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№ 25 del 20 giugno 2014 · con Teleradio dal 22 al 28 giu.

Le aLi di Locarno

L’aeroporto di Magadino, il più grande del cantone, anche dopo l,ampliamento manterrà le sue attuali funzioni: formazione e svago

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7000 famiglie sono state deportate in quest’area desolata dove sono costrette Villaggio di Kan Dang Kao a vivere in condizioni disumane

vero amore

conosciuto misura

Associazione Missione Possibile Svizzera Banca Raiffeisen Lugano Numero di conto: 1071585.70 Via Ungè 19, 6808 Torricella Via Pretorio 22 IBAN: CH04 8037 5000 1071 5857 0 Tel. +41 91 604 54 66 6900 Lugano Codice bancario: 80375 www.missionepossibile.ch info@missionepossibile.ch


Ticinosette n. 25 del 20 giugno 2014

Impressum Tiratura controllata 66’475 copie

Chiusura redazionale Venerdì 13 giugno

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

4 Sfide Stampatello vs corsivo di eugenio KlueseR ......................................................... 7 Società Poliomielite. Una nuova emergenza di tania salandin................................. 8 Media Maurizio Canetta. L’uomo televisivo di MaRco JeitzineR ................................ 10 Vitae Goro Chukri di MaRco JeitzineR ...................................................................... 12 Reportage Le ali di Locarno di RobeRto Roveda; fotogRafie di Reza KhatiR ................. 37 Racconto Un incontro imprevisto di natascha fioRetti ........................................... 42 Tendenze Moda tra le righe di MaRisa goRza ........................................................ 44 Concorso fotografico La foto del mese di chRistine viglezio .............................. 45 Svaghi .................................................................................................................... 46

Agorà Economia. Privato è meglio?

di

RobeRto Roveda .............................................

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

Le ali di Locarno Fotografia ©Reza Khatir

Vicino e lontano Giunto in redazione pochi giorni fa – ringrazio l’editore Casagrande di Bellinzona che ci invia regolarmente le sue pubblicazioni – il Quasi un abbecedario di Giorgio Orelli ha attratto da subito la mia attenzione. L’ammirazione che nutro – al pari di altri, ben più addentro di me alla sostanza poetica –, per quello che considero uno dei grandi poeti italiani della seconda metà del novecento, si è confermata nel leggere queste pagine, una raccolta di testi brevi, piccoli saggi, riflessioni pregnanti, capaci di oscillare con naturalezza “dai toni informali e scherzosi dell’aneddoto alla terminologia tecnico-scientifica della critica verbale, da erudite citazioni a motti spiritosi, da arguti valligiani a Dante, Leopardi, Montale”, come scrive Yari Bernasconi nella prefazione. Sempre con tono leggero, mai pedante, Orelli nel suo abbecedario, “selvatico” e apparentemente disordinato, offre al lettore un assaggio di sé come uomo, letterato e osservatore vigile di mondi vicini e lontani (nel tempo come nello spazio). Alla lettera D troviamo, fra gli altri, il lemma Dialetti. Lo riporto per esteso perché credo sia un testo che ogni ticinese dovrebbe leggere e avere a cuore e in cui il valore e il potenziale del dialetto, elemento fondante di identità, viene riconosciuto nella sua straordinarietà come nei suoi limiti. D come DIALETTI Sui dialetti c’è confusione. Si sente ultimamente di “difese” dei dialetti, ma non ce n’è davvero

bisogno. I ticinesi devono imparare l’italiano, è un dovere primordiale e capitale: conoscere meglio la lingua italiana per comunicare meglio col resto del mondo. Se non basta, che s’impari un’altra lingua. Dire che si scrive in dialetto, poi, perché è “più espressivo”, è superficiale: nella cosiddetta creazione il dialetto assurge a lingua solo per necessità. Come si spiega che la crocerossina mesolcinese della prima guerra mondiale, Giulietta Martelli-Tamoni, su quaranta poesie ne scrive trentanove così così, passabili e trascurabili, ma una bellissima? Cos’è che privilegia vertiginosamente questi pochi versi rispetto agli altri? È che la lingua le è andata incontro in una maniera straordinaria. Tanto che se i dieci migliori poeti del Novecento, compreso Montale, traducessero quella poesia, non farebbero meglio della poetessa mesolcinese. Perché? Perché solo nel dialetto di Cama la lucertola si chiama «lipelòpa». «La lipelòpa» che «l’à salvò ‘l pelott». Questo è il bello: è concesso anche a una scrittrice modesta di trattare da pari a pari con Dante. Una volta nella vita, ma le è concesso. In questa poesia, «La lipelòpa ilò sora el murett», ma arrivano dei bambini che intendono pigliarla: lei si rifugia in una crepa e loro «coi bachitt i è scià per scascigarla». Incredibile qui come il dialetto funzioni. Ogni lingua ha le sue risorse estetiche irraggiungibili. La stessa esplosione di / p / di «lipelòpa» è notevolissima. E in «l’à salvò ‘l pelott» è stupendo quello che fanno le liquide. Non è certo la solita onomatopea. Buona lettura, Fabio Martini


Privato è meglio? Economia. Uno dei cardini del pensiero liberale sono le privatizzazioni, cioè l’idea di affidare a soggetti privati funzioni e compiti tradizionalmente svolti dallo stato, così da ottenere maggiore efficienza e minori costi. Un dogma, quello dei vantaggi del privatizzare, oggi sottoposto a molte critiche. Ma conviene davvero rinnegarlo del tutto? di Roberto Roveda

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li ultimi decenni del novecento sono stati dominati, dal punto di vista economico, dalle politiche liberiste e da una spinta a privatizzare parte delle funzioni tradizionalmente affidate al settore pubblico. “Meno stato, più impresa”, “meno regole, più possibilità di crescita”, “privato è meglio”: questi sono stati gli slogan che hanno dominato i pensieri di buona parte degli economisti occidentali. Slogan che sono messi in pratica a partire dagli anni ottanta del novecento in tutti i paesi più avanzati, Svizzera compresa, con diverse modalità e sfumature, assicurando, inutile negarlo, buoni tassi di crescita economica e un benessere ancora più diffuso che nell’immediato dopoguerra. Alla fine, però, alcuni nodi sono venuti al pettine e questo sistema fondato sul liberalismo sregolato, sulla finanza e sullo scarso controllo da parte dello stato sulle attività dei privati ha cominciato a mostrare i suoi limiti ed è esploso in tutte le sue contraddizioni e storture nella crisi economica che attanaglia il mondo occidentale da qualche anno a questa parte. Privato non sempre è meglio Ci si è accorti che di regole il mercato ha bisogno perché non è in grado probabilmente di trovare gli strumenti per autoregolarsi e che non sempre il privato funziona meglio del pubblico e riesce a supplire pienamente e in maniera efficiente alle funzioni svolte dallo stato. Così, negli ultimi anni sono aumentate le voci, anche autorevoli, di chi sostiene che privatizzare non rappresenta per forza la strada giusta per garantire il progresso e il benessere diffuso. Anzi, i detrattori del mito “privato è meglio” pongono piuttosto l’accento sugli aspetti negativi che si stanno manifestando anche all’interno della nostra Confederazione mano a mano che si riduce il ruolo dello stato. È questa la tesi sostenuta da Graziano Pestoni, per anni responsabile per il Ticino del Sindacato Svizzero dei Servizi Pubblici (VPOD), nel suo libro Privatizzazioni (Fondazione Pellegrini-Canevascini e Sindacato Svizzero dei Servizi Pubblici-Regione Ticino, 2013). Privatizzare significa perdere il controllo pubblico di un servizio. Ciò succede anche nei casi in cui lo stato mantiene, di solito

provvisoriamente, la totalità del capitale dell’azienda trasformata in società anonima. Cambia, infatti, la natura dell’azienda: lo scopo non è più quello di garantire il miglior servizio possibile al minor costo possibile, bensì il raggiungimento di un obiettivo finanziario. Tale obiettivo è conseguito tramite l’aumento delle tariffe, la diminuzione della qualità del servizio e/o il peggioramento delle condizioni di lavoro. Le FFS, per esempio, erano un’azienda citata nel mondo intero per la puntualità, la serietà del servizio, l’alta qualità, la sicurezza. Da quando l’azienda è stata trasformata in SA (Società per Azioni), nel 2000, molti sportelli delle stazioni sono stati chiusi e altri hanno ridotto gli orari di apertura, con evidenti disagi per l’utenza. Soprattutto, però, si sono moltiplicati gli incidenti, anche gravi con morti e feriti. Altro caso: con la nuova legge federale sull’assicurazione malattia, la Confederazione finanzia in pari modo gli istituti pubblici e quelli privati – anche quelli a scopo di lucro – e ha adottato il cosiddetto “forfait per caso”. Questo sistema, come denunciano gli operatori del settore, ha trasformato un servizio sanitario in merce e introdotto una medicina a due velocità. Saranno sempre di più discriminati tutti coloro che non godono di un’eccellente salute e gli anziani, quelli cioè che costano più della media dei malati e che rischiano di essere dimessi anzitempo. Insomma, le privatizzazioni, sia quelle vere e proprie, consistenti nel cedere parte o tutto il capitale di un’azienda ai privati, sia quelle che hanno introdotto metodi di gestione privatistici e speculativi nei servizi pubblici, hanno avuto conseguenze negative per tutti. Lo stato ha perso risorse preziose, la società ha perso il controllo sulla qualità dei servizi, i cittadini dispongono di servizi meno efficienti, e i lavoratori dei diversi settori hanno visto peggiorare le loro condizioni di lavoro. A suo parere come stanno incidendo le privatizzazioni nel nostro cantone? Il cantone Ticino non è stato risparmiato dalla politica liberista, portata avanti con tenacia dal Consiglio di Stato. Abbiamo assistito alla riduzione del carico fiscale per i più abbienti, a una presenza mascherata del privato in molti settori, alla gestione privatistica delle aziende pubbliche, al degrado della socialità e della qualità dell’amministrazione pubblica, della scuola, della polizia. Sono stati privatizzati alcuni servizi presso le strutture


Una macchinista alla guida di un treno delle FFS (stradafacendo.tgcom24.it)

carcerarie cantonali; parzialmente il collaudo delle automobili; adottata una gestione economicistica e antisociale presso l’Ufficio invalidità. L’AET è stata gestita con pochi scrupoli per molti anni come un’azienda privata; BancaStato si è lanciata in progetti speculativi. Anche le recenti decisioni prese dal Gran Consiglio in merito al limite della spesa pubblica rientrano nella logica di ridimensionare il ruolo dello stato. Il “moltiplicatore cantonale di imposta”, uno strumento sperimentato con successo in altri cantoni, da noi è stato introdotto solo a metà. Il Gran Consiglio potrà soltanto ridurre le imposte, ma difficilmente le potrà aumentare, nemmeno in caso di bisogno. Per l’aumento è necessaria una maggioranza dei 2/3 dei membri del parlamento, una quota non facilmente raggiungibile. Altro esempio: i progetti di pianificazione ospedaliera, resi pubblici in questi giorni, confermano anche in campo sanitario la deriva liberista: prevedono, infatti, la privatizzazione della neonatologia e della maternità. Lei è segretario, fin dalla sua fondazione nel 2000, dell’Associazione per la difesa del servizio pubblico (associazioneserviziopubblico.ch). In che modo si può agire per arginare quella che lei definisce una deriva liberista? L’associazione di cui sono segretario, assieme all’Associazione per la scuola pubblica del cantone e dei comuni (www.aspcc. ch), ha affiancato i sindacati e altre forze progressiste in molte lotte in questi anni e qualche risultato lo abbiamo ottenuto.

Sono, infatti, falliti i tentativi di privatizzare del tutto l’AET, la Banca dello Stato, la scuola, l’Istituto delle assicurazioni sociali, una parte dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale, la Sezione della circolazione e altri servizi. Soprattutto, però, oggi le persone si sono accorte che le tesi liberiste secondo cui il privato è migliore del pubblico e che meno stato significa più libertà, sono solo propaganda. In Svizzera, i cittadini hanno bocciato quasi sistematicamente tutti i progetti di privatizzazione ogni volta che hanno avuto modo di esprimersi in votazioni popolari. A suo parere quindi si dovrebbe compiere una vera e propria inversione di rotta rispetto alle politiche fin qui seguite? Direi di si. Per ripristinare servizi pubblici di qualità e garantire condizioni di lavoro e vita rispettose, sono comunque necessari cambiamenti radicali nelle scelte degli stati. Per quanto riguarda la Svizzera, per esempio, i governi nazionale e locali, nell’ambito delle loro rispettive competenze, dovrebbero riappropriarsi di tutti i servizi pubblici ceduti a terzi durante gli ultimi decenni; ripristinare, in tutti i servizi pubblici, forme di gestione in cui la priorità sia la qualità del servizio fornito all’utenza e il rispetto degli operatori; reintrodurre una politica fiscale senza privilegi, atta ad assicurare il finanziamento delle attività dell’ente pubblico e mettere in atto politiche sociali, sanitarie, educative, occupazionali in grado di soddisfare gli interessi di tutte le componenti della società. In altre parole ciò significa, per (...)

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“È quindi scorretto affermare che tutte le difficoltà esistenti siano riconducibili a scelte di impronta liberale. Anche scelte troppo marcatamente stataliste hanno spesso effetti nefasti. È tutta una questione di equilibrio ed è solo attraverso questo elemento che si possono trovare soluzioni valide sia in Ticino sia in Svizzera”

le nostre autorità, abbandonare il modello liberista e assumere posizioni autonome rispetto alle scelte dell’Unione Europea, almeno fintanto che quest’ultima continua a praticare una politica subordinata agli interessi di gruppi finanziari, dannosa alla maggioranza della popolazione.

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Ma cancellare il liberalismo è la giusta via? Un ritorno al passato che vorrebbe dire segnare con il marchio del fallimento buona parte delle politiche portate avanti dalle autorità negli ultimi decenni. Politiche che non vengono rinnegate del tutto in nessun paese dell’occidente, anche se sempre di più ci si sta interrogando su come costruire un sistema economico e sociale più ordinato e sano di quello in cui si sta vivendo oggi. Il problema, per molti economisti, non sono quindi tanto le scelte liberali in se stesse, ma come sono state messe in atto, come ci conferma Luca Albertoni, direttore della Camera di commercio dell’industria e dell’artigianato del cantone Ticino: Non sono le scelte liberali vere ad avere creato disagio sociale. Sono gli abusi che però si riscontrano anche e soprattutto in società poco liberali. Il problema, se lo si può definire tale, non è quindi l’impostazione liberale, ma la mancanza di autoresponsabilità e, anzi, l’eccessiva delega di compiti allo stato che appesantisce troppo quest’ultimo distogliendolo dai compiti essenziali che è chiamato a svolgere e che sono fondamentali. Purtroppo si dà per acquisito oggi che il benessere sia scontato e quasi un diritto, per cui si parte dall’idea di una società ideale. La realtà è diversa, ed è inevitabile confrontarsi ogni giorno con le esigenze del mercato, che piaccia o no. Se di disagio sociale si può parlare (per esempio, nel contesto del mercato del lavoro), le cause sono molteplici e hanno molti responsabili, nessuno escluso, dal privato al pubblico. È quindi scorretto affermare che tutte le difficoltà esistenti siano riconducibili a scelte di impronta liberale. Anche scelte troppo marcatamente stataliste hanno spesso effetti nefasti. È tutta una questione di equilibrio ed è solo attraverso questo elemento che si possono trovare soluzioni valide sia in Ticino sia in Svizzera. Quindi la scelta di puntare su una maggiore privatizzazione anche nei settori una volta appannaggio del pubblico risponde ancora alle esigenze della società contemporanea? Prima di tutto bisogna fare una debita precisazione che relativizza un po’ la questione: creare una SA di diritto pubblico non vuol dire automaticamente privatizzare. La scelta politica di voler rendere più efficaci ed efficienti certi servizi pubblici

non va confusa con la privatizzazione né con l’outsourcing di determinate prestazioni statali, che sono altra cosa. Se si tiene conto di questa distinzione, ci si accorgerà che in realtà non sono molte le tendenze alla privatizzazione in Svizzera, anzi. Si cerca piuttosto di ottimizzare l’allocazione delle risorse a disposizione dello stato. Ed è opportuno ricordare che queste risorse, prima di essere distribuite, devono essere create e lo stato, tra i tanti ruoli che svolge anche molto bene, non ha quello di creare ricchezza. In quali settori la privatizzazione ha dato o sta dando i maggiori frutti? La destatalizzazione e il disimpegno dello stato diventano facilmente dei miti. I dati dicono altro. In Ticino e in Svizzera dagli anni ottanta a oggi, la spesa pubblica pro capite, reale, è cresciuta continuamente. Esempi veri e propri di privatizzazioni totali non ve ne sono molti a livello federale e non mi risulta nemmeno a livello cantonale. Visto quanto detto in precedenza, una timida apertura ai privati, come fatto da alcune regie federali, non equivale a una privatizzazione in senso classico e quindi eventuali esempi da portare hanno un valore molto relativo. In generale, l’apertura al privato in un contesto misto pubblico-privato può apportare una maggiore attenzione all’evoluzione del mercato. Venendo al Ticino, le privatizzazioni sono un vantaggio anche per il cantone? Il caso delle Officine di Bellinzona è un ottimo esempio. Si è parlato a sproposito di danni della “privatizzazione” e del dannoso ruolo di manager demoniaci. In realtà, con il passaggio da regia federale a SA di diritto pubblico, le FFS non sono state privatizzate, ma hanno coinvolto attori privati, il che non è la stessa cosa. Non a caso, la giusta decisione di mantenere le Officine di Bellinzona è venuta dall’autorità politica, tenendo conto quindi non solo di veri o presunti interessi privati ma anche e soprattutto dell’interesse pubblico. Fatte le distinzioni già menzionate, anche un cantone può trarre benefici da un cambio di gestione, ma qui penso soprattutto all’outsourcing piuttosto che a una privatizzazione. In Ticino mi sembra che sia più corretto parlare di determinati servizi svolti da privati su mandato pubblico che di privatizzazioni. Il beneficio può essere quello di una maggiore flessibilità, inserita comunque in un contesto di controllo a tutela della garanzia. E, salvo qualche inevitabile caso di collaborazione non riuscita, non mi sembra che la tendenza sia negativa né che vi sia stato uno smantellamento dei servizi dello stato né una riduzione della qualità.


Stampatello vs corsivo Il corsivo è sempre meno praticato nelle scuole e nella vita di tutti i giorni a vantaggio dello stampatello. Rischiamo di perdere una grafia capace di sviluppare peculiari meccanismi cognitivi e di esprimere originalità e bellezza? di Eugenio Klueser

La nostra è l’era della praticità e dell’immediatezza, un’epo-

ca in cui anche un sms può sembrare troppo complesso ed elaborato, tanto da venire messo da parte da un tweet. Uno “spirito del tempo” che soffia anche contro il corsivo: bello, affascinante con i suoi ghirigori e sbuffi, così indicativo della personalità di chi scrive, ma nello stesso tempo un tipo di scrittura che richiede applicazione, metodo, anche esercizio. Quelle cose, insomma, che si insegnano e che si fanno ancora – poco e male e chissà per quanto – solo nei primi mesi di scuola. L’età dello stampatello Sempre più persone, non è certo un caso, si chiedono se abbia senso trascorrere ore e ore a collegare lettere e a giostrare la penna quando poi lo stampatello risolve tutto, in modo semplice, chiaro, leggibile. Certo, quelle lettere tutte linee e tratti netti sono un poco standard, anonime al massimo grado, però ci evitano certe personalissime interpretazioni della scrittura corsiva che fanno sembrare alcune ricette mediche simili al tracciato di un sisma tellurico. Proprio in nome della praticità e della modernità già ora nella maggior parte degli Stati Uniti il corsivo non si insegna più, anzi, difendere questo tipo di scrittura è considerato un atteggiamento, da reazionari nostalgici della penna d’oca e dell’inchiostro. Stampatello se sei per il progresso, corsivo se vuoi fermare le lancette del tempo. Una nemesi storica quella del corsivo, una grafia che per secoli è stata considerata innovativa, all’avanguardia, quasi una conquista della mano scrivente, perché mostrava l’abilità umana nel collegare tra loro le lettere, nel farle “scorrere” rapidamente – perché corsivo deriva dal latino currere – sul foglio. Insomma, il corsivo era la grafia della velocità e dell’abile scrivano, lo stampatello quella della lentezza epigrafica e della stampa. Il corsivo per scrivere, lo stampatello per leggere: erano questi i campi d’azione. Corsivo, ci mancherai… Oggi lo stampatello si è conquistato tutto lo spazio, in nome della sua maggiore semplicità: e quindi evviva questa grafia, che tra l’altro, come ci insegnano gli esperti, permette alle

persone con disturbi specifici dell’apprendimento – come la disgrafia – una migliore decodifica della scrittura. Meglio puntare nelle scuole su materie più essenziali che perder tempo con la calligrafia, magari con delle belle lezioni di battitura meccanica dei testi, come si fa già oggi nella maggior parte degli USA. L’importante è sapere che cosa perdiamo assieme alla bella scrittura corsiva. Per molti pedagoghi e psicologi dell’età evolutiva imparare a collegare le lettere consente ai bambini di sviluppare meglio la sequenzialità dei pensieri grazie al fatto che devono realizzare una sequenzialità di segni grafici. Inoltre il corsivo, con il suo scorrimento continuo, ha una valenza profonda nell’acquisizione di competenze basilari di ordine cognitivo e psicomotorio e di abilità manuali e di pensiero. Non staccare mai la penna dal foglio obbliga a percepire l’insieme e il parziale in unico momento e a organizzare gli spazi. La grafia corsiva, inoltre, richiama meglio i percorsi spesso tortuosi del pensiero, anzi il suo flusso continuo, rende flessibili e originali. È personalizzabile, più intima rispetto allo stampatello. Non è certo un caso che si usi il corsivo per le lettere, gli appunti personali, per la firma mentre la grafia “da stampa” è destinata ai manifesti, agli slogan, ai murales. Lo stampatello – lo diciamo a rischio di essere tacciati di vetero-grafismo – sa tanto di omologazione e di globalizzazione ed è per questo che vincerà la sfida, prima di essere spazzato via a sua volta da un bel dittafono 6.0 o 7.0 o da una lunga sequela di emoticons. Intanto, il corsivo già un poco ci manca, soprattutto se in bella calligrafia, che evidenzia il desiderio di imparare l’arte di saper fare bene e di mettere cura in ogni tratto di penna, senza errori, senza sbavature, con eleganza e con leggerezza. Cose che servono anche nel mondo di oggi come insegna un piccolo aneddoto riguardante Steve Jobs. Proprio lui, icona della modernità, infatti al College seguì corsi di calligrafia. Ci piace allora pensare che l’idea di Jobs di realizzare oggetti belli e non solo funzionali nacque in quelle sedute penna in mano, a collegare lettere, con gusto e attenzione, senza mai staccare la punta dal foglio.

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Una nuova emergenza La lotta alla poliomielite sembra essere in una fase di arresto, nonostante i 25 anni di sforzi compiuti dall’Organizzazione mondiale della sanità di Tania Salandin

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Il 5 maggio scorso l’agenzia ONU ha dichiarato al mondo il poliovirus selvaggio è oggi presente? Con Michele Granche da questo momento la poliomielite è un’emergenza di dolfo, epidemiologo, esperto in strategie vaccinali, entriamo sanità pubblica globale. Infatti, nei primi mesi del 2014 – nel vivo della questione: L’OMS, quando nel 1988 lancia il periodo in cui la trasmissione è bassa – sono stati registrati programma di lotta alla polio, fissa tre criteri per connotare un 117 nuovi casi in dieci paesi. A questi si sommano i 417 paese polio-free. Entro i suoi confini deve avere: una copertura del 2013, il 60% dei quali esportati. Il virus oggi è presente vaccinale superiore al 95%; un sistema di sorveglianza attivo in Afghanistan, Guinea Equatoriale, Etiopia, Iraq, Israele, delle paralisi poliomielitiche da cui non risultano casi da polioSomalia e Nigeria, ma è partito da Pakistan, Camerun e Siria. virus selvaggio; un sistema di sorveglianza delle acque di scarico Vi è dunque il serio rischio che, per verificare che non sia presente viaggiando, si diffonda in paesi questo virus. I tre criteri non erano e che hanno eliminato la polio, non sono soddisfatti in nessun paese ma sono fragili perché reduci o di grandi o medie dimensioni nelle alle prese con conflitti armati. In aree industrializzate. Oggi i paesi questi casi i servizi di vaccinaziopolio-free vengono considerati tali ne di routine sono compromessi solo per l’assenza di notifiche di casi e quel che resta dei servizi sanitari di poliomielite paralitica e non per ha grosse difficoltà a far fronte la rispondenza ai tre criteri. con rapidità ed efficacia a tale emergenza. Si pensi al conflitto L’eradicazione della polio diin Siria: campagne vaccinali interchiarata dall’OMS non è stata rotte, servizi di salute danneggiati Somministrazione del vaccino antipolio orale (unicef.ch) raggiunta? e migliaia di siriani in fuga per L’OMS aveva dichiarato la polio la vita. Oppure all’Ucraina che sta affrontando una crisi “eradicata” da Americhe e regione europea (che comprende i paesi importante nel mezzo della quale non può contare su una asiatici della ex Unione Sovietica). Il termine “eliminazione” è copertura vaccinale sicura: dal 2007 è colata a picco passan- più corretto perché ci dice che non ci sono casi di poliomielite do dal 98% al 74% del 20121. paralitica. Ma il traguardo non è stato raggiunto. L’assenza di Ma anche i paesi che vivono in una condizione di pace notifiche di casi di polio nei primi anni del duemila è piuttosto corrono rischi, in particolare se hanno una bassa copertura il risultato di sistemi di sorveglianza attiva deboli in paesi poveri vaccinale e/o insufficienti standard igienici. con bassi standard igienico-sanitari. Ritengo che l’assenza di notifiche sia stata strumentalizzata per agevolare la sostituzione In Svizzera del vaccino antipolio orale (OPV) con quello inattivato (IPV) che L’Ufficio federale della sanità pubblica stima2 per il 2013 una è possibile iniettare con altri vaccini (tetano, difterite, ecc) e che copertura vaccinale del 95,8% il che, unito a standard igie- proprio per questo giustifica un più alto costo. nici altrettanto alti, dovrebbe farci dormire sonni tranquilli. La nostra sanità pubblica sta rivedendo le raccomandazioni In Svizzera dal 1957 si è usato il vaccino IPV. Nel 1961 si abituali alla luce di quelle dell’OMS. Intanto, prosegue passa all’OPV, mentre da settembre 2001 si raccomanda l’offerta della vaccinazione per bambini tra i 2 mesi e i 5 il solo IPV. Quali le differenze tra l’uno e l’altro? anni che vivono in centri federali per richiedenti l’asilo Il vaccino messo a punto da Albert Sabin (OPV) che si sommi(in vigore dal 2014). Fra tre mesi l’OMS farà nuovamente nistra per via orale è in grado di creare l’immunità di gregge3 il punto della situazione e la Svizzera non mancherà di in tempi rapidi perché stimola la risposta immunitaria sia sul coordinarsi a livello internazionale. Inoltre, la cittadinanza fronte umorale, sia su quello intestinale. L’immunità intestinale è elvetica lo scorso settembre ha dato il via libera alla nuova fondamentale perché impedisce al virus di colonizzare l’intestino. legge sulle epidemie che – stando ai proponenti – aiuterà L’IPV (iniettabile) invece induce la sola immunità umorale e il a individuare precocemente, prevenire e combattere le virus può insediarsi nell’intestino – di solito senza danno – e malattie trasmissibili. iniziare a circolare fino a incontrare un soggetto suscettibile. L’ultimo caso di polio in Svizzera risale al 1982, quindi siamo L’assenza di immunità di gregge accresce il rischio laddove per“polio-free”. Una dicitura che dovrebbe metterci al sicuro. sistono sacche di non vaccinati per ragioni ideologiche o religiose. È avvenuto, per esempio, nella comunità Amish in Olanda. Pur La parola all’epidemiologo avendo una copertura vaccinale del 97%, ogni 10-15 anni negli Vi sono paesi polio-free e con alti standard igienici in cui ultimi decenni del 1900 si registravano epidemie di polio, che


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poi si diffondevano in comunità Amish del Canada e degli USA. L’uso di OPV invece garantisce l’immunità di gregge, mentre il rischio di paralisi vaccino-associata è rarissimo. Cosa aspettarsi dopo la recente recrudescenza in paesi che da tempo non sperimentano epidemie di polio? In quasi tutti i paesi industrializzati da oltre dieci anni si vaccina solo con IPV, quindi l’immunità di gregge si va riducendo. Inoltre, l’assenza di casi di poliomielite spinge ad abbassare la guardia e a ridurre l’offerta delle vaccinazioni. L’alibi in questo caso è l’opposizione della popolazione ai vaccini, certamente presente, ma cui si possono attribuire al massimo un paio di punti in percentuale nella riduzione delle coperture vaccinali. Gioca anche l’inefficienza dei servizi sanitari che pesa soprattutto sulle aree svantaggiate della popolazione. Peraltro, la possibile importazione di poliovirus proviene da aree in cui si manifestano conflitti, in prevalenza per il controllo di fonti di energia e di materiali strategici per lo sviluppo di tecnologie della comunicazione. C’è quindi il rischio di reintroduzione e circolazione di poliovirus selvaggi. Alcuni sprovveduti ritengono che basti impedire l’immigrazione, come se non esistesse la circolazione delle persone in entrambe le direzioni.

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Le raccomandazioni e le azioni messe in atto dall’OMS sono efficaci? Finalmente la diffusione della polio è considerata un’emergenza e un rischio di sanità pubblica per cui è essenziale una risposta internazionale coordinata. Le raccomandazioni, pur necessarie, sono però insufficienti. Arrivano tardi e si rivolgono solo a dieci stati. Mi sento di affermare che non vi è paese al mondo con oltre 10 milioni di abitanti che rispetti integralmente i criteri posti per dichiarare un paese polio-free. L’OMS avrebbe dovuto sollecitare tutti i paesi polio-free alla verifica tempestiva dei criteri e – senza tale rassicurazione – a procedere rapidamente alla somministrazione di due dosi di OPV a tutti i vaccinati con solo IPV.

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Sembra necessaria una nuova forma di lotta alla polio. Sarebbe utile coinvolgere la popolazione nel processo decisionale per la scelta della strategia vaccinale? Ogni provvedimento di sanità pubblica andrebbe discusso apertamente nella popolazione, senza schematismi ideologici e paternalismo direttivo. Oggi la maggior parte della popolazione, soprattutto sotto i sessant’anni, accede a internet ed è scolarizzata. Sarebbe folle trattarla da incompetente. L’approccio paternalistico direttivo non funziona più, anche a causa della bassa credibilità che le società scientifiche e, a volte, le istituzioni sanitarie si sono conquistate per i conflitti di interesse e le collusioni con le multinazionali del farmaco.

note 1

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WHO vaccine-preventable diseases: monitoring system. 2014

global summary - who.int/immunization/monitoring_surveillance/en/ Dati dell’Ufficio federale della sanità pubblica Si parla di immunità di gregge quando la vaccinazione di gran parte della popolazione mette al riparo anche i non vaccinati. Ciò avviene perché l’alta percentuale di persone “resistenti” con immunità anche intestinale riduce la probabilità che persone non vaccinate o che non hanno sieroconvertito incontrino un individuo colonizzato da poliovirus.

Marlene B. / Vincitrice del concorso per modelle RAUSCH

* Fino ad esaurimento scorte


L’uomo televisivo Un’intervista diretta e senza peli sulla lingua a Maurizio Canetta, 57 anni, che da giugno dirige la RSI. Un confronto inconsueto in cui entrano ricordi, aspirazioni e le nuove sfide personali e aziendali di Marco Jeitziner; fotografia di Reza Khatir

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Signor Canetta, cominciamo da lei. Che ricordi ha della sua infanzia? Un quartiere pieno di vita come Molino Nuovo, un maestro fantastico alle elementari come Giovanni Cansani, alcuni amici di allora che vedo ancora oggi, una famiglia vitale e bellissima, molti giochi, poche difficoltà a scuola, la ferita di aver perso mia madre quando avevo diciannove anni. Si definisca in poche parole, tra pregi e difetti... Testardo e molto terreno (sono del capricorno), un po’ permaloso, curioso, versatile, amo il lavoro che faccio, so di essere stato fortunato. A volte maldestro nella vita quotidiana. Cosa ha significato per lei essere figlio di Alberto, attore e regista RSi che fu molto popolare in Ticino? Molto, perché ho respirato teatro e radio fin da piccolo e ricevuto lezioni di vita ogni giorno. La più grande me l’hanno data mia madre e mio padre per come hanno accompagnato il percorso di mia sorella handicappata, che oggi vive con la mia famiglia.

I ricordi più forti sono quelli di colleghe e colleghi che mi hanno insegnato, con i quali ho lavorato e che poi ho pure diretto. Il brutto sta negli errori, soprattutto in quelli commessi con le persone. Ho sofferto quando “Storie” non funzionava e abbiamo dovuto ripartire quasi da zero. Fare il direttore è un altro mestiere rispetto al giornalista. Non sarà più in TV, ma dietro le quinte. Le dispiace un po’? Cosa cambierà? Un po’ di dispiacere è logico. Cambierà la densità del lavoro, non la quantità. in Ticino manca un po’ la critica e l’autocritica. Siamo un po’ sciovinisti, diciamo. Lei ha dichiarato (“Azione”, 3.3.2014) che la critica “è molto utile”. Non ci sembra però che alla RSi se ne faccia molta, anzi… La critica dei programmi è quotidiana e le redazioni la praticano. Credo che se si è sicuri della qualità del proprio lavoro e lo si svolge con rigore, non ci debbano essere problemi ad ammettere gli errori. Le persone ci scrivono e rispondiamo sempre.

Dallo stage al TG di Zurigo nel 1980 fino alla direzione RSi ne ha fatta di strada. Quali i ricordi più belli e quelli

meno piacevoli?

Ci concede una critica? Potrei rispondere di no? Non credo.


Circa la trasmissione “Il gioco del mondo”, che ha ideato, il suo stile pacato non mi è parso molto adatto all’intrattenimento. Perché ha voluto anche condurla? Prendo nota dell’appunto e ci lavoro per l’ultima registrazione. Ad alcuni però lo stile trattenuto garba. La TV rende un po’ narcisi e vanitosi. È d’accordo? Sì. Basta saperlo e avere misura in quello che si fa. Attualmente sul piano finanziario l’Orchestra della Svizzera italiana è in crisi, mentre “I Barocchisti” (ensemble strumentale legato al coro RSI) stanno andando alla grande. In che modo intendete procedere su questo fronte? Lavoreremo affinché le grandi qualità di questi complessi vengano valorizzate, senza metterle in competizione. Naturalmente dovrà essere un lavoro svolto in comune tra pubblico e privato. Noi faremo la nostra parte, seguendo il nostro mandato. Veniamo al canone radio-TV svizzero, il più caro d’Europa a causa – si dice – dell’offerta in quattro lingue. Non mi pare però che questo sistema aiuti granché l’apprendimento delle lingue, tanto meno a unire le regioni linguistiche del paese, o sbaglio? La missione della SSR è quella di diffondere la conoscenza e la comprensione tra regioni linguistiche. Faremo di più del già molto che facciamo. Avremo presto dei produttori nelle quattro regioni che dovranno proporre ai colleghi i programmi delle altre regioni e che lavoreranno sui progetti nazionali. Tentiamo un paragone. In Austria la popolazione è di poco superiore (8,4 milioni) alla Svizzera, ma l’emittente pubblica ORF ha poco più di 3 mila dipendenti a tempo pieno, contro i quasi 5 mila della SGR SSR. Non mi dica che tutte queste assunzioni si giustificano solo per il plurilinguismo? Il maggior costo del plurilinguismo è stato stimato (non da noi) al 40%. Faccia due conti e vedrà che ci siamo. Riguardo alla proposta di far pagare il canone a tutti (sul modello tedesco), va considerato che ci sono persone che di TV, radio o siti internet proprio non ne consumano. Perché dovrebbero pagare il canone? Il parlamento sta discutendo il progetto di tassa sui media, dunque per ora no comment. A noi preme soltanto che ci vengano fornite risorse sufficienti per garantire la qualità dell’offerta. Non si capisce perché i beneficiari di prestazioni complementari (PC; circa 290.000 persone) che sono in AVSAI siano esentati dal canone. Se ne pagassero anche solo metà porterebbero quasi 60 milioni di franchi all’anno all’ente. Come non si capisce perché i dipendenti SGR SSR non lo paghino (l’ammanco sarebbe di 2 milioni di franchi l’anno). Per esempio, i dipendenti delle FFS, ci è stato confermato, non viaggiano gratis. Non lo ritiene, lei che è di area socialista, poco giusto o solidale? Idem come sopra per la prima parte della domanda. Sulla seconda: i giornalisti dei quotidiani pagano l’abbonamento al giornale che realizzano? Sinceramente non colgo il nesso con la solidarietà.

Dino Balestra (l’ex direttore) alcuni errori li ha pur fatti: trasmissioni flop, assunzioni discutibili, crescente ricorso al personale esterno, nomine contestate all’interno, i costi del nuovo logo RSI, cancellazione del TG notturno, partenza di Matteo Pelli, ecc. Lei da nuovo direttore quali errori cercherà di evitare? Trasmissioni flop: c’è un’azienda di media che non ne ha mai avute? Assunzioni discutibili: su 1.200 impiegati ci può anche essere qualcuno meno bravo di altri. Personale esterno: il mandato ci impone di collaborare con l’industria audiovisiva privata. Costi del nuovo logo: in linea con quanto fanno altre aziende e costi tra l’altro abbondantemente ammortizzati dal successo. TG Notte: è stata una mia proposta. Per inciso, oggi mantiene il TG della notte solo SRF, che è l’unità aziendale più grande. Il futuro delle news è nel web e nel cosiddetto “mobile”. Partenza di Pelli: se un bravo collega vuole fare altro e ha un’offerta che lo alletta, dove sta l’errore del direttore? Per tornare alla domanda: non vorrei semplicemente fare due volte lo stesso errore. Un altro tema spinoso è l’idea di fare pubblicità nei siti internet SSR SGR per avere più introiti. Se ciò dà fastidio giustamente agli editori privati che non godono della vostra posizione, viene da pensare che i costi aziendali siano semplicemente troppo elevati. Forse certi stipendi sono eccessivi, forse ci sono troppi dipendenti, forse certi diritti televisivi sono ormai superflui, che dice? Il sillogismo mi pare spericolato. Forse non tutti si rendono conto di che cosa significhi avere un servizio pubblico in un paese come il nostro. La SSR deve poter lavorare sull’online perché lo sviluppo dei media passa da lì. A meno che si voglia un panorama mediatico svizzero dominato dai giganti stranieri. Lo stesso discorso vale per chi da noi spara ad alzo zero sulla RSI. Criticare, certo. Spronare anche. Chiedo solo onestà intellettuale. Perché secondo lei la BBC inglese funziona solo col canone e senza pubblicità, anche se con fatica, e la SGR SSR sembra di no? Storia, tradizione e massa critica hanno un peso. Inoltre in Gran Bretagna o nei paesi scandinavi la concorrenza straniera è praticamente nulla, mentre da noi è moneta corrente in tutta la Svizzera. Indebolire la SSR vuol dire indebolire il federalismo e far pagare il conto alle minoranze. L’unica novità in diversi anni sembra l’esperimento del TG fatto da redazioni di lingue diverse. Dimostra che il modello aziendale decentralizzato (Ginevra, Zurigo, Lugano) forse oggi è superato: basterebbe una sede nazionale, delle piccole filiali regionali, maggiore collaborazione, scambio di materiale e telelavoro. Si ridurrebbero anche i costi (e il canone). Che ne pensa? Se dovesse passare la tassa radio-TV, il canone verrà comunque abbassato. Se stessimo ai dati puramente numerici (contributo agli introiti nazionali), la Svizzera italiana avrebbe diritto a una finestra informativa di dieci minuti al giorno. Ci sono apprendisti stregoni che lavorano in questa direzione, in nome del buon governo e della presunta efficienza. Se vogliamo farci del male, prego si accomodino.

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Vitae 12

o origini aramaico-siriane. Sono arrivato in Svizzera nel 1986 con tutta la famiglia, la moglie e tre figlie, per migliorare la mia situazione finanziaria. Ma quando poi sono iniziati i problemi nel mio paese, alla fine sono rimasto qui e sono contento, perché la gente ticinese, e soprattutto quella bellinzonese, mi ha accolto da subito. Non mi sono mai sentito uno straniero e per questo vorrei davvero ringraziare. Sono nato in un paesino nella provincia di Hassakè, nel nord del paese, dove ho frequentato le scuole normali fino al liceo. Poi sono andato a fare il falegname, un mestiere molto diffuso in Siria. Avevo una piccola fabbrica dove costruivo mobili per camere da letto, armadi, divani ecc, che ai tempi costavano anche parecchio. Se torno ancora in Siria? No, oggi raramente, anche perché costa troppo. Io sono il più giovane di due fratelli ed entrambi viviamo qui in Ticino. Abbiamo anche tre sorelle e una è la più anziana di tutti. Dove vivono? Siamo sparsi un po’ in tutto il mondo: una è in America, una vive in Svezia e due sono in Germania. All’inizio, quando sono arrivato, ho chiesto un aiuto, ma poi ho trovato lavoro come assistente falegname. Per una decina d’anni continuavo a spostarmi da una ditta all’altra, finché nel 1997 ho deciso di aprire questo negozio di alimentari e da allora sono qui in via Nosetto. Mi sembra che il mio negozio, e forse un altro che c’è a Lugano, siano stati i primi a proporre il kebab in Ticino, ma il mio è il primo a Bellinzona. Come si prepara la carne? È vero, tanta gente me lo chiede. Io ora non la preparo più, una volta lo si faceva, ma oggi non più, perché tante ditte se ne occupano. Io sono l’unico in città che viene fornito da una ditta svizzera! La mia carne è di vitello, con una piccola quantità di pollo, poi viene tritata bene, impastata, le si dà una forma rotonda e infine la si congela. Quando mettiamo il pezzo di carne per cuocere, questo deve sempre girare altrimenti brucia! A me piace mezza cotta, per dire, ma c’è un amico mio invece che resta qui ad aspettare e non me la lascia tagliare finché non è bella bruciata: la vuole proprio “marrone”! Del resto, ognuno ha i suoi gusti! Com’era visto il kebab dai bellinzonesi? Lo guardavano

e dicevano: “che schifo!” (ride, ndr.) Devo dire che all’inizio ho sofferto abbastanza per questo, ma oggi credo che siano in pochi a non averlo mai assaggiato. Anzi, a volte sono persino i genitori che portano qui i loro figli e glielo fanno provare. Se piace? Certo, anche perché è un pasto completo, con insalata, carne, pane ecc, e poi si consuma al volo e costa poco. Purtroppo tra due anni circa dovrò lasciare il posto, perché il nuovo padrone dell’immobile non vuole vedere il kebab nel suo palazzo. Me l’ha detto “secco”, così! Ora sto cercando un altro spazio, spero un po’ più grande, per poter mettere anche dei tavoli e delle sedie, più o meno come in un ristorante. Se lo trovo, bene, se no dove vado? Allora meglio la pensione! In realtà, mi è sempre piaciuto cucinare. Perché? Perché mi piace mangiare! (ride, ndr.) Ma la cucina siriana non è solo kebab, e col Libano, per esempio, abbiamo varie cose in comune. Noi usiamo molto il burgul, che è un macinato di grano duro bollito. Poi abbiamo delle lenticchie per fare minestrine, molta verdura bollita, insalate come il tabulè e un piatto famosissimo, composto da un ripieno di riso e carne macinata, arrotolato in foglie d’uva, chiamato malfuf. In alternativa viene messo nelle melanzane o nelle zucchine che poi si fanno bollire. È buonissimo! Ognuno lo fa come preferisce ma si chiama sempre mhsci. Qui in negozio abbiamo anche olive, fave, crema di ceci, crema di melanzane, capelli d`angelo, burgul, lenticchie rosse, ecc. Non ho sempre cucinato il classico kebab, facevo anche gli spiedini di kebab, ma non è andata bene perché bisognerebbe potersi sedere e comunque il negozio è piccolo per fare tutti questi cibi. Quale cibo ticinese mi piace? La pizza! Anche se è italiana, ma per me anche il Ticino è un po’ Italia! (ride, ndr.). È importante però che in Ticino ci siano negozi di alimenti stranieri, ci vuole, perché dobbiamo conoscere tutta la gente! Se rimaniamo dentro la nostra casa e non sappiamo chi è il nostro vicino, non è bello. Ecco, il cibo è un modo per conoscere gli altri.

GOrO CHukrI

Falegname immigrato dalla Siria si è reinventato una nuova vita e un mestiere a Bellinzona, il kebab, attraverso cui diffonde la cultura del suo paese

testimonianza raccolta da Marco Jeitziner fotografia ©Davide Frizzo


Le ali di Locarno di Roberto Roveda; fotografie ©Reza Khatir

A livello nazionale lo scalo del Piano di Magadino figura fra i più importanti aeroporti senza traffico di linea e ricopre una fondamentale funzione per le attività di formazione dei piloti civili e militari. A livello cantonale, in quanto a superficie, è l’aeroporto più grande e c’è chi lo vorrebbe in concorrenza con Lugano-Agno


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d alcuni pare un autentico spreco, un’occasione mancata quella di non avere nel nostro cantone un altro scalo aeroportuale dedicato ai voli di linea oltre a quello di Lugano-Agno. Stiamo parlando dell’aeroporto cantonale di Locarno, oggi destinato al traffico privato (business e svago), all’addestramento dei piloti o ad attività di svago come il volo a vela e il paracadutismo. Troppo poco per una struttura con tre piste e che si estende su una superficie di 100 ettari?

Le funzioni dell’aeroporto di Locarno Facilmente, infatti, viene da pensare – forse troppo facilmente – che il Piano di Magadino rappresenti il luogo ideale per realizzare un aeroporto con ben altre ambizioni e altre funzioni. Questa tesi era stata fatta propria dal Consiglio di Stato nel 1935 e dal Gran Consiglio negli anni sessanta quando si decise di realizzare l’aeroporto principale del cantone proprio a Locarno. Le cose andarono diversamente in seguito a una votazione popolare che nel 1969 si oppose al progetto e alle scelte dei primi anni ottanta della Crossair


Responsabili nella torre di controllo durante un’attività di routine in apertura vista sull’installazione e sull’aeroporto militare di Magadino

che fecero sì che l’aviazione di linea avesse base a Lugano/ Agno. Poi, nella pianificazione della rete di aeroporti svizzeri del 2000, il Consiglio federale ha indicato che, perlomeno a medio termine, Locarno dovrebbe mantenere la sua storica configurazione: aeroporto di valenza nazionale, ma senza traffico di linea. Un progetto sviluppato dal Dipartimento del territorio prevede, però, l’allungamento della pista principale e l’aggiornamento delle infrastrutture operative e, da parte di operatori privati, nuove infrastrutture logistiche. Un

progetto, quello cantonale, che non è ancora decollato, ma che deve far pensare a un futuro diverso dal presente per l’aeroporto cantonale di Locarno? Ne parliamo con Davide Pedrioli, delegato cantonale per l’aviazione civile e direttore dello scalo locarnese. Il contesto di riferimento nel quale si potrà sviluppare nel prossimo futuro Locarno è quello deciso una decina di anni fa dal Consiglio federale e dal Consiglio di Stato. In concreto si prevede per Lugano – Agno il mantenimento e lo sviluppo dell’aviazione di linea, charter e business, mentre per Locarno il mantenimento (...)


delle attuali funzioni, prima di tutto quella fondamentale di formazione dei piloti civili, militari e piloti di elicotteri. Il progetto di allungamento della pista, deciso nel 1999, non è quindi il preludio a un cambiamento di funzioni? L’aeroporto di Locarno non ha bisogno di cambiare funzioni e non è sottoutilizzato. È uno scalo di livello nazionale per le tipologie di aviazione di turismo e di formazione e non è previsto un sostanziale aumento dei movimenti nel nostro aeroporto nei prossimi anni. L’allungamento di 150-160 metri della pista principale, quella pavimentata, è stato pensato per ottemperare alle sempre più impegnative normative per le fasi di decollo e atterraggio. L’allungamento poi ha una conseguenza positiva: garantisce un maggior rispetto dell’area protetta delle Bolle di Magadino e delle zone turistiche che si trovano a ovest dell’aeroporto. L’allungamento della pista permetterà, infatti, agli aerei di avere maggiore spazio prima di decollare, di levarsi in quota all’interno dell’area aeroportuale e quindi passare a quota più alta sulle Bolle e le zone turistiche. Quindi si avrà un minore impatto sull’ambiente circostante, soprattutto per quanto riguarda il rumore.

Una scelta con vantaggi per l’ambiente e la popolazione, quindi… L’impatto ambientale sarà sicuramente minore con la pista allungata, anche se è difficile dire quanto sostanziale sarà questo miglioramento. Un altro elemento, sicuramente non meno importante, che migliora l’impatto ambientale e soprattutto le immissioni foniche, è dato dallo sviluppo tecnologico. I residenti, i turisti e l’avifauna che viene ospitata nelle Bolle saranno meno disturbati non solo grazie dall’allungamento est della pista, ma anche grazie all’utilizzo di aeromobili più moderni e molto meno rumorosi. Ma perché 15 anni, tanto tempo, per allungare la pista? Questo tempo è dovuto alla procedura di valutazione del disturbo per gli uccelli migratori dovuto al sorvolo delle Bolle di Magadino. Malgrado l’approfondimento fatto dal Dipartimento del territorio nei primi anni duemila, alcuni servizi federali hanno voluto approfondire la valutazione. Per rispondere alle esigenze di protezione delle Bolle abbiamo già diminuito il potenziale di movimenti dello scalo e imposto agli operatori (sia civili, sia militari) una serie di limitazioni operative.

Alcuni aerei in fase di riparazione e revisione all’interno dell’hangar


La coda del leggendario Pilatus

A livello di autorità, invece, tutto si è consolidato nel 2007 dove in pratica tutti i comuni e la regione hanno dato il consenso al progetto di allungamento della pista proposto dal cantone. Quando a suo parere si andrà alla fase operativa del progetto? Con l’accettazione da parte del Consiglio di Stato dell’ultimo compromesso a favore dell’avifauna migratrice delle Bolle si potrebbe ipotizzare che entro la fine del corrente anno il Consiglio federale approverà in modo definitivo la pianificazione dell’aeroporto di Locarno e nel prossimo anno i vari progetti di aggiornamento delle infrastrutture civili che ormai datano a cinquant’anni fa.

Al di là di quanto deciso, il Ticino avrebbe bisogno di un secondo aeroporto per voli di linea e voli commerciali di linea oltre a Lugano? No, assolutamente no… Lugano è più che sufficiente, anzi fa fatica a mantenere le rotte attuali. Il Ticino poi ha una densità d’uso del territorio corrispondente all’Olanda, cioè 1000 abitanti per km2 e all’interno quest’area densamente antropizzata troviamo tutte le aree urbane, gli aeroporti, tutta la zona agricola… non avrebbe nessun senso, nemmeno sotto il profilo territoriale, avere due aeroporti della stessa categoria. Se poi, nel lungo periodo e completato il collegamento con il nord dato da Alp Transit, si volesse organizzare il sistema in modo diverso e avere un unico aeroporto, allora non credo che le opzioni sul tavolo siano molte. Ma lasciamo queste valutazioni alla prossima generazione!


Un incontro imprevisto di Natascha Fioretti; illustrazioni ©Alessia Passoni

Racconto 42

È una mattina di primavera come tante altre. L’aria è frizzante mentre primi intrepidi raggi di sole si affacciano sulle montagne. Sara si sveglia come sempre con i criceti nella testa, mille pensieri su cosa dover fare, organizzare, andare…. È sabato ma nulla importa per lei, che non riesce mai a stare ferma e per cui non esistono giorni di riposo, almeno che non si parta per una vacanza. Allora si riesce a staccare, a tirare il fiato, altrimenti la voglia di fare e la paura di annoiarsi prevalgono e un giorno non assomiglia mai all’altro. Questa mattina, tra mille pensieri, una rivelazione urgente: la montagna di panni sporchi che non può più aspettare se non vuole andare in giro in mutande o con lo stesso paio di jeans che ormai cammina da solo! Ma mancano da aggiungere al bucato due magliette che sono ancora in macchina “Uffa! devo andare a prenderle” pensa. Così sulle onde di questo poetico pensiero mattutino la bionda Sara, tutta lentiggini e occhi, due gambe lunghe lunghe e ossute, si alza, va in bagno e si infila l’Accappatoio con la “A” maiuscola. Non uno qualunque evidentemente ma il suo preferito: su uno sfondo celeste intenso si stagliano una serie di righe fitte fitte tutte colorate, rosso, giallo, verde, arancio… dentro quel concentrato morbido di tessuto spugnoso il suo corpo si perde, non solo per la magrezza ma per la misura XXL che andrebbe bene anche a un piccolo lottatore di sumo. Così in quella splendida mattina

arosiana esce a piedi nudi e percorre il vialetto di casa fino alla sua auto. Le piante in giardino sono tutte in fiore, le azalee in particolare sbocciate in ogni angolo mentre cespugli di ortensie si preparano ad esplodere. Apre l’auto, più una seconda casa che un mezzo di trasporto, in cui dalla scatola iniziata di biscotti ormai vecchi e rinsecchiti, ai giornali della settimana scorsa, alle scarpe per andare a correre non manca nulla e rovista un po’ qui e un po’ là in cerca delle magliette. A un tratto un rumore. Tira fuori la testa e guardando oltre il tetto della sua Honda rosso fuoco si mette in ascolto. Si accorge che non è un rumore qualsiasi ma un fruscio che proviene dalla collina davanti a casa, quella che salendo conduce subito nel bosco. Un fruscio di foglie e di erba che si fa sempre più vicino e distinto anche se non si vede nulla. Sara, che adora il bosco e ha sempre lo sguardo vigile nella speranza di incontrare una volpe, un daino, uno scoiattolo, si dimentica in un istante delle magliette e a piedi nudi si avventura fuori dal giardino fino ai piedi della collina scrutando attenta ogni pianta e cespuglio. Inizia a fantasticare su cosa


possa essere: un serpentello, una volpe o forse solo un gruppo di lucertole in gita. Poi le viene in mente che è a piedi scalzi ”Qualunque cosa sia speriamo che non morda!”. Per un attimo fanno capolino due orecchiette nere e poi più nulla. L’erba torna a muoversi, prima nella sua direzione infine il misterioso animale vira improvvisamente un po’ più a sinistra. “Deve avermi sentito”, pensa lei, sempre più in tensione, combattuta tra la curiosità di vedere di che cosa si tratta e il timore di un incontro tutt’altro che piacevole. Il fruscio si fa sempre più intenso, il movimento dell’erba indica chiaramente che l’animale si sta avvicinando, sta per sbucare anche lui sul sentiero. “Non posso crederci!” esclama dentro di sé, per non spaventare l’essere buffissimo a quattro zampe che improvvisamente si palesa al fianco dei suoi piedi. Basso, cicciottello, nero e bianco, un grosso codone bianco… “Sei un tasso!” gli dice sorpresa e contenta “Buongiorno! Che ci fai qui?”. E allora quello che fino a pochi istanti prima era un animale sereno e contento perso nella sua passeggiata tra i monti arosiani ha un sussulto improvviso. L’ignaro tasso infatti, contrariamente a quanto pensasse Sara fino a quel momento, non si era assolutamente accorto della sua presenza. Ha infatti il tipico sussulto di chi all’improvviso realizza che qualcosa non va; attratto dalla voce, per capire in quale brutto guaio si è cacciato, guarda in su. Occhi neri profondi, chiusi in due piccole fessure incontrano Sara o qualche parte di lei perché da quella prospettiva non è facile la messa a fuoco. Grande lo spavento nel vedere un essere più grande di almeno dieci volte infagottato in un accappatoio dai colori psichedelici,

con i capelli corti sparati dritti in testa alla ricerca disperata di un pettine. Che colpo, e questo di prima mattina! Neanche il tempo di una smorfia sgomenta che il paffuto tasso, sguardo dritto in avanti, turbo azionato, si lancia di corsa giù per la collina, più veloce che può. Sara impalata sul sentiero lo segue con lo sguardo e da dietro lo vede muso in giù, coda in su quasi rotolare tra gli alberi con il codone che sbatte rimbalzando ritmicamente a terra e il pancione che ondeggia a destra e a sinistra, a destra… A nulla valgono le sue parole per tranquillizzarlo e tentare un’amicizia. Il simpatico tasso deve averla scambiata per uno di quei tremendi mostri del bosco arosiano che nessun animale vorrebbe mai incontrare al mattino appena sveglio Felice di questo incontro, perché insomma un tasso da vicino non lo aveva mai visto in tutta la sua vita, con aria sognante di chi custodisce un segreto tutto per sé Sara torna all’auto e prende finalmente le sue magliette. Svegliarsi tutte le mattine con in testa i criceti che corrono sulla ruota e già ti stressano non è sempre il meglio di una vita zen ed equilibrata ma quella mattina grazie a loro e a due magliette da infilare in lavatrice ha avuto la fortuna di incontrare un tasso. Dolce il profumo e il gusto del caffé al solo pensiero di questo fantastico incontro.

Racconto 43


MODA TRA LE RIGHE Tendenze p. 44 | di Marisa Gorza

E

dire che le origini del motivo à la marinière hanno davvero ben poco a che fare con la moda... Le maglie a linee orizzontali di due colori contrapposti, bianco e blu o bianco e nero, fin dagli albori dell’ottocento, venivano infatti usate dai pescatori e marinai bretoni. Le righe furono adottate per ragioni di praticità, sia per distinguere più facilmente gli uomini caduti in mare, sia per confondere le inevitabili macchie di grasso che i marinai si procuravano a bordo. Nel 1858 la Marina Militare francese promosse la maglia a divisa ufficiale, inserendovi 21 righe. Non una di più, non una di meno delle vittorie conseguite dal genio stratega Napoleone.

Vestivamo alla marinara All’inizio del novecento, le righe orizzontali, oltre a continuare a vestire rudi lupi di mare, galeotti e gondolieri, caratterizzavano le tenute dei bambini, sia maschietti che femminucce. Erano gradite ai piccoli in quanto il richiamo alle divise dei naviganti stimolava la loro fantasia e i loro sogni d’avventura. Fu comunque l’anticonformista Coco Chanel a trasformare la maglia para militare in un disinvolto indumento très chic. Erano gli anni venti e secondo Mademoiselle i tempi erano maturi per lo sdoganamento dei capi maschili e regalare alle donne maggior libertà di movimento. L’influenza dello stile sailor cominciò quindi a contagiare intellettuali, artisti e gente di spettacolo dell’Europa Occidentale e del Nord America a cominciare dall’eccentrico Pablo Picasso a Ernest Hemingway, da James Dean a Andy Warhol, per non

LA “CHEMISE BRETONE”, MEGLIO CONOSCIUTA COME “MAGLIA ALLA MARINARA”, È SENZA DUBBIO UNO DEI CAPI CHE MEGLIO ESPRIME IL DISINVOLTO E FRIZZANTE STILE ALLA FRANCESE. UN CAPO ICONICO, SIA DEL GUARDAROBA FEMMINILE CHE MASCHILE, CON QUELLE RIGHE CHE RICHIAMANO LE ONDE DEL MARE, PARLANO DI VACANZE, DELINEANO ORIZZONTI INFINITI parlare della capricciosa Brigitte Bardot che la indossava con shorts striminziti e a piedi scalzi. Intorno agli anni cinquanta le famose rayures furono appannaggio di procaci pin-up, made in USA, immortalate ammiccanti e sorridenti intorno alle piscine o sugli yatch più lussuosi in T-shirt e bikini… rigati. Tuttavia la ma-

glia in questione raggiunse il boom dei consensi nel decennio successivo. Era l’epoca di Portofino e Saint Tropez, quando sull’onda della moda yachting, la tenuta spopolò tra attrici, attori, cantanti, socialities e chiunque volesse apparire up to date. Nel 1985 Jean Paul Gaultier ne sovvertì i ranghi proponendola sotto lo smoking e lo stilema marinaro diventò il logo di ogni sua creazione. Ne ha fatta di strada negli ultimi cent’anni la nostra maglia, rivisitata e riadattata da ogni stilista in base al momento storico e alla sua personale filosofia estetica. È stata un caposaldo di Yves Saint Laurent, ha scatenato l’estrosa fusion East/West di Kawakubo e Yamamoto e in tempi recenti ha ispirato Gucci, Stella Mc Cartney e molti altri. Continuiamo a vestire à la marinière Un fresco prototipo di guardaroba tutto rigato? Quello proposto dal giovane brand romano 5PREVIEW, disegnato dalla svedese Emeli Martensson, dove il minimalismo discreto da sartoria italiana si sposa con la chiassosa realtà punk scandinava. Legati insieme da una matrice prettamente francese. Difatti le righe blu sul fondo bianco ottico appaiono un po’ stinte, quasi per effetto del sole e del salmastro di una spiaggia bretone. Si rincorrono gioiose sul minidress di seta e poi si tratteggiano in navy blue sulla tuta-minishorts e sulla maxi canotta maschile, interrotte da scritte arancio fluo. Le troviamo ancora sulla sacca in canvas dal doppio manico in cuoio e sulla enorme sciarpa in microfibra dai mille usi, tutti creativi. Con nostalgie rétro incluse.


Concorso. La foto del mese

Pubblichiamo la quinta immagine selezionata tra quelle giunte in Redazione nell’ambito del concorso fotografico lanciato da “Ticinosette” ai lettori. Il prossimo appuntamento è fra tre settimane…

La famiglia, di Christine Viglezio

Tutti possono partecipare al concorso fotografico anche se, per ovvie ragioni sono, esclusi categoricamente i professionisti della fotografia (ma non gli apprendisti fotografi e altre persone in formazione). Nel corso dell’anno i partecipanti potranno inviare una sola foto per ogni sezione, anche in tempi diversi. Abbiamo definito sei grandi temi nei quali potete sbizzarrirvi: “se stessi”, “in movimento”, “la famiglia”, “il lavoro”,

“gli oggetti” e “l’invisibile”. Ricordiamo che in ogni invio deve essere specificata la sezione a cui si intende concorrere, oltre al proprio nome e cognome, l’indirizzo e un recapito telefonico. Come già indicato, le immagini – che saranno accettate solo se inoltrate in alta risoluzione (300/320 ppi) in modo da consentirne la pubblicazione – dovranno essere inviate al seguente indirizzo di posta elettronica: phototicinosette@gmail.com.

Mensilmente pubblicheremo un’immagine selezionata tra quelle giunte nell’arco delle quattro settimane, e ritenuta la più interessante dal comitato di Redazione. Fra tre settimane verrà dunque pubblicata la sesta immagine selezionata e alla fine del 2014 le migliori saranno raccolte in un reportage. Il vincitore finale, selezionato sempre dalla Redazione, riceverà un premio in contanti di ben 400 franchi.


La domanda della settimana

Ritenete che una ristrutturazione dell’aeroporto di Locarno per renderlo idoneo ai voli di linea gioverebbe al turismo e allo sviluppo del cantone?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 26 giugno. I risultati appariranno sul numero 27 di Ticinosette.

Al quesito “Vi è capitato di scaricare illegalmente e a titolo gratuito contenuti come file musicali o film da internet?” avete risposto:

SI

17%

NO

83%

Svaghi 46

Astri ariete Malumori all’interno dei rapporti familiari. Condividete maggiormente le emozioni con il partner. Viaggi e incontri favoriti da Mercurio.

toro Fate forza sulle relazioni familiari. Vita sentimentale alla grande per i nati nell’ultima decade favoriti da Venere. Avanzamenti di carriera.

gemelli A partire dal 23 sarete beneficiati da Venere. Situazione sentimentale esplosiva. Incontri inaspettati. Vivete l’istante. Successi, viaggi e guadagni.

cancro Potrete andare incontro a qualcosa di incredibile! Senza contare che Saturno sarà con voi fino al 24 dicembre del 2014. Bene il 22 e il 23 giugno.

leone Il ritmo della quotidianità tende ad accelerare. Spostamenti. Saturno continua la sua archetipica azione di severo collaudatore dei rapporti familiari.

vergine Vittoria in una vertenza legale. Attenti a non parlare troppo e a mantenere la giusta riservatezza. Follie d’amore per i nati nella prima decade.

bilancia Con l’arrivo di Venere nel segno dei Gemelli si apre una positiva fase astrale. La Luna sarà particolarmente positiva tra il 24 sera e il 26.

scorpione Grazie ai lunghi transiti di Giove e Saturno e alla perseveranza del vostro lavoro riuscite a ricavare dei guadagni di una certa entità.

sagittario Grazie al transito di Venere non avete intenzione di prender la vita troppo seriamente. Meglio divertirsi. Tra il 25 e il 26 bipolarità centaure. A dieta!

capricorno Periodo ricco di novità per risvegliati e illuminati; al contrario un autentico terremoto per coloro che non hanno raggiunto una reale coscienza di sé.

acquario Creatività alle stelle. Successo per avventurosi e visionari. Progettate e agite alla grande senza perdere tempo. Bene dal 24 giugno in poi.

pesci Siete al centro di un meraviglioso trigono d’acqua. Salto evolutivo. Promozioni, riconoscimenti e consolidamento dell’aspetto patrimoniale.


Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 27

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 26 giugno e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 24 giu. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna! Orizzontali 1. Titubare • 10. Struzzo australiano • 11. Visto, notato • 12. Nome di donna • 14. Il Ticino sulle targhe • 15. Interpreti, traslatori • 18. Pari in targa • 19. Vasto continente • 20. Dittongo in guerra • 21. Le sorelle dei genitori • 23. Lo ripara il lattoniere • 24. Privo di profumo • 26. Mezza tara • 28. Vi sosta la carovana • 29. Quel che abbaia non morde • 30. Nuovo Testamento • 31. Il dio egizio del sole • 33. Disonesto al gioco • 34. Trasparenti come il vetro • 37. Fra due fattori • 38. Lo attraversa il Nilo • 39. Il nome di Pacino • 41. Profondo, intimo • 42. La Silvia vestale • 44. Dubitativa • 45. Belgio e Austria • 46. Eroe svizzero • 47. Avverso, contrario • 49. Zie spagnole • 50. Pedina coronata • 51. Tolto • 53. Ripidi • 54. Schiavo spartano. Verticali 1. Noto film del 2000 di E. Norton con Ben Stiller • 2. Rifiutata, discriminata • 3. Priva di vestiti • 4. Spossato • 5. Norvegia e Cuba • 6. Le passa in bianco l’insonne • 7. Fu il primo eresiarca • 8. Consonanti in ruota • 9. Le Lipari • 13. Monte greco • 16. L’Aroldo del teatro • 17. Girare, capovolgere • 22. La dea greca dell’aurora • 25. Aerostati • 27. Squilibrato • 29. Storica località della Slovenia • 32. Bestia • 35. Articolo plurale • 36. Andato in poesia • 40. Un raggio del chirurgo • 43. Ha scritto “Felix Holt” • 48. Periodi storici • 52. Austria e Lussemburgo.

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La soluzione del Concorso apparso il 6 giugno è:

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ITALIANO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Pasquale Crivelli 6834 Morbio Inferiore Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

In palio: 2 buoni del valore di CHF 50.– l’uno per l’acquisto di biglietti per eventi FFS Le Ferrovie federali svizzere offrono 2 buoni del valore di CHF 50.– l’uno per l’acquisto di biglietti per eventi da scontare presso una stazione FFS in Svizzera. Ulteriori informazioni su ffs.ch

La stazione FFS: il punto di prevendita di biglietti per eventi. I biglietti per concerti, party, eventi sportivi e numerose altre manifestazioni sono disponibili presso circa 200 punti di prevendita nelle stazioni FFS. L’assortimento comprende tutte le manifestazioni di Ticketcorner e biglietteria.ch. Nelle maggiori stazioni FFS i punti di prevendita sono aperti anche nel fine settimana. Per raggiungere in tutta rapidità e comodità la sede dell’evento, vi consigliamo di prendere il treno. Ulteriori informazioni sono a disposizione su ffs.ch/events. Buon divertimento!

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