Ticinosette

№ 43 del 24 ottobre 2014 · con Teleradio dal 26 ott. al 1. nov.

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MARIELLA DAL FARRA .................................................

Cani randagi Lo spunto giunge dalla recensione che Ben Zej ha dedicato in questo numero alla serie televisiva House of Cards, giunta alla seconda stagione, e che ha come protagonista Kevin Spacey e come scenario l’agone politico della Washington contemporanea. Se dovessimo dare una definizione del personaggio principale, il deputato Frank Underwood, diremmo probabilmente che si tratta di un cinico, un termine che oggi ha una precisa connotazione (per il Treccani, cinico è colui che “con atti e con parole, ostenta sprezzo e beffarda indifferenza verso gli ideali, o le convenzioni, della società in cui vive”). Ma con cinico si intende anche chi, proprio in virtù del suo totale disincanto nei confronti di idealità, emotività, spiritualità e senso della solidarietà, opera solo al fine del proprio vantaggio personale e, spesso, a discapito degli altri.

Alphonse de Lamartine, a riguardo, scriveva che: “il cinismo è l’ideale abbattuto, la parodia della bellezza fisica e morale, il delitto dello

spirito, l’abbrutimento dell’immaginazione”. In realtà, alle sue origini, il cinismo era davvero tutt’altro. Nato come corrente filosofica nel IV secolo a.C., raggruppava i seguaci di Antistene e Diogene di Sinope, quest’ultimo soprannominato “il cane” (kyon, da cui la denominazione), per il suo totale rifiuto dei costumi tradizionali e la decisione di vivere in modo randagio e indipendente. Animata da una profonda istanza moraleggiante, la filosofia cinica considerava la felicità come il principale obiettivo dell’uomo, che poteva essere ottenuta solo attraverso la completa rinuncia alle comodità e agli agi quotidiani.

Lo stesso Gesù Cristo, secondo alcuni studiosi, sarebbe stato influenzato da questa forma di pensiero. Ma il senso nel tempo è mutato e oggi il cinismo, come ha scritto Aldo Grasso “è la crudeltà dei delusi: non possono perdonare alla vita di aver ingannato le loro certezze”.

Buona lettura, Fabio Martini

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4 Visioni House of Cards. Senza scrupoli DI BEN ZEJ .................................................... 7 Società Salute. Il cammino dello yoga DI KERI GONZATO ............................................ 8 Media Fobie. Paure in rete DI MARCO JEITZINER ......................................................... 10 Mundus Chirurgia e società. Nuovi mostri DI DUCCIO CANESTRINI ............................. 12 Letture Educazione. Dimmi che esisto DI GIANCARLO FORNASIER ................................ 13 Vitae Nicola Pfund DI ROBERTO ROVEDA .................................................................... 14 Reportage Takeaway Vegan DI KERI GONZATO; FOTO DI REZA KHATIR ............................ 39 Luoghi Dentista. Ansia bianca DI MARCO JEITZINER .................................................... 44 Fiaba Topini all’avventura DI CHIARA PICCALUGA; ILLUSTRAZIONI DI CÉLINE MEISSER .............. 46 Tendenze Moda e tecnologia. E li chiamano passeggini... DI AMANDA PFÄNDLER....... 48 Svaghi .................................................................................................................... 50 Agorà Narcisismo. Falsi riflessi

Ticinosette allegato settimanale N° 43 del 24.10.2014

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Quelli con l’arcob

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Quelli con l’arcobaleno

Falsi riflessi Narcisismo. In tempi di selfie e social network, il termine “narcisista” è entrato a far parte del linguaggio quotidiano con un’accezione spesso negativa, in quanto designa una persona caratterizzata da uno spiccato egocentrismo.

In realtà, il narcisismo è una componente essenziale della nostra personalità, a prescindere dagli aspetti anche gravemente patologici che può assumere di Mariella Dal Farra; illustrazione ©Bruno Machado

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na suggestiva rappresentazione della “tipologia caratteriale” del narcisista è quella fornita da Michael Douglas nell’interpretazione del personaggio di Gordon Gekko, il cinico manager di Wall Street (1997 e 2010), quando, per esempio, proclama: “I più di questi laureati a Harvard non valgono niente. Serve gente povera, furba e affamata. Senza sentimenti. [...] E se vuoi un amico, prenditi un cane...”. Senza arrivare a questi estremi, diversi studi evidenziano come “il narcisismo potrebbe essere correlato alla sindrome da dipendenza da lavoro (workaholism), un aspetto della quale è costituito proprio dall’elevato investimento nell’attività professionale. Se questo dato fosse confermato, sarebbe ragionevole aspettarsi che i manager manifestino livelli di narcisismo significativamente maggiori dei loro subordinati (Raskin & Novacek, 1989)”1.

Ma il narcisismo può investire qualsiasi settore dell’esperienza umana, dall’aspetto fisico (curato nei minimi dettagli) alla scelta del percorso di studio (che avrà luogo esclusivamente presso le istituzioni più prestigiose), dalla sfera relazionale (con frequentazioni selezionate in base a criteri afferenti allo status) a quella “affettiva” (tendenza a privilegiare partner “rappresentativi” in quanto particolarmente attraenti, benestanti o insediati in posizioni elevate della scala sociale).

Un’eredità pesante L’espressione potenzialmente più deleteria di questa costellazione è però, forse, la sua tendenza a tracimare nella genitorialità, laddove i figli vengano vissuti come estensioni narcisistiche del sé. Così, per esempio, in un caso citato dalla psicoanalista Nancy McWilliams, “uno studente universitario dotato di attitudini artistiche e letterarie si sentì dire dal proprio padre «grandioso» che lo avrebbe sostenuto se avesse studiato per diventare medico (preferibilmente) o avvocato (qualora non avesse mostrato attitudine per le scienze naturali), ma nient’altro. Medicina e giurisprudenza significavano per lui denaro e rispetto; ogni altra carriera avrebbe gettato un’immagine negativa sulla famiglia”2.

L’investimento, che si presuppone affettivo, nei confronti del figlio è quindi in realtà condizionato dai risultati che questi otterrà nella vita. Secondo la McWilliams, un’atmosfera familiare improntata alla valutazione critica è però tanto deleteria quanto quella caratterizzata da “orgoglio e plauso costanti”3: “Una prospettiva interessante su una dinamica narcisistica è l’articolo di Martha Wolfenstein (1951), The emergence of fun morality, in cui si descrive come negli anni cinquanta genitori intellettuali, liberali, essendo cresciuti in tempi molto difficili, dessero ai loro figli il messaggio che sarebbero stati male se non si fossero divertiti. […] La comunicazione «a differenza di me, tu puoi avere tutto» è particolarmente distruttiva, in quanto nessuno può avere tutto e ogni generazione dovrà affrontare le proprie limitazioni. Che l’autostima sia legata a un obiettivo così irrealistico è un’eredità davvero inabilitante”4.

Autostima fragile Una situazione per certi versi simile a quanto accade ora, quando si dice che i ragazzi hanno a disposizione una quantità di mezzi senza precedenti per realizzare il proprio potenziale creativo e intellettuale: un’asserzione all’apparenza innocua, in realtà carica di aspettative implicite e non facilmente eludibili. Quando l’investimento sulla prole è di natura prevalentemente narcisistica – il che non significa provare orgoglio per le capacità dei propri figli, atteggiamento assolutamente sano e desiderabile, ma piuttosto delegare a essi la realizzazione di aspirazioni alle quali magari non si è riusciti ad adempiere in prima persona – è possibile che il bambino diventi a sua volta un adulto narcisista, ovvero che sviluppi una struttura caratteriale imperniata su una percezione “discontinua” del proprio valore. Un’altra psicoanalista, Annie Reich (1960), fu la prima a proporre che “gli individui narcisisti soffrono dell’incapacità di regolare la propria autostima”. Più importante ancora, fu la prima a riconoscere come queste persone siano soggette a violente, cicliche oscillazioni nella stima di sé. Prive, o comunque carenti di un meccanismo “omeostatico” in grado di contenere il range – normalmente soggetto a fluttuazioni – relativo alla (...)

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percezione del proprio valore, le persone narcisiste dipendono in misura maggiore della media dai riscontri forniti dall’ambiente esterno. Il desiderio, talvolta spasmodico, di riconoscimento, la ricerca di conferme, la necessità di essere visti (si pensi al dilagante fenomeno dei social network e del selfie) e la natura tendenzialmente strumentale dei rapporti interpersonali rispondono proprio al bisogno di “incamerare” rifornimenti narcisistici a sostegno di un’autostima strutturalmente fragile.

Le radici sane Lungo il continuum “normalità-patologia” che percorre questo tratto di personalità (così come ogni altro), il narcisismo “disfunzionale” è associato alla tendenza a instaurare dinamiche relazionali di tipo sadomasochista, non tanto sul piano sessuale quanto e soprattutto sul quello psicologico. Rapporti di questo tipo soddisfanno infatti l’esigenza di controllo sull’altro – il quale potrebbe altrimenti manifestare una volontà in conflitto “non tollerabile” con le istanze narcisistiche del soggetto, per esempio quella di andarsene – che per questo motivo non assume mai una posizione “paritaria”, collocandosi sempre al di sotto (nella forma “esplicita/grandiosa”5) o al di sopra (nella forma “implicita/vulnerabile”) del partner narcisista. Nei casi in cui il narcisismo trascenda la dimensione nevrotica per assumerne una più psicotica, quando cioè il contatto con la realtà non sia semplicemente “un po’ modificato” ma diventi intermittente, si configura il rischio del suicidio in quanto “tale comportamento rappresenta una modalità estrema di controllare «sadicamente» gli altri, il rifiuto di un mondo denigrato (e denigrante), o un’esibizione di superiorità rispetto alla morte”6.

Tutto ciò non deve farci dimenticare le “radici sane del narcisismo”7. Secondo Freud, tutti i bambini iniziano la

vita istintivamente orientati verso il sé: “una fase psicologica evolutiva chiamata narcisismo primario, parallela all’istinto di conservazione”8. Così, se l’ambiente non si impone con richieste eccessive e/o contraddittorie, dal narcisismo primario emergerà spontaneamente la capacità di provare amore e interesse per gli altri.

per saperne di più Per approfondimenti, si segnala: Mauro Mancia, Narcisismo. Il presente deformato dallo specchio, Bollati Boringhieri, 2010 o anche, dal fondatore della “Bioenergetica” Lowen Alexander, Il narcisismo. L’identità rinnegata, Feltrinelli, 2013. Se invece si preferisce sdrammatizzare, imprescindibile il riferimento a Zoolander, divertente parodia del mondo della moda scritta, diretta e interpretata da Ben Stiller nel 2001. In ambito letterario, Bret Easton Ellis, autore particolarmente efficace nel narrare le forme del narcisismo contemporaneo, ne tratteggia un’agghiacciante personificazione all’interno del romazo American Psycho (Einaudi, 1991).

note 1 Cecilie S. Andreassen et al., “The relationship of narcissism with workaholism, work engagement, and professional position”, Social Behaviour and Personality, 2012, 40(6), 881–890, pag. 882.

2 Nancy McWilliams, La diagnosi psicoanalitica, Astrolabio, 1999, pag. 196.

3 N. McWilliams, op. cit., pag. 198.

4 N. McWilliams, op. cit., pag. 199.

5 Kenneth N. Levy, “Subtypes, Dimensions, Levels, and Mental States in Narcissism and Narcissistic Personality Disorder”, Journal Of Clinical Psychology: in Session, Vol. 68(8), 886–897 (2012), pag. 887.

6 K. N. Levy, op. cit., pag. 889.

7 Donna S. Bender, “Mirror, Mirror on the Wall: Reflecting on Narcissism”, Journal Of Clinical Psychology: in Session, Vol. 68(8), 877–885 (2012), pag. 878.

8 Ibidem.

Visioni Senza scrupoli di Ben Zej

Chi è Frank Underwood? Innanzitutto è il personaggio principale delle serie televisiva del momento, e in secondo luogo, se dovessimo applicare un criterio di natura etica al nostro tentativo di definirlo, dovremmo ammettere che è sostanzialmente un pluriomicida. Un assassino con una precisa e inquietante ambizione: quella di diventare il presidente degli Stati Uniti, in altre parole, l’uomo più potente al mondo.

Il protagonista, interpretato magistralmente da Kevin Spacey, è affiancato da un’altrettanto spietata e capace Robin Wright nella parte della moglie Claire. I due agiscono nel torbido mondo politico della Washington dei nostri tempi come dei moderni coniugi Macbeth, privi di scrupoli e pronti a tutto pur di avere la strada spianata verso il “trono”. A partire dal suo ruolo di capogruppo di maggioranza al Congresso e grazie a un cinismo senza limiti e ad abilità dialettiche e politiche straordinarie, Underwood ascende ai massimi vertici delle istituzioni americane. Quando qualcuno si interpone fra lui e

i suoi obiettivi non esita a ricorrere all’omicidio, compiuto sempre in prima persona in modo da evitare ricatti. La serie, che ha spopolato anche nel mondo politico (Barack Obama e Matteo Renzi pare siano accaniti fan), offre uno spaccato di grande interesse sui meccanismi che regolano la politica statunitense: dai rapporti del presidente con il Congresso e i deputati alla funzione dei lobbisti, dall’ambiguità delle ONG al sesso come merce di scambio nei rapporti fra media e politica. I diritti della serie, di cui lo stesso Spacey è produttore esecutivo, sono stati acquistati da Netflix, servizio video on demand in streaming, modalità che secondo molti diverrà a breve la nuova frontiera dell’entertainment. La seconda serie, che SKY ha iniziato a trasmettere di recente, non mancherà di sorprendere anche i meno sprovveduti: Underwood è un ciclone inarrestabile. Certo, di fiction si tratta, ma a conferma che nei millenni poco è cambiato nelle modalità e nelle aspirazioni al potere degli uomini.

House of cards (prima e seconda stagione) USA, 2013

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Il cammino dello yoga Lo yoga è una cometa in costante espansione, una disciplina che nelle sue differenti diramazioni attrae milioni di persone interessate a sviluppare un percorso di crescita fisica e spirituale di Keri Gonzato

Società 8

Asana (bikramyoga.it)

Secondo lo studio più recente della SGMA (Sporting Goods Manufacturers Association) più di 22 milioni di americani praticano lo yoga. Una folla di uomini e donne di tutte le età e background, muniti di tappetino e calzamaglia.

Un’amica insegnante, recentemente trasferitasi a Zurigo, mi diceva che le lezioni dei numerosi studi sono sovrappopolate da una giungla di yogis urbani.

Anche la realtà ticinese, seppur nel suo piccolo, continua a crescere grazie a persone sempre più curiose e a spazi che rispondono a questo anelito. Yoga Roof è uno di questi: “Abbiamo iniziato aprendo una sede in centro a Lugano quattro anni fa”, racconta la fondatrice Mara Bertelli, “mese dopo mese le lezioni sono andate riempiendosi e ci siamo ritrovati ben presto a dover cercare un secondo spazio per accogliere l’onda crescente di appassionati: da pochi giorni ha infatti aperto i battenti Yoga Roof Lugano Sud”.

Cuore pulsante Ma di cosa si tratta esattamente? Om, incensi e capelli lunghi. Fitness per sudare, disintossicare, rinforzare e tonificare. Una tendenza del momento. Una pratica meditativa

e un cammino spirituale. Chi ha iniziato il percorso e ancor di più chi ne ha solo sentito parlare, scorge appena la cometa yoga attraverso molte nuvole.

C’è parecchia confusione. Una confusione che appare palese fin dalle definizioni dei dizionari che smembrano in due categorie ben distinte il termine. Da un lato troviamo: “Pratica ascetica propria dell’induismo e di altre religioni orientali, mediante la quale l’individuo giunge a liberarsi da tutti gli stimoli fisici e psichici per raggiungere lo stato di estasi, per entrare cioè in comunione con l’Essere supremo”. Dall’altro leggiamo: “Nell’uso corrente, insieme dei movimenti ginnici e delle tecniche di respirazione che si accompagnano alla pratica ascetica, intesi soprattutto come attività sportiva e terapeutica” (estratto da Sabatini-Colletti, Dizionario della lingua italiana). Due definizioni che delineano approcci molto diversi.

In realtà, in sanscrito, yoga significa “unire, unione”.

Nella confusione attuale non è facile vederne il cuore.

Ma, questo cuore continua a pulsare da migliaia di anni invitando le persone a passare dalla superficie alla profondità. Intorno al 200 a.C. Patanjali redasse in forma scritta le linee guida del percorso di uno yogi e i suoi yoga

sutras sono tutt’ora considerati una miniera di saggezza e vengono studiati da tutti coloro che scelgono di scorgere la cometa oltre le nuvole. Una delle idee più diffuse è che lo yoga sia semplicemente una pratica fisica: si tratta piuttosto di un cammino spirituale in senso lato, che può accadere tanto sul tappetino quanto nella vita quotidiana a tutto tondo. Chi lo percorre sceglie di vivere un’esistenza più consapevole, rispettosa e amorevole. Il suo approccio yogico si riflette in tutti i suoi gesti, dal modo in cui si rapporta con le persone agli alimenti di cui si ciba.

La casa dello spirito La grande famiglia delle asana, o posizioni, ovvero della pratica fisica dello yoga, si chiama Hatha yoga e rappresenta un inizio… È una scienza complessa nata attraverso anni e anni di sperimentazioni dei saggi dell’India antica. Essi volevano riportare il corpo dell’uomo in armonia, allineato e aperto alla vita. Nell’Hatha yoga il corpo viene concepito come la casa dello spirito e uno squilibrio del corpo traduce semplicemente uno sbilanciamento a livello più profondo. Tutto è connesso. Quindi, ricercando un’armonia nelle posizioni e nei movimenti fisici, automaticamente, ci si avvicina a un equilibrio interiore. Il respiro connette la materia fisica a quella sottile. È l’energia vitale che collega il corpo, lo spirito e il cosmo; da qui la sua importanza centrale nella pratica fisica dello yoga.

Da un respiro all’altro, di posizione in posizione, sul tappetino ritroviamo centratura e connessione. Ogni asana permette di aprirsi sia energicamente sia fisicamente, stimola le funzioni fisiologiche del corpo ed esercita specifici effetti terapeutici. Per questo motivo, la sua pratica, oltre a prevenire molte malattie, permette di alleviare e guarire stati psico-fisici di malessere: dall’ansia alla depressione, dal sovrappeso all’insonnia, dal mal di schiena all’emicrania. L’aspetto meditativo è centrale, la pratica dell’Hatha yoga è un invito a muoversi con piena consapevolezza.

Cellule vibranti Oltre all’Hatha esistono cinque altri sistemi di yoga: Raja, Bhakti, Jnana, Kriya e Karma ecc., ognuno focalizzato su un approccio particolare. Oggi però, l’Hatha yoga è il punto di approdo a cui giungono molte delle persone che ricercano una vita più equilibrata e serena.

Lungo le strade del mondo si trovano poi ogni tipo di studi e di insegnanti. Partendo dalle pratiche più tradizionali sono state sviluppate moltissime varianti che rispondono alle diverse inclinazioni personali. Dall’Ashtanga più tradizionale alle pratiche fluide e aerobiche di stampo californiano fino alla scarica di endorfine dello yoga della Risata.

Dal lavoro energetico del Kundalini yoga all’espansione acrobatica dell’Akroyoga, fino all’irriverente Naked yoga.

Il consiglio è di sperimentare fino a trovare quello che rende felice il nostro cuore e vibranti le nostre cellule. Lo yoga è un ponte che, poco a poco, ci riporta in contatto con noi stessi, con il respiro, il corpo, il sentire. Ma attenzione: potreste uscirne trasformati!

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Paure in rete

Quali sono le fobie che le persone confessano di più nella grande rete globale? L’abbiamo testato col motore di ricerca Google, per scoprire che... di Marco Jeitziner

Media 10 Io non ho paura (beta.tpo.bo.it)

L’anno scorso l’autore spagnolo Juan José Millás scrisse un articolo1 tanto ironico quanto spietato a cui ora mi ispiro.

Ho acceso il computer, mi sono collegato a Google e ho digitato “ho paura di...”. Ho fatto questa prova un anno fa e l’ho ripetuta di recente. Ho ottenuto in ordine i seguenti risultati: “ho paura di essere incinta”, “ho paura di morire”, “ho paura di tutto”, “ho paura di avere un tumore”. Non so se con altre espressioni otterremmo lo stesso esito, e nemmeno so come mai siano proprio queste paure le prime a comparire sullo schermo. Il risultato, potete verificarlo, cambia spesso, così come la quantità di esiti. Il perché qui non ci interessa.

La maternità crea ansia Con “ho paura di essere incinta” Google ha trovato circa 350mila risultati. Noi uomini non possiamo capire, ma sorprende un po’ che sia proprio questa la prima fobia nel terzo millennio. Immagino siano donne giovani a cui non è stato forse spiegato a sufficienza cosa sia la maternità, cosa comporti e, soprattutto, come la si può evitare (?).

Se l’Italia, per esempio, le statistiche dicono stia conoscendo un aumento di “ragazze madri”, questo sarebbe dovuto in maggioranza alla presenza di donne straniere. Inoltre, la Penisola figura tra i paesi europei in cui la maternità è più tardiva che altrove. L’affermazione nasconde dunque altre letture. Queste donne vorrebbero essere incinte ma non lo sono ancora? Oppure già lo sono e temono per loro

stesse e il nascituro, ammesso che lo vogliano? Confesso che mi sento un po’ demoralizzato. Gli antichi egizi già quattro millenni fa scoprirono i primi anticoncezionali, eppure... Sembra che ciò sia il frutto ignobile non solo dell’ignoranza nella nostra società così “informata”, ma anche della tendenza a reprimere tutto ciò che è naturale, compreso il dolore e la gioia del parto.

Cercare risposte nel caos della rete è certo segno dei tempi, ma spesso nasconde soltanto solitudine e abbandono e, appunto, tanta ignoranza mai colmata da genitori ed educatori. In un celebre film si dice che “da un grande potere derivano grandi responsabilità”, perciò è normale che faccia paura. Ma se questo grande potere è il più grande di tutti, cioè il dare la vita, ed è prerogativa femminile, di quale responsabilità stiamo parlando? Temere la creazione della vita non equivale forse a temere la sua fine?

La morte che spaventa Proprio la morte è la seconda preoccupazione più comune, stando ai 320mila e rotti risultati sciorinati dalla rete.

Potremmo anche scartare le prime migliaia, ma nessuna sorpresa in una società in cui la spiritualità è in caduta libera e il materialismo impazza. Qual è lo scopo di esteriorizzare questo disagio lontano da tutto e da tutti? Non avrebbe più senso dirlo in faccia a qualcuno? E chi sarà mai questo migliaio di fifoni registrati da Google o da Yahoo?

Prima di internet si dichiarava di temere la morte nel segreto di un confessionale, nello studio dello psicanalista, al bar ecc., mica in questo oceano digitale indefinibile. Se chi dice alla rete di temere la morte è una persona in salute, forse gli converrebbe davvero uno psicanalista. Se invece è ammalato o soffre di un male incurabile, gli sarebbe più utile trovare la forza e la motivazione per continuare tra i suoi cari e nella bellezza del mondo, invece di compiangersi.

Tra il dire e il fare ce ne passa, certo, ma ti rende forse diverso, migliore o peggiore di altri, cercare in rete chi ha paura di morire come te? E se questi timorosi fossero invece persone che la morte se la vanno a cercare di proposito, maltrattandosi coscientemente e scavandosi la fossa da soli?

Tutto fa paura La categoria peggiore di questo esercito di timorosi è proprio quella di coloro che affermano di aver “paura di tutto”: oltre sette milioni i risultati mostrati. Possiamo anche rispettare il fobico, l’ansiotico e il paranoico, ma non v’è scemenza più grande di affermare che si ha paura di tutto.

Preoccuparsi per tutto non ha senso, perché è impossibile, essendo quel “tutto” imponderabile e quindi inesistente.

Affermare di temere “tutto” implica non conoscere niente, quindi non avere un cervello, ovvero non essere mai nati, non esistere. Significa non concepire tutte quelle risorse di cui l’umano è ricco, dall’incredibile forza d’animo alla reattività dell’istinto, per natura, in quanto mammiferi. Vuol dire ignorare la prodezza e la temerarietà sia mitologica sia contemporanea della nostra discutibile ma pur sempre millenaria cultura. A questi milioni di pappemolli, spaventati anche dai colori e dagli odori, dalla luce e dall’armonia, dico: così non caverete mai un ragno dal buco, anche perché, va da sé, sicuramente siete anche... aracnofobici!

Paura del cancro Con “ho paura di avere un tumore” ecco comparire oltre 500mila risultati. Mi pare l’ansia forse più sensata e comprensibile di tutte. Chi ha (o ha avuto) un parente o un conoscente che vive (o ha vissuto) questo dramma, lo sa

molto bene. Chi lo ha scritto (e lo scrive) nella rete cerca conforto e comprensione da chi è nella stessa situazione.

Tuttavia non mi è chiara la lettura: o la dichiarazione è dubitativa (non so se ho il cancro) o è affermativa (ce l’ho).

Nel primo caso suggerisco a questa persona di recarsi a fare degli esami e delle analisi serie, per accertarsi del suo stato fisico. Nel secondo non potrei che provare comprensione per questa sventura di cui conosciamo ormai le cause di insorgenza, pur tenendo conto del fatto che si può ridurre il rischio di incorrervi e non dimenticando di dire che in certi casi il tumore è guaribile.

Le altre paure Ho accennato all’inizio che, un anno fa, erano presenti altre paure in classifica. Tra queste, “ho paura di perdere il mio ragazzo” (oggi oltre 200mila esiti): potrebbe trattarsi di giovani donne o omosessuali maschi in crisi di autostima, particolarmente sensibili, insicuri ecc. Il fatto che questo timore oggi non figuri più nell’elenco suggerisce forse che la capacità delle persone di gestire la coppia è migliorata? O che tutti si autostimano di più? Oppure che, al contrario, le cose vanno peggio di prima e che vi è maggiore solitudine e meno relazioni sentimentali?

Un’altra gettonata fobia era “ho paura di fare l’amore” (oggi quasi 500mila esiti) e, da qualche settimana “ho paura di essere gay” (oltre 400mila risultati). La comparsa di questo ultimo timore non mi rallegra affatto. Bene se gli ansiosi dell’accoppiamento fisico ed emotivo sono diminuiti, altrimenti possiamo, ahi noi, ipotizzare una cosa sola, e cioè che sta vincendo lei, la paura, tout court.

Tanto vale allora la spietatezza provocatoria e triste di Millás, quando scrive: “ma lo sai cos’è la paura, figlio di un cane? (...) Tu non hai nessuna idea di cos’è, te lo dico ciecamente”. Insomma, hai mai avuto davvero paura? Di perdere il lavoro, di non poter mangiare, di non poter uscire di casa, di venire ucciso ecc.? Io e Millás crediamo di no. E voi?

Media 11

note 1 “Amina alifática” (El Paìs, 27.7.2013).

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Nuovi mostri

Labbroni siliconati, liposuzioni laser, ciglia da Bambi, maxisederi. Rimodellarsi è diventata una nuova prerogativa umana. Ma chi bussa alla porta del chirurgo plastico? Tutti di Duccio Canestrini

Mundus 12

Ragazzine, neomamme, signori: dopo il boom della mastoplastica additiva (leggi: ingrandimento del seno, mai tramontata per quanto riguarda le signore) è il momento del gran sedere. I reggiseni push-up hanno fatto scuola e ora ci si concentra sui glutei, che devono profilarsi come cuscini da salotto, gonfi e scultorei.

La ridefinizione del corpo è sempre in chiave di una maggiore attrattività erotica.

Che i modelli provengano dal mondo dello spettacolo, dallo show business, è ovvio. La pornografia che utilizza la chirurgia estetica quasi di diritto, verrebbe da dire, mette in primo piano rotondità che dovrebbero essere “perfette”, e così fanno i videogiochi dove le protagoniste femminili sono tutte sexy eroine. È dunque un mercato maschile? Forse, ma con molta compiacenza femminile. Perché gli usi e i costumi non hanno genere, sono cogenerati e condivisi.

Purtroppo, “coloro che si identificano con la bella presenza, la forza fisica e le loro capacità, soffrono quando tutto ciò comincia a indebolirsi, come naturalmente accade”. Beninteso, evitare l’identificazione con il proprio corpo, non significa necessariamente trascurarlo o disprezzarlo.

La chirurgia cosiddetta estetica, in realtà, non ha limiti.

Ci possiamo scandalizzare per l’improvvisa comparsa dei labbroni siliconati delle presentatrici televisive o della vicina di casa, ma intanto tra gli pseudo-punk di mezzo mondo sono diffusi cornetti da applicare sottocute sulla fronte, piercing sulla lingua e inanellamenti genitali vari (sia per gli uomini sia per le donne).

“Sono come tu mi vuoi…”

Tutta la fantascienza, del resto, preconizza lavorazioni e mutazioni artificiali del corpo umano, impianti di bioingegneria: dita sovrannumerarie, chip di memoria, cuori di ricambio, dentiere Fuggire incorruttibili, iridi cangiandalla normalità? ti, occhi telescopici, muscoli Certo, il mercato gioca soSegni particolari: tre seni… (uptownmagazine.com) d’acciaio e articolazioni bioprattutto sull’insicurezza della donna, la induce a cambiare parti di sé, perché la niche. Ciò che oggi appare bruttura o bizzarria, probabilnormalità non le farà incontrare nessuno che la desideri mente non lo sarà fra cento anni. veramente. Parliamo dunque di relazioni uomo-donna Se per il vecchio film di fantascienza Atto di forza (Total istintive, e piuttosto superficiali. Come va predicando ormai recall il titolo originale) su Marte è possibile incontrare una da cinque anni Lorella Zanardo, coautrice della videoin- venere tritettuta, quella fantasia oggi è quasi realtà. Ha fatto chiesta intitolata Il corpo delle donne, mentre aumentano notizia la signorina Jasmine Tridevil (cognome vagamente le ragazze che studiano e che si laureano, parallelamente sospetto) che questa estate ha diffuso sul web con selfie “cresce una generazione televisiva cibata di tette e culi. La tivù, vari e una notevole dose di orgoglio le fotografie del suo ma non solo. La pubblicità non è da meno, con testimonial triplice seno. Non molto attraente, per la verità, ma questa è un’opinione personale… Si è poi scoperto che la ragazzotta sempre più giovani e sempre più ammiccanti”.

Secondo il filosofo Eckart Tolle, autore del bestseller intito- (il cui vero nome è Alisha Hessler) era solo in cerca di un lato Un nuovo mondo (Mondadori, 2008), le persone, belle o po’ di notorietà e i suoi seni una protesi da indossare per brutte che siano, traggono una parte importante della loro ingannare il pubblico. identità dal corpo. In occidente è l’aspetto fisico, il corpo, Resta il fatto che la chirurgia estetica rende tutti uguali. a contribuire enormemente al senso di chi crediamo di La norma è l’appiattimento sullo standard canonico della essere; la sua forza o la sua debolezza, la sua bellezza o la bellezza. La vera mostruosità, oggi, è caso mai la mancanza sua bruttezza, così come appaiono agli occhi degli altri. di diversità.

Letture Dimmi che esisto! di Giancarlo Fornasier

I capricci, infantili e adolescenziali (non di rado presenti anche negli adulti) sono modi per attirare l’attenzione. Soprattutto quando le figure di riferimento – i genitori nel caso dei bimbi – sono tendenzialmente indulgenti e protettivi: appena una richiesta si manifesta, questa viene subito soddisfatta nel timore che possano nascere reazioni che destabilizzano un momento di “pace familiare”. Così come nella vita lavorativa e sociale degli adulti, con bambini e adolescenti soddisfare richieste specifiche è assai più semplice che negare qualcosa. Ma le conseguenze sul rapporto educativo e sullo sviluppo della personalità sono negative: i genitori (seguendo una linea di comportamento e coerenza comune) devono saper dire “no”, anche se la negazione conduce a un disagio (momentaneo) nel piccolo, il quale deve comprendere che niente di ciò che ottiene è scontato. Un insegnamento che tornerà assai utile una volta adulto.

Il volume della psicoterapeuta infantile Asha Phillips – un classico da più parti consigliato

a genitori ed educatori – spiega e mostra attraverso esempi concreti l’importanza non solo di saper dire dei “no”, ma soprattutto quando e in che modo questi devono essere detti, e come reagire di fronte alle frustrazioni che inevitabilmente il bambino/ragazzo esternerà. Come bene spiegato da Phillips, il fenomeno dei capricci è la manifestazione di meccanismi molto complessi che coinvolgono la vita mentale e relazionale del bambino, ma anche quella dei genitori e, conseguentemente, della relazione tra il bambino e l’adulto che in quel momento lo accudisce. Sono insomma espressione di bisogni, come quelli d’amore e di rassicurazione di fronte a un atteggiamento (involontario) di distrazione. Ma anche il capriccio come “test” del proprio potere sugli altri, e dunque una prova a se stessi di essere dei soggetti autonomi... O ancora, più semplicemente, un modo per segnalare la necessità che gli altri riconoscano la propria presenza, e non tanto per ottenere materialmente l’oggetto prima tanto desiderato.

I no che aiutano a crescere di Asha Phillips Feltrinelli UE, 2005

Quasi una persona su sei soffre di problemi allo stomaco Spesso le persone colpite si sentono a disagio, quando si tratta della loro digestione, in particolare se si manifestano disturbi come flatulenza, senso di sazietà o mal di stomaco. Oggigiorno i disturbi nella digestione sono tra le cosiddette malattie del benessere più frequenti, che si verificano prevalentemente nei paesi industrializzati. In Svizzera quasi una persona su sei soffre di disturbi all’apparato digerente. Di frequente sono gli anziani i più colpiti.

Problemi digestivi come reazione del corpo Gli organi coinvolti nella digestione sono molto sensibili e perciò anche soggetti a disturbi e a frequenti irritazioni. In molti casi non è possibile identificare le cause dei problemi digestivi mediante esami diagnostici come l’ecografia, la gastroscopia, la colonscopia e l’esame delle feci.

Questo dipende dal fatto che i problemi digestivi sono provocati con grande frequenza da stress, irrequietezza, pressione psicologica sul rendimento e scorrette abitudini alimentari e di vita.

Spesso l’apparato digerente può anche reagire in modo ipersensibile ai pasti abbondanti o ai cibi particolarmente piccanti, acidi o dolci, al consumo di nicotina, caffeina e alcol o ai medicinali che possono causare disturbi acuti. I primi sintomi fisici di un sovraccarico dell’apparato digerente si manifestano spesso sotto forma di flatulenza, senso di sazietà o dispepsia.

La strada naturale verso una digestione sana Una digestione insufficiente sovraccarica l’organismo di sostanze non digerite o assorbite male. Una digestione sana è quindi il punto di partenza fondamentale per un corpo sano. Per mantenersi sani, si raccomanda di fare sufficiente attività motoria, avere un’alimentazione bilanciata e facilmente digeribile, bere molta acqua o tè senza zucchero ed eseguire degli esercizi di rilassamento.

Un supporto efficace alla digestione è rappresentato dai preparati vegetali.

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Favorisce un sano svuotamento gastrico (in caso di rapido senso di sazietà) e aiuta la digestione, armonizzando efficacemente l’attività del condotto intestinale grazie al preparato vegetale. In caso di disturbi acuti, è possibile assumere subito 2-3 capsule mentre in caso di tendenza a dispepsia può essere impiegato come terapia per più settimane. Non somministrare ai minori di 18 anni.

PADMA AG

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U

n momento chiave nella mia vita è stato quando ho potuto unire le mie due grandi passioni, l’attività fisica e la scrittura, cominciando a scrivere storie che trattavano di sport. Ho trascorso una vita all’insegna dell’attività fisica e dei libri, della sapienza del corpo e di quella della mente. Penso che l’una alimenti l’altra.

L’altro mio centro di interesse è l’insegnamento.

Oggi che sono docente, giornalista e scrittore posso dire di aver fatto nella vita quello che desideravo veramente e che era nella mia natura.

Partiamo dallo sport.

Questa passione è nata da bambino, quando la sera giocavo con gli amici per strada, nel quartiere. Si costruivano capanne, si giocava a calcio, si andava in bicicletta. Una vera scuola di vita, dove ci si organizzava da soli, tra ragazzi. In gioventù ho praticato diversi sport: judo, ginnastica, nuoto, pallacanestro e infine triathlon. C’è, o ci dovrebbe essere, una spinta interna che porta a un’evoluzione anche nello sport, verso una maggiore consapevolezza. Io l’ho trovata negli sport di resistenza, soprattutto nel triathlon, una disciplina che si suddivide tra nuoto, bicicletta e corsa. Se all’inizio lo sport per me era soprattutto gareggiare, con il tempo mi sono scrollato di dosso la competitività, per apprezzare altro: la soddisfazione di raggiungere un obiettivo e quel benessere indescrivibile che regala l’attività fisica. Lo sport mi ha dato tanto: soddisfazioni vere e sincere, essenzialità, un senso grande e profondo di libertà, ma soprattutto salute e benessere. E poi mi ha dato l’ispirazione per scrivere i miei libri.

Per quanto riguarda la scrittura e lo studio in generale, da ragazzo ho vissuto l’approccio alla cultura in maniera un po’ “meccanica”, più per dovere che per piacere. Dopo le scuole magistrali ho studiato filosofia per diventare bibliotecario, ed è stato durante la preparazione del mio lavoro di diploma alla Biblioteca nazionale di Berna che è avvenuta la svolta: ho provato quel piacere fine a se stesso di conoscere, di confrontarsi con il pensiero degli altri per costruire la propria verità e individuarsi meglio come persona. In quel momento, da ricettore passivo

nell’ambito del sapere, sono diventato insaziabile fruitore di dati, notizie e aneddoti di ogni tipo.

Prima attraverso i libri e le enciclopedie, poi sempre di più attraverso il web. Da questa esperienza è nato il desiderio di aiutare i ragazzi nei loro studi e così ho preparato un manuale di consigli su come svolgere le ricerche a scuola (Fare ricerca a scuola): un’attività, quella della ricerca, che può dare ai ragazzi grandi soddisfazioni e dare un senso al loro studio. In seguito ho scritto altri libri, tra cui quello storico sul mio quartiere di Breganzona, e poi libri dedicati allo sport, primo fra tutti quello sul triathlon. In seguito sono usciti i libri di racconti e delle descrizioni dei miei tour in bicicletta attraverso la Svizzera e infine sono arrivati la Filosofia del Jogger e A-Z fitness, un pront ua r io su sa lute e benessere che punta ad apprezzare il movimento al di là dell’aspetto competitivo. Due anni fa ho iniziato anche a tenere un blog che mi sta dando grandi soddisfazioni.

Mi hanno definito il “filosofo del benessere”: una definizione nella quale mi riconosco. Ma il benessere per me non significa semplicemente agiatezza, o assenza di malattia. È anche questo, ma il concetto è molto più ampio e comprende lo sforzo, la capacità di mettersi in gioco, l’impegno per ottenere un obiettivo davvero voluto. Alla base del benessere c’è un percorso consapevole che mira a tirar fuori il meglio di sé, un po’ come, nell’antica Grecia, la coltivazione dell’areté: l’eccellenza umana. Il termine areté tradotto indica la “virtù”, ma il significato è più vicino a “essere il meglio che puoi”. In altre parole, promuovere l’areté significa che ognuno deve assumersi la responsabilità di dare il meglio di sé, di esprimere al massimo le proprie potenzialità. A mio parere questo concetto dovrebbe essere il punto di riferimento nei programmi scolastici e nello sport. Io cerco di promuovere questa idea di fondo nei miei libri, anzi, tutto il mio percorso esistenziale si è mosso in questa direzione.

NICOLA PfUND

Vitae 14

È stato definito il “filosofo del benessere” perché è riuscito a conciliare la passione per lo sport e il talento per la scrittura, la salute del corpo e quella della mente

testimonianza raccolta da Roberto Roveda fotografia di Flavia Leuenberger

Takeaway Vegan

di Keri Gonzato; fotografie ŠReza Khatir

A

volte un luogo comune, apparentemente come molti altri, si trasforma in uno spazio di trasformazione. Parliamo di “fast-food”, ovvero di un luogo in cui il cibo è preparato con velocità e servito al volo, anche se nel nostro caso si tratta di un caso piuttosto particolare.

In questo scambio veloce infatti, assieme al cibo, viene trasmesso un messaggio, “viene mostrata un’alternativa”, ci conferma Laura Crocitori del Natural Food di Lugano, dove si servono alimenti vegetariani e vegani.

Nonostante questo tipo di offerta rappresenti una novità alle nostre latitudini, il fatto che i locali con questo orientamento siano in crescita e ben frequentati dimostra che molte persone sono pronte al cambiamento, e rivela la curiosità e l’apertura che parte della popolazione ha rispetto a modi alternativi di nutrirsi e di vivere. In altre parole, più sani, leggeri e in armonia con l’ambiente e gli animali.

“credo che Avere LA terrA e non rovinArLA siA LA più beLLA formA d’Arte che si possA desiderAre” Andy WArhol

LA rispostA A unA richiestA Lo confermano i copiosi commenti dei clienti di Natural Food sulla pagina Facebook: “Finalmente un fast food sano come dio comanda, ci voglio andare al più presto, e daiiii andiamoci tutti: ci saziamo con un occhio alla nostra salute”, commenta una di loro. “Focaccia al «tonno», capperi, olive e salsa rosa. Tutto naturale, buonissimo e cruelty free. Cosa si vuole di più dalla vita? A presto per altri assaggi!”, ribatte un altro cliente. Il tonno è messo consapevolmente tra virgolette per sottolineare che si tratta della versione cruelty free alla soya, che lascia sguazzare i veri pesci nell’oceano.

A Lugano, sia da Natural Food con il suo cibo 100% vegan sia da Sapori Bio 100% bio e veggy/vegan, sul mezzogiorno c’è sempre il pienone… In fila per un pasto equilibrato si ritrovano l’impiegato di banca trentenne e l’insegnante di yoga, lo studente del liceo e l’ottantenne curioso, la famiglia alternativa e l’operaio in pausa pranzo.

Edy

Giulia

Martino

sopra: lo spazio di vendita di Natural Food, Lugano; in apertura: Laura

Marcello

Alcuni giorni or sono passando, da una panchina del Quartiere Maghetti ho sorriso, notando due signore eleganti sulla sessantina che addentavano con gusto due tranci di pizza al taglio vegan. Con un misto di stupore e contentezza, mi sono convinta che il mondo forse sta veramente cambiando… Le persone scelgono questi templi del cibo sano perché sanno che lì è possibile gustare un pasto “rapido e indolore” e, possibilmente, preparato con amore. E l’amore lo mettono coloro che si sono lanciati in attività come queste che, oltre a creare lavoro, mirano a migliorare il pianeta in cui viviamo, proponendo alle persone una via diversa e una qualità di vita migliore.

“Natural Food nasce da un sogno”, ci spiega il suo fondatore Edy Rinaldo, “il sogno di poter accontentare i palati più raffinati con due semplici intenti: un pasto veloce, ricercato e con la qualità assoluta spendendo il giusto… E, il secondo, offrire tutto ciò senza sofferenza, per la terra, per gli animali e per noi”. Il suo desiderio era di dimostrare quanto sia facile mangiare con gusto senza sofferenza, con pochissimi grassi e zero colesterolo. A suon di dépliant informativi liberamente offerti sul bancone, hamburger, sushi e pasticceria 100% vegetali ci sta riuscendo. (...)

Marcello

Dalila

La via naturaLe Laura, come tutti i suoi colleghi, è vegana da due anni, una scelta dettata dal desiderio di rispettare gli animali oltre che di stare meglio con il proprio corpo. Nell’ultimo anno è diventata al 99% crudista. “Si tende ad andare sempre più vicini alla natura. La pianta produce frutta, l’uomo va alla pianta e coglie il frutto maturo per ricavarne vitamine e altre sostanze fresche per il suo nutrimento”, racconta con calma.

Il desiderio di nutrirsi in modo più naturale è una tendenza tanto locale quanto globale.

Lo scorso agosto, in una conferenza americana dedicata allo sviluppo della ristorazione, la maggioranza degli chef era d’accordo: la prossima grande tendenza saranno i ristoranti, fast-casual e assolutamente sani. Un trend che risponde direttamente a una situazione globale in cui le preoccupazioni ambientali sono sul menù ogni giorno. Lo scorso martedì 13 ottobre persino il Pentagono ha rilasciato un rapporto

enunciando in modo decisivo la gravità delle conseguenze del cambiamento climatico che, se non verrà contrastato, porterà all’aumento delle malattie infettive, della povertà globale, di catastrofi naturali e di carestie.

La speranza è che la coscienza collettiva si stia davvero risvegliando con un moto che dall’Ego ci porta verso l’Eco… La situazione attuale richiede che dalle preoccupazioni personali ci si sposti verso un approccio collettivo, in cui si agisce nella consapevolezza che tutto è connesso e che ogni scelta, dal modo in cui ci si nutre a ciò che si indossa, dalle modalità di spostamento nello spazio a quella con cui si scalda la casa, ha la sua impronta ecologica.

Anche l’esperienza raccontata in queste pagine mostra che qualcosa sta accadendo. Abbiamo scoperto un mondo che accoglie, come una boccata d’aria fresca, le alternative. Sono, seppur piccoli e locali, segnali di speranza e di cambiamento.

Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951 è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Minusio ed è, fra le altre cose, docente presso la SUPSI. khatir.com

Rinaldo

Dentista. Ansia bianca di Marco Jeitziner; fotografie di Flavia Leuenberger

e attendi. Ecco il tuo turno, superato grazie alla notizia del nuovo fidanzato della valletta della TV o del nuovo collutorio per la bocca consigliato da una rivista di settore. La cordiale “aiuto dentista” di bianco vestita e con le “crocs” di gomma (bianca, ovviamente) ai piedi, chiama il tuo nome, ti alzi e ti incammini verso l’antro del medico.

studio dentistico, dentario od odontoiatrico, lo vorremmo tutti evitare, eppure consigliano di frequentarlo almeno una volta l’anno. Almeno. A fare cosa, dipende da voi, cioè da cosa mangiate e da quanto vi preoccupate dei vostri bei trentadue denti. Nella finzione non ricordo un solo film in cui la sua funzione preventiva e riparatrice venisse rappresentata in modo positivo. Rammentate la famosa scena de Il maratoneta in cui un giovane Dustin Hoffmann viene torturato da un perfido Laurence Olivier che gli perfora un dente con uno specillo odontoiatrico?

Quella sequenza deve aver contribuito non poco all’angoscia collettiva rispetto a questi luoghi (un po’ come nuotare in mare al largo dopo Lo squalo). E poi c’era Steve Martin, dentista pazzo in La piccola bottega degli orrori, il Rubini in Denti di Salvatores ecc.

Piccole imprese Andrà bene, pensi, andrà bene, sei nelle mani di un professionista, gente che ha studiato lunghi anni, e speri soltanto che lo zucchero che hai messo quella sola volta nel caffè non sia l’inizio della fine. Comodissima la poltrona reclinabile, anatomica, elettronica, dove letteralmente ti giochi la dentatura e il portafogli. Lo studio è uguale alla saletta, stesse tende, stesso mobilio, stesse piante, stessa musica. Quando si è bambini c’è un giocattolo o, se non erro, un dolcetto per allontanare la paura; da adulti niente di tutto questo, solo il prossimo appuntamento.

Scorro l’elenco telefonico e noto che in Ticino gli studi dentistici non mancano di certo: pare siano almeno trecento!

“Il mercato è ormai saturo e la lotta per conquistare possibili quote di mercato si fa sempre più agguerrita” si legge in un sito sul tema. Un tempo i dentisti, non così numerosi come oggi, pare accogliessero frotte di pazienti, ma “la pressione della concorrenza aumenta costantemente, mentre la fedeltà dei clienti diminuisce”.

Sono le regole del mercato, no? Eppure, di fronte a una certa stagnazione demografica, il numero degli studi dentistici in Svizzera pare sia in continuo aumento, ma la domanda, al contrario, rimane costante.

Dentro lo studio Finzioni a parte, in realtà stiamo parlando di un luogo che tutti conosciamo sin da bambini e di professionisti che, probabilmente, la maggior parte di noi incontrerà per molti anni ancora. Come scrivemmo per le sale d’attesa (Ticinosette n. 18/2014), be’ anche quelle dello studio dentistico si assomigliano un po’ tutte per colore (il bianco calma?) e arredamento (stesso mobilificio?). L’attesa c’è ed è per tutti: personalmente non ricordo un solo appuntamento in cui il controllo sia avvenuto all’orario prestabilito. Per questo mi chiedevo: ci sono forse troppi pazienti per ogni dentista?

C’è la musichetta (meglio classica che rasserena, oppure del rock che galvanizza...) e letture mai davvero interessanti.

Se ti va bene sei da solo, quindi niente imbarazzo per lo sguardo di altri pazienti. Se ti va male, saluti gentilmente anche se spesso non ottieni risposta, abbassi lo sguardo

Tra i migliori Dietro a ogni studio dentistico c’è anche una “mentalità imprenditoriale”, leggo sempre nel sito, ma allora forse c’è qualcosa che non va, e non penso sia colpa solo dei dentisti ungheresi che qualcuno va a trovare per risparmiare. E poi tra carie, gengiviti e paradontiti, son certo di non essere l’unico a essersi chiesto: ma ai dentisti chi glielo fa fare di passare le giornate dentro la bocca della gente? C’è da stimarli, perlomeno. Leggo che è un mestiere vecchiotto (le prime pratiche relative a cure dentali pare risalgano al Neolitico) ed esposto a certi rischi (chimici a causa di resine e amalgame a base di mercurio, fisici per i raggi ionizzanti delle radiografie, biologici per il contatto con saliva e sangue...).

Eccoli allora gli “eroi” delle dentature elvetiche, formatisi a Basilea, Berna, Ginevra o Zurigo, nove su dieci affiliati alla Società svizzera di odontologia e stomatologia e, pare, tra i migliori al mondo.

Lo Luoghi 44

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Topini all’avventura di Chiara Piccaluga; illustrazione ©Céline Meisser

D Fiabe 46

ue giovani fratelli topini, annoiati di vivere sempre nei paraggi della cantina in cui erano nati, decisero un bel giorno di partire all’avventura in modo da apprendere qualcosa della vita e del mondo. Andarono allora da mamma topina e gli dissero: “Mamma, noi vogliamo scoprire il mondo, vogliamo vedere cose nuove e ci piacerebbe partire per un mese, possiamo?”. La mamma, un po’ preoccupata per la giovane età dei suoi figlioli, a malincuore disse: “Figli miei, non posso impedirvi di partire perché è giusto che voi possiate fare le vostre esperienze, e quale miglior modo se non vivendole sulla vostra pelle. Ma devo avvertirvi che là fuori ci sono molte cose belle ma anche tanti pericoli, quindi ricordate bene le mie parole: siate gentili, attenti e svegli!”.

I due topini tutti eccitati, lasciarono la cantina e si misero in cammino per andare in cerca di avventure. Già il primo giorno incontra-

rono altri due viaggiatori, uno era cordiale e grazioso, l’altro sgradevole e con un aspetto poco rassicurante. Il primo aveva una pelliccia morbida, una coda soffice e lo sguardo gentile mentre l’altro portava sulla testa una cuffia rossa frastagliata e sventolava con forza due strane braccia.

I topini che mai avevano visto né gatti né galli, scapparono da quest’ultimo e fecero amicizia con il gatto. Quest’ultimo, astuto come pochi, li convinse a seguirlo e promise loro una cenetta prelibata a casa sua, una casetta lì vicino dove anche moglie e figli li avrebbero accolti con mooooolto piacere. E infatti così fu, ad attenderli trovarono mamma gatta e tre bei gattini tutti già pronti a leccarsi i baffi: la cenetta prelibata ci sarebbe stata, sì, ma solo per i felini che già vedevano i topini farciti e cotti a puntino.

“Prima di cena potete farvi un bel bagno”, disse papà gatto, “così sarete belli profumati e rilassati per godere appieno delle prelibatezze che mia moglie vi farà assaggiare”.

“Un bagno?”, disse uno dei topini, “di cosa si tratta? Noi non abbiamo mai fatto un bagno”. “È qualcosa di meraviglioso”, replicò il gatto, “il bagno è una grande brocca piena di latte dove potete immergervi per sentirvi meglio, felici e pieni di energia”.

Che gentile, pensarono fra sé i topini, ci vuole così bene questo papà e ci sta trattando come se fossimo i suoi figli.

“Facciamo volentieri un bel bagno”, risposero allora in coro.

Formula comprovata da 1961

A

ppena entrati nella brocca si accorsero subito di non poter più uscire e di essere rimasti intrappolati.

Capirono che quell’essere dall’aspetto gentile non era affatto buono, anzi era proprio cattivo, spietato, tanto da volere la loro morte. I topini ricordarono le parole della mamma, di fare attenzione ed essere gentili, e in effetti lo erano stati, ma anche di essere svegli e questo gli diede tanta forza che si misero a nuotare freneticamente per cercare di non andare a fondo. Dopo un bel po’, entrambi allo stremo delle energie, accadde qualcosa di miracoloso: di colpo, il latte, agitato in quel modo, si trasformò in burro, e così i fratellini riuscirono a sollevarsi e ad arrampicarsi oltre l’orlo della brocca.

Una volta fuori, se la diedero a gambe levate.

Tornati immediatamente a casa, raccontarono la loro disavventura alla mamma, la quale replicò: “Figli miei quello che vi pareva tanto simpatico era un gatto, il peggior nemico dei topi. Vi ha corrotti con astuzia e furbizia per portarvi a casa sua e fare di voi il boccone da mettere nelle fauci della sua famiglia. L’altro era un gallo, nonostante le apparenze, non farebbe nemmeno un graffietto a noi topi e di certo non ci mangerebbe”.

I topini in un solo giorno compresero almeno due lezioni importanti: la prima è che non vanno mai giudicati gli altri in base al loro aspetto e alle apparenze, ma bisogna avere la lungimiranza di guardare oltre. Un’altra cosa che appresero è che quando tutto sembra perduto, quando pare non ci siano più speranze, non bisogna arrendersi e disperarsi ma rimanere saldi e perseverare, perché la soluzione esiste se si crede fermamente nelle proprie risorse.

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bio-strath.ch

E li chiamano passeggini…

Tendenze p. 48 – 49 | di Amanda Pfändler

C

apita a tutti i futuri genitori: prima o poi si trovano a fare i conti con un’indispensabile e inevitabile tappa nel cammino verso la genitorialità: la scelta del passeggino. E così inizia l’odissea: da strada, da viaggio, da campagna, con tre/quattro/sei (!) ruote, duo/trio, doppio, gemellare, fratellare (eh sì, esiste anche questo!). C’è da diventare matti, non solo per la quantità e la varietà di modelli sul mercato, ma anche per i costi di queste piccole astronavi cui manca solo il reattore.

Così gli ignari futuri papà e mamma iniziano la ricerca del passeggino “perfetto”: chiedono agli amici, guardano nei negozi, leggono recensioni e commenti su internet. Le mamme s’informano con (quasi) maniacale attenzione su caratteristiche, optional, particolarità di ciascun modello – È sicuro? Si chiude facilmente? Quanto pesa? È sfoderabile? – mentre i papà guardano all’ingombro, alla linea, al raggio di sterzata, quasi fosse, più che un passeggino, una nuova auto per la famiglia…

IL PASSEGGINO DEL VICINO È (QUASI) SEMPRE MIGLIORE?

Dopo essere riusciti – tra le miriadi di informazioni raccolte – finalmente a scegliere, inizia la fatica vera e propria: istruzioni alla mano, occorre montare il passeggino, capire come si usa, come si lava ecc. Per arrivare alla fine ad alcune inevitabili scoperte. Primo: quasi sicuramente esiste un modello più pratico, versatile, comodo, bello del proprio.

Secondo: i passeggini-astronavi si scontrano con ogni forma di barriera architettonica, dagli ascensori piccoli, ai marciapiedi stretti, agli scaffali nei negozi troppo angusti.

Infine, l’agognato passeggino durerà meno di un anno: la navetta (o carrozzina, culla) verrà usata per tre-sei mesi, l’ovetto (leggasi: seggiolino per la macchina da montare sul passeggino) durerà fino al massimo ai nove, mentre il passeggino vero e proprio sarà utilizzato per circa un anno, anche se nove mamme su dieci passano a un modello più pratico e leggero molto prima. Eppure, alla fine, la verità è che per i primi mesi di vita del proprio bimbo – i più faticosi, spesso – il passeggino-astronave rappresenta un importante e indispensabile aiuto.

Tra la moltitudine di prodotti oggi presenti sul mercato, ecco tre esempi: tra “mirabolanti” caratteristiche, richiami a un’infanzia da principi, gadget di tendenza… e capacità quasi umane.

ABC DESIGN COBRA

Un nome, un programma. Se poi si considera che tra gli altri modelli dell’azienda tedesca troviamo il “Mamba”, il “Turbo” o il “Viper”, è chiaro che ci troviamo di fronte a passeggini dal design super-sportivo.

Si tratta di un modello “trio”, che comprende cioè carrozzina-ovettopasseggino. Tra le caratteristiche che vanta: la tecnologia “memory foam”, grazie alla quale “la seduta si adatta perfettamente al corpo del bambino”, la possibilità di piegare la struttura in modo “rapide, facile e sicuro”, un’ “incredibile facilità nello sterzare” e “la sospensione integrata con tre gradi di rigidità possibili”. Il passeggino è inoltre dotato – tra gli altri - di fodere idrorepellenti, strisce riflettenti per essere visibili di notte, manubrio pieghevole, ruote girevoli.

STOKKE XPLORY

“Il passeggino che promuove il contatto”. È così che viene presentato questo modello-trespolo di fattura norvegese, da tempo diventato divenuto status symbol per bebè “radical-chic”. Insomma, il “must have” di chi vuole unire praticità con design nordico. L’Xplory – si legge sul sito del produttore – “grazie all’innovativa posizione di seduta regolabile, permette di stare vicini al proprio bambino promuovendo l’interazione mentre si esplora il mondo insieme. Il design studiato con cura garantisce la massima facilità di manovra. Fronte genitori o fronte strada, Xplory offre una serie quasi infinita di posizioni di seduta”. Inoltre, tra chi lo consiglia viene precisato che la seduta molto alta permette, per strada, di tenere il bimbo lontano dai tubi di scappamento. Viene proposto con “un ampio assortimento di kit moda”.

INGLESINA CLASSICA

“È la regina delle carrozzine, espressione di un’idea romantica della maternità, perfetta per chi ama le cose che trasmettono stile e personalità”. Dopo che negli ultimi anni a farla da padrone sono stati passeggini dal design sempre più moderno e – talvolta – bizzarro, tra i “fashion victim” sta riscuotendo sempre più successo questo modello vintage, tutto italiano (fatto a mano), ma dal design ispirato “alle tradizionali carrozzine dei principi della corte britannica”. Seppur dallo stile classico, questo modello è in realtà molto moderno.

Sia per quel che riguarda la qualità dei materiali, la sicurezza e la maneggevolezza (si piega facilmente per essere riposto nel bagagliaio), sia perché è comunque da considerarsi un “trio”: oltre alla culla sono disponibili il seggiolino che trasforma la carrozzina in passeggino e l’ovetto auto, rigorosamente “nelle medesime varianti di colore”.

La domanda della settimana

Anche nel 2015 è previsto un generale aumento dei premi di cassa malattia: siete tra coloro che cambieranno il proprio assicuratore?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 30 ottobre. I risultati appariranno sul numero 45 di Ticinosette.

Al quesito “Riuscireste a vivere senza la televisione?” avete risposto:

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Astri ariete L’arrivo di Marte esalta le ambizioni.

Grandi opportunità professionali per i nati nella seconda decade. Promozioni. Tenete la lingua a freno!

toro Il transito di Marte potrà rivelarsi utile per chi sta affrontando una vertenza legale. L’opposizione con Venere vi spinge a vivere una nuova passione.

gemelli Mercurio favorevole: opportunità professionali, notizie in arrivo e incontri con persone più giovani. Luna storta tra il 26 e il 28. Siate riservati!

cancro Dal 27 ottobre in poi Marte entra nel segno opposto del Capricorno minando le vostre risorse energetiche. Restate in attesa senza essere impazienti.

leone Siete alla ricerca di un’idea geniale.

Soddisfazioni dai social network.

Informatizzazione di un’attività professionale. Notizie tra il 26 e il 27.

vergine L’arrivo di Marte e Venere è foriero di opportunità sentimentali. Siete più seducenti e più determinati. Una questione familiare vi rende inquieti.

bilancia Grazie a Venere potete dare un incremento alla vostra vita sociale. Marte fino al 15 sarà favorevole per i nati nella terza decade. Attività proficue.

scorpione Opportunità sentimentali a partire dal 27. Favorite le attività culturali e così la vita sociale. Bene tra il 28 e il 30 ottobre. Meno egocentrici.

sagittario Momenti di popolarità tra il 26 e il 28 ottobre favoriti dal transito lunare.

Possibile inizio di un amore o passione per i nati nella prima decade.

capricorno Il 27 Marte entra nel vostro segno: una grande quantità di energia va canalizzata verso i vostri obiettivi. Scaricate le tensioni attraverso uno sport.

acquario Venere vi rende poco motivati. Volete sentirvi realizzati sul piano creativo a scapito dell’attività professionale.

Opportunità tra il 26 e il 28.

pesci Il transito di Saturno vi spinge a definire le vostre priorità. Venere e Marte sono favorevoli per i nati nella prima decade a partire dal 26.

Gioca e vinci con Ticinosette

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Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 30 ottobre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 28 ott. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. Bere a grandi sorsi • 10. Introito, incasso • 11. Partita a tennis • 12. Infiammazione dell’orecchio • 13. Oriente • 14. Portano tutti al pettine! • 15. Soffio, sospiro • 17. I fatti d’attualità • 19. Si contrappone a off • 20. Rosa nel cuore • 21. Ripetere • 23. L’Essere Supremo • 25. Tipo di ceramica • 26. Atomo • 28.

Proprio così! • 29. Li ripara il gommista • 32. Dittongo in pietra • 33. Più che svelta • 34. Il Bobby della canzone • 35. Cantone svizzero • 37. Associazione Sportiva • 39.

Politico ateniese • 40. Portò gli Ebrei fuori dall’Egitto • 42. I confini di Arogno • 43. Non coltivata • 46. Il Ticino sulle targhe • 48. Dispari in diari • 49. Stelle con la coda • 51. Beneficiano del lascito • 52. Emirato arabo.

Verticali 1. Un solido... decapitato • 2. Rappresaglia, ripicca • 3. Corrode • 4. Bacinelle • 5. Antenate • 6.

Negazione • 7. Li celano i bari • 8. Preside scolastico • 9.

Ente Turistico • 13. Donati generosamente • 15. Il noto Ventura • 16. Leali, corretti • 18. La dea della discordia • 22. Titolo nobiliare • 24. Uno a Londra • 27. Abita il Vecchio Continente • 28. Ben aromatizzato • 30. Si contrappone al bene • 31. La nota Conday • 36. Italia e Spagna • 38. Ecogoniometro • 41. Labili tracce • 44.

Lucri senza pari • 45. Uncino da pesca • 47. Circolano in Giappone • 50. Le iniziali di Montesano.

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Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

Premio in palio: tre Ape card Arcobaleno Ape card è lo strumento ideale per caricare e pagare i biglietti Arcobaleno risparmiando, grazie al plusvalore di ricarica. Maggiori informazioni su www.arcobaleno.ch/apecard

Arcobaleno mette in palio una Ape card da CHF 50.– a tre fortunati lettori che comunicheranno correttamente la soluzione del Concorso.

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Ruf Lanz

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Anche in futuro chiarezza fin dalla prima ora: cucine e bagni Sanitas Troesch.

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Visitate le nostre esposizioni a Basel, Biel/Bienne, Carouge, Chur, Contone, Cortaillod, Crissier, Develier, Jona, Köniz, Kriens, Lugano, Rothrist, Sierre, St. Gallen, Thun, Winterthur e Zürich. Panoramica dell’azienda su: www.sanitastroesch.ch