Ticino7

№ 31 del 2 agosto 2014 · con Teleradio dal 3 al 9 ago.

nelle Terre selvagge

Il Parco nazionale svizzero è stato il primo, quello dell,adula potrebbe essere il più grande. nel mezzo il futuro dell,economia di montagna

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Ticinosette allegato settimanale N° 31 del 2.8.2014

Impressum

Società Calcio. Un Mondiale da ricordare

66’475 copie

4

di

di

nello Mezzanzanica .............................

9

di

Mariella dal Farra ...............................

10

roberto roveda ...................................................................

12

Media Personal computer. L’altra Silicon Vitae Dino Peverelli

Tiratura controllata

Giancarlo Fornasier.....................

Agorà Parchi e agricoltura. Nelle terre selvagge

di

Fabio Martini; Foto di reza Khatir ...........

37

Keri Gonzato .............................................

44

Svaghi ....................................................................................................................

46

Reportage Faido. La cultura della pace

di

Chiusura redazionale Venerdì 25 luglio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Tendenze Vacanze. Boutique hostel

di

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs

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In copertina

Parco nazionale svizzero, la Val Cluozza Fotografia ©Peter Keller

Non fateli lavorare A seguito dell’ennesimo caso di prostituzio- tività che sin troppo spesso vanno, ahimé, ne in appartamenti segnalata nel Luganese, di pari passo, e con loro il mercato degli il municipio della città si muove nella scarna stupefacenti e la tratta di persone. Insomma, giungla di leggi che possono permettere di se dalla finestra del vostro appartamento tutelare chi di professioniste del sesso non scorgete piramidi di banconote nella cucine vuole sapere (almeno non sullo stesso na del dirimpettaio, se dal monolocale del pianerottolo di casa). Come ben segnalato in piano inferiore i “sacchettini profumati” si un contributo di Alfonso Reggiani apparso continuano a vendere e comprare in gran il 25 luglio su laRegioneTicino, cercare con le quantità, se di quel neonato partorito in leggi di contrastare un fenomeno per nulla casa da settimane non avete più percepito raro nel nostro cantone – ma quante Besso nessun lamento, né voi e nemmeno i vostri e Pregassona ci saranno in Ticino...? – non vicini... che fate, chiamate la polizia? Anche è facile, tanto che (per ora) ci si deve appel- se non “disturbano”, sarebbe il caso. lare al mancato “cambio della destinazione Buona lettura, Giancarlo Fornasier d’uso” dello stabile per bloccare l’attività delle ragazze.

Al di là delle considerazioni morali, e la contrapposizione tra bacchettoni e difensori della libertà personale, anche in questi ultimi casi è stata la popolazione a doversi sollevare, perché obbligata a convivere con attività professionali che evidentemente non possono essere poste sullo stesso piano di altre, se non altro per gli orari sovente “notturni” delle prime. In generale, qualcuno si potrebbe chiedere se esiste o 29 gine del numer esenti tra le pa pr k una grossa differenza cia i ol cc pi i5 hanno scovato Tra coloro che tra chi guadagna del tratte: es te sta no so rri di Ticinosette, denaro mercificando Franca Za i in h c n o r zmann il proprio corpo e chi (Banco) claudia Glan geno) ri invece opera racco(Au rno. stival di Loca gliendo e ripulendo rale al Film Fe ne ge to en m abbona denaro di provenienche vincono un te lettrici! za poco lecita, due atenti alle fortuna

! k a I c I I r p Sco o 2014 Film Festival

Complim

Locarn

Nelle terre selvagge Parchi e agricoltura. Il Parco nazionale è centenario. Per molti decenni è stato l’unico esempio svizzero di area protetta e vincolata, una realtà a cui oggi molti si ispirano: il Parco nazionale del Locarnese e il Parc Adula sono gli esempi a noi più vicini.

Ma in tutta la Svizzera la ricerca di un nuovo modello di “natura selvaggia” raccoglie sempre più sostenitori, mentre agli agricoltori si chiede di riorganizzare le loro attività e ripensare il proprio futuro di Giancarlo Fornasier; fotografia ©Peter Keller

C

Agorà 4

he cosa fa di un territorio boschivo e di un prato secco un “parco nazionale”? La natura incontaminata, prorompente, selvaggia, quasi inaccessibile e inabitabile ma dalla bellezza disarmante? In effetti paiono essere questi i veri punti di forza sui quali giocare le proprie carte, gli stessi che nei due progetti di parchi nazionali che coinvolgono il Ticino vengono messi in evidenza, anche ai sensi della Legge federale sulla protezione della natura e del paesaggio (LNP; articolo 23e e seguenti) che ne definisce e regola la creazione.

E così, nel “Ritratto” del Parco nazionale del Locarnese – un’area di 221 km2 che dal lago Maggiore tra Ascona e Brissago copre Centovalli, Terre di Pedemonte, le valli Onsernone e Vergeletto, includendo anche Bosco Gurin; parconazionale.ch – si legge che il territorio si adatta a chi “è alla ricerca d’avventura e di natura selvaggia”, fatta di “terreni frastagliati, gole profonde, fiumi impetuosi” e una “fittissima foresta che ricorda una foresta vergine”, dove i muri a secco di Linescio ricordano i “terrazzamenti Inca di Macchu Picchu” e la “gola della Melezza, una sorta di Gran Canyon in versione ridotta”. I sostenitori del Parc Adula – 1230 km2 inclusa la zona periferica, per un’area che da Buseno sale sin quasi a Disentis, e dal Lucomagno verso est a Splügen; parcadula.ch – assicurano che “la regione attorno alla cima dell’Adula è una delle più vaste della Svizzera senza interventi umani rilevanti.

Scenari mozzafiato e imponenti ghiacciai incorniciano habitat naturali pregiati che ospitano tutt’oggi un’ineguagliabile diversità paesaggistica e geologica, un’incredibile varietà di fauna e una straordinaria pluralità di flora alpina”. Nel portale internet del progetto i toni si fanno quasi patriottici: “La popolazione che abita queste valli è riuscita a mantenere pressoché intatte le sue maggiori ricchezze: la cultura, il paesaggio e la natura.

Questo paesaggio, questa natura e questa cultura rappresentano l’autentica Svizzera alpina”.

La natura serve, ma certo non basta: senza un obiettivo la conservazione fine a se stessa (definire un’area, recintarla e non prendersene più cura) non serve a molto. Sono necessari invece organizzazione, risorse (anche finanziarie), contributi, personale (guide e guardiani) e non da ultimo

un preciso programma di eventi con i quali attirare il pubblico. Al Parco nazionale svizzero dell’Engadina tutto questo esiste: gli oltre 40 dipendenti, i suoi 150mila visitatori l’anno e i 20-25 milioni di franchi di ricaduta nella regione circostante confermano la bontà di quanto fatto in decenni di sensibilizzazione e promozione.

Selvaggio, ma non troppo…

Il Parco nazionale svizzero (PNS) nasce con la volontà di “conservare parti della natura indigena «per sempre»”1. Era il 1909 e per finanziare il progetto si creò una Lega svizzera per la protezione della natura (oggi Pro Natura) che attraverso la raccolta di fondi permise la stipula di contratti d’affitto di intere vallate; non senza difficoltà, anche perché l’area era da tempo fonte di reddito per la popolazione indigena che ne sfruttava le risorse boschive. Come ricorda il direttore del parco, Heinrich Haller2, “le regioni più in alto erano praticamente intatte, le foreste erano invece segnate da uno sfruttamento intensivo, le cui ferite hanno impiegato più di mezzo secolo per rimarginarsi”. Paradossalmente, l’intervento dell’uomo ha dunque permesso a quella porzione di territorio di riprendere ad autogestirsi, e oggi “più il parco invecchia e più si va verso una natura selvaggia: ciò che rappresenta un ulteriore arricchimento” conclude Haller. In verità, per garantire una fruizione senza pericoli dei sentieri e delle vie di passaggio all’interno dell’area protetta la presenza dell’uomo è necessaria; così come la stessa è servita in passato (a partire dal 1920) per cercare di reintrodurre una fauna originaria – per esempio, gli stambecchi e i gipeti, come ricordato in un recente articolo del docente e divulgatore scientifico Marco Martucci3 – “malgrado interventi di questo genere non corrispondessero alla filosofia di lasciare la natura a se stessa”4.

Al di là delle intenzioni, è evidente come anche la natura libera di agire non produca sempre (e non garantisca) quegli equilibri che ci siamo immaginati. Soprattutto là dove l’uomo in passato ha abusato del territorio e degli animali che lo abitavano. Come evidenziato da più parti5, riproporre oggi un parco nazionale come quello dell’Engadina (tanto

(...)

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Per i sapori delle mie montagne.

Il formaggio di montagna di Dionis Zinsli nasce sulle montagne grigionesi di Sufers a ben 1430 metri dâ&#x20AC;&#x2122;altezza.

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Per le nostre montagne.

Per i nostri contadini.

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vincolato da essere una sorta di “riserva”) sarebbe assai difficile, proprio perché a livello internazionale il concetto di parco protetto aperto al pubblico è mutato.

Tra i tanti temi connessi alla realizzazione di zone protette, quello dei grandi predatori è uno tra i più insidiosi, come il mediatizzato orso “M25” dimostra. Ma più dei plantigradi sono i lupi al centro di un acceso dibattito sulla possibile o insostenibile convivenza con le attività dell’uomo in montagna, in particolare quando sono presenti greggi di capre e pecore incustoditi. Il deputato al Gran Consiglio Franco Celio ha mostrato ancora recentemente6 come le posizioni tra favorevoli e contrari alla libera diffusione di predatori siano contrapposte, per interessi e per obiettivi.

E come anche tra i contadini – coloro che, alla luce della nuova Politica agricola 2014–2017 (PA)7, più direttamente oggi sono chiamati a essere i protagonisti della conservazione del territorio agricolo e del mantenimento della biodiversità – la prospettiva di una “natura selvaggia”, priva di una gestione favorevole alle loro attività e un controllo mirato dei predatori, sia inconcepibile. Un problema di convivenza che dovrebbe considerare anche gli ungulati (come i cinghiali, per esempio), non ultimi per danni recati alle colture e alle recinzioni.

Sono tematiche ben note anche a Franziska Andres8 dello studio Trifolium di Arogno, da oltre vent’anni attiva anche in Ticino nella promozione di progetti che legano agricoltura e protezione della natura, rivalorizzazione del paesaggio tradizionale e protezione della biodiversità. E, paradossalmente, la Andres opera anche per sensibilizzare gli operatori agricoli verso la ricchezza naturalistica (e dunque culturale e storica) delle loro terre. In una recente serata tenutasi a Corzoneso9 (valle di Blenio) i temi legati alla prospettiva di un parco nazionale come il progetto Parc Adula e le ricadute per chi vi lavora sono naturalmente emersi come temi di confronto, “ma mi pare che le resistenze tra gli agricoltori sono sempre meno forti: in fondo anche i promotori del parco perseguono obiettivi legati alla protezione dell’agricoltura in valle, e propongono nuove prospettive turistiche e di sviluppo sostenibile”. Parimenti ottimista sembra essere Luigi Arcioni, presidente della Società agricola bleniese, anche se percepisce le difficoltà nel promuovere il progetto: “Tra i contadini penso prevalga un certo scetticismo, anche perché non mi sembra sia stato fatto abbastanza per convincere il settore delle opportunità di un tale progetto, a fronte di una certa incertezza sui vincoli che porta, legati alla zona nucleo, dove sono presenti alcuni alpeggi. Personalmente, credo che il progetto possa contribuire al rilancio della valle, dando un impulso positivo ad altre idee che al momento stentano a decollare”.

Una convivenza da costruire La zona nucleo del prospettato parco citata da Luigi Arcioni è un’area di 150 km2 sottoposta a maggiori vincoli e limitazioni degli interventi e dell’utilizzo da parte dell’uomo, e dove le restrizioni legate, per esempio, al pascolo nei boschi sono oggetto di confronto tra promotori e operatori.

A rigor di logica la valorizzazione del paesaggio agricolo e la sua promozione dovrebbero rappresentare una reale opportunità per gli agricoltori i quali, visto quanto scritto nella LNP e utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalla nuova PA, dovrebbero garantirsi entrate supplemen-

tari attraverso dei contributi per la qualità del paesaggio (salvaguardia, promozione e sviluppo di paesaggi variati) e della biodiversità (salvaguardia e promozione della varietà delle specie e degli habitat).

Ma la nuova visione e funzione dell’agricoltore promossa dalla Confederazione non raccoglie l’unanimità, come testimonia ancora il presidente della Società agricola bleniese, che non vede questo grande cambiamento e reali guadagni per chi opera in zone discoste: “Con la nuova PA 2014–2017 non c’è un reale aumento dei contributi, ma una diversa ripartizione, legando quasi tutto alla superficie piuttosto che al numero di animali, e con questo si pone di più l’accento su ecologia e biodiversità. La Società agricola bleniese non condivide pienamente questo tipo d’impostazione: vediamo il pericolo di un indebolimento della parte produttiva, in particolare della produzione di latte, che è sempre stata il nostro punto forte, con un orientamento ad aziende più estensive con, per esempio, allevamenti che richiedono molto meno lavoro. Questo però può accentuare ulteriormente la carenza di bestiame da latte per il carico degli alpi e indebolire ulteriormente le piccole e medie aziende, vista la forte concorrenza per accaparrarsi le superfici che sono la base dei contributi diretti. Per questo speriamo che l’iniziativa federale recentemente promossa dall’Unione svizzera dei contadini riesca a correggere un po’ il tiro. Ciò nonostante, ci siamo attivati per garantire la possibilità di accedere a tutti i contributi previsti nella nuova ordinanza, promuovendo un progetto d’interconnessione delle superfici ecologiche e uno per la qualità del paesaggio, che comprende tutto il comprensorio vallerano”.

Un comprensorio dalla grande ricchezza, un insieme di elementi “interconnessi” come dice Arcioni che legano flora, fauna e prodotti, ma anche piccoli e grandi manufatti che Franziska Andres rileva puntualmente: “Penso, per esempio, alla presenza di costruzioni in sasso e buche una volta necessarie alla discesa del legname a valle, che per questioni di praticità vengono bonificate per agevolare proprio il lavoro nei campi. Oppure la presenza di piccole parcelle in cui si coltivavano patate: tutti elementi che sommati danno una precisa identità storica al territorio”. I sopralluoghi e le mappature permettono di definire le misure che possono essere messe in atto per garantire lo sviluppo di paesaggi variati, anche attraverso la presenza di colture diverse (cereali, erbe, bacche, orti tradizionali, vigneti ecc.), il mantenimento di piante centenarie e monumentali o la conservazione (e reintroduzione) di alberi da frutta, oppure ancora la semina di prati fioriti. Oltre ai già citati manufatti tradizionali (per esempio, fontane in legno o sasso, muri a secco, strutture terrazzate, ruscelli, canali, bolle, recinzioni), la cura di prati, pascoli, selve e boschi pascolati, siepi, il recupero di vecchi sentieri di accesso tra le parcelle, la riparazione di vecchie recinzioni e pergolati… “Nei miei mandati” prosegue la Andres, “che cerco, se possibile, di svolgere alla presenza degli agricoltori, capita sovente che la sensibilizzazione verso la ricchezza delle loro terre passi attraverso il riconoscimento delle difficoltà del loro lavoro. Oggi fare il contadino significa pianificare economicamente la propria azienda e investire lì dove esiste una possibilità di entrare certe. In fondo, vi sono zone di montagna non più lavorate proprio perché difficili da raggiungere e poco o nulla redditizie. Sono queste le aree che in fondo possono diventare i laboratori da proteggere e da destinare

Agorà 7 Parco nazionale svizzero dell’Engadina, pendice del Munt la Schera

a scopi scientifici, naturalmente facendo partecipi di quando si vuole realizzare i legittimi proprietari e indennizzandoli quando è necessario”. A questo proposito il Gruppo svizzero per le regioni di montagna (SAB) in un recente rapporto10 solleva dubbi sulla capacità della Confederazione di assicurare i finanziamenti per la promozione della biodiversità, anche se nello stesso rapporto si riconosce come l’agricoltura di montagna e l’economia alpestre (in particolare le zone identificate come III e IV) dovrebbero poter approfittare finanziariamente della nuova PA. Anzi, la SAB crede che in funzione di un rafforzamento del turismo di montagna, proprio le attività para-agricole debbano essere maggiormente prese in considerazione.

Chi vuole la natura... e chi un futuro Sino a oggi sono ben 16 i parchi d’importanza nazionale sin qui riconosciuti dalla Confederazione. Il parco del Locarnese, il Parc Adula, il Neckertal (tra i cantoni Argovia e San Gallo) e il Parco naturale di Sciaffusa sono gli ultimi arrivati. Se accettati, la totalità di queste 20 aree occuperebbero quasi il 15% della superficie della Svizzera. Ma un dato è ancora più importante: 16 di queste zone sono state create dopo il 2010, a dimostrazione di un’accresciuta sensibilità della popolazione e delle autorità verso l’ambiente e la sua salvaguardia. Già oggi si sollevano dubbi sulla capacità di garantire il funzionamento di tutti i parchi11, ma questo

nulla toglie alla volontà di mantenere non solo delle zone “incontaminate” ma anche il desiderio di non perdere quella qualità del paesaggio (e di vita) che hanno da sempre rappresentato i punti di forza del nostro paese.

Per il periodo 2014–2017 il Parlamento prevede di investire 13,8 miliardi di franchi a favore del settore agricolo, e la Politica agricola 2014–2017 è sempre più orientata verso una visione “ecologizzata” dell’agricoltura, visto che già oggi i contributi sono elargiti in funzione della superficie, con un occhio di riguardo (contribuzioni complementari) verso gli operatori che lavorano su terreni in pendenza. La continua e decisa erosione delle aziende (circa 56.500 in tutta la Svizzera nel 2012; erano 67mila nel 2002…) porta ogni giorno alla sparizione di tre attività legate all’agricoltura12, solo in parte assorbite da aziende più grandi.

In Ticino il settore agricolo rappresenta poco più del 5% della superficie utile totale cantonale e conta circa tremila addetti (dati 2012)13. Gli agricoltori sono sempre meno e lo stesso vale per i terreni coltivati; nelle regioni di montagna il bosco avanza, segno di un lento abbandono di terreni una volta considerati redditizi. Ma nelle valli l’importanza dell’agricoltura è piuttosto rilevante, come conferma ancora Luigi Arcioni: “Il settore agricolo ha ancora una notevole importanza per l’economia della valle di Blenio. Oltre a occupare circa un quinto della popolazione attiva in valle, ha grosse ricadute anche su altri settori. Certamente negli ultimi anni abbiamo

(...)

“Un parco nazionale è un vasto territorio (...) costituito da: a. una zona centrale, in cui la natura viene lasciata libera di svilupparsi e alla quale il pubblico può accedere solo in maniera limitata; b. una zona periferica, in cui il paesaggio rurale viene gestito in modo rispettoso della natura ed è protetto da interventi pregiudizievoli” (art. 23f della Legge federale sulla protezione della natura e del paesaggio-LNP)

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avuto un calo del numero di aziende e un conseguente aumento delle dimensioni medie. Questo è però l’effetto della politica agricola federale. Le aziende operanti in valle superano ancora il centinaio, tra tempo pieno e parziale. Esiste un ricambio generazionale, anche se non è sempre facile. Compito di chi deve lasciare è tramandare la passione ma anche certi valori come la solidarietà, che con i giovani che devono sempre più essere imprenditori non è così evidente. Credo che abbiamo senz’altro un futuro, ma dobbiamo imparare a valorizzare maggiormente i nostri punti forti che sono il territorio e i prodotti di qualità, per reggere la concorrenza di chi ha condizioni di produzione molto più favorevoli. In questo senso, il progetto di sviluppo agricolo regionale Blenio Plus14 può essere un esempio”.

Se inserito in un contesto di valorizzazione anche delle tipicità regionali, il Parc Adula pare essere dunque un’opportunità di rilancio della regione, sempre che si riesca a trovare il giusto equilibrio tra ambizioni turistiche e salvaguardia del territorio, evitando che gli agricoltori diventino “giardinieri”15 e ciceroni della loro valle prima che dei professionisti orgogliosi del loro lavoro e dei suoi frutti.

“L’opinione pubblica in generale, penso abbia ancora un’attitudine positiva e di riconoscenza verso l’agricoltura” ci confida Luigi Arcioni. “È però più difficile far capire i reali problemi che condizionano il nostro operato. Un esempio di questo può essere il discorso sulla progressiva proliferazione dei grandi predatori e la continua perdita di terreni agricoli. Qui è decisivo l’operato delle associazioni agricole per informare e coinvolgere maggiormente la popolazione e di tutte le aziende agricole che devono fare uno sforzo per portare un’immagine positiva”.

Si legge nel portale del Parc Adula: “Con la creazione di un Parco nazionale nella regione dell’Adula si concretizza questo postulato: uno sviluppo che valorizza le ricchezze a disposizione senza consumarle. Con la creazione del Parco nazionale, le regioni promotrici puntano a uno sviluppo sostenibile del territorio alpino coinvolto, utilizzando come motore dello sviluppo la natura e il paesaggio unici e intatti. Un parco nazionale offre benefici e opportunità economiche: un rafforzamento del flusso turistico, nuove possibilità per prodotti locali, la realizzazione di progetti sul territorio del parco e la gestione stessa del comprensorio del parco. Le ricadute economiche positive, ottenute con uno sviluppo sostenibile per le vallate, andrebbero interamente a favore della popolazione residente”. Il prossimo anno proprio la popolazione sarà chiamata a esprimersi sul progetto, il più avanzato dei due parchi che coinvolgono il canton Ticino. Nel frattempo e alla luce del recente sondaggio promosso dall’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (WSL)16, per i promotori l’impegno maggiore

continua a essere la ricerca di chiarezza rispetto ai possibili vantaggi, soprattutto economici ma anche di “immagine” per chi abita in valle, ma con ricadute quantomeno per tutte le Tre Valli e il Moesano.

I cittadini sono chiamati dunque a credere senza riserve in quello che diventerebbe il più grande parco nazionale della Confederazione. Purtroppo, di grandi progetti che faticano a decollare si è sentito sin troppo parlare, si mugugna nella valle del Sole. E la situazione “d’attesa” creatasi con le prospettate terme di Acquarossa certo non aiuta.

note 1 Da 1914–2014. 100 anni Parco nazionale svizzero, Commissione federale del Parco nazionale CFPN e Commissione di ricerca del PNS, Zernez, 2014.

2 Corriere del Ticino, 15 luglio 2014.

3 In Azione n. 28, 7 luglio 2014.

4 Op. cit., nota 1, pag. 5.

5 Si vedano i contributi della deputata al Consiglio nazionale Silvia Semadeni e di Stefano Quarenghi (già direttore del Progetto Parc Adula) in “Voci del Grigioni italiano”, RSI, 18 luglio 2014.

6 In Montagna. Rivista per le regioni di montagna, n. 4-2014, SABGruppo svizzero per le regioni di montagna, pag. 19.

7 www.blw.admin.ch/themen/00005/00044/01178/index.html?lang=it 8 Laureata in scienze naturali presso la scuola politecnica di Zurigo (ETHZ) con specializzazione in geobotanica, ecologia del suolo e protezione della natura (trifolium.info).

9 “Qualità del paesaggio agricolo in valle di Blenio”, 20 giugno 2014 (serata-workshop promosso dalla Società Agricola Bleniese).

10 “71esimo rapporto di attività della SAB”, n. 223, aprile 2014, pagg.

6,7 e 13.

11 “Le regioni di montagna svizzere 2014. Fatti e cifre”, n. 225, luglio 2014, SAB -Gruppo svizzero per le regioni di montagna, pag. 6.

12 Op. cit., nota 11, pag. 29.

13 Cifre dell’Ufficio di statistica (www3.ti.ch/DFE/DR/USTAT/index. php?fuseaction=prodotti.home&p1=43).

14 “Blenio Plus” è un’iniziativa sostenuta dalla Confederazione: ha lo scopo di promuovere e valorizzare il territorio, le materie prime e i prodotti agricoli e artigianali della valle di Blenio (caseificio, cantine per i formaggi, punti di vendita, sentieri tematici e impianti fotovoltaici per l’approvvigionamento delle attività agricole). Si veda anche “Blenio Plus, un progetto di sviluppo agricolo per la valle di Blenio” in Voce di Blenio, ottobre 2010.

15 Si veda anche “Agricoltura. I guardiani del paesaggio” di Silvano De Pietro, in Ticinosette n. 22/2011, con un’intervista a Ulrico Feitknecht (issuu.com/infocdt/docs/n_1122_ti7).

16 Nello stesso solo 924 dei 7322 formulari spediti in Alta Mesolcina, in Calanca, nel Rheinwald, nella valle di Blenio e nella Surselva sono ritornati al mittente, con un terzo circa di “decisamente favorevoli” al progetto, e oltre il 40% senza una precisa opinione. Si veda anche “Progetto Parc Adula. Meglio lo conosci più lo apprezzi”, Corriere del Ticino, 10 aprile 2014.

Un Mondiale da ricordare Gioia e tristezza, risate e lacrime, vincitori e vinti. Sul mondiale cala il sipario ma già si pensa al prossimo appuntamento del 2018

di Nello Mezzanzanica

Il Mondiale dei Mondiali, come è stato battezzato da tutti bisogna dare spazio ai giovani, praticamente assenti nel gli addetti ai lavori – sia a causa della presenza delle squadre campionato italiano o schiacciati da improbabili e talvolta più titolate sia perchè si giocava in Brasile dove il calcio è impresentabili stranieri. una religione –, è da tempo alle nostre spalle.

Come tutti i campionati mondiali è stato elettrizzante, Buoni e cattivi esempi coinvolgente, appassionante. Ci sono stati vincitori e vinti, Bisognerebbe prendere esempio dalla Germania, che una squadre che hanno deluso profondamente i loro tifosi e crisi calcistica la visse alla fine degli anni novanta. Ebbene, squadre che hanno entusianel 2000 furono istituite 121 smato, squadre che hanno accademie in tutto il paese e sfiorato l’impresa e squadre si obbligarono le squadre di che invece l’impresa l’hanno prima e seconda divisione a compiuta. istituire un proprio settore Ha vinto la Germania, giovanile qualificato. Oggi, senz’altro la squadra che più in Germania, 100 milioni meritava il trofeo, e non solo di euro l’anno vengono deper la grande prestazione stinati a questi settori e i ricontro il Brasile in semifinasultati sono sotto gli occhi di le, ma perché ha dimostrato, tutti. Mentre in Italia le sopartita dopo partita, di essere cietà falliscono e tanti stadi un gruppo forte, unito, comsono deserti, in Germania, patto, in cui tutti si sacrificail Borussia Dortmund, ha no per il bene della squadra. il sold out per tutte le parRio de Janeiro: la staua del Cristo Redentor e sullo sfondo lo stadio Maracaña (dokita.org) Quel pizzico di fortuna (vedi tite interne della prossima la vittoria contro l’Algeria stagione. negli ottavi) che, anche nel calcio, è una componente Quest’ultimo mondiale ha registrato anche un passo indiefondamentale, se lo sono meritato. Tra le gradite sorprese tro dei paesi africani con Camerun, Ghana e Costa d’Avorio l’Olanda, la Svizzera, che ha avuto la sfortuna di incontrare subito eliminate e Nigeria qualificata agli ottavi per il rotto subito negli ottavi l’Argentina, ma nonostante il confronto della cuffia. Solo l’Algeria ha salvato la faccia, eliminata, improbo ha perso solo ai supplementari (commovente l’at- tra l’altro, dai futuri campioni del mondo. Poco più di una teggiamento del portiere Benaglio che, dopo avere salvato la comparsata invece per le asiatiche Giappone, Iran e Corea porta dal raddoppio albiceleste, si è spinto in attacco negli del Sud, a dimostrazione che la distanza con le squadre di ultimi istanti di gioco cercando disperatamente di aiutare un certo livello è ancora notevole. i suoi compagni a siglare il gol del pareggio); la Colombia, Un discorso a parte lo merita il Brasile. Dopo le proteste e i gli Stati Uniti e, soprattutto, la Costarica. disordini iniziali, un intero paese si era stretto intorno alla E proprio il cammino della Costarica nei mondiali è la di- sua squadra sognando di cancellare per qualche giorno le mostrazione della bellezza del calcio. Un paese che ha poco brutture e le ingiustizie quotidiane. È finita come tutti sapmeno di cinque milioni di abitanti, meno della metà della piamo. Purtroppo i tifosi brasiliani sono passati dal sogno Lombardia, e i cui nazionali, eccezion fatta per il capitano all’incubo e sul web si sono scatenate le polemiche, che Ruiz che gioca in Olanda nel PSV, militano in campionati e nulla hanno a che fare con il calcio, per esempio, se fosse squadre di seconda o terza fascia in Norvegia, in Danimarca, giusto o meno che la Germania continuasse a segnare reti negli Stati Uniti e nello stesso Costarica. Ebbene, questa contro un avversario in evidente difficoltà, invece di “accompagine ha entusiasmato il mondo intero ridicolizzan- contentarsi” del già più che soddisfacente risultato senza do squadre sulla carta nettamente superiori come Italia e infierire ulteriormente.

Uruguay. Nello sport, dove non arrivano le gambe, arrivano Vedere centinaia di bambini e ragazzi con le lacrime agli cuore e testa. Lo stesso non è successo all’Italia, tra le grandi occhi alla fine della partita contro i tedeschi è stato sicudelusioni di questo mondiale insieme a Spagna, Inghilterra ramente doloroso. Consola sapere che avranno tanti altri e Portogallo. L’Italia deve capire che per costruire il futuro mondiali per gioire. Perché dalle ceneri si rinasce più forti.

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L’altra Silicon

Ci sono casi in cui l’epica industriale risulta altrettanto avvincente di quella di genere letterario, e la storia della Programma 101, il primo personal computer prodotto dalla Olivetti nel 1965, ne è un esempio significativo di Mariella Dal Farra

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Il prologo risale a qualche tempo più addietro, e precisamente al 1954, anno in cui Adriano Olivetti, che aveva portato l’azienda a livelli di leadership nell’ambito della produzione di macchine da scrivere e calcolatrici meccaniche, affida a Mario Tchou, giovane ingegnere italo-cinese di stanza a New York, il compito di organizzare il Laboratorio di ricerche elettroniche dell’azienda. La scelta cade su Tchou non solo per le brillanti competenze tecniche (era Assistant Professor di ingegneria alla Columbia university), ma anche in ragione di una spiccata sensibilità per quelle che oggi chiamiamo le “risorse umane”, e cioè la capacità di valorizzare le attitudini dei suoi collaboratori.

Nel corso dell’anno successivo (1955), Tchou mette insieme un team costituito da ingegneri, fisici, matematici e tecnici, il cui criterio di selezione è anche anagrafico, in quanto “Le cose nuove si fanno solo con i giovani. Solo i giovani ci si buttano dentro con entusiasmo, e collaborano in armonia senza personalismi e senza gli ostacoli derivanti da una mentalità consuetudinaria”1.

I risultati non si fanno attendere e nel 1957 viene costruito il prototipo del primo calcolatore elettronico italiano, ELEA 9001, seguito da ELEA 9003 (1958), che mette a frutto un’intuizione fondamentale di Tchou: l’opportunità di sostituire le valvole termoioniche con transistor al silicio – il semiconduttore di cui sono costituiti i microchip, e che darà il nome alla Silicon Valley californiana – consentendo di ottenere un prodotto “più piccolo, veloce e affidabile dei predecessori [...] in grado di eseguire fino a tre programmi contemporaneamente”.2 Con ELEA 9003 Olivetti entra ufficialmente nell’arena della competizione elettronica sfidando il gigante IBM ma, nonostante la buona performance sul piano economico, una serie di fattori mettono in discussione la prosecuzione del progetto. Primo fra tutti l’improvvisa scomparsa, avvenuta nel 1960, di Adriano Olivetti, che con il suo carisma aveva sostenuto lo slancio della ricerca in un settore innovativo e sensibile come quello dell’informatica. Il 9 novembre dell’anno successivo, Mario Tchou parte da Borgolombardo alla volta di Ivrea, dove è in programma una riunione con i vertici della Olivetti per discutere del futuro degli ELEA, ma vicino a Santhià l’automobile incorre in un terribile incidente che ha come esito la morte dell’ingegnere, all’epoca appena trentasettenne, e del suo autista.

Tempismo perfetto Molto si è detto circa il tempismo di questo decesso3, che di fatto decapita l’unica linea di ricerca informatica

non americana. “Il sospetto di un complotto nasce dal valore delle ricerche d’avanguardia e dalle straordinarie realizzazioni dell’ingegnere”, scrive il giornalista Marco Pivato4, “[...] tra gli anni cinquanta e sessanta i computer permettono applicazioni militari decisive, spediscono i satelliti in orbita e garantiscono all’America la conquista della Luna. […] E allora lasciare a Tchou il compito di sviluppare in Italia la culla dell’informatica potrebbe rivelarsi un’impresa troppo eretica per la stabilità tra i blocchi”.

Comunque sia andata, nel 1962 il laboratorio viene trasferito a Pregnana, ma la crisi economica seguita al boom degli anni cinquanta, in concerto con la decisione, forse non troppo lungimirante, di acquisire un colosso americano in declino come la Underwood, determinano una contrazione nei margini di profitto. La famiglia Olivetti cede il 35% delle azioni a un gruppo misto pubblico-privato (Fiat, IMI, Pirelli, Mediobanca, Centrale). La dichiarazione di Vittorio Valletta, presidente Fiat, all’assemblea del 30 aprile 1964, con riferimento all’ipotesi di intervento nel capitale Olivetti, resta nella storia come una delle più miopi dell’imprenditoria contemporanea: “L’Olivetti è strutturalmente solida e potrà superare senza grosse difficoltà il momento critico”, afferma. “Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare”.

Coerentemente, nel ’64 Olivetti cede l’intero comparto elettronico a General Electric. Tutto... tranne uno sparuto gruppo di “riottosi” ricercatori capeggiati dall’ingegnere Pier Giorgio Perotto. Il mini team sta lavorando a un progetto ancora più innovativo di ELEA: il primo personal computer della storia.

Occasione mancata In un’epoca in cui i calcolatori elettronici occupavano di norma una stanza, ed erano accessibili unicamente a un ristretto gruppo di tecnici altamente specializzati, l’idea di un elaboratore per uso personale è considerata, più che rivoluzionaria, semplicemente folle. Tuttavia, il vuoto “istituzionale” che caratterizza il laboratorio dopo la cessione consente al gruppo di Perotto di avventurarsi in una direzione mai intrapresa prima. Nelle sue memorie, si legge: “Tra la fine del ‘62 e gli inizi del ‘64 venne a prendere forma nella mia mente non tanto una soluzione, quanto un sogno […]. Sognavo una macchina che sapesse imparare e poi eseguire docilmente, che consentisse di immagazzinare istruzioni e dati, ma nella quale le istruzioni fossero semplici

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Un esemplare del calcolatore Olivetti Programma 101 (wikimedia.org)

e intuitive, il cui uso fosse alla portata di tutti e non solo di pochi specialisti. Perché questo fosse realizzabile, essa doveva soprattutto costare poco e non essere di dimensioni diverse dagli altri prodotti per l’ufficio, ai quali la gente si era da tempo abituata”5. Il risultato fu la Programma 101, conosciuta anche come “la Perottina”: il primo calcolatore dotato di un set di istruzioni predefinite (sedici in tutto), una “memoria di lavoro”, la possibilità di registrare dati e programmi su scheda (o “cartolina”) magnetica – l’antesignana del floppy disk – e una piccola stampante incorporata; il tutto racchiuso nell’elegante design ideato dall’architetto Mario Bellini.

Presentata un po’ in sordina all’esposizione mondiale di New York nel 1965, la Programma 101 ottiene un riscontro inatteso sia da parte del pubblico sia della stampa. Così, nonostante le perplessità del management, la macchina viene messa in produzione. Commercializzata a un costo iniziale di 3200 dollari, fu replicata in 44mila unità, quasi tutte vendute oltre oceano: volumi rispettabili, ma “lontani da quelli a cui l’Olivetti era abituata con i suoi prodotti tradizionali”6. Una serie di rallentamenti ed esitazioni determinarono un ritardo sulla concorrenza, che nel frattempo si stava attrezzando, e “a partire dal 1967 cominciarono ad affluire sul mercato nuove macchine in grado di competere con la P101”7. In particolare, nel 1967 Hewlett-Packard lanciò sul mercato l’HP 9100, una macchina che ne ricalcava la struttura logica e funzionale, e per la quale, nel corso degli anni, dovette pagare a Olivetti circa 900mila dollari in royalties. Nel complesso, però, l’azienda non fu grado di

cogliere l’opportunità rappresentata dalla nascita del nuovo mercato, lasciandosi sfuggire quella che forse avrebbe potuto diventare la “via europea” all’informatica. per saperne di più La vicenda della Programma 101, qui sommariamente abbozzata, può essere meglio apprezzata attraverso la testimonianza diretta dei suoi protagonisti. Segnaliamo pertanto, di Pier Giorgio Perotto (1930-2002), il libro Programma 101 – L’invenzione del personal computer: una storia appassionante mai raccontata, Sperling & Kupfer, 1995 (il testo è in chiaro sul sito dell’autore, all’indirizzo piergiorgioperotto.it/libriperotto/programma%20101/101.htm). Su YouTube è invece reperibile un documentario di poco di più di cinquanta minuti in cui due ex “ragazzi terribili” del team di Perotto (G. De Sandre e G. Garziera) raccontano la storia dal loro punto di vista.

S’intitola Quando Olivetti inventò il PC (2011) ed è stato realizzato da Alessandro Bernardi e Paolo Ceretto: imperdibile. note 1 Tratto da un’intervista di Mario Tchou a Paese Sera e ricordata da Giuseppe Rao in una ricostruzione pubblicata nel 2008 sul periodico Limes.

2 Federica Casarsa, “Mario Tchou, una storia italiana”, 30/07/2013, tratto dal già citato scritto di G. Rao – fusiorari.org/local/ economia/1086-mario-tchou-una-storia-italiana.html 3 Vedi per esempio la dichiarazione di Carlo De Benedetti del 29/10/2013 a “Mix24” su Radio24.

4 Marco Pivato, “Chi ha eliminato il pioniere dei computer made in Italy?”, La Stampa – TuttoScienze, 10/12/2011.

5 piergiorgioperotto.it/libriperotto/programma%20101/101.htm 6 Associazione Archivio Storico Olivetti, “Alle origini del personal computer: l’Olivetti Programma 101” (storiaolivetti.it/percorso. asp?idPercorso=630) 7 Ibidem.

S

ono nato a Monte Olimpino nel 1941 durante la guerra. Di quel periodo ricordo poco: avevamo una cucina molto piccola e quando suonava l’allarme la mamma ci riparava sotto il tavolo. Andavo dalle suore a mangiare la minestra e ne ho mangiata così tanta che oggi non riesco più neanche ad assaggiarla. Mia mamma lavorava come donna di servizio per alcune famiglie benestanti di Chiasso e io la accompagnavo. Ho così frequentato le famiglie borghesi, ho visto le loro case, conosciuto le loro abitudini. Io volevo imparare tutto da loro: come si vestivano, come mangiavano, come si comportavano. Forse è da lì che nasce la mia ambizione, il mio desiderio di superarmi sempre, ma torniamo a quegli anni.

Dopo la quinta elementare ho smesso di studiare perché volevo guadagnare e ho trovato lavoro dal salumiere di fiducia di mia mamma. All’inizio trascorrevo i giovedì pomeriggio a preparare gli gnocchi, poi ho imparato a fare il pane, a vendere, a fare il salumiere. Rimanevo in negozio fino alle 8 di sera e avevo due ore di pausa nel pomeriggio durante le quali, verso i sedici anni, ho cominciato a guadagnare qualche soldo per me, visto che lo stipendio lo passavo alla mia famiglia, rivendendo le sigarette che acquistavo in Svizzera. Nel 1965 mi sono sposato e mi sono trasferito a Chiasso. Continuavo sempre a rivendere piccole quantità di merce di contrabbando in Italia e per questo motivo ho avuto qualche problema con la finanza, che giustamente faceva il suo lavoro, ma non ho mai oltrepassato il limite. Nel corso degli anni ho cambiato diversi mestieri: non mi accontentavo mai, avevo sempre bisogno di nuovi stimoli. Forse cambiare spesso è stato un errore, perché non ho mai potuto fare soldi: quando l’attività era avviata e cominciava a funzionare io mi annoiavo e ripartivo da zero con qualcosa d’altro. Una svolta importante è avvenuta quando un avvocato di Chiasso mi ha proposto di andare in Egitto per vendere e comprare merce. Sono sempre stato un comunicatore: sapevo relazionarmi con il poveretto così come con il ricco facoltoso, una qualità, questa, che ho acquisito fin da bambino quando accompagnavo mia madre al lavoro e poi quando dal salumiere ho imparato a interagire con tutti, dalla massaia all’avvocato. E poi sapevo farmi voler

bene dalla gente e sapevo vendere, così mi sono buttato in questa avventura e ho cominciato a viaggiare.

Sono stato in Egitto, in Brasile, in Nigeria, dalla quale sono subito scappato perché in pochi giorni ho visto cose bruttissime, poi in Camerun e oggi posso dire di sentirmi anche un po’ camerunense. All’inizio in Camerun ho aperto una società di import-export, poi ho conosciuto una persona che fabbricava cacao e ho cominciato a esportare cacao. Un’attività tirava l’altra e la curiosità e la mia voglia di imparare mi hanno portato a sperimentare cose sempre nuove, per esempio, ho lavorato per una compagnia camerunense di ricerche minerarie, per la quale, insieme a un geologo, localizzavo le zone potenzialmente aurifere. In Camerun ci sono stato per trent’anni, facendo avanti e indietro con la Svizzera, trent’anni nei quali ho dormito in baracche e negli hotel più esclusivi, sono stato nella savana, ho girato il Senegal, il Ciad, il Mali. Ed è in Camerun che ho capito che cosa significhi veramente essere utili agli altri, perché lì manca tutto, le persone non hanno i soldi neanche per comprarsi l’aspirina. Sono stato nei villaggi, ho visto la miseria, ho frequentato i lebbrosari, ho visto come realmente vive la gente e ho cercato di aiutarla, donando denaro e facendo dei regali. Davo loro una mano e le persone mi volevano bene e, persino gli anziani, mi chiamavano “papà”, in segno di grande rispetto. Ho quindi aiutato come ho potuto finché un giorno, dodici anni fa, ho incontrato, tramite un amico, alcuni missionari originari di Vicenza. Vedendo quello che in pochi anni avevano fatto per la gente della loro missione, a Tchére nell’estremo nord del Camerun, ho iniziato a frequentarli e ad aiutarli. Ancora oggi che sono in pensione e ho settantadue anni mantengo con loro un legame e assieme ad alcuni amici mi do da fare per portare un aiuto concreto, raccogliendo i fondi per realizzare un pozzo o iniziative utili del genere. Perché la missione è diventata un po’ la mia missione e perché il mio cuore è anche lì. Anzi, porto l’Africa nel cuore.

DINO PEVEREllI

Vitae 12

Un carattere intraprendente, una curiosità e un’innata voglia di imparare lo hanno portato a cambiare tantissimi lavori, prima in Italia poi in Svizzera e infine in Africa, un continente che conosce profondamente

testimonianza raccolta da Roberto Roveda fotografia ©Flavia Leuenberger

La cultura della pace di Fabio Martini; fotografie ©Reza Khatir

Visitiamo il convento cappuccino di Faido che, fondato nel 1607, ha rappresentato un essenziale punto di riferimento nella storia della Leventina, sia dal punto di vista pastorale sia sociale e culturale.

Grazie alla presenza dell’Ostello, è uno spazio aperto a tutti, nello spirito, oggi più vivo che mai, dell’opera e del pensiero di san Francesco

in queste pagine A destra: fra Edy, custode del convento e cappellano dell’ospedale regionale di Faido.

In alto: l’interno della chiesa annessa al convento in apertura Padre Angelo

Per informazioni e visite: www.ostellofaido.ch Tel. 091 873 52 40

L

a fondazione del convento cappuccino di Faido, avvenuta ufficialmente nel 1607, sotto l’egida del cardinale Federico Borromeo, si inserisce da un lato nella vasta azione di contrasto al protestantesimo avviata dalla Chiesa di Roma a partire dal Concilio di Trento, dall’altro nella indispensabile aspirazione a un rafforzamento delle attività pastorali in un’area, quella della Leventina, particolarmente complessa sotto il profilo sociale, geografico e climatico. Rispetto agli altri conventi cappuccini del Ticino – quello del Bigorio (1535), il primo nella nostra regione, di Sorengo (1565), di Locarno (1602) – Faido si colloca come un avamposto ideale verso la Svizzera interna e il convento di Altdorf, fondato dai frati cappuccini nel 1581.

Fortemente voluto dalle istituzioni politiche della Leventina, di cui Faido era il centro amministrativo, e dalle principali casate dei Bullo e dei Varesi (alcuni rappresentanti delle quali

svolgevano come notabili un importante ruolo di intermediazione con le autorità urane e gli arcivescovi di Milano), il convento divenne di fatto operativo a partire dal 1612, anno in cui terminano i lavori di edificazione.

A partire da questo momento il complesso diviene un’importante punto di riferimento per tutta la valle e non solo in virtù dell’attività pastorale e di ospitalità costantemente svolta dai frati cappuccini ma anche come punto di snodo e cardine fra la diocesi di Milano e le autorità cantonali.

Dalla fine del seicento, il convento è poi oggetto di una serie di ampliamenti che si susseguono pressoché ininterrottamente per tutto il corso del secolo successivo, con una particolare intensificazione negli anni 1781-1786, periodo che vede l’ingrandimento degli edifici e il rinnovamento della chiesa grazie ai contributi e alle donazioni provenienti da svariati soggetti della valle. È in quegli anni, infatti, che

all’interno del convento vengono istituite una biblioteca, ancora oggi visitabile e in grado di accogliere una grande quantità di volumi a stampa, e una scuola destinata “ai figli del popolo su istanza del Cantone sovrano”1. Questa prima avventura didattica, di durata piuttosto breve, sarà seguita nel 1898 dalla fondazione del cosiddetto Collegio Serafico, un seminario destinato alla formazione dei giovani che aspiravano a divenire frati cappuccini, inizialmente stabilito al Bigorio, ma dieci anni dopo trasferito a Faido. All’interno del Collegio, denominato dagli anni trenta del novecento Seminario Serafico, si formeranno numerosi frati cappuccini alcuni dei quali ancora oggi attivi nel nostro cantone.

All’esperienza del seminario, conclusasi nel 1964, segue l’anno successivo la fondazione del Ginnasio, scuola privata con internato aperta a tutti (dal 1966 anche alle ragazze) sostenuta da numerose famiglie e dal clero della valle. Ma

con la messa in discussione della funzione dei ginnasi e l’avvio della Scuola media anche questa esperienza giunge al termine nel 1972. La ristrutturazione degli anni ottanta conduce infine all’istituzione dell’Ostello dei cappuccini, aperto a tutte le persone che aspirano a trascorrere del tempo nell’ambiente francescano del convento, e attualmente in piena attività. Ma per avere in concreto la misura della profonda e viva interazione dell’istituzione conventuale di Faido con la realtà sociale e umana in cui oggi, come nel passato, si inserisce, abbiamo rivolto alcune domande a fra Edy Rossi-Pedruzzi, attuale guardiano del convento.

Fra Edy, nel caso di Faido, ma anche di altri conventi, la relazione con il territorio e i suoi abitanti è sempre stata essenziale sia sotto il profilo strettamente pastorale che di sostegno sociale e spirituale. Leggendo il suo

L’altare del coro con la croce francescana di san Damiano e l’interno di una delle celle. A destra, fra Davide

profilo e le molteplici attività che svolge (guardiano del convento, sacerdote, consigliere regionale, parroco di Faido, cappellano dell’Ospedale, insegnante nelle scuole elementari e medie, assistente scout ecc.) si comprende però come essere frate cappuccino oggi implichi una profonda immersione nella società e la capacità di operare in ambiti molto diversi. Cosa resta, anche a livello quotidiano, dell’attitudine contemplativa che da sempre ha contrassegnato l’ordine?

Una volta un frate diceva che se ne avesse il tempo pregherebbe di più e si raccoglierebbe per più tempo in meditazione. Ma si era sentito dire da un suo ex docente: “Anche se avessi più tempo non lo faresti!”. L’anno in cui abbiamo avuto meno attività era il noviziato, ed è giusto così, ma che barba... Oggi a volte ci si accorge che i ritmi non sono proprio da contemplativi. Questo è dovuto anche al fatto che siamo meno numerosi. Va pur detto che abbiamo i nostri bei momenti di preghiera e meditazione ai quali con il tempo si è un po’ più fedeli perché se ne sente il bisogno.

passare del tempo. Nel convento ci viviamo, è la nostra casa e ne conosciamo anche i limiti (i corridoi freddi in inverno!). Spesso i passanti che pernottano nel nostro ostello vogliono visitare il convento e godono nel percorrere quei grandi corridoi... Stanno aumentando le richieste di visita al convento. E durante le visite capita che ti rivolgano anche qualche domanda su temi religiosi.

Beh, è un po’ come quando si incontra un medico, come si fa a non chiedergli qualcosa in merito a un nostro malanno... Il convento deve essere una casa dove i frati hanno i loro spazi e momenti per sé. Ma questo non impedisce di accogliere le persone. Soprattutto le persone che sono in ricerca. Ho un po’ l’impressione che nella Chiesa di oggi, almeno fino al papato di Ratzinger, o sei fuori o sei un Papa boys. Anche la teologia sembra un po’ stantia, chi pensa troppo viene bacchettato e allora è meglio ripetere di sana pianta quel che dice il magistero. Ma c’è anche chi sta cercando la sua strada percorrendo sentieri che non sono quelli “standard”. In questo senso, i conventi possono diventare luoghi dello spirito dove si accoglie anche chi dubita, nello spirito di Papa Francesco.

I conventi e i monasteri hanno rappresentato uno dei principali vettori, se non il principale, nella diffusione della cultura e del pensiero per molti secoli. Come intende lei la funzione del convento nell’era di internet e dei nuovi media? Che direzione dare a queste importanti e storiche istituzioni?

Non dobbiamo avere paura dei nuovi mezzi di comunicazione, e senza esagerare, mi pare cerchiamo di farne un buon uso. Un giorno un ragazzo ospite all’ostello dalla finestra dei dormitori ci ha visti tornare dalle messe prefestive del sabato sera e ha gridato ai suoi compagni di camera: “Quel frate è su Facebook!”.

Un mondo un po’ effimero, ma ogni tanto un qualche segnale si può mandare. Credo che il fascino del convento vada oltre il

Il convento di Faido, con il Seminario Serafico fino al 1964, ha svolto un’importante attività di formazione dei nuovi “fratini”, come venivano definiti. Qual è oggi il percorso di formazione di un giovane aspirante cappuccino? Cosa è cambiato da allora, tenendo anche conto della crisi vocazionale e dei cambiamenti che sono avvenuti nella società?

In realtà, il convento di Faido continua ad avere un ruolo educativo poiché con l’Ostello si svolgono diverse attività a favore della gioventù locale (doposcuola, colonia diurna, corsi di cucina giardinaggio e molto altro ancora). Riguardo alla formazione dei frati oggi è indispensabile una premessa. Ai nostri giorni di solito chi decide di farsi frate lo fa dopo i trent’anni (vocazioni

Il cortile esterno con l’orto; nella pagina accanto, il frutteto del convento

adulte si diceva, quando erano eccezioni in confronto ai fratini che dodicenni vestivano l’abitino con tanto di cingolo). Oggi è la norma che un uomo bussi alla nostra porta sulla trentina e più. Va sfatato il mito della “delusione amorosa” che porta a maturare una scelta radicale. Spesso alla base di questo passo vi è la volontà di una “revisione completa della propria vita” e il desiderio di un cambiamento radicale (che potrebbe portare a degli eccessi ascetici...). La formazione iniziale deve cercare di aiutare il candidato a trovare un equilibrio nel compiere un cambiamento della propria vita che rimane molto profondo. Si consiglia di passare del tempo nei nostri conventi: un giorno, una settimana.

Poi si invitano a rimanere qualche tempo. Finché l’interessato formula una richiesta scritta al Ministro Provinciale (risiede a Lucerna, attualmente è un ticinese di Calpiogna, P. Agostino Del Pietro). Segue il periodo della candidatura (nulla a che fare con la politica...) in un convento. In tutta libertà il candidato o probando matura la sua decisione di chiedere l’entrata in noviziato dopo aver vissuto per un anno circa con i frati. Se si tratta di persona che prevede di vivere in Ticino è molto importante che conosca le realtà dei nostri conventi ticinesi. Sarebbe bene che inizi ad affezionarsi alle nostre case e prenda passione per le nostre attività.

Magari già individuando il suo futuro... Se il Provinciale accoglie la sua richiesta, viene inviato in un convento dove si svolgono i corsi di noviziato che durano un anno. Qui impara la vita di preghiera e riceve una formazione francescana di base. Può anche essergli richiesto un impegno sociale. In questi ultimi anni i nostri candidati sono andati a Salisburgo. In futuro sarebbe comunque auspicabile riprendere a mandare i nostri ipotetici novizi anche in un noviziato italiano. Dopo il noviziato il frate torna a vivere da frate con i frati per tre anni. Durante questo periodo può iniziare una formazione (teologica o di altro tipo). Ha emesso i suoi primi voti per un periodo di tre anni, prolungabile fino a sette.

Dopodiché può emettere la sua professione solenne. Contano la

sua volontà, ma anche l’accettazione del Provinciale e di riflesso della comunità. Se poi diventa sacerdote viene ordinato al termine degli studi (Diploma, Bac o licenza in teologia). Il frate sacerdote deve compiere un percorso più lungo rispetto ai preti. Ogni frate, laico o sacerdote, viene poi destinato a un convento dove inizia la sua vita di comunità e la sua attività. Il lavoro è estremamente importante per il sostentamento delle comunità e per far fronte ai costi elevati dei nostri conventi.

Le valli Leventina e Blenio hanno ancora una componente di economia agricola tradizionale piuttosto forte.

Questo, a suo parere, si traduce in un vissuto religioso differente rispetto alle aree più urbanizzate del cantone?

Non vedo una relazione diretta tra il vissuto religioso e la cultura agricola di oggi in valle. Intanto i nostri contadini sono in gran numero giovani all’avanguardia professionalmente, stalle nuove e attrezzate. In genere, non sono molto praticanti come i loro coetanei. Forse anche perché spesso la Messa nei paesini la celebriamo all’ora della mungitura... Percentualmente però, nei nostri villaggi, la frequenza alla messa domenicale è piuttosto alta in relazione alla popolazione residente naturalmente. Il problema di fondo della Leventina è lo spopolamento delle valli, di conseguenza si nota la mancanza della gente più che non la mancanza di preti. Una volta si andava in America o in Francia ma si tornava in paese, oggi vanno a Giubiasco e chi li rivede più?

Se da una parte la pratica sembra in calo costante, si può notare che c’è tanta fede nella gente. Lo si constata durante la visita alle famiglie in occasione della benedizione delle case. Quanti begli incontri si fanno… note 1 In I Frati in Leventina, Helvetia Franciscana, vol. 37/1 2008, a cura di Stefano Bronner OFMCap e Christian Schweizer, p. 56.

Nomads Queenstown, Queenstown, Nuova Zelanda

I

viaggiatori “on a budget” stanno aumentando e il mercato inizia a offrire nuove opzioni in cui, in un delicato equilibrio, comfort e design vengono proposti a tariffe abbordabili. Oltre ai giovani squattrinati, anche altre fasce di età cercano soluzioni più economiche per poter girare il mondo. I cambiamenti sociali si traducono sempre in nuovi modi di vivere ai quali il mercato risponde con prontezza, sempre più rapidamente. Ecco quindi spuntare un po’ dovunque i Boutique hostel. Design, comfort e tante chicche – saune, jacuzzi, terrazze sul tetto, lounge super stilosi per rilassarsi e fare conoscenza e terrazze mozzafiato – li rendono una scelta interessante per un numero crescente di persone.

Alcuni degli altri atout di questa nicchia alberghiera sono le camere private, i bagni en-suite, il free WiFi, le colazioni incluse e la pulizia accurata. Può sembrare incredibile ma tutto questo viene offerto a partire da 15.–/20.– fr per notte.

Facendo un salto nell’anno passato, ricordo ancora con saudade i pavimenti di legno antico lucidati con cura, le lenzuola

BOUTIQUE HOSTEL Tendenze p. 44 – 45 | di Keri Gonzato

di cotone di qualità, l’area chill out super comfy, la jacuzzi a cielo aperto e le colazioni tropical - luculliane del Galeria13 Hostel. Il tutto a un pezzo davvero abbordabile. La struttura, situata nel cuore della città brasiliana di Salvador, per la precisione nel quartiere storico del Pelourinho riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, non è che un assaggio di una tendenza globale decisamente interessante in cui l’ostello classico incontra il comfort dei bed&breakfast e si miscela con lo stile raffinato dei boutique hotel.

Nulla di impossibile Quest’estate Marco Von Ritter un amico dei tempi dell’università, con origini ticinesi e cresciuto a Losanna, ha lasciato tutto alle spalle… Ha abbandonato una carriera nella finanza ben avviata e i lidi sicuri per lanciarsi nel sogno di una vita.

Si è trasferito a Lisbona e negli scorsi mesi ha dedicato cuore e corpo a trasformare un banale ostello tradizionale in un fascinoso boutique hostel – il Good Night Hostel Lisbon – che Galeria13 Hostel, Salvador, Brasile

ha aperto i battenti in giugno. Grazie a Marco, un freak del design e del vintage, nel giro di poco i pavimenti grezzi si sono ricoperti di un bel parquet, i muri sono stati rinfrescati e l’intera struttura ha cambiato pelle trasformandosi da luogo anonimo a ostello dal piglio vintage e dallo charme marino.

Lo stile dell’ostello ridisegna e racconta la connessione della città con il mare con tanto di salvagenti, ancore e murales di pesci. Infatti, il segreto del concetto boutique è quello di infondere un’anima intima e unica a un luogo, facendolo diventare parte integrante del piacere di viaggiare. Le fantastiche camere del Nomads Queenstown in Nuova Zelanda, con letti king size e televisioni a schermo piatto, non hanno nulla da invidiare a un hotel con i fiocchi. La struttura, plurivincitrice del Golden Backpack Award neozelandese, offre ai suoi ospiti una vista spettacolare sulle montagne innevate, un lounge spazioso dove fare amicizia davanti al camino e una sauna. In classico stile New York City invece il NY Moore Hostel accoglie i suoi ospiti in un grande loft.

Adler Hostel, Singapore, Repubblica di Singapore

Letti a castello male assortiti, bagni angusti e poco invitanti, colazioni a base di pane molliccio e marmellata di mediocre qualità.

Fino a qualche anno fa questo poco idilliaco profilo definiva il 90% degli ostelli, frequentati da una clientela disposta a chiudere gli occhi sui dettagli.

Ma oggi, qualcosa sta cambiando…

Blue Hostel, Roma, Italia

Volando fino a Singapore troviamo ristoro tra le mura dell’Adler Hostel, definito come il primo ostello di lusso nel cuore di Chinatown. La struttura sorge in un antico edificio antico interamente rinnovato. Lo stile coloniale e al contempo eclettico, offre agli ospiti un clima tanto sofisticato quanto confortevole. Per le fughe rapide del fine settimana verso mete urbane ci sono poi tante opzioni… A Roma si potrebbe optare per il Blue Hostel, ospitato da un’antico monastero. A Parigi c’è l’Oops Hostel che si definisce “the hippest hostel in Paris”, nonché il primo design hostel della città, moderno e colorato. Come scegliere? Semplice, esistono siti specializzati in ostelli che permettono di orientarsi facilmente tra le varie opzioni. La pagina web hostelbookers.com ha persino creato una sezione dedicata agli ostelli di lusso: www.hostelbookers. com/featured/luxury-hostel/. I boutique hostel parlano di un processo di democratizzazione del turismo di lusso che mette a disposizione di noi viaggiatori comuni stile e comodità…

Non resta che scegliere la meta: pronti per la partenza?

La domanda della settimana

Avete mai pensato seriamente di scomparire, abbandonando tutto e tutti, e senza lasciare traccia?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 7 agosto. I risultati appariranno sul numero 33 di Ticinosette.

Al quesito “I cani rappresentano per molte persone un’insostituibile compagnia e una fonte di grande affetto. È giusto dover pagare una tassa per questo?” avete risposto:

SI

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Astri ariete Novità professionali in arrivo. Sfruttate le vostre doti comunicative. Eros in crescita per i nati tra la seconda e la terza decade. Avventure.

toro Cercate di mantenervi saldi evitando inutili egocentrismi. Possibili dispute all’interno della coppia. Momento di coraggio per i nati nella prima decade.

gemelli Date spazio alla vostra natura di animali sociali. Novità professionali per gli addetti al marketing o impegnati in attività artistiche o intellettuali.

cancro State per rivoluzionare i vostri equilibri sentimentali. Agite in sincronia con voi stessi. Eventi inaspettati ma piacevoli tra l’8 e il 9 agosto.

leone Momento importante per la risoluzione di un’antica vertenza. Date spazio alle vostre capacità negoziatrici. Maggior riposo tra il 3 e il 5 agosto.

vergine È venuto il momento di consolidare una situazione affettiva. Se professionalmente volete raggiungere dei risultati dovrete imparare ad agire nell’ombra.

bilancia Opportunità per i più intraprendenti.

Indolenti i nati nella terza decade a causa del transito di Venere nella loro decima casa solare. Piccoli scandali.

scorpione Con Giove e Mercurio angolari è facile confondersi. Aumento dell’eros per i nati nella terza decade. Particolarmente instabili tra il 3 e il 5 agosto.

sagittario Giove, Mercurio e Urano sono con voi.

Puntate sulla vostra creatività. Fortuna proveniente da paesi esteri o da attività riconducibili a realtà esterne.

capricorno Approfittate dell’estate per godervi il meritato riposo. D’altronde con Venere angolare è assai difficile interessarsi al lavoro. Occhio alla dieta.

acquario Bene grazie a Mercurio, Marte e Giove. Attenti a quello che dite e a non essere imprudenti. Maggior controllo alla guida. Criticità tra il 3 e il 5.

pesci Tra il 3 e il 5 la congiunzione Luna-Saturno favorisce progetti a lungo termine. Possibile promozione per chi ha nel proprio tema natale valori di fuoco.

Gioca e vinci con Ticinosette 1

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 33

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 7 agosto e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 5 agosto a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Verticali 1. Noto film del 1970 di Dario Argento • 2.

Niente • 3. Corta sciabola • 4. Avanti Cristo • 5. Città vodese (y=i) • 6. Stanare, tallonare • 7. Dittongo in biada • 8. Organismo vegetale • 9. Pronome personale • 14. Sbarbati • 17. Università (pl) • 18. Centouno romani • 22. Né voi, né loro • 24. È brutto in una nota fiaba • 26. La fugge il sognatore • 28. Il nome della Papas • 32.

Privo di compagnia • 34. Burberi, alteri • 36. Nucleo centrale • 37. Un pacco di fogli • 39. Grossa arteria • 41.

Il parco luganese • 45. Il giorno trascorso • 47. Maestria • 49. Rosso detto a Zurigo • 52. Pena nel cuore.

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Orizzontali 1. Inguaribile • 10. Grossi pesci • 11. Il capo della tonnara • 12. Articolo plurale • 13. Scocca quella ics • 15. Cuba e Svezia • 16. Calendari, annuari • 19. E’ simile al frac • 20. Labili tracce • 21. Verme solitario • 23. Il Sodio del chimico • 25. Porto algerino • 27.

Il niente del croupier • 29. Atterrano e decollano • 30.

Articolo romanesco • 31. Le stuzzicano i profumi • 33.

Oriente • 35. L’onda nello stadio • 36. Calcio d’angolo • 38. Consonanti in vita • 39. Scolaro • 40. Il mitico re di Egina • 42. Rosa nel cuore • 43. Le iniziali di Cerusico • 44. Giorni pari • 46. Il nome di Girardelli • 48. Pesci prelibati • 50. Fu il primo eresiarca • 51. Regalare • 53.

Pari in centri • 54. Tutto d’un pezzo.

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Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!

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La parola chiave è: 1

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Soluzioni n. 29

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La soluzione del Concorso apparso il 18 luglio è: VIZIETTO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Daniele Piccaluga via Orio 6946 Ponte Capriasca Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

Svaghi 47

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Promettiamo ad Alina che entro la fine del 2017 tutti i tessuti delle marche Migros saranno prodotti ecologici, socialmente sostenibili e rintracciabili.

Lo standard Eco è sinonimo di una produzione di tessuti ecologicamente sostenibile e di condizioni di lavoro più sicure e sane. Tutte le fasi di produzione e i prodotti stessi sono rintracciabili fino all’origine. Questi principi vengono applicati già per i 2 ⁄ 3 di tutti i tessuti della Migros. Entro la fine del 2017 tutti i tessuti delle marche Migros saranno realizzati nel rispetto delle rigorose direttive Eco. Con questa e altre numerose promesse concrete ci impegniamo per la generazione di domani.

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