016 11 re, con la possibilità di prevedere come cambieranno in chiave digitale gli ecosistemi in cui operano. La fiducia, infine, è un pilastro dell’ecoPer completare il quadro nomia digitale per la maggior parte dei manager censiti nello studio. Ma una La Technology Vision di Accenture recenti evoluzioni della tecnologia descrive una serie di trend tecnologici e continuare a padroneggiare quelle sicurezza dei dati da sola non maggiore relativi ai prossimi tre anni. Mentre che stanno maturando. Queste basta. La necessità delle aziende è quella ogni anno segnaliamo le ultime tecnologie stanno rapidamente di rafforzare le relazioni con i clienti attendenze, è anche importante diventando la base sulla quale le traverso una strategia di “etica digitale”: riconoscere che ciascuna tendenza aziende costruiscono la prossima la cybersecurity, dunque, nell’agenda rappresenta solo una parte generazione di business, nonché i dell’insieme. Nel loro viaggio verso catalizzatori per molte delledei tendenze Ceo e dei Cio di qualsiasi organizla digitalizzazione, le aziende che analizzeremo quest’anno. zazione deve essere la priorità. Si parla dovranno tenere il passo con le più non a caso di “ethical data”, perché è vitale mantenere un alto livello di fiducia con la clientela in ambito digitale. Ne va della reputazione del marchio e della sostenibilità economica della società stessa. Gianni Rusconi

I trend tecnologici secondo Accenture

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Economia della piattaforma

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Quanto vaLGONO GLI INVESTIMENTI PER IL digitalE? La trasformazione digitale sta ridisegnando tutto: il mercato dei servizi, il modo di fare impresa, il rapporto tra cittadini e Pubblica Amministrazione, l’esperienza di ogni singolo individuo nella società e lo scambio di informazioni tra persone e aziende. Nel realizzare lo studio “Worldwide Digital Transformation Spending Guide”, gli analisti di Idc hanno quantificato l’impatto della spesa per le tecnologie della digital transformation: 2,1 miliardi di dollari nel 2019, ipotizzando un tasso di crescita composto annuo del 16,8% su quattro anni. Solo negli Stati Uniti gli investimenti orientati al digitale sono stimati in 732 milioni di dollari, mentre a livello di settori verticali quello che svilupperà la maggiore spesa è il manifatturiero, con 225 milioni di dollari. A seguire, i comparti dei trasporti e della sanità. In generale, a detta di Robert Parker, group vice president di Idc, “la digital transformation è una grande opportunità per le aziende perché consente loro di ridefinire tutta l’organizzazione interna, di migliorare le competenze del management e del personale, di offrire nuovi servizi ai propri clienti e di ottenere considerevoli vantaggi di competitività sul mercato”. La sfida cui sono chiamate le imprese sta quindi nel cogliere questa opportunità, e in tempi che non possono essere che rapidi.

17


SCENARI | Digital Transformation

Le aziende che hanno già sfruttato i vantaggi delle tecnologie innovative sono poche, pochissime: meno di una su dieci ha ottenuto incrementi di fatturato e maggiore fedeltà dei clienti. lo dice un’indagine realizzata da Capgemini.

La mentalità digitale? È ancora sconosciuta

P

oche, pochissime aziende hanno già saputo trarre un vantaggio concreto dalle nuove tecnologie. È il messaggio, esplicito e preoccupante, che proviene da uno studio (“Organizing for digital: why digital dexterity matters”) condotto da Capgemini Consulting in collaborazione con il Center for Digital Business del Mit di Boston. L’indagine ha evidenziato come solo il 7% delle imprese campionate (oltre 150 di 28 diversi Paesi) riesca a raddoppiare le possibilità di conseguire crescita, redditività e customer satisfaction rispetto ai concorrenti di settore, grazie alla propria “destrezza digitale”. E cioè alla capacità di adattare rapidamente la struttura organizzativa per ottenere maggiore valore dalle trasformazioni successive. Il fatto che meno di un’azienda su dieci dimostri un’adeguata mentalità digitale è, quindi, un segnale di allarme non indiffe18

| MARZO 2016

rente, perché evidenzia la mancanza di strategie volte a rendere operazioni e processi completamente digitalizzati, a velocizzare l’individuazione delle tendenze emergenti, a mantenere competenze elevate sulle tecnologie innovative. La maggior parte delle realtà, invece, attraversa ancora uno stadio di transizione, nel tentativo di gestire l’assestamento tra nuovi e vecchi modelli organizzativi. Molte, il 56%, sono in una fase di avvio del processo di cambiamento interno e di costruzione delle proprie conoscenze digitali. Poco più di un’azienda su cinque (il 21%) è già ben avviata nella transizione, avendo consolidato diverse capacità di personalizzazione della customer experience, di semplificazione delle attività di routine e di facilitazione della collaborazione interna ed esterna all’organizzazione. Fanalino di coda è quel 16% di aziende in situazione di “stallo”, ancora prive di

competenze digitali significative e incapaci di rispondere alle nuove tendenze e alle esigenze dei clienti. Il messaggio che sortisce dallo studio, in definitiva, è quello di un’occasione persa per molte imprese, ancora (colpevolmente) inconsapevoli della portata del cambiamento in atto. A detta di Maurizio Mondani, Ceo di Capgemini Italia, la trasformazione digitale si porta dietro impatti paragonabili a quelli registrati durante il passaggio all’energia elettrica, “quando la produttività delle aziende è salita solo dopo che le stesse hanno radicalmente ridisegnato la propria organizzazione”. Alle imprese, osserva il manager, “sono richiesti interventi maggiori per cambiare i modelli industriali tradizionali in chiave digitale. È l’unica strada possibile se si vuole beneficiare completamente di questa rivoluzione”. Piero Aprile


Uomini e robot, matrimonio possibile

Roberto Chinelli

La grande ascesa degli strumenti “smart” è il punto di partenza: le aziende sono pronte ad affrontare questa rivoluzione?

L

e tecnologie “smart” stanno cambiando l’ambiente in cui viviamo e lavoriamo. Ogni azienda si trova di fronte al dilemma di come associare il valore aggiunto offerto dall’innovazione digitale con le attività svolte dalle persone. A che punto è oggi il processo di integrazione fra le tecnologie intelligenti e il lavoro umano? Il dibattito è aperto e Technopolis ne ha parlato con Roberto Chinelli, chief technology innovation officer di Avanade in Italia.

Il processo di digitalizzazione che sta interessando tutti i settori, e con esso i robot e l’intelligenza artificiale, sono una minaccia reale per i lavoratori?

È un dato di fatto che la tecnologia stia cambiando i paradigmi e gli scenari lavorativi e sociali, e ciò può essere interpretato come un elemento positivo o negativo. I manager che hanno partecipato a un’indagine condotta da Wakefield Research per conto di Avanade hanno affermato che il 20% dei posti di lavoro potrebbe in futuro cambiare fisionomia grazie all’utilizzo delle tecnologie smart. Per il campione italiano la percentuale sfiora il 25%. Col tempo si presenterà alle aziende e ai dipendenti l’opportunità di confrontarsi con nuovi ruoli, oltre all’esigenza di riqualificare quelli esistenti. Un dato per sintetizzare i benefici delle tecnologie intelligenti?

Il 63% delle aziende a livello globale e il 79% di quelle italiane stanno già riscontrando diversi vantaggi derivanti dai propri investimenti in tecnologie

smart: fra questi, l’aumento dei ricavi, una migliore customer experience e un maggior livello di soddisfazione dei dipendenti. È realmente rischioso affidare poteri decisionali all’intelligenza artificiale?

Fino a quando si riuscirà a distinguere fra macchina e persona non sarà prassi comune accettare un “consiglio” da un’intelligenza artificiale. Va però tenuto conto che già oggi, in senso molto lato, prendiamo ordini da queste soluzioni: quando facciamo una previsione di mercato, per esempio, assecondiamo la teoria delineata da un algoritmo, e di conseguenza seguiamo un’indicazione proveniente da qualcosa che si avvicina a un’intelligenza artificiale. Nel tempo noteremo che la linea di demarcazione tra mondo fisico e virtuale si andrà sempre più assottigliando. E i manager avranno il bisogno di comprendere il ruolo che le nuove tecnologie dovranno ricoprire nei processi aziendali. Molti pensano che le macchine saranno in grado di prendere decisioni di business come gli esseri umani…

Ci sono macchine alle quali ci affidiamo per svolgere calcoli o previsioni che altrimenti non saremmo in grado di fare. Su alcune decisioni di business esistono già soluzioni che sintetizzano questo procedimento: si pensi a Facebook e al suo sistema per suggerire il migliore banner in base al comportamento di un utente. Questi algoritmi aiutano a fornire esperienze coerenti in maniera coinvolgente e personalizzata, proprio come vogliono i consumato-

ri finali. Le aziende, e in particolare quelle in cui è richiesto un livello di analisi avanzato, continueranno a fare affidamento sulle macchine come supporto ai processi decisionali, e dovranno comprendere i diversi scenari in cui un algoritmo potrebbe impattare sulla vita di addetti e clienti. Per i Ceo o i Cio di una medio/grande azienda italiana c’è un vademecum da seguire in tema di tecnologie smart?

È fondamentale usare gli strumenti digitali in maniera etica per contribuire a migliorare le esperienze, senza creare impatto negativo su una persona o un’organizzazione, violando la loro privacy. Le tecnologie intelligenti porteranno nelle aziende l’esigenza di creare nuove linee di condotta, al fine di garantire che i dati, i sistemi e le applicazioni vengano gestiti in modo corretto e che le imprese possano operare in maniera responsabile. A tal proposito, la nostra ricerca ha rivelato che meno della metà degli intervistati in Italia, il 40% per la precisione, ha già stabilito un nuovo codice etico o sviluppato nuovi ruoli per far fronte a questo scenario. La grande maggioranza, invece, pensa di investire fino al 10% del budget It nello sviluppo di una nuova etica digitale in azienda nei prossimi cinque anni. G.R. 19


SCENARI | Digital Banking

dall’e-business al d-business I processi transattivi online sono stati solo il primo passo. Nell’era dell’omnicanalità, il mondo bancario è chiamato a una vera trasformazione in chiave digitale, che non passa solo attraverso l’innovazione tecnologica.

“F

ra le priorità di business per il 2016 delle banche italiane, la digital transformation è al quarto posto. Le prime tre riflettono le esigenze di crescita e di sviluppo degli istituti di credito e riguardano nell’ordine la customer experience, l’efficacia del marketing e il miglioramento dei risultati di vendita. Il settore non può, però, rimanere ingessato intorno a fattori come la compliance o la sicurezza”. L’analisi che Fabio Rizzotto, senior research and consulting director di Idc Italia, fa a Technopolis è chiara e lascia intendendere che l’appuntamento con il digitale non è procrastinabile. In termini generali, è evidente come il cambiamento atteso nei prossimi dodici mesi interessi molto la componente It, tanto che il 55% dei Cio (secondo la “Vertical Market Survey 2015” di Idc) ha confermato di aver condotto una riorganizzazione importante dell’area informatica nel corso dell’ultimo anno. La spesa tecnologica delle banche italiane, prevista in attivo di qualche punto percentuale, rifletterà il cambiamento di paradigma in corso, concentrandosi in modo particolare sulle soluzioni di supporto all’innovazione del business e sull’implementazione o aggiornamento degli strumenti di analytics. Gli investimenti in chiave digitale, in altre parole, riguarderanno in modo importante anche le infrastrutture 20

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hardware e software, mentre le linee di business delle aziende saranno maggiormente coinvolte nelle strategie It. “La digital transformation in campo bancario”, secondo Rizzotto, “è la convergenza di vari fattori, dai cambiamenti della leadership all’omnicanalità, dall’evoluzione delle modalità di gestione del dato e dei modelli operativi, anche grazie alle tecnologie e ai sistemi dell’IoT, fino alla trasformazione della forza lavoro. Siamo solo all’inizio, ma incamminati nella giusta direzione”. Il problema, semmai, è che poche aziende hanno già scaricato a terra i benefici delle tecnologie digitali. Quanto impiegherà il mondo del banking a massimizzare questi vantaggi? La convinzione dell’analista di Idc è che molte banche e istituzioni finanziarie stiano già conseguendo ritorni da iniziative digitali. “Per il settore nel suo complesso”, prosegue Rizzotto, “il risultato può apparire ancora poco sistemico in termini di capacità di risposta a fenomeni globali dirompenti, che scuotono gli equilibri del settore e in generale dell’economia. Tuttavia, se consideriamo il ritardo accumulato negli anni e la fortissima esigenza di cambiamento, possiamo osservare negli ultimi 12/18 mesi un’accelerazione delle iniziative di trasformazione, che coinvolgono sempre più processi e organizzazioni insieme alla sfera tecnologica”.


Parlando di organizzazione, ecco che entra in gioco la componente “workforce”: servono nuove figure dedicate per guidare la trasformazione digitale nelle banche? Sì, a detta dell’esperto di Idc, ma con una precisazione necessaria: “La ricerca dei talenti è una sfida e si sta giocando su due direttrici principali. Una interna, come occasione di crescita delle molteplici competenze esistenti, e una all’esterno attraverso la ricerca sul mercato di nuove capacità che sono espressione dell’era digitale. Il data scientist è una figura molto richiesta, ma lo sono altrettanto le competenze di management, perché la digital transformation richiede anche digital leadership”. L’approccio di una grande banca

“Stiamo entrando nella seconda fase dell’evoluzione tecnologica delle banche, nella prima ci si è concentrati sull’aspetto transattivo, oggi il passo necessario è quello di far vivere al cliente una vera esperienza digitale”. La fotografia scattata da Paolo Cederle, Ceo di UniCredit Business Integrated Solutions, ci aiuta a capire come

gli istituti finanziari debbano ripensare i propri modelli, digitalizzando alcuni processi strategici. “Per esempio”, dice il manager, “la vendita di prodotti, ancora oggi molto limitata in tutta Europa. Bisogna trovare una via nuova, valorizzando gli asset fisici e tradizionali senza imitare in tutto e per tutto le realtà all-digital del Fintech”. I fronti di azione sono diversi e quello dei dati è sicuramente da considerare. “Le informazioni che abbiamo a disposizione”, dice Cederle, “sono usati ancora in percentuale molto limitata ma sono un asset fondamentale per creare nuovi livelli di servizio. Sui Big Data stiamo lavorando molto ma c’è ancora tantissimo da fare, e non solo per capire meglio il cliente. Bisogna pensare in maniera nuova e orientata al digitale e si tratta di un processo evolutivo che porta a rinnovare l’offerta considerando che le tempistiche dei cicli di innovazione si sono ridotti”. Un’applicazione pratica di questo concetto? La possibilità di aprire un conto corrente senza passare dalla filiale rispondendo a un questionario online di 15 domande. Gianni Rusconi

La rivoluzione di mobile, cloud e social media Secondo uno studio commissionato da Emc a Vanson Bourne, alcune tecnologie, più di altre, hanno cambiato in modo radicale le aspettative dei clienti verso gli operatori del finance e il modo di fare business di questi ultimi. Quali? Innanzitutto i dispositivi mobili, citati dal 64% di un campione di 750 intervistati, fra opinion leader, accademici, esperti e manager appartenenti ad aziende del settore. Seguono i social media (segnalati nel 41% dei casi) e il cloud computing (48%). Lo scenario di riferimento dei servizi finanziari, in altre parole, è in forte evoluzione e in questo proces-

so gioca un ruolo determinante la componente digitale. Oggi i clienti di questo settore considerano alcuni elementi come requisiti irrinunciabili. Per il 58% degli intervistati, infatti, gli utenti esigono un accesso ai servizi in modalità 24/7 e un’identica percentuale è concorde nel ritenere la velocità di accesso un elemento chiave, in grado di condizionare il giudizio sul proprio operatore. Sono il 56% del totale, invece, coloro che indicano la necessità di una fruizione multicanale e multipiattaforma come fattore differenziante per la soddisfazione degli utenti.

Dall’analisi emerge, per contro, come le aziende attive in questo mercato oggi non siano ancora del tutto pronte a massimizzare le potenzialità offerte dai nuovi paradigmi, soprattutto per quanto concerne la componente Big Data. Stando all’indagine, il 53% degli istituti finanziari non si sente ancora in grado di gestire al meglio la quantità di informazioni possedute, mentre solo il 32%, riesce a prendere decisioni in tempo reale grazie all’analisi dei dati e il 26% è sulla strada giusta per fare leva sugli strumenti che permettono di trasformare il dato in indicazioni utili. 21


SCENARI | Digital Banking

Le tecnologie digitali sono l‘abilitatore del cambiamento della relazione con il cliente e del modo di fare business. Ma servono investimenti e una visione aperta su nuovi fenomeni come il Fintech e il Blockchain.

i nuovi modelli per trasformare la filiale

M

olte delle sfide che oggi il sistema finanziario si trova ad affrontare sono intimamente legate alla tecnologia. Le banche si confrontano con decisioni critiche che riguardano la ricerca di nuovi motori di crescita, la riduzione dei costi, l’evoluzione regolamentare e i bisogni dei clienti. Tutti elementi accomunati da profonde implicazioni tecnologiche. I consumatori, abituati alle performance degli operatori della nuova economia quali Amazon e Google, pretendono livelli di servizio sempre più elevati da tutte le aziende con le quali interagiscono, alzando significativamente la soglia di accettabilità della user experience. E sono sempre più insofferenti rispetto a prassi esclusivamente legate al mondo fisico. Il digitale ha portato una nuova ondata di innovazione che sta profondamente trasformando il settore bancario: è un’opportunità per migliorare il modo 22

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di fare business e le interazioni con i clienti, ma anche una sfida che richiede investimenti Ict significativi e differenziali. Per il settore finanziario utilizzare le tecnologie vuol dire creare un legame positivo tra i clienti e le filiali sul territorio. “Fare banca”, oggi, impone una trasformazione basata sulla progressiva specializzazione dei modelli di servizio e di presidio della clientela. E il digitale è l’abilitatore di questa trasformazione. Secondo il nostro punto di vista, stanno nascendo tre modelli: la “banca facile” (“easy bank”) per famiglie e piccoli operatori, la “banca di relazioni” (“relationship bank”) per le Pmi e la “banca di consulenza” (“advisory bank”) per grandi aziende e multinazionali. Il primo modello è pensato principalmente per erogare un servizio al dettaglio di buona qualità con una struttura economica compatibile, senza rinunciare alla presenza sul territorio. Le filiali si

Alberto Antonietti

trasformeranno sempre di più in punti vendita inseriti in uno o più micro-territori, e saranno “hub” commerciali che presidieranno mirate occasioni di contatto, minoritarie rispetto all’elevatissima frequenza di interazione digitale, ma che continueranno a determinare il 7080% dei ricavi. Le modalità di accesso ai prodotti bancari (prestiti, mutui) dovranno essere reinterpretate secondo


Il gap tecnologico DELLE BANCHE

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olo il 6% dei membri del Cda e solo il 3% degli amministratori delle principali istituzioni finanziarie mondiali hanno una qualche esperienza professionale in campo tecnologico, stando a uno studio di Accenture (“Bridging the technology gap in financial services boardroom” ). Eppure molte delle sfide che le istituzioni finanziarie devono fronteggiare in quest’epoca sono connesse con la tecnologia. Il Fintech, la cyber-sicurezza e le implicazioni tecnologiche derivate dai cambiamenti normativi sono diventate tutte questioni critiche da affrontare dentro il Consiglio d’Amministrazione, mentre molte boardroom non hanno sufficiente esperienza per valutare questi problemi e prendere decisioni sulla strategia, sugli investimenti e sul modo migliore per allocare risorse informatiche.

L’indagine, sulla base di un’analisi delle esperienze professionali di quasi duemila executive di più ​​ di un centinaio tra le più grandi banche del mondo, definisce “esperienza tecnologica” il ricoprire o l’aver ricoperto un ruolo di alto livello nel dipartimento Ict di una società, oppure un ruolo dirigenziale in una società tecnologica. I Cda delle banche negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno percentuali più elevate di dirigenti con esperienza professionale tecnologica rispetto a quelli di tutti gli altri Paesi, ma i numeri sono ancora bassi (rispettivamente il 16% e il 14% degli amministratori). L’Italia, al pari di Brasile, Grecia e Russia, è il fanalino di coda di questa classifica con una rappresentanza dell’esperienza tecnologica a ridosso dello 0%. Molte banche, tuttavia, si stanno rendendo conto di quanto sia importante colmare que-

sto divario e sono alla ricerca di esperti di tecnologia da integrare nel proprio organico. Ma questo non è sufficiente. Le banche devono cambiare in primis a livello di cultura aziendale, attraverso una combinazione di nuove competenze e una migliore alfabetizzazione degli altri amministratori, per favorire la comprensione dell’impatto della tecnologia sul business. Hanno soprattutto bisogno di un chiaro programma di innovazione con obiettivi misurabili, piani di investimento e strategia di esecuzione. I membri dei Cda hanno un ruolo chiave da svolgere in questo processo di cambiamento ma, per farlo, avranno bisogno di colmare l’evidente gap di esperienza in campo tecnologico che oggi caratterizza i Cda stessi.

la prospettiva di utilizzo “real time” del cliente e non secondo gli schemi tradizionali della banca, che viaggiano a velocità più lente. L’obiettivo è quello di rivoluzionare la customer experience e diventare una “Gafa bank” (Google, Apple, Facebook, Amazon bank).

così in gioco i “robot advisor” che permettono al gestore di consigliare soluzioni sempre aggiornate per far fruttare e proteggere i risparmi, rispondendo ai movimenti e alla volatilità di mercato. Sul fronte del credito, considerando l’elevato rischio intrinseco delle Pmi, è importante introdurre unità per valutare centralmente i progetti imprenditoriali e dare risposte rapide, affiancando alle forme tradizionali di finanziamento nuovi strumenti alternativi come le piattaforme di prestiti peer-to-peer. I bisogni della fascia alta del mercato sono, infine, la mission del modello di “advisory bank”, che ha fra le sue attività chiave la consulenza per la gestione dei grandi patrimoni. Per essere riconosciuti sul mercato per la qualità di questi servizi sono necessari importanti investimenti per valorizzare il posizionamento del brand e per innovare gli asset tecnologici, guardando al fenome-

no Fintech per trovare attori in grado di abilitare nuovi schemi di business. Ciascuno dei tre modelli non può prescindere da alcuni fattori cruciali come la creazione di una customer experience eccellente, che a sua volta non può prescindere dal digitale. L’innovazione è inarrestabile. Si stanno delineando le caratteristiche del Blockchain, uno strumento che può rivoluzionare il mondo dei pagamenti perché in grado di agire sugli “asset digitali” (finanziari e non), con profonde implicazioni sul ruolo delle banche, sui servizi resi ai consumatori e, più in generale, su come potranno evolversi i modelli di business digitale futuri. Possono le banche non considerare questa opportunità?

L’evoluzione del fattore servizio

Il secondo modello risponde alle esigenze di chi vede il rapporto con la banca come una relazione personale con un interlocutore qualificato e di fiducia, sia esso un gestore, un promotore o un “personal banker”. I clienti in portafoglio da gestire sono molti e le esigenze da presidiare da gestire variegate. Ė necessario quindi creare team di supporto dedicati e strumenti digitali e automatici ad alto valore per dare risposte rapide e di qualità ai clienti a un costo sostenibile, sia su tematiche di gestione del credito sia di allocazione degli investimenti. Entrano

Alessandro Onano, chief marketing officer di MoneyFarm.com

Alberto Antonietti, managing director strategy lead per i financial services area Iceg (Italia, Europa Centrale, Grecia) di Accenture 23


SCENARI | Digital Banking

IL digitale NEl Finance: ecco perché il DevOps fa la differenza

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li istituti finanziari sono in prima linea nel processo di digital transformation. Nomi affermati si trovano a dover competere non solo con le banche online ma anche con nuovi attori quali Apple Pay e Google Wallet. L’online banking si è già sviluppato enormemente, ma il crescente utilizzo di strumenti mobile, social media e Big Data ne aumenterà ulteriormente la complessità. Sulla base di un’indagine su questo tema, la società di ricerca Altimeter ha definito la trasformazione digitale come “un riallineamento o un nuovo investimento in tecnologie e modelli di business che possano coinvolgere più efficacemente gli utenti digitali in ogni punto del cerchio della customer experience”. Il contesto in cui le aziende competono è caratterizzato da tre elementi principali. Il primo è la capacità di offrire un’esperienza personalizzata e omnicanale; il secondo è un time-to-market ridotto al minimo per le innovazioni o i nuovi prodotti (per esempio, prestiti con interessi più bassi oppure offerte di carte di credito); il terzo è la maggiore reattività, come quella che un

Fabrizio Tittarelli

nostro cliente ha ottenuto raccogliendo feedback dai suoi clienti attraverso Facebook e Twitter. La chiave per soddisfare queste impegnative esigenze sta nella capacità di produrre adeguatamente nuove e innovative applicazioni (il “motore”), bisogna cioè intervenire sul cosiddetto Software Development Lifecycle (Sdlc). Oggi nessuno costruirebbe un’automobile con le tecniche, i processi e le tecnologie di dieci anni fa; e la stessa logica si applica al settore finanziario. Come tenere dunque aggiornato l’Sdlc? La sfida principale oggi è quella di offrire un’esperienza digitale di alta qualità, ma molte banche utilizzano sistemi di back-end che non sono stati progettati pensando

alla flessibilità e allo sviluppo applicativo veloce. Un’interfaccia grafica superbamente disegnata non significa nulla se, per esempio, si verificano ritardi nel recupero di dati da un Erp o da un sistema per la contabilità. Per molti anni gli Erp, i Crm, le applicazioni di transactional banking e di customer center sono stati sviluppati, implementati e gestiti da gruppi di lavoro distinti, in base a budget e metriche diverse. Adesso, però, il cliente si aspetta che tutto sia connesso. L’applicazione dei principi che stanno alla base del DevOps può essere la soluzione. L’idea di fondo è far lavorare insieme due team tradizionalmente separati, quello del Development e quello delle Operations, attraverso una maggiore collaborazione, migliori processi e tecnologie abilitanti, per velocizzare il rilascio delle applicazioni e migliorare le caratteristiche degli applicativi prodotti. Rapidità e qualità devono combinarsi, un solo elemento non è sufficiente. Fabrizio Tittarelli, Chief technology officer di CA Technologies Italia

Misurare la digital performance Gli istituti finanziari affrontano oggi una fase di profonda trasformazione per poter servire meglio i propri clienti e per attirare l’attenzione dei futuri utenti. A questo scopo, le applicazioni per il Web e i dispositivi mobili svolgono un ruolo fondamentale. Nel mondo digitale, le banche saranno misurate in base alla capacità di attrarre, coinvolgere e mo-

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netizzare i clienti attraverso i nuovi canali, sui quali il numero di interazioni è destinato a crescere in modo costante del 10% anno su anno. Gli istituti bancari, tuttavia, si scontrano con complessità evidenti rispetto a questo contesto, dovute alla difficoltà di soddisfare le aspettative sempre più elevate dei clienti in termini di rapidità, facilità d’uso e disponibi-

lità. Sapere chi utilizza queste applicazioni, su quale dispositivo/sistema operativo e a quale fine è spesso un compito improbo. La soluzione? Ottimizzare strumenti di digital performance che permettono di monitorare ogni azione di ogni utente in modalità 24x7, qualunque sia la forma di interazione con l’applicazione e il canale adoperati. P.A.


SPECIALE | Software gestionale

La domanda di sistemi Erp on premise vive da anni una fase di stagnazione, compensata dalla crescita della spesa in soluzioni di Crm, Scm e Business Intelligence. Cloud e app impongono una revisione delle scelte di piattaforma. Ed è qui che si gioca la sfida.

quale strada scegliere?

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l mercato del software applicativo in Italia, secondo il “Rapporto Assinform 2015” redatto da NetConsulting, valeva nel suo complesso, a fine 2014, poco meno di quattro miliardi di euro, con una crescita di pochi punti percentuali rispetto al biennio precedente. L’incidenza delle soluzioni orizzontali e verticali era nell’ordine dei 2,5 miliardi. In attesa dei dati dell’edizione 2016 dello studio, ancora non disponibile nel momento in cui scriviamo, possiamo comunque analizzare alcune tendenze. In campo Erp, pur rimanendo ampio il numero di sistemi in esercizio, rimangono prevalenti le soluzioni installate da più tempo (tendenzialmente quelle dei grandi vendor), soprattutto nel tessuto delle medie e grandi aziende. I dati aggiornati a dodici mesi fa ci dicono però come proprio la maturità del parco installato, unitamente alla propensione delle aziende ad adottare

prodotti “best of breed” piuttosto che piattaforme estese, abbia contribuito alla frenata dei sistemi on premise, la cui domanda nel 2014 è scesa di circa il 3%. Per contro, gli investimenti in soluzioni di Business Intelligence, Supply Chain Management e Crm sono lievemente aumentati. Per questi ultimi, in particolare, i principali motori della crescita sono stati l’esigenza di aumentare la soddisfazione e l’experience dei clienti e l’integrazione degli strumenti tradizionali con i social e gli analytics. Ma quali cambiamenti caratterizzano oggi il mondo del software applicativo? Tanto il cloud quanto le app mobili sono elementi che stanno avendo un forte impatto. È in corso, per esempio, un’evidente transizione degli ambienti di produzione dalle soluzioni on premise a quelle nella nuvola, e parallelamente c’è grande fermento per quanto concerne l’aggiornamento dei “vecchi”

sistemi Erp alle mutate esigenze di gestione delle organizzazioni. Alcuni addetti ai lavori parlano, non a caso, di un mercato saturo relativamente ai processi tradizionali, un mercato che propone applicazioni fra loro sostanzialmente equiparabili nelle funzionalità dedicate ad amministrazione e controllo, acquisti e vendite. I cambiamenti dei modelli di business, le complessità imposte dall’esigenza di innovare più velocemente, la pervasività delle tecnologie mobili e di collaboration di nuova generazione impongono per contro un “update” a scelte di piattaforma risalenti addirittura agli inizi degli anni Duemila. L’esigenza (interna alle aziende) di sviluppare nuovi applicativi per soddisfare i dogmi della rivoluzione digitale, insomma, potrebbe condizionare in modo decisivo la battaglia per la supremazia tra i vendor. Piero Aprile MARZO 2016 |

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SPECIALE | Software gestionale

L’IMPERATIVO è LA FLESSIBILITà Il cloud ha cambiato i paradigmi d’uso dei sistemi gestionali. La possibilità di scegliere fra più modelli operativi è il punto di partenza. I vendor in coro: il modello ibrido accompagnerà le aziende nel processo di trasformazione digitale.

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cegliere se perseguire progetti tattici o strategici, orientandosi al modello cloud piuttosto che a quello on premise. Il compito dei responsabili dei sistemi informativi, quando si tratta di mettere a budget un nuovo investimento per una piattaforma gestionale rischia oggi, ma solo in apparenza, di essere molto più complesso rispetto al recente passato. E questo perché le implicazioni relative all’integrazione, alla scalabilità e alla flessibilità d’uso della soluzione applicativa si sono fatte più importanti per soddisfare gli obiettivi di efficienza e produttività di processi e addetti. Quali sono, di conseguenza, i vantaggi (lato azienda) del modello “as a service” rispetto a quello tradizionale? Lo abbiamo chiesto ad alcuni fra i principali fornitori di questo settore. A detta di Daniele Lombardo, direttore product marketing di TeamSystem, “la scelta è dettata dalle specificità dell’azienda e dal mercato in cui opera. L’Erp in cloud rappresenta ancora una quota marginale di mercato, ma sta crescendo e ci sono casi di successo che lo confermano. Le nuove aziende e le startup sono i soggetti che scelgono questa modalità di fruizione con il vantaggio di utilizzare un sistema pay-per-use, che incide in modo variabile sul conto economico della neonata impresa”. C’è, per questa tipologia di utenza, una seconda opportunità da poter cogliere: quella di 26

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non avere una storia aziendale alle sue spalle e più precisamente, come spiega Lombardo, “la possibilità di adattarsi facilmente ai modelli coperti dall’Erp come standard, rendendo ancora più efficace l’approccio cloud”. Un’alternativa praticabile con indubbi benefici, aggiunge però il manager di TeamSystem, è l’adozione di un modello misto, “in cui il cuore del sistema gestionale resta in azienda, mentre la copertura di processi trasversali è appoggiata sulla nuvola abbracciando servizi che vanno dalla gestione delle fatture con firma elettronica e dei documenti contabili alla piattaforma di commercio elettronico intesa come naturale estensione dei processi di vendita del sistema Erp”. L’approccio ibrido è quello vincente

Anche per Riccardo Sponza, direttore marketing della divisione Dynamics di Microsoft Italia, i vantaggi operativi offerti dal modello “as a service” hanno già fatto breccia in diverse industry, registrando livelli crescenti di adozione. “La possibilità di scegliere tra implementazione on premise, cloud o ibrida”, spiega il manager, “rappresenta una grande flessibilità e consente di implementare soluzioni in linea con le esigenze specifiche dell’azienda”. Per Roberto Battaglioli, sales director Sage X3 di Gruppo Formula, c’è però un aspetto che non va trascurato e che chiama in causa i nuovi confini dell’It.


“Il cambiamento che sta prendendo forma nel mondo dei sistemi gestionali”, osserva il manager, “ci porta sempre più a sentir parlare di ‘post-Erp’, mentre il cloud, senza dubbio, sta costringendo le aziende a ripensare processi e strategie che necessariamente dovranno tenere conto di questa tecnologia ormai accessibile a tutti”. E che pian piano si sta diffondendo nel tessuto delle imprese italiane, almeno secondo Battaglioli. “Nonostante esistano ancora resistenze al processo di adozione di soluzioni in cloud, dovute al distacco fisico dai propri dati e alla mancanza di una rete infrastrutturale adeguata, la liberazione dall’infrastruttura fisica sta rappresentando un passaggio epocale. L’utilizzo degli smartphone e dei device mobili,

inoltre, ha radicalmente cambiato l’approccio a molte delle nostre abitudini quotidiane, compresa la modalità di accesso ai dati aziendali”. Allargando lo sguardo, la riflessione di Zoran Radumilo, innovation sales director di Sap Italia, ci invita a considerare come oggi le aziende e gli utenti stessi si aspettino di poter accedere immediatamente a un software semplice da adottare e usare. “Il modello cloud”, dice il manager, “indirizza in modo preciso proprio queste esigenze: sfruttandone le potenzialità, le aziende possono ottenere maggiore flessibilità, semplicità e un minore total cost of ownership, mentre gli addetti possono avere un accesso alle applicazioni immediato, quando e dove necessario”. La casa tedesca, pur

Il gestionale segue LA MODA Gestire gli ordini, la produzione, i punti vendita (fisici o digitali), le attività di marketing: sono alcune delle necessità del settore della moda, ben rappresentato in Italia da molte piccole e medie aziende. A questa clientela, in buona parte concentrata nel Nord dello Stivale e fatta di realtà attive nel campo dell’abbigliamento, degli accessori e delle calzature, ProgettoUno fornisce singoli moduli software o soluzioni integrate, utilizzabili sia attraverso l’installazione on premise, sia come servizi cloud. “Le nostre soluzioni”, spiega il marke-

ting manager, Nicola Tommasin, “risolvono le principali necessità che spesso corrispondono alle principali problematiche per l’intero workflow del settore fashion”. L’elenco è nutrito: si va dal dover gestire la fase di progettazione, alla pianificazione della produzione, fino al controllo di quest’ultima e alle analisi di performance, all’aggiornamento del sistema degli ordini, alla conoscenza della situazione di ciascun cliente, all’analisi dei Kpi (Key performance indicator) di vendita e alle azioni di marketing attraverso i social media. V.B.

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TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUWER TAX&ACCOUNTING ITALIA

UN FUTURO DI CONDIVISIONE PER I PROFESSIONISTI 3.0

Pierfrancesco Angeleri, managing director Wolters Kluwer Tax&Accounting Italia

Il mondo dei professionisti è in evoluzione costante e parallela a quella della clientela. I professionisti sono chiamati a prendere decisioni altamente critiche ogni giorno, e in questo devono essere supportati da strumenti tecnologici che li aiutino a lavorare in piena sicurezza. Wolters Kluwer sa che il professionista del Terzo Millennio svolge la propria attività sia all’interno dell’organizzazione sia all’esterno, nell’interazione con i clienti e partner. Wolters Kluwer, dunque, offre soluzioni intelligenti, costruite su workflow accertati, che si adattano continuamente alle nuove esigenze applicando tutte le opportunità offerte dalla tecnologia. Pierfrancesco Angeleri, managing director Wolters Kluwer Tax&Accounting Italia, ha ben chiare le necessità del professionista 3.0: “Liberare risorse qualificate e restituirle alle attività di maggiore valore aggiunto. Avere una visione della capacità di affianca28

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mento alla clientela e certamente gestire gli adempimenti, ma toglierli dalla centralità delle attività. La consulenza, la condivisione e la collaborazione sono le nuove frontiere dello studio professionale. La versione 3.0, appunto”. La collaborazione è necessaria per liberare un potenziale straordinario che non sempre oggi riesce a esprimersi, a causa dell’impegno sempre maggiore per gli adempimenti. Scadenze ravvicinate, procedure complesse, norme sempre nuove moltiplicano il lavoro (e i rischi) per il professionista, al quale spesso manca il tempo per dedicarsi ad attività a più alto valore aggiunto. La soluzione collaborativa viene da Wolters Kluwer Tax&Accounting, protagonista del mercato del software con un’importan te presenza territoriale, che sviluppa l’eredità di marchi storici tra cui Ipsoa, Osra e Artel. Una realtà inserita in un grande gruppo internazionale quotato in Borsa, presente in oltre 40 Paesi e che ha fatto dell’informazione e dei servizi ai professionisti e alle aziende la propria missione. Il futuro che Wolters Kluwer prospetta è ben diverso dal presente. Le soluzioni digitali faranno parte di un insieme completamente nuovo, che consentirà una gestione delle attività e del tempo condivisa e razionale. Si potrà dedicare molto più tempo ai servizi a maggior valore aggiunto e si potrà offrire alla clientela un rapporto di partnership ancora più attivo. Si comporrà un “team virtuale” che unisce il professionista e il suo cliente, e si tenderà a lavorare sul medesimo insieme di dati. Impresa e professionista lavoreranno su un unico archivio, condiviso in modo sicuro e protetto. È questa la vera frontiera del professionista 3.0, del quale Wolters Kluwer Tax & Accounting ha ben chiare la figura e la funzione. Con le soluzioni Wolters Kluwer il professionista renderà la gestione dell’attività redditualmente molto più efficace e avrà spazi e opportunità per erogare quei servizi a valore aggiunto che la clientela e il mercato italiano chiedono. Pierfrancesco Angeleri ne è convinto: “Il professionista 3.0, grazie ai nostri software, vedrà l’automatizzazione del rapporto tra azienda e studio professionale, e vedrà valorizzata la condivisione e la collaborazione con il suo cliente”. Un rapporto che si cementerà sulla solida base delle innovazioni digitali di Wolters Kluwer.


DANIELE LOMBARDO - TEAMSYSTEM

ZORAN RADUMILO - SAP

GIANFRANCO CAIMI - ORACLE

modalità di utilizzo dell’applicativo, ma aziende che hanno compreso i vantaggi reali e la sicurezza derivanti dall’ambiente cloud e hanno deciso di spostare in questo ambiente anche le applicazioni mission critical”. Anche Radumilo di Sap Italia conferma l’assenza di rilevanti differenze di adozione dei due modelli in un settore o nell’altro. “Quello che solitamente registriamo”, spiega, “è legato più a esigenze specifiche da parte delle diverse linee di business all’interno dell’azienda e in questo sono i responsabili delle divisioni finance, marketing e risorse umane a dimostrarsi i più aperti al cloud”. L’interesse verso gli Erp nella nuvola, insomma, è oggi un denominatore comune per differenti dimensioni aziendali, mercati di competenza e processi. Vale per le imprese di servizi come per quelle manifatturiere, perché tutte (prima o poi) devono avviare un percorso di digital transformation, appoggiandosi a tecnologie che permettano loro di accedere ai dati ovunque e da qualsiasi dispositivo. E l’Erp, come ricorda Caimi di Oracle, “rimane il cuore dei processi gestionali”. Piero Aprile ROBERTO BATTAGLIOLI - GRUPPO FORMULA

Un altro aspetto della questione lo affronta Gianfranco Caimi, direttore vendite Oracle Applications Erp di Oracle Italia. “La validità di un sistema gestionale si misura sulla qualità dei dati e sull’effettivo utilizzo di essi nei processi aziendali”, questa la premessa del manager della casa californiana.“L’Erp è il punto di partenza della trasformazione digitale e della capacità di fruire di sistemi informativi in modalità cloud o pay-per-use, aspetti che risultano fondamentali per la realizzazione di strutture sempre più agili, affidabili, sicure e coerenti con organizzazioni in continua evoluzione”. Quanto ai vantaggi insiti nella nuvola, per Caimi non ci sono dubbi: “Aiuta a risolvere uno degli annosi problemi degli Erp, quello di non riuscire a essere sempre allineati con l’evoluzione del business aziendale, vuoi perché questo richiede nuove tecnologie abilitanti non disponibili sull’ultima versione on premise installata, vuoi perché esige nuove funzionalità e processi anch’essi non presenti, a meno di costosi upgrade, sulle versioni installate sui server aziendali”. L’Erp moderno e in cloud, dicono convinti da Oracle, aiuta le aziende a reinventare la produttività e i processi, offrendo nel contempo completezza funzionale, una user experience molto vicina alle app che utilizziamo tutti i giorni sugli smathphone e la fru-

RICCARDO SPONZA - MICROSOFT

Il vantaggio dell’Erp in cloud

izione via mobile. E per questo diventa una leva competitiva e differenziante. “La questione”, conclude Caimi, “non è se le aziende porteranno il loro Erp in cloud, ma semplicemente quando lo faranno. È però impensabile che dimentichino all’improvviso i sistemi gestionali tradizionali e anni di investimenti a essi dedicati. Il modello ibrido, Saas e on premise, sarà quindi uno degli elementi caratterizzanti dei sistemi informativi dei prossimi anni perché evita la necessità di una migrazione completa nell’immediato, permettendo invece una conversione graduale di processi e utenti”. Sulla stessa lunghezza è anche Enza Fumarola, vice president sales di Infor in Italia. A suo dire, le aziende della Penisola “prediligono un approccio ibrido, e tuttavia sia le grandi sia le piccole aziende mostrano un concreto interesse nei confronti del cloud, che rivoluziona il modo in cui viene fornito il software riducendo sensibilmente l’investimento It iniziale”. La propensione verso il modello “as a service” è trasversale a praticamente tutti i settori. “Non ci sono industry”, spiega la manager di Infor, “che privilegiano il Saas rispetto ad altre

ENZA FUMAROLA - INFOR

contando circa 95 milioni di utenti attivi nel cloud a livello mondiale e su un portfolio di oltre 30 soluzioni per tutte le “line of business”, riconosce che la formula dell’on premise presenta ancora indubbi vantaggi. Vantaggi che Radumilo sintetizza nel controllo esclusivo dei sistemi e nella gestione interna dei dati sensibili: “Offrire al cliente la scelta di operare in modalità as a service, su piattaforme on premise o ibride, senza imporre il ritmo di migrazione al cloud, permette loro di affrontare la problematica in modo graduale e senza elementi di disruption”.

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SPECIALE | Software gestionale

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l’integrazione abbatte le barriere Sistemi Erp personalizzabili e modulari, accessibili tramite cloud e dispositivi mobili, dotati di capacità di analytics e in grado di importare ed esportare dati verso altre applicazioni. Così cambia l’offerta per le aziende di ogni dimensione.

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oter avere allo stesso tempo una visione d’insieme e una visione estremamente analitica di tutto ciò che riguarda l’azienda: è il sogno di ciascun imprenditore. Ed è anche la sfida che i software gestionali più al passo con i tempi stanno cercando di vincere, sia nella loro incarnazione letterale (gli Erp, cioè i sistemi di Enterprise Resource Planning) sia in quella che riguarda le relazioni con i clienti (i Crm, Customer Relationship Management). Ciascun vendor può vantare sue peculiarità, ma tutti sono accomunati dallo sforzo di favorire l’in-

tegrazione fra prodotti – o moduli software – diversi e dunque fra dati diversi. Come ben sintetizzato da Daniele Lombardo, direttore product marketing di TeamSystem, “La richiesta che arriva dal mercato è di operatori capaci di garantire una risposta a 360 gradi in termini di completezza e copertura funzionale, integrazione, flessibilità, tecnologia e servizi a supporto del cambiamento”. La soluzione che TeamSystem propone alle imprese italiane, Alyante Enterprise, racchiude in un ambiente tutti i processi utili a creare efficienza e ottimizzazione: per esempio, nell’Erp


Mobile e customizzabile: ecco il nuovo Crm “Se in passato il software era visto come un mero strumento per la gestione dei processi interni all’azienda, ora è invece chiamato ad assumere un ruolo anche nei confronti di problematiche esterne, come la gestione dei clienti e dei prospect”. Ecco riassunta l’evoluzione del Crm nelle parole di Corrado Rossi, direttore commerciale e marketing di Passepartout, azienda che da 25 anni propone software gestionali per imprese, commercialisti e studi professionali, oltre che per i settori retail, hospitality, ristorazione. Sul fronte dell’usabilità, gli imperativi sono quelli della personalizzazione e dell’accesso ubiquo: “La nostra proposta è scalabile, versatile e facilmente customizzabile”, illustra Rossi. “I prodotti sono nativamente cloud, pensati per essere fruibili anche in assenza di connessione e

sono integrati i sistemi di valutazione dell’affidabilità del credito di potenziali clienti, così come un sistema di comunicazione basato su VoIp che permette di telefonare, avviare videoconferenze e chat. Chi opera nel settore produttivo, inoltre, può attivare all’interno della soluzione moduli come quello di Manufacturing Execution System, che ottimizza la raccolta delle informazioni sull’avanzamento degli ordini da parte degli operatori di fabbrica; è anche possibile attivare un collegamento con i computer delle macchine a controllo numerico o con le linee di produzione. Soluzioni multifunzionali

Sulla completezza e sul dialogo diretto con altri applicativi punta anche Microsoft, potendo fra l’altro giocare la carta vincente di Office. “Ciò che contraddistingue Dynamics Nav”, spiega

utilizzabili in mobilità sui più diffusi dispositivi”. Ma c’è soprattutto una trasformazione di fondo nel rapporto fra aziende e clienti, a cui il Crm si sta adattando. “La diffusione sempre più capillare dei dispositivi mobile, l’utilizzo onnicomprensivo dei social network e la connessione permanente cambiano notevolmente le regole di approccio al mercato”, prosegue il direttore commerciale e marketing. “L’azienda si trova a confrontarsi non più con un’audience generica ma è coinvolta, suo malgrado, in un’interazione personale con il singolo individuo. Questo comporta un nuovo modo di fare Crm da cui non è possibile esimersi e che deve quindi risultare efficace, poco costoso e adattabile alle esigenze dell’azienda stessa”. A detta di Passepartout, nelle piccole e medie imprese il modello destina-

Riccardo Sponza, direttore marketing della divisione Dynamics di Microsoft Italia, facendo riferimento alla proposta indirizzata alle Pmi, “sono la rapidità d’implementazione, la facilità d’uso e l’integrazione con Office 365, che consente di utilizzare la soluzione Erp all’interno della piattaforma di collaborazione e di analizzare i dati gestionali in tempo reale con un semplice click”. Tanto Dynamics Nav quanto l’opzione riservata alle grandi aziende e alle multinazionali, Dynamics Ax, possono integrarsi con Office 365, con gli analytics di Power Bi e con Dynamics Crm, ed entrambi possono essere implementati on premise o nella nuvola pubblica di Azure. “Sia Ax sia Nav puntano sul mobile e sono infatti disponibili su Android, Windows e iOs”, aggiunge Sponza. Per Dynamics Ax va anche sottolineata la disponibilità di

Corrado Rossi

to a imporsi sarà quello “integrato”, in cui il Crm è parte dell’Erp ed è customizzabile in base alle esigenze del mercato di riferimento.

LifeCycle Service, un servizio ospitato nel cloud, utile per supportare tutte le fasi del ciclo di vita di un progetto Erp. Per chi ha a che fare con gli oggetti connessi, è inoltre possibile integrare nell’Erp la Azure IoT Suite (per il predictive maintenance di apparati remoti e altre attività) o Azure Machine Learning (per algoritmi di pianificazione e forecasting). “La possibilità di integrare diverse funzionalità all’interno di un’unica soluzione è senza dubbio un significativo valore aggiunto”, commenta Zoran Radumilo, innovation sales director di Sap Italia. “Basti pensare ai vantaggi funzionali che l’integrazione di più sistemi consente, come ad esempio la possibilità di condividere e aggiornare le informazioni in tempo reale, o ai vantaggi tecnologici come l’avere una sicurezza semplificata e un punto comune di accesso ai dati e al monito31


SPECIALE | Software gestionale

raggio. E stiamo lavorando proprio in questa direzione”. A confermare queste parole intervengono alcune delle innovazioni portate a partire dallo scorso novembre all’interno di Sap Business Suite 4 Sap Hana, anche indicata come Sap S/4 Hana e che a un anno dal lancio è già stata scelta da 2.700 clienti. Innovazioni, spiega Radumilo, “volte a semplificare e trasformare i processi nei segmenti di business più importanti e in aree strategiche come finance, vendite, servizi, marketing, distribuzione, procurement, produzione, supply chain, gestione degli asset, ricerca & sviluppo, risorse umane”. Verticalizzazioni e dinamiche social

La strategia di Infor è, invece, quella di soddisfare le necessità peculiari di settori verticali e micro-verticali, senza mai dimenticare la facilità di utilizzo di un software che deve poter essere accessibile anche al personale non tecnico. “L’offerta Erp di Infor”, illustra Enza Fumarola, vice president sales dell’azienda, “si caratterizza per una forte verticalizzazione, risultato di oltre 2,5 miliardi di dollari in investimenti in ricerca & sviluppo effettuati negli ultimi cinque anni. Questo ci consente di rispondere alle specifiche esigenze dei settori verticali, quali industrial manufacturing, food&beverage, automotive, e micro mercati verticali, con funzionalità last mile, disponibili sia in modalità cloud sia on premise, per favorire un miglior allineamento dei clienti con i propri obiettivi aziendali. Si tratta di applicazioni standard out-of-the-box sviluppate sull’architettura di Internet, che rispondono a requisiti quali l’integrazione con il social business, la fruibilità da mobile e l’internazionalizzazione, con una user experience ideale per favorire flussi di lavoro più intuitivi”. Un esempio di dettaglio a misura di user experience è la possibilità di ricevere notifiche e avvisi direttamente nell’applicazione, sulla base di informazioni aggiornate in tempo reale. 32

| MARZO 2016

I settori meccanico, chimico, cosmetico, farmaceutico, biomedicale, alimentare e grande distribuzione organizzata sono in primo piano per Sage X3, gestionale proposto da Gruppo Formula e che conta 400 clienti in Italia. Una soluzione “sulla quale possono essere recepite istanze quali internazionalità, mobile,

Il Crm del futuro è sempre più integrato e in grado di restituire all’azienda l’immenso valore delle interazioni social

Internet of Things e cloud”, spiega Roberto Battaglioli, sales director Sage X3 di Gruppo Formula. “L’internazionalizzazione è forse la sfida più importante che la media impresa italiana si trova ad affrontare. Da qui la nostra collaborazione strategica con un player internazionale come Sage”. I vantaggi per le aziende italiane sono evidenti: l’aderenza ai principi fiscali nazionali, integrata nello standard internazionale di Sage X3, permette di essere sempre in regola con la normativa locale ed estera. “Sage X3 è un gestio-

nale di ultima generazione con logica a eventi semplice, intuitivo”, aggiunge Battaglioli. “È aperto e collaborativo in quanto consente a staff, clienti, fornitori, terzisti e agenti di accedere alle informazioni ovunque si trovino. Gestione visuale dei processi, ricerca di informazioni specifiche utilizzando parole chiave in linguaggio naturale, business analytics pervasiva sono elementi che si completano con un workflow strutturato, l’integrazione con il mondo Office e un Crm nativo”. La piattaforma tecnologica consente alle aziende di gestire la soluzione in autonomia, con un basso costo di possesso, accedendovi via Web o via app. Un’altra tendenza che attraversa l’evoluzione degli Erp è l’adozione di dinamiche “strappate” ai social network. “La necessità di coordinare una gran mole di dati proveniente dalle diverse funzioni aziendali”, riflette Gianfranco Caimi, direttore vendite Oracle Applications Erp di Oracle Italia, “e quella di estrarre valore da tali dati richiede soluzioni software capaci di fungere da centro di controllo, ma anche in grado di semplificare il processo


di comunicazione tra i diversi team, in qualsiasi tipo di contesto. Gli strumenti social inclusi nelle nostre soluzioni permettono la condivisione di informazioni destrutturate e non solo di dati o documenti di progetto, arricchendo il patrimonio di informazioni aziendali”. Oltre agli strumenti social, la soluzione Oracle Saas può integrare moduli per la gestione dei processi di innovazione, per quella di trasporti e dogane o per le policy aziendali, e altro ancora; attraverso la piattaforma PaaS, inoltre, possono essere sviluppate funzionalità specifiche richieste dal cliente. Riflettori puntati sul cliente

Mai come di questi tempi le aziende si stanno accorgendo dell’esigenza di migliorare le relazioni con i clienti, su tutti i canali. E gli applicativi gestionali

rispondono a questa necessità in diversi modi. “Alyante”, spiega Lombardo di TeamSystem, “offre funzioni di Crm per attivare contatti a partire dai social, impostare e tracciare attività marketing e di vendita multicanale (venditori, call center o e-commerce). Inoltre pone un accento particolare sulle attività post vendita”. “Se penso al Crm del futuro”, riflette Radumilo di Sap Italia, “penso a un Crm sempre più integrato, che sia in grado ad esempio di misurare e restituire all’azienda l’immenso valore dei social media. Con 500 milioni di Tweet e 800 milioni di accessi Facebook ogni giorno, le operazioni di monitoraggio dei Big Data generati dai canali social risultano complesse e fornire un feedback appropriato in tempo reale rappresenta una sfida ancor più grande”.

Fra gli strumenti messi a disposizione dall’azienda spicca Sap Cloud for Social Engagement, un modulo per la profilazione dell’utente basata (anche) sullo storico delle sue conversazioni online e sulla sua sfera di influenza. Vanno poi citate le novità introdotte da Microsoft nell’edizione 2016 di Dynamics Crm, “novità in ambito intelligence, mobility e produttività, che hanno l’obiettivo di aiutare le aziende a gestire in modo sempre più efficace la propria relazione con i clienti”, sottolinea Sponza. “Da sempre puntiamo sulla qualità e sulla centralità del dato”, commenta Caimi di Oracle Italia. “In ottica di customer experience, ciò significa puntare sulla multicanalità mantenendo comunque ferma la centralità della vista sul cliente/consumatore”. Valentina Bernocco

Il processo di vendita si libera dalla carta Nella vendita, la velocità e la tecnologia possono fare la differenza. Un nome di riferimento per le soluzioni di “Configure-Price-Quote” destinate ai venditori è Apparound, azienda pisana nata nel 2008 e che può vantare una sede nella Silicon Valley e una, di recente apertura, a Londra. Si tratta di una soluzione accessibile via mobile, su sistemi Windows 10, iOs e Android, e composta da due moduli: uno per la “Digital Content Distribution”, cioè l’acces-

so a contenuti quali brochure e listini, utili nella procedura di vendita; l’altro per il Configure-Price-Quote, tramite cui l’agente di commercio può configurare rapidamente offerte complesse e calcolare in automatico prezzi, sconti e preventivi. Con il duplice vantaggio di sveltire la procedura e azzerare il rischio dell’errore umano. “Volevamo offrire ai venditori uno strumento che potesse cambiare la loro vita lavorativa”, illustra il vice president sales & marketing, Giovanni Volpi, “liberandoli dal materiale cartaceo”. Ora l’intero ciclo di vendita è gestibile tramite tablet o smartphone, potendo fra l’altro usufruire del modulo di configurazione dei prezzi anche in modalità offline (richiesti almeno 7 pollici di schermo per una visualizzazione ottimale). La piattaforma tecnologica è aperta e predisposta per l’integrazione con i sistemi Crm ed Erp già in uso in azienda. “Negli ultimi anni abbiamo lavo-

Giovanni Volpi rato per creare dei connettori con i gestionali più diffusi sul mercato”, precisa Volpi. “Apparound raccoglie dati sul processo di vendita, sugli orari delle visite, sui prodotti offerti e acquistati, e queste informazioni vengono ereditate in automatico dal Crm. Quest’ultimo, a sua volta, fornisce al venditore i dati sull’anagrafica del cliente. L’Erp è la coda di questo processo, potendo completare il ciclo di vendita attraverso la gestione della fatturazione”.

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ECCELLENZE.IT |

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Trovare il lavoro giusto con la Business Intelligence In un anno il portale ClicLavoro ha pubblicato offerte di quasi 130mila tirocini e registrato 823mila curricula. Ora un motore semantico progettato da Iconsulting interpreta e correla questa mole di dati.

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o scorso anno sul portale ClicLavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sono stati inseriti 822.777 curricula e sono state pubblicate 84.270 offerte di tirocinio, collaborazione o impiego, corrispondenti a 129.839 posti vacanti. Questi numeri, oltre a testimoniare il ben noto squilibrio fra la domanda e l’offerta di occupazione in Italia, danno un’idea del volume di informazioni che il portale contiene. Se non bastassero, si pensi che per ogni mese del 2015, in media, la piattaforma Web ha permesso a circa 21.800 persone di trovare lavoro. Ospitare questi dati, tuttavia, non poteva bastare: al Ministero serviva un sistema in grado di interpretare e mettere in relazione la massa LA SOLUZIONE Iconsulting ha sviluppato per il Ministero sistemi di data warehouse, Business Intelligence, Location Intelligence e Semantic Intelligence avvalendosi delle tecnologie Oracle Db, Oracle Data Integration, Oracle Business Intelligence, Oracle Endeca, Oracle Soa Suite e Oracle Real Time Decision. Quello realizzato per ClicLavoro è un “motore di recommendation” basato sul metodo “learn&refine”: i suggerimenti vengono prodotti non solo a partire dagli studi e dall’esperienza professionale del candidato, ma considerando caratteristiche anagrafiche, di residenza e altri elementi. 34

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di informazioni riguardanti i curricula e le inserzioni. In altre parole, serviva un sistema di Business Intelligence che agevolasse l’incontro fra domanda e offerta. Il Ministero si è dunque rivolto a Iconsulting, system integrator di Bologna (con sedi a Milano, Roma e Londra) specializzato in soluzioni per l’analisi e la gestione dei dati, e ha avviato un percorso in più tappe, durato diversi mesi. Obiettivo: realizzare un motore semantico che rendesse leggibili dati destrutturati e spesso lacunosi dal punto di vista qualitativo, così da far incontrare domanda e offerta in maniera intelligente. “La collaborazione con Iconsulting e gli importanti progetti di innovazione sui quali il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sta da tempo investendo contribuiscono a dare risposta alla necessità di sostenere e stimolare le politiche di impiego, grazie alla creazione di una piattaforma tecnologico-informativa all’avanguardia in Europa e nel mondo”,

ha commentato Daniele Lunetta, direttore generale dei sistemi informativi, dell’innovazione tecnologica e della comunicazione per il Ministero del Lavoro. Il system integrator ha seguito il progetto in tutte le sue fasi, dall’assessment delle esigenze funzionali e architetturali alla realizzazione del sistema di Business Intelligence, fino alle attività di pubblicazione dei dati sotto forma di report e dashboard. “Questo caso è particolarmente significativo”, ha aggiunto Federico Ravaldi, fondatore e Ceo di Iconsulting, “avendo avuto luogo nell’ambito di una Pubblica Amministrazione centrale e riguardando un progetti di valore sociale”. Ora l’innovazione prosegue: nei prossimi mesi sarà realizzato un sistema di “Citizen Relationship Management” per fornire agli utenti un servizio personalizzato in base alle loro caratteristiche (personali e professionali), ai dati di navigazione sul portale e a preferenze espresse attraverso questionari.


ECCELLENZE.IT |

Istituto Tecnico Superiore Guglielmo Marconi di Dalmine

La virtualizzazione “fa scuola” e aiuta a insegnare meglio LA SOLUZIONE Nell’istituto sono attivi cento accessi in 35 aule dotate di thin client, dove è possibile fruire anche di postazioni mobili (35 laptop e 31 tablet). L’infrastruttura consta di sette dorsali in fibra ottica, mentre il server è costituito da tre macchine virtuali a cui si accede da remoto con Citrix XenApp. Il dispositivo di rete Citrix NetScaler semplifica e rende sicuro l’accesso alle applicazioni, evitando di dover creare una Vpn per ciascun utente.

La tecnologia XenApp di Citrix permette ai docenti di connettersi al server scolastico anche da casa, per comunicare e consultare materiale didattico. In futuro la possibilità di accesso sarà estesa agli studenti.

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a tecnologia tra i banchi di scuola non è soltanto la fonte di distrazione racchiusa in uno smartphone: può anche essere un valido supporto didattico per i docenti e, per i ragazzi, uno strumento di studio “flessibile”. Il caso dell’Istituto Tecnico Superiore Guglielmo Marconi di Dalmine, nel bergamasco, è un esempio perfetto: i suoi circa mille iscritti, dediti all’approfondimento di materie quali meccanica, meccatronica ed energia, elettronica ed elettrotecnica, informatica e telecomunicazioni, oggi sfruttano i vantaggi della connettività Internet veloce e quelli della virtualizzazione. Nell’edificio a tre piani della scuola – pubblica –, su un totale di diecimila metri quadrati, trovano posto 35 aule, ciascuna delle quali è attrezzata con Pc (con l’immancabile suite di Office installata) e videoproiettore. Da questa dotazione hardware e software era nata una duplice necessità:

centralizzare la manutenzione delle macchine e razionalizzare la gestione del sistema, risparmiando tempi e costi e guadagnando efficienza. L’istituto si è dunque rivolto alla consulenza di Webeasytech, un partner di Citrix, arrivando alla scelta di adottare le tecnologie del vendor specializzato in virtualizzazione. “Il processo di razionalizzazione non è stato immediato”, racconta Gianpaolo Esposito, professore e responsabile dell’Ufficio Tecnico dell’istituto, “perché ogni docente gestiva autonomamente almeno una parte del materiale didattico: audiovisivi, file di testo, ebook, eccetera. Alla fine, però, è stato possibile effettuare gli interventi necessari per permettere un processo di aggiornamento delle macchine omogeno e centralizzato”. Questo era solo il primo obiettivo, propedeutico al secondo: la creazione di una piattaforma di e-learning e di “e-teaching”, per così dire, che ren-

desse applicazioni e dati accessibili da remoto. La scuola ha potuto acquistare un centinaio di licenze di XenApp per permettere ai docenti di lavorare e connettersi al server scolastico anche da casa, sia per consultare materiale didattico e archivi, sia per condividere file in modo sicuro. Il meccanismo funziona senza dover creare una rete Vpn per ciascun utente, perché il gateway NetScaler di Citrix si prende cura di alcuni requisiti quali la verifica delle applicazioni, la sicurezza della rete (un’infrastruttura in fibra) e la gestione delle identità e degli accessi. C’è una piccola nota dolente: questo cloud privato al momento è riservato ai soli docenti, perché il budget a disposizione non ha permesso di acquistare più di cento licenze. Il proseguimento ideale del progetto, fondi permettendo, sarà l’allargamento del cerchio agli studenti, che potranno quindi accedere a materiale e lezioni anche da casa. MARZO 2016 |

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ECCELLENZE.IT |

Cloud Europe

Operativo e al fresco: così il data center non tradisce La società parte del Consorzio Stone ospita e gestisce infrastrutture di clienti del settore privato e pubblico. Per garantire la continuità operativa ha scelto gli Ups e i sistemi di condizionamento di Emerson Network Power.

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l peggior incubo di un’azienda sono i guasti e le interruzioni non programmate nel funzionamento dei data center. Un rischio che, tuttavia, può essere drasticamente abbattuto se si attrezzano le sale macchine con gli strumenti giusti, ovvero sistemi statici di continuità (gli Ups, Uninterruptible Power Supply) e di condizionamento affidabili e aggiornati. Quelli di Emerson Network Power sono stati la scelta di Cloud Europe, realtà italiana con LA SOLUZIONE Per garantirsi la continuità operativa, Cloud Europe utilizza unità Ups da 800 kVA in configurazione singola e Ups della gamma Liebert Nxl da 500 kVA a configurazione singola. Il raffreddamento è affidato ai condizionatori di precisione della gamma Liebert Pdx, a doppia batteria aria/acqua e con mandata upflow. Attraverso il servizio di diagnostica remota e monitoraggio preventivo Life, gli esperti di Emerson Network Power analizzano in tempo reale le condizioni in cui opera il data center per diagnosticare e risolvere velocemente eventuali anomalie. 36

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sede a Roma, che dal 2016 fa parte del Consorzio Stone e che nasce (la realizzazione del primo data center risale al 2010) da una decennale esperienza nel settore della sicurezza informatica. Oggi la società realizza, ospita e gestisce infrastrutture modulari per data center di clienti del settore privato e pubblico, tenendo ben in mente l’obiettivo della business continuity: per questa attività dispone di uno spazio di oltre diecimila metri quadri, ed è già in progetto la costruzione di ulteriori siti. Nel processo di selezione delle tecnologie da adottare, Cloud Europe ha considerato sia il requisito delle prestazioni sia quello della flessibilità, approdando sugli Ups da 800 kVA in configurazione singola di Emerson Network Power. Nel 2014, poi, per assecondare la crescita del business sono stati selezionati anche gli Ups della gamma Liebert Nxl da 500 kVA a configurazione singola. Contestualmente, è sorta anche l’esigenza di rinnovare le soluzioni di condizionamento utilizzate, per ottenere migliori prestazioni soprattutto nel controllo delle temperature e dell’umidità: in questo caso la scelta è caduta sui modelli Lie-

bert Pdx, a doppia batteria aria/acqua, a servizio del data center; per raffreddare i locali che ospitano gli Ups, invece, sono state installate macchine con mandata “upflow”, cioè dal basso. “Siamo molto soddisfatti delle soluzioni di Emerson Network Power”, ha dichiarato Cristian Biagioni, building e data center manager del Gruppo Stone, “perché hanno dimostrato di assicurare alti livelli di performance e affidabilità, così come richiesto dai nostri clienti. In particolare, abbiamo apprezzato molto la qualità del sistema di monitoraggio degli Ups e il servizio post-vendita, puntuale, completo ed efficiente. Le unità di condizionamento Liebert Pdx, infine, riescono a gestire tranquillamente il problema dell’effetto di tropicalizzazione, un cambiamento nelle condizioni ambientali locali, che si è intensificato soprattutto negli ultimi anni”. “I nostri Ups”, ha aggiunto Alberto Sciamè, Ac Power sales director per l’Italia di Emerson Network Power, “garantiscono la massima disponibilità dei carichi collegati e la loro robusta architettura permette di lavorare al 100% del carico anche in condizioni critiche.


ECCELLENZE.IT |

Hotel Château Monfort

EFFICIENZA A CINQUE STELLE CON LA VIDEOSORVEGLIANZA Per migliorare la sicurezza dei propri ospiti e l’operatività degli addetti, l’albergo milanese ha rinnovato il sistema di telecamere a circuito chiuso. I vantaggi? L’accesso costante a tutte le immagini anche da remoto.

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hâteau Monfort è un albergo di lusso a cinque stelle sito in una zona centrale di Milano e fa parte della catena alberghiera (italiana) Planetaria Hotels, che vanta diverse location di pregio su tutto il territorio nazionale. In un’era in cui la garanzia di sicurezza (fisica e digitale) è un aspetto fondamentale per chi opera nel mondo dei servizi a stretto contatto con il pubblico, una delle esigenze primarie della struttura era quella di provvedere a un upgrade complessivo del sistema di videosorveglianza. L’obiettivo? Migliorare l’efficienza dei processi operativi e garantire, anche in presenza di eventuali criticità tecniche, il costante e completo monitoraggio della struttura. “In primo luogo”, spiega il direttore dell’hotel milanese, Stefano Risolè, “la nostra necessità era di effettuare un aggiornamento delle soluzioni di videosorveglianza, sia all’interno sia all’esterno, per assicurare la massima sicurezza ai nostri ospiti e monitorare e individuare eventuali azioni illecite. Disponiamo di una reception presidiata 24 ore su 24 ma per noi era fondamentale anche poter ottenere un controllo puntuale da remoto”. Una seconda esigenza di Château Monfort riguardava la disponibilità di un supporto tecnico in grado di fornire assistenza e rapide risposte per ogni evenienza. La scelta è caduta su March Networks, azienda canadese specializzata nel campo sulle soluzioni di sicurezza per l’ambito banking, retail e ricettivo, e già fornitore di altre strutture del Gruppo Planetaria come l’Hotel Pulitzer di Roma. “Dopo un’attenta valutazione”,

prosegue Risolè, “abbiamo deciso di orientarci su March Networks Command perché, per alberghi di prestigio come il nostro, è un must poter disporre di un sistema di sicurezza video di alta qualità, affidabile e di semplice utilizzo. Per Château Monfort è fondamentale preservare la reputazione dell’hotel, anche monitorando eventuali errori compiuti dai nostri dipendenti, e il nuovo impianto di videosorveglianza permette di tutelare la struttura ricostruendo il percorso operativo del singolo addetto, nel rispetto delle normative italiane in fatto di privacy”. Il vantaggio della soluzione è duplice: assicura la disponibilità di tecnologie ad hoc per la prevenzione di furti (dentro e fuori dalla struttura) e permette al personale di avere un accesso puntuale e costante a tutte le immagini, anche quando non si trovano vicino alla postazione di lavoro, grazie alla possibilità di controllo da remoto tramite smartphone o tablet.

LA SOLUZIONE Il sistema di videosorveglianza installato è composto da circa 40 telecamere, per la maggior parte appartenenti alla tipologia CamPX Microde, una di tipo MegaPX Wdr Z e tre apparecchi analogici codificati tramite Encoder Edge4. Nel luglio del 2015 l’hotel, con l’intervento del system integrator Hitech Madness, ha provveduto all’upgrade del sistema di videosorveglianza di March Networks: il servizio di registrazione Vms (Virtual Memory System) è stato aggiornato in pochi passaggi a Command Recording Server: una soluzione più intuitiva, basata su interfaccia Web semplificata e maggiormente funzionale per gli addetti. MARZO 2016 |

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ITALIA DIGITALE

banda larga, pilastro della “nuova” AGENda Il Governo prova (non senza problemi) a far partire il piano per le reti di nuova generazione. Per i progetti di digitalizzazione ci sono diversi miliardi di euro a disposizione, ma mancano ancora i meccanismi per individuare le iniziative migliori. E ci si affida troppo alla consapevolezza delle singole Pa e a criteri non oggettivi.

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ra i tanti argomenti che affollano il dossier “Crescita Digitale” sul tavolo del premier Matteo Renzi, oggi non sembra essere prioritario quello relativo al processo di digitalizzazione del settore manifatturiero. Al momento, dopo varie occasioni perse per il lancio del documento programmatico del Ministero dello Sviluppo Economico atteso al varo sin dallo scorso luglio, il Governo (e più precisamente la Commissione Attività Produttive della Camera) si è limitato ad avviare una seconda indagine conoscitiva sul tema “Industria 4.0”, per raccogliere quanti più elementi utili alla definizione di un quadro normativo ad hoc. I soggetti coinvolti in questo giro di opinione 38

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sono i principali attori della “filiera”. Da loro, dai rappresentanti delle associazioni Ict e dal pool di esperti a suo tempo interpellati da Stefano Firpo, direttore generale per la Politica industriale la competitività e le Pmi, è lecito aspettarsi il contributo necessario a varare in tempi rapidi una strategia “Industry 4.0” degna di questo nome. Una strategia che, soprattutto, abbia fondamento nel tessuto imprenditoriale italiano delle medie e grandi imprese e non sia solo un esercizio di innovazione a beneficio di poche (comunque meritevoli) startup.

Tanti miliardi da spendere bene

Altro fronte aperto è, naturalmente, quello dell’Agenda Digitale. Se ne parla spesso a proposito dei conclamati ritardi di attuazione dei vari progetti, ma di rado si è andati a fondo per capire quante e quali risorse economiche siano a disposizione per concretizzare le varie iniziative. In termini generali si potrebbe fare affidamento su oltre 1,6 miliardi di euro l’anno fino al 2020, attingendo ai fondi strutturali Ue gestiti dagli Stati membri (attraverso le loro amministrazioni centrali e locali) e ai fondi a gestione diretta gestiti in proprio dalla Com-


missione Europea. Sul piatto, almeno teoricamente, ci potrebbero però essere anche risorse nazionali, locali e provenienti dalle aziende private. Delle prime, come spiegano gli esperti del Politecnico di Milano, è possibile fare un censimento abbastanza accurato e quantificabile in complessivi oltre 13 miliardi di euro. Una cifra molto consistente, addirittura superiore a quella in arrivo da Bruxelles e a cui poter accedere mediante bandi di finanziamento (l’ateneo milanese ne ha esaminati 22). Di questi fondi – e qui sta forse la vera notizia – 3,4 miliardi sono già stati resi disponibili nel 2015, mentre il resto sarà progressivamente utilizzabile nei prossimi anni. Guardando al dettaglio delle risorse di cui stiamo parlando, è però necessario fare delle precisazioni. Innanzitutto per specificare che il 54% della disponibilità è virtuale, in quanto deriva da agevolazioni “generaliste” che richiederanno a imprese e Pa di inserire investimenti in digitalizzazione all’interno di progetti finalizzati a ottenere altri risultati. In secondo luogo, solo

nove bandi su 22 hanno come obiettivo specifico uno o più temi dell’Agenda Digitale, e più precisamente fra questi rientrano il piano per la banda ultra larga per 4,9 miliardi, i Fondi Crescita Sostenibile per l’Agenda e l’industria (gestiti dal Mise e aventi nell’insieme una dotazione di circa 900 milioni) e il cosiddetto “vaucher” per la digitalizzazione dei processi aziendali e l’ammodernamento tecnologico delle Pmi (sempre di competenza del Mise), per cui è stato già definito uno stanziamento di 100 milioni. La governance delle risorse

Che cosa emerge da questo disamina sintetica dei dati? Emerge che circa il 40% dei fondi utili per l’Agenda è destinato all’ultra broadband (e quindi agli operatori che fisicamente poseranno le nuove reti) e che una cifra paritetica sarà spendibile dagli enti pubblici. Agli organismi di ricerca andrà al massimo un solo miliardo di euro dei 13 totali. È questa una stortura di fondo del piano di digitalizzazione del Paese? Probabil-

mente sì. Ma il vero problema, forse, sta nelle procedure di assegnazione delle risorse. Quelle che tengono conto della qualità progettuale sono la minoranza (otto bandi su 22) e vantano dotazioni marginali (poco più di 125 milioni di euro nel complesso). Una situazione, quella della destinazione e gestione dei fondi con cui lo Stato cofinanzia l’attuazione dell’Agenda Digitale, che presenta luci e ombre. Gli esperti lo hanno fatto notare, ricordando come le risorse potenzialmente fruibili siano significative e con una disponibilità sostanzialmente immediata. L’assenza di meccanismi per individuare i progetti migliori, invece, persiste. E così si rischia di andare avanti con aiuti “a pioggia”, non focalizzati, e con un processo di digitalizzazione che continua a dipendere troppo dal grado di consapevolezza che le Pa e le imprese hanno maturato e matureranno circa la centralità delle tecnologie digitali nei loro processi. La rivoluzione digitale del Paese, però, non può basarsi su variabili così indeterminate. Gianni Rusconi

VIA AL PIANO ULTRABROADBAND. SI SPERA I lavori per cablare 7.300 Comuni italiani, ottenuto finalmente il semaforo verde della Conferenza Stato-Regioni, sono in partenza. Gli enti locali diventeranno “comproprietari” delle nuove infrastrutture, insieme a Infratel, perchè questo prevede il modello di finanziamento diretto delle nuove reti nelle aree a fallimento di mercato deciso da Palazzo Chigi. Anche l’allarme sui possibili veti, a firma del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sul decreto che recepisce la Direttiva Ue volta a ridurre i costi di scavo per le reti in fibra ottica è subito rientrato, dopo che gli operatori erano scesi sul piede di guerra. Ecco quindi materializzarsi i presupposti per avvia-

re la prima fase, da circa tre miliardi di euro, del piano ultrabroadband. Piano che (al momento in cui scriviamo) è ancora in attesa del via libera definitivo da parte della Commissione Europea e che fa leva nell’immediato sui fondi nazionali Sviluppo e Coesione 2014-2020 per 1,6 miliardi (erano inizialmente 2,2 miliardi), su fondi strutturali europei per 1,1 miliardi e su 233 milioni attinti dal Programma Operativo Nazionale (Pon) Imprese e Competitività. La chiusura del cerchio, dopo il solito gioco di rivendicazioni delle parti, è stata trovata grazie a un artifizio che dirotta tutte le risorse stanziate lo scorso agosto dal Cipe verso le Regioni del Centro-Nord (paradossal-

mente, quelle più indietro nel processi di nuova infrastrutturazione) e che al contempo premia le regioni del Sud (alle quali spettava l’80% delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione) con un extra tesoretto di oltre un miliardo di euro che sarà assegnato entro il 30 aprile attraverso una nuova delibera Cipe. Una soluzione di ampio respiro o il solito compromesso all’italiana? La risposta sta, forse, nel fatto che questo miliardo sarà impiegato anche per opere infrastrutturali di varia natura e non solo per la banda larga. Per completare i piani di quest’ultima – in Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia – ci sono però i già citati 233 milioni dei fondi Pon.

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ITALIA DIGITALE | Startup

I venture capital italiani suonano la carica: il divario con gli Stati Uniti è enorme. Solo una startup su tre supera i 100mila euro di fatturato e servono almeno tre anni per oltrepassare la soglia dei 500mila euro. Investire in questo settore, tuttavia, è una ghiotta occasione da cogliere.

Il gap dellA PENISOLA? opportunità UNICA

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uanto vale l’innovazione negli Usa? Se prendiamo come base di calcolo il giro d’affari complessivo della ricerca e sviluppo, circa 108 miliardi di dollari, ecco che l’83%, poco meno di 90 miliardi, proviene da società nate e cresciute grazie ai venture capital. Detto che gli Stati Uniti sono il Paese in cui questa forma di investimento è maggiormente diffusa, rappresentando lo 0,28% del Pil rispetto allo 0,0021% dell’Italia, c’è un altro paragone che ci conferma come la Penisola abbia ancora parecchio da lavorare per rendere fertile il suo ecosistema di startup. Oltreoceano, infatti, il valore delle aziende lanciate dai venture capital ammonta al 21% della capitalizzazione totale di Borsa, mentre alle nostre latitudini non raggiunge neppure il 2% (parliamo di circa 11 miliardi di 40

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euro su complessivi 595 miliardi). Un gap molto evidente, ma che può anche essere visto come una grande opportunità. Secondo Andrea Di Camillo, managing partner del fondo di venture capital P101, “il fenomeno in Italia rappresenta, per ora, una tipologia di investimento finanziario poco conosciuta ma estremamente interessante e prospetticamente remunerativa. E il caso del nostro primo vero unicorno, Yoox, lo dimostra: in 15 anni e con 30 milioni di euro è nata e cresciuta una società che oggi vale 3,3 miliardi”. Gli esempi da seguire quindi non mancano, ma spesso dagli addetti ai lavori si sono levate critiche sulla scarsa vitalità degli investitori privati e istituzionali e in direzione del quadro normativo che li potrebbe favorire. In ogni caso una strada da seguire c’è. “Il compito dei venture capital italiani”, osserva Di

Camillo, “è quello di cavalcare la rivoluzione che vede le nuove tecnologie cambiare schemi e modelli, di intercettare i segnali deboli e di metterci a servizio delle giovani imprese fornendo loro risorse ed expertise per crescere e competere sul mercato”. I numeri delle nuove imprese

Il lavoro da fare, però, è lungo. E il punto di partenza può essere il seguente: l’85% delle oltre 5.140 startup italiane attive, iscritte al 31 dicembre scorso nel Registro delle nuove imprese innovative di InfoCamere (a fine febbraio erano salite a 5.330), fanno fatica a raggiungere una dimensione di fatturato che va oltre il primo stadio di sviluppo. L’analisi che ha compiuto Equidam (piattaforma Web creata da un team italo-olandese che valuta le nuove imprese innovative) parla molto chiaro in


CINQUE STARTUP NELLA GALASSIA SOCIAL Facebook scommette sulle imprese innovative italiane e più precisamente su alcune aziende del portafoglio di Luiss Enlabs, l’acceleratore romano nato dalla joint venture tra EnLabs, (società della holding di partecipazioni quotata LVenture Group) e l’Università Luiss Guido Carli. Le cinque startup “elette” che la società di Mark Zuckerberg affiancherà per tre mesi sono Karaoke One, Nextwin, Tutored, Verticomics e Whoosnap. Tutte operano in ambito social, sotto forma di app mobili e piat-

merito alle capacità di diventare subito “grandi” delle aziende nate in Italia. I numeri dicono che meno di una su tre, il 32%, raggiunge i 100mila euro di fatturato. La maggioranza, il 53% per la precisione, non ha ancora iniziato a operare o non ha ancora presentato un bilancio, e può essere catalogata come “early stage”. Nessuna startup, inoltre, riporta un giro d’affari superiore ai 5 milioni di euro e solo il 10% circa sviluppa ricavi compresi fra 100mila e 500mila euro. Il dato che fotografa la maturità delle nuove imprese è altrettanto interessante: servono tre anni alle startup per acquisire velocità ed entrare nella classe che va dai 100mila ai 500mila euro di fatturato. Da lì in avanti bastano invece, in media, soli dieci mesi per scalare da 500mila fino a due milioni di euro. Sopravvivono, quindi, solo i progetti migliori? Probabilmente sì, e sarebbe forse una selezione naturale virtuosa. Nel frattempo un gap da colmare è quello esistente tra il Nord, con Lombardia (con oltre 1.100 imprese innovative, un quinto del totale) e TrentinoAlto Adige (con 95 startup ogni 10mila società di capitali) a fare da locomotiva, e il resto d’Italia. G.R.

taforme dedicate, spaziando dal mondo dei fumetti alla vita degli studenti universitari, dal gaming alle fotografie. Le startup, più nello specifico, sono entrate a far parte di FbStart, il programma di accelerazione lanciato da Facebook nel 2014 e volto a promuovere un uso strategico della piattaforma per far crescere il business aziendale. Fino a oggi il gigante di Menlo Park ha investito circa 100 milioni di dollari nel progetto, finanziando lo sviluppo di 7.200 nuove imprese.

l’Europa ci crede Per le startup e le Pmi innovative arrivano nuove risorse finanziarie dalla Ue e da quattro equity fund.

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a Commissione Europea ha dato una nuova accelerata per spingere la “digital economy” nei Paesi membri. L’organismo di Bruxelles ha, infatti, recentemente annunciato un programma di investimenti per le startup e le piccole e medie imprese facendo leva su quattro fondi azionari di Italia, Paesi Bassi, Spagna e Francia. Nel complesso sono stati mobilitati subito 90 milioni di euro dal Fondo europeo per gli investimenti (Fei), con le garanzie dei programmi Cosme e Innovfin Horizon 2020: ma l’obiettivo, mobilitando altri investitori, è quello di raggiungere oltre 200 milioni di euro. Il lavoro degli equity fund sarà quello di gestire gli investimenti di tali risorse sulle imprese più

innovative e ad alto potenziale attive in diversi settori, come l’Ict, lo smart energy, i servizi sanitari e la diagnostica. Il fondo italiano che parteciperà al programma è Panakès Fund I e per i prossimi cinque anni finanzierà progetti nell’ambito delle tecnologie mediche di nuova generazione. L’obiettivo finale, non dichiarato, della Commissione è quello di colmare il gap con la Silicon Valley. Un compito però difficile, se è vero che gli investimenti europei nel 2014 sono arrivati a soli 6,6 miliardi di dollari, contro i 38 miliardi messi in campo da venture capitalist e imprenditori a stelle e strisce. Il cammino dell’ecosistema delle startup del Vecchio Continente sembra comunque procedere bene: dal 2006 al 2014, secondo i numeri del sito Startuphubs.eu, sono nate oltre 630mila aziende, corrispondenti a un fatturato totale di 320 miliardi di euro, a tre milioni di posti di lavoro e a 17,6 miliardi di finanziamenti. 41


OBBIETTIVO SU | Tiscali

isolani ma non isolati con l’ultra broadband Con il nuovo assetto azionario, l'operatore telco rinnova lo slancio sul mercato ma non dimentica le sue origini: tutto è partito nel 2003, dal bellissimo campus di Sa Illetta.

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“T

iscali è espressione della tenacia del popolo sardo: lo sviluppo di Internet in Italia è partito dalla Sardegna superando le distanze e l’isolamento. Le nostre radici sono la base del nostro domani, che si fonda sulla ricchezza delle diversità del mondo”, così Renato Soru, attuale presidente esecutivo di Tiscali, raccontava l’inizio della storia presentando il nuovo quartier generale nel 2003. Una storia costruita sul rapporto con il territorio e

sui valori alla base della filosofia dell’azienda, che il Tiscali Campus doveva rappresentare in un progetto culturale che parlasse al contempo di tradizione e innovazione, memoria e libertà di pensiero. Una storia che Sa Illetta continua a raccontare, parlando di un’azienda che ha superato fasi complesse del mercato, mantenendo il focus sull’innovazione e lavorando sul futuro. Questo futuro è oggi, nella nuova Tiscali nata dalla fusione con Aria, operatore wimax, e con un nuovo assetto azionario:


la sede di tiscali a sa illetta, nei pressi di cagliari, è costituita da sei edifici immersi in un uliveto e affacciati su una laguna.

il fondo di investimento Odef, che fa capo al businessman russo Alexander Nesis (per il 22,5%), a Camphill Asset (16,6%), a Renato Soru (10,5%) e con il restante 50,3% di flottante. Sono questi gli azionisti che il nuovo top management, guidato dal neo amministratore delegato Riccardo Ruggiero, è chiamato a soddisfare, dando esecuzione al progetto industriale alla base della fusione: lavorare sulla convergenza di reti fisso/mobile per accelerare lo sviluppo della banda ultralarga in Italia. In questo senso va anche il recente accordo di partnership con Huawei, firmato da Ruggiero al Mobile World Congress di Barcellona. Obiettivo: creare una rete 4.5G Wttx che, con una velocità di trasmissione fino a 1 Gbps, consenta la fornitura di servizi Multimedia Broadband su tutto il territorio, aree a digital divide incluse.

A fianco, "La pietra sonante" di Pinuccio Sciola, posizionata all'ingresso del parco degli ulivi. Sopra, uno dei portali disegnati da Michelangelo Pistoletto e che ornano il camminamento tra gli edifici del campus.

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OBBIETTIVO SU | Tiscali

luce naturale Le pareti cieche della web-farm sono realizzate con una costruzione modulare lapidea in lastre di marmo di Orosei, che danno un ritmo volutamente alternato alle feritoie necessarie a garantire la minima illuminazione interna.

i materiali scelti per l'esterno del campus fanno riferimento alla tradizione sarda.

A destra, uno scorcio dell'interno del data center. Nelle immagini a centro pagina, alcune riprese delle telecamere di sorveglianza.

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A sinistra, gli edifici che ospitano il data center di Tiscali, arricchiti da una fontana progettata da Olafur Eliasson.

Gli impianti tecnologici del campus sono stati ottimizzati per contenere la spesa energetica.

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VETRINA HI-TECH

MULTIFUNZIONE, VINCE IL “TUTTO IN UNO” Prima scelta per la maggior parte delle aziende, nel 2015 le Mfp hanno rappresentato oltre l’82% delle consegne totali di stampanti e dispositivi di produzione documentale. Tra i principali vantaggi, la loro flessibilità.

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ell’ultimo trimestre del 2015 le consegne di dispositivi multifunzione (Mfp) sono cresciute del 2,7% rispetto allo stesso periodo del 2014, in uno scenario in cui, in generale, la vendita di stampanti e prodotti correlati attraversa un periodo difficile. I dati sono di Idc e si riferiscono ai Paesi dell’Europa occidentale, Italia compresa: da ottobre a dicembre 2015 il mercato si è contratto del 4,9%, toccando 6,5 milioni di unità vendute. Il fatturato dei produttori è comunque salito di un punto percentuale e il merito è da attribuire soprattutto alle soluzioni laser. Le soluzioni aziendali a getto d’inchiostro hanno invece segnato il passo (-29%). Le multifunzione sono ormai la prima scelta per molte aziende: secondo Idc, nell’ultimo trimestre del 2015 le Mfp hanno rappresentato l’82,1% delle consegne totali di stam-

panti. I motivi di questo successo sono facilmente spiegabili: si tratta di soluzioni molto versatili, che ben si adattano sia alle microimprese sia alle grandi aziende. Tutti i principali produttori, inoltre, offrono questi dispositivi sempre più in un’ottica di servizio comprensiva anche di un’assistenza completa, oltre che della necessaria gestione documentale. Secondo Asso.it, l’associazione che riunisce quasi tutti i vendor del settore in Italia, i servizi di stampa gestita cresceranno del 10% annuo fino al 2017. Praticamente tutte aziende le stanno spingendo in questa direzione. Ricoh, per esempio, basa i propri servizi documentali gestiti “tutto incluso” sul modello pay per use: le imprese pagano per ogni pagina prodotta un importo unitario fisso, comprensivo di hardware, consumabili, assistenza tecnica e manutenzione. Tra le ultime multifunMARZO 2016 |

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VETRINA HI-TECH

zione del colosso giapponese disponibili all’interno di questo modello di business si trova la Mp C406Zspf, una soluzione laser in grado di toccare le 35 pagine per minuto a colori, con fronte-retro automatico, schermo touch da 10,1 pollici e modulo WiFi (opzionale). Sul nuovo pannello di controllo possono essere installate applicazioni specifiche e, per facilitare la stampa in mobilità, è disponibile App Smart Device Connector, che permette di collegare un dispositivo intelligente con un semplice comando. È pensata per la stampa “mobile” anche la nuova famiglia i-Sensys Mf700 di Canon, che integra di serie il modulo Nfc “Touch & Print”, consentendo così una piena compatibilità con smartphone e tablet aziendali dotati di tecnologia Near field communication. La nuova classe di multifunzione laser di Canon tocca le venti pagine al minuto, con stampa fronte-retro e modulo WiFi di serie. Le funzioni “scan to searchable”, crittografia e firma digitale completano il quadro delle caratteristiche principali di questi dispositivi.

Offrono invece una velocità di stampa pari a 18 pagine al minuto le multifunzione Color Laserjet Pro M277Dw di Hp e Workcentre 6027 di Xerox. Nel primo caso si parla di una Mfp laser con un modulo per il fronte-retro automatico, progettata per un volume mensile massimo di trentamila pagine. Il cassetto può contenere fino a 150 fogli e lo scanner, dotato di un alimentatore automatico di documenti (Adf) da cinquanta fogli, lavora con una velocità di scansione a colori di 14 ppm. Anche Xerox propone una soluzione con tecnologia laser, capace di produrre la prima pagina a colori in 13 secondi con una risoluzione delle immagini di 1.200 per 2.400 dpi: qualità garantita dal motore di stampa Hi-Q Led, lo stesso utilizzato da Xerox nei propri dispositivi di fascia alta. Il vassoio principale contiene fino a 150 fogli. La connessione senza fili alla multifunzione è facilitata dal pulsante Wps presente sulla macchina, che consente il collegamento rapido al router. Ha invece puntato molto sul lato ambientale Epson: nel proporre la multi-

funzione Workforce Pro Wf-5620Dwf, ha sottolineato la possibilità di ridurre i consumi energetici fino all’80% (1,8 W in modalità sleep), grazie anche a una speciale tecnologia che non richiede il pre-riscaldamento. Il dispositivo inkjet del gigante giapponese strizza l’occhio alla sicurezza, in quanto prevede l’impostazione di un codice Pin per stampare senza rischio di occhi indiscreti i lavori riservati. La testina con tecnologia Precisioncore garantisce, inoltre, elevata qualità e velocità di stampa (fino a 30 ppm a colori). Si posiziona poco sotto la Lexmark Cx310N, con capacità di stampa pari a 23 ppm e produzione della prima pagina in 12,5 secondi. Questa multifunzione laser è pensata per i piccoli gruppi di lavoro con volumi di stampa massimi di cinquemila pagine al mese e dispone di modulo WiFi opzionale. La calibrazione Pantone semplifica la creazione di un’immagine legata al marchio, facendo corrispondere con precisione i colori aziendali. Purtroppo, è totalmente assente la funzionalità fronte/retro. Alessandro Andriolo

CANON I-SENSYS SERIE MF700

EPSON WORKFORCE PRO WF-5620DWF

HP COLOR LASERJET PRO M277DW

Tecnologia: laser

Tecnologia: inkjet

Tecnologia: laser

Velocità stampa (col.): fino a 20 ppm

Velocità stampa (col.): fino a 30 ppm

Velocità stampa (col.): fino a 18 ppm

Fronte/retro: sì

Fronte/retro: sì

Fronte/retro: sì

Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi

Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi

Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi

802.11b/g/n

802.11b/g/n

802.11b/g/n

Prezzo: DA 516 EURO

Prezzo: 352 EURO

Prezzo: 346 euro

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LA STAMPANTE 3D CON LA WEBCAM ARRIVA DAL LAGO Ingombri ridotti, maggiore velocità di stampa e dettagli più precisi. Si presenta con queste caratteristiche “42”, la nuova stampante 3D realizzata dall’italiana Sharebot, azienda di Nibionno (Lecco) da 26 dipendenti e 1,8 milioni di euro di fatturato nel 2015. L’ultimo frutto dei laboratori di ricerca e sviluppo dell’azienda è una stampante a deposizione di filamento (tecnologia Fff) plug and play: è sufficiente infatti collegarla e accenderla per iniziare a lavorare. I principali avanzamenti introdotti da Sharebot in questo modello sono il sistema di calibrazione automatico degli assi X, Y e Z e l’estrusore intercambiabile da 0,4, 0,6 e 0,8 millimetri. Sharebot 42 possiede inoltre un sensore di rilevamento filo, utile per bloccare in automatico il lavoro nel caso in cui la bobina si esaurisca. Le fasi di stampa sono controllabili tramite l’ampio

display touch da sei pollici, con cui è possibile impostare la gestione stand alone di tutto il processo. Grazie alla webcam integrata, si può comunque monitorare l’andamento della stampa a tre dimensioni anche da remoto. Sharebot 42 presenta, infine, due porte Usb pensate per utilizzi differenti. La prima serve come semplice lettore di drive esterni, mentre l’altra consentirà con futuri aggiornamenti di gestire i file direttamente dalla macchina. Le consegne di Sharebot 42 inizieranno in aprile, a un prezzo inferiore a tremila euro. E sono in arrivo novità anche per quanto riguarda i supporti. La meneghina Nextmaterials, in collaborazione con il Politecnico di Milano, ha sviluppato

un nuovo materiale composito per la stampa 3D ad alta sostenibilità ambientale, basato su carta riciclata in una matrice idrosolubile. Il filamento, commercializzato da Sharebot, è perfettamente saldabile usando soltanto acqua.

LEXMARK CX310N

RICOH MP C406ZSPF

XEROX WORKCENTRE 6027

Tecnologia: laser

Tecnologia: laser

Tecnologia: laser

Velocità stampa (col.): fino a 23 ppm

Velocità stampa (col.): fino a 35 ppm

Velocità stampa (col.): fino a 18 ppm

Fronte/retro: no

Fronte/retro: si

Fronte/retro: sì (manuale)

Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi

Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi

Connettività: Usb 2.0/Lan/WiFi

802.11b/g/n (opzionale)

802.11a/b/g/n (opzionale)

802.11b/g/n

Prezzo: 550 euro

Prezzo: PAY PER USE

Prezzo: 453 euro

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VETRINA HI-TECH

LO smartphone per il business dal prezzo medio

MI

C

LU RO MI SO A6 F 50 T

Il punto di forza del nuovo Lumia 650 sono le funzionalità del sistema operativo Windows 10. Buona, con qualche limite, la dotazione a livello hardware. Il Lumia 650 è un prodotto che, in termini di prezzo, si posiziona nella fascia media del mercato: si parte infatti da 239 euro al pubblico. Il plus che Microsoft mette in campo per questo suo nuovo smartphone sono però capacità e funzionalità di livello superiore. C’è la convizione, in altre parole, di aver realizzato un apparecchio che punta sull’attrattiva del prezzo e su prestazioni/servizi in grado di soddisfare anche le esigenze della clientela business. Il punto di forza, e spiegheremo poi perché, è sicuramente la presenza di Windows 10. Partiamo invece dalle caratteristiche hardware. Disponibile in versione single e dual-Sim, il Lumia 650 presenta un display ad alta risoluzione (da 1280 x 720 pixel e 297 ppi) da 5 pollici a tecnologia Oled, protetto da rivestimento Corning Gorilla Glass. Una scelta di formato in controtendenza rispetto alla moda “invadente” dei phablet, ma che può essere considerato sufficiente per lavorare con gli applicativi Office, per consultare e scrivere email e per fruire di servizi e contenuti multimediali. Il processore è un chip Qualcomm Snapdragon 212 a quattro core operante a 1,3 GHz, mentre lo spazio di memoria interno è di 16 GB, espandibile fino a 200 GB ricorrendo a una scheda microSd. Solo discreto, se paragonato a quelli degli smartpho50

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ne “premium” della concorrenza, è il comparto fotografico: le due camere digitali, frontale e posteriore, montano rispettivamente un sensore da 5 e 8 megapixel ma hanno il pregio di sfruttare il medesimo software di imaging dei top di gamma Lumia 950. Non avendo particolari velleità fotografiche ci si può anche accontentare. Buoni i riscontri della batteria da 2000 mAh, che arriva a circa un giorno completo di autonomia (la specifica dichiara 16 ore di conversazione). Più che apprezzabile, inoltre, è lo sforzo compiuto da Microsoft per migliorare la componente estetica del nuovo Lumia: è sicuramente riguardevole lo spessore di soli 6,9 millimetri (si tratta del più sottile Lumia mai sviluppato) mentre il corpo in alluminio anodizzato si limita sì alla cornice (la cover posteriore, staccabile, è in plastica) ma regala all’apparecchio una certa eleganza. Interessante è poi l’idea di inserire su entrambi i lati l’antenna per ricevere i segnali radio mobili, caratteristica che fa il paio con il doppio microfono e con gli altoparlanti posizionati sulla parte frontale dell’apparecchio, utili per le chiamate con Skype. Esigua, invece, la dote di sensori installati a bordo, fra cui l’accelerometro e quello di prossimità. Il nuovo Lumia presenta dunque un profilo tecnico più che discreto, non certo eccezionale ma che trova sponda –

ed è qui, alla fine, il vero valore aggiunto di questo smartphone – nell’universalità d’uso e nella galassia di servizi digitali di Windows 10. Si va dal cloud storage di OneDrive a Skype, per arrivare all’assistente virtuale Cortana e alla possibilità di usare (prossimamente, con la disponibilità della funzione Continuum) le app mobili in modalità desktop connettendo il telefono al Pc. Pro: • I servizi di Windows 10 • La versatilità d'uso • Il prezzo Contro: • Pochi sensori

LE CARATTERISTICHE A COLPO D’OCCHIO Sistema operativo: Windows 10 Display: da 5 pollici Oled Risoluzione: 1.280 x 720 pixel Processore: Snapdragon 212

quad-core a 1,3 GHz

Memoria interna: 16 GB Fotocamera: 5 megapixel (anteriore)

e 8 megapixel (posteriore) Chassis: in alluminio e plastica Batteria: 2.000 mAh Prezzo: 239 euro



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