Ticino7

№ 6 del 6 febbraio 2015 · con Teleradio dall,8 al 14 feb.

LE A I SPEC

A I L G I M A F

Corriere del Ticino · laRegioneTicino · Tessiner Zeitung · chf 3.–

SPINAS CIVIL VOICES

ROULETTE AFRICANA L’acqua contaminata rende ogni sorso un rischio mortale.

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Ticinosette allegato settimanale N° 6 del 6.2.2015

Impressum Tiratura controllata 66’475 copie

Chiusura redazionale Venerdì 30 gennaio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

4 Letture Giovanni Orelli. Il brusio del mondo di dAniele BernArdi .............................. 7 Levante Culture. L’Islam della gelosia di mArco Alloni ............................................ 8 Visioni Erik Bernasconi. Nel mirino di nicolettA BArAzzoni ........................................ 9 Scienza Orientamento. Perduti in sé di mAriellA dAl fArrA ..................................... 10 Vitae Jean-Jacques Rousseau di roBerto rovedA ...................................................... 12 Reportage Ritratti di famiglia di GiAncArlo fornAsier; foto dell’Archivio di stAto...... 37 Luoghi Sala parto. Il passaggio di dAniele fontAnA; foto di rezA KhAtir..................... 42 Tendenze Giocattoli. L’indistruttibile Joe di Ben zej ............................................... 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Minori: genitori 2.0

di

AmAndA Pfändler.........................................................

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

A tu per tu Illustrazione ©Bruno Machado

Il mondo in tasca Interamente dedicato alla famiglia, questo numero di Ticinosette si apre con un approfondito articolo di Amanda Pfändler su un tema difficile e delicato: quello del libero accesso a internet da parte dei nostri figli e della loro sicurezza a riguardo. Lo spunto, come indicato, scaturisce dalla pubblicazione di un bel saggio di Alessandro Trivillini, Gianni Cattaneo e Ilario Lodi (Genitori nella rete - Manuale d’uso in prospettiva tecnologica, pedagogica e giuridica, Armando Dadò, 2014).

In qualità di genitore di un minore, spesso mi sono trovato a riflettere sulla pervasività che oggi contrassegna il web grazie alla moltiplicazione e alla diffusione dei supporti che ne consentono l’uso. Fra questi è proprio lo smartphone, a partire dalla sua primaria caratteristica di telefono e archivio privato, quello che considero più ineffabile e insidioso. Il dato di fatto è che non esiste quattordicenne alle nostre latitudini – ma questo vale anche per paesi lontani o economicamente meno sviluppati – che non disponga di un dispositivo del genere, una piattaforma eccezionale attraverso la quale è possibile gestire relazioni, organizzare incontri, scambiare informazioni e dati di ogni genere, visionare film oltre ad ascoltare musica e accedere a tutti i contenuti possibili e immaginabili presenti in internet.

Si tratta di una problematica quindi assai articolata in quanto concerne non solo aspetti di natura personale e formativa ma anche comportamenti illegali e criminali (si pensi alla violazione dei copyright e della privacy, al cyberbullismo, al sexting ecc). In questi piccoli oggetti, si concentra una tale quantità di funzioni che per un genitore può risultare praticamente impossibile esercitare

una forma di verifica sia perché l’adolescente comincia a rivendicare, e questo giustamente, una sua privacy, sia perché la struttura labirintica del web e la flessibilità delle app che è possibile installare rendono arduo districarsi in quella che è una vera giungla tecnologica. Di fronte ai “nativi” digitali ci sentiamo dunque impotenti e incapaci di esercitare un’efficace forma di controllo, una condizione che spesso diventa l’alibi per atteggiamenti passivi o lassisti da parte nostra. Un errore, anche perché tendiamo a confondere le loro abilità “tecniche” con la capacità di valutare l’affidabilità e la credibilità delle informazioni e delle persone incontrate in rete. Ed è a questo riguardo che possiamo dare un contributo essenziale, sia in termini di attrezzatura critica e di valutazione, sia di autoconsapevolezza degli eventuali rischi, senza demonizzare il loro “mondo” e la tecnologia tout court. Senza dimenticare che, per esempio, sul piano delle relazioni sociali, nella maggior parte dei casi, i ragazzi tendono a utilizzare il web, la “piazza virtuale”, come strumento per tenere vive le relazioni e per trasferirle poi sul piano della realtà, nella “piazza reale”.

La rete ha assunto per la maggior parte di loro la funzione di una protesi relazionale, ma anche di un moltiplicatore della propria cerchia di amicizie e, se coscientemente usata, consente di edificare un ponte verso gli altri senza escludere il rapporto diretto, in “presenza”, che è poi il fine di ogni relazione umana. Quindi, cautela e obiettività da parte nostra sono essenziali a sviluppare in loro un uso consapevole e positivo delle nuove tecnologie di comunicazione.

Buona lettura, Fabio Martini

Minori: genitori 2.0 Internet. La recente pubblicazione di un volume dedicato alla sicurezza e alla tutela dei nostri figli dai pericoli della rete, offre l’occasione per avviare un dibattito su un tema delicato e complesso, spesso sottovalutato dagli stessi genitori di Amanda Pfändler; illustrazione ©Bruno Machado

S

Agorà 4

i dice che essere genitori sia uno dei mestieri più difficili al mondo, se non addirittura il più difficile.

Figuriamoci nell’era di internet. Se infatti i giovani sono dei “nativi digitali”1, i genitori in quest’ambito si trovano a muoversi in un contesto meno familiare: sono dei “migranti” digitali. Come per tutti i migranti, devono adattarsi, capire le regole scritte e non scritte, il linguaggio, i codici, la cultura del contesto con il quale – volenti o nolenti – devono confrontarsi. E questo fa paura, soprattutto se come genitori si ha l’impressione di non essere in grado di proteggere i propri figli dai pericoli di internet, pericoli di cui peraltro si sente parlare ogni giorno. È proprio a partire da questa situazione, e per cercare di offrire a genitori (e figli) un aiuto, che è stato recentemente pubblicato Genitori nella Rete - Manuale d’uso in prospettiva tecnologica, pedagogica e giuridica (Armando Dadò, 2014).

Tre autori per tre differenti punti di approccio al problema: Alessandro Trivilini, responsabile del Laboratorio informatica forense della SUPSI, Gianni Cattaneo, avvocato e docente SUPSI, e Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute Ticino. Collegato al manuale, il blog genitorinellarete.ch.

L’idea è quella di offrire ai genitori – “ma anche a tutte le figure professionali a contatto con le nuove generazioni”, indica la quarta di copertina – la risposta ad alcune delle principali domande che i genitori “migranti digitali” si trovano ad affrontare nell’educazione dei propri figli “nativi”: come funziona Google? Se scarico un film commetto un reato? È giusto regalare uno smartphone a un bambino di otto anni? Come evitare che si trovi di fronte a immagini pornografiche? Che valore hanno le amicizie su Facebook?

Cosa posso fare se mia figlia è vittima di sexting?

Nella sua introduzione l’avvocato Gianni Cattaneo sottolinea: “L’esperienza maturata a contatto con le vittime di reati collegati a internet (…) mi ha condotto a concludere che il problema esiste ed è molto serio”. Fortunatamente, indica il docente della SUPSI, “vi è una crescente attenzione sul tema dei rischi online, grazie all’attività informativa svolta dai media e a quella preventiva e di sensibilizzazione di scuole e altri enti, pubblici e privati, che si occupano di promuovere una cultura fondata sull’uso corretto e consapevole della rete.

Ma non basta. Occorre adottare un approccio professionale e multidisciplinare (tecnico-giuridico-pedagogico), partendo dalla famiglia, passando attraverso la società civile, la politica e

giungendo fino alla scuola. L’educazione alla sicurezza online non è oggi meno importante della sensibilizzazione ai pericoli della strada, che i bambini generalmente ricevono sin dai primi anni delle elementari”.

Pericoli online e cyber-reati Ma quali sono i pericoli che minacciano i nostri figli quando utilizzano le nuove tecnologie? E come individuarli e neutralizzarli? “L’aspetto più spiacevole è che, data l’internazionalità di internet e la frammentazione delle attività illecite, non di rado si rivela impossibile eliminare il problema alla fonte in modo da ottenere la rimozione di tutte le tracce online. La persistenza e la durevolezza della lesione costituiscono fattori di angoscia e di sofferenza gravi per i ragazzi e per le loro famiglie, per esempio, nel caso del cyberbullismo”. L’avvocato precisa che “non esiste un identikit della vittima. Tutti possono cadere nei tranelli tesi dalla rete. Certamente non contribuiscono positivamente fattori come l’inesperienza oppure l’assenza di regole, di dialogo e di punti di riferimento autorevoli in famiglia, oppure ancora carenti conoscenze tecniche e giuridiche, né tantomeno l’idea (tanto in voga quanto sbagliata) secondo cui internet è un mondo «al di sopra del diritto», che certe cose capitano solo «agli altri» e, comunque, «non in Ticino». Tali fattori portano ad assumere rischi eccessivi e/o a trascurare regole basilari di sicurezza informatica”.

Non bisogna poi dimenticare che i nostri figli, oltre che vittime, possono a loro volta trasformarsi in autori di cyber-reati: “Dal mio punto di osservazione”, indica Cattaneo, “riscontro ogni genere di violazione dei diritti della personalità, dall’immagine postata su Facebook senza il consenso delle persone ritratte, all’affermazione di fatti che ledono la reputazione altrui, come ancora la pubblicazione di informazioni private o personali. Assai frequente è la violazione del diritto d’autore, attraverso la condivisione online di opere protette oppure l’acquisizione da fonti illegali di software e video-giochi. Dal profilo del diritto penale, i reati lesivi della reputazione sono molto frequenti, così come il reato di pornografia dura e quelli contro la libertà personale (minaccia e coazione)”.

Ma che fare come genitore quando i nostri figli diventano autori di “crimini” virtuali, e come evitare che accada?

“Quando si scopre che il proprio figlio ha adottato dei comportamenti illeciti, è fondamentale iniziare un percorso di conoscenza e di sensibilizzazione all’osservanza delle leggi e delle normali

regole fondate sul rispetto degli altri e sulla convivenza civile anche nelle proprie relazioni online. Internet oggi fa parte del «mondo reale», per cui non vi è ragione di considerare accettabile online quello che mai si considererebbe tale offline”.

Genitori a rischio Uno dei problemi nel rapporto genitori-figli-internet – precisa Alessandro Trivilini, è che i primi a “essere catturati nella e dalla rete” possono essere proprio i genitori: “Per i migranti digitali”, spiega l’informatico, “internet rappresenta davvero una rivoluzione. Abituati a cercare informazioni fra gli scaffali delle biblioteche, si sono visti arrivare questo gigante digitale che consente loro di svolgere ogni tipo di pratica con pochi gesti della mano. E fra le innumerevoli opportunità che offre, spesso e volentieri vi sono situazioni a rischio che non vengono percepite come tali, perché offuscate da entusiasmo e soddisfazione dovute alle impressionanti capacità operative dello strumento digitale. Molti migranti preferiscono credere che in internet tutto sia possibile e che non esistano pericoli particolari (si sentono immuni da ogni problema, in fondo basta togliere la spina e tutto si ferma) fino al punto di inviare cospicue somme di denaro credendo davvero di aver vinto alla lotteria senza chiedersi a priori: «Come faccio ad aver vinto alla lotteria se non ho mai partecipato?». Prima di fare click dovrebbero usufruire degli aiutini che la vita pregressa ha dato loro: buon senso e prudenza. Solo il fatto di contare fino a 10 prima di fare click

su un’immagine allettante ricevuta da apparenti amici virtuali, potrebbe rappresentare un buon punto di partenza”.

Non capisco quindi non me ne occupo Un altro atteggiamento problematico da parte dei genitori, è quello per così dire lassista: con la scusa di “non capire”, di “non essere in grado di usare le nuove tecnologie” semplicemente non intervengono. E questo – spiega Cattaneo – può essere rischioso anche dal punto di vista penale: “È assolutamente necessario che i genitori si riapproprino del loro ruolo educativo e di protezione anche in relazione all’uso delle nuove tecnologie da parte dei figli. A questo fine, i genitori devono acquisire competenze sufficienti in campo tecnico, giuridico e pedagogico. Il Codice penale istituisce una sanzione a carico del genitore se questi viola il dovere di assistenza o di educazione verso il minore in modo tale da esporre a pericolo il suo sviluppo fisico o psichico. Dato che il web è un contenitore immenso di violenza e pornografia liberamente accessibili, è fondamentale impedire che i bambini abbiano un accesso incontrollato a dispositivi elettronici collegati a internet. Occorre quindi instaurare regole di comportamento, impostare una password di accesso e accompagnare le esperienze mediali dei propri figli”.

La risorsa dell’esperienza di vita Benché “migranti digitali” – spiega il direttore di Pro Juventute Ticino, Ilario Lodi – i genitori possiedono i mezzi (...)

Il suo angelo custode per ogni evenienza. <wm>10CAsNsjY0MDQx0TU2szAwMAUAvbdxhA8AAAA=</wm>

Con il servizio di emergenza di Swisscom può mantenere la sua indipendenza a casa in completa sicurezza. Nel caso succeda qualcosa può ricevere un aiuto immediato semplicemente premendo un pulsante. Per maggiori informazioni chiamate il numero verde 0800 84 37 27 o visitate il sito www.swisscom.ch/notruf. <wm>10CFXKKw6AQAwFwBN181633Q-VBEcQBL-GoLm_IuAQ42ZdwxM-87Idyx4EzSSXBni49dSV0XtS5gAzFPSJ6o1qbL8uqqgAxnsElIxBFa9iHGYl3ef1AKDLPw5xAAAA</wm>

Agorà 5

“Se l’uso delle nuove tecnologie a volte si rivela problematico è perché esso ci obbliga, in quanto adulti, a guardare prima ancora che ai nostri ragazzi, a noi stessi e a obbligarci a riflettere e a trovare delle risposte concrete ad alcune questioni magari semplici, ma di fondo, quali, per esempio, il senso del giusto e dello sbagliato, il bello e il brutto, l’opportuno e l’inopportuno” per crescere ed educare i propri figli, e questo indipendentemente dalla conoscenza o meno delle nuove tecnologie: “Tutti sappiamo che gli adulti si occupano dei propri piccoli dalla notte dei tempi; oggi, però, sembra che l’esperienza dell’adulto non sia più sufficiente a rassicurare il giovane e – soprattutto, direi – a rassicurare se stesso. Ecco allora che bisogna maggiormente ricordare agli adulti quanto in effetti siano capaci di fare già oggi, a prescindere dalle competenze possedute o meno nell’ambito delle nuove tecnologie. Se l’uso delle nuove tecnologie a volte si rivela problematico è perché esso ci obbliga, in quanto adulti, a guardare prima ancora che ai nostri ragazzi, a noi stessi e a obbligarci a riflettere e a trovare delle risposte concrete ad alcune questioni magari semplici, ma di fondo, quali, per esempio, il senso del giusto e dello sbagliato, il bello e il brutto, l’opportuno e l’inopportuno così come ad avere una percezione di sé”.

Agorà 6

Istruiti a riconoscere i pericoli È chiaro che i nostri figli non sono dei completi sprovveduti; pur essendo consapevoli dei pericoli di internet, i giovani non hanno però i mezzi – e l’esperienza – per riconoscerli nella realtà. I nativi digitali – indica Trivilini – “sono consapevoli che in internet si può essere facilmente adescati da pedofili che usano finti profili; ciò che non conoscono sono le dinamiche impiegate per farlo, il grooming digitale2. Oppure sanno che circolano email false con l’intento di rubare i dati sensibili, ma non sanno come distinguere un sito vero da uno falso”. Per il docente SUPSI, quindi, “i tempi sono ormai maturi per fornire ai giovani maggiori informazioni, anche tecniche, per iniziare a conoscere il dietro le quinte di questi fantastici giganti tecnologici affinché possano colmare la parte di conoscenza mancante che consentirà loro di muoversi con maggiore consapevolezza”.

Meglio formare, informare, piuttosto che vietare: “Molti genitori disorientati”, indica Trivilini, “mi contattano per chiedermi come proteggere i propri figli dalle minacce in internet. Credo che il divario fra nativi e migranti digitali per molti genitori debba essere visto come una grande opportunità.

Non tanto per conoscere come funziona Google o Facebook da un punto di vista puramente tecnico, ma bensì per scoprire il modo di pensare, comunicare e interagire con il mondo esterno (internet è globale) dei propri figli attraverso l’utilizzo di questi strumenti. L’atteggiamento «io-parlo-tu-ascolti» non credo che in questo contesto possa dare buoni risultati. Trovo molto più interessante capovolgere i ruoli, approfittando temporaneamente della loro dimestichezza e del loro entusiasmo per imparare da loro e soprattutto capire come percepiscono queste nuove tecnologie. Questo modus operandi consente di instaurare un nuovo canale di comunicazione fra genitore e figlio”.

Dallo scontro all’incontro Se è vero, in un certo senso, che sulla questione delle nuove tecnologie si sviluppa uno scontro generazionale, “non si tratta comunque”, precisa il direttore di Pro Juventute Ticino, “di uno scontro cruento. Gli effetti di quello che potrebbe anche essere, oltre che uno scontro, un interessantissimo incontro saranno tuttavia visibili, nella loro concretezza, solo in futuro e, immagino, concerneranno solo l’arco di una o due generazioni.

Infatti, coloro che oggi sono giovani e che domani saranno genitori, potranno contare su competenze comunicative e di relazione legate alle nuove tecnologie che, oggi, gli adulti non hanno o possiedono solo parzialmente. Si tratta, in effetti, di rendersi conto che i nostri giovani stanno maturando e sviluppando un nuovo modo di pensare che scaturisce da una differente percezione della realtà sempre più filtrata dai media elettronici”.

Nessun bisogno quindi di “demonizzare” le tecnologie digitali. Anche perché ormai fanno parte costantemente, in ogni momento, della vita dei nostri figli. Talvolta però diventa troppo e i genitori, come in tutte le situazioni della vita, devono porre dei limiti. Pensiamo, per esempio, alla cena in famiglia: tutti chiacchierano tranne il figlio preadolescente che continua a scambiarsi messaggi con gli amici, estraniandosi dalla vita familiare… Ma anche, altro esempio, il fratello maggiore che pubblica su Facebook la foto del più piccolo che fa il bagnetto. Quella che le nuove tecnologie presentano diventa quindi “un’occasione educativa fenomenale. Basti pensare”, spiega Lodi, “a cosa ci sarebbe da dire e da fare attorno al concetto di condivisione (lo stare insieme a cena), oppure sul concetto di privacy (se si pensa alla pubblicazione di proprie o altrui immagini). Non bisogna dimenticare che non c’è atto che non sia educativo, nel buono e nel cattivo senso del termine. Sta a noi adulti raccogliere l’occasione per farla diventare momento di relazione – appunto, educativa – con i nostri ragazzi. L’importante è prendersi il tempo per affrontare tutto ciò, e soprattutto avere la consapevolezza del fatto di essere capaci di farlo, senza timore di sbagliare o di commettere qualche sciocchezza”.

note 1 Espressione applicata a una persona, in genere nata dopo il 1985, che è cresciuta con le tecnologie digitali come computer, Internet, telefoni cellulari, MP3 ecc. L’espressione è stata coniata da Marc Prensky nel suo articolo “Digital Natives, Digital Immigrants” apparso in On the Horizon, MCB University Press vol. 9, n. 5, ottobre 2001 (marcprensky.com).

2 L’adescamento di minori sul web, a fini sessuali: l’adulto potenziale abusante “cura” (dall’inglese grooms) la potenziale vittima, inducendo gradualmente il bambino o ragazzo a superare le resistenze attraverso tecniche di manipolazione psicologica.

Letture Il brusio del mondo di Daniele Bernardi

Tadeusz Kantor, grande pittore, scenografo e

do odierno, con la concretezza di una pietra lavorata dalla corrente di un torrente. Come già avvenuto nel recente Frantumi (Alla chiara fonte, 2014), mi sembra che a dominare la scrittura di Orelli, seppure talvolta tra le righe, siano l’idea della morte e, contemporaneamente, quella dell’origine (luogo da cui prende il via, inesorabilmente, la catena di perdite che costella l’esistenza umana). La prematura fine dell’amato Julien, e quindi dell’amore della giovinezza, con tutte le sue scoperte, le sue attese e i suoi slanci, la scomparsa di Anselmo, che non darà più notizie alla madre (così da indurre il narratore a immaginare di scrivere lettere al suo posto), o le riflessioni del “vitello femmina (...) beniamina della stalla” sul sapere delle bestie riguardo alla mortalità, sono, inevitabilmente, riflessi del mistero del principio della vita.

Questa raccolta dell’autore de L’anno della valanga (di certo uno dei più bei romanzi in lingua italiana apparsi in Svizzera) è un altro elemento di quel mosaico fatto di dialetti, voci e richiami che è l’opera coltissima di uno dei grandi scrittori della nostra letteratura.

I mirtilli del Moléson di Giovanni Orelli, Nino Aragno editore, 2014

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regista polacco, scrisse, in una sua bellissima poesia intitolata Ô Douce Nuit, di come il suo teatro nascesse da quelle “notti sante” che, “perdute nel calendario”, riportavano a galla echi di voci del passato, seppellite sotto i veli della memoria. In quel testo leggiamo di lui e sua sorella che cercavano, nel cielo invernale, la “stella di Betlemme”. Leggiamo anche della stalla dove, nel buio, si può “sentire come gli animali / parlano la lingua degli uomini”. Queste meravigliose immagini sono balenate nella mia mente leggendo l’ultima raccolta di racconti di Giovanni Orelli, pubblicata di recente dall’editore Aragno.

L’opera apre finestre su un mondo, per noi ora lontano, ma i cui brusii giungono al nostro orecchio come qualcosa di familiare. Quella di Orelli è una scrittura che affonda in un universo di sentieri, bacche, nevi profumate, prati scoscesi, viuzze e piazzette di paese. E in questo contesto la parola, a cui l’autore dedica uno studio e un’attenzione quasi ossessivi, si presenta, a noi abitanti dell’evanescente mon-

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L’Islam della gelosia Il mio ufficio al Cairo è un caffé chiamato “Cactus”, nel quartiere residenziale di Maadi.

Dai suoi avventori ricavo quei segnali di metamorfosi sociale che sono la sostanza più viva dell’identità di un popolo di Marco Alloni

Nei luoghi di ritrovo si ottengono interessanti spunti per

Levante 8

Gelosia al servizio della donna Non che io creda che la gelosia sia tale, al contrario, ritengo il suo carattere persecutorio fra le più serie minacce alla libertà e al rispetto. Ma il punto di vista di Ashraf è comunque interessante: a suo modo di vedere, infatti, oltre a essere la gelosia una prescrizione coranica, essa sarebbe la forma più encomiabile di preservazione della propria compagna dalle insidie della libido maschile. Sarebbe cioè, più che una preclusione della sua libertà, una sua difesa.

Perché un simile approccio sia interessante è presto detto. Perché spiega un patto sociale altrimenti incomprensibile. Quello stesso patto per cui la donna si affida al maschio come a un protettore, per cui il velo islamico ne esprime una morigeratezza che il maschio è tenuto a preservare, per cui la verginità è consacrazione a un uomo chiamato a tutelarla fino al matrimonio; e per cui – lungi dall’essere la donna sottomessa all’uomo, come si ripete spesso – finisce per essere l’uomo al servizio della donna.

Fotografia ©Reza Khatir

comprendere le trasformazioni di una società. Tra parole e gesti, comportamenti e abiti, discorsi e sorrisi il lento e impercettibile mutarsi dell’Islam trova tra tavoli e avventori una sorta di involontario svelamento.

Ma più ancora dei clienti, Cactus è il mio buen retiro intellettuale anche per la presenza di un giovane cameriere – tale Ashraf – che nella sua elementare ingenuità rappresenta il tipico musulmano dei nostri tempi. Affabile, sorridente come lo sono in genere gli egiziani, mi confida candidamente tutto quello che, a suo dire, mancherebbe al mio ateismo: una solida cognizione della verità e una sana rassegnazione alla superiorità della fede.

La legge del credo Nel suo modo tipico di essere musulmano Ashraf mi insegna giorno dopo giorno, a sua insaputa, quanto il rapporto fra pensiero religioso e pensiero scientifico sia qui in Egitto ben lontano dall’essere offerto a una qualche dialettica di reciproco beneficio.

Senza imporre con veemenza le proprie ragioni, il cameriere mi svela infatti come il suo – e il diffuso pensiero dei suoi concittadini – sia praticamente impermeabile a ogni linguaggio o filosofia che non siano di natura teocentrica.

Lo fa con discrezione, ma senza cedimenti. E nel portare i propri affondi, ricade sistematicamente nel classico vizio di ribadire che le verità scritte nel Corano sono irrefutabili e quelle della scienza, ad esse subordinate.

Ha provato a farmi ascoltare il predicatore Mohammad Hassan, a convincermi che il sunnismo è superiore allo sciismo, che l’Islam è superiore a ogni altra religione, ha provato a condurmi sul piano dell’irricevibile vocazione mondializzante della sua religione (“Le altre religioni non hanno ancora capito che l’Islam è il compimento di tutte le fedi”) e a persuadermi che i valori morali o sono islamici o non sono. Ma soprattutto ha tentato – questa volta con un certo successo – di persuadermi che la gelosia rappresenta una virtù.

Contro la mercificazione del corpo?

Una visione primitiva? Forse. Ma dal punto di vista funzionale, di un’efficienza straordinaria. Non solo perché la gelosia cessa di ricadere tra gli abusi del maschio – al contrario, viene ritenuta ragione di orgoglio – ma perché di fatto appaga la donna esattamente quanto l’uomo. Lei cessa di ritrovarsi in balia di quell’indifferenziata logica del desiderio che in occidente ha prodotto, insieme all’emancipazione, la mercificazione del corpo femminile, e lui può godere di quel diritto di proprietà che, se tanto ci fa orrore, in un patto sociale di quella natura ha tuttavia i connotati della stabilità e della sicurezza psicologica.

Ashraf non mi ha dunque rivelato soltanto l’aspetto aprioristico e aproblematico della sua cultura, ma anche quel fondamentale concetto che – pur incompatibile con i nostri valori occidentali – resta da capire se sia da ritenersi esclusivamente premoderno o meno. Parlo del concetto di responsabilità, in cui, tra tutela e controllo, corre un filo sottile ma non sempre, o non necessariamente, un muro.

Visioni Nel mirino di Nicoletta Barazzoni

Dalla caduta del muro di Berlino a oggi non si può certo dire che il dialogo interraziale abbia dato segnali incoraggianti, favorendo la comprensione reciproca. Nel film Fuori mira, una coproduzione italo-svizzera, razzismo, xenofobia e pregiudizio sfociano in un corteo armato, che evoca le immagini degli schiavi durante il secessionismo.

Dalla storia abbiamo imparato ben poco perché ancora oggi, spregiativamente parlando, gli “sporchi negri” non hanno via di scampo. È sufficiente il dubbio per innescare l’odio come sono sufficienti tre spari in un quartiere, con un pensionato sobillatore che capeggia un gruppo di abitanti agguerriti contro il tassista di colore preso di mira.

Così la piccola comunità di africani si confronta con l’integrazione negata, quella di un quartiere qualsiasi in una città qualsiasi, che li costringe a misurarsi sui rapporti di forza dei suoi abitanti. La storia di questo film è anche la nostra perché rievoca gli anatemi contro i neri, spesso sinonimo di spacciatori. Riporta alla scena del pestaggio

di un studente nigeriano alla Facoltà di teologia di Lugano, ci fa pensare al nostro amico prete del Togo, ci ricorda l’arresto di un conoscente, al quale le forze dell’ordine hanno riservato poca considerazione umana. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, nulla di originale da raccontare?

Il regista mette in scena una vicenda in bilico tra dramma passionale e questione razziale. La sceneggiatura, ispirata a un fatto di cronaca, avrebbe forse potuto insistere maggiormente su chi uccide il diritto d’esistere, portando la questione del razzismo su un piano ideologico. Magari, facendo leva su alcuni aspetti come, per esempio, lo sforzo antirazziale in contrapposizione all’espandersi di una mentalità pericolosa, che se la prende perfino coi gatti neri. In tale chiave di lettura ci è sembrato che lo scontro tra bianchi e neri renda bene l’idea del clima che incombe. Nel linciaggio finale viene ucciso un innocente, che proprio per l’appartenenza religiosa ai testimoni di Geova, avrebbe dovuto restare del tutto “fuori mira”.

Fuori Mira di Erik Bernasconi Svizzera-Italia, 2014

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Perduti in sé

Perché i gatti si perdono nelle scale del palazzo...?

Eppure sono considerati animali pronti, astuti, ottimi osservatori. Il mistero risiede, naturalmente, nel funzionamento del loro cervello di Mariella Dal Farra

Scienza 10

John O’ Keefe (a sinistra), May-Britt Moser ed Edvard Moser, premi Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 2014 (da images.enca.com)

Vi è mai capitato di perdere il gatto e di ritrovarlo dispera

to davanti alla porta dell’inquilino che abita sopra o sotto di voi? L’identica disposizione di pianerottoli e corridoi che caratterizza il condominio in tutti i suoi piani lo ha indotto a scambiare l’appartamento di sopra (o di sotto) con il vostro (o, meglio, il suo): un errore che a voi non capita mai di fare, a meno che non abbiate bevuto veramente troppo. Forse perché siete più intelligenti del vostro gatto?

Probabile, ma non è l’unica spiegazione...

Perduto nello spazio Il premio Nobel 2014 per la Fisiologia o la Medicina è stato conferito a tre neuropsicologi – John O’ Keefe e i coniugi May-Britt Moser ed Edvard Moser – per le scoperte compiute sui meccanismi che consentono ai mammiferi di orientarsi nello spazio. La domanda alla quale queste ricerche hanno permesso di fornire una prima, importante risposta è: come sappiamo dove ci troviamo? Come funziona quello che è stato definito il nostro “GPS interno”? Interrogativo affascinante che ha occupato la mente dei filosofi per secoli e che, nel 1948, portò lo psicologo Edward C. Tolman ha formulare il concetto di “mappa cognitiva”.

L’osservazione del comportamento dei ratti (e dei gatti!) posti all’interno di labirinti dei quali imparavano gradatamente la conformazione, indusse Tolman a ipotizzare la presenza di uno specifico meccanismo psicologico, deputato a costruire la rappresentazione mentale di un determinato ambiente. Tale “dispositivo” è stato ora identificato in quelle che sembrano essere le sue due componenti essenziali: le “cellule di luogo” (space cells) situate nell’ippocampo (una parte del cervello all’interno del lobo temporale, che è parte del sistema limbico e ha un ruolo importante nella memoria a lungo termine) e le “cellule griglia” (grid cells), collocate nella corteccia entorinale mediale (MEC), adiacente alla formazione dell’ippocampo.

Le cellule di luogo sono state scoperte negli anni sessanta da John O’Keefe, vincitore di due quarti del premio. Questi neuroni “fotografano” l’ambiente organizzandolo intorno ai suoi punti salienti, quali la dislocazione degli oggetti al suo interno: entrando per la prima volta in una stanza, noteremo, per esempio, che è arredata con una libreria sulla destra, un tavolo nel mezzo e un tavolino più piccolo lungo la parete in fondo; questa disposizione viene tradotta in impulsi sinaptici che attivano le cellule di luogo in maniera

differenziata. Così, ogni “stanza” viene rappresentata nel nostro cervello attraverso uno specifico “profilo sinaptico”, che di lì in avanti caratterizzerà in maniera semi-permanente quella particolare colonia neuronale.

Eppure era qua, ne sono certo…

Se ora varchiamo la soglia dalla prima, ipotetica stanza per passare nel locale attiguo, le cellule di luogo che “contengono” la mappa del soggiorno verranno silenziate a favore di una diversa colonia neuronale, che “disegnerà” il nuovo ambiente attivando collegamenti sinaptici differenti. Naturalmente, la trasformazione degli impulsi visivi in correlati neurali non è analogica (i profili sinaptici non riproducono stanze in miniatura nel nostro ippocampo) bensì digitale (eccitazione/inibizione dei neuroni), e tuttavia la loro attivazione è di natura spaziale: “[…] la posizione dell’animale è definita da quali cellule sono attive in quel luogo.

Quando l’animale viene spostato da un ambiente all’altro, la configurazione del settore CA3 [la parte dell’ippocampo in cui risiedono le cellule di luogo, nda.] mostra una completa rimappatura, nel senso che viene reclutata una combinazione del tutto nuova di cellule attive. Al contrario, variazioni ambientali secondarie, quali l’alterazione dell’odore o del colore del posto, sono accompagnate da una ridistribuzione dell’attività all’interno della stessa colonia cellulare, che mantiene anche la medesima configurazione sinaptica.”1 Le cellule di luogo permettono dunque di delineare lo spazio, ricavandone rappresentazioni che vengono archiviate

nei magazzini di memoria procedurale (il che ci permette di percorrere una strada conosciuta senza dover pensare in ogni momento a dove svoltare) e dichiarativa (alla quale ricorriamo, per esempio, quando disegniamo su un pezzo di carta quella stessa strada a beneficio di qualcuno che non la conosce). Per “navigare” lo spazio rappresentato, abbiamo però bisogno di coordinate che lo orientino secondo le sue direttrici generali (l’equivalente di latitudine e longitudine), tenendo conto di variabili quali la direzione del nostro movimento e il perimetro dell’ambiente che stiamo attraversando. Questa seconda funzione, che si interfaccia in un circuito di feedback continuo con quella svolta dalle cellule di luogo, è esercitata dalle cellule griglia, individuate dai coniugi Moser a partire dagli anni novanta: scoperta che è valsa loro gli altri due quarti del Nobel.

Congiuntamente, le cellule di luogo e le cellule griglia producono mappe dinamiche dell’ambiente in cui ci muoviamo: mappe talmente precise ed efficienti che il nostro gatto – il quale ignora di trovarsi in un palazzo costituito da più piani tutti uguali – non si capacita di avere sbagliato strada, e manifesta sonoramente, con sgomento del vicino, tutto il suo disappunto...

note 1 L. Lu, J.K. Leutgeb, A. Tsao, E.J. Henriksen, S. Leutgeb, C.A. Barnes, M.P. Witter, M. Moser & E. Moser, “Impaired hippocampal rate coding after lesions of the lateral entorhinal cortex” in Nature Neuroscience, vol. 16, numero 8, agosto 2013.

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S

ono nato a Ginevra nel 1712. Mia madre è morta dopo il parto e sono cresciuto con mio padre che si è occupato della mia educazione senza però mandarmi a scuola…

Mica male, eh… All’età di dieci anni mio padre, per evitare il carcere, è fuggito da Ginevra e così sono stato affidato a uno zio.

Leggevo e studiavo parecchio, ma da autodidatta, e lavoravo come apprendista presso un incisore; già allora non sopportavo le costrizioni, neppure quelle necessarie a campare.

Io adoro la libertà, non sopporto le limitazioni, lo stento, l’assoggettamento.

Il denaro che tenevo nella borsa, finché durava, mi assicurava l’indipendenza dal darmi pensiero di trovarne dell’altro perché, ricordatevi... il denaro che si possiede è strumento di libertà ma quello che si insegue è strumento di schiavitù. Rinunciare alla propria libertà significa abdicare alla dignità di uomini, ai diritti dell’umanità e anche ai propri doveri.

Così, una sera, sono scappato da Ginevra e ho preso a vagabondare. Il parroco di una cittadina vicina mi ha indirizzato da una certa Madame de Warens, una nobildonna famosa perché cercava di convertire al cattolicesimo i calvinisti. Mi sono convertito anch’io, anche se nel mio animo sono rimasto fedele alla mia città e alla sua religione. Poi, per qualche anno, me la sono spassata tra Italia, Francia e Svizzera lavorando per alcune nobili famiglie fino a che son diventato il favorito – ma sarebbe meglio dire l’amante – della signora de Warens, che era però donna assai volubile e così fui ben presto sostituito da un altro ganzo.

Trovai allora lavoro come precettore a Lione: avevo circa 25 anni e fu un’esperienza fondante per me. A contatto coi bambini e pensando alla mia educazione compresi che tutto è bene quando esce dalle mani Dio, tutto degenera nelle mani dell’uomo. Una buona educazione consiste in gran parte nel preservare l’originaria bontà e purezza del bambino contro la corruzione a cui la società che lo circonda lo condannerebbe. Mi accorsi che più che dare regole era importante accudire i bisogni dei più piccoli e mantenere il più possibile il loro legame con la vita naturale, senza norme imposte e sovrastrutture. Bisogna, infatti, amare l’infanzia, favorirne i giochi, le gioie, le amabili inclinazioni: chi non ha rimpianto talvolta questa età in cui il riso non si spegne

mai sulle labbra e l’anima è sempre serena? Tutte riflessioni che ho inserito poi nel mio libro sull’educazione, L’Émile, e per le quali sono stato accusato di essere un sovversivo, di voler fare a meno di maestri, professori e autorità.

In quel periodo sono anche entrato in contatto, a Parigi, con i filosofi dell’Enciclopedia, gli illuministi che poi, per me, tanto illuminati non erano con la loro fede cieca nel progresso e nella civiltà. A mio parere la civiltà è causa di tutti i mali e le infelicità della vita dell’uomo.

Solo la natura è depositaria di tutte le qualità positive e buone. Guardiamoci in giro, soprattutto oggi: l’uomo ha sconvolto il clima, gli elementi, le stagioni; distrugge la natura che l’ha creato e i suoi simili. Siamo nati liberi ma siamo sempre pronti a incatenarci. Ho scritto queste cose nel Contratto sociale e mi sono attirato le ire proprio dei “francesi”, in particolare di Voltaire che mi ha accusato di aver abbandonato in un istituto ben cinque figli. Che dire... me ne pento, ma come potevo mantenerli con le mie magre entrate e i miei continui spostamenti? Comunque anch’io ho contribuito all’Enciclopedia, ma poi, per i miei libri considerati empi, contrari all’ordine costituito, sono stato costretto a lasciare la Francia. Ho ripreso a viaggiare in Svizzera, in Inghilterra e ancora in Francia, dove sono tornato nonostante il rischio di essere arrestato.

Molte persone ormai mi accusavano di essere scontroso, di soffrire di manie di persecuzione e mi sono chiuso nella solitudine, confortato solo dalla mia Marie-Thérèse, l’amore della mia vita, una stiratrice illetterata conosciuta a Parigi che mi è stata accanto per quasi trent’anni. Quando ci siamo sposati ho celebrato io il matrimonio perché non mi garbano le convenzioni e per me la famiglia è la più antica tra le società e, in fondo, la sola naturale. Mi considero più che un filosofo e un pedagogo, un viandante solitario. Sento il mio cuore e conosco gli uomini. Non sono come nessuno di quanti ho conosciuto. Oso credere che non sono come nessuno di quanti esistono. Se non varrò di più, almeno son diverso…

JeAN-JACQUeS ROUSSeAU

Vitae 12

Considerato uno dei grandi pensatori europei è il padre di tanta pedagogia moderna.

Lui invece si ritiene un viandante solitario, un individuo amante della libertà e contrario a verità imposte e costrizioni

note storiche raccolte da Roberto Roveda Jean-Jacques Rousseau ritratto da Allan Ramsay nel 1766 (da wikimedia.org)

RitRatti di famiglia 1870â&#x20AC;&#x201C;1950 a cura di Giancarlo Fornasier; fotografie ŠArchivio di Stato

Il

modello familiare dominante per buona parte della storia della civiltà è stato quello patriarcale (o della famiglia “allargata”), dove l’uomo più anziano svolgeva un ruolo di assoluta dominanza. Egli era non solo la figura di riferimento, ma gestiva il gruppo ed esercitava il controllo esclusivo dell’autorità domestica, pubblica e dei beni materiali. La trasmissione dei suoi poteri avveniva per discendenza, generalmente a vantaggio del primogenito maschio, seguendo così un’organizzazione nota come patrilineare. Questo modello di “potere paterno” ha origini molto antiche; secondo alcune fonti almeno antecedenti il 4000 a.C. – testi sacri come la Bibbia presentano gruppi familiari di questo tipo – e prevalenti anche nelle primitive società agricole (Vicino Oriente antico, Cina antica e antiche civiltà del continente americano).

un uomo, una famiglia, una comunità

La dominanza del modello patriarcale ha evidenti legami con la forza fisica (classico attributo maschile) e con l’esigenza di difendersi e difendere il proprio gruppo da elementi esterni, aspetti che hanno generato (inevitabilmente) i semi di una cultura “guerriera” basata sullo scontro per il dominio e il riconoscimento del “più forte” come di colui che ha il diritto di decidere ciò che va fatto.

La lenta scomparsa delle società nomadi e la sedentarizzazione portano all’esigenza di avere nuclei interni stabili nelle comunità e l’idea di famiglia come struttura autonoma diventa dunque una necessità (per esempio, rispetto al concetto di successione dei beni e delle proprietà create e/o conquistate). Da qui il passo verso la nascita delle comunità rurali è breve: i secoli più recenti di sviluppo sociale hanno portato certo grandi cambiamenti, anche se nel mondo contadino e all’economia agricola – che ha dominato sino alle grandi trasformazioni ottocentesche indotte dalla rivoluzione industriale – la figura del patriarca come colui che dettava i valori della comunità/famiglia rappresentava ancora “il modello” di riferimento. il potere, le donne e i figli

In una struttura patriarcale la figura femminile è purtroppo rilevante solo se inserita in un contesto di procreazione, ovvero quale “strumento” per garantire una continuità (maschile) al potere. Schiavizzate, comprate come merce al fine di stabilire contratti, legami economici e di dominio – in un mondo in cui la poligamia era la regola e ancora oggi domina in molto paesi del mondo –, anche dopo il Medioevo le donne non otterrano grandi conquiste sociali; che giungeranno solo in tempi vicini a noi (il divorzio, diritto al voto, la parità salariale...). Saranno invece i decenni del “boom” economico (anni cinquanta/sessanta del novecento) a minare il sistema patriarcale in occidente, non più funzionale alla nuova società (sempre meno rurale) e che porta alla diffusione di un nucleo composto da due coniugi (marito e moglie), e un numero di figli legittimi e dunque con diritti e doveri: è la “famiglia nucleare” moderna, che si contrappone a quella estesa. Il resto (famiglie monoparentali, ricostituite, con genitori dello stesso sesso ecc.) sono storia dei nostri giorni. Almeno nei paesi avanzati.

bibliografia • “Famiglia” di Alfred Perrenoud/lor in Dizionario Storico della Svizzera (hls-dhs-dss.ch/textes/i/I16100.php) • “Famiglia” di Marzio Barbagli e C. Massimo Bianca in Enciclopedia delle scienze sociali (treccani.it/enciclopedia/famiglia) • “Note sull’origine del patriarcato” di Britton Johnston in http://bibliosophia.homestead.com/files/ patriarcato.htm • “Patriarcato” in http://ita.anarchopedia.org/

sopra 1910–1940 “Famiglia. Ritratto con padre, madre e cinque figli”. Autore: Valentino Monotti, Locarno (©Archivio di Stato, Bellinzona) in apertura 1950 circa “Famiglia di Valentino Monotti.

Ritratto riflesso in uno specchio con Valentino, Gioconda, Seconda e Valentina”, Locarno (©Archivio di Stato, Bellinzona)

(...)

1935–1940 “Giovane coppia con figlio. Ritratto di donna, uomo e bambino su una panca in sasso (con sfondo improvvisato)”. Autore: Valentino Monotti, Cavigliano (©Archivio di Stato, Bellinzona)

1895–1900 “Gruppo di persone in posa nel giardino di Villa Peri.

Ritratto di gruppo con membri della famiglia Peri”.

Autore: Angelo Monotti, Cavigliano (©Archivio di Stato, Bellinzona)

1874 circa “Famiglia. Ritratto con padre, madre e sette figli”.

Autore: Angelo Monotti, Cavigliano (©Archivio di Stato, Bellinzona)

1895–1903 “Famiglia Cantarini. Ritratto di gruppo”.

Autori: Ernesto e Max Büchi, luogo non identificato (©Archivio di Stato, Bellinzona)

1870 circa “Famiglia.

Ritratto di madre, padre e figlia”. Autore: Antonio Rossi, Locarno (©Archivio di Stato, Bellinzona)

1950 circa “Famiglia. Ritratto di madre, padre e tre figli”.

Autore: Valentino Monotti, Locarno (©Archivio di Stato, Bellinzona) 1954 “Famiglia Balestra-Gargantini. Ritratto di gruppo in un interno”. Autore: Christian Schiefer, Lugano [?] (©Archivio di Stato, Bellinzona)

1910–1940 “Famiglia. Ritratto con padre, madre e otto figli nel cortile di un magazzino (forse l’azienda di famiglia)”.

Autore: Valentino Monotti, Locarno (©Archivio di Stato, Bellinzona)

Sala parto. Il passaggio di Daniele Fontana; fotografie ©Reza Khatir

Luoghi 42

Mia moglie per l’occasione aveva preparato una candela speciale. Al profumo di fudge, acquistata tempo prima su un’isola fuori dal tempo nei Grandi Laghi. Un simbolo. Un faro. Un cero laico. Poi quella sera è venuta. La telefonata emozionata del futuro padre che annunciava l’imminenza dell’evento. Il silenzio morbido e sospeso che ha avvolto la nostra casa quando il colloquio si è chiuso sulla sua eccitazione.

Nostra figlia stava entrando in sala parto. Il tempo è imploso e insieme si è dilatato. È stata muta trepidazione.

Lunga. Insostenibilmente lunga. Anche se le statistiche inserirebbero nella media quell’attesa. Il silenzio tra noi due ha iniziato a parlare. Parole non dette ma assolutamente intelligibili. Persino gli sguardi potevano essere superflui.

Questa è l’attesa vera. Nel senso più profondo e pregnante.

Una creatura che già palpitava stava per percorrere il breve tratto che fisicamente l’avrebbe portata alla luce. Pochi centimetri ma così irti di insidie. Una sorta di viatico per quelle che l’attenderanno poi, ogni volta che la luce del suo percorso terreno sarà oscurata dalle ombre, anche solo fugaci, che la vita stessa, con gli altri suoi passeggeri, di sicuro le dispenseranno. È tutta fisica e chimica. Certo. Ma in quel viaggio sempre misterioso, per quanto in tutto o quasi ormai svelato, ancora oggi si perde il nostro stupore.

Annegato nel mare della meraviglia, dell’emozione e della commozione. Un cucciolo d’uomo che apparentemente dal nulla sboccia alla vita e che per farlo deve costeggiare i taglienti crinali della morte. Della morte sua e della donna nel cui grembo è cresciuto e delle cui forze si è nutrito. Una contraddizione gigante, una inesorabile legge di necessità.

Buone mani Molto, moltissimo tempo hanno dovuto attendere gli umani prima di riuscire a governare questo passaggio estremo.

La basi dell’ostetricia moderna sono state poste solo nel diciassettesimo secolo. E ancora ci si muoveva spesso nel tartareo fondo della scelta brutale tra nascituro e puerpera, propendendo, anche solo per questioni di “investimento immediato”, quanto possibile per la seconda.

Tra i molti demoni insediati in questo spazio-tempo cruciale tra la vita e la morte, il più mortifero di tutti era l’infezione. La terribile febbre puerperale che mieteva vittime come le falci le spighe di grano sotto il sole d’estate.

Pian piano le scoperte della scienza in generale e di quella medica in particolare hanno portato più conoscenza e più sicurezza nel lavoro e nella fatica, antichi come l’essere umano, di traghettare al mondo chi del mondo invero già è figlio.

Tutto questo ci è passato nella mente in quelle ore notturne rese febbrili dall’attesa e quietate dalla rassegnazione.

Questo e molto altro. Gli sfortunati rari casi, incrociati per esperienza diretta nella cerchia delle conoscenze, e quelli ben più frequenti, con cui si confronta il lavoro di mia moglie. Il percorso che nostra figlia e la sua creatura stavano affrontando appariva come una stretta gola disseminata di ostacoli più probabili da incontrare che non da evitare.

Eppure non una sola parola, non un solo fonema fu pronunciato in quel senso. Il male non si evoca, e la buona sorte stava comunque in buone mani.

Una nuova generazione Poi, come un lampo a squarciare la notte e il silenzio, lo squillo del telefono. È nata. È una bimba. Lei e la mamma stanno bene. La fisica, la chimica, la biologia e l’équipe di ostetricia hanno fatto superbamente il proprio lavoro.

Sono le 00:13, ma il papà ritoccherà quell’ora aumentandola di un minuto. Il destino sarà solo un prodotto della statistica, però sai tu se a truccargli un poco le carte non farà meglio il proprio mestiere.

Mia moglie si scioglie in un pianto liberatorio. Il mio cuore è in tumulto. Nell’aria volteggia, intenso e pigro, il profumo di caramello. Spegniamo la candela e ci avviamo al letto. Nessuno dei due dormirà. La nostra vita è cambiata.

Si è fatta più grande.

Luoghi 43

L’indistruttibile

Joe Tendenze p. 44 – 45 | di Ben Zej

T

utto iniziò una notte di parecchi anni fa, nella stanza di Simon, un bambino come tanti altri in una città come tante altre sul pianeta Terra. Quel giorno lo zio di Simon, di ritorno da un viaggio in un paese lontano di cui tutti parlavano per le sue città irte di palazzi alti fino alle nuvole, gli aveva portato un bellissimo regalo: un soldatino grande come una bambola e attrezzato per sconfiggere un intero esercito. Si chiamava Joe ed era proprio come i soldati che aveva visto in quei film che ogni tanto i suoi genitori gli permettevano di vedere. Aveva i capelli biondi, gli occhi castani e un’espressione decisa stampata sulla faccia.

Ma la cosa sensazionale era che quel piccolo guerriero, a differenza di tutti i suoi giocattoli costruiti in legno o di latta, era interamente fatto di plastica, “un materiale praticamente indistruttibile”, gli aveva detto lo zio. Simon, che non aveva mai visto nulla del genere, era estasiato: “Chissà cosa diranno i miei amici?”, pensava fra sé mentre, infilato fra le coperte, osservava nella penombra il suo nuovo amico appoggiato sulla sedia accanto al letto. Qualche minuto dopo, stanco per la giornata, chiuse gli occhi abbandonandosi al sonno.

Il giorno seguente, tornato di corsa da scuola, dove aveva informato i suoi compagni del nuovo arrivato, si mise subito a giocare con Joe. Immaginò di trovarsi in sua compagnia in mezzo al folto della giungla, alla ricerca di serpenti pericolosi e di animali sconosciuti. Joe si muove-

va con agilità e poteva assumere le posizioni più incredibili e Simon lo seguiva, certo che insieme avrebbero fatto una buona caccia. Fu allora che gli venne in mente che con la jeep di latta, regalatagli l’anno prima dai suoi genitori, lui e Joe avrebbero potuto salire sul letto che ai suoi occhi altro non era che un’altura dalla quale si poteva controllare tutta la pianura sottostante.

Trovò la jeep sotto la scrivania e con sorpresa si accorse che era tutta ammaccata, come se qualcuno l’avesse presa a calci: “Che strano”, pensò Simon, “ci ho giocato proprio l’altro giorno e non era così…”. La lasciò dov’era e riprese a giocare con Joe finché la mamma, dall’altra stanza, non gli ricordò che era l’ora di iniziare a fare i compiti.

Il giorno successivo, ritornato a casa, decise che lui e Joe dovevano costruirsi una capanna dove nascondersi. Chiese aiuto alla mamma che, con qualche molletta per i panni, un vecchio lenzuolo e due sedie, lo aiutò a costruire il suo rifugio segreto. Si era appena nascosto all’interno insieme a Joe che gli venne in mente che se con loro ci fosse stato Billo, il suo coccodrillo di legno, nessuno avrebbe avuto il coraggio di avvicinarsi. Uscì e si mise immediatamente a frugare nel cesto dei giocattoli ma una volta trovato restò di sasso: la coda di Billo era spezzata e pendeva tutta da un lato. Corse dalla mamma con le lacrime agli occhi: “Guarda mamma!

Guarda cosa è successo a Billo!”.

La mamma assunse un’aria pensierosa: “È già successo, ti ri-

cordi quando hai rotto la scavatrice e poi dicevi che era colpa mia e del babbo e invece eri stato proprio tu…”.

“Ma questa volta non è colpa mia… lo giuro”.

“Non si giura… e se ci pensi un attimo vedrai che ti verrà in mente”.

Sconsolato Simon tornò in camera sua e riprese a giocare con Joe ma dopo un po’ si stufò e si mise a guardare la televisione.

Passavano le giornate e ogni pomeriggio Simon scopriva che uno dei suoi vecchi giocattoli era rotto: il garage di latta per le auto aveva perso il tetto, il fucilino a elastici di legno aveva il grilletto che non funzionava più, il camion dei pompieri, sempre di latta, aveva tutte e quattro le ruote staccate e così via. Non riusciva davvero a capire cosa stesse succedendo. Un vero mistero. Quello che Simon ignorava era che di notte, mentre lui era profondamente addormentato, i suoi giocattoli, come del resto fanno tutti i giocattoli, si animavano di vita propria compreso Joe che, geloso degli altri balocchi che vivevano nella stanza da tanto tempo e convinto di essere indistruttibile, aveva preso sistematicamente a distruggerli.

Ormai c’era solo lui a dominare la cameretta e il cuore di Simon. Impotenti di fronte a tanta furia, gli altri giocattoli si erano rifugiati dove potevano, chi in fondo al cesto di vimini, chi in un cassetto fra i vestiti, chi nell’armadio. Il vero problema era che più Simon scopriva che i vecchi giochi erano rotti e meno aveva voglia di stare con Joe anche perché le situazioni che lui immaginava insieme al suo nuovo amico potevano funzionare solo con l’aiuto dei suoi vecchi balocchi.

A sbloccare questa strana situazione ci penso Barù, il setter dello zio, un cane simpaticissimo e giocherellone. Una domenica che

lo zio era venuto a fare visita a Simon e ai suoi genitori, Barù iniziò a girellare per la casa e trovato il soldato Joe lo prese fra i denti e, corso come un razzo in giardino, si mise a giocarci.

Dopo qualche minuto gli aveva staccato un braccio e, felice come se avesse catturato un’anatra durante una battuta di caccia, si presentò in salotto con lo sfortunato soldato in bocca.

Di fronte a quella scena Simon si mise subito a piangere mentre la mamma correva a cercare il braccio mancante che scovò sotto la siepe di lauro. Il babbo e lo zio si diedero subito da fare per capire se si poteva riattaccare il braccio all’eroico Joe ma c’era poco da fare: come gli spiegò lo zio, i giocattoli di plastica non vengono costruiti a mano, dagli artigiani, ma in grandi industrie da grosse macchine ed è praticamente impossibile riuscire a ripararli. L’unica cosa è acquistarne uno nuovo. “Ne vuoi un altro? Al prossimo viaggio ti prendo un altro Joe, se ti fa piacere?”, chiese gentilmente lo zio.

Simon scosse la testa e poi iniziò a osservare i suoi vecchi giochi mezzi rotti.

“Ma anche i giochi di latta e di legno non si possono riparare?”

“Certo che si può. Sono fatti a mano e con un po’ di pazienza possono essere sistemati benissimo”, rispose lo zio.

“E tu sapresti farlo?”, chiese Simon con la speranza negli occhi.

“Certamente, ma mi devi dare un po’ di tempo.

Oggi posso portarmene via un paio. Quali sono i primi che vuoi che ti sistemi?”

“Billo il coccodrillo e il camion dei pompieri” “Bene”, disse lo zio, “allora davvero non lo vuoi un nuovo Joe?” “No, niente Joe. Preferisco tornare ai miei vecchi giochi… loro sì che sono davvero indistruttibili”.

La domanda della settimana

In qualità di genitori, esercitate un controllo sui contenuti a cui i vostri figli accedono nell’utilizzo di Internet?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 12 febbario. I risultati appariranno sul numero 8 di Ticinosette.

Al quesito “Alcuni giorni fa il traforo autostradale del San Gottardo è stato teatro di un nuovo incidente: il raddoppio del tunnel è l’unica via per garantire la sicurezza di chi lo percorre?” avete risposto:

SI

69%

NO

31%

Svaghi 46

Astri ariete Tra l’8 e il 10 la Luna si trova in opposizione. Discussioni in famiglia. San Valentino all’insegna del gioco amoroso.

Novità professionali in arrivo.

toro È arrivato il momento di seguire il proprio intuito. Giove favorisce una forte crescita dei desideri erotici. Contenete le vostre ambizioni professionali.

gemelli Con Marte, Venere e Nettuno in aspetto angolare verranno meno alcune vostre convinzioni. Guardatevi dentro.

Occasioni per creativi e artisti.

cancro Occasioni sentimentali tra l’11 e il 12 favorite dal passaggio lunare. Momento decisivo per le professioni creative, soprattutto per la seconda decade.

leone Dopo un burrascoso 11/12 febbraio si apre un momento d’oro. Atmosfere gioiose in compagnia del partner.

Lavori di ristrutturazione per la casa.

vergine Possibili abbagli in ordine ai rapporti con il partner. Ognuno sembra vivere all’interno di un suo “film”. Scarsa resistenza nei confronti delle tentazioni.

bilancia Lucidità mentale. Incontri sentimentali e possibili competizioni professionali all’interno del proprio ambiente di lavoro. Fase in rosa. Bene il 14.

scorpione Grazie a Marte e Venere il periodo si prospetta ricco di emozioni. Momento vivace per chi svolge un’attività creativa. Moderazione. Umori alterni.

sagittario San Valentino galvanizzato da mille emozioni. Seducenti, ma lunatici i nati nella seconda decade, a causa della quadratura con Marte e Venere.

capricorno Tra il 11 e il 12 Luna di transito nel segno dello Scorpione. Il passaggio potrà esser il detonatore di un evento pubblico o di una storia sentimentale.

acquario Il transito di Mercurio retrogrado fino all’11 febbraio favorisce l’incontro con persone che non vedevate da tempo.

Spese varie. San Valentino esotico.

pesci Grazie alla congiunzione fra Marte e Venere la vita sentimentale si colora.

Attrazione verso il mistero. Particolari le giornate comprese tra l’11 e il 12.

Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 8

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 12 febbraio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 10 feb. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Orizzontali 1. Comprensione, accondiscendenza • 10.

Il nome della Pausini • 11. Granturco • 12. Sanato • 13.

Cuor di vinto • 14. Somari • 15. Soddisfatto, contento • 16. Mezza cena • 17. Lo teme l’autista • 18. Il club dell’alpinista • 20. Intendere, comprendere • 21. Inzuppati, imbevuti • 22. La dea della discordia • 23. Visitò la Cina • 26. Nitido, limpido • 28. Il re di Shakespeare • 30. Babbeo, credulone • 32. Consonanti in ruota • 33.

La Silvia vestale • 34. Alleviato • 36. Ceramica a pasta compatta • 38. Il rilancio del pokerista • 39. Comportamento fraudolento • 41. Che ti appartiene (f) • 43.

Avverbio di luogo • 44. Ha scritto “Cuore di tenebra” • 46. Scappato di prigione • 48. Si infuriano se vedono rosso • 49. Undici romani • 50. Son cento nel secolo • 51. Dittongo in reato.

Verticali 1. Film di successo di A. Tennant con Jennifer Aniston • 2. Stomachevole, disgustoso • 3. Sodi, compatti • 4. Un pianeta • 5. Formano il perimetro • 6. Le iniziali di Montesano • 7. Le Ninfe delle sorgenti • 8. Sono nomadi • 9. Uccello rapace • 15. Farfallino • 17. Stoffa lucente • 19. Arbusti spinosi • 20. Fanno lacrimare in cucina • 24. Il dittongo del poeta • 25.

Un reparto ospedaliero • 27. I confini di Sonvico • 29.

Maestrie • 31. Veloce, agile • 35. Il mitico aviatore • 37. Nel centro di Carona • 40. Lapalissiani • 42. Oleosi • 44. Preposizione semplice • 45. Altari pagani • 47.

Società Anonima.

Soluzioni n. 4

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La soluzione del Concorso apparso il 23 gennaio è: FiaCCOla Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta sono stati sorteggiati: 1. l. Solidoro, Minusio 2. F. anghileri Gravesano 3. l. Fehlmann, Mendrisio Complimenti alle vincitrici!

Premi in palio: due carte regalo per le Agenzie viaggi FFS Le Ferrovie Federali Svizzere offrono 2 buoni viaggio per un valore totale di CHF 100.– a due fortunati vincitori.

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Svaghi 47

Jonas Straumann, 20, Gerlafingen <wm>10CAsNsjY0MDQx0TU2NzQzswQAmEZ4nw8AAAA=</wm>

Sono quasi non udente, ma faccio il musicista. <wm>10CFWLMQqAMBAEX3RhN8nlPFNKOrEQ-zRi7f8ro52wA1PMrmvVgI-lbUfbK8GcJRlL8aquIZpaqVMqIUYMA-ER1JkZHM7p95G3AtDfRkCBdyZRH-s0C_d5Pc6ZhP92AAAA</wm>

E il giornalista. «Infallibili» test mi consigliavano di diventare falegname o giardiniere a causa della mia disabilità. Stupidaggini. Ho imparato molto presto che molte barriere in realtà non esistono, sono solo nella testa. Anche nella mia, ma le combatto giorno dopo giorno.

L’intera storia di Jonas su generali.ch/ascoltare

Per capire bisogna saper ascoltare.

Le situazioni della vita sono molteplici, come le nostre soluzioni.

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