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BICENTENARIO CANOVA

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PAOLO UGOLINI

PAOLO UGOLINI

BICENTENARIO CANOVA È GIÀ FEBBRE

In Italia sono cominciate le celebrazioni per il bicentenario della morte di Antonio Canova, nato a Possagno, Treviso, il 1º novembre 1757, in una famiglia di scalpellini, e spentosi a Venezia il 13 ottobre 1822. «Un omino piccolo, tutto bianco di polvere, che nella sua bottega in via delle Colonnette a Roma girava con un cappello di carta in testa, martello e scalpello in mano e diceva: «anche se non so leggere né scrivere, con questi due strumenti so fare delle poesie». Così lo descrive il direttore del Museo Gipsoteca Canova di Possagno Mario Guderzo. E quelle poesie hanno rivoluzionato l’arte figurativa riuscendo a far rinascere l’antico nel moderno ed a plasmare il moderno attraverso il filtro dell’antico. Del resto lui sosteneva: «L’antico bisogna mandarselo in sangue sino a farlo diventare naturale come la vita stessa». Dopo la retrospettiva evento al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ha portato al MANN più di 100 opere del grande scultore, pittore e architetto veneto, arriva il fitto calendario di appuntamenti promosso da Possagno, che ancora ne custodisce il corpo (meno il cuore,sepolto nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia), nel Tempio Canoviano. La grandiosa chiesa che Canova progettò e finanziò poco prima di morire, cominciata a costruire esattamente 200 anni fa, a poche centinaia di metri dalla sua casa, che conserva una raccolta di quei modelli in gesso che gli permisero di realizzare copie identiche in marmo delle sue opere. Ben due mostre sono in corso a Milano. “Canova/Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna” alle Gallerie d’Italia (fino al 15 marzo 2020), un percorso straordinario, realizzato con il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo e con il Museo Bertel Thorvaldsen di Copenaghen, grazie all’apporto di prestigiose istituzioni museali e collezioni private (come la Biblioteca Apostolica Vaticana, le Gallerie degli Uffizi di Firenze, il J.Paul Getty Museum di Los Angeles, il Museo National del Prado di Madrid), per mettere a confronto i due padri della scultura moderna, contemporanei e rivali. E “Canova. I volti ideali” alla Gam-Galleria d’arte moderna (fino al 18 Febbraio 2020), un progetto che ricostruisce la genesi e l’evoluzione delle cosiddette “teste ideali”. Ovvero una serie di volti femminili, molti dei quali eseguiti senza commissione, all’apice del successo, che, sottoposti a raffinatissime variazioni, giungono a una progressiva semplificazione formale ed espressiva, che trova il suo culmine nella Vestale. Opera realizzata tra il 1818 e il 1819 e replicata in tre marmi (il più noto alla GAM, gli altri due alla Fondazione Calouste Gulbenkian di Lisbona e al J. Paul Getty Museum di Los Angeles), che a Milano si trovano riuniti in una mostra per la prima volta. Roma risponde con “Canova. Eterna bellezza” a Palazzo Braschi (fino al 15 marzo 2010), un allestimento di grande impatto visivo, con oltre 170 opere dell’artista (il Fauno nudo e a gambe aperte, la Maddalena Penitente, proveniente dall’Hermitage come l’Amorino alato e la Danzatrice con le mani sui fianchi) e di alcuni artisti a lui contemporanei, che racconta il forte legame tra il genio neoclassico e Roma, sua inesauribile fonte di ispirazione e suo fortissimo trampolino di lancio. Canova arriva a Roma nel 1779, a 26 anni, grazie ai soldi guadagnati con Dedalo e Icaro. Nel giro di poco tempo diventa una celebrità, coinvolta addirittura nella gestione e nella salvaguardia del patrimonio culturale capitolino con cariche di solito riservate all’aristocrazia o al clero. Come quella di Ispettore delle Belle Arti (titolo che prima era stato di Raffaello), con pieni poteri su tutto, compreso il controllo sui beni che si volevano esportare. Per calmierare il mercato, alimentato dagli scavi in pieno fermento, ma anche dalle massicce svendite dell’aristocrazia romana in profonda crisi economica, lo scultore vieta le esportazioni e acquista di tasca propria gli antichi cippi romani messi in vendita dalla famiglia Giustianiani (di cui uno in mostra a Roma) per donarli ai Musei Vaticani. Durante la dominazione napoleonica viene nominato Direttore dei Musei Vaticani, ma rinuncia all’appartamento e allo stipendio offertigli dai francesi. Più tardi, di ritorno da Parigi, dove ha ottenuto dal nuovo re Luigi XVIII la restituzione di molte opere allo Stato della Chiesa, riceve dal papa il titolo di marchese, ma sceglie di destinare tutte le rendite associate al titolo a restauri, scavi e al finanziamento di borse di studio per giovani artisti. Genio inquieto Antonio Canova, che con il suo lavoro cerca di evadere dalla drammaticità contemporanea, ma che poi, giocoforza, si dedica ai personaggi del suo tempo, come Paolina Bonaparte, celeberrima Venere canoviana con il pomo della discordia in mano. Napoleone gli commissiona il proprio ritratto in scultura, da esporre per i suoi 40 anni e lui, ispirandosi a Marte pacificatore, lo fa nudo con lo scettro e la vittoria alata, ma quando la statua arriva a Parigi l’imperatore la nasconde perché: «nudo in piazza non andrò mai». In seguito Thomas Jefferson gli chiede di realizzare una statua di George Washington e Canova lo ritrae vestito come un generale dell’esercito romano intento a scrivere la sua rinuncia al potere come Cincinnato che, proprio come Washington, ad un certo punto si ritirò a vita privata.

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