№ 42 del 17 ottobre 2014 · con Teleradio dal 19 al 25 ott.
mondi paralleli
ai lugano photo days partecipano alcuni fra i più significativi fotografi del nostro tempo
Corriere del Ticino · laRegioneTicino · Tessiner Zeitung · chf 3.–
Ticinosette allegato settimanale N° 42 del 17.10.2014
Impressum Tiratura controllata 66’475 copie
Chiusura redazionale Venerdì 10 ottobre
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
4 Letture Locarnese. Il peso del sospetto di roberto roveda ....................................... 7 Ambiente Auto elettriche e ibride. La grande scossa di Giancarlo FornaSier ............ 8 Arti FIT. Un teatro di sorprese di demiS Quadri ........................................................ 10 Kronos De senectute di FranceSca riGotti .............................................................. 12 Letture Mario Botta. Anticorpi necessari di SteFania briccola ................................. 13 Vitae Matteo Taheri di marco Jeitziner ................................................................... 14 Reportage Lugano Photo Days a cura di reza Khatir; FotoGraFie autori vari ............. 39 Luoghi Denti della Vecchia. Di blu e... di daniele Fontana ...................................... 46 Tendenze Kilt. La gonna di Braveheart & Co. di mariSa Gorza .............................. 48 Svaghi .................................................................................................................... 50 Agorà Politica. Il prezzo del populismo
di
Silvano de Pietro .....................................
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs
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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Capitalizer, Lugano Photo Days Fotografia ©Thomas Brasey
Festa, sempre festa. Ancora festa? Forse qualcuno non se n’è accorto, ma in Ticino “la festa” non si ferma mai. Finiscono le scuole a giugno e, sembra proprio incredibile, non c’è quasi fine della settimana durante il quale non si moltiplichino manifestazioni pubbliche, sagre, feste di paese, “occasioni di incontro” a sfondo enogastronomico dedicate a tutto: qualsiasi bevanda, piatto, insaccato, frutto. Per ragioni familiari a volte vado in Brianza: non vedi angolo di strada dove volantini incollati alla buona propongono l’impossibile, anche se (mi dicono) la crisi da loro qualche vittima l’ha fatta anche in questo settore. Eh be’, se non hai un lavoro e pochi soldi in tasca non è che ogni sabato e domenica puoi fare decine di chilometri per mangiare salsicce, porchetta, piadine e bere birra e vini “nostrani”, tu e la tua famiglia. Vi pare? Senza scrivere troppo dei vari festival e appuntamenti di rito, dove se non vai ti senti anche un po’ colpevole (“ma come? ta se stai a ca’!?” mi ha detto un mio vicino di casa lo scorso luglio, quando c’erano i concerti sul lungolago), è pur vero che ci sono appuntamenti istituzionali storici come le fiera di San Martino (manca poco, dai...) e quelli legati ai santi patroni. Ma poi qualsiasi occasione è buona per “brindare e mangiare”, neanche fossimo nell’antica Roma degli imperatori e dei gladiatori. Due settimane fa, per due giorni, non ho sentito che parlare della festa della castagna di Ascona. La cosa mi ha fatto sorridere perché, durante dei lunghissimi collegamenti alla radio, si è fatto notare
più volte che da qualche anno di castagne non è che ve ne siano molte e di buona qualità (responsabile il famigerato Cinipide galligeno del castagno; nell’immagine, ndr.), tanto che sono state sospese le raccolte. Fatemi capire, ma se di castagne non ce ne sono, che cosa festeggiamo esattamente... le castagne importate dall’estero? E per di più, allungano la festa di un giorno rispetto all’anno prima...? Non siamo certo degli sprovveduti, e sappiamo tutti che dietro a ogni sagra e “festa in compagnia” gli interessi vanno oltre la voglia di riunire la gente del paese e i prezzi per bere e mangiare lo dimostano: di solito la “dimensione paesana” diventa un grande bazar in cui si vende e beve di tutto, magari ci si limitasse a luganighe, formaggini, pane e musica tradizionale! Penso che festeggiare in compagnia sia una cosa sana e permette ai cittadini, spesso non più giovanissimi, di godere di un momento di svago e di socialità. Ma festeggiare per mesi interi aiuta solo ad allontanare la gente dal vero senso delle tradizioni, buttandoli nel pentolone “dell’allegria” continua. E, mi pare, anche a non lasciare le persone in santa pace, magari ad annoiarsi anche un po’, perché la noia non è una malattia da combattere. Ah già, se poi le feste non sono mai state nel nostro calendario, le si importa senza tanto rispetto per i Santi e i morti. Roba di zucche... vuote, scusate lo sfogo. Saluti da Breganzona, S.Q. (mail)
Il prezzo del populismo Politica. Le recenti elezioni per il rinnovo del parlamento europeo hanno evidenziato l’avanzata dei partiti euroscettici, riproposti all’opinione pubblica come movimenti “populisti”. Lo scorso febbraio, l’approvazione in Svizzera dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa” aveva suscitato nei media internazionali considerazioni analoghe. Ma qual è il reale peso di queste formazioni a livello politico e in che modo contribuiscono al dibattito democratico? di Silvano De Pietro
L’ Agorà 4
elenco dei partiti europei che sono stati definiti populisti è lungo: per esempio, Forza Italia e il suo leader Silvio Berlusconi; l’UDC (Unione democratica di centro) di Christoph Blocher; la Lega Nord di Matteo Salvini; la Lega dei Ticinesi; il Front National di Jean-Marie Le Pen e di sua figlia Marine; l’FPÖ (Partito della libertà austriaco) di Heinz-Christian Strache; l’Unione civica ungherese di Viktor Orbán; l’UKIP (Partito per l’indipendenza del Regno Unito) di Nigel Farage; il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo ecc. Tutte queste formazioni, però, a parte il nazionalismo (a volte più accentuato, altre volte meno) non hanno molto in comune con i populismi storici, quelli sorti in Sud America e in Europa nella prima metà del secolo scorso. Il populismo di cui si parla oggi in Europa è costituito da movimenti che rappresentano e interpretano soprattutto le paure e i malumori della gente, la diffidenza e la sfiducia dei cittadini nei politici e nei ceti dominanti, ma in specifico la protesta nei confronti delle politiche economiche e sociali attuate dai governi. La reazione dei partiti moderati è stata quella di lanciare segnali di diffidenza verso i movimenti definiti populisti, denunciando rischi di degenerazione della democrazia o presunte svolte autoritarie. Un chiaro esempio di tale reazione è stato l’antiberlusconismo in Italia; ma lo sono anche le innumerevoli dichiarazioni ostili, non necessariamente fatte in campagna elettorale, come quella del nostro ex consigliere federale Pascal Couchepin quando affermò che la presenza di Christoph Blocher in governo rappresentava un pericolo per la democrazia. Un finto problema? In realtà i politici, specialmente quelli di sinistra, hanno spesso la tendenza ad attribuire ogni disfunzione o debolezza della democrazia ai movimenti populisti. Anche là dove, come da noi in Svizzera, il sistema democratico viene generalmente considerato stabile, maturo, un modello per la stessa Unione Europea, quindi in grado di resistere a qualsiasi attacco demagogico o di radicale critica interna.
Capita così che un politico sperimentato, come il consigliere nazionale socialista Andreas Gross, riferendosi alla politica populistica portata avanti dall’UDC, affermi che “al momento la democrazia svizzera sta particolarmente male”, poiché sarebbe “segnata dalla paura e dalla gestione della paura” (dichiarazioni a laRegione Ticino del 26 marzo 2011). Di diversa opinione sono gli scienziati della politica, i politologi, che in generale vedono per la democrazia elvetica ben altri rischi, quali la partecipazione bassa e selettiva, nonché la mancanza di trasparenza a livello di finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali. Meno pericolosa viene considerata invece la polarizzazione delle posizioni politiche e quindi dello schieramento dei partiti, prodotta dal populismo e comunque conseguenza di un confronto democratico più acceso. Ma allora, che cos’è in realtà il populismo? Rappresenta davvero una minaccia per la democrazia? Limiti e funzioni Nei media il termine “populista” viene usato solitamente per designare movimenti e personaggi politici che adoperano un linguaggio aggressivo, demonizzano le élites ed esaltano “il popolo”. E tra avversari politici, per denigrarsi a vicenda, la stessa parola è sovente adoperata come sinonimo di “demagogia”. “I due termini non sono solo analitici, ma hanno anche una connotazione di simpatia: esprimono, cioè, anche discredito per certe posizioni politiche”, spiega Daniel Bochsler, professore assistente di politica comparata all’università di Zurigo e ricercatore presso il Centro di studi sulla democrazia ad Aarau, al quale ci siamo rivolti. “Argomenti demagogici si trovano in vari discorsi politici, non solo in quelli dei populisti. I due termini, tuttavia, non sono proprio sinonimi. Nel populismo ci sono più elementi politici che nella demagogia. Di solito si utilizza la parola populismo per indicare movimenti, partiti o leader che fanno riferimento al popolo, mentre presentano determinate élites come un nemico del popolo. Però, attenzione: non esiste una definizione comune del populismo. Ognuno lo utilizza in un modo un po’ diverso”.
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Ueli Maurer (tagblatt.ch)
In cosa, per esempio, il populismo dei regimi sudamericani è diverso dal populismo dei movimenti e dei partiti europei? Dipende da come viene utilizzata la parola. In Sudamerica vi sono imprenditori-politici, personaggi che spesso provengono da ambienti esterni al sistema dei partiti e che sostengono di voler cambiare la politica. Riscuotono grande successo dicendo di voler togliere il potere al sistema dei partiti e di voler fare una nuova politica più vicina al popolo, spesso anche con argomenti di sinistra o di protezionismo commerciale non molto favorevole alle multinazionali. In Europa occidentale, invece, si utilizza la parola populismo spesso in relazione a un populismo di destra, rappresentato da partiti che sono contrari all’immigrazione e all’integrazione europea. Questi movimenti populisti sono connaturati con la democrazia? Ne fanno parte? O sono qualcosa che s’introduce nella democrazia e la guasta? La democrazia vive delle varie opinioni. E vive anche del rispetto per le varie opinioni. Penso che, se ci definiamo democratici, dobbiamo anche ammettere l’esistenza di opinioni che forse non consideriamo molto simpatiche, ma che esistono. Ma come si deve reagire se arriva qualcuno che, con le sue opinioni, manifesta lo scopo di abolire la democrazia? Questo è un argomento che molti opinionisti adoperano nella critica a certi movimenti politici. Questi vengono descritti come un pericolo per la democrazia, in quanto mirano a cambiare il sistema a tal punto che alla fine la democrazia diventa solo
apparenza, dato che un enorme potere viene affidato a un leader eletto dal popolo. Però, se dicessimo che oggi tutti i movimenti populisti sono antidemocratici, faremmo un’affermazione non corretta. E non è neanche giusto qualificare come antidemocratico colui che critica un sistema politico e sostiene di voler cambiare delle cose. Anzi, il dibattito su come deve essere costituito un sistema politico, sull’opportunità di introdurre elementi di democrazia diretta, sul bisogno di un sistema maggioritario invece che consensuale e sul potere del presidente, porre tutte queste domande fa parte del dibattito democratico. Spesso, però, i movimenti populisti nascono da spinte nazionalistiche o da crisi economiche… I movimenti contrari all’immigrazione esistevano in Svizzera già decine di anni fa. Avevamo il movimento di Schwarzenbach, le cui iniziative antistranieri, a cavallo degli anni settanta, ebbero un successo grande quasi quanto quello ottenuto oggi dall’UDC con le sue iniziative. Dunque, questo elemento antimmigrazione forse si è accentuato un po’ negli anni recenti, ma non si può dire che sia un fenomeno dovuto alla crisi. E se guardiamo all’Unione Europea vediamo che i movimenti antimmigrazione sono forti non solo in Grecia con Alba Dorata, ma anche in paesi come la Francia e la Gran Bretagna, che non sono tra quelli più colpiti dalla crisi economica. Dunque, si può sostenere che in occidente il populismo è un metodo per riproporre idee già presenti, che circolano da sempre nella società? Queste idee, come per esempio la politica antimmigrazione, si (...)
“I limiti alla democrazia sono imposti dai diritti umani e dallo stato di diritto, non da quello che le élites considerano corretto. Capita spesso che i movimenti cosiddetti populisti muovano dure critiche al modo di governare. E le élites democratiche farebbero bene a prendere in considerazione tali critiche” ripetono a ondate nei vari paesi dell’occidente. L’antieuropeismo, che ha avuto di recente un certo successo anche in alcuni paesi dell’Europa orientale (penso soprattutto all’Ungheria), è invece, fra gli altri motivi, una reazione all’integrazione dell’UE e alla globalizzazione degli ultimi vent’anni.
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Quali conseguenze possono avere i movimenti populisti sul futuro dei paesi europei? La loro influenza è meno determinante se esercitata attraverso la partecipazione nei governi. Abbiamo avuto l’esempio di Jörg Haider, che non è riuscito a cambiare in modo fondamentale la politica austriaca. Però questi movimenti cambiano la politica in maniera indiretta, minacciando dal punto di vista elettorale i partiti al governo, nel senso che possono far perdere molti voti a questi partiti e bloccare l’iniziativa politica. Abbiamo visto, per esempio, come in Francia il primo ministro sia cambiato quale reazione al successo del Front National; o come in Gran Bretagna, dove i conservatori hanno annunciato un referendum sull’Unione Europea, quale reazione al successo dell’UKIP e al pericolo che questo rappresenta per loro. Dunque, l’avanzata dei movimenti populisti costringe i partiti di governo a reagire, e questo mette in difficoltà la politica europea. E per la Svizzera, che ha un sistema complesso e antico di democrazia semidiretta, quindi un equilibrio delicato, forse i pericoli sono maggiori? Qui abbiamo l’UDC nel governo federale e in diversi governi cantonali… Negli esecutivi elvetici l’UDC non è rappresentata fortemente e ha un potere limitato, anche in ragione della sua politica, che negli anni novanta si è via via orientata verso un maggiore isolazionismo. Ciò le ha fatto perdere influenza e molti mandati nei governi cantonali, impedendole di realizzare a lungo termine l’obiettivo di ottenere una più forte rappresentanza a livello nazionale: Ueli Maurer non è proprio il personaggio più rilevante nel Consiglio federale. Però, quello che il sistema politico svizzero offre all’UDC è la possibilità di intervenire attraverso i referendum e le iniziative, che mettono sotto pressione il sistema medesimo e possono bloccarlo nel settore della politica d’integrazione europea. Qui l’UDC ha innalzato barriere che la politica svizzera non può superare a causa della democrazia diretta, principalmente nel campo dell’immigrazione, ambito in cui la politica è oggi vincolata all’attuazione di riforme che mettono in pericolo i rapporti con gli altri stati europei. La democrazia diretta è, in questo caso, un’arma a doppio taglio. Come può reagire la democrazia per controllare questi fenomeni e di quali strumenti dispone a tale scopo? È una domanda delicata. Dal punto di vista del metodo democratico, se la maggioranza dei votanti esprime delle opinioni su
una data questione politica, il governo e il parlamento devono prendere in considerazione quelle opinioni. Questo significa che in democrazia dobbiamo accettare valori e opinioni anche quando non li condividiamo. I limiti alla democrazia sono imposti dai diritti umani e dallo stato di diritto, non da quello che le élites considerano corretto. Capita spesso che i movimenti cosiddetti populisti muovano dure critiche al modo di governare. E le élites democratiche farebbero bene a prendere in considerazione tali critiche. Però i partiti democratici devono anche fare delle proposte agli elettori, produrre delle idee, indicare un percorso. Altrimenti asseconderebbero il gioco dei populisti che sfruttano le paure della gente senza proporre niente di nuovo. Certo che devono offrire delle idee. Ma mi sembra che la distinzione fra partiti cosiddetti democratici e quelli populisti sia pericolosa. La maggior parte dei populisti rispettano le regole della democrazia, forse vogliono riformarla, ma solo pochi puntano ad abolirla. Si potrebbe allora concludere che la migliore risposta al populismo è la qualità della politica? In tanti paesi – dalla Bulgaria, fino all’Italia o alla Francia – i movimenti populisti contestano il modo di fare politica, che in qualche nazione è legato alla corruzione o al sistema partitocratico (e questo dà l’impressione di un controllo totale dei partiti sulla politica e sui posti nell’amministrazione). In questi casi la richiesta è che venga adottato uno stile politico più vicino alla popolazione. Questo discorso vale anche per l’UE? Qui si apre un dilemma. Da un lato, l’Unione Europea oggi è costruita in un modo che non dà tante possibilità ai cittadini di influenzare direttamente la politica europea. Il parlamento dell’Unione, anche se nominato con un’elezione popolare, è ancora piuttosto debole, non può legiferare (la legislazione dipende dal Consiglio europeo composto dai governi) e il tutto è in una fase molto preliminare rispetto agli strumenti di democrazia diretta. Questi ultimi sarebbero da rafforzare, per mostrare ai cittadini che davvero hanno qualcosa da dire e che la politica europea è anche legittimata da loro. Dall’altro lato, i governi nazionali esitano molto a trasferire delle competenze alle istituzioni europee, spesso perché i movimenti antieuropei non permettono un rafforzamento delle istituzioni comuni. Dunque, le riforme, delle quali avremmo bisogno per fare una UE più democratica e più direttamente controllata dai cittadini europei, sono impossibili, anche a causa delle resistenze dei partiti euroscettici presenti nei vari paesi.
Letture Il peso del sospetto di Roberto Roveda
C’è stato un momento, tra la fine dell’ottocento e gli anni quaranta del novecento, in cui Locarno e dintorni sono stati crocevia di mondi culturali molto diversi tra loro. Vi era, chiaramente, una cultura locale del Locarnese, chiusa e conservatrice, caratterizzata, salvo poche eccezioni, da un attaccamento al territorio e alle tradizioni che spesso sfociava nel provincialismo più sterile. Accanto a questa, però, fioriva una cultura internazionale, innovativa e collegata con le avanguardie europee. Una cultura “forestiera” ma insediata nell’area di Locarno che nel corso degli anni ha avuto tra i suoi tanti esponenti i protagonisti dell’esperienza del Monte Verità, poeti come Rilke, scrittori come Hesse e Joyce, intellettuali come Weber e Jung, artisti come Klee e Isadora Duncan. Questi due mondi culturali hanno “coabitato” nello stesso ristretto territorio per un cinquantennio, dando vita a un vero incontro, come ci racconta Renato Martinoni, professore di Letteratura italiana all’università di San Gallo nel saggio qui recensito. Certo
Ora a CHF
si sfiorarono questi due universi culturali, ma soprattutto diffidarono l’uno dell’altro e furono del tutto incapaci di fecondarsi a vicenda, di creare un’esperienza di cultura comune e originale. A perderci fu principalmente l’ambiente intellettuale locale che da tanta linfa “forestiera” avrebbe avuto certamente tratto vantaggio in termini di modernità e di apertura al mondo. Si preferì invece – o non si fu capaci di fare altro, forse – continuare a guardare in casa propria, per conservatorismo e sospetto. L’occasione andò persa, ma per Martinoni la vicenda locarnese non è semplice “riesumar passato”. È una piccola metafora delle tante occasioni perse per ideologia, sospetto, protezionismo e localismo, sentimenti che portati all’eccesso conducono all’immobilismo, al soliloquio quando invece la cultura è principalmente dialogo, mobilitazione e collaborazione, nel nome di interessi comuni e condivisi. Guardarsi sempre in cagnesco non conduce da nessuna parte in ambito culturale… e non solo in quello.
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La cultura nel Locarnese fra Otto e Novecento di Renato Martinoni Salvioni Edizioni, 2014
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La grande scossa
Il mercato delle auto elettriche e con tecnologia ibrida sembra finalmente essersi sbloccato. Sempre più costruttori presentano modelli dalla grande autonomia e per tutte le tasche di Giancarlo Fornasier
La diffusione dei veicoli a propulsione elettrica e ibrida
Ambiente 8
paese sia tra quelli più “sensibili”, assieme agli scandinavi (con motori elettrici abbinati a benzina o diesel) ha visto (Norvegia su tutti: 8180 auto elettriche “pure” vendute, per forti accelerazioni a partire dal 2009/2010, ma con enormi una popolazione che di poco supera i 5 milioni). differenze da paese a paese. Un tasso di crescita percentualmente alto, ma non così importante da un punto di vista Made in Swiss: non solo mucche e cioccolato... puramente numerico. Il portale in lingua inglese “EVObses- Le auto elettrificate non sono un’invenzione degli ultimi sion” (evobsession.com) ha pubblicato la scorsa primavera decenni. Già nella prima metà dell’ottocento le automobili erano elettriche e sul finire alcune interessanti statistiche dello stesso secolo il migliorache riguardano proprio le venmento delle batterie (ancora dite di auto elettriche “pure” oggi una componente chiave e di ibride plug-in in Europa. su cui si lavora per garantire I nostri vicini francesi sono autonomie sempre migliori) uno dei mercati trainanti per il portò al diffondersi di numesettore delle elettriche “pure” rosi veicoli elettrici, soprattutto ed è l’unica nazione europea in Francia e Gran Bretagna. a superare già da alcuni anni L’arrivo dei motori a combula soglia delle 10mila vetture stione non aiutò la tecnologia vendute (14.095 nel solo 2013) elettrica, che nei decenni a per una popolazione totale di venire rimase quasi al palo. circa 66 milioni di persone. Se Poi, le crisi petrolifere degli si considerano invece le venanni settanta e i primi segnali dite di sole auto ibride plugdi un inquinamento preoccuin, i Paesi Bassi battono tutti pante nelle città diedero nuovi i record: nel corso del 2013 impulsi alla ricerca. in Olanda le vendite hanno In questo contesto nacque la sfiorato quota 20mila (19.673 unità, che diventano 23.149 se PILCAR, auto a propulsione si considerano sia le elettriche elettrica costruita e venduta dal che le plug-in), un effetto le1977 al 1980 da un’azienda, gato agli importanti incentivi la Vessa, fondata dalla Société La Carville-PILCAR, vettura elettrica svizzera costruita in 28 esemplari (di cui 5 pick-up) sul finire degli anni settanta offerti dal governo olandese. Romande d’Electricité. Come si leggeva nella prospetto di presentazione, l’intenzione (di I numeri di un crescente successo imbarazzante attualità) era di produrre vetture elettriche per Sono cifre apparentemente minori rispetto alla crescita, le grandi città, al fine di “evitare le emissioni in atmosfera e per esempio, del mercato statunitense dove, nel solo 2013, di risolvere il problema dei parcheggi, attraverso la propulsione le auto elettriche “pure” e ibride assieme hanno visto una elettrica e il ridotto ingombro dei veicolo”. La tecnologia imcrescita quasi doppia rispetto all’anno precedente (95.099 piegata non presentava grosse novità rispetto a un normale contro le 52.617 del 2012), con un balzo in avanti di oltre quadriciclo, tipo quelli impiegati nei campi da golf: motore il 220% delle vetture a propulsione elettrica “pura”... Ma a corrente continua, circa 23 cavalli, alimentazione con parliamo di un paese con oltre 316 milioni di persone. 14 batterie (che da sole pesavano 550 kg) e una velocità di Rispetto a questo andamento la Svizzera non fa eccezio- crociera di 60-90 km/h. Su design dello svizzero (di origini ne: sempre lo scorso anno ogni 100 auto immatricolate, pugliesi) Franco Sbarro, noto per le sue eccentriche elaborauna aveva tecnologie non convenzionali sotto il cofano. zioni di modelli già sul mercato (si veda sbarro.perso.neuf.fr), Parliamo di 1201 auto elettriche e 166 auto ibride, per un la PILCAR mirava alle esigenze di un’utenza principalmente totale di 1367 veicoli. Si pensi che nella vicina Italia sono femminile, poteva ospitare quattro adulti (ma non troppo state 1441 le vetture elettriche e ibride plug-in acquistate: alti), si ricaricava in 8 ore e aveva un’autonomia di circa una cifra che, rapportata al numero ben diverso di abitanti 100 chilometri. Prezzo: 16mila franchi, di allora. Costi per (8 milioni in Svizzera, 60 in Italia) mostra come il nostro km percorso: 3-5 centesimi. Altri tempi... altra tecnologia.
renault.ch
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Un teatro di sorprese Sino al 20 ottobre ha luogo in Ticino la 23esima edizione del Festival internazionale del teatro e della scena contemporanea. Un’occasione importante per riflettere sulla ricerca teatrale e i suoi più recenti orientamenti di Demis Quadri
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Lugano, Ascona, Bellinzona e Manno, sono i luoghi in asservimento alla parola e al testo (con eccezioni comuncui proprio in questi giorni si sta svolgendo la 23esima que importanti, come la commedia dell’arte) – che nella edizione del FIT, il Festival internazionale del teatro e sua letteratura drammatica ha di solito fatto riferimento a della scena contemporanea (fitfestival.ch). “Ogni festival schemi compositivi piuttosto classicheggianti e “chiusi”. È compie le sue scelte artistiche ”, spiega Paola Tripoli, direttrice proprio questa novità a fare del teatro contemporaneo una continua avventura artistica del FIT insiealla scoperta dell’ime a Vania Luraschi. gnoto: un ignoto che “Noi dal 2005, quando è comunque strettadopo la pausa di sette mente legato alla reanni abbiamo ripreso altà di oggi e che ha la programmazione del trovato le sue forme FIT, abbiamo scelto di di espressione in un mettere a disposizione continuo dialogo con del pubblico quello che gli sviluppi culturali, solitamente non si vede scientifici e sociali nelle stagioni teatradel nostro tempo. li di Lugano, Chiasso, Locarno, Bellinzona, Un’occasione Verscio ecc. Se il territodi scambio rio è veramente saturo Tra le proposte del FIT di eventi anche molto interessanti, noi come di quest’anno, trolinea guida abbiamo viamo grandi nomi scelto qualcosa che si come Tim Crouch, può definire con una drammaturgo e perparola: contemporaneo. former britannico Come potrebbero conche propone al pubUn momento di 12parole7pentimenti di Officina Orsi fermare molti artisti, blico uno sguardo quello contemporaneo è un teatro che può sembrare in apparen- inedito su Shakespeare; come Daria Deflorian e Antonio za senza regole, ma è sicuramente un luogo in cui lo spettatore Tagliarini, che portano a Lugano uno spettacolo poetico deve confrontarsi con il fatto di non sapere cosa andrà a vedere. e politico a cavallo tra finzione e vita vissuta; come la Anche i termini per definirlo mutano. Nel teatro contemporaneo compagnia Teatro i, che con Magda e lo spavento conclude può capitare che non ci siano più attori, sostituiti dai performer, una trilogia dedicata alle donne di Adolf Hitler. e che dagli spettacoli si passi alle performance. Con la sua me- Accanto a questi, il festival ospita anche artisti svizzeri, scolanza di arti e di artisti, è un teatro che ci racconta quello sia ticinesi – come Officina Orsi (contenitore artistico che che accade nel mondo di oggi”. con 12parole7pentimenti torna a Lugano dopo una tournée Siamo vicini, nell’ambito delle arti sceniche, a lavori che estiva in Italia), la Compagnia Giovani Tiziana Arnaboldi attualizzano certe intuizioni di Umberto Eco che, nel e il Collettivo Ingwer – sia proposte che giungono da oltre volume Opera aperta (Bompiani, 2000), si chinava sul Gottardo, come Mats Staub con Holidays o Boris Nikitin lavoro di artisti che avevano fatta propria l’idea secondo con Imitation of Life. Nutrita poi la presenza di esponenti la quale “l’opera d’arte è un messaggio fondamentalmente della scena italiana, con la coreografa e danzatrice Franambiguo, una pluralità di significati che convivono in un solo cesca Foscarini, Teatro Sotterraneo/Valters Silis (che con significante”. In questo senso, i protagonisti dell’odierno un gioco drammaturgico interagiranno col pubblico) o teatro d’avanguardia possono scegliere come propri valori il grande Marco Baliani. Non mancano infine spettacoli privilegiati l’informale, l’aleatorio e l’indeterminato. Si trat- provenienti da realtà geograficamente più lontane, come ta di un cambiamento forte rispetto alla tradizione teatrale il Tof Théâtre, che dal Belgio ci porta uno spettacolo ricco occidentale – caratterizzata nei secoli da un prevalente di humour, o come una rivelazione che arriva dalla Spa-
gna, Atresbandes, che al FIT è in scena con lo spettacolo Solfatara. Il tutto per un festival che a ogni modo non vuole essere una semplice giustapposizione di proposte. “A me piace vedere il nostro festival come un contenitore,” dice Paola Tripoli, “che è una cosa ben diversa da un elenco di spettacoli messi insieme in un determinato periodo. Al di là di questo per noi in generale è fondamentale uno scambio non solo di informazioni, ma anche di modi di vedere. Per questo proponiamo al pubblico incontri con gli artisti e collaboriamo con progetti partner come TRE60Arti, un’offerta formativa che aspira a mettere in relazione professionisti che si occupano di arte ma anche il semplice pubblico”.
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Oltre il testo In un suo gustoso volumetto, Prima lezione sul teatro (Laterza, 2012), Luigi Allegri dedica alcune pagine al “teatro che abbiamo in testa”. In esse, l’autore riflette in primo luogo sull’immagine che lo spettatore casuale può avere del teatro come arte. Il fatto che per fare dei complimenti a un attore si dica che “sembra vero” o “sembra che non reciti” (o che invece lo si critichi perché “si vede troppo che sta recitando”) suggerisce che lo spettatore è ancora legato a un’immagine del teatro derivata dal realismo di fine ottocento. La grande tradizione del teatro occidentale, spesso presentata nei manuali scolastici come un capitolo della storia della letteratura, ci ha tramandato inoltre l’idea che la rappresentazione scenica sia una specie di derivato di testi preesistenti: per questo motivo Shakespeare e Mo-
lière sono per lo più considerati prima autori di testi che uomini di teatro. Il pubblico del FIT, però, ha il piacere di assistere a spettacoli lontani da stereotipi di quel tipo e che, a ben guardare, attingono a un’idea di teatro radicata in zone più profonde del nostro immaginario collettivo: un immaginario testimoniato dall’uso nel linguaggio comune di parole come “attore”, “regista” e “messinscena” per riferirsi a temi extrateatrali. Un uso che, facendo astrazione da certe connotazioni negative, testimonia l’idea di un teatro che è qualcosa di più della semplice rappresentazione naturalistica della realtà o della traduzione scenica di un testo letterario. Ma qual è la risposta del pubblico a proposte come quelle del FIT, tanto lontane da una ripresa tradizionale di Goldoni o Racine? “Per il periodo sul quale posso testimoniare personalmente”, risponde Paola Tripoli, “abbiamo avuto sempre le sale piene. Per chi organizza un festival, però, portare il pubblico a teatro è assai faticoso. Ma, quando poi inizia, il festival è una macchina che procede da sola. Penso che il pubblico si renda conto di poter incontrare qualcosa di particolare, e allora diventa partecipe per tutto il periodo della manifestazione. Ovviamente c’è lo spettatore che è un po’ spiazzato davanti a certe proposte. Ma negli anni abbiamo visto il pubblico apprezzare spettacoli abbastanza difficili come il Riccardo III di Angelica Liddell, che tra l’altro dopo essere stato qui ha vinto la Biennale di Venezia, o una Medea di Antonio Latella, caratterizzata da un uso del nudo abbastanza forte. Evidentemente per il pubblico ticinese c’è l’esigenza di vedere anche cose come queste”.
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De senectute
Vittorio Gassman sosteneva che “invecchiare è un’indecenza”. In effetti di questi tempi la vecchiaia è un’età della vita assai poco apprezzata di Francesca Rigotti
Il 1. ottobre si celebra la giornata internazionale dell’anziano, istituita nel 1990 dall’ONU, con la quale – recita la motivazione ufficiale – “si vuole rendere omaggio al contributo di questa importante parte della popolazione, riconoscendo il valore aggiunto che gli anziani rappresentano nell’organizzazione sociale”. “Importante parte della popolazione”, “valore aggiunto”, si dice degli anziani. Belle parole, sì, ma l’impressione che riceviamo va esattamente nella direzione opposta. Che gli anziani, anzi, diciamolo bene, i vecchi, contino poco, è evidente a tutti: come scrive Loredana Lipperini nel suo libro Non è un paese per vecchie, (Feltrinelli, 2010), pensando soprattutto alle loro apparizioni sui media televisivi e giornalistici, “i vecchi non vendono, non piacciono, non hanno appeal: su quotidiani e telegiornali appaiono soltanto quando sono vittime di una truffa o di un colpo di calore... I vecchi danno fastidio”. Kronos 12
esperienza, che è basata sull’accumulazione di sapere, non è più tenuta in credito: esperienza è decadenza, deterioramento, squalifica. Nel mondo in movimento la saggezza del vecchio non vale niente nel momento in cui entra in campo il nuovo sapere. Sarà tutto vero? Sarà proprio così? Molti secoli fa un oratore e uomo politico e filosofo romano, Cicerone, scrisse un trattato sulla vecchiaia, il De senectute: suo scopo era rivalutare questa età della vita offrendo un ritratto dell’armonia delle facoltà mentali durante la vecchiaia. Di fronte alla tendenza contemporanea a denigrarla, e a esaltare la gioventù come se questa fosse un valore in sé, e di fronte alla lamentela generale sull’invecchiamento, ci si chiede al contrario se non ci sia del vero nelle parole di Cicerone: “le cose grandi (res magnae) non sono dovute alla forza, alla velocità o alla prontezza fisica (non viribus aut velocitate aut celeritate corporum) ma sono il prodotto del pensiero e del carattere e del giudizio (consilio, auctoritate, sententia) che nella vecchiaia non vengono a mancare ma si accrescono in grande misura” (Sen. 17).
Bellino! Se gli uomini vecchi contano e si vedono poco, le donne vecchie ancor meno: sono invisibili. Ricevono qualche attenzione in occasioni eccezionali, come Sophia Loren per il suo Presente e passato ottantesimo compleanno, in forma Certo che nessuno ama ammettere di smagliante anche se un po’ ritoccata, essere vecchio e certo che ognuno/a piena di entusiasmo e di idee. EppuLo scrittore e drammaturgo irlandese, premio Nobel nel 1969, Samuel Beckett di noi ricorda benissimo come è re, pensandoci bene, si direbbe che (findepartida.files.wordpress.com) rimasto/a male la prima volta che Sophia Loren è “una bella vecchia”? No. Si direbbe, anzi si dice, che è “ancora una bella donna”. l’hanno fatto/a sentire tale. La vecchiaia non è un valoSi notano, nel suo aspetto fisico, le tracce del fatto che fu, re, ripeto, ma nemmeno la gioventù lo è. Valore, scrive una volta, bella, e di quella bellezza, qualcosa rimane. “Una Saramago, uno dei miei scrittori preferiti, sono gli esseri bella vecchia” non si dice mai di alcuna donna anziana, umani indipendentemente dall’età che hanno. Imporcome se la bellezza non facesse parte dell’età avanzata, se tante è continuare a perseguire fini che diano senso alla al femminile. Di un uomo anziano si dice sì che è “un bel vita, importante è essere creativi e creative scrivendo un vecchio”: se ne evidenziano persino le rughe, come nei libro, tenendo un diario o facendo una torta, conservare ritratti fotografici di Samuel Beckett che mettono in rilievo compassioni e passioni; importante e bello è ispezionare proprio le rughe scolpite come solchi sul suo volto, quelle e riflettere sulla propria vita e ricordare il passato, senza che Sophia Loren si è fatta lisciare via. Le stesse rughe che permettergli però di occupare tutto lo spazio della mente. Anna Magnani aveva, a suo onore, difeso dalla cancellazio- Il ricordo è come il cammino della talpa che scava il passato ne da parte di un truccatore troppo zelante: “Non togliermi e lo porta fuori, nel presente: dalla combinazione di osservazioni sul presente e di ricordo del passato emerge una le rughe, ci ho messo una vita a farmele venire”. ricchezza creativa e interpretativa di cui gode soltanto chi ha molto passato da comparare o combinare col presente. Esperienza e armonia Rughe o non rughe, la vecchiaia è oggi un’età della vita E se il futuro manca, il proprio futuro, ci si può impegnare temuta e poco apprezzata: in tempi di sapere tecnocratico e indignare per il futuro dei più giovani, come hanno fatto l’anziano si trova infatti in ritardo sul suo tempo e ha e fanno Stéphane Hessel o il dottor Spock, Margherita Hack difficoltà a identificarsi col presente. Oggi la nozione di e Noam Chomsky. Long life, old age.
Letture Anticorpi necessari di Stefania Briccola
Premio Internazionale Capalbio 2014 per la sezione architettura questo volume, apparso nella collana “Atelier” curata da Stefano Crespi, raccoglie una serie di scritti e di appunti elaborati nell’arco di un decennio. Riflessioni sull’arte di costruire, momenti autobiografici, contributi per giornali e riviste, lettere e discorsi pubblici si alternano nel volume dell’architetto di Mendrisio, classe 1943, che ha realizzato musei, chiese, biblioteche e numerosi edifici monumentali in tutto il mondo. Tra le sue opere si ricordano la chiesa di Santa Maria degli Angeli (Monte Tamaro), il Museo Tinguely a Basilea, il Museo d’arte di Rovereto e Trento (MART) e il San Francisco Museum of Modern Art. Mario Botta custodisce in sé il senso della frontiera come opportunità e della elveticità come identità. È un cittadino del mondo che non fa mistero di apprezzare la dimensione locale dove trova “gli anticorpi necessari” per affrontare le sfide della globalizzazione. È un ticinese che va fiero di avere respirato lo stesso genius loci di Francesco Castelli
(1599–1667) detto il Borromini, nativo di Bissone. Non a caso ricorda Carlo Dossi e le sue Note azzurre in cui si legge che “il carattere dominante di un’opera di architettura è dato dal contesto che colpisce l’occhio dell’artista”. Diversi sono gli “incontri” reali e ideali che hanno segnato il percorso di Mario Botta: Giovanni Pozzi, che ogni tanto gli faceva visita in studio a Lugano e “conosceva i rischi dell’interpretazione e la solitudine che attanaglia il processo creativo”; Robert Frank, che fotografò dall’elicottero due sue chiese in Ticino e raccontò l’intera giornata come in un film; Max Frisch con alcune delle sue intuizioni (una su tutte “avevamo bisogno di braccia, sono arrivati uomini”) che ne fanno la coscienza critica del paese. E inoltre, il Discorso alla luna di papa Giovanni XXIII, le periferie urbane di Mario Sironi, gli insegnamenti di Le Corbusier, Carlo Scarpa e Louis Kahn. Una chicca: Alberto Giacometti e lo sguardo delle sue figure ricordano la severità e il portamento delle donne che hanno protetto l’infanzia dell’architetto.
Quasi un diario 2003–2013 di Mario Botta Le Lettere, 2014
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opo dieci anni trascorsi un po’ in giro – Amsterdam, Berlino, New York –, ora vivo di nuovo a Zurigo, dove sono nato. Sono sempre stato legato alla musica e all’immagine. A quattro anni Mozart e Beethoven mi creavano un immaginario, delle storie, delle scene, un ambiente. Questo tipo di musicalità mi ha spinto ad avvicinarmi di più alla musica per i film. Dopo aver studiato violino a Zurigo e Lucerna, durante una tournée in Spagna sono venuto a conoscenza della famosa insegnante giapponese Keiko Wataya, e per continuare a studiare con lei mi sono trasferito ad Amsterdam. Poi ho capito che non volevo entrare nella routine dell’orchestra, della musica da camera: cercavo qualcosa di più versatile e originale. Stimolato dall’incontro con Jurre Haanstra, figlio del famoso regista olandese Bert, ho deciso di seguire un master in film music, per capire come funzionano le produzioni dei film, qual è il ruolo della musica. In seguito, mi sono specializzato anche nella post produzione, collegando il “fare musica” col “fare suono”. Provenendo dal mondo dei concerti, all’inizio è stato un po’ faticoso, perché cercavo un “mio suono”, un “mio colore”, ma la priorità è scoprire quello che il film necessita innanzitutto: se ci vuole musica oppure no, una prima analisi che non ha nulla a che fare con te. Molto dipende dal regista: devi capire cosa e come sta facendo, qual è il suo gusto, il suo sentimento, e ti ci devi confrontare, perché può sapere tutto di camera e montaggio e luci, ma a livello di musica non sempre ha abbastanza esperienza e “orecchio”. Durante gli studi ad Amsterdam, con un altro musicista olandese, Niels Hahn, che ai tempi scriveva canzoni per la EMI, abbiamo avviato una collaborazione per creare la Pastelle Music. All’inizio lavoravamo in uno scantinato coi topi, finché con un po’ di fortuna siamo finiti in un bello studio in Piazza Dam. Ho realizzato delle campagne pubblicitarie importanti (Hyundai, Samsung ecc.), ci siamo dedicati molto ai film, ai soundscapes (paesaggi sonori, ndr.) per musei, installazioni, esibizioni permanenti ecc. Il bello di questo lavoro è che ti confronti con qualcosa che non fai e che devi scoprire. Per il trailer di un film sull’islam si è deciso di produrre una colonna sonora
con un carattere orientale e islamico e in pochi giorni ho dovuto scoprire cos’è un makam (melodie classiche arabe, ndr.), un qanun (tipo di arpa orizzontale, ndr.) ecc. Ho lasciato il cantone e la Svizzera dieci anni fa perché in questo settore c’era ancora molto poco e sentivo il bisogno di confronti più ampi. Ora a Zurigo sto cercando di riscoprire la scena. Vedo che si producono ancora molti film in maniera classica, ma anche qui ci si rende conto che ormai la distribuzione, come prodotto fisico, è fallita, quasi estinta, perché il digitale ci ha spiazzati. Si aprono quindi le sfide per la ricerca di nuovi metodi d’intrattenimento che permettano all’industria di sopravvivere. Siccome l’accesso alle tecnologie è molto più facile, a livello di creazione di contenuti si fa molto ma sempre con meno, e dal consumare l’arte e la cultura dell’altro si è passati sempre più spesso al consumo dell’arte propria. È una sorta di “fai da te” che distoglie già un po’ dai vecchi modelli della radio e della TV, soprattutto quelli legati al servizio pubblico. Forse anche qui è tempo di sviluppare più contenuti legati a internet e all’interattività, accrescendo il know-how dai film su grande schermo verso altre forme multimediali e d’intrattenimento. La Svizzera possiede molte risorse che potrebbero essere sfruttare in questa direzione. Presto anche da noi ci sarà una radicale trasformazione dell’industria audiovisiva, è inevitabile. Esistono filmati realizzati con quattro soldi su YouTube che magari ricevono milioni di click, mentre si spendono cifre da capogiro per realizzare un programma televisivo che alla fine rende la metà o molto meno. Il futuro dei soundtracks? Sta crescendo il mercato di licenze musicali a basso costo, a scapito delle commissioni di produzione di musica originale che, come altre “professioni d’arte”, segue anch’essa molto l’onda del “fai da te”. A livello di composizione, però, credo sia importante continuare a sperimentare concetti nuovi e attuali, che comunque servono, perché il pubblico ha sempre bisogno di scoprire come combattere la noia di ogni giorno.
MATTEO TAHErI
Vitae 14
Supervisore musicale e produttore di colonne sonore per il cinema e la pubblicità, da Amsterdam, è tornato in Svizzera per scoprire le nuove frontiere del settore
testimonianza raccolta da Marco Jeitziner fotografia ©Matteo Fieni
Lugano Photo Days Un grande fotografo una volta disse che lo scopo della fotografia è fare conoscere un uomo a un altro uomo e fare conoscere lâ&#x20AC;&#x2122;uomo a se stesso a cura di Reza Khatir
La razza umana è divisa tra etnie, culture e individui molto diversi gli uni dagli altri ma allo stesso tempo ognuno di noi è lo specchio dell’altro e della essenziale somiglianza di tutti gli uomini
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a alcuni anni il mese di ottobre a Lugano è sinonimo di fotografia di alta qualità grazie alla manifestazione Lugano Photo Days, che offre al pubblico un’ampia possibilità di esplorare e conoscere, attraverso varie esposizioni e workshop, il lavoro di importanti fotografi. I vari laboratori sono tenuti da alcuni di questi professionisti proprio qui a Lugano. Se questa manifestazione esiste è anche grazie alla passione e all’impegno del suo fondatore e direttore, il fotografo luganese Marco Cortesi. Per una decina di giorni Lugano diventa quindi la
in queste pagine
Fausto Padovini (I) MiRelLa Menzione speciale della giuria
La storia di Mirella, una donna, una madre, una moglie e una nonna che per 43 anni ha vissuto con l’unico amore della sua vita, dividendo le gioie e le difficoltà. Negli ultimi sei anni le cose sono cambiate e lei ha dovuto lottare con tutte le sue forze per aiutare il marito ammalato di Alzheimer.
in apertura
Claudio Gallone (I) 10 Years of Love Finalista
Lâ&#x20AC;&#x2122;amore tra genitori e figli, testimoniato da immagini scattate durante dieci anni di reportage in aree di guerra e grandi crisi umanitarie. Fotografie riprese tra Somalia, Yemen, Sierra Leone, Mozambico, Sudan (Darfur), Etiopia (Tigrai), Thailandia, Indonesia, Pakistan, ma anche realizzate durante quattro missioni in Afghanistan dopo la controffensiva delle forze Nato, cosĂŹ come in Kosovo e in Georgia, durante e dopo il conflitto con la Russia.
(...)
GMB AkAsh (Bangladesh) Angels in hell Finalista
Un commovente reportage sul lavoro minorile. La storia di bambini e adolescenti che per un salario di circa pochi dollari al mese lavorano in condizioni disumane fino a dodici ore al giorno. Per questi bambini la parola infanzia perde significato giĂ dallâ&#x20AC;&#x2122;etĂ di cinque anni.
GreGoire CaChemaille (CH) Sacram Unctionem Finalista
Dalla seconda metĂ del ventesimo secolo, la religione cristiana è in costante declino nellâ&#x20AC;&#x2122;occidente. Se una volta frequentare le chiese locali era considerato la norma per la maggioranza, gli studi dimostrano che negli ultimi decenni il numero delle persone che dichiarano il loro allontanamento dalla religione è in costante crescita. Conseguentemente numerose di queste magnifiche costruzioni, sono state demolite, destinate ad altri usi o abbandonate al loro destino.
Thomas Brasey (CH) Capitalizer Vincitore Lugano Photo Days, 2014
Nel 1991 Akmola era una piccola città di provincia perduta nel mezzo delle steppe del Kazakistan. Quattro anni dopo il presidente Nursultan Nazarbayev decide di farla diventare la capitale (Astana, letteralmente significa “capitale” in kazaco). Il servizio fotografico documenta il processo di trasformazione della città, attuato senza una evidente pianificazione urbanistica ma solo con l’obiettivo di celebrare il suo ideatore, come suggerisce il vagare senza meta dei suoi abitanti per le strade.
città della fotografia, un punto di riferimento per il Ticino, la Svizzera e la regione insubrica. La novità importante di quest’anno è il concorso fotografico indetto da LPD, con un premio di 2500 franchi messo a disposizione dalla Fondazione Vincenzo Vicari di Caslano. Al concorso hanno partecipato centinaia di autori e fotogiornalisti provenienti da più di trenta paesi e di certo non mancavano grossi nomi del fotogiornalismo svizzero e internazionale. Tanto per citarne uno, Fausto Podavini che qui a Lugano ha ricevuto la menzione speciale della giuria con il lavoro “Mirella” , che aveva già vinto il prestigioso primo premio del concorso World Press Photo 2013, sezione STORIES. La giuria del Lugano Photo Days di quest’anno era composta da Lorenza Bravetta, direttrice europea dell’agenzia Magnum a Parigi, Christian Güntlisberger, photo editor del NZZ (Neue Zürcher Zeitung), e dal sottoscritto, photo editor di Ticinosette. Vista la quantità e la qualità notevole del materiale il nostro compito non è stato facile, ma comunque ogni membro ha visionato tutti i lavori durante la fase preliminare per poter arrivare a una preselezione di cinquanta fotografi e infine alla selezione dei dieci finalisti (tutti i lavori sono visibili sul sito del LPD). Infine c’è stato un incontro tra noi giurati a Lugano e dopo varie discussioni abbiamo selezionato il vincitore dell’anno 2014: Thomas Brasey, un giovane fotografo svizzero romando. Il suo progetto è centrato sulla trasformazione del Kazakistan, un lavoro accattivante la cui atmosfera non mi ha lasciato indifferente. Inoltre il suo rigore formale ed estetico mi porta a paragonarlo ai grandi maestri della fotografia urbanistica. Nelle molte altre fotografie selezionate
vengono messi in luce frammenti di umanità e le tragedie che a volte, troppo spesso, accompagnano la vita. C’è un aspetto importante da segnalare, pensando ai concorsi (di fotografia, arti visive, cinema ecc.) è cioè che è impossibile classificare in modo assoluto le opere d’arte. Il risultato finale di ogni concorso riflette infatti solo la composizione di quella specifica giuria. Detto questo vorrei semplicemente complimentarmi con tutti i partecipanti, al di là del risultato finale. Ogni volta che scattiamo un’immagine riveliamo qualcosa che è già parte di noi e che vuole materializzarsi; come un pittore che con ogni ritratto dipinge se stesso, un frammento del suo vissuto. Abbracciare la realtà dell’illusione ci permette di trovare la libertà e il piacere di vivere diverse identità, eliminandole quando non sono più rilevanti. E poi forse si può immaginare un altro modo di esistere, qualcosa di utopico. Vorrei concludere con un pensiero di Susan Sontag, una delle mie autrici preferite: “Le fotografie tendono a diminuire e atomizzare l’esperienza. Ci abituano, attraverso la ripetizione, all’orrore. Ci proteggono e ci allontanano dall’ansia dei luoghi e situazioni sconosciute. Attraverso una realtà travisata pretendono di catturare l’essenza, in due dimensioni, di un mondo che è a quattro dimensioni (la quarta dimensione è essere immaginati)”. La fotografia, e in questo risiede la sua ambiguità, aspira a farci conoscere qualcosa del mondo che tendiamo ad accettare come la macchina fotografica ci racconta. Ma, in realtà, questo è il contrario della comprensione, che dovrebbe partire dal non accettare il mondo così come appare.
Denti della Vecchia. Di blu e... di Daniele Fontana; fotografie ©Giuliano Vananti
Luoghi 46
Blu e verde. Colori freddi. Analoghi tra di loro, per via di quel giallo, agente potente anche se invisibile, che trasforma il blu primario nel verde secondario. C’è una bella porzione della fisica nei colori delle montagne. Prima di paesaggi e messaggi, le montagne sono dei simboli. Immensità e nostalgia per quel cielo tirato a lucido. Silenzio e speranza per il verde che gli fa da cornice. Resi con la tecnica degli impressionisti. Il gruppo dei Denti della Vecchia sembra una riedizione del quadro La danza di Henri Matisse. Là l’energia e l’equilibrio di elementi in movimento a rappresentare la forza inarrestabile della vita. Qui, quasi in antitesi, la staticità armonica di una composizione che è monumento alla certezza, alla fissità. All’eternità perfino. E se vogliamo aggiungere ancora qualcosa al parallelismo, ricordiamo che queste montagne sono chiamate anche Canne d’Organo. Un nuovo stringente legame armonico con il manifesto pittorico. Prima di noi, dopo di noi Quali sono allora le “Voci del mondo” che questo strumento antichissimo raccoglie e diffonde? Non quelle dell’odio certamente. Della contrapposizione o dell’incomprensione neppure. C’è equilibrio, rispetto, in quei profili, in quei campi di luce, ombre e colori. C’è una legge, e una logica, che trascende gli umani. E che quasi certamente neppure si cura di loro. Quei pennoni di calcare sono creste di uno strato geologico antichissimo che non ha confini né politici né culturali. C’erano prima di noi, ci saranno dopo di noi. Anche dopo l’ultimo degli ultimi di noi. Quando dei nostri
umori e dei nostri rancori sarà rimasto meno del sospiro di bruma che le primissime luci dell’alba fugano al loro semplice apparire. Blu e verde, cielo e terra, invece dialogano da sempre. In un silenzio fitto. In un frastuono di luce, mentre là fuori, tutt’attorno è buio e vuoto siderale. Segno che incontrarsi è possibile. E parlarsi. Capirsi. Anche se l’uno racconta di verde e l’altro di blu. Certo, a volte quel parlare si fa denso, il blu si raggruma e il verde si adombra, ma un volere a noi sconosciuto, irraggiungibile, inspiegato stringe alla convivenza e costringe all’armonia. Per gli impressionisti tutto scorre, tutto cambia, a cavallo della luce che varia a ogni istante. Pure questo cielo varia, di luce e di presenze, ma per tornare sempre se stesso. Su quelle terre, su quelle proporzioni, su quelle concordanze. Tecnicamente tutto ciò si farebbe dunque neoclassico, romantico. Aspettando l’aurora C’è chi, pretendendosi centro dell’universo, rivendica a sé il possesso di queste, o di altre terre: a pezzetti, qua e là, ciascuno per ognuna. Ma uomo chi sei tu? Che pure nel massimo del tuo ascendere porti sul tuo capo il solo destino che ti è riservato: la polvere in cui finirai. Infinitamente più fragile della dolomia, dello gneiss, delle sabbie e delle argille di cui è composta la struttura profonda di questa porzione di terra. Singolare questa pretesa dell’effimero, che si ritiene eterno, di dominare il duraturo. L’uomo, per celebrarsi, ha dovuto prima rappresentare se stesso e poi inventarsi la storia, esercitare la memoria, e ancora a poco o nulla gli serve. I senza memoria e i senza storia, dal canto loro, sanno bruciare i giorni, le genti, forse anche il mondo intero, ma non quel blu e non quel verde. Non il loro dialogare che è la storia delle storie e che non ha bisogno di memoria perché è il presente sempre. Noi in disparte, fuori da questo quadro che quasi non porta i segni del nostro esistere, possiamo solo restare ammirati. Muti. Ridotti alla sola condizione che il nostro brulicare consente: la consapevolezza e la gioia. Che la nostra vita è un infinitesimale frammento in uno spazio e in un tempo senza fine. E che nonostante ciò la vita nostra (e quella degli atri) deve pur esser bella. “Bella come l’aurora, quando il sole sorge dai Denti della Vecchia” recita un antico detto popolare. Antico abbastanza per avere la saggezza della consapevolezza e la follia della gioia.
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LA GONNA DI BRAVEHEART Tendenze p. 48 – 49 | di Marisa Gorza
Fan degli intrepidi highlanders, dei poeti guerrieri e di ogni eroe raffigurato avvolto nel mitico kilt, sapevate che l’indumento pieghettato non appartiene affatto a una tradizione antichissima? Anzi…
L
a storia del kilt è abbastanza recente: ha poco meno di trecento anni, come del resto altri simboli della suggestiva cultura scozzese. Tutto dichiarato da Hugh Trevor-Roper nell’arguto saggio The Invention of Scotland uscito negli anni settanta ma che allora
non suscitò un particolare interesse. Anche se nel recente referendum per l’indipendenza della Scozia ha prevalso il “no”, il paese ne è uscito più che mai pieno di orgoglio e “vittorioso”… come lo sono pure quegli emblemi che stuzzicano l’immaginario, magari enfatizzati dalla complicità del cinema.
T & CO. Breve storia del costume
All’epoca di William Wallace (XIII secolo) l’abbigliamento maschile consisteva in un rozzo pezzo di stoffa, lungo diversi metri, da drappeggiare intorno ai fianchi e alla spalla. Come lo conosciamo oggi, simile a una gonnella, fu adottato molto più tardi, intorno al 1730. A quel tempo le Highlands erano un’impervia colonia irlandese, le cui foreste venivano sfruttate per il legname. Il plaid, indossato dai braccianti scozzesi, poco si prestava al lavoro nei boschi. Fu così che il magnate quacchero Rawlinson ideò per i suoi operai lo svelto kilt dal disegno chiamato tartan a quadri colorati. Nel 1747 il Disarming Act lo abolì: ciò bastò a farlo diventare simbolo di rivendicazione, tanto più che la sua memoria si era mantenuta in quanto uniforme dei militari scozzesi, assoldati dagli inglesi nel corso delle guerre coloniali. Nell’incantamento romantico dell’ottocento, i nobili degli Altipiani cominciarono a considerare l’abito come la bandiera di una nazione che non si arrendeva. Legare un particolare tartan a un preciso clan (gruppo di famiglie) fu un compito arduo. Ciò coinvolse niente meno che Sir Francis Scott, il quale nel 1805 affermava, senza peraltro prove concrete, che gli antichi scozzesi erano soliti portare la gonnella a quadri al posto delle volgari braghe celtiche. Fu l’“invenzione” di un mito che oggi continua a vivere.
Il VIP si veste di tartan
Nel corso dell’epoca moderna il kilt è stato rivisitato e interpretato in molte versioni. Inoltre ha sdoganato e autorizzato i maschietti a indossare la gonna. In verità gli uomini in sottana, visti sulla passerella p/e ‘85 di Jean Paul Gaultier, fecero scalpore. Tuttavia il couturier ha continuato imperterrito a credere nel trend, indossando lui stesso il kilt anche in occasioni speciali
come un ricevimento all’ Eliseo. “Virile quanto il kimono giapponese o il djallaba del Nord Africa…” ha sostenuto. Forse che non appare abbastanza prestante e maschile Sean Connery in kilt? Per non parlare di Liam Neeson, Gerard Butler, Hugh Grant, David Beckham ecc. Tutti a condividere il segreto, molto segreto, di cosa va, o non va, indossato sotto le pieghe... Nondimeno gli outfit in tartan piacciono molto anche alle donne e non solo nella versione gonnellina college chiusa da una spilla sul lato, ma parafrasato in mille modi. Piace a Kate Moss apparsa in un bikini mozzafiato, stampato nei quadrotti verdi e gialli del tartan del clan MacLeod.
Tutti in passerella!
La moda quadrettata è già sotto i riflettori dell’autunno con proposte disparate: dal sexy tubino di Versace dagli stilemi scozzesi interrotti da inserti di vinile al blazer bon ton di Max Mara, dalla spiritosa Highlander al femminile di Moschino ai piccoli pezzi coordinati e low cost di H&M... Uno sguardo più ravvicinato alla collezione della maison svizzera Philipp Plein, ci fa scoprire che il tartan nei toni del rosso, reiterato su miniabiti, paltoncini svasati e scenografiche toilette sbuffanti, come pure su scarpette appuntite e dettagli vari, è quello del fiero clan MacDuff. I Duff sono i discendenti dei celti che abitavano le Highlands ancor prima dell’invasione dei romani, contro i quali combatterono strenuamente impedendone l’insediamento in Scozia. Alcuni membri del clan, in epoca moderna, si stabilirono nel Nuovo Mondo. Dove portarono le loro usanze, i loro stemmi, i loro tartan... appunto. Tanto che viene il dubbio se il parka della collezione da uomo a grandi quadri, doppiato in corposa pelle, sia perfetto per un moderno Highlander o per un cowboy metropolitano. Entrambi ad alto tasso di avventuroso romanticismo.
La domanda della settimana
Rinuncereste a qualche ora lavorativa, e al compenso che ne deriva, per avere più tempo libero?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 23 ottobre. I risultati appariranno sul numero 44 di Ticinosette.
Al quesito “Ritenete eccessivo l’atteggiamento e l’attenzione che molte persone riservano ai propri animali domestici?” avete risposto:
SI
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Astri ariete Torna alla ribalta una questione professionale lasciata in sospeso. Reattivi i nati nella terza decade. Momento adatto per porsi delle mete e raggiungerle.
toro Scelte nella vita sentimentale, con evidenti conflittualità tra ragione e sentimento. Evitate decisioni affrettate. Maggior cautela il 24 ottobre.
gemelli Tra il 19 e il 23 momento particolarmente vivace. Importante miscelare le influenze di Venere con quelle di Marte. Sconfinamenti per i più gelosi.
cancro Il 23 Venere entra in Scorpione. Questo aspetto esalta la sessualità e le potenzialità seduttive. State attenti a non confrontarvi con un antico rivale.
leone Fortuna sentimentale e possibile incontro con una persona seducente. Spese tra il 19 e il 21 in ordine a un susseguirsi di incombenze domestiche.
vergine Venere in Scorpione favorisce una nuova fase sentimentale. Sereni i nati nella prima decade; sempre combattivi i nati a fine segno stimolati da Marte.
bilancia Fino al 23 Marte sostenuto da Venere. Questa configurazione vi renderà fascinosi, belli e intraprendenti. Ipersensibili tra il 22 e il 23 ottobre.
scorpione Ritrovata serenità per i nati nella prima decade. Tra il 24 e il 25 ogni vostra emotività tenderà ad esser amplificata. Frequentate le persone care.
sagittario Incredibile configurazione astrale. Siete in grado di compiere ogni tipo di impresa. Evitate l’eccessivo protagonismo. Concepimento tra il 22 e il 23.
capricorno Una vertenza legale lasciata in sospeso torna alla ribalta. Possibili competizioni per i nati nella seconda decade. Miglioramenti dal 23 in poi.
acquario Affari tra il 22 e il 23. Il 25 ottobre i nati nella terza decade dovranno fare i conti con una vecchia disputa familiare. Rimpianti e malinconia.
pesci Incontri sentimentali. Tra 19 e il 21 la Luna si troverà in opposizione, e quindi alcuni di voi potranno andare incontro a episodi di irascibilità.
Gioca e vinci con Ticinosette
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 44
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 23 ottobre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 21 ott. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
Verticali 1. Cane da pastore svizzero • 2. Pari in pianto • 3. Il Molleggiato • 4. Si festeggia il 25 dicembre • 5. La costruì Noé • 6. Tediosa • 7. Spagna e Belgio • 8. Fiume polacco • 9. Pena nel cuore - 15. Consonanti in ruota • 16. Ansia, preoccupazione • 18. La nota Papas • 19. Barrisce • 22. Onestà • 26. Gavitello • 28. Il noto Gullotta • 32. Un vulcano • 33. Pierre, scrittore francese • 35. Paga il fio • 36. Parola francese • 38. La capitale dell’Egitto • 40. L’antica Thailandia • 41. Purulenza • 44. Pari in targa • 45. Il Ticino sulle targhe.
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Orizzontali 1. L’amica dei Sette Nani • 10. Maroso • 11. Il leggendario Hood • 12. Li creano i mulinelli • 13. Dittongo in giada • 14. Grossa arteria • 17. Rigagnolo • 20. Alt! • 21. La nota Vanoni • 23. Le iniziali della Pausini • 24. Dispari in Diego • 25. Escursionisti Esteri • 26. Ritrovo pubblico • 27. Cervello • 29. Il noto Marvin • 30. Il rischio del giocatore • 31. Un ballo per innamorati • 33. Germania e Svezia • 34. Innalzata • 36. In nessun tempo • 37. Trainano la slitta di Babbo Natale • 38. Il solido del gelataio • 39. Voto scolastico • 40. Stoffa lucente • 41. Devoti • 42. Accentato nega • 43. Tempio, luogo di culto • 46. Contraddistingue chi pensa solo a se stesso • 47. Mezza sala.
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La soluzione del Concorso apparso il 3 ottobre è: LUCIFERO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Monica Ruffa Via Formigario 6760 Faido Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: buono RailAway FFS per l’offerta “Termali Salini & Spa Lido Locarno” RailAway FFS offre 1 buono del valore di 100.– CHF per 2 persone in 2a classe per l’offerta RailAway FFS “Termali Salini & Spa Lido Locarno” da scontare presso una stazione FFS in Svizzera. Ulteriori informazioni su ffs.ch/termalisalini
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