Ticino7

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numero

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L’appuntamento del venerdì

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VII

Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Tessiner Zeitung

CHF 3.–

con Teleradio dal 4 al 10 luglio

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R EPORTAGE Daniele Finzi Pasca AGORÀ Procreazione | GASTRONOMIA Filiera corta | TENDENZE Taglie


Âť illustrazione di Adriano Crivelli


numero 27 2 luglio 2010

ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . .

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ROBERTO ROVEDA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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MARIELLA DAL FARRA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Agorà Procreazione assistita. Alla strenua ricerca del figlio Gastronomia Filiera corta. Il contadino in casa

DI

Impressum

Sfide Shepard Fairey e l’arte

Tiratura controllata

Vitae Delio Monti

Chiusura redazionale

Reportage Daniele Finzi Pasca. Omaggio a Chekhov

Editore

Tendenze Alimentazione e taglie. Small, medium, large!

89’345 copie (72’303 dal 4.9.2009)

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KERI GONZATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . D. QUADRI; FOTO DI A. VALLI. .

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PATRIZIA MEZZANZANICA . . .

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Giochi / Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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DI

Venerdì 25 giugno Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale

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DI

Peter Keller

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

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In copertina

La scena “Gravity Sisters”, tratta da: Donka - Una lettera a Chekhov di Daniele Finzi Pasca Fotografia di Alfredo Valli

Ma lo chiamano jazz... Cari lettori, il numero presente esce in corrispondenza della conclusione di Estival Jazz 2010. Naturalmente ci auguriamo che le cose siano andate per il meglio e che la manifestazione abbia avuto l’auspicata affluenza di pubblico. Ma proprio dalla lettura del programma, ricevuto ormai alcune settimane or sono, sono emerse alcune considerazioni. Innanzitutto la denominazione della manifestazione in cui compare la parola jazz. Ora, dimostrando una certa onestà intellettuale – ma forse anche un po’ di ingenuità – il medesimo fascicolo dedica un paio di pagine ai programmi delle precedenti edizioni a partire dal 1977. Emerge chiaramente che di jazz c’è una chiara traccia fino ai primi anni Duemila (Art Ensemble of Chicago, Ornette Coleman, Miles Davis, Carla Bley, Dave Liebman ecc.), dopodiché, con una progressione crescente il festival è andato trasformandosi sempre più in una manifestazione musicale di world music e di musica leggera (fino a ospitare artisti come la PFM o Irene Fornaciari), spesso con nomi senza dubbio di un certo interesse, ma anche con la presenza del più ritrito e commerciale mainstream, probabilmente finalizzato a giustificare l’uso della parola jazz nel titolo della manifestazione. Premesso che gli anni passano e i musicisti, come tutti purtroppo, muoiono – molti dei nomi presenti nelle prime edizioni sono da tempo scomparsi –, premesso anche che le logiche economiche e la presenza di sponsor importanti spingono gli organizzatori a invitare artisti popolari o di grande richiamo pubblico per evitare clamorosi flop (la manifestazione è, lo ricordiamo, gratuita; aspetto certamente

da elogiare, ma che evidentemente “vincola”...). Ebbene, ci chiediamo: ma dove sta oggi il jazz a Lugano? E si badi, non è affatto vero che questo storico genere musicale è scomparso (certamente pare stia scomparendo dal Cantone), semplicemente si è smesso di occuparcene seriamente. Da appassionato, voglio fare dei nomi, i primi che mi passano per la mente: ICP, Rova Saxophone Quartet, Evan Parker, Ellery Eskelin, Henry Threadgill, Wayne Horvitz, John Zorn, Roscoe Mitchell, Steve Coleman, Alex Von Schlippenbach, Ab Baars, Marc Ribot, Leo Smith ecc. ecc., tutta “gente” che ha saputo rinnovare un linguaggio con quasi cento anni di storia alle spalle, ma che sempre più spesso trova serie difficoltà a presentare il proprio lavoro. Perché la loro musica è certamente più strana, astratta e meno consolatoria rispetto a quanto proposto dalle nostre manifestazioni. O forse perché a nessuno è venuto in mente di creare, all’interno di Estival Jazz, delle sezioni diverse in modo da restituire un’immagine attuale del fenomeno, in tutte le sue sfaccettature. Lungi dal voler far polemiche (intendiamoci, va benissimo così, ci mancherebbe…), voglio ricordarvi una discussione avvenuta qualche anno or sono nella redazione della celebre (la più celebre) rivista di jazz statunitense, “Down Beat”. Di fronte all’impressionante calo delle vendite di musica jazz nell’arco degli anni Novanta, i critici della testata si chiedevano: “Ma non è che forse, puntando su gente come i Marsalis, abbiamo sbagliato tutto? Non era meglio dare più spazio a musicisti come Evan Parker?”. Chi scrive, la pensa esattamente in questo modo. Cordialmente, Fabio Martini


I

dati più recenti confermano che un sempre maggiore numero di coppie ricorre alla procreazione assistita: dal 2004, nel Cantone, l’incremento è stato del 20–25%, anche se a questo valore contribuisce in maniera decisiva l’affluenza di coppie italiane verso il Ticino, cresciuta notevolmente proprio dal 2004, con l’entrata in vigore della legge italiana sulla PMA (procreazione medicalmente assistita), che non consente di effettuare determinati trattamenti, possibili invece nel nostro Paese. In generale, comunque, si stima che circa 4.000 coppie in età fertile ricorrano ogni anno in Svizzera alle tecniche di fecondazione assistita, mentre nel solo Ticino sono circa 1.000. Buona parte delle coppie che ricorrono alla PMA in Ticino si rivolge al Centro cantonale di Fertilità dell’Ospedale regionale di Locarno, creato ufficialmente nel 1978: ogni anno, vengono accolte nel centro locarnese circa 350 nuove coppie, per 70% italiane, per il rimanente ticinesi o provenienti da altri cantoni. Questi i numeri, che però non ci dicono tutto. Non spiegano, per esempio, che le persone che ricorrono a questa metodologia vi giungono spesso dopo innumerevoli tentativi di avere un figlio in modo “naturale”. Persone che inseguono un sogno da molti anni e che hanno attraversato frustrazioni, delusioni, un dolore che spesso scava nel profondo e mette a dura prova l’esistenza stessa della coppia. Quando arrivano in un centro di cura dell’infertilità si apre, poi, un nuovo percorso, duro, carico di speranze, ma anche di incognite. Proprio di questo abbiamo parlato con il dottor Giovanni Micioni, psicologo, psicoterapeuta e sessuologo del Centro cantonale di Fertilità dell’Ospedale regionale di Locarno. Dottor Giovanni Micioni, ci aiuti a tracciare un identikit delle coppie che ricorrono alla fecondazione assistita... “Sono coppie in maggioranza appartenenti alla classe media, con una buona differenziazione intellettuale e professionale, e che hanno rinviato e pianificato la ricerca di un figlio al momento in cui avranno raggiunto determinati obiettivi di realizzazione personale e di coppia, fiduciosi di poter padroneggiare totalmente la loro fertilità. Sono l’espressione della tendenza esistente nella società occidentale avanzata dove la ricerca del primo figlio viene sempre più rinviata per dare la priorità a esigenze e soddisfazioni personali, professionali e relazionali, a scapito però della fertilità soprattutto

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Alla strenua ricerca del figlio

Agorà

Ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (PMA) rappresenta per molte coppie con problemi di fertilità un percorso di speranza per la realizzazione di un sogno. Un percorso, non facile, lungo il quale non mancano momenti difficili e frustrazioni. Per questo è fondamentale un adeguato supporto psicologico femminile. Così si comincia a provare ad avere un figlio intorno ai 36/37 anni, quando la fertilità non è più al culmine”. Che tipo di supporto psicologico viene offerto, in particolare in Ticino, a queste coppie? “Nella legge sulla PMA, entrata in vigore in Svizzera nel gennaio 2001, viene stabilito che si deve offrire alle coppie infertili un counseling psicologico prima, durante e dopo i trattamenti. Nel nostro Centro cantonale di Fertilità ciò veniva previsto fin dal 1978, anche se all’inizio solo per le coppie richiedenti un’inseminazione con seme da donatore o per situazioni specifiche. Dal 1984 è diventata, però, nostra prassi offrire il colloquio e il sostegno psicologico a tutte le coppie infertili, indipendentemente dai trattamenti indicati”. Quali obiettivi si propone questo sostegno psicologico? “Essenzialmente due. Da una parte offrire alla coppia infertile «uno spazio» in cui la sofferenza per la crisi dell’infertilità può essere «espressa» facendo emergere i conflitti, le ambivalenze, le frustrazioni e le angosce vissute dai partner. Vengono anche ascoltate le loro aspettative e il loro vissuto riguardo le indagini e le terapie di PMA da intraprendere. Si provano a chiarire le motivazioni alla maternità e paternità e, nelle sterilità assolute, si valuta il grado di elaborazione del «lutto» per il proprio figlio biologico e la qualità dell’accettazione nel ricorrere a un donatore/donatrice estranei alla coppia. Si offre inoltre loro un sostegno psicologico durante i trattamenti. Il secondo obiettivo è che la collaborazione dello psicologo con il medico possa permettere a quest’ultimo di non forzare i tempi dei trattamenti ma di rispettare l’elaborazione del vissuto, delle scelte e dei bisogni dei pazienti e di meglio comprendere i fenomeni transferali in gioco, così potenti e arcaici nel campo riproduttivo”. Quali problematiche di tipo psicologico incontrano le persone nel momento in cui decidono di intraprendere un percorso di questo tipo? “La scoperta dell’infertilità porta una grossa sofferenza, perché ciò che si riteneva naturale, intimo, programmabile, come l’avere dei figli, si rivela non possibile e ciò suscita una forte sensazione di impotenza-castrazione e di inadeguatezza a livello corporeo, psicologico e sociale; è la crisi dell’infertilità che annulla o rende incerto il desiderio di un discendente e spezza la fantasia di una propria “immortalità” attraverso il figlio e la possibilità di continuare il lignaggio familiare. Per realizzare questo desiderio così personale e intimo, bisogna ricorrere


» di Roberto Roveda

a un aiuto, magari sottoponendosi a delle tecniche di fecondazione che soppiantano il «magico momento» dell’atto sessuale fecondante e con degli esami e controlli che parcellizzano l’evento con dei tempi che rischiano di diventare pesanti e ossessivi o vissuti da soli e con forte stress”. Che cosa succede alla coppia durante il percorso? “Entrano in campo la forte ansia per la riuscita dei trattamenti e l’angoscia quando non danno il risultato sperato, oltre ai notevoli costi psicologici, professionali, relazionali ed economici – la PMA nella maggior parte non è coperta dalle casse malati – che i trattamenti stessi comportano. Se invece i trattamenti portano a una gravidanza e alla nascita di un bimbo, c’è una profonda commozione nei partner e un senso di gratitudine estrema verso il medico e l’équipe biologica che li ha aiutati a realizzare il loro progetto genitoriale, così tanto sperato e sofferto”. Quali differenze vi sono tra le problematiche nella donna e le problematiche nell’uomo? “Sempre più nelle infertilità si ritrovano problemi maschili ma è la donna che comunque diventa «la paziente» dei trattamenti di PMA con tutto quello che ciò comporta nella sua intimità psicocorporea. Questo non vuol dire che l’uomo non ne risenta soprattutto quando ha una vulnerabilità narcisistica di base per cui la sua infertilità può essere vissuta con una sensazione «d’impotenza», di esclusione e di rivalità verso gli altri e soprattutto il medico trattante. Ma sia nella donna, sia nell’uomo scoprire dei problemi di fertilità inaspettata può indurre sensazioni di colpevolizzazione verso il partner e soprattutto d’inadeguatezza riguardo la propria identità psicosessuale e di ruolo. Ed è allora importante verificare se esistono delle vulnerabilità personali preesistenti, dei disturbi sessuali e/o relazionali primari o consecutivi all’infertilità e soprattutto com’è la dinamica e la qualità comunicazionale e l’integrazione della coppia. Generalmente la donna, proprio perché la maternità è una tappa estremamente importante della propria realizzazione identitaria, tiene maggiormente ad avere un figlio e questo a volte può trasformarsi in un’ossessione che innesca un circolo vizioso di stress e di tentativi infiniti di PMA; se questi non danno un risultato positivo o si prolungano tanto, si può arrivare a cadute depressive marcate e soprattutto a un pericolo di crisi o rottura della relazione di coppia...”. Come aiutare una coppia quando anche la PMA fallisce? “Dopo un esito negativo è opportuno fare una pausa per elaborare la delusione di un’aspettativa a volte «magica» della PMA e incitare i partner a investire su altri interessi che possano «distrarre» dal progetto di avere un figlio. Il consiglio è di fare più attenzione alle cose positive della loro esistenza, alla qualità della loro vita intima e sessuale, spesso condizionata negativamente dalla ricerca della gravidanza e dalla PMA. Così si può provare a riscoprire il piacere e l’eros vitali e portare i partner a ritrovare un sano equilibrio personale e di coppia, che potrà condurli alla decisione di riprendere i trattamenti, oppure di far ricorso all’adozione o ad altre forme di genitorialità. O anche, semplicemente, di accettare di rimanere senza figli, puntando sulle realizzazioni individuali e di coppia”.

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Il contadino in casa

Internet

www.slowfood-ticino.ch Il pagina internet della sezione ticinese di Slow Food presenta informazioni e indirizzi utili per chi desidera entrare nell’universo della “filiera corta”. Citiamo dal sito: “Slow Food si contrappone alla tendenza alla standardizzazione del gusto e difende la necessità di informazione da parte dei consumatori nel mondo”.

che fanno lievitare i prezzi oppure si fa un po’ di pick your own (letteralmente “raccoglilo da te”), cioè si va nei campi a far raccolta di pomodori e affini, come facevano i nostri nonni, che – per inciso – dalla campagna sono fuggiti perché lavorare la terra spacca la schiena. Ma qui si tratta solo di raccoglierne i frutti… Se, viceversa, si è più pigri, si aspetta una ricca fiera oppure un mercato contadino. L’ultima frontiera è quella di crearsi un bell’orto sul terrazzo di casa oppure di piantare patate e insalatina sul balcone del proprio bilocale, magari con vista sulla strada cantonale… ma qui più che di biologico bisognerebbe parlare di biochimico. Diciamolo con chiarezza: la filiera corta è una cosa sensata se aiuta a ricoprire i gusti e i sapori del proprio territorio, ad avere maggiore consapevolezza di cosa si mangia e a inquinare meno non facendo giungere i prodotti fuori stagione o a basso costo dalle lande del Cile o dell’Australia. A Nel campo dell’alimentazione la filiera corta è patto di non cadere in eccessi talebani e uno dei miti degli ultimi anni. Un sistema per di non criminalizzare produrre sempre più vicino a casa, riducendo la grande distribuziocosì trasporti, inquinamento, costi e creando ne, che semplifica la un rapporto diretto tra consumatore e pro- vita, ce ne rendiamo duttore. Senza dimenticare la riscoperta della conto quotidianamente. Perché il circuito cultura alimentare del proprio territorio... breve richiede tempo per cercare, trovare, dal produttore, con la bottiscegliere. Un “lavoro” vero e proprio, non glia – rigorosamente di vetro, sempre facile da conciliare con gli impegni così si riutilizza – in mano. Si che tutti abbiamo. Forse la nuova frontiera fa il “pieno” e si riparte. Si va è rappresentata da una filiera corta capace direttamente in campagna a di entrare maggiormente nei supermercati; comprare, evitando così tutti smettendola, da parte nostra, di pretendere i passaggi e le intermediazioni fragole e ciliegie anche a gennaio…

» di Roberto Roveda; illustrazione Tecnica T7

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variegato quello della filiera corta, che fa nuovi proseliti, si espande a macchia d’olio e si arricchisce di sempre nuove iniziative come accade in questi ultimi anni a tutto ciò che sa di biologico e di natura. Per esempio, secondo Slow Food Convivium Ticino (vedi Apparati) la crescita nel settore della filiera corta è stata vertiginosa: ConProBio, una cooperativa che raggruppa consumatori e produttori biologici è passata da 14 gruppi aderenti nel 1992 agli attuali 180, sparsi nel Ticinese e nel Moesano. L’obiettivo è quello dei “menù a km zero”, preparati con alimenti prodotti nel territorio in cui si vive, cercando di evitare trasporti e riducendo quindi traffico e inquinamento. Il latte e il vino si vanno a prendere sfusi

Andrea Calori (a cura) Coltivare la città Terre di Mezzo, 2009 Un giro del mondo in dieci progetti di filiera corta, attraverso comunità organizzate per vendere o acquistare prodotti alimentari che vengono consumati vicino ai luoghi di produzione.

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Gastronomia

Ogni epoca ha i suoi miti e i suoi “innamoramenti folli”… e il campo dell’alimentazione non fa certo eccezione. La nobiltà e i ricchi di una volta si distinguevano dal resto del mondo e dalla plebe, perché mangiavano cibi provenienti dai luoghi più lontani ed esotici, procurati “costi quel che costi”. La seconda metà del Novecento ha avuto nella grande distribuzione il suo “Vangelo alimentare” e tutto è stato rivolto a inseguire praticità e comodità, oltre che la possibilità di avere disponibili i prodotti tutto l’anno anche inseguendoli in capo al mondo. Così i meloni si trovano anche a gennaio, basta farli venire da Panama e dal Brasile. Se poi costano meno, le mele si prendono in Nuova Zelanda oppure in Sudafrica facendole viaggiare per settimane in container refrigerati. Questo meccanismo – un poco perverso, è il caso di dirlo – di globalizzazione alimentare non poteva rimanere senza risposta: ecco quindi il turno della filiera corta, il totem odierno, l’idea del cibo prodotto sotto casa o quasi, che passa di mano direttamente dal produttore al consumatore. Meglio ancora se a raccoglierlo in loco è il consumatore stesso, riscoprendo così il dimenticato contatto con la natura. Un mondo

Libri


Shepard Fairey e l’arte L’intera produzione di Shepard tratta dell’uso reazionario dell’arte applicata alla politica. Non a caso, fin dagli esordi la sua produzione è contraddistinta dal marchio fittizio di “obey” (imperativo di “obbedire”). Proprio a sottolineare la natura autoritaria della comunicazione gestita dai poteri forti

La produzione artistica di Shepard Fairey – esponente di punta

della street art americana diventato universalmente noto con la diffusione, durante la campagna presidenziale del 2008, dell’icona di Barak Obama, nell’immagine assieme al suo autore – pare l’incarnazione stessa dei concetti espressi dal filosofo e saggista tedesco Walter Benjamin nel celebre saggio L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica (1936; in italiano edito da Einaudi). Me ne sono resa conto visitando gli allestimenti del MiArt 2010, presso la sede del “Superstudio Più” in via Tortona a Milano, dove ho avuto modo di impattare per la prima volta “dal vivo” con le gigantesche composizioni dell’artista. I suoi quadri, costituiti da stampe fotografiche trattate e assemblate in sequenze preordinate, sono infatti virtualmente replicabili all’infinito, mentre la natura ricorsiva degli elementi decorativi, che si ripetono identici a intervalli regolari, ribadisce anche visivamente l’idea di riproducibilità. E così, aggirandomi fra murales in cui misteriose mujaheddin si alternano a soldati cinesi con rose rosse nei fucili, ho realizzato come l’opera d’arte si sia davvero e definitivamente emancipata dal presupposto – o meglio, come direbbe Benjamin – dall’ “aura” della sua unicità. Se, nella cultura di massa, la risposta psicologica suscitata dall’opera prescinde da quello statuto di evento unico e irripetibile (hic et nunc) che in altri tempi ne sanciva l’originalità, e quindi la sacralità, allora, coerentemente, sul sito di Shepard, chiunque può ordinare uno dei suoi quadri, tutti egualmente originali: l’autenticità è data unicamente dal numero di serie e, talvolta, dalla firma. Inoltre, se, sempre in accordo con il pensiero di Benjamin, l’arte “post-aura” ha come obiettivo l’influenza diretta della società (influenza che può esercitarsi sia in senso progressista che reazionario); Shepard gioca esplicitamente con lo stile propagandistico dell’iconografia di regime, proponendo un rimaneggiamento di quell’estetica “fascista” (nel senso di tesa all’imposizione di un’egemonia culturale) che, indipendentemente dal credo ideologico di riferimento, in ogni luogo e da sempre caratterizza la logica del potere.

Di fatto, l’intera produzione di Shepard Fairey (si veda www. obeygiant.com) tratta dell’uso reazionario dell’arte applicata alla politica. Non a caso, fin dagli esordi, la sua produzione è contraddistinta dal marchio fittizio di obey (imperativo inglese di “obbedire”), proprio a sottolineare la natura autoritaria della comunicazione gestita dai poteri forti, che siano politici, economici o, come generalmente accade, un misto di entrambi. In diverse occasioni, l’artista ha infatti dichiarato che il progetto Obey è stato ispirato dal film “culto” di John Carpenter Essi vivono (They live; 1988), una pellicola di fantascienza che, attraverso la metafora dei messaggi subliminali, esprime una forte critica alla società dei consumi e al sistema dei media, accusati di condizionare e manipolare lo stile di vita delle persone. Shepard utilizza quindi i retaggi iconografici del potere per smascherarne i meccanismi e contestarlo. Tuttavia, cosa accade nel momento in cui tale linguaggio, portatore di una valenza meta-comunicativa (che contiene cioè una comunicazione sulla comunicazione), viene messa al servizio del potere stesso, per quanto progressivamente orientato? Il ritratto di Barak Obama – che ottenne il benestare ufficiale del comitato per la campagna elettorale dell’allora candidato presidente – rappresenta un valido esempio di tale paradosso: il viso rivolto in alto, leggermente inclinato verso destra (un orientamento che nel linguaggio non verbale denota apertura verso il futuro) mentre i tratti del volto sono delineati nei colori “nazionali” del rosso, del bianco e del blu, a sottolineare e rafforzare l’identificazione con la parola-messaggio che, a seconda dei casi, è “Hope”, “Change” o “Progress”. Si tratta, al di là dell’orientamento politico di ciascuno, di un messaggio doppiamente efficace poiché, se da una parte ci consente di riconoscerne lo stile propagandistico, rassicurandoci sulla nostra capacità critica, dall’altra ci espone in maniera diretta all’effetto suscitato dall’opera, che in realtà risulta potenziato dal cortocircuito interpretativo che la sottende. Questo perché, prima di ogni altra cosa, i quadri di Shepard Fairey sono straordinariamente belli e coinvolgenti.

Sfide

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» di Mariella Dal Farra

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» testimonianza raccolta da Keri Gonzato; fotografia di Igor Ponti

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la forza per affrontare nove ore di viaggio, in groppa a un mulo, e arrivare in mezzo a una comunità di indigeni “desplaçados”, scacciati dai loro territori dalla guerriglia. Risalendo questa montagna ti confronti con situazioni veramente estreme, prendi coscienza della fragilità della vita e paradossalmente riesci a sentire che sei vivo per davvero. Lì ho conosciuto gente che vive sul filo del rasoio, con strutture insufficienti e un aiuto minimo dello stato. Per più di quindici anni avevo fatto lo scultore vendendo le opere al prezzo “sociale”, per non mettere in vendita l’estro, ma con questo proUn discorso umanitario vissuto in prima getto sono tornato a bussare persona con un corpo che ha deciso di alla porta di alcuni ex clienti imporgli dei limiti. Un viaggio di gua- per chiedere dei fondi. Così rigione che passa attraverso la forza è nata la Fondazione Yuluka, che in Indio Kogui significa dell’amore per sé e per gli altri, in par- armonia e equilibro. Ora sto ticolare per le nuove generazioni creando un ospedale di primo intervento, un vivaio di pesci accessori con Hong Kong. e delle scuole, strutture alle quali può far rifeNella mia vita ho fatto di rimento la popolazione. Il lavoro è complesso tutto, ci sono parecchi Dee cerco sempre fondi umanitari per sostenere lio, e non è ancora finita. il progetto. La sede dell’organizzazione è una Quindici anni fa ho scoperto bellissima casa che ho costruito con l’idea del di avere la sclerosi multipla turismo etico. Chi la affitta, oltre a fare una e il mio centro di interessi vacanza da sogno, contribuisce ai progetti di si è spostato verso gli altri. Yuluka. Il regalo che io ho ricevuto da questa Scavando in me stesso, sono gente non riesco a descriverlo… hanno tocgiunto alla conclusione che la cato qualcosa dentro di me che ero riuscito a malattia è nata proprio a New sentire solo con l’arte. Il mio cuore vibra per York. Infatti in quel periodo il Sud America anche se passo ancora molto ho passato momenti difficitempo in Svizzera perché ho un figlio di 16 li, soprattutto a causa di un anni, che ho avuto da un secondo matrimomatrimonio sofferto con una nio, e finché non prende il volo io ci sono donna cinese. Un giorno me e lo seguo insegnandogli il rispetto per ogni ne sono andato, ma dentro di cosa. Adesso che incomincia ad annusare la me avevo posto il seme della vita e ha tutti gli orizzonti aperti, lo spingo malattia che, crescendo, ha a partire. Ai ragazzi che prendo in autostop cambiato radicalmente la mia dico di mettersi in gioco, partire: fö di ball! vita. A un certo punto persino Ho girato il mondo e qui vedo un casino di creare le mie sculture in ferro ammalati, in tutti i sensi. L’unica assicuraera diventato troppo difficile. zione sulla vita sei tu. Mio fratello Ivo, appassionato Oggi, la mia fortuna è quella di aver raggiundi Colombia, vedendomi deto un sentimento del divino. Da lì nasce la primere, mi ha spinto a partivolontà di onorarlo nutrendo l’amore per re. Da sei anni a questa parte me stesso. Io, ho mancato di rispetto a me ho finalmente preso le redini stesso e mi sono dovuto ammalare per riudella mia vita. Aprendo una scire a cambiare il percorso della mia vita. nuova parentesi geografica La malattia ti avverte che sei fuori strada. ho incominciato a sentire una Ora più che mai mi ascolto e coltivo questa sintonia con i diversi colori, attenzione. Le botte della vita non arrivano odori e modi di vivere. In per niente e se non ti ami puoi farti molto Colombia, nella Sierra Nevada male. La mia speranza è che gli esseri umani di Santa Marta, ho trovato imparino a volersi più bene…

Delio Monti

Vitae

a adolescente ero appassionato di modellini e l’orientatore professionale mi spinse verso lo CSIA, che in quegli anni era molto anarchica e bella. La scuola mi piaceva perché ti metteva a confronto diretto con la materia: gesso, legna, creta, ferro. Massimo Cavalli mi aveva dato le chiavi della stamperia dove, durante le lezioni di italiano e matematica, mi rifugiavo per fare acqueforti. Allo CSIA, tra decorazione di vetrine e arti decorative con lo scultore Nag Arnoldi, ho passato 6 anni. Con l’Accademia di Brera sono passato alla scenografia teatrale. Erano anni di grande fermento, durante una lezione poteva capitare di sentire l’esplosione di una bomba. Tra moti rivoluzionari e cultura effervescente, Milano aveva il sapore, crudo e vero, della realtà. Il lato accademico invece era troppo politicizzato e questo intaccava la purezza della creatività. Proprio sul finire degli studi ho avuto un incidente d’auto spettacolare. Con il femore rotto, invece di andare a Milano a discutere il tema della tesi ho fatto di testa mia scegliendo l’Art Brut e andando a Ibiza. Era il periodo degli ultimi hippy e io scrivevo la tesi immerso nella natura, tra le galline. Al rientro mi sono presentato con la tesi e mi hanno detto: “Ah, è lei quello dell’art brut? La sua tesi è stata dichiarata fuori legge dal comitato accademico di Brera”. Jean Dubuffet, iniziatore del movimento, diceva che l’Arte fugge proprio quando la nomini. Con un 30 e lode in scenografia e la spinta di un professore, il minimalista Rodolfo Aricò, avevo le porte spalancate ai teatri di Milano. Ho scelto però la svolta radicale e con i 30.000 franchi dell’incidente sono volato a New York, e lì sono rimasto per ben 10 anni! In quel periodo ho disegnato orologi e gioielli, ho lavorato come art director per una ditta di ingegneri e ho persino lanciato una produzione di

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D


Omaggio a Chekhov testo di Demis Quadri; fotografie di Alfredo Valli

A inizio aprile 2010, Daniele Finzi Pasca può vedere rappresentati in contemporanea cinque dei suoi spettacoli in altrettanti diversi paesi. Fra questi la Russia, dove Donka - Una lettera a Chekhov giunge dopo una fase preparatoria tra Riazzino e Losanna. Da lì l’omaggio al grande scrittore ripartirà per far sognare – con i suoi colori, i suoi gesti e le sue musiche – gli spettatori di Brasile, Argentina, Uruguay, Stati Uniti, Francia, Spagna, Italia...




L’occasione In occasione del 150esimo della nascita di Anton Chekhov, Daniele Finzi Pasca ha potuto dare vita a un’altra delle sue suggestive visioni, Donka - Una lettera a Chekhov, che ha debuttato nella capitale russa lo scorso 29 gennaio. Raggiunto telefonicamente a Montréal, dove sta portando in scena un Icaro che ha ormai oltrepassato le 700 repliche, Finzi Pasca ci racconta di essere stato inizialmente scelto con altri tre registi dal direttore del festival Chekhov di Mosca, Valery Shadrin, per allestire una serie di spettacoli teatrali. Alla fine Donka ha avuto l’onore di aprire i festeggiamenti dell’anniversario chekhoviano. “Come sempre”, continua l’autore, regista, coreografo e clown ticinese, “ho voluto lavorare con gli artigiani che mi accompagnano in ogni avventura, gli amici del Sunil e Julie Hamelin. Con loro si è creata una grande empatia”.

varie città dove ha scritto e vissuto, come Taganrog, dove è nato. Ho fatto questo primo viaggio con Maria Bonzanigo, alla ricerca di piccoli elementi e aneddoti. Poi abbiamo frugato nei suoi carteggi, nei suoi diari, oltre che naturalmente nelle sue pièce teatrali e nei suoi racconti, cercando di comporre una specie di mosaico di pezzettini sconnessi. Così lo spettacolo è diventato come un caleidoscopio. In Chekhov mi interessa molto l’uomo curioso e il testimone. Una cosa che mi ha colpito molto è stata il viaggio che egli ha compiuto a Sakhalin, un’isola lontanissima che all’epoca era una prigione. Quest’uomo già malato di tubercolosi intraprende un viaggio di circa 9.000 chilometri, resta sul posto vari mesi per osservare come vivono i prigionieri, e poi torna a casa e scrive un libro su quello che ha visto. Credo che la capacità di essere testimoni sia molto importante: per capire, vedere, poter essere sicuri di come le cose siano, al di là di come ci dicono che sono”.

Il protagonista Alla base dello spettacolo c’è la figura del grande scrittore e drammaturgo russo. “Per fare riaffiorare Chekhov”, dice Finzi Pasca, “sono andato a pescare tra i dettagli della sua vita. Mi sono recato in

Le atmosfere Nei lavori teatrali di Finzi Pasca – come già ne Il giardino dei ciliegi di Chekhov, dove sono fortemente legate agli stati d’animo dei personaggi – le atmosfere sono basilari. “Gli spettacoli

sopra: una scena sulla Rue Cyr con l’artista circense David Menes nelle pagine precedenti: la scena delle Tre sorelle durante l’anteprima rappresentata a Losanna in apertura: l’autore e regista di Donka nel corso delle prove agli studi della Polivideo a Riazzino


che creo”, spiega il regista, “richiedono macchine sceniche sempre più complesse. Per questo motivo gli ultimi miei lavori non hanno ancora potuto essere rappresentati in Ticino, dove non ci sono teatri adeguati per ricreare le prospettive e i giochi di luce con cui voglio attivare certi luoghi dell’immaginario. In un teatro come quello chekhoviano alla parola, al detto, si contrappongono pause e silenzi. Quindi le immagini assumono un ruolo fondamentale. Con le scenografie di Hugo Gargiulo e i costumi di Giovanna Buzzi abbiamo voluto creare delle immagini surreali e, soprattutto, una superposizione di piani. Vengo da una famiglia di fotografi, per cui tutto questo mi riesce naturale. Cerco di creare giochi di false prospettive, come nel cinema degli inizi, e immagini simili a quelle dei sogni”. Le musiche Già dalla presenza degli strumenti in scena si può poi intuire l’importanza della musica in uno spettacolo come Donka. “Si può dire che lavoro con Maria Bonzanigo da sempre. Abbiamo cominciato da ragazzi dando vita all’avventura del Teatro Sunil. La musica di Maria ha una caratteristica particolare, essendo lei coreografa oltre che

compositrice e musicista: riesce a collegarsi con facilità e profondità alle immagini. Il mio teatro è profondamente legato al lavoro di Maria e alla tessitura delle sue melodie, al suo modo di costruire musicalmente delle emozioni. Anche in Donka il ruolo della musica è centrale. Questa volta, tranne per le parti suonate direttamente dagli interpreti e dai musicisti sul palco, la colonna sonora è stata registrata con l’orchestra Rachmaninov di Mosca e dal suo coro”. I clown Donka è insomma uno spettacolo che coinvolge molti saperi artistici, ma che sembra a prima vista poco in sintonia con la tradizione che, già dai tempi di Stanislavskij, interpreta come drammi sociali quelli che però Chekhov considerava commedie. Ma Finzi Pasca racconta che, secondo l’editore Aleksej Suvorin, “Chekhov quando era in viaggio cercava sempre di vedere due cose: i clown e i cimiteri. Amava gli spettacoli di clown, amava i circhi, e per questo risuona in modo diverso in ogni uomo di teatro. Nel mio caso mi sono detto: questo è un omaggio che gli posso fare da clown, una veste alla quale egli era sicuramente affezionato...”.

sopra: la parte conclusiva dello spettacolo


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Tendenze, p. 38 | di Patrizia Mezzanzanica

Il pensiero e la preoccupazione del peso influenzano la vita di molte persone. Del resto, i modelli fisici proposti dai media sembrano proprio non lasciare scampo alcuno. In realtà, il problema che tutti noi dovremmo a tal riguardo porci è piuttosto un altro: qual è il peso forma? O meglio, qual è il peso “ragionevole” per ciascuno di noi? Quando lo scorso ottobre in un’intervista alla rivista tedesca “Focus” lo stilista Karl Lagerfeld se ne uscì con la frase “Solo alle mamme grasse non piacciono le modelle magre” si scatenò un putiferio. Chi si scandalizzò, chi si sentì offeso, chi mise in dubbio la sua competenza nel giudicare la bellezza femminile, chi gli diede ragione, perché il parallelo anoressia-magrezza mette tarli nelle menti dei giovanissimi, e chi lo considerò solo un modo per far parlare di sé. Il vero problema, invece, non è tanto small, medium o large a tutti i costi, ma piuttosto “quale deve essere il peso forma”? O più precisamente, come spiega la dr.ssa Claudia Fragiacomo, farmacologa e specialista in Scienza dell’alimentazione all’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio, “quale deve essere il peso ragionevole”? “Abitualmente il peso forma viene calcolato con l’indice di massa corporea” precisa, infatti “e quindi Peso/H elevato al quadrato. Questo valore risulta normale se cade in un intervallo tra 20 e 25, fino a 29,9 si parla di soprappeso e sopra i 30 di obesità. Ma è un calcolo che tende a livellare tutti i soggetti e non considera l’ereditarietà, il sesso, la costituzione, l’età, la massa muscolare – che per esempio negli sportivi è superiore – la storia del peso, lo stato di salute ed eventuali terapie farmacologiche. Il peso ragionevole, invece, viene calcolato per il paziente, per le sue aspettative, per la sua salute”. Tornando a Lagerfeld, se di mamme si parla è evidente che non è solo una questione di peso, ma soprattutto di età. A 30 anni non si ha più la silhouette dei 20, e a 40 si comincia a “metter su qualche chilo”, indipendentemente dall’essere donne o uomini. “Con il passare del tempo il peso corporeo subisce variazioni fisiologiche” continua Fragiacomo: “gli anziani spesso manifestano un importante calo di peso che, se non dovuto a malattia o cambiamento nello stile di vita, evidenzia una perdita di massa muscolare caratteristica dell’età”. In ogni caso i rischi sono presenti sia nell’eccessiva magrezza (carenze nutrizionali,

rischio fratture ecc.) sia nell’obesità (diabete, ipertensione, alto livello di colesterolo nel sangue, gotta e anche l’aumento di rischio di malattie cardiovascolari). Un altro tabù da sfatare è che tutte le persone con un peso elevato mangino troppo. “Spesso, a causare un aumento di chili non sono tanto le calorie introdotte quanto uno sbilanciamento fra proteine, grassi e carboidrati, e un’attività fisica insufficiente...”. Il peso è quindi l’espressione del comportamento e delle nostre consuetudini di vita. Nutrirsi in modo corretto fin da giovane e praticare una regolare attività fisica è il miglior modo per mantenersi in salute. Considerare alcune diete come “miracolose” non porta risultati stabili mentre è necessario, prima di tutto, essere ben motivati e assistiti. Mai dimenticare, infine, che il cibo ha un significato psicologico in grado di influenzare le abitudini alimentari e “spostare” problemi e disagi che con il peso hanno ben poco a che vedere. Bulimia e anoressia, in forte aumento anche nella popolazione maschile, così come alcuni casi di obesità sono l’esempio più lampante di un malessere psicologico profondo che riguarda la sfera affettiva. Come mantenerci allora entro i parametri di un peso ragionevole? “Una dieta equilibrata deve fornire un apporto di calorie adeguato e introdurre tutti i principi nutritivi” conclude la dr.ssa Fragiacomo. “La scelta dei cibi dovrà essere varia, e solo in presenza di patologie conclamate si dovranno eliminare determinati alimenti, su consiglio del medico o del dietista. Sarà utile, inoltre, conoscere le caratteristiche di ciò che mangiamo al fine di non attribuire ai nutrimenti proprietà errate. Ad esempio, per quanto riguarda i cibi anti-aging di cui tanto si parla ultimamente, è necessario precisare che non annullano certo gli anni, ma sappiamo che il loro effetto antiossidante può contrastare quello tossico dei radicali liberi e rallentare l’invecchiamento cellulare, così come prevenire e difenderci da alcune malattie”.

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Astri gemelli

cancro

Settimana rovente per il transito di Marte nella vostra quinta casa solare. Le energie non mancheranno. Gridate al mondo la vostra personalità. Scarso senso dell’autodisciplina amorosa. Successi agonistici.

Grazie al transito di Venere nella vostra terza casa solare forte incremento della vostra vita sociale e delle occasioni mondane. Incontri con persone importanti. Opportunità tra il 4 e il 5 luglio. Nuovi interessi.

Mercurio e Marte favorevoli la prima settimana di luglio. Progetti a lungo termine sostenuti dall’ottimo transito di Saturno. Novità in arrivo per i nati nella terza decade. Non trascurate la salute fisica.

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Sarete molto più seducenti del solito: intense e ricche di incontri le giornate comprese tra il 4 e il 5 luglio. Grazie alla Luna favorevole potrete trascorrere in un luogo di vacanza momenti indimenticabili.

Periodo vivace e frenetico. Il cielo dei nati nella seconda decade è ormai inesorabilmente acceso dal transito di Marte. Evitate però di essere eccessivamente ipercritici. Controllate la vostra aggressività verbale.

Momento favorevole per i nati nella terza decade per godere di una vacanza, per conoscere nuove persone e confrontarsi con nuove culture. Attrazione nei confronti di una persona straniera. Stress tra il 4 e il 5 luglio.

Grazie agli ottimi transiti di Marte e Mercurio la prima settimana di luglio si presenta come un periodo vivace per risolvere a vostro vantaggio un importante affare. Vita sentimentale accesa da passioni e gelosie.

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Saturno vi chiede ancora di affrontare qualche scelta ma ormai Venere, l’astro dell’amore e del piacere, è dalla vostra parte. Incontri e atmosfere passionali tra il 4 e il 5 luglio. Novità in arrivo per i nati in novembre.

Mercurio in opposizione per i nati nella terza decade. Attenti a quello che dite. Correte il rischio di instaurare un percorso di polemiche autodistruttive con il partner. Momento importante per i nati nella terza decade.

Venere di transito nella vostra settima casa solare vi rende più autoindulgenti del solito nei confronti dei vostri doveri di coppia. Svolte mediatiche per i nati nella terza decade. Incontri tra il 4 e il 5 luglio.

State attenti a non far scintille con il partner. Rispettatene l’autonomia ma a vostra volta fatevi valere. Focalizzatevi nel raggiungimento dei vostri obiettivi. Buone notizie in arrivo per i nati nella terza decade.

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Orizzontali 1. Indelicato, sfacciato • 9. Il noto Marvin • 10. In nessun tempo • 11. Articolo romanesco • 12. Un fiore novembrino • 14. Cava centrale • 15. Sportello • 16. Le iniziali di Bonolis • 17. Modernità, fatto nuovo • 19. Lo dice chi rimanda • 20. Tra Mao e Tung • 21. Sbaglio • 23. Attraversa Berna • 24. Onesto, sincero • 25. Il comune, è mezzo gaudio • 26. Soccorre con gli elicotteri • 28. Né mie né sue • 30. È ottima affumicata • 32. Breve esempio • 33. Andata in poesia • 34. Il Ticino sulle targhe • 35. Piccolo cervide • 37. Regione mineraria tedesca • 39. Ispide • 40. Ente Turistico • 41. I confini di Roveredo • 42. Il mondo dei vip • 44. Partita a tennis • 45. Prova attitudinale • 47. Renato, noto cantante • 49. Re francese • 50. Un parente • 51. Imitare il verso della pecora.

Sezione delle Alpi Centrali • 13. Hanno il cordiglio • 18. Un’esca del pescatore • 19. Si cuoce nel paiolo • 22. Quasi unici • 27. Alcoolisti Anonimi • 29. Utilizzare • 31. Mezza rata • 33. Agnese a Madrid • 36. Passeraceo americano • 37. Consonanti in stuoia • 38. Corrono parallele • 40. Un anestetico • 43. L’alieno di Spielberg • 44. Gabbia per polli • 46. La nota più lunga • 48. Esercito Italiano.

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Verticali 1. Il film che segnò la nascita del cinema sonoro • 2. Tesa, ansiosa • 3. Abitavano l’Olimpo • 4. Demolito, smontato • 5. Lo stonato è meglio che non lo faccia • 6. La nota Pavone • 7. Tergiversare, indugiare • 8.

» a cura di Elisabetta

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 29

ariete Amori, viaggi e attrazioni fulminee. Particolarmente calde le giornate comprese tra il 4 e il 5 luglio quando la Luna attraverserà il segno. Incontri con persone più giovani per i nati nella prima decade.

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© Gilles Saussier

IL VOSTRO LASCITO È IL FUTURO DEI NOSTRI PAZIENTI MSF, rue de LauSanne 78, CP 116, 1211 Genève 21 | www.MSF.Ch | CP 12-100-2

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