N° 1/2020
Una vita spesa alla ricerca degli Asteroidi. Di Maura Tombelli
Il James Webb è pronto per il lancio! Di Nicoletta Minichino
Salvate Apollo 11! Di Luigi Pizzimenti
SOMMARIO Abbonati alla rivista N° 6/2019
Editoriale
2
La storia delle Stazioni Spaziali. Skylab: il primo avamposto orbitale USA. 2a parte
3
Luca Parmitano, missione compiuta!
10
Redazione: Massimo Calenzani, Biagio Cimini, Claudia Filippazzo, Mauro Mazzara.
Una vita spesa alla ricerca degli Asteroidi
18
Hanno collaborato a questo numero: Sara Albrigo, Emanuela Cafaro, Alessandro Colonna, Massimo Martini, Nicoletta Minichino, Stefania Piccolo, Maura Tombelli.
2019: ai confini della conoscenza dell'Universo
23
Redazione: Via Santa Maria, 60 21010 Ferno (VA) info@adaa.it - www.adaa.it
Turisti in orbita con SpaceX
28
Il James Webb è pronto per il lancio!
33
Salvate Apollo 11!
37
News dal mondo astronautico
42
Bimestrale d'informazione astronautica e astronomica a cura dell'Associazione ADAA
Tutti i diritti sono riservati a norma di legge. È permessa la pubblicazione del materiale pubblicato con citazione obbligatoria della fonte, previa autorizzazione scritta dell'associazione. Direttore: Luigi Pizzimenti Pubblicità: info@adaa.it
Argotec sulla Luna e contro gli asteroidi. Di Chiara Palatini
Astronomia a 13.000 metri di altitudine. Di Davide Sivolella
Alexei Leonov: l'artista cosmonauta. Di Luigi Pizzimenti
Prezzo per 6 numeri compresa spedizione pieghi di libri
e 50,00 da bonificare a: ADAA ASSOCIAZIONE PER LA DIVULGAZIONE ASTRONOMICA E ASTRONAUTICA Banca: Banco BPM
IBAN IT 04 T 05034 50233 000000001201
N. 1/2020 In copertina: Luca Parmitano ripreso dal collega Morgan. Credits: ESA/NASA.
Causale: Abbonamento annuale a SPAZIO Magazine
Sei appassionato di Astronomia o Astronautica? Entra a far parte del nostro Team! Scrivi a info@adaa.it o visita il nostro sito www.adaa.it
1
La storia delle Stazioni Spaziali. Skylab: il primo avamposto orbitale USA (2a parte)
EDITORIALE Cari Lettrici e Lettori, Spazio Magazine apre il suo quarto anno di attività, consapevole che la pandemia mondiale ha modificato tutti i nostri progetti che ovviamente passano in secondo piano rispetto all’emergenza nazionale. A seguito delle disposizione emanate dal Governo in relazione all’emergenza COVID-19, il servizio postale attivato per la spedizione della rivista agli abbonati è stato momentaneamente sospeso. Al fine di mitigare il disagio, la Redazione in accordo con la campagna di “solidarietà digitale” promossa dal Ministero per l'Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, mette a disposizione la versione elettronica sfogliabile del numero 1/2020 della rivista. Scusandoci per il disagio arrecato e nella speranza che l’emergenza COVID-19 rientri prima possibile, la Redazione vi saluta.
di Massimo Martini
Sulle pagine di Spazio Magazine hanno scritto scienziati, aziende del settore, ricercatori e addetti ai lavori. Contributi importanti che hanno fatto crescere la rivista e avvicinato tanti lettori a questo affascinante mondo. Il 2020 sarà un anno intenso: si punta decisamente verso la Luna e Marte, gli sforzi di diversi paesi e delle rispettive agenzie spaziali sono portati ai limiti, i finanziamenti nel settore della Space Economy hanno raggiunto cifre ragguardevoli, segno che la nostra “specie” ha deciso veramente di avventurarsi verso le lontane sponde del Sistema Solare. In questo numero ospitiamo con piacere Maura Tombelli, la donna che detiene il record di asteroidi scoperti. Una passione iniziata tanti anni fa che ha prodotto risultati importanti in campo astronomico. Nicoletta Minichino ci aggiorna sullo status del telescopio spaziale James Webb che diventerà il principale osservatorio spaziale per la comunità astronomica mondiale, superando, si spera, i grandi risultati ottenuti da Hubble: infatti Webb sarà più complesso e 100 volte più potente del suo predecessore. Emanuela Cafaro ci porta ai confini della conoscenza dell'Universo con un riepilogo dell’anno appena passato, ricco di novità, viaggi spaziali, scienza e soprattutto entusiasmo per il futuro dell'Astrofisica. Redazione News: l’ESA lavora alla creazione di un impianto autonomo che possa estrarre ossigeno dal suolo lunare, le ricadute sulle future esplorazioni umane potrebbero essere enormi. La continua ricerca dell’autonomia ci permetterà di vivere in permanenza fuori dal nostro Pianeta.
L'equipaggio di Skylab 3, da sinistra Owen Garriott, Jack Lousma ed Alan Bean. (Credit: NASA).
L
Skylab 3, vivere e lavorare in orbita
con a bordo il Comandante Alan L. Bean, un veterano della missione lunare Apollo 12, e due novellini, il Pilota Jack R. Lousma ed il Pilota Scientifico Owen K. Garriott. Una volta entrati in orbita con l'Apollo, i tre iniziarono un rendez-vous di otto ore con lo Skylab. Ma, poco dopo l'entrata in orbita, uno dei quattro set di razzi di manovra iniziò a mostrare delle perdite.
a seconda missione con equipaggio verso il laboratorio spaziale, inizialmente prevista per il 17 agosto, venne anticipata di tre settimane per i problemi costituiti dal parasole e con l'orientamento dei giroscopi. Il razzo Saturn 1B con sulla sommità la capsula Apollo decollò così il 28 luglio 1973
Ad Astra! Luigi Pizzimenti Presidente ADAA
2
3
I 4 gruppi di razzi sono situati ad intervalli di 90° attorno al Modulo di Servizio (SM) e vengono utilizzati per il controllo di assetto e le manovre di rendez-vous. La sola soluzione fu di spegnere quel gruppo costringendo l'equipaggio ad eseguire il rendez-vous, l'ispezione, volando attorno allo Skylab e l'attracco, utilizzando solo 3 set, uno scenario mai sperimentato prima della missione. Con l'aiuto di una calcolatrice a mano HP-25 per fare i calcoli mentre si avvicinavano alla stazione, l'equipaggio riuscì con successo a completare
decisero così di approfittare della struttura unica dello Skylab: la capacità di salvataggio. I dipendenti al KSC accelerarono i lavori per assemblare e trasferire in rampa il prossimo razzo Saturn 1B e la capsula Apollo in modo da permettere un lancio all'inizio di settembre. In questo scenario di recupero, l'astronauta Vance D. Brand e Don L. Lind avrebbero volato verso lo Skylab ed attraccato al suo boccaporto laterale e riportato l'equipaggio residente a casa a bordo del Modulo di Comando modificato in modo da ospitare cinque astronauti.
prima della missione, compreso il monitoraggio del loro sistema cardiovascolare e della massa corporea. Garriott e Lousma eseguirono, il 6 agosto 1973, la prima attività extra-veicolare della missione, installando un parasole permanente sopra quello di emergenza e piazzando una nuova serie di pellicole nell'ATM da poter utilizzare nei sei strumenti per le osservazioni solari ed astronomiche. Durante quella EVA fu stabilito il record di durata fino a quel momento con 6 ore e 31 minuti. Fra i vari esperimenti eseguiti a bordo vi fu una
cavo per una nuova serie di giroscopi che montarono all'esterno della stazione. Il giorno successivo l'equipaggio superò il record dei 28 giorni in orbita di Skylab 2 come volo spaziale umano più lungo. Il 22 settembre venne eseguita una terza ed ultima EVA da parte di Bean e Garriott, della durata di 2 ore e 41 minuti, durante la quale vennero recuperate le pellicole esposte su ATM per riportarle sulla Terra e ne installarono di nuove. Durante le tre passeggiate spaziali l'equipaggio di Skylab 3 aveva trascorso quasi 14 ore all'esterno della stazione, un record per una singola missione in orbita terrestre. In totale vennero completate quasi 300 ore in più di ricerca di quanto previsto all'inizio. Il 25 settembre 1973 Bean, Garriott e Lousma ammararono a circa 370 km a sudovest di San Diego dove vennero recuperati dalla portaerei USS New Orleans. Il loro volo era durato 59 giorni ed 11 ore, quasi raddoppiando il precedente record dell'equipaggio di Skylab 2. Basato sulle lezioni imparate dal primo equipaggio, come la necessità di ulteriore esercizio fisico e miglioramento dell'alimentazione, gli astronauti di Skylab 3 tornarono sulla Terra in condizioni fisiche migliori, nonostante la permanenza maggiore in orbita.
Skylab 4, il record
La terza ed ultima missione destinata alla stazione spaziale Skylab prese il via il 16 novembre 1973, sempre dal KSC ed utilizzando ancora un Saturn 1B/Apollo. A bordo l'equipaggio era composto dal Comandante Gerald P. Carr, dal Pilota William R. Pogue, e dal Pilota Scienfico Edward G. Gibson. I tre erano tutti al loro primo volo, non accadeva dalla missione Gemini 8 del 1966. L'attracco alla stazione avvenne circa otto ore dopo il lancio ed il giorno successivo i tre furono occupati dall'attivazione di quella che sarebbe stata la loro nuova casa per i successivi tre mesi. Sette giorni dopo l'inizio della missione, si sviluppò un problema con i sistemi di controllo di assetto. Lo Skylab dipende da tre grandi giroscopi, fatti in modo che due bastino per mantenere l'assetto e controllo sufficiente. Il terzo agiva come riserva nell'evento di guasto di uno degli altri. Il guasto al giroscopio venne attribuito ad un'insufficiente lubrificazione. Nel corso della missione un secondo giroscopio mostrò problemi Fig. simili ma uno speciale controllo della temperatura e 3. carico di esercizio permise di mantenerlo operativo e nessun altro problema occorse. L'equipaggio proseguì il programma scientifico iniziato dalle due precedenti missioni, compresi gli studi biomedici sugli effetti dei voli spaziali di lunga durata sul corpo umano. Per le osservazioni terrestri venne utilizzato l'EREP mentre le osservazioni solari gli strumenti montati su ATM.
Tre momenti durante Skylab 3, da sinistra il test dell'AMU, la passeggiata spaziale di Lousma ed il parasole definitivo. (Credit: NASA).
la difficoltosa manovra ed attraccare allo Skylab, segnando la prima volta che una stazione spaziale veniva abitata per la seconda volta. Poco dopo essere entrati nella stazione, tutti e tre gli astronauti sperimentarono i sintomi del mal di spazio, che li costrinse a rimanere indietro nel programma. I responsabili della missione ritardarono la prima passeggiata spaziale prevista per il 31 luglio di diversi giorni in modo da permettere ai tre di riprendersi. Nel frattempo un secondo set di razzi di manovra iniziò a perdere e l'equipaggio lo spense prontamente. I controllori di volo iniziarono a preoccuparsi in quanto, con solo la metà dei razzi di manovra operativi, l'SM non sarebbe stato in grado di far tornare, in sicurezza, l'equipaggio sulla Terra. I responsabili della NASA
Alla fine i responsabili NASA decisero che l'equipaggio di Skylab 3 avrebbe potuto utilizzare le procedure che Brand e Lind avevano provato nei simulatori al suolo e che avevano dimostrato di poter rientrare anche con solo due set di razzi di manovra. Così la missione di salvataggio venne annullata. Con l'equipaggio che si sentiva meglio e la crisi dei razzi superata, Bean, Garriott e Lousma iniziarono a lavorare al loro programma scientifico e si prepararono per la prima passeggiata spaziale della missione. Venne attivato l'Earth Resources Experiment Package (EREP), composto da una serie di sensori che osservavano la Terra nel visibile, infrarosso e microonde e completarono diverse scansioni di vari siti. Inoltre i tre astronauti proseguirono una serie di esperimenti medici iniziati
4
dimostrazione tecnologica dove un membro dell'equipaggio eseguì un volo, all'interno della spaziosa volta del laboratorio, con la Astronaut Maneuvering Unit (AMU). L'AMU era un modello di prova per quello che sarebbe diventato il Manned Maneuvering Unit, uno zaino a razzo che avrebbe permesso agli astronauti di operare liberi all'esterno di veicoli spaziali e venne utilizzato in seguito sullo Space Shuttle durante le missioni di manutenzione dei satelliti. Uno degli esperimenti che colpì l'attenzione del pubblico fu uno studio che aveva come interpreti principali due ragni, chiamati Arabella e Anita, che eseguirono le loro tele nello spazio, dove sembrarono adattarsi molto bene. Il 24 agosto Garriott e Lousma eseguirono una seconda EVA, sostituendo le pellicole dell'ATM ed installando un
5
Oltre al loro programma scientifico osservarono la cometa Kohoutek, scoperta nel corso dell'anno e che sarebbe giunta vicino al Sole a dicembre. Essi portarono sulla stazione una speciale fotocamera Far Ultraviolet Electronographic Camera per osservare la cometa e la utilizzarono per la fotografia cometaria durante le due passeggiate spaziali che furono aggiunte alla missione. Uno dei principali scopi della prima EVA della missione,
che ora era bloccata dal primo scudo solare installato dall'equipaggio di Skylab 2 a maggio, per raffreddare la stazione. Gibson e Pogue eseguirono tutti i compiti loro assegnati in questa prima EVA. Una delle lezioni imparate nelle prime due missioni Skylab era che gli astronauti non eseguivano sufficienti esercizi fisici per mantenere la massa e la forze dei muscoli di gambe e spalle utilizzando la cyclette di
immise in orbita la Soyuz 13 con a bordo Pëtr Illič Klimuk e Valentin Vital'evič Lebedev, per una missione scientifica di otto giorni, segnò la prima volta che in orbita si trovarono americani e sovietici. Nonostante le due navi spaziali non si avvicinarono fra di loro e nemmeno ebbero capacità di comunicare, l'evento servì a ricordare che erano già in corso i preparativi per la prima missione congiunta fra le due super-potenze,
EVA della missione. Durante le 7 ore ed 1 minuto di passeggiata spaziale i due astronauti eseguirono svariati compiti fra cui la ripresa di fotografie nell'ultravioletto della cometa Kohoutek. La terza EVA, eseguita il 29 dicembre e durata 3 ore e 29 minuti da Carr e Gibson, vide la raccolta di una copertura anti-meteoriti per analisi successive e vennero ripetute le foto alla cometa Kohoutek. Durante l'attività extra-veicolare, a causa di
L'equipaggio di Skylab 4, da sinistra Carr, Gibson e Pogue. (Credit: NASA).
Nella foto, scattata da Carr, Pogue appena uscito dal boccaporto durante l'ultima EVA di Skylab 4. (Credit: NASA),
eseguita il 22 novembre 1973 e durata 6 ore e 33 minuti, Gibson e Pogue fu l'installazione di un esperimento sul traliccio di ATM e la sostituzione delle pellicole dei suoi strumenti. Inoltre i due scattarono immagini con una macchina fotografica che, originariamente, era stata ideata per riprendere il portello di uscita ma
l'Apollo-Soyuz Test Project, prevista per luglio 1975. I tre astronauti Skylab ed i due cosmonauti Soyuz segnarono anche il maggior numero di persone nello spazio nello stesso tempo, un record che avrebbe resistito per i successivi nove anni. Il 25 dicembre 1973, Carr e Pogue eseguirono la seconda
bordo. Per rimediare a questo problema il medico ed astronauta di supporto Skylab, il Dr. William E. Thornton ideò uno speciale tapis roulant che gli astronauti a bordo soprannominarono scherzosamente "La vendetta di Thornton" a causa dello sforzo richiesto. Fra il 18 e 26 dicembre, quando l'Unione Sovietica
6
una perdita dell'acqua di raffreddamento, si formò del ghiaccio sulla parte anteriore della tuta di Carr. Nella quarta ed ultima passeggiata, svoltasi il 3 febbraio 1974, Carr e Gibson trascorsero 5 ore e 19 minuti all'esterno. Fra i vari compiti vi fu il recupero di tutte le pellicole degli strumenti ATM e l'installazione
7
Le immagini vennero prese nella porzione a raggi X, ultravioletto e nel visibile. Verso la fine della missione Gibson stava osservando la superficie solare quando, il 21 gennaio 1974, una regione attiva del Sole si formò un punto luminoso che si intensificava e cresceva. Gibson reagì prontamente ed iniziò a filmare una sequenza mentre la macchia luminosa eruttava. Questa ripresa fu la prima registrazione filmata dallo spazio della nascita di un brillamento solare. Il più lungo volo spaziale umano di quell'epoca terminò l'8 febbraio 1974. L'equipaggio di Skylab 4 ammarò nell'Oceano Pacifico dopo una missione della durata di 84 giorni dove vennero completati molti più esperimenti di quanto pianificato. Proprio l'enorme carico di lavoro per i tre astronauti portò ad un quasi "ammutinamento" dell'equipaggio che decise di darsi un giorno di pausa non programmato con i controllori di volo. Dopo questo evento, la programmazione NASA dei periodi di lavoro e riposo nelle missioni abitate in orbita, tenne maggiormente in conto le esigenze degli astronauti.
di avere una missione che potesse installargli un motore a razzo per fargli alzare l'orbita o portarlo ad un rientro controllato. Sfortunatamente, un'attività solare più energica nella seconda metà degli anni '70 incrementò l'attrito atmosferico dello Skylab che causò una perdita più rapida di quota di quanto preventivato. I ritardi nello sviluppo dello Space Shuttle resero impossibile il recupero della prima stazione spaziale USA. L'11 luglio 1989, lo Skylab rientrò nell'atmosfera terrestre. Le forze del rientro causarono la disintegrazione della stazione in centinaia di pezzi, alcuni dei quali, i più grandi, arrivarono fino al suolo. I detriti caddero in una zona che si estendeva dall'Oceano Indiano orientale fino all'Australia, fortunatamente su aree scarsamente popolate. Diverse parti di Skylab vennero recuperate ed ora si trovano nei musei.
Conclusioni
Lo Skylab è stata la casa di tre equipaggi di astronauti per un totale di 171 giorni e come piattaforma per condurre ricerca scientifica ha provato il suo valore. Le indagini biomediche eseguite dai nove membri dell'equipaggio Skylab hanno fornito i primi indizi sugli effetti del volo spaziale sul corpo umano e come prevenirne i maggiori effetti negativi. I telescopi solari di ATM eseguirono oltre 170.000 immagini astronomiche, mentre gli scienziati poterono visionare 46.000 foto della superficie terrestre. In quasi tutte le discipline scientifiche gli astronauti superarono il numero previsto di esperimenti. Di significativa importanza, avere esseri umani disponibili per le situazioni non previste ha dimostrato di essere un grande valore aggiunto, dalla riparazione della stazione danneggiata dopo il lancio, all'essere in grado di rispondere agli eventi inaspettati. Tutto questo ha incrementato il ritorno scientifico della missione, compreso l'osservazione di un nuovo brillamento solare e di una cometa in uno dei suoi rari passaggi nel Sistema Solare interno. I responsabili, i controllori di volo e gli ingegneri hanno utilizzato l'esperienza guadagnata con lo Skylab per imparare a come vivere nello spazio ed operare una piattaforma abitata nello spazio per lungo tempo, passando la lezione imparata ai programmi successivi come ShuttleMIR e la Stazione Spaziale Internazionale (ISS),
Una fine ingloriosa
L'ultimo equipaggio dello Skylab, prima di sganciare l'Apollo dalla stazione, accese i motori di assetto del Modulo di Servizio per alzarne l'orbita. All'epoca era previsto che Skylab rimanesse in orbita fino ai primi anni '80. Vi furono dei dibattiti sulla possibile visita dello Space Shuttle al laboratorio spaziale una volta iniziati i voli regolari, o almeno Nella foto, la cometa Kohotek fotografata dall'equipaggio di Skylab 4. (Credit: NASA)
di un'esperimento per la raccolta delle particelle micrometeoritide. La NASA sperava di poter recuperare i risultati di quell'esperimento con una missione Space Shuttle agli inizi degli anni '80. L'equipaggio trascorse molte ore studiando la Terra
e, con alternativamente Carr e Pogue ai controlli, operarono gli strumenti sensibili per fotografare strutture selezionate per la superficie terrestre. L'equipaggio eseguì diverse osservazioni solari, registrando circa 75.000 nuove immagini telescopiche del Sole.
8
Massimo Martini. Appassionato di astronomia e di astronautica fin da quella notte del luglio 1969 quando, a poco più di sei anni, vide gli uomini mettere piede sulla Luna. Dal 2000 al 2017 ha realizzato e curato il sito Astronautica.us. Attualmente collabora con il blog
AliveUniverse.today, dove descrive le missioni degli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), cura una rubrica astronomica mensile sulla rivista locale “Quello che c'è” ed è astrofilo del Gruppo Astronomico Viareggio.
9 7
Luca Parmitano, missione compiuta! di Claudia Filippazzo
“Quello che facciamo sulla Stazione Spaziale Internazionale è per la Terra, per l’umanità. Lavorare sull’avamposto orbitale è l’unico modo per capire di quali conoscenze scientifiche e di quali tecnologie abbiamo bisogno per poterci spingere oltre”. Luca Parmitano
I
l comandante Parmitano chiarisce così, con semplici ma evocative parole, il senso di questo grandioso progetto collettivo che è la ISS, la stazione orbitale nata per permettere all’umanità di progredire nella ricerca scientifica in tantissimi campi, dalla medicina alla scienza dei materiali, alla biologia, alla fisica, allo sviluppo tecnologico per trovare soluzioni a problemi “terrestri”, ma anche soluzioni che un domani ci permetteranno di andare “oltre” il nostro pianeta. E quest’ultima missione del nostro astronauta fuoriclasse (collezionista di record spaziali e anche considerato eroe dalla Nasa per la sua gestione dell’emergenza che lo mise in pericolo di vita nella sua precedente missione “Volare”, che gli è valsa una medaglia) è stata appunto denominata “Beyond” cioè “Oltre”. Il nome è più che meritato visto il valore degli esperimenti realizzati (più di duecento quelli effettuati dal nostro Luca, di cui sei italiani) e dell’eccezionale opera di riparazione dello strumento AMS-02 (Alpha Magnetic Spectrometer), il cacciatore di particelle, la più complessa serie di attività extra-veicolari mai realizzata. È stato un lavoro da chirurgo in guantoni da boxe, realizzato fluttuando per cinque/sei ore a testa in giù, su, a destra, a sinistra,
10 14
Luca Parmitano in training al Johnson Space Center. (Fonte: Nasa).
15 11
in tuta e scafandro (pardon: casco), scacciando i brutti ricordi (l’incidente che gli è quasi costato la vita nel 2013, quando stava per annegare a causa di una perdita d’acqua nel casco) per concentrarsi su un lavoro di precisione massacrante. Unico bonus: il panorama. Uno che riesce a fare una cosa così e la ripete quattro volte nella stessa missione, già non è un uomo normale (è innegabile che tutti gli astronauti siano un bel po’ fuori scala, ma se ti mandano a fare il comandante, primo italiano, di una missione così delicata e mandano te e non un altro a eseguire un lavoro così impegnativo su uno strumento che non era stato concepito per poter essere riparato nello spazio, per quattro volte di fila, un motivo ci sarà). E lui tutto questo lo riassume in due parole: “umiltà e orgoglio”, quando parla della missione e dello splendido lavoro portato avanti con i suoi compagni di viaggio, Logo della missione Beyond. (Fonte: Esa). Il comandante Parmitano nella cupola della ISS. (Fonte: Esa).
Test drive dell’esperimento di telerobotica Analog-1. (Fonte: Esa).
il russo Alexander Skvortsov e l’americano Andrew Morgan, e gli altri membri dell’equipaggio presenti sulla ISS con cui ha condiviso giorni, settimane e poi mesi, uno dopo l’altro, galleggiando in piccoli moduli zeppi di cavi, strumenti, pannelli, superfici che da soffitto diventano pavimento e poi parete, in un girotondo disorientante e probabilmente claustrofobico, interrotto solo dalla meravigliosa cupola trasparente (made in Italy) da cui si può guardare la Terra, vicina ma irraggiungibile, e la Luna, che già lo aveva emozionato durante la prima missione “Volare” nel 2013: “Aprivo la cupola e mi immergevo nello spettacolo più straordinario che esiste”, aveva commentato al suo ritorno, dopo 166 giorni trascorsi nello spazio. Per la sua seconda missione sulla ISS (Expedition 60/61) il comandante ha battuto il suo record ed è rimasto nello spazio per ben 201 giorni, portando a 367 i giorni di permanenza totali: più di un intero anno! Quest’ultima missione, iniziata il 20 luglio 2019 a 50 anni esatti dal primo allunaggio (la patch ricorda infatti quella della storica missione Apollo 11, nel disegno e anche nella scelta di Parmitano di non includere i nomi dell’equipaggio), è terminata il 6 febbraio scorso, dopo un viaggio da brividi a bordo della navicella Soyuz (“Che viaggio!”, ha esclamato lui alla collega Christina Koch mentre scendevano a 28.800 chilometri orari verso il Kazakhstan).
12
Luca, l’abbiamo detto, è stato il primo comandante italiano sulla ISS ed è l’europeo con più ore trascorse a galleggiare nel vuoto protetto solo da una tuta (33 ore e 9 minuti, per la precisione), nel corso delle sue sei EVA (Extra-Vehicular Activity, le passeggiate spaziali) compiute nelle due missioni che lo hanno visto protagonista (“Volare” nel 2013 e “Beyond”, terminata lo scorso febbraio). Ha anche teleguidato dalla ISS un rover che si trovava sulla Terra, nel corso dell’esperimento chiamato Analog-1. Il rover fa parte del progetto Meteron (Multi-Purpose End-To-End Robotic
13
Patch della Expedition 60 e della missione Apollo 11. (Fonte: Esa/Nasa).
Operation Network) dell’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea, che mira a sviluppare le tecnologie per l’esplorazione umana e robotica. Il comandante Parmitano, utilizzando due laptop e un joystick dotato di “force feedback” (un sistema che applica la stessa forza che l’azione avrebbe se fosse compiuta direttamente sull’oggetto) aveva il diretto controllo del braccio robotico ed era in grado di ricevere un feedback di ciò che “sentiva” il rover, nonostante il leggero ritardo nel segnale di ritorno dal robot. Questo ritardo, in gergo “latenza”, sarebbe di poco inferiore ai 3 secondi se operassimo dalla Terra,
Luna) e di supportare una futura missione umana con robot guidati non dalla Terra, ma da una piattaforma in orbita (in futuro il Gateway lunare, per esempio) o da una navicella spaziale, rendendo possibile una comunicazione con un rover in tempo reale grazie alle ridotte distanze: qualche centinaio di chilometri invece di centinaia di migliaia di chilometri. Lo stesso metodo della “guida telerobotica” potrebbe poi essere utilizzato per l’esplorazione di Marte e la preparazione del primo sbarco dell’uomo sul pianeta. Tra i tanti esperimenti realizzati, sei erano targati Asi
Il gruppo ha anche potuto visitare i laboratori Nasa e assistere al lancio. Altri esperimenti sono stati NutrIss, sulle variazioni della composizione corporea in missioni a lungo termine nello spazio, Acoustic Diagnostic, sull’influenza della microgravità e del rumore di bordo sull’udito degli astronauti, Amyloid Aggregation riguardante il rischio che la condizione di microgravità rappresenta per gli astronauti in riferimento ad alcune patologie come l’Alzheimer. Gli altri due esperimenti hanno riguardato lo studio degli effetti delle radiazioni durante le missioni
Un’immensa nube di cenere copre l’Australia. (Fonte: Luca Parmitano/Esa).
La Soyuz MS-13 dopo l'atterraggio. (Fonte: Esa).
manovrando un rover sulla Luna (il segnale viaggerebbe alla velocità della luce avanti e indietro per i circa 400mila chilometri che ci separano dal nostro satellite naturale). Se invece provassimo a fare lo stesso con un rover su Marte il ritardo raggiungerebbe i 26 minuti… decisamente troppi! Ecco quindi che questo esperimento sulla ISS è servito come “prova generale” della possibilità futura di esplorare un corpo celeste (a cominciare dalla
spaziali (Lidal) e l’osservazione grazie al telescopio Mini-Euso, dedicato al monitoraggio delle emissioni ultraviolette, sia di origine terrestre sia di origine cosmica. Oltre agli esperimenti italiani il comandante Parmitano ha eseguito tantissimi altri esperimenti soprattutto sulla fisiologia del corpo umano (per capire le reazioni del nostro corpo nelle missioni di lunga durata, prevenire
(Agenzia Spaziale Italiana), in diverse aree e discipline scientifiche. Uno di questi è Xenogriss, che ha permesso di studiare la crescita e la rigenerazione dei tessuti, analizzando le fasi di accrescimento dei girini Xenopus. Oltre all’obiettivo scientifico, l’esperimento aveva anche finalità educativa: parte dell’hardware è stata realizzata da alcuni studenti dell’Itis Meucci di Firenze, guidati dai loro insegnanti, con la supervisione di Kayser Italia.
14
eventuali problemi o almeno cercare di limitarli e contenerne gli effetti una volta tornati sulla Terra). Altri esperimenti hanno riguardato soluzioni tecnologiche che potrebbero rivelarsi estremamente utili per l’esplorazione di altri mondi. Uno dei più interessanti è quello sui microrganismi “minatori” dell’esperimento Biorock, capaci di estrarre minerali sulla Terra e che sono stati testati in condizioni di microgravità. Ricordiamo poi l’Advanced Closed Loop System dell’Esa, un esperimento che mira a riciclare l’anidride carbonica presente sulla stazione, producendo metano e acqua
e quindi anche ossigeno. Il sistema è stato montato all’interno del Life Support Rack, la struttura che contiene gli apparecchi che rigenerano l’ossigeno e l’acqua sulla stazione spaziale. Se si rivelasse efficiente (tutti i dati sono in fase di analisi, come quelli degli altri test), si potrebbe ridurre la quantità di acqua spedita sulla ISS, con un conseguente notevole risparmio. Nel corso della missione il comandante Parmitano ha
15
dimostrato anche una grande sensibilità per i temi ambientali, fotografando e inviando splendide immagini del nostro pianeta ma anche fotografie drammatiche che immortalavano gli effetti di uragani e allagamenti su Bahamas e Porto Rico, gli incendi nella foresta amazzonica e poi i terribili roghi dei mesi scorsi in Australia, e ha sempre cercato di sollecitare la riflessione su questi temi durante i suoi collegamenti con i leader mondiali, con i rappresentanti delle nostre istituzioni, con gli studenti, con il vasto pubblico che lo ha sempre seguito con ammirazione e con affetto. Nelle sue parole c’era la bellezza del nostro pianeta, la sua maestosità, la forza vitale, ma anche il suo fragile equilibrio, ancora più evidente quando lo si guarda da 400 chilometri di altezza. In questo grandioso spettacolo l’elemento più debole e forse transitorio sembra essere proprio la presenza umana. Come ha detto il nostro astronauta: “Ho iniziato a fotografare
gli incendi in Australia a settembre e a gennaio se ne continua a parlare. Un intero continente color rosso, visibile per centinaia di chilometri, forse migliaia. Questa fragilità così evidente ha l’effetto di farci pensare a quale è l’elemento più fragile. La cosa più fragile siamo noi. La vita continuerà ben oltre la capacità dell’Uomo di sopravvivere ai danni che sta facendo. La vita continuerà, ma non è detto che ci sia l’Uomo. Se vogliamo fare qualcosa è il momento di agire”. Il suo appello contiene anche parole di speranza: “Quello che resta della Stazione Spaziale Internazionale è la sensazione che quando abbiamo grandi ideali, grandi obiettivi, è possibile unire la gente. Quando la unisci in un grande sogno, in un grande obiettivo, puoi realizzare grandi cose”. Noi non possiamo che augurarcelo e augurarci anche che nuovi obiettivi siano dietro l’angolo per il nostro comandante… un viaggio più lontano stavolta… la Luna… chissà!
Luca Parmitano esce dalla Soyuz MS-13. (Fonte: Esa).
Luca Parmitano al suo arrivo all'ESA a Colonia. (Fonte: Esa).
Claudia Filippazzo. Giornalista, inizia la sua carriera come praticante nelle sedi ANSA di New York e Washington. La sua passione per la politica internazionale la porta ad approfondire la conoscenza dell’area dell’Estremo Oriente. Per due anni risiede e lavora a Tokyo, come responsabile delle pubbliche relazioni e dell’ufficio stampa della Camera di Commercio Italiana in Giappone e direttore della rivista camerale. Consegue poi un Master in Istituzioni e Politiche Spaziali per approfondire, tra gli altri, i temi legati allo sviluppo delle telecomunicazioni,
16
dei servizi di navigazione satellitare e dell’osservazione della Terra. Completa il corso in "Earth Observation from Space" organizzato dall’ESA (studio dei cambiamenti ambientali e dei flussi migratori legati alle variazioni climatiche e alla crescente pressione demografica in diverse aree del pianeta) e il corso "The Frozen Frontier: Monitoring the Greenland Ice Sheet from Space", sempre organizzato dall'Agenzia Spaziale Europea (approfondimento su alcuni fenomeni in grado di modificare il clima presente e futuro).
17
Una vita spesa alla ricerca degli Asteroidi di Maura Tombelli
O
ccuparmi di asteroidi potenzialmente pericolosi per la terra, i cosidetti Near Earth Asteroids, aiutando i professionisti a calcolare orbite sempre più precise affiancando le mie misure astrometriche con le loro, in fondo era quello che desideravo da sempre: aiutare la scienza divertendomi. Esiste un sito internet, Minor Planet Center, dove una pagina e’ dedicata alle scoperte di questi oggetti, si chiama appunto NEO Confirmation Page, dove vengono inseriti tutti gli oggetti appena scoperti che potrebbero risultare poi dei NEA, ecco che consultando questa pagina, ho già un buon motivo per provare a confermare la scoperta, in questo caso, quando uscirà la circolare relativa, ci sarà anche il mio nome, il nome del mio osservatorio insieme agli altri che hanno contribuito. Ambizione? Si, ce ne vuole tanta, perché spesso non ci sono oggetti abbastanza luminosi per la mia attuale strumentazione, allora cerco di produrre posizioni di Asteroidi NEA già conosciuti, ma che hanno bisogno di misure astrometriche per determinare un’orbita precisa affinché la sigla provvisoria assegnatagli diventi un numero, solo quando un oggetto è numerato lo scopritore potrà assegnargli un nome inviando una dedica di giustificazione all’MPC dove una commissione si riunisce ogni due mesi e approva la nomination. Inutile dire che, per noi non professionisti, nominare un asteroide a una persona o al paese è la nostra unica ricompensa. Per il mio lavoro di ricerca utilizzo la seguente strumentazione: Telescopio Schmidt-Cassegrain LX200 30 cm specchio f10 con montatura equatoriale comandata a distanza da PC + Camera CCD STX- 16803 della Sbig. Il telescopio va portato fuori ogni volta che decido di osservare, impiego circa un’ora a posizionare la strumentazione ed essere pronta a lavorare. Per l’osservazione visuale un Dobson con specchio di 44cm completamente manuale. Queste saranno anche le ultime serate che passerò al mio osservatorio code 108 Montelupo che altro non è che una terrazza al confine di una strada in zona residenziale, infatti sta per arrivare il telescopio ufficiale
R/C da 400 mm all’Osservatorio “Beppe Forti” la cui costruzione mi ha impegnato negli ultimi 25 anni. È inevitabile pensare a quando non era così semplice, per noi non professionisti, produrre dati utili di asteroidi e comete. Ripenso ancora al mio piccolo Celestron C8, fortemente desiderato e poi, finalmente acquistato nel febbraio 1987, mi sentivo euforica e allo stesso preoccupata di non saperlo usare. Non fu facile, ma a poco a poco presi confidenza ed e imparai anche ad emozionarmi per ogni nuovo oggetto che riuscivo a trovare. Stimolavo la mia fantasia con la lettura dei libri di fantascienza di Isaac Asimov, fino quando non mi ritrovai a leggere “Il libro di Fisica” che immaginavo anch’esso di fantasia, mi accorsi invece che era davvero un trattato di fisica e me ne innamorai. Era trascorso un anno e, con mio grande sgomento, mi accorsi che mi si stava ripresentando lo stesso cielo, mi dissi che l’osservazione e basta non mi interessava più, volevo fare un salto di qualità o rassegnarmi a pensare che l’astronomia non era alla mia portata. Ne parlai con un’amica che mi spinse a chiamare Franco Pacini, allora direttore di Arcetri, Osservatorio Astrofisico di Firenze. La voglia di provare fu superiore alla mia timidezza e così mi fu presentato il dott. Giuseppe Forti al quale chiesi: “Ho questa strumentazione, posso fare qualcosa che serve mentre mi diverto?” Il prof. Forti mi guardò e sorridendo mi disse: “Io fo comete, se fa comete con me si va d’accordo.” Un attimo di smarrimento e… ma che vuol dire fare comete? Sorridendo mi disse: “Si accomodi”. E cominciò la mia metamorfosi, da bancaria e aspirante astrofila a cacciatrice di asteroidi. Il prof. Forti era il punto di riferimento di molti astrofili, fu da Beppe che conobbi Andrea Boattini, allora studente di astronomia, e cominciammo a lavorare insieme ad un osservatorio amatoriale a Piazzano, vicino a casa mia. Il primo compito era sulle comete: trovarle e calcolarne la luminosità, poi le stelle variabili fino alla stima delle Nove e SN, complice la supernova in M65 del gennaio 1989 scoperta da Robert Evans e Federico Manzini. Con Andrea cominciammo a pensare che forse avremmo potuto scoprirne una anche noi.
18
Ammasso di galassie con M84 + M86 + M87 detta Catena Markarian (strumentazione v. testo), nessun trattamento, somma di 30 immagini di un minuto di posa. 09/04/2019. (Credito: Maura Tombelli).
Poi il colpo di fortuna. Avemmo la possibilità di poter accedere allo Smith 60/40 dell’osservatorio di Asiago insieme al compianto Marco Cavagna, il quale non era interessato alle supernovae, ma cercava asteroidi. E fu proprio lui, nel 1991 ad invitarci alla prima riunione del GIA (Gruppo Italiano Astrometristi) a Verona, dove incontrai Luciano Tesi, fondatore e presidente del GAMP (Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese), nonché appassionato cacciatore di asteroidi lui stesso. Fu così che, ascoltando le loro parole, ci appassionammo e decidemmo di intraprendere la strada della caccia agli asteroidi. Per fare questo occorreva una strumentazione diversa dalla nostra, serviva infatti una camera CCD da collegare al telescopio, la acquistammo obbligando Andrea ad usarla solo in mia presenza, così lui sfruttava la strumentazione ed io sfruttavo lui per imparare. Da allora e fino al 1993 lavorammo con il Celestron 8 e la CCD ST6, vale a dire una strumentazione che ci permetteva di arrivare a magnitudini non oltre la 17^. Nell’autunno del 1993 ci fu un bando per i non professionisti, indetto dal prof. Leonida Rosino, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Asiago al quale si poteva partecipare presentando un progetto interessante. Chi vinceva avrebbe avuto la possibilità di usufruire per una volta al mese del telescopio Smith 90/60. Vincemmo noi e fu così che dal 16 gennaio 1994 iniziammo la nostra avventura fino a dicembre 1998. A febbraio però rimasi senza il mio collega, perchè fu chiamato in America. Io però, dopo i primi tentennamenti, decisi che ce l’avrei fatta anche da sola. E così una volta al mese, con qualsiasi condizione meteo, salivo su, orgogliosa di ciò che stavo facendo;
M33 - somma di 6 immagini da 100" di posa, 12/08/2019. (Credito: Maura Tombelli).
19
Cometa 260P - somma di 9 immagini da 1 minuto, sommate sul moto della cometa. 5/10/2019. (Credito: Maura Tombelli).
anche perché quella fu la prima Survey nazionale dedicata agli asteroidi. Inizia così la fase di preparazione con Beppe Forti: avremmo fotografato 5 campi stellari sull’eclittica all’opposizione, ci procurammo le pellicole della Kodak 4415 che furono ipersensibilizzate con formingas. Ogni lastra veniva esposta 2 volte per 20 minuti con un intervallo fra una posa e l’altra di 10 minuti. Gli asteroidi lasciavano così due piccole tracce consecutive facilmente identificabili al microscopio. Gli stessi campi venivano fotografati la notte seguente in modo da avere le due notti necessarie per vederci assegnare la sigla provvisoria delle nuove scoperte. Il campo utile per ogni lastra era di 6 gradi. Cercavamo prima quelli già conosciuti, che visualizzavamo con un programma creato dagli amici di Sormano stampato su carta. Ci accorgemmo subito quanto aveva ragione Beppe a dirci di lavorare sul sistema solare dove, secondo lui, c’era ancora molto da scoprire. Tornavamo a casa ogni mese con decine di nuovi asteroidi scoperti. Dal Team di Antonio Vagnozzi di Terni arrivò in prestito il misuratore di lastre che rimase in casa mia molti anni, fino alla primavera del 1999 quando anche l’ultima lastra era stata lavorata e tutti gli asteroidi misurati. Ho ancora i quaderni dove manualmente scrivevo X e Y di almeno 5 stelle di campo vicine alla traccia asteroidale e X e Y di inizio e fine traccia del pianetino; questi dati andavano immessi nel PC manualmente con un programma TEAM prodotto dagli amici di Terni, il risultato erano i dati trasmessi poi al Prof. Forti che inviava all’MPC dal quale ricevevamo la conferma delle scoperte con la relativa sigla provvisoria. Alla prima traccia che identificai io fu il 1994 BT dove 1994 è l’anno di scoperta, B rappresenta la seconda quindicina del Asteroide 6478 Gault - somma di 20 immagini da 1 minuto, sommate sul moto dell'oggetto, si vede la coda sviluppata che lo fa sembrare una cometa. 20/5/2019. (Credito: Maura Tombelli).
20
mese di gennaio e T consecutivo dall’alfabeto. A ripensarci era un notevole lavoro, ma non bastava, bisognava osservarli nuovamente in modo da avere un’orbita di almeno 20 giorni per mantenerne la paternità e soprattutto avere la possibilità di ritrovarli alla successiva opposizione. Durante il fine settimana salivamo all’Osservatorio 104 “San Marcello Pistoiese”, dove Luciano Tesi ci ospitava per agevolarci con il follow up e fu grazie a questa collaborazione che qualcosa di importante avvenne il 28 agosto del 1994. Volevamo ritrovare asteroidi scoperti
Main Belt, scendeva velocemente da nord a sud. Capimmo subito che stavamo vedendo qualcosa di particolare: stavamo scoprendo il primo NEA italiano, un Amor che prese la sigla di 1994 QC poi il numero definitivo 15817 e infine il nome di Lucianotesi come ringraziamento per l’ospitalità che ci aveva concesso. Questa scoperta ci dette una notorietà che non avevamo cercato, i giornalisti mi cercavano anche in banca dove lavoravo, per foto e interviste. Dall’Amministrazione Comunale mi fu chiesto di fare degli incontri con la popolazione per parlare di astronomia e poco dopo,
Maura Tombelli riceve il Premio Gal Hassin. (Credito: Maura Tombelli).
ad inizio mese, ma il tempo trascorso dalle prime posizioni era troppo e il campo stellare di ricerca troppo piccolo, quindi dovevamo fare più campi per ritrovare il candidato muovendoci sulla linea di variazione calcolata da Forti. Sbagliammo campo e invece di muoversi in AR ci muovemmo in Declinazione di un campo, ma nulla avviene a caso: vedemmo subito un puntino luminoso che invece di andare da sinistra a destra, come i normali
visto l’interesse, di costituire un Gruppo Astrofili e iniziare la costruzione di un Osservatorio pubblico nel paese di Montelupo Fiorentino. Il terreno individuato per la costruzione ci fu donato dall’Agriturismo di San Vito nel Comune di Montelupo Fiorentino, il primo contributo dall’Amministrazione Comunale e a seguire tanti volontari. 1 marzo 1995: nasce il Gruppo Astrofili Montelupo.
21
2019: ai confini della conoscenza dell'Universo Un anno ricco di novità, viaggi spaziali, Scienza e soprattutto entusiasmo per il futuro dell'Astrofisica. di Emanuela Cafaro
I
l 2019 è stato certamente un anno rilevante per la conoscenza del nostro meraviglioso Universo, come non se ne vedono molti, che apre nuove frontiere e dà speranza per un futuro roseo nella ricerca sul Cosmo.
nostra capacità di scattare fotografie. Esso attrae a sé la materia e persino la luce stessa, quindi richiede un'elevatissima risoluzione perché il “nero”, l'ombra, venga separato da ciò che ha intorno, il suo “pasto” estremamente luminoso. Insomma, il nome stesso
New Horizons: la sonda che ha raggiunto i confini del Sistema Solare
Primo incontro di Maura Tombelli con il prof. Leonida Rosino. (Credito: Maura Tombelli).
L’architetto Massimiliano Marconcini accetta di fare il progetto per la costruzione dell’osservatorio che sarà solo il primo di una lunga serie prima di venire approvato da tutti gli enti e finalmente, il 29 marzo 2001, siamo in grado di fare la posa della prima pietra dell’Osservatorio “Beppe Forti” code MPC K83, padrino dell’evento fu il dott. Piero Angela (MP 7197 scoperto da Cima Ekar da Andrea Boattini e Maura Tombelli il 16 gennaio 1994). Piero Angela tornò, come promesso allora, per l’inaugurazione dell’osservatorio il 14 luglio 2018 e sono certa che tornerà dopo la posa del telescopio ufficiale che è imminente.
Tutto questo è stato possibile grazie a una grande collaborazione con tante persone che ci hanno voluto bene. La mia passione mi ha permesso di percorrere una strada che si è formata sotto i miei piedi, a volte in salita, ma ricomincerei tutto da capo. Sto pensando a quando ero solo una curiosa del cielo e adesso, dopo 198 asteroidi scoperti e numerati, mi rendo conto che non è stato solo un sogno. Mi auguro che la mia storia possa essere di incentivo ad altri che hanno un sogno nel cassetto, vi invito a fare squadra: infatti da soli si va poco lontano, ma insieme possiamo fare tanto!
Il 2019 si aprì con il flyby di Ultima Thule da parte della sonda New Horizons, lanciata nel 2006 con l'obiettivo di raggiungere i confini del Sistema Solare e studiare Plutone e il suo satellite Caronte. Ultima Thule, asteroide dalla curiosa forma che a dei buongustai non potrà che ricordare una scamorza affumicata, è l'oggetto più lontano dalla Terra mai esplorato dall'essere umano grazie a una sonda: ben 6,4 miliardi di chilometri. Sorvolato il 1 gennaio 2019 da una distanza di appena 3500 km, Ultima Thule, soprannome informale di 486958 Arrokoth, è un oggetto ghiacciato appartenente alla fascia di Kuiper, l'area più lontana dal Sole di cui fanno parte, insieme al ben noto Plutone, pianeti nani come Cerere e diversi asteroidi per lo più composti da sostanze ghiacciate.
La foto al buco nero di M87 Maura Tombelli. Nata a Montelupo Fiorentino nel 1952. Diplomata nel 1971 all'Istituto Tecnico Commerciale Enrico Fermi di Empoli. Ha cominciato a osservare il cielo fin da bambina, complice il padre che le fece osservare l’eclissi totale di sole del 15 febbraio 1961. Ha iniziato l'attività di ricerca con lo studio delle stelle
variabili specializzandosi in seguito nella ricerca degli asteroidi. Ha scoperto 198 asteroidi ottenendo il primato mondiale come non professionista. A Montelupo Fiorentino ha creato un gruppo astrofili e contribuito alla costruzione di un Osservatorio Astronomico dedicato al Prof. Giuseppe Forti.
22
Una sovrapposizione di 9 immagini scattate dallo strumento Lorri (Long Range Reconnaissance Imager) di New Horizons all'asteroide più distante mai raggiunto da una sonda costruita dall'essere umano. (Fonte e crediti: NASA/Johns Hopkins Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute, National Optical Astronomy Observatory).
Durante l'anno appena concluso siamo riusciti a ottenere la prima foto di un buco nero, una nuova frontiera per l'Astrofisica. Un buco nero, corpo altamente compatto in grado di deformare lo spaziotempo, la cui presenza nell'Universo fu prevista nella teoria della Relatività Generale, presenta problemi non indifferenti per la
suggerisce il problema principale: ciò che vogliamo immortalare è proprio nero! Due le opzioni che gli astronomi avevano per ottenere la “foto del secolo”: un telescopio con una fotocamera grande quanto il
23
Relatività Generale di Einstein e averle viste/sentite altro non è che l'ennesima conferma della teoria. Le onde gravitazionali sono increspature nella struttura dello spaziotempo, l'enorme “telo elastico” su cui tutti i corpi celesti si “appoggiano”. Il nostro palcoscenico cosmico, se così vogliamo definirlo, non è rigido, ma soggetto a deformazioni causate dai corpi celesti stessi: un oggetto con un elevato campo gravitazionale (che definiamo “compatto”) creerà una conca più marcata rispetto a uno con un piccolo campo gravitazionale. Viene da sé che ogni oggetto, ovunque si trovi, debba avere un campo gravitazionale, e che un suo movimento possa generare un'increspatura nel nostro telo elastico. E se oggetti estremamente compatti come buchi neri o stelle di neutroni si attraggono vicendevolmente in una danza cosmica, fino a scontrarsi e diventare una cosa sola? Ecco un'emissione di onde gravitazionali, misurabile attraverso degli strumenti chiamati “interferometri”, tra cui anche il nostro Virgo, in Toscana. S190814bv, l'evento di onda gravitazionale annunciato lo scorso agosto, segna ancora una volta il raggiungimento di un nuovo obiettivo nell'astronomia multimessaggera. Si tratta del primo evento “misto” di coalescenza rilevato dall'uomo: è infatti, con confidenza del 99%, il frutto dell'interazione tra una stella di neutroni e un buco nero. Ciò permette di allargare ancora di più gli orizzonti sulle conoscenze dei sistemi binari formati da una stella di neutroni e un buco nero e sull'Universo in generale. L'astronomia multimessaggera è destinata ad aprire sempre più porte ed eliminare gli attuali confini sulla conoscenza della struttura del Cosmo: potendo “sentire” la gravità e nel contempo “vedere” la luce di questi impressionanti eventi, possiamo osservare l'Universo con tutti i nostri sensi.
Il premio Nobel alla caccia di mondi alieni e allo studio dell'Universo
La “foto del secolo”: il buco nero supermassiccio (6,5 miliardi di masse solari) di M87, la galassia ellittica Virgo A, situata a 56 milioni di anni luce dalla Terra nell'ammasso della Vergine. (Fonte e crediti: Event Horizon Telescope Collaboration).
nostro pianeta oppure ricorrere a una tecnica chiamata interferometria. Tale tecnica permette di sovrapporre il lavoro di diversi telescopi posti in punti diversi del globo: il risultato ottenuto è paragonabile a quello di un telescopio di superficie pari a quella dell'intero pianeta e ha una risoluzione adeguata per poter catturare l'immagine dell'ombra del buco nero. È nato così Event
Horizon Telescope, collaborazione internazionale che prende il nome da “orizzonte degli eventi”, il limite del buco nero, che, se superato, non dà più possibilità di fuga a nulla, luce compresa, dalla singolarità centrale. Grazie a questa tecnica è stata ottenuta e mostrata al mondo il Neil 10 aprile 2019 al l'immagine delprima bucoesplorazione nero Armstrong termine della supermassiccio della galassia M87, una galassia ellittica del suolo lunare da parte dell’uomo. (Credito: NASA).
24
gigante a 56 milioni di anni luce da noi. Il prossimo obiettivo? Una foto di Sagittarius A*, il buco nero al centro della nostra Via Lattea.
Ancora scontri tra titani cosmici: stelle di neutroni e buchi neri
Le onde gravitazionali sono state le protagoniste indiscusse tra le “novità” dell'Astrofisica degli ultimi anni. “Novità” soltanto a livello sperimentale e osservativo: infatti a livello teorico furono previste dalla teoria della
Un premio Nobel tutto astrofisico, quello per la Fisica dello scorso anno, andato ai fisici James Peebles, Michael Major e Didier Queloz e ai loro lavori riguardo la Cosmologia e la ricerca di esopianeti. Peebles, astronomo dell'Università di Princeton e pioniere nello studio della Cosmologia fisica fin dagli anni '70, ha dato fondamentale contributo allo studio della radiazione cosmica di fondo. Essa è ciò che rimane del Big Bang: analizzando lo spazio profondo, infatti, si nota ciò che viene definito un “rumore termico”, dato da radiazioni di microonde. Peebles ha contribuito all'analisi delle fasi di nucleosintesi e formazione della materia nell'Universo primordiale, ma non solo: ha evidenziato diverse anisotropie (ovvero asimmetrie strutturali) nella struttura dell'Universo, fondamentali per comprenderne
25
dell'ordine delle decine di anni luce (un anno luce sono quasi 10000 miliardi di chilometri).
Non solo Terra: nuove sostanze organiche su Encelado
Rappresentazione artistica di un evento di coalescenza (merger in inglese) di due stelle di neutroni. (Fonte e crediti: NSF/LIGO/ Sonoma State University/A. Simonnet).
i meccanismi di nascita ed evoluzione, oggetto di studio della Cosmologia. Era invece il 1995 quando Major e Queloz annunciarono la scoperta di un esopianeta in orbita attorno a una stella ad appena 50 anni luce dalla Terra, chiamato 51 Pegasi b, un gigante gassoso (come i nostri “vicini” Giove e Saturno) individuato analizzandone le velocità radiali in relazione allo spettro della stella attorno a cui orbita. Con l'individuazione ad opera dei due scienziati del primo pianeta in orbita attorno a una stella di tipo solare, si aprì la caccia agli esopianeti. Nell'ultimo periodo essa
è più attiva che mai: basti pensare al sistema TRAPPIST-1 studiato dalla NASA, che contiene ben 7 pianeti extrasolari rocciosi, o al recentissimo annuncio, i primi di gennaio 2020, della scoperta del pianeta Toi 700 d, in orbita attorno alla stella Toi 700, ad appena 100 anni luce dalla Terra, per citarne due tra i molti. È lo stesso Major a sostenere, però, che non vivremo mai su un esopianeta: sono ancora troppo lontani per i nostri limiti tecnologici, che ci costringerebbero a impiegare migliaia se non milioni di anni a raggiungere anche i pianeti extrasolari più “vicini”, trattandosi infatti di distanze
26
del tutto simile alle sorgenti idrotermali terrestri. Tra i nuovi composti organici osservati nelle analisi pubblicate nel 2019 ci sono dimetilammina, etilammina, acido acetico, acetaldeide e composti aromatici, concentrati nei grani ghiacciati usciti dai geyser di Encelado. Ciò non conferma né che ci sia vita sul satellite né la sua abitabilità, ma è indubbiamente, come affermò Postberg, una “luce verde”, un passo in più per la ricerca in campo astrobiologico e astrochimico e nella ricerca dei meccanismi della vita come li conosciamo sulla Terra.
A ottobre 2019 è stato pubblicato uno studio del team di Nozair Khawaja dell’Istituto di scienze geologiche della Free University di Berlino che annunciava la presenza di nuove sostanze organiche su una delle lune di Saturno, Encelado. Questo satellite naturale del celebre pianeta con gli anelli, che fu scoperto nel '700 da William Marte: tutti gli occhi puntati sul pianeta Herschel, fa parlare di sé innanzitutto perché è un corpo rosso celeste con elevatissimo albedo: riflette quasi tutta la Non da ultimo, sono proseguiti gli studi sul nostro “vicino” luce solare. È stato studiato dalle missioni Voyager e del Sistema Solare. dalla missione CassiniOltre alla conferma della Huygens. È proprio presenza di diversi strati grazie ai dati della ghiacciati sia nell'area sonda Cassini, rientrata settentrionale che in nell'atmosfera di Saturno quella meridionale, la in settembre 2017 dopo missione InSight della vent'anni di raccolta di NASA, avente come dati, che è stato possibile scopo lo studio della identificare composti sismologia del pianeta, organici precursori degli ha rilevato il primo amminoacidi. Grazie a terremoto su Marte. un'attenta analisi dei Lo studio dei fenomeni dati degli strumenti sismici del pianeta Ion and Neutral Mass permette in primis Spectrometer e Cosmic di capirne meglio le Dust Analyzer della attuali caratteristiche, sonda, gli studiosi hanno ma anche di effettuare osservato i “mattoni” uno studio a ritroso della vita, fondamentali e comprenderne la per la costruzione di storia. Queste sono solo proteine, che sembrano alcune tra le più rilevanti provenire dal nucleo novità dell'anno appena di Encelado. Studi passato. L'Universo non precedenti, pubblicati su Immagine di Encelado catturata dalla sonda Cassini con sullo sfondo gli anelli del pianeta attorno a cui orbita. (Fonte e crediti: smette mai di stupirci: Nature nel 2018 da Frank NASA/JPL/Space Science Institute). il suo fascino risiede Postberg e altri studiosi anche nel suo mistero e tra cui lo stesso Khawaja, nella necessità di studi avevano già dimostrato e ricerche continue. In una delle epoche più fertili per lo come la superficie fosse ricoperta da un enorme oceano studio dell'Astrofisica, continuiamo a tenere il naso in su, ghiacciato formato da sostanze “soffiate” in superficie pronti per un altro anno di entusiasmo. da una serie di “criovulcani”, attraverso un meccanismo
Emanuela Cafaro. 27 anni, ha una passione per lo Spazio fin da quando, da bambina, voleva fare l'astronauta. Si è laureata in Ingegneria Aerospaziale al Politecnico di Milano e in seguito in Astrofisica e Fisica dello Spazio
con una tesi sui quasar all'Università di Milano Bicocca. Lavora come insegnante di Matematica e Fisica e si occupa di divulgazione scientifica, rigorosamente a tema Universo.
27
Turisti in orbita con SpaceX SpaceX e Space Adventures firmano un accordo per lanciare nello spazio quattro persone su un veicolo spaziale Crew Dragon. di Biagio Cimini
P
er il futuro del turismo spaziale si apre un nuovo entusiasmante scenario. A oltre 10 anni dall'ultimo volo di un turista in orbita intorno alla Terra, la società statunitense Space Adventures annuncia nuove opportunità per volare nello spazio. I protagonisti di questo nuovo capitolo sono SpaceX, la compagnia spaziale fondata da Elon Musk, e la stessa Space Adventures che già in passato era riuscita a
di raggiungere il doppio dell'altitudine di qualsiasi precedente missione di un astronauta “privato”. Questo vorrebbe dire raggiungere un apogeo di 700-800 km.
I primi sette turisti sulla ISS
Space Adventures grazie agli accordi stipulati con Roscosmos (l'agenzia spaziale russa), nel corso degli ultimi 20 anni ha organizzato ben 8 viaggi verso la Stazione Spaziale Internazionale, a bordo di navette Soyuz, per sette ricchi clienti: il primo fu il miliardario
sviluppatore di giochi per computer Richard Garriott nel 2008 e il fondatore del Cirque du Soleil Guy Laliberte nel 2009 raggiunsero la ISS prima che la disponibilità di posti per turisti sulla soyuz si esaurisse.
Quanto costerà volare in orbita?
Il prezzo pagato per volare sulla ISS dai primi 7 turisti superò i venti milioni di dollari per ogni viaggio, toccando i 35 milioni per il volo dell’imprenditore GuyLalibertè, per il suo “soggiorno” sulla stazione
I primi dettagli della missione
Secondo quanto dichiarato da Space Adventures, l'obiettivo dell'accordo stipulato con SpaceX è lanciare in orbita fino a quattro passeggeri in una missione che potrebbe durare anche cinque giorni e potrebbe partire già alla fine del 2021. Grande entusiasmo anche da parte di SpaceX che attraverso il proprio COO Gwynne Shotwell ha spiegato che la missione aprirà “una nuova via verso lo spazio per tutte le persone che lo sognano” aggiungendo di essere “lieti di aver avviato la collaborazione con Space Adventures”. Nel viaggio intorno al nostro pianeta Dragon non aggancerà la Stazione Spaziale Internazionale, ma rimarrà semplicemente in orbita come un veicolo spaziale a volo libero.
Quota da record
Un'altra curiosità sulla missione prevista nell'accordo è la quota di volo raggiunta dai Rappresentazione artistica della navicella spaziale Crew Dragon (credito SpaceX). turisti spaziali. Secondo le dichiarazioni di Space Adventures si negoziare “passaggi” verso la ISS per miliardari di tutto stabilirà un nuovo primato, offrendo a quattro persone il mondo. “l'opportunità di battere il record di altitudine mondiale La grande novità non è solo la “riapertura” dei voli per per un volo spaziale turistico e vedere il pianeta Terra turisti, ma anche che questi ultimi partiranno dal suolo come nessuno ha fatto dal periodo del programma americano, su razzi americani e in navicelle spaziali Gemini". Questo vorrebbe dire spingersi oltre l'orbita made in USA. Sarà infatti “Crew Dragon” a trasportare in della ISS che è a circa 400km di altitudine. Il presidente orbita i fortunati miliardari che riusciranno a garantirsi un di Space Adventures Eric Anderson ha sottolineato biglietto per lo spazio. che sarà un'occasione unica “e una missione in grado
Il razzo Falcon e la Dragon durante un lancio al Kennedy Space Center (credito Florida Today).
Dennis Tito nel 2001, poi l'imprenditore sudafricano Mark Shuttleworth nel 2002. Qualche anno più tardi ebbero l'opportunità di volare sulla ISS gli imprenditori americani Greg Olsen e Anousheh Ansari. Il cofondatore di Microsoft Charles Simonyi acquistò addirittura due biglietti per due missioni separate, nel 2007 e nel 2009, diventando il primo turista spaziale a volare in orbita per due volte nel 2007 e nel 2009. Infine anche lo
di 11 giorni. SpaceX o Space Adventures non hanno annunciato i prezzi esatti per il volo turistico su Crew Dragon, ma il costo per ogni singolo posto disponibile dovrebbe essere molto simile a quelli proposti negli anni passati. Non è ancora chiaro se nella missione ci saranno anche membri dell'equipaggio. Space Adventures non ha specificato nulla a proposito: il veicolo spaziale Dragon
Credito: NASA.
28
29
è completamente autonomo e non richiede alcun pilota o astronauta professionista e secondo un portavoce della società americana “i passeggeri potrebbero addirittura volare da soli e prendere il controllo della
Quando?
Per quanto riguarda i tempi, il volo Crew Dragon per turisti si avvierà solo dopo che SpaceX avrà iniziato a far volare gli astronauti della NASA da e verso la Stazione
In alto, Dennis Tito, primo turista spaziale della storia (credito Nasa). A destra, Anousheh Ansari, la prima donna a volare come turista sulla ISS con SpaceAdventures (credito Nasa). Sotto, l'interno della capsula Dragon (credito SpaceX).
Le tre compagnie che porteranno turisti nello spazio (credito Youtube.com).
navetta se necessario.” Secondo quanto riportato da Space Adventures la preparazione al volo si svolgerà negli Stati Uniti e richiederà solo alcune settimane, al contrario dei voli partiti da Baikonur che hanno richiesto ai partecipanti al volo spaziale privato di allenarsi per sei mesi, principalmente in Russia.
30
Spaziale Internazionale. Queste operazioni, come annunciato da Elon Musk, dovrebbero iniziare già nel secondo trimestre del 2020. A partire da quest'anno quindi, saranno disponibili molti più posti per volare in orbita grazie a SpaceX ma anche grazie alla rivale Boeing che sta testando la
31
navetta Starliner, anch'essa per trasportare astronauti altre compagnie stanno aprendo nuovi orizzonti per tutti americani sulla ISS. Grazie a queste nuove astronavi, la gli amanti dello spazio. NASA non sarà più costretta ad acquistare biglietti per Virgin Galactic è ormai pronta a dare il via ai propri lo spazio dall'agenzia spaziale russa, che dal 2011 in poi voli suborbitali per turisti: nei giorni scorsi il velivolo era l'unica a poter SpaceShipTwo è lanciare astronauti volato a Spaceport da Baikonur con le America in New navette Soyuz. Mexico, per gli Prevedendo questa ultimi test prima di nuova disponibilità iniziare ufficialmente di posti sulle le attività che Soyuz russe, Space potrebbero già Adventures ha partire entro il 2020. avviato l'anno Oltre 600 sono scorso un nuovo già le prenotazioni accordo anche con per volare con Roscosmos, per far la compagnia di volare due turisti Richard Branson verso la ISS su a circa 100 km di una navetta Soyuz quota, per provare dedicata, nel 2021. alcuni minuti di Anche SpaceX non è assenza di peso nuova a programmi e godere della di turismo spaziale. meravigliosa vista Nel 2018 infatti, fu del nostro Pianeta. lo stesso Elon Musk I costi per questa ad annunciare che esperienza saranno Yusaku Maezawa, indicativamente di un miliardario 250.000 euro. giapponese e Anche Blue Origin fondatore di sta facendo passi Zozotown, il più avanti e aprirà nuove grande rivenditore di opportunità per abbigliamento online volare nello spazio in in Giappone, sarebbe un prossimo futuro. stato il primo Per ora ovviamente cliente privato a i prezzi dei voli non raggiungere la Luna sono accessibili a nel 2023 sull'enorme tutti gli appassionati, razzo che SpaceX ma se questi voli Elon Musk e il miliardario giapponese Yusaku Meazawa che volerà verso la sta costruendo, il Big dovessero diventare luna nel 2023 (credito SpaceX). Falcon Rocket (BFR). una regolare routine nel corso del decennio, Il decennio del turismo spaziale ad ognuno di noi la possibilità di realizzare il sogno di Il decennio appena iniziato sembra dunque essere una vita intera, volare nello spazio. all'insegna del turismo spaziale. Oltre a SpaceX,
Biagio Cimini. Giornalista. Classe ’83. È stato direttore responsabile del quotidiano online “Basketlive” e redattore in numerosi periodici e web-tv locali. Attualmente dipendente della Regione Abruzzo.
Background di studi in campo aerospaziale. Ama i viaggi e lo sport. Delegato ADAA per la Regione Abruzzo. Contatti: biagio.cimini@gmail.com
32
Il James Webb è pronto per il lancio!
di Nicoletta Minichino
Rappresentazione artistica del James Webb Space Telescope. (Credit: Northrop Grumman).
S
cienziati, ingegneri e appassionati attendono da anni e con molta ansia il lancio del più grande, potente e complesso telescopio spaziale mai realizzato:il James Webb Space Telescope. Il 29 agosto 2019, negli stabilimenti della Northrop Grumman a Redondo Beach, in California, gli ingegneri hanno collegato per la prima volta con successo le due metà del telescopio, una contenente lo specchio e la strumentazione scientifica e l’altra formata dallo scudo
termico e dal modulo di navigazione. Con la notizia dell’assemblaggio finale sono nate nuove speranze per la data di lancio. Sembra proprio che l’erede di Hubble sia pronto per la sua messa in scena: il lancio è stato programmato per il 30 marzo 2021. Considerando che le prime stime del fatidico giorno risalgono addirittura a dieci anni prima, nel 2011, questa missione è stata considerata la più rimandata tra quelle contemporanee e questo purtroppo influisce
33
negativamente anche sui costi, che da una stima di 8 miliardi di dollari sono lievitati a 10 circa. Un fattore tristemente tipico quando si parla di missioni spaziali e che è direttamente proporzionale all’importanza della missione stessa. La NASA ha cercato di renderla impeccabile, per scongiurare un fallimento colossale, posticipando di volta in volta la data di lancio quando i test non si concludevano con i risultati attesi. L’insuccesso, per una struttura così grande che necessita di una precisione nanometrica per operare, è una sorte estremamente possibile. Si aggiunge anche l’impossibilità di effettuare riparazioni una volta nello spazio in quanto, diversamente dall’Hubble che si trova nell’orbita terrestre bassa e che è stato notoriamente sottoposto a cinque missioni di manutenzione da parte degli astronauti, il James Webb orbiterà sul secondo punto di Lagrange (L2) che dista 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. Il James Webb Space Telescope si estende per circa 25 metri quadrati. Lo specchio primario ha un diametro di 6 metri e mezzo (quasi tre volte più grande di Hubble), ma la cosa decisamente più ingombrante è lo schermo solare, che sarà grande quanto un campo da tennis; troppo per entrare comodamente nella carenatura un Ariane 5 ECA, il razzo fornito dall’European Space Agency (e barattato con un 15% del tempo di osservazioni a favore degli scienziati europei) per il lancio che decollerà dalla base di Kourou, nella Guyana francese. È stato quindi necessario progettare l’Osservatorio spaziale come una struttura completamente pieghevole: lo specchio primario, che ricorda un nido d’ape, è composto da 18 segmenti, orientati e posizionati con una precisione di 20 nanometri circa. Anche lo scudo e il resto della struttura sono progettati in modo da dispiegarsi nello spazio. Nel cosiddetto major milestone, la parte operativa del Webb, che include gli specchi esagonali ripiegati e gli strumenti scientifici, è stata sollevata e unita con lo scudo termico ripiegato e il modulo di navigazione, già combinati precedentemente. Le due parti sono state connesse meccanicamente; i passaggi successivi prevedono di collegarle elettricamente ed effettuare ulteriori test ambientali e di corretta distribuzione del peso, ai quali le componenti principali sono state già sottoposte individualmente. Gli strumenti scientifici che porterà con sé sono quattro, tra i quali domina la NIRCam, Near Infrared Camera,
che oltre ad inviare importanti dati che riguardano la formazione del nostro Universo, catturerà immagini ad alta risoluzione ancora più spettacolari di quelle dell’Hubble Space Telescope, da diffondere al curioso ed impaziente pubblico. Rispetto al suo predecessore, Webb è progettato per guardare più in profondità nello spazio, per osservare
le prime galassie o oggetti luminosi che si sono formati dopo il Big Bang e determinare come si sono evoluti dalla loro formazione fino ad oggi. Inoltre, cercherà di ricostruire la storia delle stelle dai primi stadi fino alla formazione dei sistemi planetari, misurerà le proprietà fisiche e chimiche di quest’ultimi per stabilirne il potenziale di vita. Infine, Webb opererà molto più
lontano dalla Terra, mantenendo la sua temperatura operativa estremamente fredda, un puntamento stabile e maggiore efficienza di osservazione rispetto all'Hubble che in orbita attorno alla Terra. Per raggiungere la sua orbita, Webb impiegherà circa un mese, dopodiché ci vorranno circa sei mesi, con varie correzioni di puntamento e allineamento degli specchi,
Il team guida attentamente la componente osservativa del Webb sopra al modulo di navigazione e lo scudo, appena prima dell'assemblaggio al centro di Northrop Grumman di Redondo Beach, California. (Credits: NASA/Chris Gunn).
34
35
per cominciare ufficialmente con la raccolta di dati scientifici. Il JWST è progettato per avere una durata non inferiore a 5 anni e possibilmente superiore ai 10. La sua longevità è limitata alla quantità di combustibile utilizzata per le correzioni di orbita e il corretto funzionamento del veicolo spaziale e dei suoi strumenti. Le quantità di carburante trasportate, in ogni caso, dovrebbero essere sufficienti per almeno 10 anni. Il James Webb doveva essere originariamente battezzato "Next Generation Space Telescope", o NGST, in quanto ha il compito di proseguire l’esplorazione scientifica avviata dal telescopio spaziale Hubble. Le scoperte di Hubble e altri telescopi hanno rivoluzionato l’astronomia e hanno sollevato nuove domande che richiedono un telescopio nuovo, diverso e più potente. Webb è anche un telescopio "Next Generation" in senso ingegneristico, a causa delle nuove tecnologie come quelle impiegate per lo specchio primario leggero e dispiegabile che aprirà la strada a future missioni. Il 10 settembre 2002, il Next Generation Space Telescope è stato rinominato in onore di James E. Webb, secondo amministratore della NASA, dal 1961 al 1968. Webb era un visionario e ha donato all’agenzia spaziale americana una guida straordinaria, grazie ad un programma molto equilibrato. Durante il suo mandato, la NASA ha investito nello sviluppo di veicoli spaziali robotici, che hanno esplorato l'ambiente lunare in modo che gli astronauti potessero farlo in seguito, e ha inviato le prime sonde verso Marte e Venere. Relativamente all’organizzazione interna, Webb ha migliorato il ruolo degli scienziati affidando loro un maggiore controllo nel processo di selezione delle missioni, ha creato un programma universitario della NASA e ha finanziato la costruzione di nuovi laboratori nelle università e fornito borse di studio per studenti. Già nel 1965, Webb aveva parlato di un grande telescopio spaziale, chiamandolo “Large Space Telescope”. Quando Webb si ritirò, pochi mesi prima del primo sbarco sulla Luna nel luglio 1969, la NASA aveva lanciato più di 75 missioni spaziali per studiare le stelle e le galassie, il Sole e l'ambiente ancora sconosciuto dello spazio oltre l'atmosfera terrestre. Missioni come l'Orbiting Solar Observatory e i satelliti Explorer hanno gettato le basi per il periodo di maggior successo della
scoperta astronomica nella storia dell’umanità, che continua ancora oggi. E’ proprio questo atteggiamento pionieristico che ha portato a rinominare la missione e rendere omaggio a questa grande personalità.
Nicoletta Minichino. 26 anni, giovane imprenditrice Coordinatrice del Sezione Pianeti dell’Unione Astrofili Napoletani. Appassionata di astronomia, di storia dell’esplorazione spaziale e di astrofotografia planetaria.
Nel tempo libero, si diletta nell’elaborazione di foto provenienti dalle sonde in giro nello Spazio. Aspirante divulgatrice.
Salvate Apollo 11! Il capitano dell'Aeronautica Militare Hank Brandli, salvò l’equipaggio da morte certa. di Luigi Pizzimenti
I
James E. Webb, amministratore della NASA dal 1961 al 1968. (Credit: NASA).
Grazie soprattutto all’esperienza di Hubble e grazie anche ai suoi “limiti” di esplorazione, la NASA vuole ancora una volta superare sé stessa con Webb, che raffinerà il modo di vedere l’Universo che abbiamo già esplorato e cercherà di scoprire ciò che ancora ignoriamo, regalandoci nuove emozioni e curiosità e continuando a ricostruire la nostra identità di abitanti, seppur minuscoli, di questa infinita realtà.
36
l capitano Hank Brandli nel luglio del 1969, era a missili cubani. Un programma altamente classificato, conoscenza di un terribile segreto: il meteorologo chiamato Corona. Quando Brandli iniziò a lavorarci gli fu dell'Aeronautica Militare degli Stati Uniti aveva delle fatto credere che i suoi bollettini meteorologici fossero informazioni classificate, che indicavano un pericolo semplicemente di aiuto allo sforzo bellico. per l'equipaggio dell'Apollo 11. Brandli divenne una delle poche persone informate Avevano compiuto l’impresa: l'Aquila era atterrata. sulla vera missione del DMSP, solo quando fu trasferito Neil Armstrong e Buzz Aldrin alle Hawaii nel 1967. Le sue avevano camminato sulla previsioni assicuravano che le Luna, piantato la bandiera capsule di pellicola tornassero americana, raccolto i primi sulla terra in condizioni di bel campioni lunari e poi erano tempo. Brandli dichiarò: "C’era partiti per un rendez-vous in davvero un silenzio di tomba orbita lunare perfettamente sulle pellicole". eseguito, con Michael Collins Tra il 1960 e il 1972, più di che li attendeva nel modulo di 100 satelliti Corona hanno comando Columbia. fotografato aree strategiche Ora erano diretti a casa per dell'Unione Sovietica e della la tappa finale del viaggio, Cina su pellicole ad alta una vertiginosa discesa risoluzione appositamente nell'Oceano Pacifico, prevista progettate dalla Kodak. per il 24 luglio. Tuttavia Brandli Le capsule di pellicola con il suo lavoro di previsioni venivano espulse e fatte Il capitano Hank Brandli (1937-2007) fotografato nel del tempo altamente rientrate nell'atmosfera, 2003 nella sua casa di Palm Bay. (Credito: Rik Jesse). qualificate, si rese conto che agganciate a mezz'aria dagli invece di un'accoglienza da equipaggi dell'Air Force C-119, eroi, avrebbero potuto affrontare una terribile sciagura e soprannominati "Star Catchers". Le capsule mancanti la molto probabile morte. non era erano molte, gli Star Catchers erano orgogliosi I risultati avrebbero potuto essere molto diversi se non del loro tasso di successo dell'87%, venivano recuperate fosse stato per due meteorologi militari che hanno dalla Marina Militare. rischiato la carriera per convincere la NASA e la Marina Tre giorni prima, il 21 luglio 1969, mentre Neil Armstrong a deviare il percorso dell'Apollo 11. e Buzz Aldrin camminavano sulla Luna, il capitano Il 21 luglio 1969, il giorno dopo il primo sbarco sulla Luna, dell'Aeronautica Militare Hank Brandli mentre esaminava il capitano Henry Brandli, E59, si era presentato al lavoro le foto satellitari alla base aerea di Hickam alle Hawaii, come di consueto alla base aerea di Hickam alle Hawaii. vide sulle pellicole una pericolosa tempesta, uno Un meteorologo con due master al MIT, analizzò le specialista di rilevamento e previsione meteorologica, immagini di un satellite meteorologico che faceva parte descriveva: "Violenti modelli meteorologici di temporali; del Defense Meteorological Satellite Program (DMSP). vortici di alto livello a forma di uccello, quasi a forma di L'orbiter forniva previsioni meteorologiche estremamente aquila. Li abbiamo soprannominati Screaming Eagles". precise per un sistema satellitare top-secret fotografava Il violento temporale con venti distruttivi d'alta quota si i punti caldi della Guerra Fredda. Il DMSP ha sostenuto dirigeva verso l'area di recupero pianificata per Apollo 11… le operazioni militari in Vietnam e durante la crisi dei La NASA doveva essere avvertita, ma le immagini
37
Il capitano Willard "Sam" Houston. (Credito: Freda Chiu/ABC RN).
ho calcolato che sarebbe stata proprio sulla loro traiettoria mentre scendevano. La tempesta avrebbe fatto a pezzi i paracadute dell'Apollo 11 e si sarebbero schiantati nell'oceano con una forza che li avrebbe uccisi all'istante. Ero l'unica persona che lo sapeva e, poiché il programma e la sua tecnologia erano strettamente classificati, non potevo avvertire la NASA". Brandli era l'unica persona ad avere accesso a queste informazioni critiche - i satelliti della NASA non erano così avanzati e gli era proibito condividere ciò che sapeva. "Avrei potuto perdere tutto", dice Brandli, "ma non avevo dubbi su ciò che dovevo fare".
provenivano dal programma meteorologico altamente classificato DMSP. I milioni di dollari di apparecchiature ultraImmagine satellitare della zona prevista per l’ammaraggio di Apollo 11. avanzate che controllava lo affascinavano. Le violente formazioni di nuvole temporalesche "Screaming Eagle" sono Brandli: "Nessuno aveva niente del genere visibili a sinistra della fotografia. (Credito: USAF). all'epoca, ho visto cose che nessun altro aveva mai visto prima: correnti oceaniche, viscere degli uragani, tifoni, l'aurora boreale da vicino. Era come vedere immagini di Marte trent'anni prima del Mars Rover". Tra i talenti futuristici dei satelliti DMSP c'era la capacità di prevedere il tempo con ben cinque giorni di anticipo da qualsiasi punto dell'equatore fino a 25 gradi di latitudine. Quel giorno di luglio, mentre gli astronauti Armstrong, Aldrin e Collins sfrecciavano verso la Terra, Brandli stava esaminando alcuni spaventosi dati del DMSP: fra 72 ore, gli astronauti sarebbero schizzati giù nel bel mezzo di un temporale mortale conosciuto dai meteorologi come "aquila urlante". Brandli ricorda: "Sapevo che l'Apollo 11 doveva ammarare a trecento miglia a nord dell'equatore nel Pacifico e sapevo quanto velocemente si muoveva “l’aquila urlante”,
40 38
La fortuna favorì la decisione di Brandli, l'uomo responsabile delle previsioni per l'Apollo 11, il Capitano di Marina Willard "Sam" Houston, era a conoscenza del DMSP. Brandli organizzò un incontro clandestino in un parcheggio di Hickam, dove fece entrare Houston
a riprogrammare il punto d'ingresso nell’atmosfera terrestre. Tutto questo andava fatto in fretta e senza le foto perché provenivano da un satellite che non doveva esistere… Sembrava una missione impossibile! Houston riuscì a persuadere i suoi superiori - senza
Il recupero dei tre astronauti di Apollo 11 da parte dei sommozzatori della marina.
di corsa nel suo ufficio e gli mostrò le immagini del satellite. Ora toccava solo a Houston convincere la Marina a dirottare il gruppo di lavoro della portaerei già in corso verso la località prevista, e soprattuto la NASA
mostrare prove - a dirottare l'intera task force della USS Hornet, che avrebbe recuperato l'equipaggio di Apollo 11. Con una mossa rischiosa, la task force fu reindirizzata ancora prima di ricevere gli ordini ufficiali, la NASA e la
39 41
Marina cambiarono il piano di rientro di Apollo 11 appena in tempo. Il capitano Houston, l'unico ufficiale della Marina a lavorare con il programma Corona, fortunatamente aveva ancora l'autorizzazione top secret necessaria per visualizzare le foto del DMSP. Brandli ricorda: "Grazie a Dio Sam Houston sapeva del progetto, se fosse stato qualcun altro, non so come avrei fatto". Per portare in tempo le portaerei in un nuovo sito di ammaraggio, il contrammiraglio Donald Davis, comandante della task force incaricata di recuperare la capsula di rientro dell'Apollo 11, dovette reindirizzare l'intera task force prima di ricevere gli ordini ufficiali. L'ammiraglio Davis disse a Houston: "Sarà meglio che tu abbia ragione, giovanotto!" In un'intervista alla Navy Postgraduate School del 2009, Houston dichiarò quanto ammirava il coraggio dell’Ammiraglio, che, su consiglio di un meteorologo, prese una decisione professionalmente rischiosa, ma necessaria. Houston ha poi dovuto convincere la NASA che i dati meteorologici civili non fornivano il quadro completo, anche in questo caso senza rivelare come sapesse quello che sapeva. Houston: "Ho chiamato il quartier generale del programma satellitare sulla loro linea interna, per convincerli che dovevano convincere il miglior meteorologo della NASA a rendere questa un'emergenza nazionale". La missione Apollo 11 si concluse il 24 luglio 1969 alle 12:50 pm EDT (6:50 am alle Hawaii) con l’ammaraggio del modulo di comando Columbia, nell'Oceano Pacifico, 965 miglia a sud-ovest delle Hawaii. L'Apollo 11 schizzò giù a circa 2 miglia nautiche dal centro dell'ellisse del nuovo bersaglio. Il gruppo di meteorologia spaziale del NOAAA registrò un bel tempo nel sito di recupero con una visibilità di 10 miglia nautiche, nubi rotte a 1.500 piedi e una temperatura di circa 30 gradi centigradi. Gli astronauti e i circa 22 kg. di rocce lunari furono issati a bordo della USS Hornet e ricevettero la visita del presidente Nixon che era arrivato a bordo della Hornet per dare il benvenuto agli eroi di ritorno da un altro mondo. Brandli e Houston mantennero il loro segreto fino alla
declassificazione del programma Corona nel 1995. In seguito appresero che quella mattina gli aerei da ricognizione erano stati inviati alle coordinate originali dello splashdown, dove è stata avvistata la tempesta che si aggirava nella zona proprio come previsto. L'astrofisica della NC State Dr. Katie Mack, nipote di Brandli, in una intervista alla Australian Broadcasting Corporation ha dichiarato: “Ricordo che da adolescente mio nonno raccontò come si è guadagnato un encomio della Marina Militare per il suo ruolo nel salvataggio dell’equipaggio di Apollo 11 e di come non ha mai sfruttato l’episodio per la sua carriera”. Prosegue la Mack: "Mi fa ancora venire i brividi al pensiero di quella missione perfetta, gli astronauti stavano tornando a casa e sarebbero morti all'ultimo momento. L'intero corso dell'esplorazione spaziale sarebbe completamente cambiato, mio nonno è stato un vero eroe della scienza". La Mack ha continuato a frequentare la Caltech, come
40
Sezione della mappa meteo dell'emisfero nord (circa cinque ore prima dello splashdown). (Credito: NOAA).
suo nonno che lei amava molto. Brandli ha condiviso la sua storia nel 2005 sulla rivista Aviation Week & Space Technology ed è stato premiato per il suo servizio dal National Reconnaissance Office. Brandli: “Non ha avuto rimpianti per aver tenuto il segreto per tutti questi anni, lavorare con quella tecnologia mi ha permesso di crescere più di chiunque altro nella mia professione e questo mi è bastato, inoltre, ho solo avvertito la persona giusta, il resto è stata tanta fortuna”.
Brandli si è ritirato dall'USAF come tenente colonnello nel 1976, ha scritto il primo libro dell'Aeronautica Militare sulla Meteorologia Satellitare e ha scritto centinaia di articoli tecnici sull'argomento prima della sua morte nel 2009. Il recupero dell'Apollo 11 è un esempio di come i meteorologi abbiano contribuito a garantire il successo di quella che è diventata la madre di tutte le missioni spaziali umane.
Luigi Pizzimenti. Nato a Pavia nel 1963. Presidente ADAA. Storico del programma Apollo e consulente di Musei e Mostre, RAI, RSI, Apollo Lunar Surface Journal. Nel 2009 ha pubblicato il libro Progetto Apollo
“Il sogno più grande dell’Uomo”, tutta la storia delle Missioni Apollo con interviste ai protagonisti. Contatti: presidente@adaa.it
41
NEWS
NEWS
dal mondo astronautico a cura della Redazione di
L'ESA studia come prelevare l’ossigeno dalla polvere lunare
S
ulla Luna gli astronauti devono indossare delle tute spaziali che forniscono protezione dalle temperature, dalle radiazioni, dalle micrometeoriti e forniscono soprattutto ossigeno. Questo non vuol dire che sulla superficie del nostro satellite manchi l’ossigeno: questo elemento è infatti presente in buona quantità all’interno di polvere e rocce sotto forma di
nel Laboratorio dei Materiali e Componenti Elettrici del Centro Europeo di Ricerca e Tecnologia Spaziale, ESTEC, con sede a Noordwijk nei Paesi Bassi. "Avere una struttura propria ci permette di concentrarci sulla produzione di ossigeno, misurandolo con uno spettrometro di massa mentre viene estratto dal simulatore di regolite", commenta Beth Lomax
i futuri coloni lunari, sia per la respirazione che per la produzione locale di carburante per razzi". Il ricercatore dell'ESA Alexandre Meurisse: "E ora che abbiamo l'impianto in funzione possiamo cercare di perfezionarlo, per esempio riducendo la temperatura di esercizio, progettando eventualmente una versione di questo sistema che un giorno possa volare sulla Luna per essere utilizzato". I campioni riportati dalla superficie lunare confermano che la regolite lunare è costituita dal 40-45% di ossigeno, il suo elemento più abbondante. Ma questo ossigeno è legato chimicamente come ossidi sotto forma di minerali o di vetro, quindi non è disponibile per un uso immediato.
Il passaggio di una corrente attraverso di essa fa sì che l'ossigeno venga liberato dalla regolite e migri attraverso il sale per essere legato ad un anodo. Come bonus questo processo converte anche la regolite in leghe metalliche utilizzabili. Infatti questo metodo di elettrolisi del sale fuso è stato sviluppato dalla società britannica Metalysis per la produzione commerciale di metalli e leghe. Il ricercatore Beth Lomax ha lavorato presso l'azienda per studiare il processo prima di ricrearlo all'ESTEC. "Presso la Metalysis, l'ossigeno prodotto dal processo è un sottoprodotto indesiderato e viene invece rilasciato sotto forma di anidride carbonica e monossido di
Sul lato sinistro dell'immagine, mucchio di terreno lunare simulato; sul lato destro è lo stesso mucchio dopo che tutto l'ossigeno è stato estratto, lasciando una miscela di leghe metalliche. Sia l'ossigeno che il metallo potrebbero essere usati in futuro dai coloni sulla Luna. (Credito: Esa).
Rappresentazione artistica di una base lunare con generatori di energia a celle solari, produzione di alimenti in serre e costruzione con stampanti-rover 3D mobili. (Credito: Esa).
ossidi, composti chimici binari ottenuti a partire da ossigeno e un altro elemento. In previsione di una base lunare permanente, l’Ente Spaziale Europeo (ESA) ha iniziato a produrre ossigeno estraendolo da una simulazione di polvere lunare. Un prototipo di impianto di ossigeno è stato realizzato
L'estrazione dell'ossigeno presso i laboratori di ESTEC avviene con un metodo chiamato elettrolisi a sale fuso, che consiste nel mettere la regolite in un cestello metallico con sale di cloruro di calcio fuso che serve da elettrolita, riscaldato a 950°C. A questa temperatura la regolite rimane solida.
dell'Università di Glasgow, il cui lavoro di dottorato è sostenuto attraverso la Networking and Partnering Initiative dell'ESA, che sfrutta la ricerca accademica avanzata per applicazioni spaziali. Prosegue Lomax: "Essere in grado di acquisire ossigeno dalle risorse che si trovano sulla Luna sarebbe ovviamente molto utile per
42
carbonio, il che significa che i reattori non sono progettati per resistere al gas ossigeno", spiega Beth. "Quindi abbiamo dovuto riprogettare la versione ESTEC per poter avere l'ossigeno disponibile per la misurazione". L'impianto dell'ossigeno funziona in modo silenzioso,
43
NEWS
dal mondo astronautico a cura della Redazione di
Nel prossimo numero di Vista al microscopio elettronico a scansione, prima del processo di estrazione dell'ossigeno da particelle di regolite simulata. (Credito: Esa).
con l'ossigeno prodotto nel processo che per il momento viene emesso in un tubo di scarico, ma sarà presto immagazzinato dopo futuri aggiornamenti del sistema. "Il processo di produzione lascia dietro di sé un groviglio di metalli diversi", aggiunge Alexandre, "e questa è un'altra utile linea di ricerca, per vedere quali sono le leghe che potrebbero essere prodotte e a quali applicazioni potrebbero essere destinate. Per esempio le leghe potrebbero essere utilizzate per le stampanti in 3D. La combinazione precisa dei metalli dipenderà da dove si acquisisce la regolite sulla Luna”. L'obiettivo finale sarebbe quello di progettare un "impianto pilota" che possa funzionare in modo
Le Stazioni Spaziali dai primordi ad oggi di Massimo Martini
sostenibile sulla Luna, con la prima dimostrazione tecnologica prevista per la metà degli anni 2020. "ESA e NASA stanno tornando sulla Luna con missioni con equipaggio, questa volta con l'obiettivo di rimanere", dice Tommaso Ghidini, capo della Divisione Strutture, Meccanismi e Materiali dell'ESA. Ghidini: "Di conseguenza, stiamo spostando il nostro approccio ingegneristico verso un uso sistematico delle risorse lunari in situ. Stiamo lavorando con i nostri colleghi della Direzione Esplorazione Umana e Robotica, l'industria europea e il mondo accademico per fornire approcci scientifici di alto livello e tecnologie abilitanti chiave come questa, verso una presenza umana sostenuta sulla Luna e forse un giorno su Marte".
Vista al microscopio elettronico a scansione, durante la fase di estrazione dell’ossigeno. (Credito: Esa).
44
QBT sagl è l'acronimo di Quantum Bit Technology. Realizziamo algoritmi e software di calcolo. Le nostre attività sono concentrate in tre settori di business:
■ Financial solutions (big-data, portfolio analysis, rating, due duediligence systems) specialmente per il mercato NPL, Real Estate e per l’automated trading. ■ Artificial Intelligence attraverso sistemi di Natural Language Processing e Machine Learning applicati al mercato Finance, Legal, HR e in generale in applicazioni in cui lo studio del comportamento è un driver. ■ Sviluppo software come supporto alle due precedenti aree e in settori non captive quali Complexity Theory e Aerospace. QBT collabora con i più importanti istituti pubblici e privati di ricerca e università.
QBT Sagl Via E. Bossi, 4 CH-6830 Chiasso (Switzerland) - www.qbt.ch - info@qbt.ch
Illustrazione di Alessandro Colonna