Ticino7

№ 18 del 2 maggio 2014 · con Teleradio dal 4 al 10 mag.

Fuori le mura

il Castello di mesocco è tra i maggiori complessi fortificati della Svizzera. un luogo affascinante e ricco di storia

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Ticinosette n. 18 del 2 maggio 2014

Impressum Tiratura controllata 66’475 copie

Chiusura redazionale Venerdì 25 aprile

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

Il castello di Mesocco Fotografia ©Giuliano Vananti

4 Arti Mostre. Piero Manzoni DI ALESSANDRO TABACCHI.................................................... 8 Letture Il Generale Guisan e il popolo svizzero DI EUGENIO KLUESER ............................ 9 Società Dacia. Anima russa DI FABIANA TESTORI ......................................................... 10 Viaggi Crociere e benessere. In mezzo al mar DI MARISA GORZA .............................. 11 Vitae Carlotta Zarattini DI NICOLETTA BARAZZONI........................................................ 12 Reportage Il Castello di Mesocco A CURA DELLA REDAZIONE; FOTO DI GIULIANO VANANTI... 37 Luoghi Sale d’attesa. Aspetta e spera DI MARCO JEITZINER; FOTO DI FLAVIA LEUNEBERGER ... 42 Tendenze Arredo. Sedersi è eco! DI MARISA GORZA ................................................. 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Europa. La solitudine turca

DI

ROBERTO ROVEDA ................................................

Meglio dal vivo Fra circa due settimane, il 18 maggio 2014, parte al sistema della riproducibilità digitale si festeggia in tutto il mondo la Giornata (e della rapina) che ha investito altre forme internazionale dei musei, un evento a cui espressive (dalla letteratura alla musica, alla parteciperà anche l’Associazione dei musei fotografia) con pesanti ricadute non solo sul svizzeri (ASM) con iniziative su tutto il ter- piano della qualità ma anche della capacità ritorio nazionale. Del resto, i musei sono degli artisti di mantenersi grazie al loro lacambiati profondamente: da asettici templi voro e ai diritti ad esso connessi. della conservazione culturale si sono tra- C’è da augurarsi che da iniziative come quella sformati in luoghi di intrattenimento e in del 18 maggio nascano idee nuove per coinspazi di confronto e dibattito, vere e proprie volgere anche quei settori della produzione arene culturali a cui un crescente numero culturale e artistica che più drammaticadi persone aspira ad accedere. E sono i dati mente sono stati investiti dalla digitaliza parlare: il più illustre museo al mondo, il zazione e dall’utopia della “copia ideale”.

Louvre, alla faccia della crisi, nel corso del Buona lettura, Fabio Martini 2012 ha registrato un incremento di un milione di visitatori; nel 2013 i musei cinesi sono stati visitati da cinquecento milioni di persone; nei soli Stati Uniti l’American Alliance of Museums ha stimato che nel 2012 sono stati 850 milioni i visitatori delle istituzioni museali statunitensi, un numero superiore alla partecipazione del pubblico agli eventi sportivi.

Al di là di ogni considerazione di carattere economico o sociologico (il livello di scolarità, l’ampliamento delle classi medie nei paesi emergenti, la trasmissione delle conoscenze attraverso la rete e la maggiore mobilità) vi è un aspetto che preme sottolineare, anche in relazione a quanto I piccoli ovetti colorati celati nelle pagine scritto nell’editoriale del n. 16 di del nostro settimanale erano 11 11!!

Ticinosette: il museo offre la posTra coloro che hanno comunicato il numero sibilità di un confronto diretto corretto è stato estratto il nome della signora con gli originali e gli artisti che li Ewa Rossi (Biasca) che riceve hanno realizzati. Le arti plastiche e dunque 250.- CHF in contanti. contanti. le arti visive (a eccezione della fotoComplimenti! grafia) hanno infatti avuto la fortuna, per la loro intrinseca natura, di sfuggire in

Concorso

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Quante uova di Pasqua erano nascoste tra le pagine di Ticinosette del 18 aprile?

La solitudine turca Europa. Negli ultimi mesi i media internazionali hanno puntato i riflettori sulle difficoltà interne della Turchia e sulle proteste contro la politica autoritaria del premier Erdoğan, parlando apertamente di un paese in crisi di identità, nonostante la recente crescita economica. Una crisi che si riflette negativamente soprattutto sulle relazioni esterne del paese e sul suo ruolo internazionale

di Roberto Roveda

Il

Agorà 4

De Profundis è stato cantato con troppo anticipo dai media occidentali. Il “sultano” Recep Tayyip Erdoğan, leader della Turchia da oltre dieci anni, è ancora in sella nonostante gli scandali a “luci rosse” degli ultimi tempi, le accuse di corruzione e la durissima repressione delle proteste di piazza Taksim a Istanbul.

Troppi commentatori e analisti hanno, infatti, giudicato il premier turco basandosi su criteri occidentali, enfatizzando le conseguenze negative che i suoi metodi autoritari e a tratti dispotici avrebbero avuto sull’elettorato alla prima occasione elettorale. Viceversa, le lezioni amministrative svoltesi a fine marzo hanno sì visto un calo dei consensi dell’AKP (Partito per la giustizia e lo sviluppo), il gruppo politico di stampo islamico conservatore guidato da Erdoğan, ma hanno di fatto rinnovato la sua leadership.

Verso il “sultanato”?

La vittoria nelle elezioni ha ridato fiato alle ambizioni del leader dell’AKP che ha mostrato, nelle prime dichiarazioni dopo i risultati, di voler continuare a essere l’uomo forte della Turchia e di voler puntare alla presidenza della repubblica – le elezioni presidenziali sono previste per l’agosto di quest’anno – non prima però di aver messo mano alla costituzione per dare maggiori poteri al capo dello stato.

Erdoğan, che secondo le norme vigenti dopo ben tre mandati come premier non ha più la possibilità di candidarsi alle elezioni politiche previste per il 2015, avrebbe così la possibilità di continuare a guidare il suo paese come ha fatto da un decennio a questa parte.

Una guida quella del “sultano” che ha impresso molti cambiamenti alla Turchia. All’interno, ha posto al centro della scena l’elemento conservatore e islamico del popolo turco e ha relegato in posizione minoritaria le due istituzioni che più hanno condizionato la vita del paese da quasi un secolo: l’esercito e la magistratura, eredi del kemalismo1. All’esterno, ha puntato a restituire al suo paese un ruolo economico e politico di primo piano, mirando a dare vita a una potenza regionale capace di influenzare pesantemente gli equilibri

geopolitici dello scacchiere mediterraneo e medio-orientale.

A sostenere i sogni di egemonia di Erdoğan alcuni dati incontrovertibili: l’economia turca per anni è cresciuta a livelli vertiginosi, pari a quelli di stati come India e Cina, e questo ha consentito alla Turchia di entrare nel G20 e di puntare entro breve tempo a essere uno dei dieci paesi più industrializzati del mondo. La Turchia è poi un paese popoloso, circa 80 milioni di abitanti e, soprattutto, con molti giovani, un punto di forza che lo contraddistingue da tutti i paesi occidentali. Ha poi un esercito molto potente, il terzo della NATo dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

I limiti della politica di Erdoğan Tutti elementi che fanno pensare che Erdoğan, superate le difficoltà e gli scandali dell’ultimo anno, possa costruire la Turchia del III millennio: una potenza regionale meno laica e democratica, più conservatrice e islamica. Una lettura questa che non trova d’accordo uno dei maggiori esperti della realtà turca, Marco Ansaldo, inviato del quotidiano italiano La Repubblica e autore del libro Chi ha perso la Turchia (Einaudi, 2011): A mio parere, gli atteggiamenti e i toni autoritari sono comunque serviti a Erdoğan per non perdere il suo elettorato nel momento in cui gli scandali e le accuse di corruzione potevano mettere a serio rischio la sua leadership e la tenuta alle urne. Sul breve termine il premier turco ha vinto. E ha vinto anche perché l’opposizione è debole e manca di un leader che abbia il fiuto e l’innegabile carisma e capacità politica di Erdoğan. Allo stesso tempo, però, il premier sta perdendo, anzi ha già perso, a livello internazionale. La Turchia da sola non può andare da nessuna parte, la sua vocazione – storicamente – è di interscambio fruttuoso con l’esterno. Mentre invece, adesso, il leader conservatore islamico ha perso la sua credibilità internazionale: litiga con un alleato storico come Israele, non convince gli Stati Uniti, delude l’Europa, e non piace più nemmeno a molte capitali arabe. La sua partita, adesso, è tutta interna, Erdoğan ha perso lo smalto che aveva all’inizio del duemila e non ha saputo mantenere le promesse, soprattutto a livello internazionale. (...)

Nuova ricet ta

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Istanbul (©Ben Morlok/wikipedia.com)

Eppure il leader turco ha puntato molto sul ruolo internazionale della Turchia. Che cosa non è andato per il verso giusto?

Personalmente vedo grande confusione nella politica estera turca. Da un lato oggi la Turchia non sa più se vuole essere parte dell’Europa. Nello stesso tempo se l’obiettivo era quello di diventare una grande potenza regionale ed essere un punto di riferimento per il mondo arabo del Mediterraneo, questo obiettivo è fallito. A Erdoğan hanno guardato in molti con fiducia nelle piazze di Tripoli e Tunisi durante la Primavera araba, però la durissima repressione delle proteste di piazza Taksim ha fatto perdere credibilità al leader turco. Oggi Erdoğan è visto come un politico che usa mezzi autoritari per fermare avversari che invece agiscono democraticamente. Inoltre, è fallita miseramente anche la politica del ministro degli esteri di Ankara, Ahmet Davutoğlu, uno fedelissimi del premier, e oggi la Turchia è più isolata rispetto a qualche anno fa.

Agorà 6

Davutoğlu, che è stato forse frettolosamente definito il Kissinger turco per la presunta capacità di tessere relazioni, mirava a una Turchia con buoni rapporti con i paesi vicini…

Nei fatti, oggi la Turchia ha problemi con tutti gli stati confinanti, dalla Grecia alla Bulgaria, per non parlare dell’Armenia, dell’Iran, dell’Iraq, della Siria e anche a sud con Cipro. Erdoğan ha poi sostenuto la causa palestinese e quindi i rapporti con Israele e di conseguenza con gli Stati Uniti si sono raffreddati. Ha tentato l’operazione di entrare nell’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione che riunisce Russia, Cina, India e tutti i paesi turcofoni, ma Putin è stato molto freddo. Così, oggi, la Turchia rimane con il cerino acceso in mano senza sapere in che direzione andare.

Il “gelo” con l’Unione Europea Soprattutto la Turchia, forse nell’euforia di ritagliarsi un ruolo più dinamico e indipendente a cavallo tra occidente e oriente, ha interrotto quello che sembrava un percorso inesorabile: l’avvicinamento all’Europa e l’ingresso nell’Unione Europea. Un cammino antico, che ha visto la Turchia guardare per decenni a occidente e assorbire valori tipicamente occidentali come la laicità dello stato. Un percorso che ha portato all’ingresso del paese nella Nato nel 1952 e ad aprire trattative per entrare nell’UE nel 2005.

Oggi questo cammino europeista appare bloccato, il perché lo chiediamo sempre a Marco Ansaldo: Vi sono prima di tutto delle responsabilità europee. La candidatura turca è stata sempre guardata con sospetto in Europa, a partire da ragioni doverose perché in Turchia esiste su alcuni fronti – opinione pubblica, controllo dei mezzi di informazione

– un deficit di democrazia. Vi sono poi interessi particolari di alcune nazioni europee che si oppongono alla Turchia, prime fra tutte Francia e Germania, anche perché grazie al sistema del voto ponderato in vigore nell’UE, viene attribuito un valore diverso a ciascuno stato a seconda del numero dei suoi abitanti.

Grazie a questo sistema la Turchia avrebbe un peso enorme all’interno dell’Unione. In più anche paesi più piccoli, come Austria, Olanda, Belgio, sono contrari, più che altro per motivi storici. Certamente, però, i fatti degli ultimi tempi – lo stop ai social forum, la repressione delle proteste, gli atteggiamenti di Erdoğan – hanno accentuato le prese di distanza dell’Europa nei confronti del paese. Contemporaneamente – ed è l’elemento di maggiore novità – negli ultimi anni è cambiato anche l’atteggiamento turco nei confronti dell’Unione Europea. Per decenni, infatti, l’obiettivo di entrare in Europa è stato al primo posto della politica estera turca. Oggi in Turchia si è persa la fiducia che questo possa accadere, non è più una priorità. Da qui l’impasse di questo periodo e un ulteriore segnale della confusione che regna ad Ankara, perché una Turchia “solitaria” non serve a nessuno, prima di tutto alla Turchia stessa.

Una Turchia “isolazionista” potrebbe favorire un rafforzamento del nazionalismo e un maggiore peso della componente islamica?

Il nazionalismo si sta rafforzando e non è certo un caso che siano presenti in parlamento partiti di destra o estrema destra che raccolgono molti consensi. Anche se bisogna dire che in Turchia esiste un forte patriottismo sano, non esasperato, che si alimenta nel senso dello stato e nell’orgoglio nazionale. Non credo invece a una deriva islamista o peggio fondamentalista.

La Turchia ha una solidissima componente laica, oggi magari non più rappresentata come un tempo dai militari che sono sempre stati i guardiani della laicità. Ma rimane forte.

Una Turchia lontana dall’Europa però è una sconfitta per tutti, l’ennesima miopia dell’Unione Europea a mio parere…

Concordo. La Turchia è da sempre un alleato fedelissimo dell’occidente e rinunciarvi è insensato. È giusto pretendere garanzie sui diritti umani, ma si stratta di un grande paese, importante. È un paese che potrebbe dare all’Europa quella profondità strategica che invece a questo continente manca.

note 1 Ideologia che si ispira a Mustafa Kemal Atatürk, fondatore della Turchia moderna nel 1923, e che si basa su sei principi: repubblicanesimo, nazionalismo, populismo, statalismo, laicismo, rivoluzionarismo.

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Piero Manzoni

Palazzo Reale a Milano celebra con una sontuosa retrospettiva, a cinquant’anni (più uno) dalla sua scomparsa, uno dei più discussi artisti del secondo novecento italiano di Alessandro Tabacchi

Arti 8

La mostra dedicata a Piero Manzoni (1933–1963) in corso gli stessi anni (con gigantesca forza magica ed evocatrice) a Palazzo Reale a Milano (sino al 2 giugno prossimo) rap- da Yves Klein. Fra gli Achromes, alcune tele stropicciate e presenta una buona occasione per verificare una volta di fissate con colla e caolino (realizzate fra il 1957 e il 1960), più, se mai ce ne fosse bisogno, quanto sia intrisa di luoghi dal sapore arcaico e materico, possiedono ancor oggi un comuni la nostra percezione di buona parte dell’arte del effettivo, possente, valore estetico, e forse in una prospetnovecento. A oltre quarant’anni dalla morte del concetto tiva storica verranno considerati i veri capolavori di questo di avanguardia come motore della cultura figurativa occi- artista, una volta che verrà lavato via dalla sua produzione dentale, ci scopriamo ancora bisognosi dei luoghi comuni lo smalto consunto della provocazione. per classificare e inglobare nel nostro Fu vero peccato che Manzoni, cerorizzonte opere che, per la loro vello critico di prim’ordine e brillanstessa natura, sono inclassificabili. tissimo promotore culturale, abbia E così diventa necessario ridurre preferito spingere l’acceleratore sulla Lucio Fontana ai “tagli” e ai “bustrada della provocazione nei pochi chi”, o Alberto Burri agli “stracci” anni che gli restavano da vivere: le per rendere questi artisti, altrimenti sue “linee” o le sue sculture d’aria, ostici e bisognosi di un’esegesi imle uova siglate con tanto d’impronta pegnativa, meri prodotti, impacchetdigitale, o gli spettatori delle mostre tati in formato outlet per renderli firmati dall’artista e trasformati in usufruibili al grande pubblico. Opere sculture viventi, per non parlare che furono concepite per violentare della merda d’artista di universale i clichés e per stordire le coscienze fama, non fecero altro che riprendei visitatori o la malafede dei critici, dere, alquanto pedissequamente, il oggi vengono elevate allo stato di cammino che era stato dei dadaisti, icone storiche. un sentiero già abbandonato negli Una mostra, i cui manifesti invitano anni venti in favore del surrealismo, il pubblico a consumare la Merda o del silenzio. d’artista manzoniana nelle giornate in cui sarà servita a Palazzo Reale, Un simpatico ciarpame Piero Manzoni all’opera mentre firma una delle sue Sculture viventi (news-art.it) s’iscrive di buon diritto nel mondo La domanda che in retrospettiva dodel cliché venduto per cultura. L’idea vremmo porgerci è: che scopo aveva stessa di una grande mostra celebrativa a Palazzo Reale negli anni della Lambretta e della Dolce Vita creare sculture avrebbe fatto sorridere Manzoni, un personaggio che si d’aria o impacchettare metri di linee tracciate su carta, dopo presta assai alla caricatura spacciata per esegesi. che Marcel Duchamp già negli anni dieci aveva ideato le tenere e assurde ampolline di “aria di Parigi”, e creato gli Il peso della provocazione stoppages étalon, i suoi strumenti per tracciare linee predeDi per sé, la brevissima carriera artistica di Piero Manzoni terminate, esposti come opere d’arte in potenza? Il già detto (terminata a causa di un infarto nel 1963) fu relativamente non dovrebbe trovare spazio nell’avanguardia. lineare. Manzoni passò dalla figurazione post cubista agli Certo l’Italia di quegli anni era troppo distratta, bulimica esperimenti informali-concreti con un percorso analogo a di novità e assieme provinciale e bacchettona per non quello di molti altri artisti, ripercorrendo tappe che erano scandalizzarsi e non gridare all’evento; ma oggi, col venir allora battute, o erano state già percorse un lustro o anche meno dell’esplosiva personalità dell’artista in carne e ossa dieci anni prima, da molti (cito per esempio Crippa, Dova, che le propagandava, molte opere di Manzoni appaiono Baj, Bacci, pressoché tutta la generazione che intorno al come un salutare e simpatico ciarpame a metà fra il mo1950 si scoprì spazialista e vide in Fontana un vero nume dernariato e la goliardia. tutelare). Con gli Achromes, opere a metà strada fra la pit- Comunque, state tranquilli: se eviterete di porvi troppe dotura e la scultura, caratterizzate dall’assenza di qualsiasi mande, l’evento sarà assicurato anche questa volta. Fortuna colore e dalla nudità della materia, Manzoni si affiancò che dopo una bella indigestione di “merda d’artista” ci si alle ricerche monocromatiche condotte in Francia in que- può sempre pulire il palato con un ottimo sushi.

Gusto equilibrato

Letture di Eugenio Klueser

Il Generale Guisan e il popolo svizzero Jean-Jacques Langendorf e Pierre Streit Armando Dadò editore, 2012

Henri Guisan è stato il principale protagonista della storia svizzera durante la seconda guerra mondiale. Da comandante in capo dell’esercito, ha rappresentato nell’immaginario popolare la volontà del popolo elvetico di resistere a qualsiasi aggressione esterna. È stato un simbolo a lungo mitizzato fino a che, in tempi più recenti, la sua figura è stata al centro di un vero accanimento revisionista, fatto di critiche spesso feroci, soprattutto per la scelta di Guisan di mantenere aperti alcuni canali di comunicazione con la Germania nazista durante la guerra.

Jean-Jacques Langendorf e Pierre Streit, entrambi esperti di storia militare svizzera, provano nel loro Il Generale Guisan e il popolo svizzero a fare un poco di ordine attorno alla figura di questo protagonista della storia recente, rinunciando sia alla agiografia smaccata sia al revisionismo ideologizzato. I due autori, infatti, non tacciono delle scelte a volte discutibili del Generale, ma le inseriscono correttamente nel contesto dei tempi terribili e complessi in cui queste decisioni vennero prese. Soprattutto, ci ricordano l’importanza capitale dell’azione di Guisan nel fondamentale biennio 1940/’41, quando la vittoria tedesca e la supremazia nazista in Europa sembravano ormai un dato di fatto.

In queste temperie il Generale seppe incarnare la volontà di resistere e di combattere fino alla fine, se necessario, per difendere l’indipendenza elvetica. Mentre il potere politico in quel momento cruciale tentennava, Guisan agì e puntò sul Ridotto alpino, un sistema di fortificazioni che era allo stesso tempo uno strumento strategico e ideologico. E così raccolse intorno a sé il favore dell’intero popolo confederato. Per queste ragioni, Langendorf e Streit accomunano Guisan ad altri protagonisti dell’epoca: Churchill, De Gaulle, MacArthur, Mannerheim.

Uomini che, pur commettendo errori, seppero tenere uniti i rispettivi popoli e contribuirono in maniera decisiva alla vittoria della democrazia sul totalitarismo nazista.

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Anima russa

La versione russa della casa di campagna, “la dacia”, è certamente una variazione interessante e curiosa della dimora fuori città. Per ritornare alla terra e riaffermare la propria identità di Fabiana Testori

Società 10

Le prime dacie – il nome deriva dalla lingua russa medievale dacha e significa “regalo donato pubblicamente” – risalgono ai tempi dello zar Pietro il Grande (1672–1725), il quale decise di “donare” casette estive, immerse nella natura, ai propri vassalli più zelanti. Nel corso della storia imperiale, di pari passo con le conquiste territoriali, la rivoluzione industriale e l’aumento del traffico nelle grandi città, queste proprietà divennero sede privilegiata per incontri culturali, balli e mostre dell’aristocrazia del paese.

Alla fine del XIX secolo la dacia rappresentava lo svago estivo più in voga fra le classi agiate e i suoi locatari, i cosiddetti dachinki, lo stereotipo dell’uomo pigro o, in alternativa, venerato in quanto portavoce di cultura, nella letteratura russa dell’epoca.

casa (25 m² di superficie abitabile) sul terreno (600 m² in tutto) appartenente allo stato. Il vero boom delle dacie si è però realizzato con la caduta dell’Unione sovietica e la fine del regime. Alla fine degli anni ottanta e all’inizio degli anni novanta, ogni russo ha finalmente potuto cimentarsi nella costruzione della propria casetta in campagna senza limiti di sorta, colmando quella voglia smodata di fuga, di contatto quasi viscerale con la natura. Si stima che la Russia sia oggi la nazione con il maggior numero di seconde case.

C’è chi parla addirittura di “daciamania” per identificare la bramosia di scappare in dacia durante i fine settimane o addirittura per tutta la stagione estiva, la dachnii seson, stagione della dacia. Celebri sono pure le gosdacie (da gasudarstvennaia dacha, dacia di stato), confortevoli e maestose, concesse ai membri del governo e agli alti Fotogramma tratto dal cortometraggio quadri dell’esercito dall’ammiVecchia dacia del 2005 di Nastia Tarasova (miradox.ru) nistrazione presidenziale.

Verso la campagna Lo statuto cambiò dopo la rivoluzione del 1917, ma non l’amore infinito espresso dai russi per i “cottage” fuori città. Nazionalizzate, la maggioranza fu trasformata in case di villeggiatura per i lavoratori sovietici (doma otdixa), le più belle invece accordate alla nomenclatura oppure a personaggi eminenti delle élite scientifiche e culturali. La dacia rimase un tema “caldo” anche nell’era dell’abolizione della proprietà privata: come controllare la loro costruzione? A chi distribuirle? Lasciare le più piccole a singole famiglie come assicurazione contro la carestia?

Ormai icona culturale di un intero popolo, la dacia si inserì di fatto nelle agende politiche comunali, regionali e nazionali. Alexei Pankin, giornalista e analista politico russo ha addirittura teorizzato la storia delle casette di campagna nel suo paese, asserendo che ogni shock politico in Russia è sempre preceduto da una lotta per il controllo delle dacie. Alla fine della seconda guerra mondiale, la costruzione (moderata) delle dacie fu permessa, anche in concomitanza delle disfunzioni dell’economia pianificata dei programmi agricoli, consentendo alla popolazione di coltivare frutti e ortaggi per il proprio consumo personale. È invece del 1958, quindi dopo la morte di Stalin, la costituzione della Cooperativa per la costruzione di dacie, la quale accordava al singolo la possibilità di costruire una piccola

La forza della tradizione Il concetto della dacia russa si distanzia dagli châlet e dai rustici delle nostre Alpi e anche dai cottage inglesi, nonostante venga anch’essa descritta come “casa di campagna”.

La dacia nella sua essenza più primitiva e rigorosa è spesso sprovvista di riscaldamento, di elettricità, di acqua calda e di un bagno che possa definirsi tale. La costruzione è sommaria, lo spiffero è d’ordinanza e l’assemblaggio di materiali certamente fantasioso, senza contare un arredamento decisamente spartano, ad attestare il comprovato motto che in ogni russo risiede un contadino. È proprio l’attaccamento alla terra e la ricreazione della comunità che spinge gran parte della popolazione nei fine settimana estivi a compiere ore di auto, treno o bus su strade sterrate per raggiungere quella “casa via da casa” in cui ritornare alla natura, fra tè, vodka, barbecue (il shahlik per i russi) e la preparazione delle conserve. Nemmeno la Russia di oggi, consumista e avida di possesso, proprietaria di gigantesche e lussuosissime case di campagna, dimentica la bellezza dell’ “andare in dacia” o dell’ “andare ai campi”, anzi ne ripropone l’immagine secondo i nuovi canoni di una nazione ormai capitalista, ma dall’animo fondamentalmente e profondamente tradizionalista.

In mezzo al mar Estate alle porte? È tempo di rimettersi in piena forma, magari abbinando la magia della crociera, i benefici del mare e i piaceri della cura del proprio corpo

VISITA LA CROAZIA. CONDIVIDI LA CROAZIA.

Alzi la mano chi in vista dell’estate

non si è mai sottoposto al tormentone della dieta, o alla snervante disciplina della palestra, sostituita, a volte, dal jogging-fai da te o a quant’altro lusinghi il mito della forma perfetta.

Cioè quello dell’equazione benessere = bellessere e viceversa, imprescindibile in questi tempi di immagine e di snellezza a tutti i costi!

Ma che cosa succede se muscoli ed epidermide non rispondono alle aspettative e non hanno ancora raggiunto il tonico assetto da battaglia che ci eravamo prefissati? Se malgrado qualche sacrificio l’agognata fitness non fosse stata raggiunta in pieno, bisogna rassegnarsi e convenire con moralisti e benpensanti che ciò che conta è la bellezza interiore (ma chi la vede mai… diciamocelo)?

Rinunciare al corpo a corpo con la “prova costume” e alla villeggiatura al mare, pur di non mettere in bella vista qualche piccola magagna? Macché, niente di tutto questo. A quanto pare ci sono vacanze ad hoc che promettono e mantengono remise en forme e wellness sia del fisico che dello spirito.

Per esempio, diverse compagnie di navigazione propongono crociere con programmi all’insegna di benessere, relax e speciale comfort, senza escludere la brillante vita sociale che comporta questo tipo di navigazione, nonché le interessanti mete e scali pianificati. Un’occasione concreta per staccare la spina dalla routine quotidiana tramite alcuni giorni di diporto in mezzo al mare, galleggiando, in tutta sicurezza, sopra onde e marosi. Con tutti i noti benefici dell’aria salmastra e della brezza marina, più l’eccitante animazione a bordo di una bella nave. Ovvero di un organizzato ed efficiente Grand Hotel itinerante... corredato di Beauty Farm.

Relax, forma fisica e tanto mare!

Un esempio: la promessa di una delle maggiori compagnie di navigazione, la Costa Crociere, è quella di unire tutto il piacere della vacanza marinara a quello del wellness assoluto.

Specialmente sulle navi di ultima generazione sono presenti moderni e preziosi “centri benessere” con una gamma di servizi allineati a quelli delle più affermate SPA internazionali.

La cura del corpo e della mente sono la priorità di una crociera con il programma “Samsara”. Non è casuale che questa parola della mitologia indiana sia legata all’incessante processo cosmico in cui tutte le cose sono immerse e che quindi assicuri un viaggio tra profumi ed emozioni orientali. Si comincia con il “Rituale di benvenuto” appena imbarcati, per scegliere poi un percorso, da snodare giorno dopo giorno, che passa dalla talassoterapia al bagno turco in modo da giungere totalmente rilassati al così detto “Tempio della pace”. Un tragitto attraverso le proprietà benefiche del calore e dell’acqua. Alla fine del trattamento termale un tè alla giapponese con vista mare, rappresenta un altro momento rivitalizzante.

Il segreto della forma è pur sempre l’esercizio. I percorsi a tutto sport nell’area fitness “Samsara” offrono una serie di esercizi per il potenziamento e la tonificazione muscolare, mentre i corsi di yoga, pilates e kinesis mirano a raggiungere il miglior benessere psicofisico possibile. Poi mani sapienti, arti antiche e scienza moderna provvedono alla rigenerazione della persona con massaggi terapeutici.

La felicità totale è però raggiunta assaporando prelibatezze e piatti gustosi, ma leggeri e assolutamente nel piano dietetico. L’assioma “Mens sana (et laeta) in corpore sano” era ben noto ai saggi latini, non è vero?

PHOTO BY IVO PERVAN

di Marisa Gorza

#LoveCroatia #Brela @Laura@Arnold @Jan@Irma

Ente Nazionale Croato per il Turismo

Seestr. 160, 8002 Zürich Tel. 043-336 20 30 Fax 043-336 20 39 info@visitkroatien.ch www.croazia.hr

Q

Vitae 12

uando mi chiedono che cosa faccio avverto in alcune persone il bisogno di mettere gli altri dentro a una scatola. Finora mi sono espressa con la fotografia, ma la cosa è molto più complessa, perché la fotografia può scavare dietro l’immagine, mettendosi alla ricerca dell’infinito.

Ho vissuto in Veneto, poi mi sono trasferita con i miei a Lugano. Quando inizio a sentirmi ingabbiata, mi trovo anch’io a darmi un’identità che sento limitante e pericolosa. Adesso ho il coraggio per realizzare le idee, anche quelle più pazze. È successo sia con lo Spazio 1929 di Lugano sia con la manifestazione L’Arte della Memoria (Gentilino).

Realizzarli è stato naturale, il modo in cui sono nate le connessioni tra le persone, le tempistiche, ogni cosa si è incastrata con facilità.

Non ho paura del punto di domanda, anzi penso si debba vivere del punto di domanda. È facile realizzare cose eclatanti ma poi scivolare su quelle piccole cose, le uniche di cui mi accorgo. Sto imparando ad accettare situazioni che prima mettevo da parte perché magari mi facevano male. Gli altri sono specchi incredibili e quando ti rendi conto che siamo tutti la stessa cosa, diventa una gioia. Credo ci siano due modi per affrontare la vita: o la prendi come una cosa fatta contro di te, oppure fatta per te. Accolgo quel che mi succede come quando è mancato mio padre per una malattia incurabile. Aveva 51 anni e io 17. Sembra folle dirlo, ma in quel momento ho sentito la vita: lo vedevo in tutte le cose, nelle formiche, nei fili d’erba, nelle persone che incontravo. Ho avuto come la sensazione che lui fosse esploso e che ogni parte di lui si fosse dispersa nell’aria, comprendo ogni cosa.

Quando incontri la morte, o ti arrabbi col mondo, oppure ti chiedi che cos’è la morte e che cos’è la vita.

Il mio percorso interiore, oggi a 28 anni, sta diventando il senso stesso della vita. Mi sono trasferita a Bologna nel 2004 e ho studiato Lettere moderne. A Phnom Penh (Cambogia) nel 2006 mi sono trovata davanti a un casermone immenso, abitato da tante storie di vita. Ho sentito per la prima volta la necessità di esprimermi attraverso la fotografia.

Mi sono laureata con una tesi in Storia sul regime di Pol Pot e il genocidio cambogiano, cercando un senso al male

nelle riflessioni di Hannah Arendt, e negli esperimenti di Philip Zimbardo. Ho studiato fotografia all’International Center of Photography (New York) e nel 2010 sono tornata in Cambogia. Ho fotografato quel casermone e i suoi abitanti, continuando a pormi le stesse domande sul genocidio e il senso del male. Credo che l’arte (e ogni cosa che facciamo può essere arte) sia vera ed eterna quando nasce da una necessità naturale e non ha niente a che fare né con il mercato né con il mondo del lavoro.

Credo sia prima di tutto il bisogno di far emergere quel che si ha dentro, un’esplosione, la naturale espressione umana. Ci sono persone che nella vita realizzano un’unica opera, hanno una cosa da dire, la dicono, e poi fanno tutt’altro. Questi lasciti sono eterni e umili. Alla Biennale di Venezia di quest’anno erano presenti tantissimi lavori sorretti da questo spirito, realizzati spesso da sconosciuti, e che emanavano una forza incredibile. La mostra di Lee Ufan al Guggenheim Museum di New York ha dato una svola alla mia vita. La mia concezione dell’arte e della vita da quel momento si è trasformata. Liberare la tela fino a renderla quasi bianca e non avere paura del vuoto è una profondissima prova di consapevolezza. Tiziano Terzani mi ha insegnato a viaggiare e ad accogliere la vita nel suo divenire. Krishnamurti ad ascoltarmi, senza giudizio, a essere nel presente. Il seme lo si trova se si inizia un percorso interiore di totale sincerità con noi stessi.

Da un anno frequento il biennio di fotografia a Brera. Sto lavorando sullo spazio, sull’energia, su quello che non si vede. La fotografia riassume il senso del sé non vedo non credo? In realtà c’è qualche cosa oltre il vedere perché il sentire, il sentire non inteso come udito ma come sesto senso, non è dimostrabile. In quell’attimo in cui senti la vita non hai bisogno di credere in nessun Dio e in nessuna religione. Credere è accontentarsi, a volte senza il coraggio di guardare in profondità, di porsi delle domande. Quando senti, senti tutto, e in quel momento diventi il tutto.

CARLoTTA ZARATTINI Il suo sogno è fare delle fotografie che si sentano, per non costruire l’ennesima barriera, che spesso diventa una divisione tra noi e la vita

testimonianza raccolta da Nicoletta Barazzoni fotografia ©Flavia Leuenberger

Il Castello dI MesoCCo

Fuori le mura

a cura della Redazione; fotografie ©Giuliano Vananti

È la più grande fortezza medievale oggi presente nel canton Grigioni e uno dei maggiori complessi fortificati della Confederazione. Salendo verso nord, lungo la A13, la si riconosce subito, dominante sulla valle e protetta in basso dal fiume Moesa.

Documentato già a partire dall’XI secolo e nato per accogliere la popolazione in caso di pericoli e conflitti, il Castello venne abbandonato e poi raso al suolo nel 1526. Della sua imponenza oggi possiamo ammirare solo porzioni più o meno integre dei grandi muri perimetrali e parte delle divisioni interne, oltre al campanile dell’antica chiesa dedicata a san Carpoforo, risalente al 1219, tra le costruzioni più antiche presenti nel complesso.

Quella di Mesocco è una grande rocca dall’indiscusso fascino, ai cui piedi si trova una seconda chiesa, Santa Maria del Castello: di impianto romanico, essa cela un importante complesso pittorico e un soffitto ligneo dipinto, apparati decorativi ricchi di immagini, storie e allegorie.

in queste pagine: le rovine del Castello di Mesocco sorgono sulla sommità di un’imponente altura rocciosa che s’innalza scoscesa dal fondovalle, costringendo la Moesa a compiere una larga ansa in una angusta gola impraticabile, che solo a occidente lascia libero uno stretto passaggio. In questo punto si inseriva l’antica strada che collegava il valico del San Bernardino a Bellinzona e alla Lombardia.

La valle Mesolcina, che con la valle Calanca compongono la regione grigione del Moesano, era abitata già a partire dall’inizio del Neolitico, l’ultimo periodo che compone l’Età della pietra e che precede l’Età dei metalli (Rame, Bronzo e Ferro). Si pensi che ai piedi del Castello sono state rinvenute tracce di un insediamento risalente a circa 5000 anni prima di Cristo, le più antiche sul territorio grigione.

in apertura: posto a sud del comune di Mesocco, perfetto punto di osservazione sullâ&#x20AC;&#x2122;intera vallata, al complesso fortificato si giunge a piedi, percorrendo una strada sterrata. Introduce al Castello la ex chiesa parrocchiale dedicata a Maria, la cui facciata è dominata da una classica rappresentazione di san Cristoforo (1469 ca.), molto probabilmente opera della bottega dei Seregnesi.

(...)

Il nucleo originario doveva essere una chiesa fortificata dedicata a san Carpoforo, eretta nel primo Medioevo, dove già sorgeva un nucleo abitato preistorico. Nell’XI secolo la chiesa venne sostituita da un altro edificio sacro con campanile e nel XII secolo venne costruita una imponente torre. Durante il XIII e il XIV secolo il castello fu al centro di un’intensa attività edilizia. Ancora nel XIII secolo venne costruito un muro di cinta più possente sormontato da merli e all’interno del castello, nella rocca, si costruì il primo palazzo. La costruzione di altri edifici con le diverse officine limitò sempre più la superficie del cortile destinata a ospitare la popolazione in caso di guerre e pericoli. Nel XV secolo venne costruito il grande palazzo nell’angolo di nord-ovest della rocca e la cerchia di mura esterna venne rafforzata. Le ultime opere di una certa entità vennero attuate alla fine del XV secolo e caratterizzano l’aspetto definitivo della fortezza. Dopo il 1480 vennero innalzate le mura di cinta con torri per l’artiglieria. Fonti storiche confermano che il Castello era difeso da un considerevole equipaggiamento militare costituito da mortai, altre bocche da fuoco di media e breve gettata, un cospicuo numero di armi da fuoco e quattro bombarde, ossia pezzi di artiglieria di grosso calibro impiegati nelle operazioni di assedio. Nel XV secolo la rocca di Mesocco doveva essere, scrivono gli storici, quasi inespugnabile...

fonti bibliografiche AA.VV., Guida d’arte della Svizzera italiana, Edizioni Casagrande, 2007 castellomesocco.ch (testo di W. Meyer, 1982) Per visitare la chiesa di Santa Maria è necessario rivolgersi alla cancelleria comunale di Mesocco: tel. +41 (0)91 822 91 40, mesocco@bluewin.ch

Giuliano Vananti Nato a Lugano nel 1969, ha frequentato il Centro scolastico per le industrie artistiche (CSIA) di Lugano. Fotografo autoditatta, lavora come pubblicitario presso il proprio studio a Lugaggia. Collabora con diverse aziende nell’ambito della comunicazione visiva. vananti-giuliano.ch

A partire dal XII secolo la rocca apparteneva certamente ai baroni Sacco, imparentati con gli Udalrichinger, i vecchi conti della Rezia superiore, e probabilmente anche con i Torre, signori della Valle di Blenio. Nel corso del XIII secolo i Sacco riuscirono a porre sotto la loro signoria l’intera valle.

I signori locali vennero col tempo allontanati o assoggettati e il Castello di Mesocco assurse a centro residenziale dei Sacco nella Mesolcina. Con Alberto Sacco la famiglia raggiunse tra il XIV e il XV secolo il suo apogeo, ma la sua morte (1406) coincise anche con il declino della famiglia. Nel XV secolo il Castello di Mesocco ospitava ancora una corte principesca anche se il potere dei Sacco veniva sempre più minacciato dalle pressioni esterne, soprattutto dai Confederati, da Milano e dal crescente malumore della popolazione valligiana sobillata dagli esponenti della Lega Grigia.

Una complessa serie di vicende storiche e di alleanze, dentro e fuori la Confederazione, portarono il Castello al centro di interessi e rivendicazioni. Sino a quanto, nel 1526, le Tre Leghe grigioni (formate da Lega Caddea, Lega Grigia e Lega delle Dieci Giurisdizioni; 1471) decisero di radere al suolo la fortezza. Da allora il Castello è una rovina, conservata attraverso gli ultimi interventi degli anni venti e novanta del novecento, sino ai più recenti atti conservativi dell’importante monumento. In questo senso esiste oggi una Fondazione Castello di Mesocco (info@castellomesocco.ch), impegnata anche a raccogliere fondi per la salvaguardia del sito.

Sale d’attesa. Aspetta e spera di Marco Jeitziner; fotografie ©Flavia Leuenberger

sto favore potrebbe fartelo. Dunque, o sfogli oppure fissi il vuoto, rischiando d’incrociare lo sguardo addolorato degli altri. Vedi tutti quei personaggi pubblici dai denti bianchi, luccicanti, sicuramente trattati o sbiancati. Poi ti dici che anche loro vanno dal dentista e avranno dovuto aspettare in uno stanzino molto simile al tuo: l’attesa è democratica!

Sfogli e sfogli, e pensi a quanti caffè hai bevuto, quante caramelle hai mangiato e le volte ti lavi i denti. È rimasta dell’insalata tra le gengive? Ti puzza l’alito? Ti sei lavato/a?

Finché arriva di solito una lei bianco vestita che fa il tuo nome, rompendo l’attesa e inizi davvero a sperare...

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A tutti è capitato di entrarci per, appunto, attendere. Sono almeno due le variabili: di quale anticamera si tratta e di quanta pazienza uno è dotato. C’è quella classica della stazione, spesso vuota salvo d’inverno, ma c’è quella altrettanto comune del medico... e qui, va da sé, dipende per quale tipo di visita stiamo, in quanto pazienti, precisamente pazientando.

La sala d’aspetto o d’attesa, che dir si voglia, è un luogo di e per un altro luogo: per cui ci si potrebbe chiedere perché mai si debba farci una pausa, in un mondo che corre sempre più velocemente e in un paese che fa della puntualità una virtù. Forse dipende, semplicemente, più dalle nostre ansie e, in definitiva, dal nostro stile di vita...

Si aspetta, sempre Di queste stanze del tempo che (a volte) fugge ne ricordo alcune abbastanza significative. In quella del dentista non mi è mai capitato in vita mia di aspettare pochi minuti.

No, di solito l’attesa si protrae. Anche se arrivi in anticipo, anche se arrivi puntuale, anche se sei il più gentile di tutti, anche se lui è tuo amico o parente, inesorabilmente vieni invitato ad accomodarti là dentro, mentre senti trapani e smerigliatrici a tutto motore, felicitandoti per l’attesa. Speri sempre che ci sia posto, guardi le facce di chi sta già aspettando, a volte saluti, a volte no, non sempre ti rispondono (sì, dipende dall’intervento che uno deve sorbirsi).

Immancabile è la musica di sottofondo, a volte snervante, a volte ci vorrebbe della lounge o del potente rock. Ecco il tavolino (tralasciamo il design e i “gusti” da arredatori dei dentisti) con le solite riviste di gossip, costume e benessere.

Ti aspetti l’ultima edizione e invece no, è quella di gennaio e ti dici che almeno il dottore, con quello che costa, que-

Può succedere di tutto...

Il tema, si potrebbe pensare, pare iniquo e invece anche da noi ci sono serissimi sondaggi. Che cosa fanno gli svizzero italiani in questi luoghi? Telefonano, dormono, chiacchierano con altri pazienti o leggono? Parlavo di medici, ma lo sapete che alcuni di loro pubblicizzano addirittura la loro sala d’attesa nei loro siti internet, mostrando quanto siano confortevoli e luminose?

Lo stesso, e mica si scherza, succede dal veterinario. Certo è cosa ben diversa, perché non sei tu il paziente, ma il tuo povero cane o gatto! Per fortuna il paziente peloso ha il dono di non lamentarsi molto e di non voler leggere per forza la rivista di gossip. Silenzioso ti guarda con due occhioni che stanno lì a dire perché è in quella stanza e non nel giardino di casa a dormire? Vaglielo a spiegare.

Tornando a noi umani, questo luogo si presta a molte cose, non solo alla sosta: capita che scoppino delle risse, anche violente, tra pazienti (pronto soccorso), tra barboni (stazioni ferroviarie), che addirittura si partorisca, che si attenda il futuro (dalla cartomante), che si ritrovino persone date per scomparse, che vi si faccia cultura e celebrazioni, che vi si svolgano, ahi noi, soprusi di ogni tipo, che vi si fumi e si viene denunciati ecc.

Capita che permanga il mistero più fitto, per esempio per noi uomini che nulla sappiamo di cosa significhi l’attesa dal ginecologo o dall’ostetrica. Come poco sanno le donne dell’ansia che ci assale nella saletta, che so, dell’urologo.

Ma, ora, se pensiamo a questi luoghi vien da dire: o ci sono troppo pochi medici, dato che dobbiamo sempre e comunque aspettare, oppure ci sono troppi pazienti? A occhio e croce opterei per la seconda, e questo dovrebbe soltanto preoccuparci in una società che, al contrario, ci promette il benessere e la salute (quasi) eterna. O secondo voi ci fanno sempre aspettare per curarci meglio? Speriamo.

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Sedersi è

ECO! Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza

“Una sedia è una sedia è una sedia...”, direbbe Gertrude Stein. Ma una sedia è ancora più tale se risponde alla sua vocazione di elemento d’arredo funzionale, ergonomico e perfino ecologico.

Una sedia può essere ecologica? Certamente sì, anzi il popolare oggetto è stato il tema centrale dell’ultima edizione di “EcoDesign”, emanazione di “Habitare”, noto salone dell’arredamento che si tiene annualmente a Helsinki. Alla Triennale di Milano si è svolta lo scorso mese la quinta puntata di “EcoDesign”, rassegna concomitante e complementare

SUMO

ECCO LA SEDIA DI OGGI

In queste pagine alcuni esempi scelti tra le proposte offerte dai 70 creativi e designer che hanno aderito a “EcoDesign”, provenienti da vari paesi, per la maggior parte dalla Scandinavia. Tutti con lo stesso obiettivo: dar vita e promuovere “prodotti verdi”, capaci per di più di suscitare emozioni. Sia nuove sia antiche…

WOOD

1 Il noto designer Ake Axelsson, per cominciare, affronta il tema con la sedia Wood, realizzata con legno di faggio proveniente dalle foreste svedesi e con una tecnica tradizionale mirata a impiegare una minor quantità di materia prima possibile. Inoltre, il rassicurante gusto d’antan sposa la linea moderna ed essenziale dello schienale e delle gambe arrotondate.

2 Linee pure e minimalismo celebrati anche nel progetto della sdraio Klik Klak del finlandese Antti Kotilainen. Assemblata con giunti meccanici, le due parti smontabili, cioè seduta e schienale, sono facili da riporre in poco spazio.

3 Intanto l’idea all’origine del tavolo e delle panchette April, dello svizzero Alfredo Häberli, è quella di creare un piacevole contrasto tra l’imponente base di sostegno e il piano d’appoggio piuttosto sottile.

E ancora una volta il legno utilizzato è quello di alberi coltivati in conformità alle politiche di sviluppo sostenibile.

al Salone del Mobile, al Fuorisalone e a MilanoModaDesign (8–13 aprile), periodo in cui la città intera viene coinvolta dall’entusiasmo creativo e dai fermenti di innovazione, andati ben oltre le exhibition e le location ufficiali.

In generale, una nuova filosofia del living decreta la formale perfezione della casa borghese come fuori moda. Niente arredi da esibire, vincono pezzi ben rifiniti e “onesti”. Dettagli curiosi, divertenti, di gusto rustico e informale, arricchiti piuttosto da componenti etiche, entrano sia in salotto sia in camera da letto, in cucina e perfino in bagno. Diciamo

che la tendenza dell’uomo a circondarsi di suppellettili amiche dell’ambiente sta diventando una necessità assoluta: oltre ad aver quasi esaurito le risorse rinnovabili, rilasciamo nell’atmosfera emissioni di gas più di quante il nostro povero pianeta possa sopportare. Quindi la sfida consiste nell’adottare un approccio radicalmente ecologico alla progettazione di un qualsiasi oggetto d’arredo. Considerando poi che sedie e dintorni sono il simbolo di una nuova, rilassante convivialità, arriva un tripudio di seggiole, chaise-longue, poltroncine, scanni, sgabelli…

KLIK KLAK

4 Una cassetta della frutta può essere trasformata in una pratica seduta? La risposta è sì e il prerequisito è che le casse siano due e abbastanza solide. Hannu Kähönen, designer, ma anche sostenitore della filosofia anti-spreco, fornisce le istruzioni per l’assemblaggio di Fruit Box. Precisando che in seguito la sedia potrà pure essere bruciata per riscaldare la casa e poi spargere le ceneri ai piedi di un albero allo scopo di concimarlo.

5 Forme scultoree e ottima ergonomia per la seggiola Alanne, nata da un disegno libero della creativa Kaija Aalto. Scolpita nel legno di pino, albero generoso e riproducibile, l’elemento è facile da riciclare, magari semplicemente per produrre energia.

6 Hotei è il nome di un originale sgabello a fungo inventato dal giapponese Toshiyuki Kita, ma è anche il nome di una pianta acquatica orientale che si propaga velocemente sulla superficie di fiumi e laghi del Sol Levante. Pare sia il materiale intrecciabile del futuro, insieme all’antichissimo bambù.

7 In quanto a esperimenti con materiali rinnovabili e biodegradabili non è da meno la poltroncina Sumo. Progettata da Stefan Borselius è ricoperta con pelle conciata al vegetale e farcita con semi di grano saraceno, considerati scarti di cucina in quanto non utilizzabili come cibo. Imbottita al limite per ottenere quella tipica forma massiccia dei famosi lottatori giapponesi, è oltremodo morbida e confortevole.

La domanda della settimana

Avreste nulla in contrario alla presenza di un centro per ospitare i richiedenti l’asilo nel vostro comune?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 8 maggio. I risultati appariranno sul numero 20 di Ticinosette.

Al quesito “Siete favorevoli al mantenimento delle festività religiose in Ticino?” avete risposto:

SI

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NO

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Svaghi 46

Astri ariete Incontri e opportunità sentimentali.

Vicende professionali legate alle relazioni esterne e della cultura. Spese per abbigliamento e arredi.

toro Dedicatevi agli affari. Grazie ai buoni aspetti con Giove potete concludere una negoziazione. Decisioni per i nati nella seconda decade.

gemelli Situazioni sentimentali inaspettate.

Dall’8 maggio in poi Mercurio transiterà nel vostro segno. Andate avanti seguendo intuito e creatività.

cancro Esagerazioni alimentari. Cambiamenti, traslochi e cambi di nazione: non sono da escludere rivoluzioni epocali.

Distacchi e incontri imprevisti.

leone Dall’8 in poi la fortuna viaggia con voi. Colpo di fulmine per i nati nella prima decade. Bene in famiglia tra il 6 e l’8 maggio.

vergine Attenti a non farvi ghermire troppo da un improvviso furore estatico: con Nettuno in opposizione è facile prender abbagli. Successi professionali.

bilancia Sta per uscire alla scoperto una forza potente. Tra il 6 e il 7 la Luna si troverà nell’amico segno del Leone.

Novità a partire dall’8 maggio.

scorpione Metamorfosi e grandi cambiamenti.

Date una direzione ai vostri obiettivi.

Irascibili e stressati in ordine a una questione familiare tra il 6 e il 7.

sagittario Periodo ricco di opportunità per i nati nella prima decade. Attenti a non parlare troppo. Cautela nella gestione dei rapporti professionali.

capricorno Fatevi guidare dai sentimenti, non dall’orgoglio. Seguite la vostra creatività. Accontentate i vostri desideri.

Liberatevi dai condizionamenti.

acquario Successi sentimentali. Momento ideale per viaggi e incontri all’estero. Vita sociale in forte incremento.

Stanchezza tra il 6 e il 7 maggio.

pesci Risveglio delle potenzialità. Intuito e facoltà paranormali. Romanticismo alle stelle. Soddisfazioni professionali per i nati nella seconda decade.

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Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 20

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 8 maggio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 6 mag. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Verticali 1. Commedia di successo di E. De Filippo • 2. Carichi di lavoro • 3. Tesi • 4. Andate in poesia • 5.

Sono spesso circoscritte • 6. Il filosofo di Samotracia • 7.

Mezza riga • 8. Le belve che ridono • 9. Leale, corretto • 16. Si lancia dall’aereo • 18. Inaspettata • 19. Articolo romanesco • 21. C’è chi l’ha moscia • 22. Piatti pari • 26. Gabbie per polli • 27. Vale a dire • 29. Maroso • 32. Lo è la parola data • 34. Lo cura l’ortopedico • 36.

Quella d’emergenza è saggia previdenza • 40. Pari in secco • 42. Il Paradiso perduto • 45. Si affiancano spesso ai consumi • 46. Lo dice chi rimanda • 48. In mezzo ai rovi • 49. Consonanti in tuono.

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Orizzontali 1. Programma informativo • 10. Vestito • 11. Il niente del croupier • 12. Eterni • 13. Nord-Est • 14. Scocca quella ics • 15. La dea romana della speranza • 17. Formano il perimetro • 19. Cresce con gli anni • 20. Si programma quello della gita • 23. La terza nota • 24. In mezzo al mare • 25. Il musqué del pellicciaio • 26. Cencio • 28. Combattimenti • 30. Dittongo in boato • 31. Delfini di fiume • 33. Articolo tedesco • 35.

Città dell’Ucraina • 37. Cantone svizzero • 38. Il Sodio del chimico • 39. Un arnese del boscaiolo • 41. La dea greca della discordia • 43. Vaso panciuto • 44. Spiazzo erboso • 47. Oriente • 48. Due al cubo • 50. La casa dell’ape • 51. Inutili.

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La soluzione del Concorso apparso il 18 aprile è: OMBRELLO Sono state sorteggiate: Carla Bruschi (Giubiasco) Renate Bernasconi, (Comano) Carmen Pedretti Berudi (Camorino) Alle vincitrici facciamo i nostri complimenti!

In palio: 2 buoni del valore di 50.– CHF l’uno per l’acquisto di biglietti per eventi FFS Le Ferrovie federali svizzere offrono 2 buoni del valore di 50.– CHF l’uno per l’acquisto di biglietti per eventi da scontare presso una stazione FFS in Svizzera. Ulteriori informazioni su ffs.ch

La stazione FFS: il punto di prevendita di biglietti per eventi.

I biglietti per concerti, party, eventi sportivi e numerose altre manifestazioni sono disponibili presso circa 200 punti di prevendita nelle stazioni FFS. L’assortimento comprende tutte le manifestazioni di Ticketcorner e biglietteria.ch. Nelle maggiori stazioni FFS i punti di prevendita sono aperti anche nel fine settimana. Per raggiungere in tutta rapidità e comodità la sede dell’evento, vi consigliamo di prendere il treno. Ulteriori informazioni sono a disposizione su ffs.ch/events.

Buon divertimento!

Svaghi 47

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*Nespresso ® è un marchio terzo che non è collegato a Mondelēz International. **Acquistate la confezione promozionale, prendete nota del codice sul retro della confezione, inserite il codice e le altre informazioni su www.jacobsmomente.ch e sarete rimborsati. Termine ultimo per la partecipazione: 31.12.2015. Solo un partecipante per nucleo familiare. Possono partecipare i maggiorenni con residenza e conto bancario in Svizzera, ad esclusione dei collaboratori delle aziende partecipanti e dei loro parenti. Istruzioni sulla confezione promozionale e su www.jacobsmomente.ch

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