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№ 27 del 4 luglio 2014 · con Teleradio dal 6 al 12 luglio

La paura deL cibo

ortoressia: quando ciò che mangiamo diventa il nostro peggior nemico

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Ticinosette n. 24 del 4 luglio 2014

Impressum Tiratura controllata 66’475 copie

Chiusura redazionale Venerdì 27 giugno

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

4 Letture Le ragioni di Adriano di roberto rovedA ...................................................... 7 Media Privacy e web. Non ci sono! di mAriellA dAl fArrA ......................................... 8 Società Editoria. L’altro volto di Guevara di mArco Alloni...................................... 10 Letture Brrr, che buono! A curA dellA redAzione ..................................................... 11 Vitae Giovanni Vassalli di lAurA di corciA............................................................... 12 Reportage Football australiano di Simon mAjek; foto di vincenzo cAmmArAtA .......... 37 Fiaba I piccioni del re di chiArA PiccAlugA; illuStrAzioni di céline meiSSer .................... 42 Tendenze Moda e mare. Intramontabile bikini di mAriSA gorzA ............................ 44 Svaghi .................................................................................................................... 46

Agorà Ortoressia. Alla ricerca del cibo perfetto

di

AmAndA Pfändler ..........................

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

La mente e il cibo Illustrazione ©Danilo Sala

Tutti (o quasi) pagano il canone Buongiorno! Ho letto l’interessante intervista al direttore Canetta pubblicata su Ticinosette (n.

25 del 20 giugno, ndr.). Mi interessava in modo particolare perché sono un ex dell’ente, 45 anni di attività televisiva (con annessi) in vari settori del programma, soprattutto informativi.

L’argomento “canone” trova spazio secondo una sorta di moda di questi tempi. Si afferma che i pensionati, ovviamente beneficiari di AVS, non pagherebbero il canone... Insomma... lo pagano eccome, come tutti gli altri. Semmai ci si dovrebbe chiedere perché ex dipendenti lo debbano pagare... Più in generale: il canone sarà il più elevato d’Europa ma... gli stipendi svizzeri non sono i più elevati del mondo? Perché non lo si dice mai? Sarebbe poi interessante sapere come potrebbe cavarsela l’SSG SSR senza canone se dovesse passare l’iniziativa UDC per la sua abolizione (...). Ringrazio per l’attenzione.

Distinti saluti, M. R. (Breganzona) “[Ticinosette] invece di porsi degli interrogativi fantasiosi (...) avrebbe dovuto mostrare più di coraggio nel replicare al nuovo direttore della RSI. È un privilegio immotivato quello dei dipendenti SSR; se con la nuova legge tutti dovranno pagare il canone, non si capisce perché i dipendenti di radio e televisione pubbliche debbano fare eccezione; un dipendente SSR che lavora per la TV paga il canone della radio? Un giornale non è un mass media pubblico, posso decidere di acquistarlo o meno; i dipendenti di una televisione privata sono pure esentati dal canone? Per assurdo, usando la medesima logica, se lavorassi per l’ufficio cantonale delle imposte, avrei diritto a essere esentato dal pagamento delle tasse? E se lavorassi in ospedale, a non pagare le spese di degenza?

Cordiali saluti, C. G. (Cadro)

Ai più attenti non sarà sfuggita l’imprecisione presente in una delle domande sottoposte al neo direttore della RSI, Maurizio Canetta.

Come segnalato dallo stesso interessato a pubblicazione avvenuta e da alcuni lettori, i beneficiari di rendite AVS e AI pagano i canoni radio-TV come tutti; sono esentati invece coloro che percepiscono anche una “prestazione complementare (PC)”. A questo proposito ricordiamo che i beneficiari di PC in AVS-AI nel 2012 erano ca. 290mila (fonte UFAS): se questi pagassero anche solo 200 franchi – circa metà del canone, come provocatoriamente suggerito nella domanda a Canetta –, la SRG SSR incasserebbe quasi 60 milioni di franchi l’anno in più.

Rispetto ai canoni, e per maggiore chiarezza, riportiamo quanto si legge nella pagina web della società Billag (billag.ch/privati/canoni), dal 1998 incaricata dalla Confederazione di riscuotere i canoni: “Il pagamento (...) non è previsto per chi beneficia di prestazioni complementari federali (PC) in aggiunta alla rendita AVS/AI. La richiesta d’esenzione deve essere fatta per iscritto. La richiesta è da inviare a Billag preferibilmente al momento della richiesta delle PC presso la cassa di compensazione. Chi beneficia già di PC è pregato di allegare, alla domanda di esenzione, il relativo attestato rilasciato dalla cassa di compensazione”. E inoltre: “I residenti di istituti medico-sociali bisognosi di cure giornaliere di almeno 81 minuti sono esenti dal pagamento dei canoni radiotelevisivi. A questo scopo occorre presentare un documento rilasciato dal rispettivo istituto che conferma il fabbisogno delle cure e da quando sussiste”.

Ci scusiamo con i lettori e la stessa Billag per l’involontario errore.

Buona lettura, la Redazione

Alla ricerca del cibo perfetto Ortoressia. Mucche pazze, mozzarella alla diossina, carne di cavallo nelle lasagne, frutta e verdura piene di pesticidi, acqua ai nitrati… Le ragioni per aver paura di ciò che troviamo nei nostri piatti si moltiplicano: per i più ansiosi, o i più radicali, questa paura si trasforma in un vero e proprio terrore del cibo, che può generare disturbi alimentari. In particolare l’ortoressia, ovvero l’ossessione del mangiare sano di Amanda Pfändler; illustrazione ©Danilo Sala

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l termine ortoressia è stato coniato dal medico americano Steven Bratman che nel 19971 per primo diagnosticò questo disturbo proprio su se stesso. Oggi l’ortoressia preoccupa sempre più gli esperti e sembra riguardi ormai tra l’1 e il 3% della popolazione. Negli ultimi anni vi è stato un crescente interesse da parte della comunità scientifica verso questo problema, che colpisce maggiormente persone giovani, piuttosto le donne e nelle classi medio-alte, e che può essere causa di un lento processo di deterioramento fisico e talvolta condurre anche al decesso.

Il termine ortoressia nervosa viene dal greco orthos che significa giusto, corretto, e orexis, cioè appetito. “Gli ortoressici”, spiega la dottoressa Vesna Tomissich, responsabile del Centro di competenza per la presa a carico dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) dell’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio, “soffrono di una forma di ossessione legata all’alimentazione e all’idea di mantenere o migliorare la propria condizione psicofisica, con l’idea di arrivare a uno stato perfetto di salute”.

Patrick Denoux, professore di psicologia interculturale all’università di Tolosa-Jean Jaurès nel suo libro Pourquoi cette peur au ventre?2 (“Perché questa paura in pancia?”), riferendosi all’ortoressia, cui dedica un’esaustiva analisi, parla di “spirale del rischio immaginato”. Concretamente: “L’ortoressico inizia con il privarsi di qualcosa, con l’idea che senza starà meglio. Imputa a determinati alimenti – non importa quali, in quanto ogni ortoressico «si confeziona» una dieta ad hoc – la causa del proprio malessere fisico e psicologico. Dopo un po’, tuttavia, il malessere ricompare, per cui l’ortoressico si priva di qualcosa d’altro, ma ecco che il disagio ritorna; così continua a eliminare alimenti dalla propria dieta, senza però che la sua condizione cambi sostanzialmente.

L’ortoressico pensa di contenere il rischio che attribuisce a un alimento, eliminandolo dalla sua dieta. In realtà, la paura del rischio legato a determinati cibi, invece non fa che aumentare,

e l’ortoressico vive nell’ansia che qualcosa gli sia sfuggito; si priva quindi sempre più di alimenti, fino a che non resta granché: vi sono persone che finiscono per mangiare solo semi caduti per terra, a condizione che non siano stati toccati da una mano umana... Si parte quindi da un rischio immaginato, che si sarebbe anche potuto ignorare, per arrivare a una spirale di sottrazione di alimenti”.

Il legame e la somiglianza con altri disturbi alimentari Attualmente questo disturbo non è annoverato nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM ), poiché non è considerato una patologia psichiatrica alimentare, come lo sono l’anoressia e la bulimia, cui è tuttavia strettamente legato e con le quali viene talvolta confuso. “Il nucleo psicopatologico” indica la dottoressa Tomissich, “è il medesimo: l’ossessione verso il cibo, verso le forme del corpo o verso il peso. Nel caso dell’ortoressia, ci si concentra di più sulla qualità piuttosto che la quantità del cibo – l’ortoressico non vuole diventare magro, bensì sano, puro, naturale, sviluppando una fobia più o meno specifica verso cibi considerati tossici o impuri”.

Vi sono varie somiglianze tra ortoressici e soggetti con altri disturbi alimentari, in particolare anoressici, come per esempio la presenza di un elevato perfezionismo, il bisogno di controllo, la rigidità, i meccanismi fobici e ipocondriaci. Per la maggior parte del tempo gli ortoressici ritengono che gli alimenti non siano sufficientemente sani e quindi preferiscono privarsene piuttosto che consumarli. In questo caso, la frontiera tra ortoressia e anoressia è sottilissima.

In realtà, afferma la responsabile del DCA di Mendrisio, “per quanto abbiamo potuto osservare nei casi trattati al nostro centro, nell’ortoressia si ritrova un aspetto essenziale dell’anoressia nervosa: la dieta ferrea. Nell’ortoressia, come nell’anoressia, vi è una maniacale attenzione a ciò che si

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mangia, si riducono o si saltano i pasti, i cibi sono suddivisi in cattivi e buoni. La persona che soffre di questi disturbi alimentari, cerca costantemente i cibi più salutari o meno calorici, privi di grassi saturi ecc. Il confine tra questi disturbi è molto sottile”. Tant’è che lo stesso Denoux, riferendosi all’ortoressia, parla di una “dissimulazione culturally correct di psicopatologie di tipo bulimico o anoressico”.

Vari studi sottolineano inoltre come l’ortoressia abbia tratti comuni al cosiddetto “Disturbo ossessivo-compulsivo”: come quest’ultimo, anche l’ortoressia, mostra alla base problematiche di ansia con preoccupazioni eccessive, involontarie e non controllabili definite “ossessioni” e conseguenti comportamenti ripetuti e altrettanto ingovernabili, chiamati “compulsioni”, che mirano a ridurre l’angoscia. Nell’ortoressia l’ossessione ha per oggetto la dieta e la compulsione è la dieta stessa.

Le cause di una “nevrosi culturale” Ma quali sono le cause? Chi mangia sano, chi è attento alla propria alimentazione, rischia automaticamente l’ortoressia? La questione non è (fortunatamente) così semplice: per Patrick Denoux l’ortoressia non sarebbe né una fobia, né un disturbo del comportamento alimentare nel senso psichiatrico del termine, né una forma di ipocondria, quanto piuttosto una “nevrosi culturale”, legata

cioè al contesto nel quale vivono i soggetti colpiti; un disturbo psicoculturale, dovuto alle difficoltà dei soggetti di adattarsi a un ambiente culturale in cambiamento e sempre più differenziato. Denoux individua così quattro grandi cause “ambientali”, alla base di questo fenomeno: “Una prima causa è storica, ed è legata al passaggio da un atteggiamento di fiducia nei confronti del cibo a un sensazione di sfiducia: collegata all’alimentazione, nelle società antiche vi era la paura di possibili avvelenamenti, poi con la modernità, siamo passati a una fiducia nei confronti del cibo. Oggi invece riappaiono queste paure di avvelenamento.

Paure innescate anche – ed è ecco la seconda causa – dalle varie crisi alimentari (mucca pazza, influenza suina ecc.), che provocano un clima estremamente ansiogeno. Un clima cui contribuisce anche la terza causa, e cioè le campagne di prevenzione a favore della salute, contro l’obesità ecc. Con l’obiettivo di prevenire, di educare, queste campagne possono diventare controproducenti, poiché drammatizzano l’atto alimentare, provocando ansie e fobie”.

Infine, e secondo Denoux, questa è forse la causa culturale principale dell’ortoressia: “Oggi ci ritroviamo incastrati in tre sistemi di riferimento legati all’alimentazione: quello riferito alla tradizione (mangiare come mangiavano i nostri genitori, i nostri nonni), quello legato agli standard internazionali conseguenza dell’industrializzazione e della mondializzazione (...)

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(cibo preparato su larga scala, abbondante e a basso costo, uguale ovunque, il fast-food) e, infine, il sistema di riferimento connesso alla salute, cioè la preoccupazione di stare bene fisicamente, di avere un bell’aspetto, di essere sani. L’unica soluzione è quella di combinarli, per trovare un proprio sistema di riferimento. Quando questo non avviene, quando ci si rifugia in uno solo di questi modelli, si arriva a situazioni di disturbo. L’ortoressico fa parte di coloro che si sono rifugiati nel modello di riferimento legato alla salute. Abbiamo quindi a che fare con persone molto preoccupate di un ideale nutrizionale che si costruiscono una rappresentazione di ciò che dovrebbe essere idealmente l’alimentazione. Una rappresentazione che s’impongono poi attraverso restrizioni importanti. Si tratta di un modo disadattato di adattarsi alla società di consumo, al mercato, realtà che non hanno alcun senso, poiché si vende qualsiasi cosa in qualsiasi modo, purché vi sia profitto. L’ortoressia può essere vista come un modo per rimettere del senso nella pratica alimentare. Il problema è che è un modo completamente univoco di concepire l’alimentazione. L’alimentazione non è la salute, sono due cose diverse, ma per l’ortoressico vi è una confusione totale tra i due concetti”.

Mangiare solo per nutrirsi e non per il piacere di mangiare è malsano, anche se si mangia sano. “Tutto ciò che è troppo, non è più sano”, afferma la dottoressa Vesna Tomissich.

E così, a poco a poco, senza nemmeno accorgersene, “si scivola nel disturbo alimentare”. L’ortoressico può arrivare a non mangiare un frutto che è stato raccolto da più di dieci minuti, legge e rilegge le etichette dei prodotti in modo ossessivo, si rifiuta di mangiare tutto ciò che non è stato preparato da lui, passa ore e ore ogni giorno a pianificare la propria alimentazione, e cerca continuamente di raggiungere un ideale utopico di salute e pulizia. Insomma, alla fine, il cibo e la ricerca ossessiva di alimenti più sani, occupano l’intera vita di un ortoressico. Una vita che si riduce a una lotta perpetua fra cibi buoni e cibi cattivi.

L’alimentazione sana diventa un credo assoluto, che condiziona l’insieme della vita. E il problema è che non è mai abbastanza.

I danni dell’ortoressia L’ortoressia ha conseguenze devastanti sulla vita di chi ne soffre, poiché provoca danni comportamentali e sociali: diventa impossibile andare al ristorante o accettare un invito a cena da amici e con il passare del tempo la gamma alimentare diviene sempre più ristretta e la qualità del cibo arriva a essere più importante dei valori morali, delle relazioni sociali, dell’attività lavorativa e della vita affettiva, minando il funzionamento globale e il benessere dell’individuo. Oltre ad arrivare talvolta a soffrire di malnutrizione simile a quella dell’anoressico, sottolinea Denoux, “l’ortoressico vive un’importante sofferenza psicologica che comprende sensi di colpa, depressione, ansia, fobie.

Prova dolore perché non riesce a stare davvero bene, nonostante le severe regole alimentari che s’impone. L’ortoressico soffre per il dilemma che vive costantemente: se per ottenere l’amore del proprio entourage accetta di mangiare ciò che secondo lui gli fa male, gli altri lo ameranno ma lui non si amerà e si sentirà male. Se invece seguirà le severissime regole alimentari che si è imposto, allora si amerà, la sua autostima crescerà, ma non sarà apprezzato dagli altri”.

Riconoscere per curare Come per altri disturbi alimentari – afferma la dottoressa Tomissich – per la cura dell’ortoressia si prevede un approccio psicoterapeutico (personale e/o in gruppo) e nutrizionale (rieducazione alimentare). Una strategia che funziona se il paziente riesce a interrompere il circolo vizioso del problema. È però anche vero che, affinché vi sia una cura, è necessario che venga riconosciuta l’esistenza di un problema: un importante ostacolo alla lotta all’ortoressia è legata al fatto che questo disturbo spesso non viene considerato tale se non nelle sue forme più estreme e visibili (isolamento sociale, eccessiva magrezza ecc.). È difficilissimo rendere consapevole l’ortoressico dei rischi che l’eccesso di purezza alimentare nasconde, ponendoli sullo stesso piatto della bilancia rispetto a quelli che derivano da un’alimentazione negativa e incontrollata. La sua reazione sarà quella di negare a oltranza. Anche perché l’ortoressico in genere si percepisce, e viene percepito da chi lo circonda, “solo” come una persona particolarmente attenta al cibo sano.

Al di là dell’aspetto di sofferenza citato sopra, l’ortoressico si sente migliore, più puro, più sano, più disciplinato rispetto al resto della società. Capita che il fanatismo alimentare porti a disprezzare chi non mangia sano e a trovarlo poco affine o persino poco intelligente, espressione di una sorta di “complesso di superiorità”. Basti considerare le accesissime, se non addirittura violente, reazioni ad articoli sull’ortoressia: si va dalle affermazioni secondo cui piuttosto che occuparsi di chi mangia sano, sarebbe il caso di affrontare il problema di chi ingerisce cibo spazzatura, a vere e proprie accuse di essere al soldo di qualche multinazionale dell’alimentazione.

In realtà, come per altri disturbi alimentari, tutto inizia in modo naturale, apparentemente giusto, cioè il voler controllare l’alimentazione al fine di prevenire malattie croniche, o perdere peso o semplicemente migliorare lo stato generale della propria salute. Ma il passo dalla corretta e sana alimentazione al disturbo alimentare è spesso molto breve. Quindi, così come fece nel 1997 il medico e nutrizionista statunitense Steven Bratman, occorre fare attenzione a comportamenti estremizzati relativi all’alimentazione che, a causa della loro ripetitività e anormale rigidità, dimostrano l’esistenza di una patologia.

Insomma, il confine tra salutisti e ortoressici sta innanzitutto nell’adozione da parte dei secondi di abitudini comportamentali connesse al cibo che possono diventare dannose, scegliendo uno stile di vita “ascetico” senza eccezioni alimentari né concrete, né ideologiche. Per guarire, l’ortoressico deve quindi innanzitutto rinunciare alla ricerca – impossibile – della perfezione. Perciò, anche per quanto riguarda il cibo sano, in medio stat virtus.

note 1 Steven Bratman, “Obsession with dietary perfection can sometimes do more harm than good, says one who has been there”, Yoga Journal, ottobre 1997.

2 Patrick Denoux, Pourquoi cette peur au ventre?, Éditions JC Lattès, 2014.

Letture Le ragioni di Adriano di Roberto Roveda

“C’è una crisi di civiltà, c’è una crisi sociale, c’è una crisi politica. L’ingranaggio della società che è stato rotto nell’agosto 1914 non ha mai più funzionato, e indietro non si torna. Come possiamo contribuire a costruire quel mondo migliore che anni terribili di desolazione, di tormenti, di disastri chiedono all’intelletto e al cuore di tutti?”.

Paiono scritte oggi queste parole, eppure risalgono a oltre mezzo secolo fa. Sono di Adriano Olivetti, imprenditore visionario e rivoluzionario, grande umanista che più di tutti provò a coniugare nella sua fabbrica di Ivrea innovazione tecnica, profitto ed equa redistribuzione dei vantaggi. L’Olivetti, nel racconto biografico di Valerio Ochetto, fu infatti non solo un’azienda all’avanguardia – capace di inventare la Lettera 22, la macchina da scrivere portatile per eccellenza – in grado di sfidare l’IBM nell’elettronica. Fu soprattutto un laboratorio sociale alla ricerca di un connubio tra solidarietà e guadagno, da realizzarsi non con il paternalismo di stampo ottocente-

sco, ma con un’innovativa organizzazione del lavoro che mirasse anche alla felicità e alla piena realizzazione dei lavoratori. Per questa ragione Olivetti cercò di eliminare le divisioni nette che esistevano tra operai e quadri dirigenti, li spinse a condividere conoscenze e competenze. Puntò su orari di lavoro umani perché le persone potessero studiare e pensare anche a se stesse, coltivando passioni e hobby. Fece della fabbrica un luogo dedicato non solo all’efficienza e alla tecnica, ma aperto alla cultura umanistica, alla creatività e alla sensibilità. Per questo assunse intellettuali, poeti, disegnatori, sicuro che potessero dare alla Olivetti una marcia in più. E, in effetti, l’azienda di Ivrea divenne un modello di successo (36mila dipendenti alla morte di Olivetti nel 1960), alternativo al capitalismo e al comunismo imperanti. Un modello ben presto stritolato dalle logiche del mercato e dagli interessi della politica e della finanza.

Ma, visto come oggi vanno le cose, non è che forse Adriano Olivetti avesse ragione?

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Adriano Olivetti di Valerio Ochetto Edizioni di Comunità, 2013

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Non ci sono!

La “memoria della rete”, ovvero il diritto alla privacy e alla protezione della persona contro il diritto a un’informazione senza filtri.

Temi di scottante attualità, come una recente sentenza emessa dalla Corte europea nei confronti di Google Inc. conferma

di Mariella Dal Farra

Media 8

Nel corso degli ultimi anni, parallelamente all’affermarsi di una socialità sempre più “digitale” fra gli adolescenti, la cronaca è stata funestata da episodi di cyberbullismo consistenti nel demolire la “reputazione online” di compagni di scuola e coetanei che rientrano nella cerchia dei conoscenti.

I ragazzi e le ragazze prese di mira da questa pratica denigratoria subiscono quello che, con metodi più tradizionali, hanno purtroppo subìto generazioni di adolescenti prima di loro, ma l’avvento di internet ha amplificato in maniera significativa tale dinamica. La capillarità della rete, il ricorso all’anonimato e la parziale depersonalizzazione – e de-responsabilizzazione – di chi “attacca” digitalmente sono tutti fattori che rendono oggettivamente più difficile sfuggire a queste forme di persecuzione.

Tutto, subito, per sempre Una variabile importante è in particolare rappresentata dall’istantaneità con la quale è possibile reperire informazioni in rete, anche a distanza di molto tempo, e la “non decadenza” dei dati che, una volta pubblicati, rimangono visibili “per sempre”. Così può, per esempio, capitare che la pubblicazione sulla propria pagina Facebook di una foto ritenuta in quel momento “divertente” si trasformi in una sorta di condanna a vita perché, anche se successivamente rimossa, qualcuno potrebbe averla copiata e riproposta ab libitum.

A questo proposito, e seppure in relazione a una casistica diversa da quella delle vittime del cyberbullismo, una sentenza emessa recentemente dalla Corte europea nei confronti di Google Inc. (nella fattispecie, Google Spain SL)1 stabilisce per la prima volta la possibilità di rimuovere dagli indici del noto motore di ricerca collegamenti a contenuti ritenuti lesivi dell’immagine di una persona, nel caso questi non siano più considerati attuali o comunque rilevanti ai fini informativi2.

Si tratta di un passo importante nell’interpretazione di quello che viene comunemente definito “diritto all’oblio”, reso quanto mai opportuno dalla rapida evoluzione dei mezzi d’informazione. L’espressione “diritto all’oblio” indica, in giurisprudenza, “una particolare forma di garanzia che prevede la non diffondibilità, senza particolari motivi, di precedenti pregiudizievoli dell’onore di una persona, per tali inten-

dendosi principalmente i precedenti giudiziari di una persona”.

Così per esempio, in Svizzera, una sentenza del Tribunale federale del 23 ottobre 2003 stabilisce che: “Anche l’autore di un reato ha diritto all’oblio una volta scontato il suo debito verso la società (...). La diffusione dei resoconti giudiziari deve quindi avvenire con testi depersonalizzati, tranne nei casi di persone relativamente note (relativ prominente Person, secondo i termini utilizzati dal Tribunale federale […])”3.

La protezione della persona La complessità interpretativa di tale disposizione risiede naturalmente nello stabilire il giusto equilibrio fra la tutela del singolo (nel senso della privacy) e l’interesse del pubblico (nel suo diritto all’informazione): una complessità che s’impernia sull’elusiva definizione di “persona relativamente nota”. Nella sentenza della Corte europea si legge che il diritto a fare rimuovere dall’indice di Google determinati contenuti non può essere fatto valere “qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi”4.

In altre parole, la tutela della privacy vince sul diritto all’informazione, a eccezione dei casi in cui la reputazione dell’individuo costituisca motivo d’interesse generale, come per esempio capita per le persone chiamate ad amministrare la cosa pubblica. In questa eventualità, la rimozione di determinati contenuti assumerebbe, infatti, la forma di una censura, suscettibile di pregiudicare la valutazione di un operato che invece riguarda tutti.

Inoltre, anche quando la richiesta di rimozione dall’indice venga accolta – e sembra che le diverse rappresentanze di Google in Europa ne stiano ricevendo moltissime – le fonti originarie, con particolare riferimento alle testate giornalistiche, mantengono i contenuti sui propri siti.

Le informazioni, quindi, saranno comunque disponibili, soltanto più difficili da reperire: una differenza che però, in molti casi, può rivelarsi sostanziale.

Culture e società a confronto La sentenza, com’era prevedibile, ha suscitato accese discussioni, e c’è chi legge la diatriba fra i due “partiti” in

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chiave culturale: negli Stati Uniti d’America la libertà di espressione e, di conseguenza, il diritto all’informazione sono considerati sacri. In Europa invece – sensibilizzata dall’esperienza di regimi che utilizzavano la detenzione di informazioni compromettenti per ricattare i propri cittadini (si pensi all’organizzazione della Stasi nella Repubblica Democratica Tedesca durante la Guerra fredda) – si tende a essere più preoccupati dall’uso improprio di informazioni personali.

Così, lo stesso giorno in cui è stata emanata la sentenza, Jeff Jarvis, docente di giornalismo alla City University di New York, commenta: “Il diritto all’oblio dell’Unione Europea è un attacco alla libertà di parola”, mentre Gerd Leonhard, opinionista molto seguito soprattutto nell’ambito di tematiche concernenti i “nuovi media”, replica da Basilea: “«Tutto ciò che accade deve essere risaputo», è questo che proponi? Io credo che la decisione dell’EU a proposito di Google sia un primo passo appropriato”5. Ecco un caso in cui la globalizzazione parrebbe rendere più distintive, invece che uniformabili, le rispettive specificità culturali.

per saperne di più A proposito di cyberbullismo, Facebook ha da poco lanciato in collaborazione con Save the Children e Telefono Azzurro la piattaforma “Fermiamo il bullismo – Presentazione di strumenti, suggerimenti e programmi per aiutare le persone a difendere se stesse e gli altri”. L’iniziativa, rivolta a ragazzi, genitori ed educatori, mira a prevenire e correggere l’uso diffamatorio o comunque scorretto delle informazioni contenute nei profili degli iscritti (facebook.com/safety/bullying).

note 1 Sentenza emanata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea il 13 maggio 2014 in riferimento alla causa C131/12 (curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=152065&doclang=IT).

2 it.wikipedia.org/wiki/Diritto_all’oblio 3 Emanuela Epiney-Colombo, “La giustizia e l’informatica nel Cantone Ticino: quale trasparenza?”, Jusletter, 7 marzo 2005.

4 Sentenza citata in nota (1).

5 Lo scambio, avvenuto su Twitter, è citato in “Explaining the «right to be forgotten» – the newest cultural shibboleth” di Charles Arthur in TheGuardian.com, 14/5/2014.

L’altro volto di Guevara Una Cuba più o meno conosciuta.

Un Che Guevara totalmente ignorato. È sull’asse della dissacrazione del mito che si sviluppa il complesso romanzo di Dario Fertilio di Marco Alloni

Società 10

Non riapriremo qui l’annosa polemica sui limiti dei gior- una ricostruzione simil-saggistica del mito. Nient’affatto: nalismo e le virtù della letteratura. Ma ci preme sottolineare come nei romanzi più equilibrati e sofisticati, il Che è come come leggendo La via del Che. Il mito di Ernesto Guevara e un’ombreggiatura che corre sotto il tessuto del racconto, la sua ombra di Dario Fertilio (Marsilio, 2007) un dato salti quasi a non volersi svelare per una sorta di istinto di soimmediatamente all’occhio: se la Cuba dipinta da Fertilio pravvivenza. Il corpo del racconto è fondamentalmente è abbastanza risaputa nei suoi lineamenti essenziali, il cubano, sociale, esistenziale, psicologico, e la vicenda è di rapporto che quest’isola intrattiene con il suo mito lo è quelle che ti accompagnano pagina dopo pagina per essere infinitamente di meno. seguite in quanto tali.

E proprio questo rapporUn direttore editoriale to finisce per mostrarci di Milano sbarca a Cuba una Cuba assai meno con moglie e figlia per prevedibile di quanto in firmare un contratto apparenza potrebbe semper alcuni diari del Che brare leggendo il libro da proporre in edizio“giornalisticamente”. ne italiana. La Casa de In un processo narratilas Americas è l’istituto vo che indugia su ogni deputato a trattare. Ma minimo dettaglio della Riccardo Modena scovita cubana, Fertilio ci pre una Cuba che lo mostra che tra le pietrattiene nelle sue maghe del mito si annida glie, nel suo sottobosco lo spettro del “mostro”. di ragazzine adescatriUn Che Guevara che ci, di venditori di ogni non solo ha favorito e possibile tesoro cubano, promosso la creazione di ubriaconi, di turisti Ernesto Che Guevara (lapala.cl) dei cosiddetti “campi” archetipici, di viag– una versione non tropgi da un capo all’altro po edulcorata dei “lager” occidentali – ma ha reso possibile dell’isola e di sorveglianze occulte (e nemmeno troppo) quel controllo centralizzato della società che, nel coincidere di ogni sua mossa. Scopriamo così che Cuba è certamente con lo statalismo più estremo, ha di fatto pregiudicato lo come ci era stata dipinta, ma scopriamo, soprattutto, che stesso “libertarismo” che contraddistinse la sua figura. la malinconia di Cuba merita uno sguardo e una pietas Un Che dunque rispettato e temuto, ma soprattutto ribal- superiori al culto passivo del Che. Meritano, in una parola, tato in un’ombra oscura che mal si attaglia all’immagine la nostra coscienza, il nostro realismo, la nostra capacità irreprensibile che ne serbiamo. Un Che inviso per molti di affondare nell’evidenza per cogliere lo spirito profondo aspetti al suo stesso compañero Fidel, un Che omofobo e di un popolo. persecutore di omosessuali, un Che le cui critiche alla rivo- Ed è questo il merito maggiore del romanzo: renderci luzione e la cui disperazione a fronte del suo “fallimento” consapevoli che dietro un velo di stereotipi si annida storico non furono mai rese pubbliche dal regime, che fino una realtà accessibile solo attraverso lo strumento della al suo ultimo respiro – cioè fino a oggi – non ha smesso rappresentazione partecipe, che non solo ci fa conoscere di occultarle e di sorvegliarle affinché non trapelino dagli de visu la santeria, le viuzze delle città, i cocktail che vi archivi di stato. si preparano, gli intrallazzi che agitano la sopravvivenza dei cubani, lo stato di polizia che vigila su ogni passo, ma Dietro il velo l’anima di un popolo. Conosciuta la quale è assai più arduo Un Che che il romanzo di Fertilio ha quindi il merito di nasconderla nell’esotismo della rivoluzione e nell’erotismo levare alla leggenda e alla versione “giornalistica” che l’ha del mito. Che Guevara, un eroe, certo. Ma senza la cognialimentata per consegnarcelo nel suo aspetto meno edifi- zione delle cui ombre saremmo di nuovo e ancora a una cante. Non si creda con questo che il ponderoso volume sia visione “giornalistica” della realtà.

Letture Brrr, che buono! a cura della Redazione

L’origine di quello che oggi comunemente chiamiamo gelato si perde (come spesso avviene con il cibo) nei meandri del tempo e delle civiltà, ma certamente è legata alla disponibilità di acqua ghiacciata e neve.

Anche nell’antichità si refrigeravano pezzi di carne, come pure frutta, bacche, latte e miele allo scopo di preservarli; da qui all’origine del sorbetto – il progenitore del gelato e costituito da acqua e frutta – il passo non è immediato, ma piuttosto breve.

Ma la vera “rivoluzione” che sancì la definitiva nascita di uno dei dolci più amati fu la disponibilità di zucchero, ingrediente fondamentale sia nel sorbetto sia nel gelato.

La coltivazione della canna da zucchero viene importata in Sicilia e in Spagna dagli Arabi prima dell’anno mille, e già gli arabi usavano preparare degli infusi a base di acqua, zucchero, erbe e spezie. Proprio l’isola italiana è considerata la patria del gelato e dove – malgrado il clima – il ghiaccio certo non mancava (Etna, sui monti Iblei, sulle Madonie) e nemmeno il sale, essenziale

alla conservazione del prodotto. Fu proprio un cuoco siciliano, Francesco Procopio dei Coltelli, che nel 1686 riuscì a preparare la miscela che conosciamo oggi. Egli utilizzò un’invenzione del nonno pescatore (Francesco), una macchina autocostruita in grado di dare al prodotto la giusta consistenza e cremosità. Il gelato nel frattempo era già sbarcato in Francia, riscuotendo un crescente successo nei café parigini frequentati da artisti e intellettuali. Lo stesso Procopio aprì nel 1686 a Parigi un locale, il Café Procope, dal menù originale fatto di gelati e affini.

Oggi la produzione di gelati è diffusa in tutto il mondo, ma la vicina penisola rimane un paese leader del settore, in particolare per quanto riguarda il gelato artigianale (dall’elevata qualità dei prodotti di base), come pure del suo antenato sorbetto. Una tradizione lunga oltre 100 anni, come testimoniato nel volume curato dalla giornalista Luciana Polliotti: 300 pagine ricche di storie, marchi, curiosità e innumerevoli illustrazioni. Per i più golosi, insomma.

Treno perso alla

I gelati Crème d’or garantiscono un piacere sopraffino. Tutte le varietà vengono prodotte esclusivamente con ingredienti naturali e senza additivi artificiali. Il latte e la panna svizzeri regalano alle varie creazioni una cremosità unica.

100 anni di gelato artigianale italiano di Luciana Polliotti (a cura) Editrade, 2010

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Vitae 12

i professione sono falegname, anche se è un lavoro che ho praticato solo per alcuni anni, spostandomi quasi subito sull’insegnamento presso l’Istituto Canisio di Riva San Vitale, dove ho lavorato per oltre trent’anni.

La mia passione è sempre stata il passato: anche da bambino avevo la mania di conservare tutto quello che mi piaceva o che in qualche modo attirava la mia attenzione: attrezzi in ferro e altri materiali, piccoli o grandi oggetti che agli occhi degli altri risultavano del tutto inutili, ma ai miei stupendi e pieni di fascino. Con le biciclette ho iniziato verso i dodici, tredici anni. La collezione è partita quasi per caso, quando da ragazzino, mentre mi recavo a scuola, fui attratto da una bicicletta abbandonata in una discarica del mio paese, Riva San Vitale, sul lungolago. Stava lì, in mezzo ai rifiuti, la trovai subito bellissima.

Ricordo anche la sgridata della maestra per essere arrivato in ritardo! Io però ero completamente rapito dall’oggetto che avevo appena recuperato e che avevo trascinato fino a casa, perdendo un po’ di tempo e non riuscendo a essere puntuale.

Quello è stato senz’altro un momento importantissimo, prima di tutto perché quel pezzo è uno dei più preziosi della collezione, inoltre, perché da quel momento non mi sono più fermato: appena sentivo che qualcuno si sbarazzava della sua bici, arrivavo io. Spesso non dovevo nemmeno faticare a cercarle. La gente, essendo a conoscenza di questa mia passione, spontaneamente faceva dono a me o a mio fratello, che le raccoglieva per me, delle biciclette che non usava più e che voleva buttare via. Poi c’è stato quel sogno: un signore esce di casa con una bici strana e la passa a un altro che ci sale ma non riesce a pedalare. Continua a cadere. Si volta verso di me e mi chiede, con un tono perentorio, di costruirgli una bicicletta in legno. Sono rimasto molto colpito da questa scenetta, pensando addirittura che quella voce appartenesse a una sorta di guida interiore. Mi sono svegliato sapendo che avrei dovuto costruire una bici in legno. E così ho fatto.

Ho riparato tutte quelle biciclette che sarebbero state buttate via, senza il mio intervento; avendo una buona manualità

e sapendo lavorare bene il ferro, non ho avuto particolari problemi. In totale, ho collezionato un’ottantina di pezzi. Mi è sembrato utile mostrarli a chi fosse interessato e così ho fatto, anche per realizzare il desiderio di mio fratello Piergiorgio, scomparso da qualche mese, che me lo aveva consigliato diverse volte: l’esposizione che è stata allestita al Torchio, presso la Casa patriziale di Riva San Vitale il mese scorso, in realtà è un pezzo di storia non solo del mio paese, ma anche in generale del Mendrisiotto…

Non a caso, è stata visitata da diverse scolaresche. C’è la bicicletta dell’ombrellaio, quella del pescivendolo, quella del postino. La mostra non espone solo oggetti, ma anche storie, storie di lavoratori che ci riportano a un’epoca che non c’è più. Un tempo, questo mezzo, che ora è quasi solo uno svago, si usava per andare a lavorare, quindi doveva essere solido e resistente… ecco perché le biciclette che ho raccolto si sono conservare nel tempo.

Riva San Vitale era un paese di artigiani, di figure professionali che oggi sono scomparse oltre a essere un posto di fornaciai: in passato ho anche allestito una mostra sulle fornaci, dove ho mostrato al pubblico l’attrezzatura da lavoro ma anche cocci e altri piccoli materiali.

In generale, raccolgo tutto. Faccio qualche esempio: il calzolaio smette di lavorare e vuole sbarazzarsi dei suoi strumenti? Li prendo io e li porto a casa. Ho raccolto gli attrezzi che uno scultore di Riva usava per realizzare le sue opere. Ho tre figli e ciascuno, a suo modo, ha ereditato questa passione. I due maschi sono diventati ceramista ed elettricista, la figlia ha studiato a Brera… tutti e tre faticano a buttare via gli oggetti.

Il mio sogno, ora, è che qualcuno si faccia carico delle biciclette, che la mia collezione non venga buttata via: sarebbe un peccato. Mi piacerebbe che si trovasse un luogo dove poter realizzare un’esposizione permanente. Il passato non va dimenticato, ma ricordato, e questi oggetti aiutano a mantenere viva la memoria.

GIoVaNNI VaSSaLLI

Raccoglitore e collezionista di oggetti, ha fatto di questa sua passione un percorso di indagine del passato del Mendrisiotto e delle sue attività artigianali

testimonianza raccolta da Laura Di Corcia fotografia ©Flavia Leuenberger

MaMMa, voglio giocare a football… australiano! di Simon Majek; fotografie ©Vincenzo Cammarata

Viaggio nel mondo dell’Orules, la versione autoctona del football australiano, cugino del rugby, creata e giocata in Ticino dai Lugano Bankers, una piccola e giovane società fondata nel 2010 da Luca Tramontin, Luciano Thomas e Daniela Scalia.

Andiamo a scoprire le opportunità che offre questo sport e ad abbattere qualche pregiudizio

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a risposta ticinese più gettonata alla richiesta del titolo sarebbe qualcosa del tipo: “Cusa l’è sta roba?!”. Il Footy o Aussie Rules Football, è un derivato del rugby, che gli australiani hanno semplificato per permettere a tutti di capire le regole e cominciare subito a giocare. Oltre al passaggio in avanti e indietro, sia con le mani sia coi piedi, è permesso placcare o cinturare l’avversario. Ecco allora che un genitore apprensivo, immaginandosi erroneamente il football americano, esclamerebbe “ma ti te se mata!”, e metterebbe probabilmente il veto per risparmiarle brutti infortuni. Un mito da sfatare.

Statistiche alla mano, gli sport di contatto britannici, tra cui il football australiano, sono particolarmente poveri di infortuni e nella classifica degli sport più pericolosi non possono neanche lontanamente competere con discipline quali basket, calcio e ciclismo, che però godono di un’elevata accettazione sociale.

Malgrado la società dei Lugano Bankers (oruleslugano.ch) sia estremamente minuta sia sul piano dirigenziale sia su quello dei tesserati, all’inizio del 2013 è stata nel mirino dei media grazie alla sua timida fuoriclasse ticinese, Marisa

in apertura: le ragazze del Lugano Bankers sul campo di Muzzano: da sinistra, Marta Haulik, Sara Sacchetti, Marisa Salgado, Cristina Lima, Roberta Solcà e Nicole Giudicetti in queste pagine: in senso orario, Chiara Volpato delle Polcenigo Black Cats; il Polcenigo in campo con le Bankers (in primo piano Marisa Salgado); le Bankers di Lugano sfidano le ragazze del Verona Happys; le Black Cats e le Bankers si riscaldano

Salgado, la quale è stata quasi “draftata” (cioè selezionata) in una squadra semiprofessionistica australiana di “footy” (football australiano).

Ma l’Orules ticinese si scopre fucina di talenti e quest’anno tira fuori dal cappello un insospettabile Nicola Bergamasco, dal fisico che definirei “normale”, non una pezza di due metri che rompe la bilancia con uno sguardo, per intenderci. Luca Tramontin, ex giocatore ed esperto, oltre che commentatore di sport britannici per l’emittente Eurosport, non ha dubbi: “Per Nicola, mi metto le cuffie e lo commento dal vivo”. Fantastico, allora dopo Marisa Salgado, tocca ora a Nicola tentare l’avventura nel paese dei canguri, ma il mio sorriso si spezza sul volto corrucciato

del talento ticinese e scopro che l’inghippo c’è, eccome!

Infatti, tre anni fa Tramontin e Scalia dopo aver tentato di importare il “footy” nella sua versione europea a nove giocatori per parte, hanno deciso di creare l’Orules, una lega italo-svizzera nella quale bastano sei giocatori o giocatrici per parte per disputare un incontro. Una scelta pragmatica, adattata alla realtà ticinese, ma anche a quella italiana, che non è piaciuta affatto alla casa madre australiana, che ha interpretato il gesto come una sorta di separatismo sportivo, e ora potrebbe rifiutare una carriera professionistica a un talento come Nicola Bergamasco. Non perché non la meriti, ma semplicemente per ripicca… Quando si dice “tutto il mondo è paese”. (...)

Le ragazze friulane del Polcenigo Black Cats (Chiara Volpato, Alice Torra, Manuela Del Puppo, Chiara Chisulin, Brian Cruz e Valeria Moras)

Senza placcaggio!

Quest’anno i Lugano Bankers raddoppiano l’offerta sportiva, abbracciando anche il calcio gaelico, sport di origine irlandese, che rappresenta una versione più soft dell’Orules e che per certi versi assomiglia molto al nostro calcio.

Infatti, la palla è sferica e per segnare bisogna calciarla in una porta da calcio oppure oltre la tradizionale “H” da rugby. Un gioco estremamente dinamico, spettacolare e completo, dove tutte le capacità psicomotorie dello sportivo vengono chiamate in causa. Ma non abbiamo dimenticato qualcosa? Esatto… niente placcaggio! È infatti l’assenza del contrasto fisico che Tramontin si augura potrà convincere anche le persone più timorose a cimentarsi in questo sport. Quest’anno dunque le ragazze e i ragazzi del

Lugano Bankers disputeranno sia il campionato di Orules (assieme a Polcenigo, Verona e Milano) sia quello di calcio gaelico (contro Zurigo, Ginevra, Padova e Rovigo).

Cambia la palla dunque ma non lo spirito: il fair-play o, come dicono gli anglosassoni, respect or leave (“rispetta oppure vattene”). Ma rispetto e gioco fisico sono poi davvero conciliabili? È ormai appurato che il contatto fisico aumenta il nostro potere empatico e ci rende più sensibili, andando a risvegliare o stimolare tratti caratteriali nascosti negli anfratti della nostra psiche. Il discorso è ben più ampio, ma in parole povere lo sport di contatto è un mezzo per scoprire noi stessi e aprirci verso gli altri. Lo sa bene Luca Tramontin, il cui approccio didattico-pedagogico di stampo ludico, non solo “ti fa subito perdere la paura del contatto

Le atlete venete del Verona Happys Orules (Elena Zonzini, Claudia Scalia, Vanessa Vitulano, Vera Qehaja e Samantha Vitulano)

fisico”, come puntualizza Sarah, una giovane giocatrice, ma ha permesso a un gruppo di utenti dell’OTAF di Sorengo di creare una squadra. Inoltre “è un gioco ideale per le donne”, ribadisce l’affascinante presentatrice e giornalista televisiva Daniela Scalia, “possiamo sfruttare la nostra flessuosità e il nostro senso innato per l’organizzazione e poiché si corre molto anche senza palla, fa bene alla linea”.

Ma c’è anche chi, come Marta, nei Bankers ha trovato una seconda famiglia: “Dopo un grave lutto mi sono avvicinata all’Orules e sono stata accolta a braccia aperte”. Uno sport per tutti e di facile accesso insomma, che si può cominciare a qualsiasi età, dove non occorrono conoscenze specifiche e che si impara in fretta: “Dopo 20 minuti puoi disputare la tua prima partita” promette Tramontin. L’appuntamento, in

tenuta da ginnastica, è dunque ogni lunedì alle 20 al centro sportivo di Muzzano (in via Vedeggio) e ogni giovedì alle 20 sul campo D del Centro Sportivo di Cornaredo, a Lugano.

Ma in fondo, perché non dovrei restare a casa davanti alla tele a sorbirmi “CSI Miami”? Più o meno all’unisono vengo travolto da un “perché ti diverti 20 volte di più che in qualsiasi altro sport. Devi provare… spiegarlo è impossibile!”. Ah ecco...

Allora a che cosa è servito questo articolo?

Vince Cammarata Classe 1978, vive a Muralto. Graphic designer di formazione (Accademia di Comunicazione, Milano), ha un Master of Science in Corporate Communication (USI, Lugano) e ha frequentato il Corso di Alta Formazione in Fotogiornalismo (Contrasto, Milano).

Collabora con il settimanale Azione. vincecammarata.com

I piccioni del re di Chiara Piccaluga; illustrazioni ©Céline Meisser

’era una volta un giovane e potente re amato e rispettato dai suoi sudditi. Un giorno ricevette in visita un povero viandante che, in cambio dell’offerta di ospitalità nel suo regno, alla sua partenza gli donò due piccole uova bianche.

“Questo è il dono più prezioso che ti posso offrire, non ho altro purtroppo, ma non te ne pentirai” disse il viandante. “Conserva queste piccole uova in un luogo caldo e protetto. Tra qualche giorno avrai una sorpresa, e non ne resterai deluso, credimi!”.

Il re, che era molto ricco ma anche gentile, decise di accettare l’insolito regalo e attese con curiosità una ventina di giorni prima che dai quei piccoli ovetti uscissero due minuscoli e indifesi pulcini. Affidò quindi gli uccellini a un addestratore con l’ordine di svezzare i piccoli e capire cosa potessero fare per essere utili al regno.

L’addestratore si accorse che si trattava di due piccoli piccioni e che, una volta cresciuti, potevano essere importanti per il re qualora fossero diventati dei buoni “piccioni viaggiatori”, messaggeri per il regno.

Passarono le settimane un bel giorno

l’addestratore si presentò al re per fare rapporto sullo stato dei due volatili: “Buongiorno sire, i pulcini sono ormai cresciuti, sono due bei piccioni. Ho potuto addestrarli e ora uno è in grado di percorrere migliaia di chilometri senza perdersi, consegnare messaggi segreti e tornare con la risposta presso di lei”.

“Bene”, rispose soddisfatto il re, “in questo modo avrò possibilità di comunicare con gli altri regni e non dovrò mandare messaggeri a cavallo che a causa dei briganti che infestano le strade rischiano la vita. Ma dimmi, maestro falconiere, tu che addestri ogni essere con le ali, perché mai solo uno dei due piccioni potrà essere un messaggero?”

“Mio signore, la ragione è presto detta: uno dei due ha dei problemi e si comporta in modo davvero strano. Forse ha una malattia che non siamo riusciti a curare. Se ne sta immobile su di un ramo dal primo giorno, nessuno riesce a smuoverlo, e un umile aiutante ogni giorno si arrampica per portargli il cibo”.

A questo punto il re decise di far arrivare numerosi guaritori ed esperti di ogni tipo per capire quale fosse il problema che affliggeva il povero piccione, ma nessuno riuscì a trovare un senso al suo immobilismo: non era malato

ma non voleva assolutamente muoversi dal suo ramo. Il re, preoccupato, convocò allora i membri della corte e i generali, ma nessuno riuscì a far scendere il piccione. ovete sapere che la finestra del castello dove il re aveva la sua camera si affacciava proprio sul giardino principale ed egli ogni mattina poteva scorgere l’uccello immobile sull’albero, sia di giorno sia di notte. Per settimane la situazione rimase immutata finché un giorno, con grande sorpresa, egli vide il piccione che volava superbamente tra gli alberi del giardino. “Portatemi l’autore di questa magia”, ordinò il re, e poco dopo gli presentarono un giovane contadino, molto intimorito dalla situazione.

“Tu hai fatto volare il piccione?”

“Sì mio sire, io ho fatto volare il piccione, ma spero che questo non causi problemi al vostro regno” “Tutt’altro” rispose il re. “Ora potremo addestrarlo e anche lui sarà indispensabile perché potrà permetterci di comunicare con gli altri regni.

Hai fatto una cosa meravigliosa, ma come ci sei riuscito?”

“Non è stato difficile sire, io ho semplicemente tagliato il ramo. A quel punto il piccione si è reso conto di avere le ali e ha cominciato a volare.

A volte basta tagliare il ramo delle false idee e delle cattive convinzioni che ci immobilizzano e ci fanno rimanere attaccati a cose inutili e che possono far male. Solo così possiamo renderci conto che abbiamo le ali per volare in alto e raggiungere ciò in cui crediamo veramente”.

Il re, commosso dalla semplicità e dalla profondità delle parole del giovane contadino, volle affidargli in dono i due piccioni viaggiatori, dandogli così anche uno dei più importanti ruoli all’interno del regno, oltre a una vita serena e senza stenti.

In effetti, il giovanotto aveva dato prova di grande saggezza. Grazie alle sue parole, il re infatti si rese conto di essere sulla buona strada, ossia che non bisogna mai mollare, non smettere di credere nelle risorse degli altri, dando il giusto valore e il giusto posto a ogni essere, sia esso un piccione, un viandante, un povero contadino.

Ognuno ha dentro di sé un tesoro, e se lo sappiamo valorizzare, rendiamo la vita di ciascuno e la nostra un capolavoro.

Fiabe 43

Intramontabile

•bikini• Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza

A

l suo debutto fu una vera bomba. Quella sganciata nel luglio del 1946 dagli americani, quale test nucleare, su un atollo delle Marshall, al largo del Pacifico. Sull’isolotto di Bikini, per l’appunto. Pochi giorni dopo Louis Réard, sarto francese, sganciava ai bordi della piscina Molidor di Parigi una nuova moda balneare. Al posto del costume intero (già faticata conquista femminile) compariva un due pezzi destinato ad avere un effetto esplosivo sulle usanze dell’epoca. Proprio per questo fu chiamato con il nome dell’atollo atomico.

Lo scandalo consisteva soprattutto nel fatto che il bikini metteva in bella vista l’ombelico, sacrale gioiello riservato, fino a quel momento, ai segreti delle alcove. Nulla di nuovo se si pensa alle danzatrici orientali o alle atlete dell’antica Grecia e, in particolare, alle flessuose fanciulle dei mosaici romani di Piazza Armerina, immortalate in un archetipo del bikini.

Due pezzi da scandalo Il “nuovo” costumino fu messo al bando, tant’è che l’attrice-nuotatrice Ester Williams si rifiutò di indossarlo nei suoi film acquatici. Nondimeno la storia del due pezzi è strettamente legata alle star più ammalianti dell’epopea del cinema. La moda del bikini stentava però a decollare tra le comuni mortali. Negli anni cinquanta, tuttavia, c’è tanta voglia di divertirsi e di dimenticare la guerra, mentre si fa strada la moda dell’abbronzatura e dello sport.

Qua e là nei lidi e litorali le ragazze più coraggiose cominciano a prendere di petto (è il caso di dirlo) tabù e proibizioni indossando finalmente il loro completino balneare fatto di reggiseno e culotte. Per la verità piuttosto castiga-

Il bikini è ultrasessantenne, ma i suoi stravissuti anni non li dimostra di sicuro!

Sempre così giovane, vitale e voglioso di mettere l’accento sulla sinuosità del fisico, sulla consapevolezza della femminilità e del suo potere deduttivo to. A sdoganarlo in Italia fu Sofia Loren che con un due pezzi di raso ammaliò la giuria di Miss Italia 1950 e vinse il titolo di Miss Eleganza.

Negli anni sessanta i costumi, sempre più sgambati e ridotti, diventano una seconda pelle grazie agli elastomeri. Ci penserà l’effervescente Brigitte Bardot a innescare una vera e propria promozione del capo indossando sulla spiaggia di Saint Tropez bikini dal top a balconcino e il sotto a triangoli annodati. Un carico esplosivo che coinvolgerà anche la puritana America. Fu d’aiuto pure la canzone di Brian Hyland: “Itsy Bitsy Tennie Winnie Yellow Polka Dot Bikini...” che sveglierà tra le adolescenti americane il desiderio di infilarsi il sexy duetto. Per non parlare dell’apparizione in un due pezzi mozzafiato della bellissima Ursula Andress, bond girl nel film 007 contro il Dr. No. Via, via con la crescente libertà arriveranno il topless, il tanga e, addirittura, il perizoma. Quest’ultimo avrà il suo trionfo negli ottanta, legato alla mania del fisico scolpito e dell’abbronzatura

più integrale possibile. E il cinema immola Bo Derek quale bellezza perfetta per la mini mise. Oggi il bikini, oltre a essere irrinunciabile, non è più solo... ama la compagnia di tutta una serie di complementi e accessori: dall’abitino coordinato che soppianta il pareo, al top fantasioso, ai bijoux.

Al top il top a fascia Un groviglio di micro drappeggi crea effetti tridimensionali sul reggiseno a fascia che fa coppia volentieri con la culotte brasiliana: ecco l’ultimissima tendenza bikini vista da Parah Mare.

Più “vestito” delle stagioni precedenti l’ensemble si avvale di un tessuto molto duttile e di lavorazioni artigianali proprie del know how della maison.

Compresi i segreti vecchi e nuovi della corsetteria per valorizzare al massimo il décolleté con coppe graduate e push up celati sotto il trendy top privo di spalline. Piace ancora lo slip dai laccetti birichini alla BB e, data la possibilità dell’abbinamento libero, ognuna può mixare a piacere. Difatti ogni capo è coordinabile, reversibile e a doppia stampa.

Primeggia il color verde nelle succose tonalità mela e lime che ben si amalgamano con tocchi corallo, turchese e blu oceano. Giusto mix tra monocromie e fantasie tropicali e graffiti che si rincorrono su shorts, minidress ed estrosi fuori-acqua per l’ora dell’aperitivo e pure sull’abito cocktail tutto un plissé per l’evento molto speciale. Un total look che va ben oltre la spiaggia, ma al centro rimane il nostro bikini che magari sbircia malizioso sotto il kaftano in seta cangiante a far subito sera. Specialmente se si aggiungono cascate di collane e bracciali in macramé e sandali infradito dai bagliori chiaro di luna.

La domanda della settimana

Il consumo di alcol e le bevute smodate tra gli adolescenti sono diventati un problema sociale preoccupante.

Vostra/o figlia/o sono mai rientrati a casa ubriachi?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 10 luglio. I risultati appariranno sul numero 29 di Ticinosette.

Al quesito “Ritenete che una ristrutturazione dell’aeroporto di Locarno per renderlo idoneo ai voli di linea gioverebbe al turismo e allo sviluppo del cantone?” avete risposto:

SI

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NO

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Svaghi 46

Astri ariete Affrontate al meglio le difficoltà senza opporvi ai compromessi. Momento magico per la vita affettiva. Bipolari in ordine ai forti aspetti con Giove.

toro Grazie al sestile con Giove si apre un’importante opportunità. Tagliate i rami secchi della vostra vita. Emotività disturbata tra il 7 e il 9 luglio.

gemelli Venere positiva: vi confermate ancora una volta degli ammaliatori irresistibili. Decisi i nati nella terza decade.

Ambivalenze tra il 9 e l’11 luglio.

cancro Cavalcate l’onda del cambiamento senza paure. La quadratura di Marte vi spinge a regolare con spirito guerriero ogni vostra relazione familiare.

leone L’arrivo di Marte vi rende determinati nella esposizione delle vostre idee. Il ritmo della vita quotidiana si fa prorompente. Bene tra il 9 e l’11.

vergine Opportunità professionali. Apatici i nati nella seconda decade a causa degli aspetti con Venere. State attenti ai disturbi dell’alimentazione. Spese.

bilancia Giove, Marte e Urano vi spingono a interrompere un legame di lavoro.

Novità sentimentali. Amore e passione tra il 9 e l’11 luglio. Riposatevi.

scorpione Grande configurazione celeste! Tutto dipenderà da quanto siete spiritualmente evoluti. Momento decisivo, soprattutto nelle giornate del 7 e dell’8.

sagittario Momento ideale per gli amori sbarazzini ma non per le storie serie. Avete voglia divertirvi. Possibili disturbi alle vie aeree. Lingua a freno.

capricorno Imparate ad affrontare il Minotauro prendendolo per le corna. Ricordate che grazie al transito di Plutone la soluzione la dovete cercare in voi stessi.

acquario Grazie al transito dei pianeti più veloci il periodo si presenta positivo.

Creatività e fortuna per i nati nella terza decade. Tensioni tra il 7 e l’8.

pesci Tra il 9 e l’11, Venere e Luna vi spingono verso la ricerca delle emozioni forti. Cambiamenti professionali per i nati nella terza decade. Rimpianti.

Gioca e vinci con Ticinosette 1

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 29

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 10 luglio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 8 luglio a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Soluzioni n. 25

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Verticali 1. Un noto romanzo di G. Romagnoli • 2. È esperta in taglio e cucito • 3. Pari in tutti • 4. Il lamento dell’asino • 5. Sospiri, soffi • 6. Urna • 7. Relativa ai sogni • 8. Infiammazioni acute delle cavità nasali • 9. Il figlio di Anchise • 14. Il nome della Cavani • 16. Apoplessia • 20. Consonanti in socio • 21. Misterioso, enigmatico • 23. Nome di donna • 25. Iniziativa popolare, plebiscito • 27. Le segnano le lancette • 28. Il noto Ventura • 31. Armate navali • 32. Raganelle arboree • 34. Cozzò contro un iceberg • 37. La coppiera degli dei • 39. Li redige il notaio • 41. Il noto Ramazzotti • 43. Procedura • 44. Spinta iniziale • 48. Mezza tara.

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Orizzontali 1. Invasore • 10. Venuta al mondo • 11. Uomo politico sovietico • 12. Turchia • 13. Pianta rampicante con bei fiori a grappolo • 15. Una pratica vettura • 17. Elementari, semplici • 18. Istituto Tecnico • 19. Tuoni senza pari • 20. Labile traccia • 22. Un’organizzazione internazionale • 24. La costruì Noè • 26.

Caratterizza Cyrano de Bergerac • 28. Avanti Cristo • 29. Pari in tenda • 30. Sventagliata, mitragliata • 33.

Diverbio • 35. Una delle Kessler • 36. Lamenti poetici • 37. Paladino • 38. La regione con Lhasa • 40. Il nome della Massari • 42. Si valuta quella dei danni • 45. Si empie di schede • 46. Affermati • 47. Croci senza pari • 48. Si dà agli amici • 49. Spagna, Italia e Romania • 50. Enfatizzar.

La soluzione del Concorso apparso il 20 giugno è: TRIPUDIO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Silvana Rigamonti via Nogo 8 6946 Ponte Capriasca Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!

Svaghi 47

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Promettiamo a Jay di applicare entro il 2020 gli elevati standard svizzeri relativi al benessere degli animali anche ai nostri prodotti dall’estero.

La Migros s’impegna sin da oggi a favore di un approccio verso gli animali attento al loro benessere e garantisce, in collaborazione con i suoi partner, tra cui la Protezione svizzera degli animali PSA, il rispetto entro il 2020 delle severe direttiva svizzere anche all’estero. Con questa e altre numerose promesse concrete ci impegniamo per la generazione di domani.

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