№ 22 del 31 maggio 2013 · con Teleradio dal 2 all,8 giu.
la legge di dio
La chiesa di san carlo a negrentino è un meraviglioso scrigno di spiritualità e di misteri che si perdono nel tempo
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Ticinosette n. 22 31 maggio 2013
Impressum Tiratura controllata 68’049 copie
Chiusura redazionale Venerdì 24 maggio
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
4 Media POESTATE. Rivoluzioni poetiche di Gaia GriMani ............................................. 7 Arti Duilio Forte. Un designer artigiano di irina Zucca alessandrelli ........................... 8 Mundus Giornalismo. Informare è importante di Marco JeitZiner ........................... 10 Letture Sul campo di Marco alloni ...................................................................... 11 Vitae Giovanna Presti di roberto roveda ................................................................ 12 Reportage San Carlo a Negrentino di Giancarlo Fornasier; Foto di reZa Khatir........ 37 Kronos La forma del destino di carlo baGGi .......................................................... 42 Mestieri Il panettiere di Gaia GriMani .................................................................... 43 Tendenze Moda e cinema. La festa di Gatsby di Marisa GorZa .............................. 44 Astri ....................................................................................................................... 46 Giochi .................................................................................................................... 47 Agorà Difesa militare. La guerra “sostenibile”
di
Fabio Martini ................................
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
La chiesa di San Carlo, Negrentino Fotografia ©Reza Khatir
A proposito di donne e uomini Segnaliamo con piacere che domenica 2 giugno, il Circolo di cultura di Mendrisio e dintorni, in collaborazione con l’Associazione archivi riuniti delle donne Ticino (AARDT; archividonneticino.ch) propongono Noi donne di Teheran, un reading (o “lettura pubblica”) scritto e interpretato dalla giornalista, saggista e regista italo-iraniana Farian Sabahi, classe 1967 (nella foto). Lo spettacolo, a ingresso libero, avrà luogo alle ore 17 presso l’aula magna del Centro scolastico Canavée a Mendrisio. Si legge nel comunicato diffuso ai media: “Noi donne di Teheran è un racconto – in prima persona femminile – sulle origini della capitale iraniana e sulle sue contraddizioni, sui diritti delle minoranze religiose e delle donne. Donne protagoniste in vari ambiti, sport inclusi, anche se troppo spesso sono state un tassello nella propaganda di regime. Un reading animato dai versi dei grandi poeti persiani e da una buona dose di ironia, per sorridere su temi complessi e abbattere i soliti stereotipi”. Sabahi è tra l’altro docente di storia dei paesi islamici all’Università di Torino, e collabora con diverse testate ed emittenti radio (tra queste anche la nostra RSI) su questioni mediorientali e islamiche. Fra i suoi scritti ricordiamo Storia dello Yemen (2010), Storia dell’Iran 1890-2008 (2009), Un’estate a Teheran (2007) e Islam: l’identità inquieta d’Europa. Viaggio tra i musulmani d’Occidente (2006). Farian Sabahi sarà tra l’altro la protagonista di un’ampia intervista sulla condizione femminile curata dalla collaboratrice Stefania Briccola, che apparirà in una della prossime uscite del nostro settimanale.
Rispetto ai contenuti di questo numero di Ticinosette, segnaliamo l’interessante approfondimento di Carlo Baggi che, partendo come sua abitudine da brani dei testi sacri, riflette sul significato dell’origine dell’uomo (che deve la sua nascita all’ “alito di vita” divino) e sullo scontro tra correnti evoluzioniste e creazioniste che negli ultimi anni hanno mostrato nuova vitalità. “L’uomo è dunque anch’esso un’anima vivente ma, differentemente dagli altri animali, possiede un particolare collegamento spirituale; una sorta di «applicazione» che lo rende capace di percepire la divinità”, scrive l’autore. Una perfetta introduzione alle immagini che Reza Khatir presenta nel reportage dedicato a uno degli edifici storici (e bene culturale) più importanti di questo bistrattato territorio: solo chi è stato “posseduto” da un particolare collegamento spirituale che lo “rende capace” di immaginare e ricreare la divinità può averci donato quel meraviglioso manufatto che è la chiesa di Negrentino (con tutti i suoi celati segreti). Buona lettura, la Redazione
La guerra “sostenibile” Difesa. La recessione sta determinando una marcata riduzione delle spese militari da parte dei paesi occidentali. Una scelta quasi obbligata che se da un lato rischia di indebolirne la forza militare, dall’altra stimola la ricerca di soluzioni atte a mantenere un’adeguata capacità di difesa ma a costi inferiori di Fabio Martini
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Agorà 4
a crisi picchia duro e nonostante qualche timido segnale di ripresa i suoi effetti non accennano a sfumare. Nei paesi occidentali i governi appaiono fortemente impegnati a contenere e a ridurre il debito, cercando al contempo di non incidere eccessivamente sulle spese destinate al welfare a fronte di una popolazione che tende progressivamente a invecchiare. In questo quadro piuttosto fosco, i budget destinati alla difesa hanno subito una serie di tagli che nel caso di alcuni paesi sono stati particolarmente pesanti con conseguente riduzione del personale militare, dei sistemi di armamento e degli approvvigionamenti. Se a livello globale si registra nell’ultimo decennio un incremento delle spese militari per quanto concerne le nazioni emergenti (Cina, Brasile, India) i dati relativi ai paesi occidentali mostrano una evidente relazione con la congiuntura economica in atto: nel biennio 2009-2011 due terzi degli stati europei sono intervenuti significativamente sulle spese per la difesa (Germania –5%; Olanda –7%; Francia –10%). In particolare, i governi dei paesi a più elevato rischio default hanno messo in atto misure ancora più drastiche (Italia –14%, Spagna –15%) con un picco rappresentato dalla Grecia, paese che, pur avendo un fondamentale ruolo strategico nel Mediterraneo, è stato costretto a tagliare il 29% delle proprie spese militari. Anche il comparto degli stati dell’Europa orientale ha introdotto tagli che si aggirano intorno a una media del 20%, ma va precisato come il loro impegno economico su questo fronte fosse già estremamente ridotto rispetto agli aderenti al Patto Atlantico e alla Francia1. Per quanto concerne la Svizzera, dal 1988 al 2011, il rapporto spese militari in percentuale al PIL ha visto un leggero calo, dall’1,6% allo 0,8%, un dato in linea con quello di altri paesi economicamente forti come, per esempio, Svezia e Canada2. Ciò nonostante svariati continuano a essere i dubbi e gli interrogativi circa l’acquisto dei famosi Gripen. Gli Stati Uniti, pur rappresentando circa il 40% della spesa militare globale, nel biennio in esame hanno registrato un timido incremento dell’1%, impegnandosi ad attuare nei prossimi dieci anni tagli di spesa nell’ambito della difesa per complessivi 487 miliardi di dollari, una cifra che, considerata annualmente, corrispondente all’8% della spesa attuale3.
Rigore senza pace In termini concreti, queste misure determinano una minore capacità militare degli stati in esame, a partire proprio dagli Stati Uniti le cui aspirazioni sono passate dalla possibilità di sostenere due importanti conflitti contemporaneamente a quelle più modeste di sconfiggere un’aggressione su un fronte contenendo, al contempo, attraverso misure non solo militari ma anche di intelligence e dissuasione, le aspirazioni belliche di un eventuale secondo aggressore su un altro fronte. Gli USA hanno poi annunciato una drastica riduzione delle truppe americane sul suolo europeo oltre al taglio di alcuni programmi di equipaggiamento4. Per quanto concerne l’Europa, la crisi ha costretto i britannici a ridurre di quattro unità la loro flotta di superficie e Downing Street ha in programma un restringimento di circa 1/5 del personale dell’esercito. Da parte sua la Germania prevede di ridurre le forze armate da 250mila unità a 185mila. Inoltre, sempre il governo tedesco ha annunciato l’annullamento dell’ordine di una tranche di 38 aerei Eurofighter. Dati a parte, l’attuale stretta alle spese militari difensive assume un carattere particolare e in qualche modo straordinario. Non è infatti la prima volta che i budget destinati alla difesa subiscono tagli o riduzioni che spesso hanno un andamento ciclico con un periodo di circa un ventennio fra un picco e l’altro. Ma mentre i precedenti periodi di rigore sono avvenuti in seguito alla fine di conflitti importanti (la Corea, il Vietnam, la conclusione della Guerra Fredda), in questo caso ci troviamo di fronte a una austerità senza pace. La situazione in Afghanistan e in Pakistan, le recenti tensioni con la Corea del nord, la crisi siriana e quella in Mali, rivelano come questa generale ondata di tagli non sia il risultato di una fase diastolica a livello globale ma piuttosto di un rigore imposto da condizioni eccezionali. La spirale della morte Da un’analisi sui budget destinati alla difesa di trenta paesi occidentali5 emerge come la distribuzione delle spese militari sia composta sostanzialmente da tre fasce di spesa: le spese a lungo termine (3 anni o più) che includono i salari per il personale militare e il deprezzamento generale delle strutture in essere; le spese a medio termine (da 1 a 3 anni), per lo più relative al costo salariale del personale civile e amministrativo coinvolto nelle attività di difesa; le spese (...)
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Agorà 6
a breve termine (meno di 1 anno) che riguardano invece l’approvvigionamento dei carburanti, delle munizioni, delle forniture e dei pezzi di ricambio di vario genere, costi di addestramento ecc. Tendenzialmente è proprio sui costi variabili a breve termine (che rappresentano in linea di massimo un quarto della spesa complessiva) che le iniziative di rigore dei governi vanno a cadere, con riduzioni nella struttura delle forze armate e la cancellazione di programmi di equipaggiamento. Una scelta che però molti analisti tendono a considerare errata e poco funzionale al mantenimento di un buon livello di difesa, anche perché è dimostrato che al taglio del personale militare, alla riduzione degli addestramenti e della manutenzione dei mezzi non solo corrisponde una minore efficienza bellica ma anche una perdita in termini di investimenti in infrastrutture ed equipaggiamenti. A ciò si somma un altro fattore essenziale che gli analisti militari definiscono come la “spirale della morte”. Il caso classico è quello relativo alla fornitura dei cacciabombardieri e degli aerei da combattimento. Il prezzo di un F-22, per fare un esempio, comprende gli elevati costi iniziali di sviluppo e progettazione (nello specifico, il programma è costato oltre 70 miliardi di dollari). Se un paese cancella un ordine per una tranche di aerei che aveva inizialmente previsto di acquistare, in seguito magari a problemi con il proprio debito interno, avviene che il numero di unità prodotte non solo si riduce ma i costi di sviluppo vengono spalmati e ripartiti su un minore numero di aeromobili con conseguente aumento del loro costo unitario. Questa “spirale”, nel caso dell’F-22, ha portato, per esempio, a un aumento del prezzo del bombardiere, dal 1990 al 2013, da circa 140 milioni di dollari agli attuali 400, a causa di un calo del 71% nelle ordinazioni (dai 438 previsti a 180 unità). Ergo, il taglio delle strutture di forza si trasforma, a livello generale, in una perdita economica consistente.
Un approccio flessibile Un dato è certo: dopo la crisi che stiamo attraversando il mondo non sarà più lo stesso e le modalità di approccio alla gestione finanziaria ed economica degli stati dovranno essere ripensate a fondo a meno di non rischiare a breve di entrare davvero in una “spirale mortale”. Ciò sta obbligando i governi a individuare forme funzionali di riduzione delle spese militari in modo da alleggerirne il peso, a favore di voci di maggiore priorità (welfare, infrastrutture, riduzione del peso fiscale ecc), senza peraltro limitare la capacità di difesa. Gli analisti puntano in tal senso su tre particolari forme di intervento: il riallineamento strategico (che può far risparmiare fino al 50% dei costi operativi per le attrezzature coinvolte); una maggiore efficienza funzionale del sistema militare e dei suoi apparati; una consistente riduzione del personale non combattente o destinato ad attività amministrative. Una scelta indispensabile se si tiene conto del fatto che, recessione permettendo, “solo per tenere il passo con la prevista crescita globale tra oggi e il 2030, i paesi del mondo dovranno spendere circa 57.000 miliardi di dollari per realizzare strade, ponti, porti, centrali elettriche, impianti di acqua, e altre forme di infrastrutture. Una cifra che corrisponde al 60% di quanto speso a riguardo nel corso degli ultimi 18 anni, ed è superiore al valore stimato delle attuali infrastrutture”6.
note 1 sipri.org/media/pressreleases/2011/milex 2 google.ch/publidata 3 iiss.org 4 globalissues.org/article/75/world-military-spending 5 mckinsey.com 6 mckinsey.com
Rivoluzioni poetiche La rassegna luganese POESTATE, attualmente in corso, dedicata alla poesia e alla letteratura offre un programma ricco di ospiti ed eventi. Fra questi un imperdibile incontro con la poetessa italiana Patrizia Valduga di Gaia Grimani
Rispettando la tradizione, che lo vede collocato nel tarda
primavera, è partito il 30 maggio e si conclude sabato 1. giugno il Festival internazionale di poesia POESTATE 2013, prima manifestazione di questo genere in Svizzera, ideata e realizzata per la diciassettesima volta da Armida Demarta. L’evento, che ha il patrocinio della città di Lugano, si tiene nel patio del Municipio. Il tema di quest’anno è Revolution, a suggerire la portata innovativa delle manifestazioni, degli eventi, delle performance e degli ospiti che lo compongono, rendendolo uno degli avvenimenti culturali e poetici più interessanti in Svizzera, vero fiore all’occhiello della vita culturale luganese. Numerosi gli ospiti che si sono alternati nella giornata di ieri e che saranno presenti oggi, da Piergiorgio Odifreddi a Daniel Estulin, da Laura Garavaglia a Pierpaolo Capovilla, il clou del Festival sarà domani, una giornata particolarmente ricca di eventi: da un omaggio a Emily Dickinson di Maurizio Canetta, che ci offrirà letture poetiche particolarmente intriganti attraverso la voce della grande attrice Valentina Cortese a un altro omaggio, questa volta a Gabriele D’Annunzio, a cura di Salvatore Maria Fares; dall’intervento straordinario di Aldo Nove, noto narratore e poeta contemporaneo, a quello di Patrizia Valduga, una delle voci femminili più ispirate della poesia italiana attuale. La tradizione nella contemporaneità Ed è proprio sulla Valduga che ci piace indugiare – non solo per solidarietà femminile e neppure perché è stata la tenera compagna di una vita di un caro amico, il poeta Giovanni Raboni – ma perché i suoi versi nel panorama della poesia italiana hanno veramente qualcosa di speciale. Fin dalla sua prima raccolta, Medicamenta del 1982, la poetessa si è contrassegnata per la notevole fedeltà alle forme tradizionali del sonetto, del madrigale, delle terzine dantesche, delle quartine, delle sestine, delle ottave e persino dei raffinati serventesi classici a testimonianza, da un lato, di una profonda cultura e, dall’altro, di una diffidenza nei confronti delle facili mode. Ci unisce poi lo stesso disperato amore per la parola, cercata, inseguita, catturata: (“Voglio semplicemente le parole; sono il mio solo grande amore”); la parola che nella poesia diventa “ineluttabile e insostituibile”, come diceva Proust e come lei stessa ha scritto nel breve testo teorico che chiude la raccolta Quartine. La poesia per lei, come del resto per chi scrive, è ritmo, armonia, musica
e, soprattutto, “emozione pensante”, come lei stessa la definisce. Come emozione incanta e come pensiero induce alla conquista della conoscenza. La poesia è un modo per capire e interpretare la realtà, per capire e per capirci, per ordinare soprattutto le due pulsioni fondamentali della vita: eros e thanatos. Per sette anni la Valduga è rimasta in silenzio, ma l’anno scorso l’ha interrotto e in tre giorni ha scritto e poi pubblicato per Einaudi il Libro delle Laudi, in cui l’amato è presente nell’alternarsi di luci e ombre che sostanziano la vita. Il dolore della perdita si mescola all’amore, in una storia intima che diventa collettiva e che sfocia nell’interiorità, nella ricerca e nella preghiera. Incontro da non perdere sabato alle 21.15 nel patio del Municipio di Lugano.
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Un designer artigiano Da piccolo Duilio Forte sognava di fare il falegname. Oggi basta un rapido sguardo alla sua abitazione per capire che il suo talento ha superato di gran lunga i desideri che lo animavano durante l’infanzia di Irina Zucca Alessandrelli
Arti 8
Stuga, piccola casetta in legno, realizzata in occasione del workshop “Stugaproject” (Grythyttan, Svezia)
Duilio Forte (classe 1967) è molto più di un semplice falegname, è un artista, un designer, un architetto votato all’anticonformismo. Ogni suo interesse si incanala al di fuori delle mode e dei sentieri battuti. Per metà svedese e per metà italiano, si appassiona all’epica nordica, al bestiario delle leggende e ai misteriosi abitanti dei boschi. Allo stesso tempo, si appropria della cultura artistica italiana. Dopo essersi laureato in architettura al Politecnico di Milano, negli anni novanta acquista l’ampia struttura industriale di 500 metri quadri, ex tintoria Invernizzi nella zona della stazione milanese di Lambrate e, giorno dopo giorno, col suo lavoro costruisce quella che oggi è la sua casa/studio. Il legno e il ferro sono i suoi materiali espressivi. Il suo credo sta nel lavoro artigianale e i suoi assistenti imparano a creare con le mani come in una bottega rinascimentale. Nel 1994 costruisce in Svezia la sua prima sauna in legno, a forma di spirale, vincendo il primo premio al concorso
“San Carlo Borromeo” organizzato presso la Permanente di Milano (in giuria Achille Castiglioni e Giancarlo De Carlo). A questo lavoro seguono altri progetti visionari caratterizzati da forme zoomorfe, in particolare dal cavallo in legno, sorta di “marchio di fabbrica” dell’Atelier Forte. Il cavallo è mutuato dal mitologico Sleipnir, il destriero di Odino, dotato di otto zampe. Il suo nome significa “colui che scivola rapidamente” ed è in grado di viaggiare attraverso altri mondi. Per Duilio, il cavallo è simbolo di esplorazione e rappresenta il vero nodo di congiunzione tra il nord dell’Europa e la cultura mediterranea, la mitologia classica (il cavallo di Troia) e quella norrena. Forte lavora, poi, come assistente al Politecnico di Milano per i corsi di design e architettura d’interni fino alla fine degli anni novanta. Di questi anni sono le mastodontiche sculture, assi di legno assemblate come in una manciata di bastoncini del gioco Shangai/Mikado, a formare figure
di animali. Nel 2001, realizza per il Milano film festival strutture in legno da vivere per incontrarsi fuori dal Piccolo Teatro Strehler e costruisce la prima stuga, ovvero cottage, piccola casa per le vacanze. Dal 2003 Atelier Forte organizza nella foresta svedese il corso estivo StugaProject, riservato a studenti e neolaureati per costruire tra boschi e laghi svedesi una stuga diversa ogni anno. Nel frattempo disegna e realizza sedie, tavoli, scrittoi, lampade, librerie, porta candele, in cui il ferro si abbina spesso al legno a formare strutture leggere e molto resistenti. L’anima della natura Nel 2009 Duilio Forte scrive il manifesto ArkiZoic, in cui delinea i punti salienti di quello che, nel frattempo, è diventato lo stile dell’Atelier Forte. Nel manifesto si elogia la forma empatica e capace di suscitare emozioni, la forma fitomorfica e zoomorfica che si sviluppa attraverso l’analogia, la metamorfosi e il simbolo. Il concetto Arkizoic è frutto del caso e dell’imprecisione e può essere solo unico e nasce da materiali grezzi che presentano i segni della lavorazione. Con la matematica e la geometria della natura, i lavori di Duilio trasmettono un’anima, o come direbbe lui “il soffio vitale che anima il mondo”. Tra il 2008 e il 2010, Duilio Forte partecipa alla Biennale di Architettura di Venezia, con le opere Sleipnir Venexia, un cavallo di legno di quattordici metri, che galleggia in mezzo alla laguna. Negli ultimi anni l’attività dell’Atelier Forte si è divisa tra arte, architettura, design e formazione accademica, al servizio di clienti e grandi aziende come Missoni, Piazza Sempione, Fay, Mango, Milano film festival, Diesel, con allestimenti a Milano, New York e Parigi. Da quattro anni Forte insegna Tecnologie dei materiali presso la NABA, Nuova accademia di belle arti di Milano. L’ultima sua fatica si è conclusa lo scorso aprile, durante i giorni del Salone del mobile milanese presso la Fabbrica del vapore. In collaborazione con il designer Alessandro Mendini, Atelier Forte ha dichiarato guerra all’industria costruendo degli stand per lavori artigianali, a forma di accampamen-
to romano, un vero e proprio castrum con tende, lance e strumenti a favore dell’autoproduzione. Un’epica dimora Ma il suo lavoro più spettacolare e indimenticabile è di certo la sua abitazione, ex fabbrica dismessa da un ventennio, ripensata da zero dentro e fuori. Il visitatore viene accolto da uno steccato color vinaccia del recinto per attraversare un giardinetto dove svettano i cavalli sleipnir che guardano lontano (dotati di saune funzionanti). Ogni dettaglio su cui si posa l’occhio è una festa di creatività: le porte di legno ricoperte da grovigli di ferro con oblò e immensi chiavistelli di gusto medievale, le finestre a ogiva, le scale di ferro che collegano la sala proiezioni agli studioli dei piani alti, il forno a legna, la toilette in pietra grezza, il bar di ferro rosso e nero sul tetto, tra sculture di uccelli preistorici penzolanti e corna di mammuth formato gigante. Andare all’Atelier Forte fa bene al cuore e dà speranza nell’inventiva dell’uomo. Basta un’occhiata all’officina dell’ingresso per capire che si è arrivati in un luogo unico, dove un folletto potrebbe spuntare improvvisamente, così come un gigante potrebbe inchinarsi a impugnare la spada in legno lunga 16 metri appesa al soffitto, o azionare una delle macchine teatrali per gli effetti speciali e innescare una bufera. Impossibile restare indifferenti di fronte ai mobiletti bar a forma di corvo, o alla scritta in caratteri antichi “taberna” che campeggia sopra la porta della cucina. In questa casa-atelier ci si sente protagonisti di una fiaba in cui creature dei boschi dialogano con qualche pterodattilo in picchiata. Una fiaba che termina con un lieto fine, visto il naturale senso di ospitalità di Duilio che apre volentieri la sua dimora per feste e pranzi conviviali. Si può essere accolti da una sfilza di pizze fatte in casa, o dai tipici biscotti svedesi delle feste natalizie con il vino caldo, o da panini alle polpette con conserva di mirtilli. L’importante è lasciarsi conquistare dall’epica fortiana, dimenticandosi da dove si proviene, accogliendo con lo spirito e la mente tutto quello che la fantasia comune riesce solo a immaginare, ma che, per fortuna, Duilio Forte riesce a costruire.
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Informare è importante “MaLe” sono le iniziali del mio nome, Manolo L. Per fare bene il mestiere di redattore serve passione, rigore, resistenza allo stress… di Marco Jeitziner
Mundus 10
Fare il redattore è sempre meglio che lavorare. Lo diceva Barzini o Paglieri? Boh! Mi firmo “MaLe”, sono le iniziali del mio nome, Manolo L. Per fare bene questo mestiere serve passione, curiosità, rigore, resistenza allo stress. Son cose che verranno, col tempo. Ho fatto filosofia, con ottimi voti, dopo due fallimenti in altrettanti atenei. Tanto pagavano i miei. Oggi, quello che conta, è la laurea. Il vantaggio è che ho potuto frequentare nuovamente tutti i miei amici e sbronzarmi alle partite di calcio. Mio zio conosce benissimo il direttore del giornale, suo ex compagno di scuola, che è anche dello stesso partito. E poi dicono che la politica non c’entra! È un mestiere logorante, molti sniffano o alzano il gomito, ma è la mia passione, dopo il calcio e le donne facili. Al colloquio di assunzione ho mentito, ho detto che condividevo pienamente la linea editoriale, in verità è solo uno dei fogli che paga meglio sulla piazza. Gli orari non sono male. Arrivo in redazione alle nove, saluto i colleghi, parliamo di calcio per una mezzoretta, leggo la Gazzetta. Ne so sempre più di tutti. Dato che il capo redattore è spesso in ritardo, mi faccio una sigaretta nei bagni e poi posto qualche cavolata sul mio profilo di Facebook. Una mattinata perfetta Verso le dieci comincio a controllare la posta elettronica. Cancello tutti i messaggi precedenti, tanto arrivano in copia anche agli altri. Che noia, c’è una conferenza stampa tra un’ora, ma non ho voglia di andarci e fuori fa freddo. Ci andrà “pulitzer”, il collega più vecchio che sgobba di brutto. Praticamente è lui che fa il giornale. Non dice mai di no. Spesso rimane la sera fino alle otto a impaginare al mio posto le stupidaggini che scrivo. Ah, fanno cronaca anche le donne e “pulitzer” è persino più docile della nuova stagista. La tipa non ha ancora capito che, per fare carriera in fretta e senza sforzo, deve vestirsi più sexy. È un mestiere creativo e ho chiesto di potermi occupare dell’agenda. L’ultima volta ho cestinato subito un evento: quel promotore mi aveva fatto arrabbiare per un Montenegro offerto. La gente dice che è sempre colpa di noi poveri
cronisti, ma la gente non sa cosa c’è dietro. Be’, finalmente arriva il capo. Lo rispettano, è integro, ha fatto molte inchieste toste e sa tutto. Praticamente non ha una vita sua. Mi tocca la notizia di una donna investita nella notte. Roba facile, mille battute, spazi compresi. Copio il comunicato della polizia e lo inserisco identico in pagina. C’è una parola sbagliata, ma non m’importa. Lascio anche lo stesso titolo. I dispacci di agenzia sono stringati e fatti bene, inutile verificare, vanno presi come oro colato. Il corso di giornalismo a spese dell’azienda mi è servito a qualcosa e sono contento. Non è chiaro se la donna si trovasse sulle strisce o meno. Era così buio su quella strada che il mio amico, con qualche birra di troppo, semplicemente non se n’è accorto. Bam! Beccata di striscio e amen. A dire il vero nemmeno io l’ho vista, preso com’ero dal cellulare. Al capo non dico niente, darebbe il lavoro a qualcun altro e non potrei più passarci sopra una giornata intera. Sempre sul pezzo È quasi ora di pranzo. Parto prima, dico che devo spedire una certa cosa… Mi vedo con un politico locale che mi vuole offrire pranzo e caffè. È la seconda volta, ma accetto volentieri. Poi vado al bar che non ho citato nel servizio sul lavoro in nero, così mi sparo un corretto gratis. In redazione sono le due passate. Chiedo a “pulitzer” a che punto siamo, dice che siamo quasi a posto. Lui sta sempre con la cornetta incollata all’orecchio e gli appunti sotto mano, io invece sto sul terreno, dove le notizie circolano subito. Lo dico sempre al capo e mi capisce. Faccio un giro nei siti di gossip e scarico un po’ di musica. Sposto righe e parole sull’incidente, tanto per, ma più che altro aspetto che la tipa dell’altra sera si faccia viva su Facebook. Dalla capitale non si muove niente fino alle cinque e mezza, ma tanto alle cinque devo scappare all’aperitivo. Un portale lancia una notizia politica, ma non fiato. Dirò che ci sono importanti novità sull’incidente. Ho la tessera professionale e sono iscritto all’albo, ma soltanto per non pagare ai teatri e ai concerti. Cavolo, non sarei qui senza tutta questa gavetta!
Letture Sul campo di Marco Alloni
Alla Siria guardiamo oggi con orrore. Ma le rivoluzioni avvengono a passo di gatto, le loro avvisaglie sono impercettibili e all’odore della morte credono in pochi. E prevedere la guerra civile siriana non era nelle corde di nessuno dei “sudditi” di Bashar Al-Asad. Di questo ci rendiamo conto leggendo Clandestina a Damasco di Antonella Appiano. Un libro, un diario, che illustra limpidamente l’equivoco del “senno di poi”, lo stesso che rilegge oggi l’erompere della Primavera araba come la cronaca di una guerra annunciata. Niente di più fuorviante, ci insegna la Appiano. Poiché laddove gli 80mila morti di oggi raccontano una tragedia dai lineamenti omerici, la loro scaturigine non fu che sorpresa e progressiva degenerazione. Si volevano riforme, in Siria, si chiedevano salari, salute, rappresentatività, fine dello stato d’emergenza. Non rivoluzione. La rivoluzione è venuta per forza di inerzia, per l’identico scollamento fra potere e popolo che ha fatto tracimare la rivolta in Egitto, Tunisia e Libia, e consegnato all’arbitrio il
cambiamento che era delle rivendicazioni civili, del riformismo sociale. In Clandestina a Damasco questa deriva del politico, questa ineffabilità e fatalità della violenza, sono illustrate nel modo lieve e quasi involontario della testimonianza de visu, “sul campo”. L’autrice affronta la Siria spinta da amore e curiosità, non cerca sensazionalismo né la scorciatoria dell’esotismo. E, senza forzare la mano, delinea un mondo che crolla sotto lo sguardo stranito di chi lo vede precipitare. È una cronaca lineare in cui le risonanze del privato, dell’avventura personale, si accompagnano al farsi della storia, all’impasse della politica. Affiorano persone e personaggi, luoghi e minuzie del quotidiano, ufficialità e intimità. Ma soprattutto quel dato, presentato in filigrana, che è quasi un sottotesto ammonitorio: mai giudicare un paese dallo scranno delle redazioni. Un paese si pronuncia nella prossimità, è l’esperienza del suo presente. Insomma, una lezione di giornalismo.
Clandestina a Damasco di Antonella Appiano Castelvecchi editore, 2012
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Una soluzione si trova sempre
S
ono nata a Mendrisio nel 1968. Da bambina stavo spesso nella sartoria di mia mamma, a Chiasso. È lì che sono cresciuta, in mezzo alle sarte e alla gente. Mi piaceva riordinare le calze, piegare le maglie, parlare con le persone. Intanto studiavo e quando ho terminato la scuola dell’obbligo ho seguito due anni di formazione come venditrice al dettaglio. Trascorso questo periodo ho iniziato a lavorare nell’azienda di mia mamma. Non come sarta, però, come a lei sarebbe piaciuto, ma occupandomi della vendita. Dal piccolo negozio siamo passate a uno più grande e poi siamo riuscite ad aprirne un secondo, sempre a Chiasso, un’altra sartoria con tutto quello che riguarda la biancheria della casa e l’intimo: la vecchia merceria di una volta, insomma, dove trovi dal bottone alla vestaglia. Posso dire di aver dato continuità al piccolo impero di mia madre, anche se con mansioni diverse dalle sue, e penso che questo la renda orgogliosa di me. Oggi lei continua a occuparsi della sartoria, insieme a una sarta e a una signora che da tanti anni collabora con noi. Io invece mi occupo di tutta la parte burocratica: gestisco la contabilità, le comande e poi allestisco le vetrine. Cerco di far andare al meglio il negozio, con sempre nuove strategie, dai saldi alla promozione, alla specializzazione. Per esempio, sono ormai dodici anni che siamo specializzate a realizzare su misura vestiti di Carnevale che vengono noleggiati in occasione delle feste. Il cliente paga in anticipo a seconda di quanto tempo vuole tenere l’abito, e poi, terminate le feste ritorna a riportarci il costume. Per ora non c’è stato bisogno di chiedere una caparra, certo due o tre vestiti non sono più tornati, ma son cose che si mettono in conto. Nel periodo di Carnevale, quindi, il negozio si trasforma in un vero e proprio bazar e devo dire che negli anni abbiamo creato un numero davvero importante di abiti. In questo periodo di crisi e di forte concorrenza cerchiamo di offrire un prodotto di qualità, che è la nostra carta vincente. Ci sforziamo di essere il più lontano possibile dal business dei grandi magazzini che propone prodotti di massa. Oggi il mondo della sartoria è molto globalizzato sia per
quanto riguarda i tessuti, che arrivano dall’India e dalla Cina, sia per quanto concerne i sarti. Noi siamo consapevoli di non poter competere, per esempio, con i sarti cinesi, che per ora in Svizzera non sono molto diffusi, ma se ne trovano tanti oltre frontiera. Questo fenomeno ci ha sottratto lavoro, indubbiamente. Soprattutto ci ha portato via il cliente occasionale, che magari ha fretta. Ma mia mamma rimane una delle sarte più brave di Chiasso e il lavoro non le manca. Certo, aprire una sartoria e vivere solo di quello oggi non sarebbe possibile. La mia attività richiede tempo e dedizione, ma nella mia vita non esiste soltanto il negozio. Ho anche due splendidi figli di diciotto e quindici anni, che da quando avevano tre anni giocano a hockey. Quando hanno le partite io li seguo sempre, anche nelle trasferte: insieme abbiamo girato tutta la Svizzera e parte dell’Europa. Fino a pochi mesi fa condividevo la passione per i miei figli e il loro sport con mio marito, che purtroppo è mancato a causa di una brutta malattia, all’età di 44 anni. Per me è stato un colpo durissimo, ho fatto fatica a riprendermi. Non volevo più lavorare, non mi andava di fare niente. Poi anche grazie a mia mamma, che insisteva perché io riprendessi a lavorare, sono ritornata in negozio. Devo dire che il lavoro mi ha “tirata fuori” ed è diventata, insieme ai miei figli, la spinta per andare avanti. Adesso sono più tranquilla e cerco di affrontare la vita diversamente, prendendo più tempo per me e per la mia famiglia. Mi sono resa conto che prima il lavoro mi assorbiva troppo, lasciandomi poco tempo per gli affetti. Oggi cerco di andare avanti e spero che anche dopo di me il negozio possa continuare, magari in mano ai miei figli, per esempio al più piccolo che ha intrapreso un percorso formativo nella logistica e farà l’apprendistato in questo settore. Ma anche se la tradizione familiare non proseguirà mi auguro che qualcuno possa prendere in mano un’attività tramandata con tanto amore.
GIOvANNA PrESTI
Vitae 12
Ha preso in mano la piccola sartoria di sua mamma e oggi ha due negozi che ricordano le mercerie di una volta. Il lavoro, l’amore per i suoi figli e la determinazione l’hanno aiutata a superare la scomparsa del marito
testimonianza raccolta da Roberto Roveda fotografia ©Flavia Leuenberger
NegreNtiNo
La casa deLLa Legge di Giancarlo Fornasier; fotografie ŠReza Khatir
G
li edifici religiosi sono manufatti che, per il grande valore spirituale che rappresentano e raccolgono al loro interno, poco si prestano a essere raccontati “a parole”. Le immagini facilitano il compito, ma non permettono di trasmettere pienamente le sensazioni e la grande carica emotiva che solamente una visita garantisce. La chiesa oggi dedicata a San Carlo (già Sant’Ambrogio) di Negrentino, tra Prugiasco e Leontica, ne è un esempio. Come per altri edifici di epoca romanica – come non ricordare San Nicolao a Giornico o SS. Pietro e Paolo a Biasca
–, questo piccola chiesa rappresenta uno straordinario e preziosissimo gioiello incastonato sul pendio ovest della Valle di Blenio. Come ricorda Bernhard Anderes1, essa rappresenta “uno dei più significativi esempi del romanico lombardo in Svizzera” con all’interno “uno straordinario insieme di affreschi tardogotici”, una raccolta di pitture murali con pochi eguali in Ticino, che risentono delle influenze bizantine, carolingie e ottomane accompagnate da altre risalenti ai secoli XV-XVI. Non per nulla San Carlo occupa uno spazio particolare nelle pagine di Virgilio Gilardoni, indimenticato docente, storico e autore del monumentale Il romanico2.
Le due absidi: un mistero architettonico? Se sulla lettura iconografica e delle rappresentazioni pittoriche presenti nell’edificio molto si è scritto – e lasciamo quindi al lettore il piacere di apprezzare e scoprire queste straordinari racconti –, da un punto di vista squisitamente architettonico e costruttivo la chiesa di Negrentino mostra una particolarità che solo in tempi più recenti è stata approfondita3: la presenza di due absidi (e di due altari), lì dove solitamente se ne trova una sola. Il termine abside definisce quella “appendice” costruttiva posta alla fine della navata principale di una chiesa: essa
può essere di varie forme, semicircolare o poligonale, ed è coperta da una cupola. Nella chiese più grandi e con più navate (3, 5 ecc.) si possono avere più absidi di dimensioni diverse (per esempio, le absidiole presenti nelle grandi cattedrali gotiche). Oltre all’aspetto indubbiamente scenico, molte navate permettono la celebrazione di più funzioni religiose nello stesso istante, una consuetudine oggi quasi scomparsa (anche a causa della diminuzione dei fedeli e del numero delle funzioni stesse). La presenza di chiese a doppia abside non è una rarità nel nostro cantone, sia in Valle di Blenio sia in Leventina. Ce (...)
in apertura: Monofora presente in una delle pareti laterali della chiesa romanica di San Carlo (già Sant’Amborgio) a Negrentino, nel comune di Prugiasco a sinistra: La chiesa di Negrentino (XI–XII secolo) vista da sud-est. Si riconoscono le due absidi, una più grande (a destra) e una più piccola, edificata in un secondo tempo, probabilmente a partire dalla fine del XIII secolo. Il campanile posto sul lato nord (XI–XII secolo) presenta “due stemmi con la croce della Leventina, sovrastati da uno del canton Uri, al quale appunto Prugiasco apparteneva” (B. Anderes). Gli edifici religiosi a doppia abside, abside gemellare e pseudogemellare sono piuttosto diffusi nell’area prealpina lombarda di culto ambrosiano
Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. khatir.com
Esempi dell’enorme ricchezza pittorica e iconografica presente nella chiesa di Negrentino. A sinistra: l’abside “minore”, rivolta a sud-est, con la “Incoronazione della Vergine, in un’insolita composizione per cui Cristo appare seduto alla medesima altezza di Dio Padre” (B. Anderes)
lo racconta Gianni Mazzucchelli, autore alcuni anni or sono di un piccolo ma affascinate volume dedicato a questa particolare e poco approfondita tipologia costruittiva.4 Sveliamo subito il mistero: secondo Mazzucchelli – che riprende le tesi dell’architetto e ricercatrice Silvana Ghigonetto (op. cit, nota 3) – la particolare forma creata dalle due navate e dalle due absidi richiamerebbe in modo inequivocabile la forma delle Tavole della Legge che Dio consegnò a Mosè. Nel caso della chiesa di Negrentino l’edificazione della navata più piccola è posteriore all’edificazione di quella più grande (già documentata nei primi decenni del duecento), un ampliamento eseguito almeno un secolo dopo (Anderes, op. cit.). Non tutti gli edifici a doppia abside in verità presentano questa diversità: per esempio, nella chiesa dei SS. Ambrogio e Maurizio a Chironico (XII–XIII secolo), entrambe le absidi sono coeve al manufatto (restaurato pochi anni fa e anch’esso meritorio di un’attenta visita). Gli ebrei, i cristiani e i Dieci Comandamenti Se la presenza di due absidi apparentemente potrebbero ricondurre, come dicevamo, a semplici “esigenze” funzionali (più riti contemporaneamente, possibilità di avere più di un santo patrono, ma anche permettere durante le celebrazioni dei culti di dividere uomini e donne, autoctoni, viaggiatori o pellegrini), la forma a “doppia tavola” di queste chiese andrebbe da ricercare nell’esigenza di restituire ai luoghi di culto un maggiore radicamento all’Antico Testamento
e alle Leggi di Dio, e dare così “al luogo sacro la forma consona ai fondamenti religiosi vigenti nel tempo precedente al cristianesimo” (Mazzucchelli, pag. 9). Le Tavole sono infatti l’elemento fondante delle religioni cristiana ed ebraica, e gli studi della Ghigonetto evidenziano la straordinaria somiglianza con la classica rappresentazione che di esse dà l’iconografia. Oltre ad altri importanti riferimenti alla cultura ebraica, con particolare attenzione al culto e al rapporto con il mondo dei morti e a quello col divino. Rimane difficile spiegare la ragione delle diverse dimensioni che le absidi sovente presentano. Sempre secondo Mazzucchelli la risposta è semplice: “(...) i dieci comandamenti furono divisi in due categorie (...): la prima tavola descrive il rapporto dell’umano con Dio, mentre la seconda il rapporto tra gli umani”. La prima categoria è evidentemente la più importante e, come avviene a Negrentino, Cristo domina l’aula principale (trionfante e vestito di una tunica candida), qui ancora visibile nella classica rappresentazione romanica. note: 1 B. Anderes, Guida d’Arte delle Svizzera italiana, Nuove Edizioni Trelingue, 1998 e agg., pag. 72 e seg. 2 V. Gilardoni, Il romanico, Casagrande, 1967 3 Silvana Ghigonetto e André Corboz, Storia dell’architettura medievale: una tipologia riscoperta, le chiese a doppia abside (forme e funzioni), Edizioni Kiron/Edition du Félin, 2000 4 G. Mazzucchelli, Le chiese a doppia abside e le Tavole della Legge, Ass. Pietra e Storia (Dongio), 2006
La forma del destino Materia e spirito. Realtà fisica e trascendenza. Un’opposizione apparentemente inconciliabile che un passo del Vangelo gnostico di Maria pare però sciogliere con sorprendenti prospettive di lettura di Carlo Baggi
Kronos 42
Nel 1896, in Egitto, fu trovato un frammento di papiro con- evoluzioniste e creazioniste sappiamo che esse si disperdono tenente passi di un Vangelo gnostico1 detto “di Maria”2 in cui nel noto punto cieco dell’origine. Le prime sono incapaci di si narra come la madre di Cristo rivelasse a Pietro e ad Andrea spiegare scientificamente il perché dell’evento del Big Bang; di aver avuto una “visione” del figlio. Maria riferisce che, le seconde non possono dimostrare con la logica l’esistenza impressionata dall’evento, aveva chiesto al Maestro se queste di un Creatore. Tuttavia, considerando quanto sopra, una esperienze mistiche fossero viste attraverso l’anima oppure timida luce potrebbe illuminare questa impasse. Se la mente attraverso lo spirito e che il Risorto le aveva risposto: “Colui umana è in grado di elaborare, anche solo in modo astratto, che ha una visione non vede attraverso l’anima, né attraverso lo la trascendenza significa che essa si può giovare di un grado spirito, ma con la mente, che si trova tra i di “informazione” particolare, che non 3 due, è quella che vede la visione”. può essere stato generato soltanto da Questa dichiarazione, se inserita nel conun sentiero evolutivo. Questo perché testo dalla mistica ebraica e nel racconto l’evoluzione si sviluppa nel rapporto della Genesi, permette di sviluppare una con l’ambiente, producendo un’inforriflessione sulla secolare dialettica tra mazione di tipo reattivo. L’informazione creazionismo ed evoluzionismo. L’afposseduta dall’uomo deriva non solo dal fermazione del vangelo gnostico poggia mondo fisico, ma anche da una conosul principio che non ci può essere un scenza più complessa. Inoltre essa è proprocesso di pensiero senza un pensiero. attiva ed è capace di auto-fertilizzarsi in In altre parole la mente elabora non altra informazione, indipendentemente solo dati che provengono dall’ambiente dall’esistenza di successive pressioni fisico ma, tramite l’intuizione, anche da ambientali. A questo punto è seducente quel confine che separa il mondo fisico l’idea che la Genesi, riferendo di quel dalla trascendenza. Su questo punto, “soffio divino” che passa dalla bocca di tuttavia, la mistica ebraica avverte che Dio al naso dell’uomo, non voglia dirci il sublime può essere conosciuto solo altro che la materia e lo spirito non solo se esiste il desiderio di essere da quello Michelangelo Merisi detto il Caravaggio non sono separati, ma che esistono l’una conosciuti4. Ciò significa che senza quel (1571–1610), Maria Maddalena penitente, attraverso l’altro7 e che l’essere umano, desiderio (aspetto che presiede a ogni olio su tela, Galleria Dora Pamphili, Roma posto alla sommità dei regni mineratipo di creazione) nulla accade e l’unica le, vegetale e animale è proteso verso realtà sperimentabile resta solo quella fisica. Un successivo un’evoluzione spirituale. L’unico limite al processo potrebbe passaggio porta a collegare questi concetti con quanto risulta essere dato dall’uomo stesso, nel senso che questo diventa dal testo ebraico della Genesi5. Il testo, alla lettera, narran- solo quello che crede di essere. In altre parole, l’uomo podo la creazione degli animali terrestri, usa un’espressione trebbe determinare non solo la realtà esterna, che come tale particolare: “E disse Dio: faccia uscire la terra anima vivente è accolta dal progetto creativo8, ma anche il proprio destino (l’animalità)… E fece Dio l’anima vivente (l’animalità)…”. ontologico. Un sorprendente esempio di fisica quantistica! La Bibbia, quindi, lascia intuire che il fare di Dio passa attraverso quello della terra da cui sgorga l’animalità. Per quanto concerne invece la creazione dell’uomo, la Genesi note: precisa che vi concorrono sia la “polvere della terra” (afar 1 Lo gnosticismo rappresentava un cristianesimo “spirituale” in adamah) sia l’“alito di vita” (nishmat chaiim) divino6. È solo 2 cui il “credo” era subordinato alla “ricerca di Dio”. Maria Maddalena. dopo aver ricevuto questo che l’uomo diviene un’anima 3 E. Pagels, Il Vangelo segreto di Tommaso, Mondadori, 2006, p. 88. 4 vivente (nefesh chaiah). M. Laitman, Zohar, URRA, 2011, p. 165. 5
Il limite umano L’uomo è dunque anch’esso un’anima vivente ma, differentemente dagli altri animali, possiede un particolare collegamento spirituale; una sorta di “applicazione” che lo rende capace di percepire la divinità. Venendo alle teorie
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Genesi 1: 24,25. Genesi 2: 7. Dio soffia nelle narici dell’uomo. In ebraico la parola bocca (pe) è composta dalle medesime lettere della parola naso (af ), ma scritte al contrario. La specularità delle lettere rafforza l’affermazione che l’uomo era immagine del Creatore. J. Guitton e G. I. Bogdanov, Dio e la Scienza, Bompiani, 2001, p. 124. Genesi 2:19.
Il panettiere
Una professione antichissima che oggi attraversa una profonda crisi, almeno nell’occidente informatizzato. Eppure il pane è un alimento fondamentale, e farlo “bene” è assai complesso di Gaia Grimani
Quando abitavo a Milano, in casa di una zia che mi ospi-
principale alla diffusione del mestiere, perché riduce all’osso le possibilità di relazione con gli altri che, al contrario, lavorano di giorno e di notte dormono. Per i nostri figli – in generale poco inclini a questo genere di sacrifici – ciò basta a relegare la professione ben lontana dai loro sogni. A ciò si aggiungono poi i lunghi anni di formazione e il conto è presto fatto. Risultato: le panetterie diminuiscono. In Svizzera se ne sono chiuse il 41%, stroncate dalla concorrenza dei grandi magazzini dove è più comodo acquistare anche il pane con il resto della spesa, senza pensare alla qualità assai diversa di ciò che si mette in tavola. Dal momento in cui me ne sono resa conto, mi sono impegnata in ogni modo per cercare, nei luoghi che frequento abitualmente, i forni tradizionali, dove i panettieri fanno il pane quotidianamente con le loro mani, mescolando sapientemente le materie prime necessarie. Un mestiere difficile Così ho fatto delle deliziose e socialmente rilevante scoperte, ritrovando, non solo il Il panettiere era, un tempo, una gusto perduto dell’infanzia, ma figura importante e insostituibianche il rapporto con il negoIl fornaio, acquaforte, Germania, ca. 1850 le; l’alimento che egli preparava ziante che consiglia il prodotto era una presenza fondamentale su ogni tavola. Ai bambini, migliore in base a ciò che gradiamo, ci tiene da parte il pane poi, non si offrivano come spuntini le merendine – tra le per poterlo ritirare in ore a noi comode e ce lo fornisce fresco responsabili oggi di molte obesità infantili – ma pane, burro anche di domenica. e marmellata, pane e formaggio, pane e prosciutto. Oppure, ancora più sano, nel sud Italia pane e pomodoro. Mi ricordo Donne coraggiose sempre nell’infanzia il profumo acuto di pane che impre- Tra i “miei” panettieri quello che ha saputo più catturare il gnava tutta la cucina. Fra gli odori che “significavano” casa, mio cuore è purtroppo lontano da me, in un piccolo paese certamente quello era il più importante e il prevalente. della Sardegna. È una donna: si chiama Graziella e, rimasta Il mestiere del panettiere è molto antico e negli anni ha su- precocemente orfana di padre, si è data da fare, formandosi bito una radicale trasformazione, soprattutto con l’avvento per il mestiere che esercita, anche molto lontano da casa sua, di macchinari come le impastatrici automatiche e i forni a dove sapeva che avrebbe imparato al meglio. È così diventata gas computerizzati, che hanno alleggerito parecchio il peso non solo panettiera, ma anche un’abilissima pasticciera: ha della produzione. Anche i laboratori sono migliorati, contri- due negozietti minuscoli, uno accanto all’altro. Lei si occupa buendo alla scomparsa di alcune malattie professionali che di entrambi, ma in panetteria ha collocato, per la vendita, nel passato erano piuttosto diffuse, come le intossicazioni la sua mamma, coinvolgendola nel lavoro in maniera da dovute ai fumi del forno a legna e le patologie connesse agli renderle possibile uscire dal dolore acuto della vedovanza. ambienti caldo-umidi, un tempo utili alla lievitazione. Il panettiere, per gli orari e i sacrifici che sopporta non Eppure questa professione che, a detta degli esperti, non sembrerebbe un mestiere da donna e invece, proprio una conosce la crisi economica e che può riservare delle buone piccola donna mi ha insegnato che con la dedizione e opportunità finanziarie e professionali, non è ambita dai l’amore per ciò che si fa è possibile, anche in un luogo giovani, così da figurare ai primissimi posti fra quelle in isolato ed economicamente svantaggiato, offrire agli altri cerca di personale. Certamente il lavoro notturno è l’ostacolo qualcosa di speciale. tava perché potessi seguire i miei studi, il riscaldamento era quasi superfluo: al pian terreno dell’edificio, infatti, era situato il forno di un panettiere e la canna fumaria passava nella parete della camera da letto, diffondendo in tutta la casa un delizioso tepore. Il panettiere iniziava a lavorare tra le due e le quattro del mattino; era una persona alta e magra, un lombardo di poche parole, ma efficiente nel suo lavoro. Quando al mattino si usciva per andare in ufficio o a scuola e si passava di fronte alla sua panetteria, ne scaturiva una piacevole fragranza di michette, francesine, lunghini, brioches che faceva rimpiangere le colazioni affrettate di chi voleva indugiare a letto fino all’ultimo. Il suo pane era croccante all’esterno e sprigionava all’interno un profumo delicato, offrendo al palato una morbidezza seducente.
Mestieri 43
“Continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato…” In queste parole, attribuite a Jay Gatsby, Francis Scott Fitzgerald racchiude l’illusione che consuma il protagonista del suo famoso romanzo. Un antieroe straziato dall’ambizione di conquistare un’unica, insostituibile donna e il mondo che le appartiene The Great Gatsby (1925), punto di riferimento della narrativa americana moderna, icona dei Roaring Twenties, delle flappers (le maschiette dai capelli corti, scatenate nel charleston), dell’Età del Jazz e della Lost Generation, nonché di quell’America invasa dai nuovi ricchi legati al boom dei traffici illeciti, rappresenta un’opera densa di simboli e suggestioni. La disincantata denuncia dell’illusorietà di ricchezze e sciali (dalle pagine già traspare l’ombra del crollo di Wall Street) corre di pari passo con la disillusione amorosa ed esistenziale del personaggio principale, Jay Gatsby. Tuttavia il romantico, misterioso, chiacchierato Jay – anfitrione di feste sensazionali con la sua ossessione per l’irraggiungibile Daisy – ha sempre rappresentato una grossa tentazione per registi e cineasti. A oggi le realizzazioni cinematografiche traslate dal capolavoro di Fitzgerald arrivano a quattro. La prima, praticamente introvabile, è una versione muta del 1926, la seconda è quella del 1949 diretta da Elliott Nugent, con Alan Ladd e Betty Field, mentre la terza, celebre pellicola datata 1974, è quella con la regia di Jack Clayton e la sceneggiatura di Fran-
cis Ford Coppola. La pellicola poggia sul binomio formato dalla eterea bellezza di Mia Farrow e dal fascino aristocratico di Robert Redford. Ed è proprio con quest’ultima che la recentissima trasposizione del romanzo (in queste settimane nelle sale) viene inevitabilmente messa a confronto. Baz Luhrmann ne è il regista, Carrey Mulligan (nella foto) e Leonardo Di Caprio i nuovi Daisy Fay Buchanan e Jay Gatsby. POCO MISTERO Con il volto da eterno adolescente Di Caprio rimanda quindi all’eterna adolescenza di un paese e di una cultura che gioca volentieri con il lusso e la superficialità. Probabilmente ancora più indicato del raffinato Redford nell’impersonare un popolano arricchito a tutti i costi (perfino illegali?), l’attore convince, tanto da salvare un filmone che parte con accenti piuttosto roboanti. Un tripudio di sfarzo, movimenti di massa, effetti speciali ottenuti anche grazie all’uso del 3D, bizzarrie anacronistiche e kitsch, commistioni di musiche hip hop e personaggi dell’epoca (gli incontri con Gershwin e Cole Porter), lussureggianti sequenze festaiole…
Tendenze p. 44 | di Marisa Gorza
Insomma, non si è badato a spese (127 milioni di dollari contro i 6,5 milioni di dollari della versione del 1974). Di sicuro Luhrmann riesce a rendere l’idea della decadenza, dell’eccesso e delle chimere del sogno americano, parafrasandone l’inutilità con l’effimera grandeur e gli sforzi ad ascendere di status del protagonista. Ma se nel romanzo di Fitzgerald si coglie la sottile capacità di alludere, di far percepire ciò che è discutibile e che comunque resta nascosto, in questa pellicola accade l’esatto contrario. Il senso del mistero è stato cer-
i prodromi dell’imminente depressione. Anche se un po’ condizionata da una colossale messa in scena, nel complesso si tratta di una onesta e incisiva rilettura che rispecchia il cuore del romanzo.
tamente più rispettato nella versione di Clayton e ci vuole una buona mezz’ora prima che Di Caprio-Gatsby, riesca a trasmettere quel senso di profondissima solitudine e insicurezza unito alla speranza cieca e testarda che lo condurrà al tragico epilogo. E la Daisy della Mulligan? La ragazza ricca e dorata incontrata anni prima dall’ufficiale Gatsby, amata, attesa, sognata alla quale consacra la sua vita e per la quale crea dal nulla la sua fortuna, come da copione, è ambigua, viziata, irresponsabile. Di lei e dell’arrogante marito Tom Buchanan (Joel Edgerton), Nick Carraway (Tobey Maguire), narratore nel testo e nel film, dice: “… sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro e nella loro ampia sbadataggine…”. Più sensuale dell’algida Farrow, sa spalancare gli occhioni con una voluta ingenuità che svela quella fatua indifferenza verso gli altri. Un’altra scelta del regista è quella di evidenziare il paradosso estetico e sociale tra la casa dei Buchanan a Long Island, sempre avvolta in una luce incantata, e quella di Gatsby, titanico miraggio destinato a svanire. Comunque entrambe in contrasto con la stamberga dei Wilson, situata nella polverosa, invivibile periferia dell’altrove sfavillante New York. Si avverte la pulsione di una condizione di grande agiatezza che in quegli anni conviveva con la miseria e
diventa diritta e scivolata sui corpi resi efebici da digiuni feroci. Sulla scia di Zelda, anticonformista moglie di Fitzgerald, vogliono vivere nel vento così gli abiti si allungano dietro in code ariose. Proprio come l’abito chandelier in gocce di cristallo, indossato da Daisy-Carey alla sibaritica festa di Gatsby. L’eccentrica toilette, che illumina lo schermo in uno dei momenti cruciali del film, è stata disegnata da Miuccia Prada. La stilista italiana ha collaborato in sintonia con la costumista Catherine Martin per molte delle mise femminili. In quell’atmosfera da sogno, il caschetto biondo della star è impreziosito da una tiara con diamanti e perle, mentre sulla mano appare una margherita gioiello e tanti anelli in platino e diamanti da leggenda. Per non parlare di perle a go-go per bracciali e interminabili collane che adornano pure le altre attrici. Anche le camicie su misura di Jay-Leonardo sono completate da gemelli ovali in puro oro smaltato. Tutte creazioni di Tiffany&Co in un raffinato stile destinato a far tendenza. Anzi il completo di flanella bianca, il blazer a grosse righe, le scarpe bicolori alla Gatsby sono già trendy. Capi che nel film sono traslati dagli archivi di Brook Brothers. Tutti pazzi per questo nuovovecchio look a conferma che il mito di Gatsby è lontano dal tramontare.
DAISY VESTE PRADA Si può dire che il novecento – almeno per quanto riguarda la moda – nasca proprio negli anni venti, tenuto a battesimo dalle follie del jazz e del proibizionismo. Le donne si liberano da tabù ancestrali e indossano abiti più corti e succinti. La linea
Tendenze p. 45 | di Marisa Gorza
Astri 46
ariete State per risolvere una importante situazione tra il 3 e il 4 giugno. Promozioni e avanzamenti. Guadagni. Vita sociale ricca di eventi. Nuovi incontri. Nuova energia per i nati nella prima decade.
toro Novità per i nati nella prima decade. Mercurio e Venere, a partire dal 4 giugno, nel segno del Cancro. Le severità saturnine tenderanno a mitigarsi e potrete valutare con maggior serenità la vita di coppia.
gemelli Tra il 2 e il 3 giugno Venere si unisce in una unica fiamma con Giove. Colpi di fulmine. Attrazioni fisiche imperiose, irrefrenabili. Non perdete questa occasione. Nuove occasioni intorno al 7 giugno.
cancro Mercurio e Venere hanno fatto il loro ingresso nel vostro segno. È arrivato il momento di prendersi cura di se stessi. Cambiamenti e rivoluzioni per chi fosse all’interno di coppie stanche o mal assortite.
leone Condividete i vostri obiettivi. Incontro con l’amore per i nati nella terza decade tra il 2 e il 3 giugno. Eros e affinità elettive. Di diverso umore i nati nella prima decade da tempo sotto il giogo saturnino.
vergine Follie d’amore per i nati nella terza decade. Eros alle stelle. Con Giove e Venere angolari la vostra vita affettiva è segnata da una rivoluzione copernicana. Calo energetico per i nati nella prima decade.
bilancia Fidanzamenti, guadagni e promozioni. I nati nella prima decade dovranno vedersela con Mercurio e Venere: parlate meno ed evitate i pettegolezzi. Fortunati i nati nella terza decade grazie a Giove e Venere.
scorpione Si apre una nuova fase per i nati nella prima decade. A partire dal 4 giugno, grazie all’arrivo di Mercurio e Venere in Cancro, inizieranno a realizzarsi una serie di occasioni e incontri inaspettati.
sagittario Settimana iperattiva. Con Giove e Venere in opposizione, è facile sopravalutarsi. Controllate con maggior severità ogni giudizio. Non cedete di fronte ai dolci. Calo energetico per i nati in novembre.
capricorno Non abbiate paura di rischiare: grazie alla congiuntura tra Plutone, Urano, Mercurio e Venere ogni precedente schema potrà esser spazzato via. Ma se non saprete ascoltarvi possibili dinamiche autodistuttive.
acquario Momento davvero straordinario: potete chiedere anche l’impossibile. Profitti, successo e popolarità. Colpi di fulmine, matrimonio, figli. Nuova energia per i nati nella prima decade. Bene tra il 2 e il 4 giugno.
pesci Il cielo si illumina per i nati nella prima decade. Grazie ai transiti la vostra vita affettiva si consolida verso soluzioni durature. È arrivato il momento di metter su casa. Controllate lo stress e rilassatevi.
Gioca e vinci con Ticinosette
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 24
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 6 giugno e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 4 giu. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Orizzontali 1. Ruffiano, piaggiatore • 10. Segno zodiacale • 11. Topo... ginevrino • 12. Che mi appartengono • 13. Elogi, complimenti • 15. Il continente scomparso • 16. Piccolo difetto • 17. Il dio dei venti • 19. Nel centro di roma • 20. Un prelibato taglio del macellaio • 22. Locale della casa • 24. Danno un punto a scopa • 25. Il primo dispari • 28. Articolo romanesco • 29. Paillettes, perline • 33. Offesa, ferita • 34. Poco fitta • 36. Nosocomi • 39. Concorso Internazionale • 41. La nota Mazzini • 42. La sigla del Liechtenstein • 43. Il caposcuola dell’Ermetismo • 46. Il nome della Zoppelli • 47. Né miei, né suoi • 49. L’ama Zivago • 51. Cifra imprecisata • 52. Chiude la preghiera • 53. Saluto a Cesare. Verticali 1. Noto film del 1992 di Curtis Hanson con Annabella Sciorra • 2. Infiammazione cutanea • 3. Si empie di stelle • 4. Mezza cena • 5. Università (pl.) • 6. Pignatta • 7. Lo storico di Alicarnasso • 8. Davano il braccio ai cavalieri • 9. Andati in poesia • 14. La patria di Neruda • 18. Città grigionese • 20. Spettro • 21. Il numero perfetto • 23. Pochi possono permetterselo • 26. La fine di Belfagor • 27. Inadeguato - 30. Unione Europea • 31. Il nome della Papas • 32. Monte greco • 35. Il carrettiere della “Cavalleria rusticana” • 37. Orrendo rogo • 38. Articolo maschile • 40. Delfino di fiume • 44. Competizione • 45. La indossa il meccanico • 48. Profonde, intime • 50. Le iniziali della Magnani • 51. Consonanti in tuono.
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La soluzione del Concorso apparso il 17 maggio è: PEDALARE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta sono stati sorteggiati: Renato Gualdani 6834 Morbio Inferiore Patricia Ascheri 6614 Brissago Complimenti ai vincitori!
Premio in palio: una multi carta giornaliera “Arcobaleno” Arcobaleno mette in palio una multi carta giornaliera di 2a classe (per tutte le zone, del valore di CHF 260.–) a un lettore di Ticinosette che comunicherà correttamente la soluzione del Concorso.
La multi carta giornaliera permette di compiere più viaggi all’interno delle zone acquistate, con la possibilità di interrompere e riprendere il proprio viaggio in ogni momento, entro la validità data. Con la multi carta giornaliera si hanno a disposizione 6 carte giornaliere al prezzo di 5. La multi carta giornaliera è emessa con una durata di validità di 3 anni.
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