№ 29 del 18 luglio 2014 · con Teleradio dal 20 al 26 lug.
PieTro veglio
Cooperazione e aiuto allo sviluppo sono le sue parole d,ordine. ieri nel mondo, oggi in Ticino
C T · RT · T Z · .–
Concorso. La foto del mese
Pubblichiamo la sesta immagine selezionata tra quelle giunte in Redazione nell’ambito del concorso fotografico lanciato da “Ticinosette” ai lettori. Il prossimo appuntamento è tra quattro settimane...
In movimento, di Hans Peter Meier
Tutti possono partecipare al concorso fotografico anche se, per ovvie ragioni sono, esclusi categoricamente i professionisti della fotografia (ma non gli apprendisti fotografi e altre persone in formazione). Nel corso dell’anno i partecipanti potranno inviare una sola foto per ogni sezione, anche in tempi diversi. Abbiamo definito sei grandi temi nei quali potete sbizzarrirvi: “se stessi”, “in movimento”, “la famiglia”, “il lavoro”,
“gli oggetti” e “l’invisibile”. Ricordiamo che ad ogni invio deve essere specificata la sezione a cui si intende concorrere, oltre al proprio nome e cognome, l’indirizzo e un recapito telefonico. Come già indicato, le immagini – che saranno accettate solo se inoltrate in alta risoluzione (300/320 ppi) in modo da consentirne la pubblicazione – dovranno essere inviate al seguente indirizzo di posta elettronica: phototicinosette@gmail.com.
Mensilmente pubblicheremo un’immagine selezionata tra quelle giunte nell’arco delle quattro settimane, e ritenuta la più interessante dal comitato di Redazione. Tra un mese verrà dunque pubblicata la settima immagine selezionata e alla fine del 2014 le migliori saranno raccolte in un reportage. Il vincitore finale, selezionato sempre dalla Redazione, riceverà un premio in contanti di ben 400 franchi.
Ticinosette allegato settimanale N° 29 del 18.7.2014
Impressum Tiratura controllata 66’475 copie
Chiusura redazionale Venerdì 11 luglio
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
4 Media Vocabolario. Lingua macedonia di nicola de Marchi ..................................... 7 Società Adriana Bisi Fabbri. Una risata vi libererà di Mariella dal Farra..................... 8 Passioni Odio di FranceSca rigotti ......................................................................... 10 Vitae Andrea Cometti di gaia griMani .................................................................... 11 Reportage Il quinto giorno di Ben Zej; FotograFie di SaBine BiederMann .................... 37 Fumetto Il diavolo e la bugia a cura di BookMaker coMicS ...................................... 42 Tendenze Automobili. Olio, ci penso io... di giancarlo FornaSier ........................... 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Pietro Veglio. Lo sviluppo come passione
di
Silvano de Pietro........................
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Pietro Veglio Fotografia ©Sabine Biedermann
È già tempo di grande cinema! L’appuntamento con il Festival del film di mati separatamente, appariranno sul numeLocarno (dal 6 al 16 di agosto) si avvicina e, ro 31 di Ticinosette, in distribuzione sabato 2 come già annunciato nel numero apparso lo agosto. Cogliamo l’occasione per ricordare scorso venerdì, Ticinosette in collaborazione che il numero 32 del nostro settimanale (in con l’organizzazione della manifestazione uscita l’8 agosto) sarà interamente dedicato (che ringraziamo per la grande disponibi- al Festival e al mondo del cinema, come lità... e generosità) mette a disposizione consuetudine da alcuni anni. dei lettori due abbonamenti generali che Concludiamo segnalando che nel numero permettono di assistere a tutte le proiezio- apparso la scorsa settimana è stato invoni dell’importante rassegna destinate al lontariamente omesso il nome dell’autrice pubblico. Partecipare è molto semplice: tra delle illustrazioni che accompagnavano la le pagine della rivista che state sfogliando fiaba a pag. 42. Le stesse sono della giovane sono “nascosti” alcuni “ciak” (come quello Laura Pellegrinelli, con la quale ci scusiamo qui sotto, ma naturalmente più piccoli). per la mancata segnalazione. Buona lettura, la Redazione Una volta trovati basta telefonare al numero indicato o inviare una cartolina postale, indicando il numero corretto. Tra tutti colori che avranno risposto in modo corretto due saranno i fortunati che riceveranno un buono con il quale recarsi alla cassa del festival (muniti di una foto formato passaporto) e ritirare il loro prezioso abbonamento (il valore totale dei premi è di ben CHF 600.–!). Naturalmente il buono potrà essere regalato a un familiare o a un conoscente, ma una volta confeLocarno zionata la tessera/ablm Festival di generali al Fi hiamata, ti /c en 90 m 0. na HF bo (C bonamento generale o dei 2 ab 0901 59 15 50 lo e at la vostra Per vincere un m o ia ch cazioni lasciand F 300.– l’uno), questa sarà nominale e seguite le indi io vostra (del valore di CH gl la lu n 24 co ì e entro gioved olina postal ) rt sa ca fis a te re un Cone lla at da e dunque non cedibi, “Ticinosette – ti. Oppure invi er Interactive AG ist ne e i vostri da Tw zio lu a: so io gl lu le ad altre persone. Horw. tro martedì 22 nstrasse 1, 6048 soluzione en carno”, Altsage Lo I nomi dei vincitori, i m fil l de l prossImo corso Festiva eL 2 agosto I suL n. 31 d at aL quali verranno inforgn se rranno
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Lo sviluppo come passione Pietro Veglio. Ticinese, oggi settantenne e attivo come presidente della Federazione delle Organizzazioni non governative, è stato una figura di spicco all’interno della Banca Mondiale e in seguito dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Ha quindi maturato un’esperienza profonda delle economie dei paesi in via di sviluppo oltre che una visione globale e articolata dei problemi connessi alla crescita del pianeta di Silvano De Pietro; fotografia ©Sabine Biedermann
“È Agorà 4
un’esperienza interessantissima, che consiglio a qualsiasi giovane”. Parla così del suo lavoro svolto in giro per il mondo Pietro Veglio, specialista di politiche di aiuto allo sviluppo. Originario di Acquarossa e nato a Bellinzona, ha vissuto per 37 anni lontano dal Ticino (per oltre due decenni all’estero), dapprima quale funzionario della DSC (Direzione dello sviluppo e della cooperazione presso il Dipartimento federale degli affari esteri), occupandosi dell’America Latina, poi quale consigliere del direttore esecutivo svizzero presso la Banca mondiale (BM) e senior evaluation officer presso la stessa istituzione. In seguito, è stato direttore della Divisione di analisi delle politiche di aiuto allo sviluppo presso l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) a Parigi, e infine direttore esecutivo per la Svizzera del gruppo della BM, rappresentando anche Azerbaijan, Kirghizistan, Polonia, Serbia e Montenegro, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Oggi, a settant’anni, Veglio è presidente della FOSIT, la Federazione delle ONG (le Organizzazioni non governative) della Svizzera italiana, quasi a dimostrare che il suo non è stato soltanto un prestigioso lavoro, ma una passione che ancora non si è spenta. Tant’è vero che continua a trasmetterla, quale visiting professor all’università della Svizzera italiana e all’università di San Gallo. Il suo messaggio ai giovani e agli studenti – “con i quali sono sempre in contatto”, tiene a sottolineare Veglio – è che si tratta di “una prospettiva allettantissima occuparsi di cooperazione e aiuto allo sviluppo, il che non vuol dire necessariamente fare quello che ho fatto io; ma se si vuol intraprendere qualcosa di simile lo si può fare a livello di governi, di istituzioni internazionali, di ONG anche combattive, e lo si può fare nel settore privato imprenditoriale, che ha bisogno di gente che porti una visione un po’ diversa su queste problematiche”. Ma quale sia la sua visione cerchiamo di capirlo con questa intervista. Veglio ha scelto di studiare economia “con l’aiuto
del professor Bruno Caizzi”, racconta, “che ho avuto la fortuna di avere come insegnante al liceo economico e che ha stimolato in me l’interesse per l’economia, in generale, e per l’economia dei paesi del Sud, in particolare”. Cosa l’ha poi indotta a entrare nella DSC? Mio nonno, con i suoi sette figli, emigrò in Inghilterra nel 1914, proprio all’inizio della prima guerra mondiale, per lavorare con suo fratello in un piccolo ristorante nei sobborghi di Londra. E forse il fatto di essermi confrontato con mio padre che parlava correntemente l’inglese e con le mie zie che lo parlavano altrettanto bene, e anche l’aver sentito parlare parecchio di altre realtà, mi ha condizionato o forse anche aiutato nelle mie scelte successive. Ma il suo passaggio dai programmi per l’America Latina della DSC alla Banca mondiale come è avvenuto? Ci sono state delle circostanze. Il 17 maggio 1992, un po’ a sorpresa, il voto popolare sancì l’adesione della Svizzera al Fondo monetario internazionale (FMI) e alla Banca mondiale. Non solo la Svizzera aderì, ma a fine agosto ottenne anche un posto al tavolo delle decisioni: una cosa inaspettata. In quel momento fui avvicinato dal nuovo direttore svizzero della BM designato dal Consiglio federale, che mi voleva come collaboratore personale. Per me non fu una scelta facile per ragioni di famiglia (avevo ambedue i figli iscritti al liceo); ma dopo alcune riflessioni con mia moglie decisi di accettare questa nuova sfida. E sono molto contento di aver preso questa decisione, perché ho scoperto un’istituzione che, nonostante la fama di cui gode, forse anche per giudizi un po’ superficiali, vista dall’interno è molto più aperta di quanto si pensi. In che senso? Ho vissuto dibattiti molto intensi su temi difficili come la privatizzazione e l’approccio alle riforme economiche nei paesi in transizione (partendo dalla Russia). In quel momento il capo
parte l’FMI si accorgessero che l’imposizione di politiche economiche ai paesi membri non funzionava in parecchi casi. Molti paesi tendevano ad accettare le ricette della BM e dell’FMI per avere i finanziamenti, ma poi, a livello di politiche economiche, decidevano per proprio conto quello che c’era da fare. BM e FMI hanno quindi condonato il debito estero dei paesi più poveri, permettendo loro di investire una parte dei soldi, che utilizzavano per rimborsare i creditori occidentali, per fare altro. Oggi, però, le ONG criticano le politiche ambientali di BM e FMI. In modo giustificato? La critica era giustificatissima negli anni ottanta. Ma è anche vero che in quel momento la BM non aveva ancora incorporato la dimensione ambientale nel disegno delle proprie politiche e nell’analisi dell’impatto dei propri progetti. Ci sono stati alcuni casi clamorosi che hanno spinto le ONG a intervenire in questo campo. Ma dal 1992/’93 le cose sono cambiate definitivamente in meglio. Non bisogna però mai dimenticare che la responsabilità delle politiche ambientali incombe ai paesi membri della BM, i cui governi in molti casi si oppongono, per esempio, all’introduzione di strumenti che penalizzino le imprese che emettono CO2 nell’atmosfera.
Pietro Veglio
economista della Banca mondiale era Joseph Stiglitz, premio Nobel nel 2001, che fu molto critico nei confronti degli interventi del FMI e della BM. C’era una certa pressione dall’esterno, da parte di ONG che facevano un lavoro di lobbying molto efficace. per spingere la BM a entrare in campi sociali, con un approccio diverso da quello tradizionale. Diciamo che la BM è stata duramente criticata per le sue politiche troppo orientate alla crescita economica e poco alla riduzione della povertà. C’è stato un periodo, gli anni otanta, in cui effettivamente la BM e l’FMI hanno avuto un approccio troppo economicistico e anche eccessivamente semplicistico verso i problemi dello sviluppo. La tendenza era quella di considerare, generalizzando, che solo l’economia classica fosse valida e che si trattasse di ridurre il ruolo dello stato, di contenere la spesa pubblica ecc. La grande critica a questa tendenza ha fatto sì che la stessa BM e in
Dovendo puntare sulla crescita dei paesi poveri, come si fa a individuare l’equilibrio giusto tra sviluppo dell’agricoltura, che significa rischio di promuovere colture OGM, danni alla biodiversità ecc., e sviluppo industriale, che comporta maggiore inquinamento? Domanda da un milione. Purtroppo vari paesi hanno trascurato lo sviluppo dell’agricoltura, con il risultato che assistiamo a un aumento dei prezzi dei prodotti agricoli che penalizza i paesi poveri che devono importare gli alimenti. Questo è stato un grosso errore; e le istituzioni internazionali, compresa la BM, non hanno sempre svolto un buon lavoro per convincere i paesi a dare priorità allo sviluppo agricolo. L’esempio positivo che cito sempre è quello del Vietnam, che oggi è autosufficiente nella produzione di riso, mentre non lo era venti o trent’anni fa. Per quanto riguarda lo sviluppo industriale, se guardiamo all’Africa (che, contrariamente a quello che raccontano i media, non è tutta un disastro) bisogna differenziare tra paesi e regioni. Alcuni paesi stanno compiendo dei progressi: insufficienti, ma (...) pur sempre progressi.
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“Ma nella gabbia dei cattivi non metterei solo le multinazionali: oggi constatiamo che purtroppo parecchi governi avviano iniziative non proprio «sante», per esempio, accaparrandosi nei paesi poveri terreni per la produzione di alimenti. Lo fanno alcuni paesi arabi, lo fa la Cina ecc.” E il ruolo delle multinazionali? Tra le multinazionali c’è di tutto. Ci sono alcune imprese, come quelle legate all’estrazione delle energie fossili, che in maggior parte non sono sensibili a queste problematiche. Non è un caso che si utilizzi ancora così tanto carbone, petrolio, gas naturale. Altre imprese, però, hanno capito che, anche operando in un’ottica di profitto su un mercato aperto, possono avere un interesse concreto nello stimolare e lanciarsi nel campo delle energie verdi.
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Ci sono, però, anche le multinazionali dell’alimentare, degli OGM… È possibile lasciarle fuori dallo sviluppo agricolo? O si può dire che ricattano un po’? È evidente che le multinazionali condizionano, non sempre positivamente, le scelte dei paesi. Ricattano? Diciamo che sono alla ricerca del maggior profitto; e siccome molte volte non incontrano resistenze degne di questo nome da parte dei paesi poveri, fanno quello che fanno. Ma nella gabbia dei cattivi non metterei solo le multinazionali: oggi constatiamo che purtroppo parecchi governi avviano iniziative non proprio “sante”, per esempio accaparrandosi nei paesi poveri terreni per la produzione di alimenti. Lo fanno alcuni paesi arabi, lo fa la Cina ecc. Questo dimostra che, senza rafforzare la capacità dei governi di questi paesi di determinare essi stessi le proprie priorità e le proprie politiche, il rischio è che i loro partner più spregiudicati traggano profitto solo per se stessi. Lei è passato dalla BM a una piccola organizzazione non governativa in Svizzera. Come operano le ONG? Prima di tutto devo dire che sono contento di essere passato a una organizzazione non governativa. Per me non c’è una rottura. Nel 1991, l’anno dell’anniversario della Confederazione, le ONG svizzere hanno lanciato una petizione per spingere il Consiglio federale e il Parlamento ad azzerare il debito dei paesi poveri nei confronti della Svizzera. Da funzionario pubblico ho imparato che senza la mobilitazione delle ONG questo non sarebbe successo. Sono le ONG che hanno promosso la campagna, coinvolto la classe politica, i parlamentari, l’amministrazione ecc., riuscendo a far cambiare la politica della Confederazione. La Svizzera è stata uno dei primi paesi, se non il primo, ad azzerare i crediti che avevano nei confronti dei paesi più poveri. Nella BM, nel corso di undici anni, ho visto l’attività delle ONG per convincere la BM a lavorare nella promozione dell’educazione primaria (in particolare delle bambine, che in vari paesi non hanno ancora accesso all’istruzione) e sono riuscite a ottenere risultati impressionanti. Potrei fornire ancora molti altri esempi, soprattutto nel campo della coerenza delle politiche, perché attuare una buona politica di aiuto allo sviluppo è una cosa, ma fare in modo che ci sia coerenza con altre politiche che hanno un impatto sui paesi in
via di sviluppo è un’altra faccenda, ben più difficile. Inoltre, in Svizzera le ONG hanno lanciato due anni fa una petizione per sensibilizzare il Consiglio federale e il parlamento sulla necessità di responsabilizzare le oltre 500 multinazionali che hanno qui la loro sede, sull’Arco del Lemano, a Zugo, perfino nel canton Ticino, e che sono attive soprattutto nell’estrazione e nel commercio di materie prime. Si tratta di richiamarle al dovere di assumersi la responsabilità per le attività delle loro filiali nei paesi del Sud del pianeta. Il Consiglio federale ha dovuto riconoscere che esiste questa problematica e che esiste un rischio per la reputazione della Svizzera. Ma lei, facendo questo lavoro appassionante, si è sentito più funzionario della Confederazione e delle istituzioni internazionali, o più “missionario”? Non credo di essermi sentito “missionario”. Funzionario sì, in una certa misura, perché ho sempre considerato non solo un obbligo ma anche un onore poter difendere determinati principi: ho sempre cercato di applicare criteri di etica nei miei giudizi e nei miei comportamenti. Penso di essermi sentito funzionario e anche cittadino libero. Una cosa in cui credo fermamente è che, se dovessi ritornare indietro, rifarei probabilmente le stesse scelte. Per me è stato un enorme piacere, che coltivo ancora: a volte ho l’impressione di essere quasi più appassionato adesso, dal momento che magari ho un po’ più di distanza rispetto a certi aspetti. Lo dico perché considero questi problemi come i “nostri problemi”. E questa non è una visione da “missionario”, ma una visione improntata al realismo. Il mondo è ormai globalizzato: siamo tutti cittadini dello stesso pianeta e su molti temi dobbiamo trovare delle soluzioni comuni. Lei ha vissuto tanti anni all’estero. Come ritorna in questo cantone, come ritrova il Ticino? È vero, ho passato più anni della mia vita professionale all’estero che in Svizzera. Il ritorno nel Ticino non è stata una scelta facile, anche per ragioni familiari, perché i nostri figli vivono a Ginevra. A un certo punto, ci siamo detti con mia moglie che dovevamo ritornare dove siamo cresciuti, e da questo punto di vista è stata senz’altro una scelta positiva, anche perché abbiamo mantenuto dei legami. Confesso, tuttavia, che ritornare in questa realtà dopo trentasette anni non è stato e non è ancora facile. Faccio fatica a capire certi comportamenti, per esempio, questa tendenza presente nel ticinese medio a essere litigioso su questioni di poca importanza. Dal mio punto di vista, mi sembra uno spreco di energie. Spero semplicemente che gli aspetti positivi di questo cantone (e ce ne sono) prendano il sopravvento. E credo nei giovani: la formazione, qui come altrove, è di primaria importanza. E attraverso la FOSIT spero di contribuire a mostrare che in Ticino c’è una solidarietà internazionale, molto semplice ma importante.
Lingua macedonia “Adultescenti, videodipendenti”. “Buttafuori da discopub”. “Brunch al mandarancio”. Tra le attuali manie linguistiche, non è certo un mistero, la parola composta spopola di Nicola De Marchi
Che siano neologismi sociali, culinari o tecnomediatici,
i vocaboli “anfibi” non rappresentano certo una novità. Fin dai classici greci come filosofia (amore del sapere), l’agglomerazione di due termini colma vuoti di significato. Talora a scapito della sintesi, come il minuzioso e un tantino ampolloso tedesco che già detiene il record della parola più lunga (79 lettere). Ma sebbene l’espediente delle parole composte non sia un fenomeno recente, con l’arrivo del marketing e sotto l’influenza dei media anglofoni, la tendenza delle lingue a formare neologismi composti si intensifica preoccuppandosi vieppiù della loro brevità. Ecco allora parole inglesi come smog (smoke-fog, fumo-nebbia), brunch (breakfast-lunch, colazione-pranzo), e i più recenti blog (web-log, diario in rete) o emoticon (emotion-icon, le faccine che condiscono i nostri SMS), imporsi nel linguaggio di tutti i giorni. Si chiamano “composti troncati” o parole macedonia, secondo la definizione del 1949 del linguista Luigi Migliorini che parla allora di “una o più parole maciullate insieme”, proprio come nella fresca insalata di frutta. In altre parole, vocaboli nati dalla fusione e contrazione di due o più termini.
cioè la sitcom, fusione di situation e comedy. O dall’atomo delle immagini digitali: il pixel, tamponamento di picture e element. Per arrivare al più sospetto infotainment: amalgama di information e entertainment. Altro nome dell’informazione spettacolo, divulgatrice a sua volta di parole sandwich quali Brangelina (l’onnipresente coppia Brad Pitt e Angelina Jolie).
Brevi e intense Ma la vera fucina delle parole macedonia resta il marketing con i suoi nuovi prodotti ibridi (dalla musicassetta al videofonino passando per la panizza) e relativi improbabili nomi. Vedi la storica Nutella (da nut, nocciola inglese e suffisso italianizzante –ella), o i più recenti Pokemon (pocket e monster), Microsoft (microcomputer e software), fino a TILO, il locale e noto sistema ferroviario tra Ticino e Lombardia (mentre a Milano ha appena aperto Veganz, catena di supermercati tedesca interamente ganz o amorevolmente ganzo vegana). Detto ciò, ogni lingua possiede le sue parole macedonia. Il francese. per esempio, al quale il mondo deve il velcro (composto di velours e crochet), e che al barbaro mail preferiPagina di una vecchia edizione inglese di Alice nel paese delle meraviglie Dall’ente alla diva sce courriel (courrier électronique). O In italiano il successo di questo fel’islandese che all’albionico computer nomeno-deviazione lo si riscontra soprattutto tra svariati contrappone il teutonico Tölva: fusione di tala (numero) enti dai nomi improbabili come Cogepesca (Confederazione con la maga mitologica Völva. O ancora l’indonesiano, generale della pesca) o la locale Polca (Polizia Cantonale). nel quale mafia riunisce, non le famiglie dal grilletto Altrove però i neologismi macédoni indicano anche nuovi facile, bensì l’insieme delle materie legate all’aritmetica generi o categorie del sentire contemporaneo, come sug- (matematica-fisica-chimica), e che ha già coniato un verbo geriscono termini già canonici quali fantascienza o tragico- (copas, composto di copy e paste) per chi, nel comporre mico. Così in ambito sociale dove l’emergenza di nuove testi, ricorre al comodo copia-incolla. categorie impone invenzioni linguistiche come quella di In inglese le parole macedonia sono chiamate “Portmankidults (impasto di kid, ragazzo, e adult), l’eterno adoleteau words”: parole appendiabiti, dall’omonima grande scente versione marketing, reso in italiano da adultescente valigia a due scomparti citata dal neologista impenitente (adulto-adolescente). Neo-categoria spesso accostata a un Lewis Carroll nel suo Attraverso lo specchio. altro macedonismo: Cocopro, il Contratto di Collaborazione “Vedi”, dirà Humpty Dumpty ad Alice, “svatti (svelti-attivi) a Progetto, già sinonimo burocratesco di precariato. è come portmanteau, ci sono due significati riuniti in una sola In ambito mediatico, al di là degli infiniti composti in- parola”. Ma meglio che svatto, il concetto di parola macetrodotti dai prefissi tele-, video-, ciber-, i macedonismi si donia, come dicono i giovani a Bologna, è una questione sprecano. A cominciare dal genere TV per eccellenza, e brensa (breve e intensa).
Media 7
Una risata vi libererà “Adriana Bisi Fabbri (…) fu penalizzata dalla ventura di essere donna, di essere un’autodidatta inquietantemente eclettica, di essere scomparsa a soli 37 anni (…), ma, soprattutto, di avere operato in quel decennio, antecedente la prima guerra mondiale, nel quale la concentrazione delle avanguardie europee avrebbe rivoluzionato il panorama dell’arte, rendendo ancora più problematica la sua collocazione” (Paola Pallottino, critica d’arte)
di Mariella Dal Farra
Società 8
La caricatura, genere normalmente ritenuto “minore” nell’ambito delle arti figurative, è caratterizzata da un segno grafico capace di cogliere gli aspetti più distintivi di una fisionomia, accentuandoli o deformandoli in maniera tale da renderla buffa. Abituati come siamo ad associarla alla satira politica, dove viene utilizzata soprattutto in forma di vignetta umoristica, la caricatura sottintende in realtà – e restituisce – una sottile capacità di comprensione psicologica, i cui esempi più significativi sono forse costituiti dai disegni “grotteschi” di Leonardo Da Vinci. In altre parole, la caricatura presuppone “una padronanza dei vari elementi del comico in una cultura matura ed evoluta che abbia indagato a fondo i problemi dell’anima e della società umana”1. Una rilettura dell’arte Adriana Bisi Fabbri (1881–1918), pittrice poco conosciuta, ci stupisce ancora oggi per la freschezza del tratto e l’acume dello sguardo, che risaltano in particolare nelle sue “caricature artistiche”: caricature che hanno cioè per oggetto non una persona ma un quadro, meglio se celebre. Irresistibili, in questo senso, le sue reinterpretazioni (matita su carta) del Ritratto di dama di Piero del Pollaiolo, quadroemblema della collezione Poldi Pezzoli di Milano (Ritratto d’ignota, 1912) e del Claude de Lorraine di Jean Clouet, conservato invece presso la Galleria Palatina di Palazzo Pitti, a Firenze (Saint Marsault, scudiero di Francia, 1912). Se queste “parodie” esprimono una garbata presa in giro degli stilemi dell’arte classica e dei modelli che propongono, esse lasciano trasparire al contempo la passione e il rispetto per i grandi maestri, a cui indirettamente porgono omaggio. D’altra parte, la vena dissacratoria della Bisi Fabbri non risparmia i moti artistici a lei contemporanei, come per esempio accade nel disegno a mezzatinta Saggio del programma futurista (primo premio al Concorso di arte umoristica indetto da il quotidiano Il Secolo XX nel giugno 1912), che ritrae una Monna Lisa strangolata da due mani maschili (presumibilmente appartenenti a Marinetti).
Coeva al sorgere del movimento futurista, con il quale era letteralmente “imparentata” in quanto cugina di Umberto Boccioni, la pittrice non partecipa però all’avanguardia, figurando anzi fra i “dissidenti” che nell’autunno del 1917 esposero alla Permanente di Milano in aperta polemica con i più animosi colleghi. Oltre la parodia Ma chi era quest’artista la cui breve vita, dislocata fra Ferrara, Padova, Bergamo e Milano, attraversa tangenzialmente la parabola futurista, oscillando fra simbolismo ed espressionismo2, ma con una cifra così autenticamente originale da sorprenderci ancora oggi? A quanto riporta la sua biografia, Adriana Bisi Fabbri era, per mancanza di mezzi, un’autodidatta. Nata a Ferrara in una famiglia originariamente agiata, la cui condizione economica precipita a causa del comportamento dissoluto del padre, situazione che costringe la madre a lavorare per mantenere se stessa e i figli. Lei stessa si sostenta, nel corso della sua carriera, collaborando a diversi giornali – fra cui Il giornalino della domenica, La freddura, Il secolo illustrato e Il popolo d’Italia – affiancando all’attività di pittrice quella più spiccia e remunerativa di illustratrice. Moralmente supportata dal marito Giannetto Bisi, giornalista e critico d’arte con il quale ebbe due figli, Adriana Fabbri seppe impadronirsi “di ogni genere di tecnica, dal pastello alla pittura a olio, dall’encausto alla china, alternando i quadri su tela ai pannelli decorativi, la miniatura su vetro al disegno di moda, l’illustrazione alla caricatura”3. Il suo eclettismo trova un comune denominatore nella lucida ironia che percorre gran parte della sua produzione, soprattutto – e non a caso – quando questa si appunta sulla condizione femminile, che dileggia senza falsi pudori nella serie di quattro tempere intitolate Le occupazioni della donna (In famiglia, Al ricevimento, In salotto, Al servizio, 1912). In questi quadretti (40x60 cm), le protagoniste sono raffigurate nello svolgimento delle proprie consuete occupazioni, che variano a seconda della classe sociale a
cui appartengono: così, alla donna di umile estrazione, oberata dai lavori domestici, si contrappone la signora dell’alta società, “occupata” a ricevere gli omaggi di galanti nobiluomini; e mentre un gruppo di entraineuse si aggira fra potenziali clienti ( “… Sono occupate…?” recita la didascalia), una madre è impossibilitata a partecipare a una riunione di famiglia perché richiamata alle cure del figlio. Il femminile, per ridere La sensibilità espressionista si manifesta invece in maniera compiuta nel dipinto I sette peccati (1914): un’opera che sarebbe probabilmente piaciuta a Otto Dix. I vizi capitali sono impersonati da figure ancora una volta femminili: sette donne riunite intorno a una tavola imbandita, sollecitamente assistite da servitori infernali e colte, con pochi tratti concisi ed efficaci, nelle loro specifiche “inclinazioni”. La sferzante ironia della Bisi Fabbri è tale da farla incorrere nella censura, come per esempio avviene in occasione della mostra Frigidarium4, dove una Salomè dalle forme sovrabbondanti (Passo di danza, 1911) non viene esposta perché “ritenuta dagli organizzatori poco adatta, per usare un eufemismo”5. Lo stesso accade alla personale tenuta al Lyceum di Roma nel dicembre dello stesso anno (1911), in cui due quadri vengono rimossi, salvo poi essere mostrati in forma privata ai visitatori (e diventando una delle principali attrazioni dell’evento)6. Questo “esilarante accanimento” sulla figura femminile è stato talvolta frainteso, in quanto considerato “antifemminista” e, addirittura, “nemico del suo sesso”7. Al contrario, se “Perché sorga il comico, e quindi la caricatura, è necessario che l’uomo diventi il problema centrale della temperie culturale” 8 , allora possiamo dire che Adriana Bisi Fabbri ha contribuito a rendere le donne parte integrante della “temperie” del suo tempo, rappresentandole non sotto forma di un ideale astratto ma come soggetti dei quali, e con i quali, è possibile ridere, così come normalmente accade nell’ambito del consorzio umano.
per saperne di più La bibliografia relativa a Adriana Bisi Fabbri è alquanto scarna. Ci limitiamo pertanto a segnalare il bel catalogo della mostra che ha avuto luogo qualche anno fa al Museo della Permanente di Milano: Adriana Bisi Fabbri 1881–1918, a cura di Luigi Sansone, Edizioni Gabriele Mazzotta, 2007. note 1 treccani.it/enciclopedia/caricatura_(Enciclopedia-dell’-Arte-Antica) 2 Vittorio Sgarbi, “Prefazione” al catalogo della mostra Adriana Bisi Fabbri 1881–1918 (Milano, Museo della Permanente, 3 maggio – 17 giugno 2007) a cura di Luigi Sansone, Edizioni Gabriele Mazzotta, 2007. 3 Paola Pallottino, “Breve la matita felice di Adriana Bisi Fabbri - Illustrazione e grafica 1908-1918”, in Op. cit., pag. 101. 4 Inaugurata il 10 giugno 1911 al Castello di Rivoli, Torino. 5 Op. cit., pag. 22. 6 Op. cit., pag. 22. 7 Gec (Enrico Gianieri), Storia della caricatura europea, Vallecchi editore, 1967, pag. 119. 8 treccani.it/enciclopedia/caricatura_(Enciclopedia-dell’-Arte-Antica)
Società 9
Adriana Bisi Fabbri, Ritratto di ignota, 1912
Odio
Sentimento di negatività, di cieca opposizione al bene, questa “passione triste” non ha sbocco e si alimenta nel tempo, freddamente, deprimendo la nostra felicità e la capacità di vivere di Francesca Rigotti
Passioni 10
Che cos’è l’odio, di che cosa parliamo quando parliamo Odio individuale e collettivo di odio? Di una passione, di un sentimento, di uno stato L’odio è un sentimento con basi biologiche antiche, legate d’animo di avversione e ostilità verso qualcuno, accom- all’aggressività, alla frustrazione, persino alla noia. Dicono pagnato dal desiderio di nuocergli. Nell’odiare proviamo anche che sia più antico dell’amore, in quanto corrisponde antipatia profonda, totale insofferenza, rifiuto; l’odio è al rifiuto di quel mondo esterno che sembra aggredire la un’emozione che si avverte istintivamente e spontanea- mia persona. L’odio è una passione individuale pronta a mente, anche se può essere educata, modellata, placata. trasformarsi in sentimento collettivo, addirittura in colSi può esprimere l’odio in manielante sociale nel momento in cui ra diretta, verbale, per esempio, viene a coinvolgere varie persone con insulti, offese e minacce, e gruppi. o fisica con atti di violenza, Si tratta di un fenomeno ben assassini, stupri, guerre; oppure noto e sul quale hanno giocato in maniera indiretta, coltivando nei secoli ogni sorta di trascinapensieri inespressi che portano tori di masse, proprio perché è talvolta a disagio e sofferenza molto più facile tenere insieme materiale per chi odia. Se ci la gente “contro” qualcuno o chiedessero, per definire l’odio, qualcosa che a suo favore; l’odio di aggiungere un aggettivo al terrinsalda i sentimenti di solidariemine “sentimento”, credo che il tà e appartenenza, trasformando primo a venirci in mente sarebbe “noi” nei buoni e “loro” nei Immagine tratta da nptechforgood.com “negativo”. L’odio è infatti un cattivi. “Loro” che ci portano via sentimento negativo perché dice di no al bene, lo nega, e il lavoro, che insediano le “nostre” donne, che vengono fa star male sia chi odia sia chi è odiato. qui da “noi” a rubare e sporcare le “nostre” linde città. Ma anche “loro” che tifano per una squadra diversa dalla Una passione triste nostra, praticano un’altra religione, o sono, questi “loro”, L’odio può apparire in molte gradazioni, dall’antipatia donne che incontrano uomini che le odiano e vogliono all’amarezza al rancore all’indignazione al disprezzo. loro male. È l’odio nei confronti del nemico che unisce e Differisce dal risentimento, che non trova sbocco e ama motiva, muove e stimola, in negativo sì ma anche, punto nascondersi e rode l’animo. È diverso anche dall’ira, che da non dimenticare, in positivo, quando porta a liberarsi dell’odio è una manifestazione palese e di breve durata, dif- da aggressori e oppressori. ficilmente controllabile. L’ira è infatti una passione calda, anzi bollente, furiosa, rossa. L’odio, al contrario, è freddo, Odi et amo calcolato, alimentato e accudito costantemente, grigio o È l’odio il contrario dell’amore? Si possono amare e odiare nero, lo definirei. L’odio fa parte di quelle “passioni tristi” le stesse cose, la stessa persona? Alla prima domanda pare di cui parla Baruch Spinoza, il grande filosofo olandese del potersi rispondere di sì: l’amore, non soltanto l’amore tra seicento, le quali, insieme all’invidia e all’avarizia, deprimo- i sessi, è il legame personale e affettivo di una persona con no la nostra voglia di vivere. Anche se ci fanno soffrire però, un’altra, o anche il legame che nasce dall’identificazione queste passioni contengono una specie di compensazione con un certo gruppo. Il contrario dell’amore è l’odio in intrinseca, una porzione di piacere agro accompagnata da quanto rifiuto emozionale, individuale ma anche collettivo desideri e fantasia di vendetta nei confronti dell’oggetto dell’altro o di altri. Anche alla seconda domanda si può pedell’odio: questo perché la fantasia dell’indugiare a vendi- rò rispondere positivamente, come ben sa qualsiasi amante carsi con il pensiero – scriveva Aristotele – provoca piacere. deluso o delusa nel caso di un sentimento non corrisposto. Il filosofo antico aveva infatti ben colto il fatto che nelle Lo esprime magnificamente una brevissima composizione passioni tristi vi è una presenza complementare di dolore poetica, due versi appena, coi quali chiudiamo, del poeta e piacere, un piacere “più dolce del miele stillato” (Retorica, latino Catullo, amante non corrisposto: “Odi et amo. Quare II,2, 1378b). Non solo: Aristotele attribuiva all’odio e alla id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior” vendetta una dignità che oggi, nelle nostre civiltà buoniste, (Odio e amo. Perché io lo faccia, forse ti chiederai. Non lo non siamo più disposti a riconoscere. so, ma sento che accade, e mi tormento).
S
ono nato il 9 marzo 1978 a Mendrisio e ho trascorso i miei primi anni di vita a Campora, in Valle di Muggio. Sin da bambino, quando mi sentivo attorniato da troppe persone e dalla loro “frenesia”, mi appartavo in un luogo tranquillo, in solitudine, avvolto nei miei pensieri, attendendo... Oltre ai familiari, vi sono state alcune persone che mi hanno aiutato a tracciare la via: il professore di filosofia e storia al liceo, che scoprì e accompagnò il mio “primo fare poetico”; il professore e mastro artigiano della SUPSI , il quale mi fece comprendere il modellato e mi fece amare il gesso; il carissimo amico salesiano missionario, il quale mi aiutò a osservare e ad agire nel mondo. Ho terminato il liceo in Ticino, maturando sempre più l’idea di intraprendere una via artistica. Trascorsi i primi due anni all’Accademia di scultura di Carrara, mi sono trasferito all’Accademia di Belle Arti di Brera, ma, un mese prima di dare gli esami, ho preso un’importante decisione e sono partito alla volta dell’Etiopia, dove intendevo soggiornare per un po’ di tempo. Rientrato in Svizzera dal mio terzo viaggio etiope, ho avuto la fortuna di potermi trasferire in Valle di Muggio, a Campora. Fra il paese di Campora e quello di Monte, un terreno e una casa, un tempo i campi e la stalla dei miei avi da parte paterna, sono divenuti la mia dimora. È un luogo familiare, un ambiente rassicurante, immerso nella natura e nella tranquillità, una buona postazione da cui percepire e osservare la frenesia del mondo, un luogo appartato, ma non troppo discosto. Ogni mattina mi sveglio mediamente verso le sei, e, dopo aver sorseggiato il primo caffè, mi dedico agli animali: due cani, tre gatti, quattro lama, alcune capre, diverse galline, qualche pesce rosso e presto, spero, un gufo reale europeo. Poi, a dipendenza del giorno e del tempo atmosferico, mi dedico al giardino, ai pascoli, alla scultura, alla poesia o all’otium. Amo la presenza vegetale, seppur sia un pessimo agricoltore, per contro adoro e sento la necessità del contatto con il mondo animale. Dalla natura cerco di imparare la tenacia, la pazienza, la nascita e la morte. Sono poeta e scultore di professione e gestisco una piccola
“azienda” a titolo amatoriale. La mia prima scultura è nata oltre un ventennio fa, è poi subentrata la poesia quale mezzo di espressione (non necessitava di spazi adatti e di attrezzature e materiali costosi). Con il passare del tempo sono poi tornato all’atto scultoreo e attualmente poesia e scultura convivono in stretta simbiosi nella creazione artistica e nella mia ricerca esistenziale. Osservo il genere umano e il suo agire con rinnovato stupore: ogni “altro” non è che un possibile “me stesso”. Ho molti buoni conoscenti e alcuni ottimi amici. Mi rapporto volentieri con gli altri, seppur preferibilmente “a piccole dosi”. L’amore? Penso di essere sostanzialmente un romantico: ironicamente lo percepisco come uno spazio che osservato riempie l’animo di emozioni; e per la maggior parte del tempo interpreto il personaggio solitario perso nel contemplare la sublimità di tale paesaggio. Fortunatamente il tempo sfugge a tutti noi e, in tale consapevolezza, ho deciso di vivere il mio, seguendo e applicando tre motti latini: Festina lente (Affrettati con calma), Memento mori (Ricorda che devi morire) e Vanitas vanitatum, et omnia vanitas (Vanità delle vanità, tutto è vanità). La mia “bibbia personale” è inevitabilmente divenuto un breve testo dell’Antico Testamento: il Qohelet, o Ecclesiaste. Sono una persona che ha rinunciato volontariamente alle “comodità” schiavizzanti della nostra epoca: niente telefonino, per esempio, e nessun collegamento internet a casa. Tutto ciò non mi penalizza sul piano professionale poiché, scrivendo poesie e producendo sculture, il telefonino non è uno strumento annoverato fra quelli utili alla creazione di entrambe. Per di più, quale oggetto, rappresenta per me un tassello della frenesia. Sono comunque raggiungibile sulla linea telefonica fissa e continuerò a utilizzare il servizio e-mail, leggendo e inviando messaggi con meno frequenza… festina lente! Detto con “humor”, dal punto di vista finanziario, quello che mi penalizza è “essere un’artista”, non la presenza o la mancanza di mezzi comunicativi.
AnDREA COMETTI
Scrittore e scultore della Valle di Muggio, vive accudendo diversi animali in un ambiente rurale. Ritiene la capacità di fantasticare lo stato di coscienza che più ci rende liberi e felici
testimonianza raccolta da Gaia Grimani fotografia ©Flavia Leuenberger
Vitae 11
RSI a l l e d d he roa t n o o , il gioc aude Pascal! H ato, S b A a C s a l a ĂŹ C n r To Tami e a luned a d s , s o i t r s a l con C 30 ago l a o i l g lu Dal 21 LA 1 u s 0 4 . alle 20 ash
rsi.ch/c
Joe 2005, Zurigo
Il quinto giorno di Ben Zej; fotografie ŠSabine Biedermann
Chilli 2005, Zurigo
1.
Ce lo portarono in un tardo pomeriggio di giugno. Non era di razza ma si presentava bene: taglia media, magro, una buona struttura, l’aspetto di un setter irlandese ma dal manto fulvo. I due padroni, una coppia di mezza età senza figli, sembravano piuttosto preoccupati ma il fatto che la nostra casa avesse un bel giardino li rassicurò. Avevano deciso di cedere Whisky perché vivevano in città, in un appartamento troppo piccolo per un cane animato da un’autentica vocazione per la caccia e la vita all’aperto. Fu un compagno affettuoso e divertente, dal carattere dolcissimo come lo sono quasi sempre i cani da caccia. Restò con noi per molti anni fino alla sua misteriosa scomparsa avvenuta poche settimane dopo la nostra separazione. Non avevamo avuto figli e il distacco, anche se doloroso, si svolse in modo tutto sommato lineare: lei restò a vivere nella casa con il giardino e io mi trovai un appartamento a una ventina di chilometri, una ragionevole distanza di sicurezza, in una cittadina fra Milano e Bergamo. Ogni tanto ci sentivamo, brevi colloqui telefonici spesso nervosi e resi ancora più intricati da rimpianti e aspettative non del tutto sopite. Le chiedevo sempre se avesse saputo qualcosa di Whisky, ma del nostro cane non vi era più traccia. Erano ormai passati quasi sei mesi quando una sera, mi stavo preparando la cena, suonò il telefono. Era lei. Mi disse che lo avevano trovato nelle vicinanze di una cascina, proprio a poche centinaia di metri da dove abitavo. Mi diede un numero di telefono e io andai a prenderlo. Era dimagrito, il pelo infangato e portava addosso tutti i segni della vita da randagio, ma mi riconobbe subito, fece le feste come sempre e mi seguì a casa docilmente. Dopo averlo lavato e condotto dal veterinario per un controllo, lo tenni con me per qualche tempo (lei era partita per una vacanza in Puglia con un’amica). Al suo ritorno glielo consegnai pulito e rifocillato. Le dissi anche che ogni tanto mi
sarebbe piaciuto portarlo con me a fare un passeggiata in campagna nel fine settimana ma lei rispose che preferiva evitare, che era meglio non ci fossero occasioni di incontro fra noi, almeno in quella fase. Qualche mese dopo, suo padre andò a trovarla e per distrazione lasciò aperto il cancello. Whisky ne approfittò subito, se la diede a gambe e di lui non si seppe più niente. Lo cercai per settimane, vagando per le campagne e le cascine fra Settala e Merlino ma non ci fu nulla da fare. Resto però convinto del fatto che quella sua prima fuga sia scaturita dall’impulso di cercarmi, quasi nel tentativo, almeno così voglio pensarlo, di ricostruire quell’unità che era andata perduta, per sempre.
Tyson 2005, Zurigo
Amok 2005, Zurigo
2.
In seguito, ho sempre scelto il gatto come animale domestico, più facile da gestire, indipendente, pulito e altrettanto capace di offrire compagnia e affetto anche se in modo certamente più riservato e meno chiassoso. Tutte cose risapute. In realtà, frequentandoli ho scoperto che anche i gatti anelano alla nostra compagnia e lasciarli in un appartamento a lungo da soli li fa soffrire. Sono animali di assoluta bellezza ed è un piacere averli attorno. Senza dimenticare, infine, che rappresentano il miglior sonnifero che si possa desiderare quando si accoccolano in fondo al letto o accanto a noi sul divano. Proprio portando uno dei miei gatti a fare delle vaccinazioni dal veterinario mi capitò, ormai alcuni anni fa, di assistere a una scena toccante. Entrato nella sala d’aspetto
vi trovai una coppia di un certa età con un vecchio pastore tedesco accucciato a terra. La donna aveva il volto rigato dalle lacrime e l’espressione di entrambi non lasciava presagire nulla di buono. Il veterinario li invitò a entrare nello studio da cui uscirono pochi minuti dopo. La donna abbracciò il cane e scappò di corsa mentre l’uomo lo condusse fuori. Era il mio turno. Il dottore, che conoscevo da tempo, dopo avermi accolto all’interno si sedette dietro la scrivania e con aria un po’ avvilita esclamò: “Questa è la parte meno piacevole del lavoro… del resto capita. Li liberiamo dalla sofferenza ma per i padroni è uno strazio”. Restammo a lungo in silenzio, poi, dondolandosi sulla sedia e guardando fuori dalla finestra, egli aggiunse una
Tea 2001, Milano
Fougou 2005, Zurigo
Flynt 2005, Zurigo
considerazione che mi è rimasta particolarmente impressa: “Quando gli faccio l’iniezione non penso a quello specifico cane, o gatto che sia, come al singolo essere, a Black, Fido o Guizzo, ma come a una parte infinitesimale di ciò che essi rappresentano… intendo in termini di entità generali, il Cane, il Gatto… e questo mi aiuta, mi conforta”. All’uscita, fuori dall’ambulatorio trovai l’uomo e il suo pastore tedesco. Lo accarezzava dolcemente godendosi gli ultimi istanti di una amicizia che si sarebbe conclusa di lì a poco. Col tempo ho capito che gli animali, quelli che teniamo accanto a noi e che scegliamo come compagni di vita, li amiamo proprio perché sono espressione di una purezza assoluta che ci è estranea, una purezza forse frutto della loro incoscienza, ma alla quale in fondo aspiriamo senza alcuna possibilità di accedervi. Edwin Muir (1887–1959) è stato un grande poeta scozzese del novecento. Nato da una famiglia di agricoltori delle isole Orcadi, mantenne sempre una sorta di distacco umano e intellettuale che lo pose un po’ al di fuori del costume letterario dominante. A Muir si deve una lirica straordinaria dedicata appunto agli animali nella quale si può scorgere il senso delle parole rivoltemi quel giorno dal veterinario. A commento di questa poesia, che di seguito riportiamo, il critico Carlo Izzo scrisse: “L’animale (...) è per Muir il simbolo, al tempo stesso consolante e pauroso, dell’eterno nella natura, che ripete imperterrita le sue forme nel tempo, senza fine, e quasi sembra irridere al nostro umano sgomento di perpetui morituri” (dall’Introduzione a Un piede nell’Eden e altre poesie, di Edwin Muir, Einaudi, 1974).
Sabine Biedermann Nata in Austria nel 1974 e diventata fotografa per girare il mondo lavorando. Ha vissuto a Londra, Milano e Zurigo e da poco si è trasferita in Ticino, ad Arogno. È appassionata di ritratti e reportage. sabinebiedermann.com Terka 2005, Zurigo
Lily 2005, Zurigo
Gli animali (The Animals) Non vivono nel mondo, non sono nel tempo e nello spazio. Scagliati dalla nascita verso la morte non hanno parole, non una su cui poggiare il piede, e non furono mai in alcun luogo. Perché con nomi il mondo fu evocato dall’aria vuota, con nomi fu costruito e murato, linea cerchio e quadrato, polvere e smeraldo; strappato dall’ingannevole morte da un respiro articolato.
Ma loro non hanno mai calcato due volte il sentiero conosciuto, né mai, mai sono tornati nel primo giorno ricordato. Tutto è nuovo e vicino nell’immutabile Qui del quinto grande giorno di Dio, che resterà sempre uguale e che mai trascorrerà. Nel sesto giorno fummo noi a venire.
(Edwin Muir, da New Poems 1949-1951)
METtIAMO DELlE TRAVI IN LEGNO E CI RIMETtIAMO LE PIASTRELlE SOPRA?
POSsIAMO PROVARE A RIEMPIRLO CON DELlA CALCE… CI HANnO GIÀ PROVATO! IL BUCO SEMBRA NON FINIRE MAI.
QUANTE PERSONE HANnO PROVATO A TAPpARLO QUESTO BENEDETtO BUCO?
GIÀ PROVATO ANCHE QUESTA… SONO SCOMPARSI LA MATtINA DOPO… RESTAVANO SOLO ALCUNI PEZzI DI LEGNO E NIENT' ALTRO… COME SE FOSsERO STATI INGHIOTtITI!
TUTtI I GESsATORI E GLI OPERAI DELlA VALlE… VOI SIETE L'ULTIMO…
QUA MI SEMBRA CHE LE ABbIANO PROVATE TUTtE… IO NON SO PROPRIO CHE FARCI…
DA UN MINUTO ALl'ALTRO! IL PADRONE NON SCENDEVA PER LA COLAZIONE…
MA SI È CREATA COSÌ? DA UN GIORNO ALl'ALTRO?!
"DA DIVERSE SETtIMANE SI COMPORTAVA IN MODO STRANO… DORMIVA POCO, NON MANGIAVA QUASI NULlA E NON SI È MAI
QUANDO SONO ANDATO A CHIAMARLO ERA SCOMPARSO E C'ERA QUEST'ENORME VORAGINE NEL PAVIMENTO!
" TUTtO HA AVUTO INIZIO IL GIORNO IN CUI LITIGÒ CON UN CONTADINO…
CAMBIATO LA CAMICIA…
“NON HO SENTITO MOLTO DI QUELlO CHE SI DISsERO, MA CREDO SI TRATtASsE DI UN AFfITtO ARrETRATO O QUALCOSA DEL GENERE…
“FATtO STA CHE, DA QUEL GIORNO, NON SI CAMBIÒ PIÙ E COMINCIARONO I COMPORTAMENTI BIZzARrI…
POI IL GIORNO DELlA SUA SCOMPARSA ABbIAMO TROVATO QUESTA STATUA INQUIETANTE…
QUESTA NON PUÒ CHE ESsERE OPERA DEL DEMONIO!
progetTo a cura di: BOoKMAKER COMICS Testi: MATtEO GERBER DISEGNI E COLORI: JOEL PRETOT
BUGIARDO!
VOI NON MI AVETE MAI PAGATO IL DOVUTO! DOVETE PROVvEDERE
VOI MI DOVETE PAGARE L'AFfITtO DEI CAMPI, DEI PRATI E DELlE STALlE!
IMmEDIATAMENTE!
MA MIO SIGNORE… LE HO GIÀ PAGATO IL DOVUTO IL GIORNO DI SAN MARTINO.
CARA… PADRON MARCUSsE PRETENDE IL PAGAMENTO DEL MESE…
…DOBbIAMO PAGARE… NON POSsIAMO RISCHIARE DI PERDERE QUESTE TERrE…
IL PAGAMENTO DEL MESE?! MA L'ABbIAMO APpENA PAGATO!
LA RICEVUTA! SICURAMENTE TI SEI FATtO FARE UNA RICEVUTA NO? SE ABbIAMO LE PROVE DEL TUO PAGAMENTO NON POTRÀ PRETENDERNE UN ALTRO! PURTROPpO NON ME LA SONO FATtA FARE… HO TROPpA FIDUCIA NELlE PERSONE…
GLIEL'HO DETtO, MA NON HA VOLUTO CREDERMI…
LI AVEVO MESsI DA PARTE PER PAGARE IL PROSsIMO MESE…
VEDETE, IO NON VI HO DERUBATO, HO SOLO CHIESTO CIÒ CHE MI ERA DOVUTO QUESTO GLIELO POSsO ASsICURARE!
ANZI, SAPETE CHE VI DICO? POSsA IL DIAVOLO PORTARMI VIA APpENA MI
NON SO COME LO PAGHEREMO A QUESTO PUNTO...
CAMBIERÒ LA CAMICIA CHE HO INDOSsO SE DOVESsI DIRVI UNA BUGIA!
BRAVO CONTADINO! HAI FATtO LA COSA GIUSTA!
FINE
OLIO ci penso io… Tendenze p. 44 – 45 | di Giancarlo Fornasier
“S
e lei chiede a dieci automobilisti quale tipo di olio devono mettere nella loro auto, con ogni probabilità quasi nessuno le saprà rispondere…”. Lo sostiene Renato Gazzola, portavoce del Touring Club Svizzero (TCS), associazione con oltre un milione e mezzo di affiliati. In effetti, i temi olio e lubrificazione del motore sono soggetti per nulla banali e assai dibattuti tra gli addetti ai lavori e gli appassionati (ma poco considerati dai comuni automobilisti), e non è raro che anche alcuni meccanici facciano scelte di comodo (per esempio, legate al fornitore di fiducia) piuttosto considerare le caratteristiche del veicolo e la sua età, ma anche il tipo di clima (caldo, freddo, temperato) presente nel luogo in cui il proprietario dell’auto abita e viaggia. Manca o non manca? In un recentissimo comunicato1 è lo stesso TCS a ri-sollevare il “problema”. Per quale ragione? Forse i pattugliatori del Touring incorrono sempre più spesso in vetture a secco del vitale fluido (con tutte le conseguenze del caso)? Il caldo dell’estate mette a dura prova i veicoli, e quelli senza il corretto olio
o la giusta quantità devono essere soccorsi? Gazzola da noi sentito, sottolinea come il senso del comunicato vada ricercato in altre direzioni. Tutte le automobili con motori a combustione sono dotate di sensori che rilevano e avvisano il conducente se il livello dell’olio nel motore è al di sotto del minimo (la famosa “tacchetta” presente nell’asticella, anche se vi sono auto moderne che non ne sono più provviste…), limite solitamente segnalato da un’apposita spia luminosa presente nel cruscotto. Per non parlare di marche e modelli provvisti pure di indicatori di temperatura e pressione del circuito lubrificante. Ma le auto più recenti, al momento dell’avvio del veicolo, informano il conducente anche di quanti chilometri mancano al prossimo appuntamento con il ga-
ragista; un dispositivo piuttosto utile e che sovente tiene conto non solo dei chilometri fin lì percorsi, ma pure di “come” viene guidata la vettura. Un aspetto molto importante: lo stile di condurre (guidare sovente ad alti regimi di rotazione, partenze “a freddo” e senza l’accortezza di lasciare girare l’auto, anche solo per pochi attimi al minimo2 e quindi permettere all’olio di bagnare tutte le componenti meccaniche interne ecc.) e il tipo di percorso (brevi viaggi con molte accensioni e spegnimenti, guida solo in città piuttosto che pochi ma lunghi viaggi in autostrada) influenzano la vita stessa del motore, ma anche la capacità dell’olio di mantenere nel tempo le caratteristiche lubrificanti. Per queste ragioni, malgrado sensori e software, anche nei veicoli più recenti il controllo periodico del livello dell’olio è caldamente consigliato: “Meglio non aspettare che sia una spia luminosa ad avvisarci che qualcosa non va o manca dell’olio, soprattutto se siamo già in viaggio…”, fa notare giustamente Gazzola, “e magari senza aver nemmeno in auto una piccola riserva per il rabbocco”. Nel suo comunicato il TCS lo consiglia prudentemente “ogni terzo pieno di carburante” che, a dipendenza dell’au-
oli di stessa gradazione (0W30, 10W40, 15W50 ecc.) le differenze siano quasi inesistenti. A fare la differenza sono gli additivi4, miscele di sostanze che aumentano/migliorano le caratteristiche dell’olio di base a caldo e a freddo. Così tra Castrol, Mobil o Motorex, per citare alcuni noti i marchi, uno vale l’altro… con differenze di prezzo non sempre comprensibili. to e dello stile di guida significa ogni 1500–2500 km. Anche con intervalli tra i cambi “olio e filtro” oggi molto lunghi (20mila–30mila km) e con la diffusione di lubrificanti long-life tra i costruttori, non è detto che un consumo anomalo possa verificarsi a nostra insaputa e senza segni evidenti (il tipico fumo bianco dallo scarico). Anche quando siamo alla guida di una vettura con pochi mesi di vita. Ma che olio devo mettere…? Gli oli per motori non sono tutti uguali, così come un motore non vale l’altro: lapalissiamo, certo, e per questo un minimo di attenzione va data. Una regola su tutte: rabboccare o sostituire il proprio olio solo con prodotti dalle specifiche identiche a quelle fornite dal costruttore (come riportato nel libretto di servizio). Al di là delle scelte, anche tecniche, che il singolo automobilista può fare (utilizzo di oli con indici di viscosità diversi da quelli consigliati, impiego di oli completamente sintetici o meno, cambi di olio più ravvicinati rispetto a quelli dati da costruttore ecc.), Renato Gazzola evidenzia almeno due aspetti che sono all’origine del loro comunicato: “La crisi e la voglia di risparmiare porta alcune persone al «faida-te» anche con la propria auto, magari spaventati dall’ultima fattura ricevuta dal garagista…”. Come dire: per alcuni anni l’utente ha usufruito dei servizi gratuiti offerti dal costruttore. Poi, una volta scaduta l’offerta e la garanzia, ci si accorge che servizio e prezzi della manodopera non sono propriamente gratuiti3: “E allora si risparmia e ci si arrangia: per le piccole cose si fa da sé, magari andando al supermercato a prendere l’olio meno caro…” ammonisce Gazzola. Il che non significa che non sia di buona qualità, ma non è detto che rispetti le specifiche minime indicate dal costruttore, come dicevamo prima. Anzi, c’è chi sostiene che, in fondo, tra
Occhio alla garanzia... e al leasing Ma speculare per questioni economiche, ritardare o non fare il “servizio” alla propria vettura non è l’unico punto dolente sollevato dal portavoce del TCS: “Oggi molte vetture sono acquistate con contratti di leasing: l’automobilista dunque non è il proprietario del veicolo, lo è invece l’istituto di credito che finanzia l’operazione. Molti non se ne rendono
COME SI CONTROLLA IL LIVELLO DELL’OLIO MOTORE?
A differenza del liquido di raffreddamento/antigelo, il livello dell’olio va controllato (a motore fermo) sempre a temperatura di esercizio, meglio se dopo aver guidato per alcuni minuti. Una volta spenta l’auto e posteggiata in una zona pianeggiante, attendere 2-3 minuti e quindi estrarre l’asticella (di solito posizionata a uno dei lati del motore, o nella parte frontale del propulsore): pulitela e reinseritela completamente, quindi risollevatela. L’olio deve avere bagnato almeno la tacca più in basso (MIN .) e non sperare quella superiore (MAX .). A meno di indicazioni diverse presenti nel manuale della vettura, la quantità di olio tra le due tacche è di un litro circa. Se il livello è prossimo al minimo raboccare e dopo qualche istante controllate se il livello raggiunto è sufficiente.
conto… o lo fanno a loro spese”. In che senso, Gazzola? “Nel caso in cui la vettura sia in garanzia è necessario seguire alla lettera le indicazioni del costruttore; nell’ipotesi di un guasto o malfunzionamento della vettura, la prima cosa che viene controllata è naturalmente la manutenzione eseguita, che deve essere stata scrupolosa. Olio incluso…”. Un’accortezza necessaria in particolare per le auto ad alte prestazioni, ma anche per le grosse berline e le station wagon dotate, per esempio di complessi e ultratecnologici motori diesel, tanto potenti quanto sensibili. “Se i garagisti notano che non è stato fatto ciò che era necessario, con i tempi e i prodotti corretti (in alcuni casi utilizzando solo la marca dell’olio consigliata dal produttore e le sue specifiche, ndr.) ecco che iniziano i grattacapi”. Ma non tutti possono permettersi di pagare rate di leasing… “In effetti assistiamo alla spaccatura del parco veicoli” annota il portavoce del TCS: “quelli che hanno le auto di ultimissima generazione e chi invece si sposta con la sua «vecchia» vettura. Per scelta, perché si è legati alla propria auto, ma anche perché non si hanno le risorse finanziare per cambiare veicolo”. Se possibile si risparmia, insomma; e i servizi (sostituzione olio, filtri vari, liquidi e parti danneggiate) sono i primi a non essere eseguiti correttamente. A scapito della sicurezza sulle strade, ma anche della vita della vettura. note 1 “La qualità ha la precedenza sul prezzo. L’olio motore sbagliato può provocare danni al veicolo”, TCS, Comunicato stampa, Emmen, 1. luglio 2014 (pressetcs. ch). Vedi anche “Tutto quello che dovete sapere sugli oli motore”, TCS, Emmen, 2 agosto 2013. 2 Oltre il 70% dell’usura del motore si concentra nei primi attimi di avviamento, quando alcune parti meccaniche non sono ancora state completamente lubrificate e/o la pellicola protettiva dell’olio non le ha ancora completamente rivestite. 3 I prezzi della sola manodopera in un garage possono variare, in Ticino, mediamente dagli 80 ai 180 franchi l’ora. 4 Gli oli lubrificanti sono composti da una base e da un insieme di additivi. Questi additivi compongono dal 10 al 30% del volume complessivo del lubrificante in vendita. L’additivazione è suddivisa in pacchetti per il miglioramento della viscosità, dell’indice di viscosità, della detergenza, per inibire la formazione di schiuma o l’ossidazione ecc.
La domanda della settimana
I cani rappresentano per molte persone un’insostituibile compagnia e una fonte di grande affetto. È giusto dover pagare una tassa per questo?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 24 luglio. I risultati appariranno sul numero 31 di Ticinosette.
Al quesito “Il consumo di alcol e le bevute smodate tra gli adolescenti sono diventati un problema sociale preoccupante. Vostra/o figlia/o sono mai rientrati a casa ubriachi?” avete risposto:
SI
14%
NO
86%
Svaghi 46
Astri ariete Momento magico: si apre un periodo ricco di energia vitale. Iper-attivi i nati nella terza decade. Non strafate ma canalizzatevi verso i veri obiettivi.
toro Grazie alla Luna e a Plutone tra il 20 e il 21 potrete conoscere una persona interessante. Incremento delle attività culturali e delle occasioni mondane.
gemelli L’arrivo di Giove favorisce un’evidente affermazione della vostra natura eclettica e poliedrica. Effetti positivi del transito fino all’11 agosto.
cancro Sfruttate al massimo l’energia portata dai transiti di Giove, Mercurio, Marte e Venere. Lunga fase di rivoluzioni per i nati nella prima decade.
leone Tra il 22 e il 24 Luna di transito: grandi opportunità per chi saprà conciliare le proprie potenzialità all’interno di una grande equipe. Azione.
vergine Grazie ai transiti di Venere e Mercurio vi sentite allegri. Svogliati per quanto riguarda le questioni professionali. Sbalzi umorali tra il 22 e il 23.
bilancia Dal 26 in poi potrete iniziare a tirare il fiato. Puntate dritti verso i vostri obiettivi senza disperdervi in inutili giravolte. Liberatevi dei vecchi schemi.
scorpione Il calo energetico colpisce soprattutto i nati nella prima decade. Situazioni proficue per i nati nell’ultima decade. Riposo tra il 20 e il 21 luglio.
sagittario Colpi di fulmine favoriti dagli effetti di Venere. Energia vitale per i nati nella prima decade grazie all’arrivo del Sole nell’amico segno del Leone.
capricorno Scarso interesse per le questioni professionali. Nuove amicizie. Saturno in sestile per i nati nella seconda decade. Costruite guardando al futuro.
acquario Non si tratta solo di cercare il successo godendo delle cose materiali; se cercate soddisfazione dovete considerare le richieste della vostra anima.
pesci L’estate improvvisamente si tinge di rosa. Belli, romantici e seducenti. Particolarmente fortunati in riva al mare. Fatevi dondolare dai sentimenti.
Gioca e vinci con Ticinosette 1
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La parola chiave è: 1
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Soluzioni n. 27
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Verticali 1. Noto film del 2009 di Alex Proyas con Nicolas Cage • 2. La nota Fallaci • 3. Tirante... centrale • 4. Quelli pubblici accusano • 5. Assicurazione Invalidità • 6. Un gioco con le carte • 7. Bruciata • 8. Capo etiope • 9. Toccanti, coinvolgenti • 14. Cantone svizzero • 17. Lo spinto del sarto • 19. Non si discutono • 20. La nota Zanicchi • 22. Filosofo e scienziato greco • 25. Il nome di Mentana • 27. Abbellite, guarnite • 32. Con l’Erzegovina • 35. Grossolani, villani • 37. Nome d’uomo • 40. Parzialmente foschi • 42. Si tende per tirare • 44. Due al cubo • 48. Italia e Germania • 49. Mezzo kiwi.
Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!
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Orizzontali 1. È vietato in curva • 10. Il tesoro dello stato • 11. La memoria del PC • 12. Il noto Paoli • 13. Vi sguazza il ricco • 15. Il Sodio del chimico • 16. Città grigionese • 18. Stretti, disagevoli • 20. Due romani • 21. La meta del goliardo • 22. Antenato • 23. Società Anonima • 24. L’autore di “Vita di Gesù” • 26. I principi della fede • 28. Fu il primo eresiarca • 29. Il noto Welles • 30. Consonanti in linea • 31. Romania e Belgio • 33. La fine di Aramis • 34. Ha presentato il Festival di San Remo • 36. Costosi • 38. Il noto Ughi • 39. Eruzione cutanea • 41. Provoca gravi infezioni • 43. Il fiume di Bottego • 45. Fiore lilla • 46. Il musqué del pellicciaio • 47. Più che agiata • 49. L’Eva di Diabolik • 50. Astio • 51. La nota degli sposi • 52. Due nullità.
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 31
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 24 luglio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 22 luglio a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
La soluzione del Concorso apparso il 4 lulgio è: FOCOLARE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Marco Barboni via Stradone 6579 Piazzogna Al vincitore facciamo i nostri complimenti!
Svaghi 47
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Promettiamo a Manon di investire entro il 2020 un miliardo di franchi in tempo libero, istruzione e cultura. Con il nostro Percento culturale della Migros e le attività di sponsorizzazione ricompensiamo con un importante contributo la società svizzera, nel pieno spirito del nostro fondatore Gottlieb Duttweiler. Con questa e altre numerose promesse concrete ci impegniamo per la generazione di domani.
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