Ticino7

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№ 30 del 25 luglio 2014 · con teleradio dal 27 lug. al 2 ago.

venti di guerra

il primo conflitto mondiale produsse effetti profondi sulla Svizzera, che conobbe paure e divisioni interne

SPINAS CIVIL VOICES

Vediamo l’avvelenamento delle persone e della natura per la produzione di vestiti. E agiamo: vedere-e-agire.ch Per fabbricare vestiti si sfruttano e si avvelenano sistematicamente gli esseri umani e la terra. Noi facciamo in modo che ciò cambi.

Anche per rispetto nei confronti delle prossime generazioni. ccp 46-7694-0

Ticinosette allegato settimanale N° 30 del 25.7.2014

Impressum Tiratura controllata 66’475 copie

Chiusura redazionale Venerdì 18 luglio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

4 Arti Presagi urbani di Stefania bRiccola ..................................................................... 7 Media Cultura e tecnologia di caRlo baggi .............................................................. 8 Letture Macedonia. Colori & salute a cuRa della Redazione ...................................... 9 Fiaba Il topo ladro tRaScRizione di fabio MaRtini ....................................................... 10 Vitae Concetta Aronica di KeRi gonzato ................................................................. 11 Reportage Linea Cadorna. L’attesa di eugenio KlueSeR; foto di SiMone Mengani ....... 37 Graphic Novel La grande guerra di elio feRRaRio .................................................. 42 Tendenze L’abito non fa più il monaco di MaRiSa goRza........................................ 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Storia. 1914: la guerra alle porte

di

RobeRto Roveda .......................................

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

Valentino Monotti, Soldati della batteria 40 (1914-1915) ©Archivio di Stato, Bellinzona

Una pace impossibile Il numero di questa settimana esce a pochi giorni dal centenario dell’inizio della prima guerra mondiale, il 28 luglio, una data storica e cruciale per l’intero pianeta. Una data che dovrebbe ricordare a tutti come le vie del nazionalismo e dello sciovinismo conducano solo alla tragedia e alla catastrofe. Gli articoli di Roberto Roveda ed Elio Ferrario rappresentano quindi un piccolo contributo alla memoria e all’analisi di ciò che i nostri nonni e bisnonni si trovarono ad affrontare.

Ma, a quanto pare, gli uomini continuano pervicacemente a ignorare ciò che la Storia tenta loro invano di insegnare.

La situazione che si sta verificando in queste ultime settimane in Israele-Palestina ripropone un copione ben noto e purtroppo altre volte tragicamente sperimentato. L’odioso assassinio dei tre adolescenti israeliani ha dato il via alla consueta escalation che, a oggi, ha portato all’uccisione di oltre 200 persone fra cui parecchi bambini, senza contare le migliaia di feriti e i danni conseguenti ai bombardamenti su Gaza. Hamas, accusata fin da subito dagli israeliani dell’omicidio dei tre giovani, non ha fatto nulla per chiarire le sue eventuali responsabilità (per inciso, i ragazzi stavano facendo l’autostop il che fa suppore che il loro rapimento non sia stato il frutto di un’operazione militare preparata e organizzata ma di un’azione estemporanea da parte di un gruppo di integralisti sanguinari). Al contrario, Hamas anziché fornire indicazioni utili e sostegno alle autorità israeliane nella individuazione dei responsabili, ha avviato una controffensiva con il sistematico lancio di razzi verso Israele. Qualche giorno fa, il cessate il fuoco proposto grazie alla mediazione dell’Egitto aveva visto l’adesione di Israele ma il netto rifiuto di Hamas. Oggi, 17 luglio, è in atto

una tregua umanitaria chiesta dall’ONU per consentire l’evacuazione dei feriti più gravi e le forniture di cibo, acqua e farmaci alla popolazione palestinese, una tregua alla quale entrambe le parti hanno aderito dopo il grave “incidente” di ieri causato da un missile israeliano che ha falciato quattro bambini che cercavano riparo nel porto di Gaza.

Alcuni anni fa, proprio su questa pagina, presi posizione riguardo alla situazione della regione, sostenendo che la classe politica israeliana era ostaggio delle frange più ortodosse e integraliste della società israeliana, condizione che impediva al governo di Tel-Aviv di avviare una efficace politica di pacificazione e risoluzione di una crisi che perdura da oltre mezzo secolo. Il risultato fu una risposta risentita (ma a quanto altri colleghi mi hanno riferito, “standard”) da parte di una simpatizzante del governo israeliano.

Sul fronte opposto la situazione appare per certi versi speculare: Abu Mazen e le componenti palestinesi più moderate si muovono con estrema difficoltà, pesantemente condizionate dalla politica estremista e filo jihadista di Hamas. Resta in atto il tentativo di mediazione dell’Egitto con l’obiettivo di porre fine alla crisi iniziata la settimana passata. Le delegazioni israeliana e palestinese, a quanto battono le agenzie, avrebbero preso alloggio nel medesimo albergo ma le riunioni avvengono in stanze diverse con i mediatori egiziani che fanno la spola da una all’altra nel tentativo di mettere d’accordo i contendenti. La pace si fa in due, magari anche in tre, ma pensare che il contrapporsi di due visioni sostanzialmente inconciliabili e scioviniste, possa portare a una risoluzione del conflitto israelo-palestinese, è fuori questione.

Buona lettura, Fabio Martini

1914: la guerra alle porte Storia. Il primo conflitto mondiale, di cui il prossimo 28 luglio si ricorda il centenario dell’inizio, ebbe riflessi profondi sulla Confederazione che, pur conservando la sua neutralità, fu attraversata da divisioni e da tensioni che il Consiglio federale riuscì a contenere nonostante la difficile situazione economica di Roberto Roveda

Q Agorà 4

uella del 1914 fu un’estate triste, agitata da venti di guerra sempre più impetuosi e da grottesche illusioni. Le grandi potenze europee affilavano sempre di più le armi in vista di un conflitto che era considerato inevitabile perché in gioco vi era l’egemonia sull’Europa e sul mondo intero. Al contempo, sovrani, primi ministri e generali si crogiolavano nell’illusione che la guerra sì, ci sarebbe stata, ma breve, circoscritta e, soprattutto, vittoriosa: “Tornerete nelle vostre case prima che siano cadute le foglie dagli alberi” promise il kaiser tedesco Guglielmo II alle truppe tedesche in partenza per il fronte nella prima settimana di agosto 1914. Come ha scritto lo storico australiano Christopher Clark “i protagonisti del 1914 erano dei sonnambuli, apparentemente vigili ma non in grado di vedere, tormentati dagli incubi ma ciechi di fronte alla realtà dell’orrore che stavano per portare nel mondo” (I sonnambuli.

Come l’Europa arrivò alla Grande guerra, Laterza, 2013).

Tra incubi e illusioni l’Europa scivolò nel baratro del primo conflitto mondiale una volta che l’Austria-Ungheria ebbe dichiarato guerra alla Serbia, colpevole per le autorità di Vienna di aver sostenuto e di fatto “armato” Gavrilo Princip, il giovane nazionalista bosniaco che il 28 giugno 1914 aveva ucciso l’erede al trono d’Asburgo Francesco Ferdinando. Alla dichiarazione austro-ungarica fecero seguito, per gli automatismi imposti dalle diverse alleanze, le discese in campo della Germania al fianco dell’Austria e, in difesa della Serbia, della Francia, della Gran Bretagna e della Russia.

Fu la grande guerra, un conflitto interpretato dai governi e dagli stati maggiori militari con strumenti politici e di strategia militare antiquati e superati, eredità dell’ottocento. Un conflitto però modernissimo e innovatore sotto il profilo dell’ideologia che lo alimentava, fatta di demonizzazione e desiderio di annientamento del nemico. Modernissimo, in particolare dal punto di vista della tecnologia degli armamenti.

Il risultato fu una carneficina durata fino all’autunno del 1918, con danni materiali enormi per i paesi coinvolti: quasi 10 milioni di soldati morti sui diversi fronti e circa 21 milioni di feriti, a cui si devono aggiungere forse 7 milioni di vittime civili dovute ai combattimenti, alla

malnutrizione e alle malattie. Soprattutto, la guerra lasciò un’Europa per nulla pacificata, in cui le potenze vincitrici desideravano solo farla pagare il più possibile ai vinti, mentre in questi ultimi cresceva il desiderio di rivincita.

Un’Europa che si ritrovò ancora più divisa, attraversata da violente tensioni sociali e gravi problemi economici, in buona parte pronta a gettarsi nelle braccia dei totalitarismi di destra e sinistra per rinnovare la carneficina, ancora di più se possibile, nella seconda guerra mondiale. La prima guerra mondiale fu quindi veramente – e lo si comprende meglio a distanza di un secolo – quella “inutile strage” denunciata da papa Benedetto XV nel 1917.

La Svizzera e la guerra L’estate 1914 tenne con il fiato sospeso anche il nostro paese. Da un lato, infatti, autorità e cittadini erano increduli di fronte all’idea che ci potesse essere un conflitto in Europa in un’età di progresso come era considerata l’inizio del XX secolo. Allo stesso tempo ci si rendeva conto, giorno dopo giorno, che i meccanismi di mobilitazione degli eserciti dei vari stati europei erano entrati in azione e che la guerra era ormai alle porte, in senso figurato, ma anche concretissimo, in quanto le nazioni confinanti con la Confederazione – Francia, Impero tedesco e Impero austroungarico – erano tutte coinvolte nel conflitto fin dall’agosto del 1914. La Svizzera era neutrale, ma era difficile stabilire fino a quando lo sarebbe rimasta e se la neutralità avrebbe retto di fronte alle logiche spietate della guerra, una preoccupazione che divenne ancora più profonda dopo che la Germania ebbe invaso il Belgio, paese non schierato, nei primi giorni di conflitto.

Lo scoppio della guerra nell’agosto 1914, quindi, non trovò la Svizzera del tutto impreparata. Dopo la dichiarazione di guerra, il 28 luglio, dell’Austria-Ungheria alla Serbia e la mobilitazione generale della Russia, il Consiglio federale il 31 luglio dichiarò la mobilitazione generale. La sera del 3 agosto l’Assemblea federale attribuì al Consiglio federale i pieni poteri per la salvaguardia dell’indipendenza e della neutralità del paese. Tra il 3 e il 7 agosto ebbe luogo, senza incontrare particolari difficoltà, l’entrata in servizio attivo di circa 220.000 uomini. Vi fu quindi una

Valentino Monotti, Sfilata delle truppe ticinesi a Bellinzona (1915), ©Archivio di Stato, Bellinzona

risposta immediata delle autorità elvetiche, politiche e militari anche se non mancarono i problemi, come ci spiega lo storico Fabrizio Panzera, professore di Storia della Svizzera all’università degli studi di Milano che abbiamo intervistato: “Negli anni precedenti si erano realizzati progressi nell’addestramento e nell’armamento: quest’ultimo venne tuttavia completato solo lentamente, soprattutto per quanto riguarda l’artiglieria e le forze aeree, che all’inizio del conflitto consistevano in tutto di soli otto velivoli. Anche l’equipaggiamento dei soldati non era all’altezza dei tempi: solo alla fine del 1916 le divise grigioverdi finirono per sostituire quelle blu di tipo ottocentesco e gli elmetti d’acciaio risultarono disponibili soltanto dal gennaio 1918”.

Quali problemi concreti si trovò ad affrontare la popolazione svizzera a causa della guerra?

Il servizio attivo richiese grandi sacrifici ai soldati e alla popolazione. I militi rimasero in media 500 giorni sotto le armi, con un soldo ridotto e senza poter beneficiare di alcuna indennità per la perdita di guadagno. A causa della guerra economica, che oppose quasi sin dall’inizio i due blocchi belligeranti, per la popolazione svizzera si verificò ben presto una situazione di precarietà negli approvvigionamenti, che si tradusse in una scarsità e nel conseguente aumento dei prezzi dei generi alimentari e dei beni di consumo. Dal 1914 al 1918 i prezzi raddoppiarono e l’indice del costo della vita salì da 100 a 250 punti. Nel gennaio del 1915 fu creato il monopolio sui cereali, ma il razionamento dei beni di prima necessità venne introdot-

to solo nell’autunno del 1917 e un ufficio federale per l’alimentazione venne istituito poco prima della fine della guerra. Nel 1918 una parte considerevole della popolazione non fu più in grado di provvedere da sola al proprio sostentamento alimentare. Il Consiglio federale, nonostante i pieni poteri, impiegò troppo tempo prima di riuscire a intervenire in campo economico: l’organizzazione dell’economia di guerra restò in tal modo a un livello appena abbozzato.

Quali furono le reazioni di fronte alla guerra? Esisteva una spinta a parteciparvi, a schierarsi?

Il paese si mostrò unito di fronte al problema della difesa nazionale, ma rivelò anche l’esistenza di divisioni al suo interno.

In particolare si evidenziò dapprima una spaccatura tra chi stava dalla parte degli imperi centrali e chi invece si schierò per le potenze dell’Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia). A dire il vero, il paese era diviso già prima dell’agosto 1914 e in effetti si può parlare di un “fossato” che separava svizzero tedeschi e romandi nei giudizi sull’Impero germanico. Una parte consistente dell’opinione pubblica svizzero-tedesca guardava infatti con grande simpatia al Reich di Guglielmo II, accolto con entusiasmo al momento della sua visita in Svizzera nel 1912. Dal canto loro i romandi nel 1913, in occasione della ratifica della Convenzione del Gottardo, avevano valutato negativamente la concessione della clausola della nazione più favorita alla Germania. L’elezione, il 3 agosto 1914, da parte dell’Assemblea federale alla carica di generale di Ulrich Wille avvenne con l’opposizione dei deputati romandi e socialisti che lo riteneva- (...)

Agorà 5

“La Germania ha dichiarato la guerra alla Russia: a questa dichiarazione di guerra ne seguiranno fatalmente delle altre.

La conflagrazione europea, che fino a ieri pareva un mito pauroso, una spaventosa utopia delirante, sta per tradursi in una reale realtà. In pieno ventesimo secolo, in pieno trionfo di civiltà e di progresso, i popoli d’Europa stanno per scatenarsi l’uno contro l’altro in un furore di distruzione e di sangue” (Corriere del Ticino, 3 agosto 1914)

no troppo germanofilo. La violazione, il 4 agosto, della neutralità belga a opera dell’esercito tedesco allargò ancora di più il fossato: la stampa romanda e quella ticinese condannarono con asprezza l’occupazione del Belgio, mentre i giornali svizzero tedeschi (con l’eccezione di quelli socialisti) non presero posizione oppure tesero a giustificare l’intervento germanico.

Agorà 6

Questi atteggiamenti mutarono nel corso del conflitto?

Le spaccature tra i diversi schieramenti permasero perlomeno fino al 1917 e, anzi, si acuirono e allargarono in almeno due occasioni. La prima si ebbe nel gennaio 1916 con il cosiddetto “affare dei colonnelli”, ossia quando venne alla luce che dall’inizio della guerra due colonnelli membri dello stato maggiore generale avevano trasmesso documenti e informazioni agli addetti militari tedeschi e austro-ungarici. Il fatto che i due ufficiali venissero poi assolti dalla giustizia militare e sottoposti a una semplice misura disciplinare, suscitò una nuova ondata di indignazione sulla stampa romanda e ticinese, nonché su quella socialista. Ne nacque un teso dibattito tra politici e intellettuali sul valore e il significato della neutralità; una discussione resa ancora più difficile dall’esito incerto del conflitto. Si andò così approfondendo anche un altro fossato, già delineatosi all’inizio della guerra, quello che vedeva i socialisti sempre più critici nei confronti dell’esercito e del governo. Il secondo momento di tensione fu rappresentato, nella primavera del 1917, dall’ “affare Grimm-Hoffmann”, allorché risultò che il consigliere nazionale socialista Robert Grimm si era recato in maggio a Stoccolma e a Pietrogrado (San Pietroburgo) per favorire il ritorno dei rifugiati russi nel loro paese. Con il sostegno del consigliere federale Arthur Hoffmann (che agì senza il consenso dei suoi colleghi di governo) Grimm tentò in pratica di agevolare una pace separata tra la Germania e la Russia. I contatti tra Grimm e Hoffmann giunsero tuttavia a conoscenza di un ministro francese: il Consiglio federale fu direttamente chiamato in causa e Hoffmann fu costretto alle dimissioni. Le potenze dell’Intesa ravvisarono nell’iniziativa svizzera un grave strappo della neutralità e rivolsero critiche severe alla Confederazione. Nella Svizzera francese e nel Ticino ebbero luogo manifestazioni di protesta per denunciare il mancato rispetto della neutralità da parte del governo. La crisi si risolse rapidamente grazie alle sollecite dimissioni di Hoffmann e alla sua sostituzione da parte di Gustave Ador, presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa e sostenitore dichiarato dell’Intesa. La sua entrata in Consiglio federale rassicurò sia l’opinione pubblica latina sia i governi dell’Intesa.

Le autorità elvetiche seppero interpretare e venire incontro agli umori della popolazione?

Il Consiglio federale riuscì, malgrado queste tensioni, ad affermare con sufficiente fermezza la neutralità politica e territoriale della Confederazione. La stessa cosa non riuscì, come detto prima, in campo economico. I provvedimenti presi, nell’ambito dei pieni poteri, per lottare contro la speculazione e gli accaparramenti e l’organizzazione di talune azioni di soccorso si rivelarono tardivi e non riuscirono a frenare il crescere di tensioni sociali. È vero d’altra parte che l’esercito prestò milioni di ore di lavoro in favore della popolazione civile per costruzione di strade, collaborazione nei lavori agricoli, posa di collegamenti telefonici ecc. Furono inoltre organizzate manifestazioni di intrattenimento e di informazione per rinsaldare i legami tra la popolazione e l’esercito. Nel loro insieme tutte queste misure non poterono però impedire l’emergere di crescenti disparità sociali che finirono per essere accompagnate da una polarizzazione della vita politica e da una radicalizzazione ideologica.

Veniamo al Ticino: cosa rappresentò per il nostro cantone il primo conflitto mondiale?

Per il canton Ticino ai problemi creati dalla mobilitazione e ai disagi provocati dalla penuria degli approvvigionamenti si aggiunsero una crisi del già fragile settore industriale, la contrazione del turismo, provocata dalla chiusura delle frontiere, e un accentuarsi del declino agricolo. Tutto ciò si inserì, oltre che nel quadro delle incomprensioni serpeggianti all’interno dell’opinione pubblica svizzera, nelle discussioni sul significato dei rapporti tra italianità e appartenenza alla Svizzera. Non solo, ma lo stato maggiore svizzero temeva che l’Italia, dopo la sua entrata in guerra nel 1915, volesse annettersi il Ticino, anch’esso considerato una terra irredenta da riunire al Regno d’Italia. D’altra parte il cantone non era facilmente difendibile dal punto di vista militare a causa dell’ostacolo rappresentato dal massiccio del San Gottardo e in alcuni momenti si temette che il Ticino potesse servire da merce di scambio se fosse stato necessario scendere a patti con una delle parti in conflitto. L’entrata in guerra dell’Italia e le successive sue vicende belliche suscitarono comunque nel cantone un’ondata di simpatia e portarono alla memoria gli anni vicende risorgimentali. Per esempio, il poeta Francesco Chiesa, nei giorni cupi di Caporetto, pubblicò un articolo, intitolato “Viva l’Italia!”, nel quale affermava che i ticinesi sentivano il dolore per i fratelli italiani così come l’avevano sentito negli anni eroici del Risorgimento.

Presagi urbani

Fino al 16 novembre una mostra negli spazi dell’incantevole Villa Olmo a Como ci spinge a riflettere sulla città e il suo territorio. Com’era, come la si immaginava e che cosa è diventata di Stefania Briccola

La mostra promette un viaggio affascinante tra i “Ritratti di città” nell’arte italiana, che dal novecento conduce ai nostri giorni. L’esposizione, a cura di Flaminio Gualdoni (ritrattidicittà.com) indaga il furor urbis del Belpaese e i modi di raffigurare la città moderna, tra mito, utopia e realtà, da Boccioni a De Chirico, da Sironi a Merz a oggi.

rumori e di azione che prevalgono sulla calma piatta del silenzio e della contemplazione.

Dall’accademia e al Futurismo La mostra evidenzia due principali codici espressivi: da un lato la città è uno scenario che rappresenta un’eredità delle classiche vedute e dall’altro si Pezzi inediti evidenziano sguardi innovativi.

Questa esposizione è una storia Ci sono opere che raccontano la di sguardi, più che di luoghi, racgrande utopia futurista. La città contata in sessantaquattro ritratti nuova si va delineando con Balla, che sottolineano il rapporto fra Baldessari, Dottori, Prampolini. l’artista e il soggetto rappresentaA fianco c’è la pittura metafisica to. Nelle intenzioni del curatore di Giorgio De Chirico e un’emle opere sono le vere protagoniste; blematica Piazza d’Italia che ci alcune raramente esposte, come restituisce un’immagine nel segno Via Toscanella (1922) di Ottone di una trasognata classicità. Il Rosai e Periferia (1909) di Umberto novecento è dominato da Mario Boccioni, altre quasi mai viste, Sironi con i suoi paesaggi urbani come La città che Avanza (1942) privi di presenza umana e caratdi Giacomo Balla, e altre ancora terizzati dalla solitudine. Dalla realizzate appositamente per l’ocvisione della città di Giorgio Mocasione: come la scultura di Arrandi, intima, privata e invasa dal Umberto Boccioni, Sera d’aprile,1908 naldo Pomodoro The Pietrarubbia silenzio, all’aeropittura futurista Collezione città di Lugano, Donazione Chiattone group: il tutto (1975-2013). e dall’astrazione geometrica in ©Archivio Fotografico del Dicastero attività Il percorso con dipinti, sculture e chiave architettonica di Atanasio culturali città di Lugano fotografie si svolge in otto sezioni Soldati e Aldo Galli (a cui è dedia tema che spaziano da “Futurismi” a “Lo sguardo metafisi- cata la mostra alla Pinacoteca civica di Como) allo sguardo co”, da “Altri futurismi “a “Paesaggi di città” e da “Geome- poetico di Renato Guttuso e di Salvatore Fiume si giunge al trie urbane e nuove metafisiche” a “Scultura, architettura e secondo dopoguerra in cui il tema urbano ritorna in auge. luogo”, “Icone e iconografie” e “Visioni urbane”.

Ecco allora Mimmo Rotella, Mario Schifano e Valerio Adami A dare il benvenuto al visitatore è Sera d’aprile di Boccioni che lo declinano in chiave pop; e Alik Cavaliere, Arnaldo (nell’immagine), un’opera pittorica straordinaria, intitolata Pomodoro e Giuseppe Spagnulo che lo fanno diventare una anche Primavera alla periferia di Milano e donata alla città di contaminazione fra architettura e scultura. Da notare le chiLugano dall’italo-svizzero Mario Chiattone, compagno di ne su carta di Francesco Somaini che sottolineano il ruolo e studio di Antonio Sant’Elia, l’architetto futurista comasco a l’apporto dell’artista alla città. Per non parlare di Ico Parisi cui è stato dedicato il progetto espositivo triennale iniziato che immagina architetture che nascono dall’idea di corpo. lo scorso anno a Villa Olmo. In questo dipinto l’artista gioca Invece Emilio Tadini in Città italiana rende omaggio a volusul contrappunto fra il paesaggio della natura, che inizia a metrie futuriste colme di contraddizioni più che di energie. germogliare, e le officine che contengono la promessa di Non mancano le ultime generazioni di fotografi e pittori; da un mondo nuovo.

Gianni Berengo Gardin, Luigi Ghirri e Gabriele Basilico, a Nell’Italia del tempo non esistono ancora le metropoli, e le Davide Bramante, con le stratificazioni di immagini a mo’ di città sono dei grandi borghi. La cultura è legata al genere flusso di coscienza, e Maurizio Galimberti, con un mosaico paesaggistico e a un’idea di natura che prevale sull’immagine di polaroid, e poi i dipinti di panorami urbani di Jonathan urbana. Quest’ultima fa la sua comparsa a fine ottocento e Guaitamacchi che distilla uno sguardo lungo e di Velasco poi soprattutto con l’avanguardia futurista. La città inizia Vitali che svela Roma. Piace l’arazzo di Marco Petrus che così a significare energia, ottimismo, un mondo fatto di riassume un atlante metropolitano.

Arti 7

Cultura e tecnologia La trasmissione della cultura rappresenta un compito altrettanto importante quanto quello di promuovere la ricerca tecnologica di Carlo Baggi

Media 8

La nostra società, nel suo procedere, ha adattato più volte realtà sociale e con essa lo sguardo dell’uomo. L’aridità che il proprio linguaggio al modello di realtà che andava rap- ne consegue riflette, come detto, il progresso tecnologico presentando. Così molti vocaboli d’uso comune, ma che perché esso avanza rendendo necessariamente obsoleto e imtrasmettevano un senso di privazione, sono stati sostituiti praticabile il suo passato. Differentemente opera il progresso con altri più rassicuranti e lenitivi. La vecchiaia, per esempio, umanistico che, attraverso i lasciti di fondamenti spirituali se tradotta con terza età preoccupa di meno, anche perché imperituri, consente il dialogo tra generazioni lontane anche chi entra in quella categoria può sempre sperare nella grazia secoli tramandando conoscenze indispensabili per il cordi una quarta età. Quel nome resta per retto discernimento. George Steiner, contro ancora inciso su uno dei pilatrattando questo tema, scrive: “Senza stri del nostro stato sociale; testimone le arti la psiche umana rimarrebbe nuda di un tempo in cui la decadenza del davanti alla propria estinzione… le arti corpo era considerata un normale sono ancor più indispensabili agli esseri evento della vita e non una menoumani della scienza e della tecnologia mazione da definire con placanti giri più eccelse…”1. Affermazione che, a di parole. Con la vecchiaia anche i dimostrazione di quanto sopra detto, superstiti resistono in quel monupuò entrare in dialogo con quella di mento assicurativo; rappresentanti un mistico del XIII secolo2, allievo di di ataviche categorie di umanità un Avraham Abulafia, in cui si afferma: tempo non tutelate dal denaro, ma dal “L’uomo non avrebbe bisogno di tutto solo imperativo etico-religioso di non questo sapere scientifico se non fosse conculcare il diritto della vedova e immerso nella natura e prigioniero in dell’orfano. Il particolare affinamento essa… se avessimo oggi un profeta che ci della sensibilità sociale ha comportato insegnasse gli strumenti per rendere più tuttavia una deriva. Il comune sentiacuto il nostro intelletto naturale e per re, sdrammatizzando e addolcendo produrre le forme sottili che ci liberino l’espressione lessicale, ha cessato di dalla materia, non avremmo bisogno considerare gli stati d’animo degli di tutte quelle scienze naturali…”. Ciò Leonardo da Vinci, L’uomo vitruviano, interessati per fermarsi alla superficie significa che la tecnologia con la sua Galleria dell’Accademia, Venezia delle loro condizioni. Il settantenne si affascinante inventiva, se non utitrasforma così in una sorta di diversalizzata per determinare il progresso mente giovane, la vedova non differisce da una persona single umanistico, trasforma la società in un sistema operativo e e l’orfano dal figlio di un matrimonio terminato. gli individui in necessari strumenti. La sinergia tra tecnoloÈ l’indifferenza. Con questa parola non s’intende allude- gia e cultura (che non è quella del salotto buono) esalta per re alla mancanza di attenzione (la nostra società è, per il contro il vero progresso in cui l’invenzione si fonde con la momento, ancora disponibile al soccorso economico), ma creatività, determinando un linguaggio che non è solo un rilevare l’incapacità di riconoscere la dimensione esistenziale modo per comunicare, ma l’espressione regale della dignità dell’individuo e, quindi, l’impossibilità di trasformarla in dell’uomo. Trasmettere e promuovere la vera cultura in esigenza collettiva. Così, se l’attesa di vita si allunga, anche la questa nostra epoca dovrebbe essere, per tutti coloro cui è definizione di vecchiaia deve essere aggiornata. Ne consegue affidato il bene collettivo, compito altrettanto importante che non è più rilevante se una persona a un certo punto, quanto quello di favorire la ricerca tecnologica. Questa è avendo comunque a disposizione meno futuro di quanto la loro grande responsabilità, altrimenti, com’è scritto: “Se tempo passato, abbia bisogno di fermarsi o se la perdita di un il serpente morde perché non è stato incantato, l’incantatore coniuge e di un genitore lasci un vuoto differente da quello diventa inutile”3. causato da un divorzio. L’aspetto esteriore non cambia.

Il morso del serpente Corresponsabile di questa trasformazione, in modo seppur indiretto, è la soggezione operata da un’invadente tecnologia che, essendo per sua natura meccanicistica, ha modificato la

note 1 George Steiner, Grammatiche della Creazione, Garzanti, 2003, pag. 238.

2 Natan ben Sa´adyah Har´ar, Le porte della Giustizia, a cura di Moshe Idel, Adelphi, 2001, pag.421 3 Qohelet, 10: 11

Letture Colori & sapori a cura della Redazione

Soprattutto

nei mesi caldi, la macedonia di frutta fresca è la regina della tavola. Dissetante, saporita, nutriente, salutare, la sua preparazione non necessita di conoscenze particolari e si può confezionare in vari modi, purché sia un insieme di frutta varia, tagliata a pezzi e arricchita con zucchero (meglio non esagerare e preferire quello grezzo a quello bianco e raffinato...), succo di limone (e a volte liquori).

Preparare la macedonia è semplice, a patto che si rispettino alcune regole di base: per esempio, meglio se la frutta utilizzata è matura e ben soda. E l’estate offre di tutto e di più: albicocche, angurie, banane, ciliegie, fichi, fichi d’India, fragole, lamponi, mele, mirtilli, more, meloni, pere, pesche, ribes, susine, uva ecc. La frutta va tagliata in pezzi regolari (a dadini o a fettine), particolare che permette anche di ottenere un mix omogeneo; meglio puntare su un buon accostamento di colori (e gusti) diversi, mescolando frutta dal sapore acidulo e frutta più “zuccherina”. Si può usare anche frutta

secca (mele, prugne, uvetta ecc.) reidratata; oppure semi oleosi come mandorle, pistacchi, noci o nocciole, ma anche canditi e frutta sciroppata o ancora frutta cotta.

I classici “consigli della nonna” raccomandano di spruzzare con succo di limone la frutta tagliata, per evitare quell’antiestetico annerimento, in particolare della banana (componente immancabile). Dopo aver aggiunto il dolcificante (senza esagerare o utilizzando del miele, perché no...), la macedonia deve essere messa a riposare in frigo per un’ora circa (ma mai a temperature prossime agli 0 °C) e soprattutto coperta con pellicola trasparente per evitare che assorba gli odori presenti nel frigo. È buona abitudine estrarla 15/20 minuti prima di servirla, semplice o accompagnata con il classico gelato alla vaniglia, panna montata o biscotti. Se nella preparazione della macedonia avete usato frutta cotta, allora potete servirla anche calda (sempre con biscottini e/o panna montata). E perché no, coinvolgendo anche i più piccoli :-)

In cucina con i bambini.

Ricette dolci e salate per tutte le feste di Rigg Annie Il Castello, 2011

Festa in giardino alla

I gelati Crème d’or garantiscono un piacere sopraffino. Tutte le varietà vengono prodotte esclusivamente con ingredienti naturali e senza additivi artificiali. Il latte e la panna svizzeri regalano alle varie creazioni una cremosità unica.

Il topo ladro trascrizione di Fabio Martini; illustrazione ©Simona Giacomini (per ragazzi di 4–8 anni)

Fiabe 10

’era una volta in un paese più lontano che vicino un topo dispettoso che amava rubare il becchime alle galline. Tutti i giorni, infatti, quando le chiocce uscivano dal pollaio per farsi un giretto lui ci si infilava dentro e si pappava il loro cibo. Una volta terminato il pranzetto usciva sull’aia e appena incontrava il gallo gli diceva: “La saluto, signor gallo, con gli speroni ma senza cavallo!”.

Il gallo, che era un tipetto piuttosto permaloso e si dava una grande importanza, si sentiva preso in giro da quel topastro e tutte le volte che lo incrociava cercava di dargli una beccata, ma il topo, che era più veloce, scappava via come un fulmine.

Un giorno sì e uno no la storia si ripeteva: il topo entrava nel pollaio, rubava il becchime alle galline e poi, una volta incontrato il gallo, recitava la sua nenia: “La saluto, signor gallo, con gli speroni ma senza cavallo!”.

Il gallo era sempre più infuriato per quel topo così impertinente, finché un giorno, dopo la solita scena, riuscì a dargli un gran beccata sulla testa. Il topo tutto impaurito e sanguinante si nascose nella sua tana a lamentarsi: “Ma guarda quel gallo che mi ha fatto… tutto il sangue mi fa uscire quel pallone gonfiato… devo subito andare dal dottore a farmi medicare…”.

E così si legò un fazzoletto in testa e andò dal dottore.

“Dottore, dottorino, medica il mio capoccino, che il gallo mi beccò” E il dottore: “Tu vuoi esser medicato ma le bende non hai portato!”

“E dove le trovo?”, chiese il topo preoccupato.

“Ma dal sarto, che discorsi…”

E allora il topo andò alla bottega del sarto.

“Sarto, sartino dammi le bende, che il gallo mi beccò” E il sarto: “Tu vuoi essere bendato, ma per far le bende devo prima aver mangiato. Portami del pane” “E dove lo trovo?”, domandò il topo tormentato.

“Ma dal fornaio, citrullo che sei…”.

E allora il topo andò dal fornaio: “Fornaio, fornaietto, dammi il pane, che il gallo mi beccò” “Per fare il pane mi serve la legna per scaldare il forno” “E dove la trovo?”

“Ma nel bosco, bischero di un topo”.

E allora il topo andò nel bosco.

“Bosco, boschetto, dammi un po’ di legna che il gallo mi beccò” “La legna te la do”, rispose il bosco, “ma prima devi predermi un po’ di letame per far crescere le frasche a primavera”.

“E dove lo trovo?”

“Ma dalla mucca al pascolo, tonto di un topo”.

E così, dopo tanto vagare, il topo arrivò dalla mucca.

“Mucca, mucchina, dammi un po’ di letame che il gallo mi beccò”.

“Davvero lo vuoi?”, chiese incuriosita la mucca.

“Ma certo, altrimenti non cresceranno le frasche a primavera e non ci sarà nuova legna per scaldare il forno del fornaio che prepara il pane che il sarto mangia per fare le bende che il dottore usa per fasciarmi il capoccino” “Molto interessante”, commentò la mucca. “Ora mettiti proprio soto la mia coda, apri il tuo cappello e aspetta”.

Il topo non se lo fece ripetere due volte: si piazzò sotto il deretano della mucca tenendo il cappellino ben aperto e reggendosi saldamente sulle gambette per reggere il colpo.

Dopo un po’ la mucca fece tanto di quel letame ma tanto di quel letame che altro che un cappellino… una carriola ci sarebbe voluta. Tutto sporco di concio, il topo si gettò nel lago per lavarsi e da quel giorno non rubò più il mangime alle galline.

I

l centro della mia vita è la famiglia. Amo mio marito e mio figlio in modo totale. A loro dedico ogni mio pensiero e battito del cuore, farei di tutto per loro. Ho desiderato la nascita di mio figlio Giuseppe ed è la cosa più bella che mi sia mai capitata… Io e mio marito siamo siciliani e, se dalla Sicilia ci siamo trasferiti a vivere prima nel nord Italia e poi in Ticino, è stato soprattutto per potergli offrire una vita migliore. A settembre Giuseppe, che quest’anno compie 16 anni, inizia un apprendistato come cuoco e siamo molto contenti. Deve aver ereditato un po’ della mia passione per i fornelli…

Diciotto anni fa, all’età di trent’anni, dalla Sicilia ho raggiunto mio marito al nord, allora lui lavorava ai servizi sociali a Milano. Vivevamo a Varese e, per cinque anni, di giorno mi occupavo di Giuseppe mentre le notti lavoravo in una fabbrica di insaccati a Stabio. Poi abbiamo rilevato un negozio di alimentari a Maroggia e per diversi anni è andata bene ma, con la crescita dei grandi magazzini, la clientela è diminuita e siamo passati alla ristorazione. Ci siamo trasferiti ad Arogno dove abbiamo aperto un’osteria nel nucleo. Si trattava di un’avventura totalmente nuova ma io ho sempre amato le sfide. Sono combattiva, testona e dove voglio arrivare arrivo. Poi se non funziona poco importa, ci sono sempre altre possibilità e altri sogni da realizzare. Non sono ricca, mi considero un’operaia normale che lavora per vivere e tengo a dire che sono davvero felice di quello che ho perché so di essermelo guadagnato lavorando onestamente.

Non mi appoggio mai sugli allori e ora, oltre al ristorante, c’è anche un nuovo progetto che sta nascendo. Una delle mie più grandi passioni è la cucina. Per me vedere i clienti soddisfatti ripaga le ore passate a spadellare. Ci sono le pittrici, le scultrici e poi ci sono le cuoche: tra i profumi della cucina io esprimo la mia creatività… Inoltre, sono molto materna di spirito e grazie a questa professione mi sento un po’ come una grande mamma che trasforma il suo amore in piatti siciliani. Volevamo un luogo dove la gente si sentisse a casa e, grazie a Dio, sta andando bene.

In ogni ambito della mia vita, dal luogo in cui abito all’attività lavorativa io cerco sempre un senso di famiglia.

Un aspetto che nella società di oggi in realtà, per tutta una serie di ragioni, è molto scarso. Lo affermo senza giudizio… oggi le cose stanno così. Mettere la famiglia al primo posto e affrontare insieme le sfide della vita per me e mio marito è sempre stata una scelta fondamentale. Noi ci alziamo insieme al mattino, andiamo a dormire insieme e tutto quello che succede durante il giorno lo condividiamo. Nella nostra attività ci occupiamo di tutto. Lui fa il pizzaiolo, io sto in cucina e mio figlio serve ai tavoli quando abbiamo bisogno di una mano in più. Assieme al senso della famiglia, il lavoro rappresenta una delle forze trainanti della mia vita. Se non c’è il lavoro come fai?

Essendo consapevole della fortuna di avere un’attività che funziona per me essere impegnata non è mai un peso, è un privilegio. Ho sempre lavorato tanto e ho sempre fatto con piacere tutte le professioni che mi sono capitate. Oggi, le nostre piccole grandi soddisfazioni stanno nel rendere felici le persone con un bel piatto di pasta fatta in casa “alla norma”. Con l’osteria poi mi è capitato di ricevere dei mazzi di fiori come ringraziamento e questo tipo di cose dà la carica per continuare. Pasta con le sarde, pasta alla norma, arancini… Siamo riusciti a portare la nostra cultura in un piccolo paesino, dove ci hanno accolti benissimo. Piccolo ma allo stesso tempo offre tutto a livello di infrastrutture.

Mi piace da morire. È un luogo stupendo con una comunità dallo spirito familiare dove ci si dà volentieri una mano a vicenda. Qui passa ancora la nonnina che, sulla strada per il negozietto, ti chiede se hai bisogno di qualcosa. La gente è ancora alla vecchia maniera e ci fa sentire davvero a casa.

Ma devo ammettere che la mia terra di origine mi manca.

Quando posso, torno a Caltanisetta dove abbiamo comprato una bella casa, con l’idea che, chissà, un giorno magari ci torneremo, e mi sento con le mie sorelle e mio padre più volte al giorno: anche con loro c’è un legame molto forte.

Vicini e lontani, i legami di cuore mi danno la forza di vivere, respirare e lavorare.

CONCETTA ArONICA

Giunta in Ticino per lavorare, oggi gestisce assieme al marito un’osteria. Da buona siciliana, la famiglia è al centro della sua esistenza: una fonte di vitalità e di grandi progetti

testimonianza raccolta da Keri Gonzato fotografia ©Sabine Biedermann

Vitae 11

Buon 1° agosto dal cuore delle Alpi!

In occasione dei 100 anni del Parco nazionale svizzero, il programma dedicato alla Festa Nazionale è in diretta da Zernez

a avrà t a r e s ard. a l h , t i u s e e L n Doris grigio i e l t a s i r t e r d a iù noti Consigliera fe RTS e RTR p i a d a di SRF, u RSI LA 1 Animat ite d’onore la i h g e l l sp ai co .00 s e 1 2 m e e i come o l l s a n Tami i osto d a g s a s ° i r 1 a ì l C venerd a t t e p vi as -agosto

rimo rsi.ch/p

Linea Cadorna

L’attesa di Eugenio Klueser; fotografie ©Simone Mengani

“Gli parve che la fuga del tempo si fosse fermata, come per rotto incanto. Il vortice si era fatto negli ultimi tempi sempre più intenso, poi improvvisamente più nulla, il mondo ristagnava in una orizzontale apatia e gli orologi correvano inutilmente. La strada di Drogo era finita; eccolo ora sulla solitaria riva di un mare grigio e uniforme, e attorno né una casa né un albero né un uomo, tutto così da immemorabile tempo” Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari (1940)

Vigilare Ci hanno mandato qui, al confine, in tutta fretta nell’estate del 1915, a noi della V armata. Gli alti comandi avevano tutti paura che la Svizzera “ci pugnalasse a tradimento” che i “mangiapatate” e i “crucchi” ci arrivassero in casa da nord.

“Ve li immaginate i barbari a Milano e Torino?” ripeteva ogni giorno il colonnello facendo eco alle parole del generale che le aveva sentite da Cadorna in persona “ora pensate cosa potranno fare alle vostre mogli, madri e figlie se ci arrivano veramente. Quindi allerta e in guardia!”. E io allerta e in guardia ci stavo veramente. Giorno e notte a osservare quel tocco di lago e di terre di fronte a me. Nessun segnale, tutto

immobile e fermo. “Occhi aperti, perché è proprio quando tutto sembra tranquillo che ti trovi il nemico alla gola” mi ricordava il colonnello, se mi rilassavo, col fucile un poco di traverso “Attenzione e soprattutto silenzio perché il nemico ascolta e quelli al di là del lago parlano la tua lingua e ti capiscono”, aggiungeva basso, accostandosi al mio orecchio.

Fantasmi Deve aver ragione il colonello, pensavo in quei giorni, perché altrimenti che senso avrebbe avuto stare lì per anni a vigilare il nulla. Che senso avrebbe avuto il formicaio che si stava muovendo attorno a me, le mille e mille persone che

scavavano la montagna, abbattevano alberi, spostavano e martellavano le pietre. Che senso avrebbero avuto tutte quelle trincee, i camminamenti, i punti d’osservazione, le grotte dove trovar rifugio sotto i colpi d’artiglieria. Era chiaro che il nemico era nascosto, ma c’era e presto lo avremmo anche visto al di là del lago. Ero allora contento che si stessero facendo le cose per bene, che ci fosse la Linea a proteggere la Patria e le nostre famiglie. Li avremmo inchiodati i “mangiapatate”, anzi ributtati a nord e, già che c’eravamo, ci saremmo presi un pezzo di Svizzera. Intanto, però, inchiodati eravamo noi mentre i giorni e poi i mesi e gli anni passavano. Le notizie parlavano di offensive e controffensive a est, sul Carso, ma

niente a nord. Io montavo la guardia e i lavori proseguivano, mentre donne e bambini sostituivano sempre di più gli uomini, mandati al fronte, e sempre più spesso donne e bambini finivano sotto una frana improvvisa o schiacciati da un crollo. Però ne continuavano ad arrivare perché il lavoro era pericoloso ma ben pagato. Si aveva diritto al vitto di noi militari, al medico se si stava male e poi c’era l’orgoglio di aver costruito la Grande Muraglia della nostra Patria.

Mai diMenticare Poi, all’improvviso venne l’ordine: “Si va a est, è la che la Patria è in pericolo. Il nemico ha sfondato a Caporetto” ci disse

nelle immagini Il reportage testimonia del complesso delle batterie e dei punti di osservazione delle fortificazioni tra il Monte Orsa e il Monte Pravello.

Del sistema difensivo creato nel territorio fra il lago di Lugano e il lago Maggiore, questo tracciato rappresenta la componente più orientale e prossima all’area del mendrisiotto e del comasco.

Il percorso, che si sviluppa all’interno dei confini della Comunità Montana della Valceresio, si estende per circa 7 chilometri con un dislivello (da Viggiù al Monte Pradello) di 500 metri. Per percorrerlo sono necessarie circa quattro ore, a cui va aggiunto il tempo di visita alle fortificazioni che varia in base alla propria curiosità, interessi e capacità individuali. La stagione ottimale per queste escursioni è la primavera

Simone Mengani Nato a Perugia, classe 1978, si trasferisce all’età di cinque anni a Vacallo, dove inizia a coltivare la passione per il territorio. Dopo gli studi liceali si iscrive all’Accademia di architettura di Mendrisio, dove si diploma nel 2004. Dopo alcune esperienze di lavoro, nel 2006 inizia l’attività come fotografo indipendente, prediligendo la fotografia di architettura. Collabora con diverse riviste e settimanali, operando anche nell’ambito della fotografia panoramica. fotomengani.ch

una mattina il colonello e già i camion per il viaggio erano allineati sulla spianata. Non capivo. “Silenzio e salire sul camion. In ordine e senza fiatare!” urlavano gli ufficiali mentre uomini, donne e bambini che avevano costruito la Linea ci guardavano con occhi vuoti, senza espressione. In poco tempo partirono tutti, il formicaio si svuotò di divise e di abiti da lavoro, di suoni di comandi e di colpi di scalpello.

Rimasi solo perché il nemico, lo sapevo, aspettava nascosto li a nord. Aspettava che fossimo tutti partiti per attaccarci alle spalle. Dovevo continuare a fare la guardia, a vigilare e stare allerta, in piedi sulla Linea di pietra.

La Linea Cadorna La Frontiera Nord o Linea Cadorna fu un’opera colossale, realizzata per volontà del Capo di Stato Maggiore dell’esercito italiano Luigi Cadorna, con l’obiettivo di difendere il confine settentrionale del Regno d’Italia da un possibile attacco proveniente da nord. Il timore diffuso nei circoli militari italiani era, infatti, che la Confederazione Elvetica venisse meno alla sua neutralità e concedesse libero passaggio alle armate austrotedesche. La Linea Cadorna proprio per questi timori, venne completata in tempi brevissimi e con grande dispendio di uomini e mezzi: tre anni di lavoro, dal 1915 al 1918 per circa ventimila persone, oltre 70 chilometri di trinceramenti, 88 appostamenti per artiglieria, 25mila mq di depositi e rifugi per le truppe, 296 km di strade camionabili e altri 398 di mulattiere, disperse tra val d’Ossola e i passi Orobici, passando per le alture a sud del lago di Lugano. Un’impresa costata alle casse del Regno d’Italia circa 106 milioni di lire, pari a circa 300 milioni di euro attuali e che rimase del tutto inutilizzata. Buona parte di questo sistema difensivo è oggi ancora esistente, ripercorribile grazie a una serie di itinerari didattico-escursionistici noti come “sentiero della pace”. per informazioni: www1.provincia.va.it/lineacadornavarese

L’abito non fa piú il monaco Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza

In mostra a Milano divertissement e poesia dell’abito da lavoro...

Che purtroppo non c’è

S

i direbbe impossibile parlare di vestiti senza fare almeno un fuggevole accenno alla moda, se non altro perché la decima musa è pur sempre un mezzo per delinearne lo status.

Allora ritorniamo alle vecchie diciture? Non esattamente, dal momento che migliaia di oggetti d’abbigliamento in circolazione offrono la possibilità di costruirsi identità sempre diverse e istantanee. Le creazioni in esposizione alla Triennale hanno in comune la capacità di raccontare non solo chi siamo, ma chi vogliamo essere seguendo le variazioni del nostro immaginario. Il vestito diventa allora un progetto di vita, un involucro lontano da logiche di mercato.

Ma ha senso riflettere sull’abito da lavoro in un momento in cui è proprio il lavoro a latitare o a farsi incerto? Ebbene sì, questa attenzione pare stimolare la ricerca di nuove modalità professionali. La indovinano i nostri creativi che con la loro apertura a una sensibilità poetica nei confronti del lavoro mettono in primo piano la dimensione emozionale e fantasiosa di un capo. Se i mestieri del futuro sono tutti da inventare, proviamo a immaginarli fantasticando e sorridendo con l’abito della raccoglitrice di conchiglie di Nanni Strada, con la corazzagrembiule di Andrea Salvetti, con il totem spaventapasseri di Antonio Marras che, per la verità, caccia le nuvole, con la tenuta lumberjack di Vivienne Westwood che suggerisce di rifugiarsi nei boschi incontaminati e con tutte le proposte artistico-poetiche degli altri partecipanti.

AngelA Missoni Completo-collage di stoffe diverse, per la maggior parte “rigatino”, il tipico tessuto dei grembiuli dei garzoni da bottega e degli addetti alla manutenzione negli hotel. Però questa tenuta va ben oltre. È incontenibile in quanto esubera attraverso le cuciture e le sovrapposizioni, volando via in nuvole evanescenti, o come un sorriso di farfalle capricciose e delicate. Perché i sogni non si possono imprigionare: si volatizzano liberi nell’aria.

Alberto Aspesi L’indumento invita a essere imbrattato, inzuppato di visioni e di colori. Tuttavia qui il capo non è da indossare, come la sedia non è fatta per sedersi e i colori non sono disposti ad asciugare. Ogni parte ammicca all’altra tramando nello spazio-installazione. La camicia non si indossa con il corpo, bensì se ne indossa mentalmente l’azione che rappresenta, con tutta la sua irriverente astrazione.

elio Fiorucci Pare il vestito di un’ingenua Biancaneve, un gioioso dirndl di memoria nordica, sfuggito dalle favole dei fratelli Grimm. La gonnella arricciata sembra fatta della soffice erbetta di un prato fantastico, rifinita con organza sbuffante e peccaminosa, mentre la scollatura del top è disegnata da taschine a cuore. Ed ecco che il candore innocente diventa sublimazione di malizia...

La contadinella raccoglie frutti leciti di giorno che di notte però diventano proibiti...

La domanda della settimana

Siete favorevoli alla sistematica diffusione lungo le strade del cantone di dispositivi per il controllo della velocità?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 31 luglio. I risultati appariranno sul numero 32 di Ticinosette.

Al quesito “La società è riuscita a superare i pregiudizi nei confronti di gay e lesbiche?” avete risposto:

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Svaghi 46

Astri ariete Mercurio vi stimola, le novità vi affascinano. Siate pazienti di fronte ai piccoli imprevisti. Discussioni con i familiari.

Bene tra il 27 e il 29.

toro Incontri con persone più giovani e forte crescita della vita sociale. Amori estivi. Svolte radicali per i nati nella seconda decade tra il 27 e il 28.

gemelli Il lavoro e così i rapporti gerarchici con i collaboratori entrano in una loro nuova fase. Fortuna professionale per i nati nella prima decade.

cancro È arrivato il momento delle grandi sfide. Affrontate i nemici a viso aperto.

Fate la prima mossa se ve lo chiede il vostro cuore. Eventi inaspettati.

leone Tra il 27 e il 29 luglio Luna di transito.

Momento di popolarità. Diversamente i nati nella seconda e nella terza decade, ancora sotto Saturno.

vergine Venere è con voi! Il transito è favorevole se finalizzato a una rinascita dei vostri sentimenti. Momento ideale per chi fosse alla ricerca di un figlio.

bilancia Particolarmente fortunata qualsiasi attività di tipo associativo. Spese d’abbellimento per gli ambienti familiari.

Piacevoli le giornate tra il 27 e il 29.

scorpione Evitate di adottare atteggiamenti arroganti. Non sempre è proficuo voler farsi notare a ogni costo. Permalosi i nati nella prima decade.

sagittario È il momento di aprire la porta all’ignoto. Grazie a Urano e a Giove, entrambi positivi, e in reciproco aspetto, sta per iniziare una nuova primavera.

capricorno Mercurio e Marte in opposizione.

Cercate di focalizzarvi sui punti di contatto anziché su quello che divide.

Più tranquillità tra il 29 e il 30.

acquario Dal 28 in poi dovrete confrontarvi oltre che con Giove in Leone anche con Marte. Transito utile, ma è importante tenere a freno la vostra esuberanza.

pesci Marte benevolo dal 26 in poi. Determinazione e intraprendenza. Momento favorevole per perorare una causa.

Malumori tra il 29 e il 31.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 32

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 31 luglio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 29 luglio a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!

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Verticali 1. Noto film del 1983 con Bud Spencer e Terence Hill • 2. La ninfa d’Arcadia • 3. Il nome di Ughi • 4. Scaltri • 5. Fan • 6. Molto preoccupanti, pesanti • 7. Le iniziali di Toscanini • 8. Blasfemi • 12. Ripidi • 13. Bando, proclama - 16. Immagini sacre del Pope • 18. Simile alla lira • 22. Dipinte • 24. Subitaneo • 26.

Nome di donna • 30. Forman, regista • 31. Relativi ai sogni • 34. Antenata • 35. Cassetti • 37. Associazione Sportiva • 40. I giorni fatali a Cesare • 42. Altrimenti detto… • 45. Oscura • 48. Il fiume di Berna • 50. In mezzo al mare.

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Orizzontali 1. Andare a picco, fallire • 9. Il re di Camelot • 10. Consonanti in mortaio • 11. Ipotesi… geometrica • 13. Le iniziali di Papi • 14. Istituto Tecnico • 15. Li fanno venire sia il freddo che la paura • 17.

Sono esperte con ago e filo • 19. Lo spinto del sarto • 20. Dittongo in giada • 21. Cuor di dotto • 23. Venuti al mondo • 25. Parecchi • 27. Romania e Svezia • 28.

Teatro greco-romano • 29. Dilettante, appassionato • 32. Concorso Internazionale • 33. Desiderate, bramate • 36. Grossi cani • 38. Periodi storici • 39. Esseri orrendi • 41. Variopinto pappagallo • 43. La fine di Aramis • 44.

Ama Radames • 46. Articolo spagnolo • 47. Spronati, incoraggiati • 49. Vocali in pizza • 51. Dittongo in reità • 52. Parte di pagamento • 53. Il cane di Ulisse • 54.

La Ville Lumière.

La soluzione del Concorso apparso l’11 lulgio è: RISPETTO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Elena Facchin el Iagmáll 10 6513 Monte Carasso Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

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