Marcello Campora Vincenzo Cabiati
Saint Sebastian
Saint Sebastian
Progetto di Riccardo Zelatore Redazione Michele Lombardelli Testi di Irene Biolchini Tiziana Casapietra Riccardo Zelatore Saint Sebastian è un progetto di Vincenzo Cabiati voluto e curato da Riccardo Zelatore realizzato da Ceramiche Pierluca in collaborazione e presso Fabbrica Ceramiche Giuseppe Mazzotti 1903 Tutte le immagini fotografiche sono di © Marcello Campora Progetto grafico Marcello Campora Un ringraziamento particolare a Vincenzo Cabiati per la fiducia e al Museo della Ceramica di Savona per la disponibilità Si ringraziano Neon Artigiana Brescia Dario Bevilacqua Marcello Campora Barbara Checcucci Tiziana Casapietra Gian Marco Gemelli Michele Lombardelli Giulia Macchiarella Claudio Mandaglio Tullio Mazzotti Alessandro Raso Tatti Sanguineti Alfio Vigneto Federico Vigliargio © gli autori per i testi Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualunque mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. L’editore si dichiara disposto ad assolvere i suoi impegni nei confronti dei proprietari dei diritti di riproduzione di immagini qui pubblicate che non è riuscito a raggiungere nel corso della preparazione del volume. Prima edizione: ottobre 2019
Marcello Campora
Vincenzo Cabiati Saint Sebastian
Il capitale umano Riccardo Zelatore
Pensare oggi all’opera Saint Sebastian fa tornare alla mente una frase che ho letto tempo fa da qualche parte e che, più o meno, faceva così […] le opere d’arte non si fanno. Le opere d’arte accadono […]. Mi pare sintetizzi, almeno in parte, l’accavallarsi dei sentimenti, delle corrispondenze e dei gesti che si sono condensati attorno al procedere di questo progetto artistico e, per quanto ne so, è anche prossima al sentire dell’autore. Sinestesia è un altro termine che vorrei subito annotare e tenere alla mente nello srotolarsi di questo testo. Nulla a che vedere con l’intenzione di togliere centralità all’operato creativo di Vincenzo Cabiati che è, oggettivamente, per qualità e intelligenza, al di sopra di ogni sospetto e, anzi, segna una ulteriore e significativa tappa nel suo percorso di crescita artistica. La pluralità di contributi umani, intellettuali, professionali, materiali che a differenti livelli e in diversa misura, ho provato a riunire e si sono anche spontaneamente raccolti attorno a Vincenzo, è andata oltre il repertorio consueto e questa pubblicazione ne vuole essere una doverosa, partecipata e umile restituzione. All’inizio, incontrando Cabiati, ho semplicemente pensato che fosse una bella idea, un onore riavere un suo impegno così prossimo al nostro territorio, che poi è anche il suo. Punto e basta. Non ero alla ricerca di imprese spregiudicate, anche se un poco di audacia mi accompagna da sempre. Quando Vincenzo mi ha parlato del progetto che aveva immaginato, ho cercato di nascondere un certo sconforto: la solita storia, una bella cosa da fare e non poterla fare perché servono troppe risorse. Ma l’indipendenza nelle scelte che da sempre mi impegno a non tradire e un certo mio mondo emotivo, mi hanno rapidamente portato a rispondere “si fa!”. A quel punto, la questione non è stata più la disponibilità delle risorse, quanto la centralità dell’essere umano all’interno di una nuova avventura. Il paradigma è diventato mettere in correlazione e a valore le esperienze, le competenze, le connessioni e i mezzi strumentali di più realtà secondo un approccio collaborativo che, da sempre, considero l’unica via per crescere. Ho preso fiato e sono partito. L’artista e le manifatture ceramiche albisolesi prima, gli artigiani, gli specialisti delle luci al neon, poi gli elettricisti, i falegnami, i critici, le istituzioni museali, la fotografia, i grafici, gli stampatori, gli amici, un mondo ricco e variegato in cui uomini e donne, con i loro desideri e le loro professionalità, sono capaci di trasformare ogni giorno, con grande responsabilità, un progetto in realtà. Il capitale umano, in due parole. Questo mi ha consegnato, a ripensarci bene, il lavoro di Cabiati. Abbiamo lavorato per oltre sei mesi con energia, passione, determinazione e divertimento, non senza pause dialettiche, dubbi e riconsiderazioni. L’opera d’arte Saint Sebastian di Vincenzo Cabiati è oggi per lo spettatore una ulteriore occasione di confronto con un altro punto di vista e potrà, mi auguro, procurare attimi di curiosità, di compiacimento, magari anche di disagio. Ma tutti gli artisti, nella creazione di un’opera, si lasciano dietro una storia e sovente nulla garantisce che quella storia venga poi raccontata. Marcello Campora, con generosità e dedizione, ha accompagnato con la sua sensibilità fotografica l’incedere di Vincenzo e di coloro che lo hanno supportato e ci ha regalato una narrazione personale attraverso una collezione di immagini che sono il dono di attimi nel miraggio del desiderio. Rimane così la ricomposizione sulla carta, e non su un file o su uno schermo, di sensazioni provate che altrimenti sarebbero rimaste intangibili e ineffabili nella memoria dei presenti. Nelle immagini di Marcello sono fissate le visioni, le paure, i desideri, insomma il non detto e il non visto; riverberi di accadimenti e situazioni di cui il pubblico innanzi all’opera compiuta sarebbe rimasto orfano. La sua qualità è cogliere ciò che trascende la realizzazione pura e semplice per affidarci l’identità dell’uomo che sta dietro e dentro l’atto creativo. Un’opera nell’opera viene da dire, che offre allo spettatore non solo uno sguardo laterale, ma aiuta, con tratti di pura poesia, a rivelarne il significato senza commettere l’errore di definirlo. Imperdonabile sarebbe stato non restituirne l’intensità.
Furti e ribaltamenti Tiziana Casapietra
Tiziana Casapietra: La storia del soldato Sebastiano, martirizzato a causa della sua fede cristiana, ha interessato pittori e scultori di ogni epoca. Tu però stravolgi l’iconografia classica del corpo del santo che, in questo lavoro, diventa un vaso. Primo ribaltamento. I tuoi vasi in ceramica vengono realizzati seguendo rigorosamente la regola della tradizione e includendo forme tratte da calchi antichi, ori, lustri e terzi fuochi. Ma anche qui ecco che intervieni a sovvertire la regola e il rigore formale, trafiggendo i vasi con tubi al neon rosa shocking di derivazione Pop. Il lavoro sterza all’improvviso e porta il visitatore da un’altra parte rispetto alle premesse iniziali. Secondo ribaltamento. Nella tua propensione al ribaltamento leggo un certo piacere per lo scherzo, lo sberleffo, che capovolge la serietà delle premesse del tuo lavoro. Chiamare San Sebastiano un vaso e trafiggere con tubi al neon un manufatto artigianale per farlo fagocitare dalla luce Pop rosa shocking, potrebbe risultare irriverente, una sfacciata provocazione. Vincenzo Cabiati: Libero arbitrio. Forse è questo il sentimento predominante. Lo sberleffo e l’irriverenza hanno un bersaglio, un fine. Il mio obbiettivo è invece suscitare stupore, sorpresa, forse disagio. TC: Ricorri al ribaltamento per sfidare te stesso e le tue certezze, uscire dai sentieri già tracciati, gustando la possibilità di perderti. Questo continuo superamento di te stesso lo si riscontra solitamente nel passaggio da un lavoro a un altro; in questo caso, agisce addirittura sullo stesso lavoro. VC: L’autorialità non è un mio desiderio. Nel mio lavoro non c’è percorso, linearità. Un prima, un dopo. Il mio unico desiderio è trovare modi e possibilità formali per enfatizzare una visione. La forma del vaso non è solo un “corpo” ma un luogo dove poter rappresentare, attraverso le sovrapposizioni in maiolica e lustri, le simbologie, le architetture, i paesaggi dell’iconografia. Le frecce realizzate con i tubi di luce al neon oltre a richiamare un elemento iconografico, sono un modo per aggiungere una “fluorescenza” abbagliante alla meravigliosa lucentezza che la ceramica ha già nel suo corpo. Lucentezza e bagliore per costringermi a distogliere lo sguardo e allontanarmene. Andare altrove. TC: Questo susseguirsi di ribaltamenti di senso, ti portano a includere nel tuo lavoro evidenti citazioni di altri autori, anche diversissimi tra loro, affinché si contaminino e, a volte, neutralizzino vicendevolmente. VC: I miei riferimenti non sono “citazioni” ma appropriazioni. La citazione implica un desiderio di trasmettere con precisione l’origine, la provenienza, l’autore, il contesto e tutte le implicazioni che ciò trasmette. La citazione con tutti i suoi elementi diventa a sua volta linguaggio, forma, dichiarazione di senso. L’appropriazione invece è un “furto” che mi permette di utilizzare ciò che vedo e trovo ovunque in modo indiscriminato e al di fuori di un codice o di un linguaggio. Andare oltre la sua origine assecondando solo i miei desideri e bisogni. Un pezzo di mondo al mio arbitrio.
San Sebastiano, d’après la céramique Irene Biolchini
Nel 1970 Luigi Ontani presenta il suo San Sebastiano nel bosco di Calvenzano, d’après Guido Reni, un lavoro ormai iconico in cui l’eleganza compita del santo-artista si fonde al chiarore del dipinto che lo ha ispirato. Un corto-circuito in termini di identità e cultura, un’apertura verso una nuova interpretazione in chiave auto-rappresentativa della nostra storia dell’arte. Tra i San Sebastiano di Vincenzo Cabiati e l’opera di Ontani ci sono ovviamente delle distanze sostanziali: non solo in termini cronologici, ma anche di linguaggio. Tuttavia, la storia, l’identità, la bellezza e la pulizia sono elementi comuni ad entrambi. Ontani torna nel bosco di Calvenzano, all’interno del territorio della sua natia Vergato, per omaggiare il presunto luogo di nascita di Guido Reni; Vincenzo Cabiati attraversa la Liguria e lavora ad Albisola, luogo del suo primo impiego come garzone di bottega in giovanissima età. Percorrere la costiera di ponente con Vincenzo significa anche attraversare quegli anni, sentire i racconti dei primi incontri con la ceramica, capire come quella storia - personale e collettiva ancora conviva all’interno del suo complesso sistema di riferimenti. Sono proprio gli stampi (di maioliche seicentesche e settecentesche), rinvenuti all’interno delle botteghe storiche con cui ha lavorato, a dare vita alle concrezioni sui San Sebastiano. Un germinare spontaneo in cui l’accumulo si trasforma in un florilegio che però non diventa mai schiavo del decoro. La lezione dei maestri che hanno attraversato la bottega Mazzotti, nel cui giardino il coccodrillo di Fontana sorveglia compiaciuto i lavori, si rispecchia nelle opere di Cabiati: ed ecco così comparire il rosa dei piedi del vaso - così tenue e vicino alla fontaniana Fine di Dio; ecco reinterpretati gli squarci sull’argilla, qui più organizzati in un attento ritaglio degli elementi-mascheroni. Ma forse la più autentica lezione della stagione Spaziale e Informale risuona nei neon fluorescenti che attraversano le opere, dando vita ad autentici ambienti-scultura. Le frecce, attributo iconografico del santo, diventano qui fulcro del lavoro: aprono ad una dimensione ulteriore, ad un oltre dove la spiritualità viene spogliata del suo senso strettamente religioso per spostarsi su un piano di esperienza e visione. Per Cabiati la luce non è decorazione e non è illuminazione, ma capace intervento di relazione. Allo stesso modo la ceramica non è oggetto, per quanto dalla forma-vaso riparta, ma si sposta in una dimensione ulteriore, scultorea e ambientale. Un superamento voluto e sostenuto già dai futuristi quando firmando il proprio manifesto - proprio ad Albisola - scrivevano: “tutto ciò non per imitare ma per dimenticare e superare e rovesciare idee e tecniche di ogni segreto ceramico”. Con Cabiati assistiamo all’intenzione di un San Sebastiano dopo la religiosità, ad una ceramica dopo la ceramica.
Vincenzo Cabiati Originario di Vado Ligure (Savona) nella sua formazione artistica si ispira alle opere del padre Achille. Alla fine degli anni ’80 si trasferisce a Milano dove allestisce la sua prima mostra personale, Femminea, presso la Galleria Giò Marconi. Le sue opere vivono e prendono forma grazie a molteplici contaminazioni — cinema, architettura e arte — e attraverso l’utilizzo di diversi materiali e differenti procedimenti di lavorazione trovano continuamente nuovi spunti di realizzazione. Obiettivo dell’artista è estrapolare elementi significativi di realtà, contribuendo a un loro rinnovato valore poetico e affettivo. Uno stretto legame, nato nell’infanzia grazie al padre Achille, è quello con la ceramica policroma che oggi rappresenta il mezzo privilegiato d’espressione dell’artista.
Marcello Campora Nato a Savona, architetto, negli anni novanta frequenta il laboratorio fotografico di Fulvio Rosso. Grazie a lui e ai suoi racconti raggiunge consapevolezza dell’uso della macchina fotografica e dei suoi possibili metodi espressivi. Nel dicembre 2016 allestisce a Imperia, presso lo Studiorossi+Secco, la mostra dal titolo ‘Spiaggia libera’. Nell’agosto 2017 presenta a Savona, nel complesso monumentale del Priamar, il progetto ‘Torino vuota’. All’inizio di novembre 2017 a Torino presso l’Officina ‘Il Bicino’ realizza l’installazione ‘Tre biciclette’. Nel gennaio e nell’aprile 2018 viene invitato a documentare per la trasmissione ‘Striscia la notizia’ alcuni momenti del backstage della trasmissione con il dichiarato intento di raccontare la verità nascosta dietro lo schermo. Tra il 2018 e il 2019, insieme al giornalista Mario Muda, realizza ’Game over’, un progetto che mira a rendere visibili i volti, e conoscere le storie, dei ‘nuovi poveri’. Il progetto è ora diventato il sito web www.game-over.eu. Nel maggio 2019 nell’ambito della mostra ‘Doppio sogno’, allestita a Finalborgo e curata da Riccardo Zelatore, espone i due progetti: ‘Highway Saluzzo Revisited’ e ‘I Milanesi’. Il suo lavoro è da sempre incentrato sulle trasformazioni sociali, spesso raccontate attraverso le storie degli uomini e delle donne che ne sono i protagonisti inconsapevoli.