№ 11 del 13 marzo 2015 · con Teleradio dal 15 al 21 mar.
la promessa
Giovani e mondo del lavoro: un binomio che a volte regala incontri sgraditi e grandi delusioni
Corriere del Ticino · laRegioneTicino · Tessiner Zeitung · chf 3.–
Ticinosette allegato settimanale N° 11 del 13.03.2015
Impressum Tiratura controllata 66’475 copie
Chiusura redazionale Venerdì 6 marzo
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
4 Arti Medardo Rosso. La luce e la materia di aLessandro TabaCChi ............................... 8 Letture Jean-Marie Roland de la Platière. Viaggio in Svizzera di roberTo roveda ....... 9 Media Giacomo Leopardi. Un successo imprevisto di Gaia Grimani ........................ 10 Società Michel Houellebecq. La profezia mancata di marCo aLLoni ....................... 11 Vitae Francesco Ragnoli di roberTo roveda ............................................................. 12 Reportage Il rifugio del Vate di Fabiana TesTori; FoTo di FLavia LeuenberGer ................ 37 Concorso fotografico La foto del mese di aLessandro PeLLeGrini ......................... 42 Kronos Scuola. Gli annoiati di CarLo baGGi ............................................................ 43 Tendenze Shabby chic. Segni di vita di aLessio LonGo ........................................... 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Giovani e lavoro. Il bastone e la carota
di
Laura di CorCia .............................
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
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In copertina
In cerca del futuro Fotografia ©Reza Khatir
Cercasi regista, disperatamente A poche settimane dalle elezioni cantonali del 19 aprile i temi sui quali scontrarsi proprio non mancano. La situazione socioeconomica è quanto mai “liquida” e incerta: lo era prima dell’abbandono da parte della Banca Nazionale del cambio minimo, si è fatta ancora più mutevole oggi che per un euro “basta” sborsare 1.06/1.07 franchi. Gli imprenditori del comparto industriale rappresentati dalla AITI (150 aziende sulle circa 450 in totale) lo scorso 4 marzo si sono fatti sentire; sotto pressione per un clima in fase deflagrativa – a loro volta additati per aver aumentato in alcuni casi le ore settimanali di lavoro e/o aver tagliato salari e impieghi –, ora puntano il dito contro una “diffidenza politica e sociale nei loro confronti” (LaRegioneTicino, 5 marzo). Certo che a un mesetto dal voto i fattori e gli elementi in gioco paiono da sceneggiatura fanta-economica. Dal terremoto finanziario del 2008/09 il nostro cantone pareva non aver subito troppo i contraccolpi (anche se l’economia globalizzata era in tumulto) con, anzi, una disoccupazione stabile e un’occupazione in crescita. La stretta sul mercato delle ipoteche non ha allontanato investitori e cittadini dall’acquisto di case e appartamenti, grazie a tassi mai visti prima: rispetto al 2008, oggi un’ipoteca a tasso fisso a scadenza decennale in alcuni istituti di credito costa oltre il 66% in meno (vedi Azione, 23 febbraio, p. 28). Evidentemente prima o poi il costo del denaro non potrà che aumentare, ma da più parti si continuano a rassicurare clienti e operatori: d’altronde, con il comparto turistico e i consumi che sorridono a denti stretti, quello del matto-
ne rimane sempre un’ancora di salvezza. Proprio nel mercato degli immobili gli stranieri aiutano e hanno aiutato parecchio il nostro sistema; in particolare gli italiani in fuga da una penisola in bancarotta (lo sosteneva poche settimane fa il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis), che hanno comprato casa in Ticino e vi si sono trasferiti, che hanno trovato lavoro o hanno delocalizzato le loro attività. E qui il tema si fa urticante: il frontalierato e il dumping salariale sono oggi i temi che più di tutti sono in grado di coalizzare i partiti, tanto che a volte i punti di vista sono solo all’apparenza distanti. Anche perché ai 65mila lavoratori che attraversano i confini di stato si attribuiscono molti mali “popolari”: sottrazione dei posti lavoro ai residenti, imbarbarimento del mercato del lavoro (accettazione di salari bassi, contratti di lavoro al limite della legalità ecc.), congestione del traffico e inquinamento, surriscaldamento del mercato immobiliare (vedi sopra). Malgrado la tentazione sia credere che la colpa è sempre degli altri, la complessa situazione con la quale oggi il Ticino si confronta (finanze cantonali e comunali, territorio e ambiente, fiscalità, socialità) mostra che la prossima legislatura sarà un film intricato e zeppo di punti interrogativi che per forza di cose dovranno trovare delle risposte. Speriamo che il cast (gli eletti) sia all’altezza e il regista (gli elettori) con le idee chiare (ad oggi oltre il 50% sono ancora indecisi, sostiene un recente sondaggio). Anche perché, purtroppo per noi, la trama non sarà proprio da commedia leggera. Buona lettura, Giancarlo Fornasier
Il bastone e la carota Giovani e lavoro. Avete presente “Pinocchio”, la favola-romanzo di Collodi? Il meccanismo è sempre lo stesso: carota e bastone. Promessa di felicità e disillusione. Conviene meditare di nuovo su quelle pagine, soprattutto da parte dei giovani il cui percorso scolastico, pur con le difficoltà del caso, spinge a scegliere per il futuro la strada che più risponde alle proprie aspirazioni e al proprio iter formativo... di Laura Di Corcia
“V Agorà 4
ieni da me e ti farò diventare... un giornalista di grido, lo chef più ambito sul mercato, l’arredatore di interni più apprezzato nei giri che contano, uno stilista capace di competere con Armani e Valentino”. Tante promesse ma altrettanti i giovani che vedono sgretolarsi i propri sogni come creta, quando si tratta di affrontare la realtà. Ormai ci si accosta al mondo del lavoro con uno stato d’animo contraddittorio, trascinati dalla speranza e dalla paura. Ebbene sì, Collodi aveva ragione: di cialtroni che promettono mari e monti è infatti pieno il mondo. Se sei inesperto, se hai paura di non riuscire a farcela a coronare il tuo sogno, li segui; la sorpresa arriva poco dopo e ha un sapore amaro, brucia. Prendiamo la storia di G., trent’anni, ticinese. Dopo aver studiato letteratura a Losanna, decide di cambiare rotta. Non ci sono solo Dante e Petrarca, ma anche i paté, gli arrosti, le torte e i soufflè. Coraggiosamente si butta: ricomincia daccapo, studia, si diploma e cerca subito lavoro in Ticino, per stare col suo compagno B., che aveva intrapreso la sua stessa strada. “Nel nostro cantone non è facile che ti assumano come cuoco a tempo indeterminato”, ci racconta, “soprattutto come commis (cuoco a inizio carriera, ndr). I salari minimi della categoria sono di quattromila e cento franchi e molti ristoratori non hanno voglia di investire tutti questi soldi su persone ancora giovani e senza una solida esperienza. Optano per i nostri colleghi italiani oppure offrono dei contratti brevi. Io ero piuttosto demoralizzata e pensavo che non avremmo mai trovato un posto”. Poi, il miracolo. Una sera lei e il fidanzato vanno a prendere un aperitivo in un locale ticinese e arriva la proposta che non si può rifiutare. “Sembrava un sogno. Un lavoro per entrambi! E per giunta una cucina tutta per noi, in Ticino, da gestire come meglio credevamo. Troppo bello per essere vero”. Ma le modalità di assunzione avrebbero dovuto fin da subito allertare entrambi. L’occasione della vita, all’inizio pare la sceneggiatura di un film nella migliore tradizione hollywodiana, quello che gli anglofoni chiamano “the time
of your life”, ma quasi subito si trasforma in qualcosa di diametralmente opposto. “Ci diceva cose pazzesche, straordinarie: se volete posso comprarvi le attrezzature che più vi aggradano, potete prendere cose dall’orto, diventate anche voi azionisti. Inutile dire che noi andavamo in brodo di giuggiole. Io ero affascinata dalle sue parole, mentre il mio ragazzo aveva subodorato il marcio: ma in fondo nemmeno lui voleva ascoltare la sua vocina interiore”. Dopo pochi giorni, la prima sorpresa: l’orto era stato affidato a due pensionati che si sarebbero risentiti, qualora la coppia gli avesse sottratto il frutto del loro sudore. Di lì, tutte le altre: con la scusa di fare il filantropo, il proprietario del locale assumeva persone sull’orlo della disperazione, per esempio, un’ex tossicodipendente con alle spalle tre mesi di prigione, quindi con poche possibilità nel mondo del lavoro. Lo scopo? Ricattarle con lo spauracchio della disoccupazione, angustiarle con le sue fisse. Per esempio, la mania di fare la spesa non dai distributori svizzeri, ma oltre confine, in Italia, a volte addirittura a Torino: tanto, mica ci andava lui, a comprare le attrezzature a tre ore di distanza. “Lavoravamo come pazzi, dalla mattina alle otto fino a sera. Investivamo sul nostro grande sogno, quindi non ci pesava nemmeno troppo. Ma quando gli abbiamo chiesto il primo compenso, ci ha chiesto: ma insomma, perché ne avete bisogno subito? Il mio ragazzo ha insistito e lo abbiamo ricevuto in mano, in una busta”. Per non parlare della disorganizzazione: piatti sporchi che si accatastavano senza che nessuno li lavasse, celle frigorifero luride e piene zeppe di cibo, acquistato perché non puoi certo farti scappare la promozione del secolo. E i licenziamenti: in un mese, sono saltate dodici persone. Un via vai che nemmeno in stazione. Qualche settimana di lavoro dopo, sono iniziate anche per G. e B. le discussioni infinite, le accuse, oltre alle manie di persecuzione e altre fissazioni. “Lavoravamo come asini, senza riposo, per sentirci dire che eravamo lenti, che due stipendi erano troppi. Non manteneva le promesse. (...)
“La parola d’ordine per evitare di cacciarsi in brutte situazioni è: informarsi. Controllare sempre se l’azienda che propone il lavoro è su Google, se ha un sito. Prendere contatti con le persone che ci hanno già lavorato o che ancora ci lavorano. Quando la ditta ha un minimo di storia, è più difficile che capitino cose di questo genere” (Silvia Invrea)
Il tritatutto? Non ce l’ha comprato. Insinuava che qualcuno rubasse, che avrebbe dovuto far installare le telecamere in cucina. E dovevamo sempre pestare i piedi per essere pagati. Dopo una discussione, ha chiamato il mio ragazzo e lo ha licenziato. L’ho seguito a ruota libera. Ora lavoro a Losanna e le cose vanno bene. B. in un ristorante italiano: non è il top, ma sempre meglio di quell’inferno”.
Agorà 6
Informarsi sempre Prima regola: nessuno ti regala il paradiso. Anzi, occorre diffidare di chi fa questo genere di promesse, perché la contropartita è dietro l’angolo, e non è sempre detto che il santo valga la candela. Silvia Invrea, responsabile del Career Service dell’USI, consiglia ai giovani che vogliono inserirsi nel mercato di lavoro di non contare solo sulle loro forze, ma di affidarsi ad apposite strutture. “La parola d’ordine per evitare di cacciarsi in brutte situazioni è: informarsi”, spiega. “Controllare sempre se l’azienda che propone il lavoro è su Google, se ha un sito. Prendere contatti con le persone che ci hanno già lavorato o che ancora ci lavorano. Quando la ditta ha un minimo di storia, è più difficile che capitino cose di questo genere. Sono situazioni che si verificano più spesso nelle startup e nelle imprese gestite da singole persone. Ma non è detto. Certo, la garanzia assoluta sull’onestà e sulla stabilità psicologica delle persone non può offrirla nessuno”. Silvia Invrea consiglia però di fare attenzione a non far passare le normali difficoltà che uno stage o un primo lavora presenta come abusi. “Gli studenti spesso si lamentano perché non si sentono valorizzati nei posti di lavoro. Alcuni di loro vorrebbero subito uno stipendio da cinquemila franchi e compiti galvanizzanti. Non funziona così. Bisogna capire che i primi passi in un luogo di lavoro rappresentano un investimento”. Giovani viziati? Sembra un mantra, un tormentone: i giovani sono viziati, pretendono tutto e subito. Corrisponde al vero? Secondo il sindacalista Dante Peverelli (OCST) no: “Nutro una grandissima fiducia nei confronti dei giovani di oggi”.
Allora non crede che siano troppo pretenziosi, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e darsi da fare? “Direi di no. Forse la generazione che è venuta immediatamente dopo la mia sì, era viziatella. A me pare che i giovani di oggi, invece, siano molto in gamba. Non credo nemmeno che vogliano tutto e subito: nutrono sicuramente delle aspirazioni, come è giusto che sia dopo le fatiche scolastiche, ma non mi sembra che abbiano delle pretese assurde”. Qual è il confine fra gavetta e abuso lavorativo? “Non è semplice tracciare una linea di demarcazione, dal momento che il mondo del lavoro è cambiato molto, negli ultimi anni. Per esempio, spesso giovani apprendisti si lamentano con me e i colleghi del fatto che chi dovrebbe insegnare loro come svolgere la professione lo fa distrattamente e velocemente: manca sempre il tempo. Io non credo che un ragazzo che ha voglia di fare si ponga questi limiti. I giovani, però, subiscono di più rispetto alle persone di una certa età. Se gli dici vai a prendermi l’acqua, le sigarette, lo fanno”. Capitano spesso storie come quella di G.? “Credo che a Chiasso siano all’ordine del giorno, anche a nostra insaputa. Qui si assumono molti giovani frontalieri, che arrivano in Svizzera pensando di aver trovato l’America, perché hanno un contratto a tempo indeterminato, guadagnano più di 800 euro al mese: condizioni che oltre confine non si trovano tanto facilmente. Chiaramente ci sono molti datori di lavoro prepotenti che fanno leva sulla paura di perdere il posto e sul disagio per angariare i sottoposti”. Quando si sente odore di abuso, come bisogna comportarsi? Meglio reagire o mandar giù il boccone amaro? “La mia esperienza è che la paura di perdere il posto di lavoro si trasforma quasi sempre nella perdita del posto di lavoro: continuando a tollerare ingiustizie e umiliazioni, succede che prima o poi si scoppi. Meglio far valere i propri diritti sin dall’inizio, magari contattando un sindacato o addirittura un avvocato”.
La luce e la materia Sino al 30 maggio una mostra allestita presso la Galleria d’Arte Moderna di Villa Reale a Milano celebra il talento di Medardo Rosso, un notevole scultore italiano poco noto al grande pubblico di Alessandro Tabacchi
Chiamarlo il “Rodin italiano” potrebbe sembrare eccessivo, ma l’arte di Medardo Rosso (1858–1928) possiede caratteri peculiari che la pongono in consonanza con quella del grande francese: ambedue sono i due soli scultori che possano a buon diritto definirsi “impressionisti”. Cosa non facile né banale, donare alla scultura, arte stante per eccellenza, quel dono di indefinitezza mobile tipica delle pennellate veloci di colore puro di Monet o Sisley! Eppure Medardo Rosso voleva “far dimenticare la materia”, e ci riuscì.
Arti 8
Un caposcuola da riconoscere L’arte di Medardo Rosso brilla per onestà intellettuale in un periodo in cui troppi veri talenti (si pensi a Giulio Aristide Sartorio) si piegarono all’imperante retorica del simbolo, dell’evocazione, del sogno, della declamazione visiva. Le sue avrebbero potuto essere sculture virtuosistiche e retoriche, ma non lo sono, e questo è il loro pregio maggiore. Certo, per riprendere il paragone con cui abbiamo cominciato, in termini d’impatto visivo Auguste Rodin è superiore a Medardo Rosso: lo è perché seppe essere impresSenza tempo, senza vincoli sionista senza rinunciare alla Le sue cere, i suoi gessi, i suoi grandiosità ellenica delle forme e bronzi paiono colti in un magico seppe trascendere l’impressionidivenire posto in un momento smo per giungere a un realismo precedente la loro compiutezza, superiore, in cui non veniva evoeppure non sono mai opere incata una forma tridimensionale, compiute. In esse vi è un senso ma effettivamente mostrata nel del tempo che le rende allo stesso suo compiersi dinamico. Rosso tempo momentanee ed eterne. E si ferma all’incanto dell’evocaanche, a volte, vagamente strazione e della mutevolezza laddonianti. Non sai mai se sotto un ve Rodin riesce sempre a essere sorriso si celi una smorfia di doincredibilmente ponderoso; Rosso lore, o se, nell’inclinazione di una pare voler dimenticare di essere testa, debba leggersi un dramma scultore, laddove Rodin, invece, esistenziale o, al contrario, la giovuole rifondare la scultura clasia di esistere. Non è un caso che sica senza rinunciare a nulla. Rosso nasca scapigliato, e che Bambino al sole (1891-1892), gesso patinato (medardorosso.org) Eppure in un’ideale scalinata per tutta la vita non abbia mai abbandonato un ideale di anarchica libertà intellettuale della grandezza (sempre che gerarchie del genere abbiano e politica: la sua arte profuma sempre di azzardo, rischio senso e valore) Rosso è verosimilmente solo un gradino e anche eresia… Aver chiamato il figlio Francesco Evviva sotto Rodin. La sua straordinaria abilità nel modellare Ribelle ci fa capire che i salotti buoni della borghesia padana ha aperto strade nuove a tutto il novecento, da Martini a Giacometti, mentre la liquidità del suo fare manuale non e transalpina non avevano corrotto la sua indole. Tutto il ribollire del suo genio iconoclasta non è però un ha ancora trovato pari. fiore isolato spuntato a caso: per esempio, i suoi ritratti di L’esposizione di Milano è quindi veramente meritoria, bambini, campo nel quale era imbattibile, e la sua capacità perché dedica attenzione a un artista ancora troppo poco di focalizzarsi sul volto umano facendolo emergere da un conosciuto, e la felice concomitanza con l’apertura di Expo fondo indistinto devono molto alla ritrattistica di Tranquillo (la mostra durerà fino a tutto il mese di maggio) porterà Cremona e Daniele Ranzoni. In verità, pur essendo maturato sicuramente nuovi seguaci all’arte di Medardo Rosso. a Parigi, rimase sempre un artista di gusto lombardo (lui, pur Dopo tanti super-eventi sbandierati come immancabili e nato a Torino, ma trasferitosi già nell’adolescenza a Milano): poi, nella realtà dei fatti, rivelatisi costosi “blockbuster” un rivoluzionario ben inserito nel contesto dell’arte del suo cultural-mediatici alquanto grossolani, questa è una boctempo, che però non sconfinò quasi mai nel provincialismo, cata d’aria salutare. Con un unico neo, sicuramente non è intriso di suggestioni simboliste, languidamente mortifero, a buon mercato. Il costo del biglietto non invoglia il visiborghesemente demoniaco e in fin dei conti opprimente tatore casuale o il semplice curioso: ma forse è veramente troppo pretendere la grande qualità a buon mercato… di tanta arte italiana di fine ottocento e primo novecento.
Letture Viaggio in Svizzera di Roberto Roveda
Nella
seconda metà del settecento JeanMarie Roland de la Platière (1734–1793), illuminista e politico francese, compie una serie di viaggi in Svizzera, nella Penisola italiana, in Sicilia e a Malta. Ne nascono resoconti, decine di lettere che lo stesso Roland raccoglierà nel 1780 nel volume Lettere scritte dalla Svizzera, dall’Italia, dalla Sicilia e da Malta, testo mai tradotto in italiano, ma molto apprezzato dai contemporanei che lo consideravano il più istruttivo viaggio a sud delle Alpi. L’editore locarnese Dadò colma ora, almeno parzialmente, questa lacuna grazie a La Svizzera nel Settecento volumetto in cui vengono presentati gli scritti di Roland de la Platière relativi ai suoi viaggi attraverso il nostro territorio. Le “pagine elvetiche” sono sufficienti a farci comprendere la grandezza di questo intellettuale del secolo dei Lumi. Roland, infatti, è osservatore curioso, acuto, sincero nel suo interesse per il mondo che lo circonda. Da attento pensatore, è attratto dalle peculiarità politiche dello stato confederato
elvetico, con il suo equilibrio tra le diverse comunità linguistiche e religiose. Riesce quindi a restituirci una quadro estremamente vivido della Svizzera dell’epoca, dei suoi abitanti, delle abitudini e delle usanze. Coglie, inoltre, le caratteristiche pittoresche dei villaggi e le innocenti pomposità degli eruditi e patrizi locali e con spirito già preromantico rimane affascinato dalla natura selvaggia delle montagne. Ma Roland è soprattutto capace di coinvolgere il lettore perché è a sua volta narratore coinvolto, emozionato, divertito e divertente. Può magari perdersi un poco nelle descrizioni minute, ma si fa poi perdonare con aneddoti gustosi e ironici come nel racconto dell’incontro con Voltaire a Ferney, ai confini tra Francia e Svizzera. Il grande filosofo viene, infatti, descritto tutto compreso nel suo ruolo di attrazione del piccolo centro: un vero e proprio satrapo che amministra la propria gloria concedendo visite come un sovrano e inviando missive con corrieri in tutta Europa.
La Svizzera nel Settecento Jean-Marie Roland de la Platière Armando Dadò editore, 2014
SUNRISE FREEDOM : SI COMMENTA DA SÉ
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Un successo imprevisto Il recente film di Mario Martone dedicato alla figura e alla vita di Giacomo Leopardi, pur con esiti altalenanti e parecchie forzature, ripropone l’attualità del poeta di Recanati di Gaia Grimani
Media 10
Dopo le prime due settimane di programmazione, il film alle “magnifiche sorti e progressive”, proclamate dal suo di Martone su Leopardi, intitolato Il giovane favoloso, è secolo con ottusa sicumera. stato il lungometraggio italiano più visto della stagione cinematografica, con oltre mezzo milione di spettatori e Esiti alterni incassi da record. Nessuno avrebbe potuto prevedere un L’ultima parte del film si svolge a Napoli, dove si concluderà successo del genere e pochi avrebbero avuto il coraggio di la giovane vita del poeta che lancia con la poesia La ginestra il suo ultimo grido di dolore. Forse il trasporto affettivo di realizzare una tale pellicola. Di fatto il film ha indotto a ritrovare il gusto della lettura Martone per la sua città lo induce a dare uno spazio inatteso e molto ampio a quest’ultima del grande poeta che è sfociato in parte che di tutte e tre m’è parsa serate a lui dedicate, come quelle la più convincente e nuova, non recenti su iniziativa del comune di solo perché ne emerge una Napoli Morbio Inferiore, animate da Frantalvolta spettrale che preannuncia la cesco Bianchi e Maria Giuseppina morte imminente del protagonista, Scanziani. Oltre cento persone per ma perché scaturisce anche tutta sera ad ascoltare le più belle Operette l’umanità di Leopardi a partire dalla Morali e i Canti più struggenti. golosità per i gelati fino alle ultime Il film è diviso in tre parti e la prima, malinconie ai piedi del Vesuvio. dedicata alla giovinezza del poeta, Lati positivi e lati negativi formano dura un’ora intera. La scena si apre il tessuto del film, interpretato in con tre ragazzi che si rincorrono modo convincente da Germano, il gioiosi nel giardino di una villa del Elio Germano nei panni di Giacomo Leopardi nel fil di Mario Martone (ytimg.com) cui viso pallidissimo e senza rughe primo ottocento. Siamo a Recanati e i bambini sono i fratelli Leopardi: Giacomo e, dopo di lui, sembra, però, non invecchiare mai nel corso della vicenda a breve distanza d’età, Carlo e Paolina, non solo compagni e il tempo che passa è segnato solo dall’ingobbirsi e rimdi giochi, ma consolazione affettiva di una fanciullezza picciolirsi progressivo della sua persona. solitaria e infelice sotto gli occhi di una madre algida, Ade- Martone, a quanto afferma, ha inteso mettere in scena laide Antici, e di un padre, Monaldo, reazionario e bigotto. un ribelle, un uomo nato alla fine del settecento con un Il ragazzo trascorre con i fratelli l’adolescenza, dedicandosi pensiero che non apparteneva al suo tempo, un poeta che allo studio nell’immensa biblioteca paterna, con un sempre parla a chiunque senta l’urgenza di rompere le gabbie che più ardente desiderio di scappare dal natio borgo selvaggio. tutti percepiamo intorno a noi: famiglia, scuola, politica, Le sue eccezionali doti attirano, però, l’attenzione di molti società, cultura. C’è riuscito? Non di sicuro nelle declamastudiosi, in particolare di Pietro Giordani con il quale inizia zioni degli scritti e delle poesie di Leopardi, rallentate e una fitta corrispondenza, vista con sospetto e rivalità da dilatate, per lo più narrativamente ingiustificate e teatrali, Monaldo, convinto che Giordani manipoli il giovane e lo deludenti per chi conosce la profondità dell’opera leoparinduca ad allontanarsi dall’ambito familiare e dalla vita che diana, inavvertite per gli ignari, se non come un accessorio egli sogna per il figlio. Effettivamente la fuga viene tenta- di cui si farebbe volentieri a meno. Contestabile mi appare ta, ma immediatamente scoperta e il “prigioniero” viene anche la scelta di cosa raccontare: molti punti importanti umiliato in un colloquio con il padre e lo zio materno, della biografia del poeta sono stati omessi, a vantaggio di durante il quale egli, nonostante il sogno di poter gridare episodi inventati o “caricati”, come il suo rifiuto a usare il coltello o l’incontro con l’ermafrodito nel lupanare, prola sua infelicità, non trova il coraggio di farlo. A questo punto un salto temporale di dieci anni ci porta al vocato senza una vera ragione da un Ranieri, altrimenti soggiorno fiorentino di Leopardi, alla conoscenza e amici- iperprotettivo e in questo caso inaspettatamente sventato. zia con l’esule napoletano Antonio Ranieri con il quale egli Per contro, la fotografia del film appare assai curata, con decide di vivere e all’incontro con Fanny Targioni Tozzetti immagini suggestive e il ritmo della narrazione interessanche rappresenterà un amore infelice, conteso, senza conte- te, alternando corse forsennate e forsennati rallentamenti, sa, al più giovane e avvenente amico. A Firenze c’è anche che ci fanno ritrovare con vivida emozione il Leopardi amail confronto con la società intellettuale dell’epoca che non to a scuola, quello che, parlando di una morte agognata, accetta la capacità visionaria di un uomo che osa opporsi ci ha trasmesso un amore infinito per la vita.
La profezia mancata Apparso proprio a ridosso dei noti fatti parigini, “Sottomissione” di Michel Houellebecq è un romanzo noioso, “francesemente” snob e inutilmente intellettualistico di Marco Alloni
Lanciato come “profetico” dal sistema editoriale succube dell’isterismo post-Charlie Hebdo, l’ultimo sforzo letterario di Michel Houellebecq prospetta l’affermarsi della Fratellanza musulmana in Francia a future elezioni presidenziali. Una profezia mancata sul piano intellettuale nella misura in cui annuncia un ritorno reazionario di marca “medievale” in un’Europa che è viceversa, fin da questi giorni, ricompattata intorno al suo spirito repubblicano in funzione anti-jihadista. Il francocentrismo di questo libro è d’altronde palese in ogni sfumatura terminologica, al punto che non sfugge a nessuno che assomigli più a una requiem decadentistico della Francia imbelle dell’estetismo – o dell’occidente arreso al fallimento del moderno – che a un romanzo politico nel senso cogente del termine.
strettamente saggistica invece di usare surretiziamente la narrativa a tale scopo. Il nucleo del romanzo è infatti tutto e solo intellettuale, è speculativo in senso proprio. La “storia”, ovvero le vicende che vi sono narrate, sono puro collante per tale speculazione. Si riflette autoralmente – ex cathedra – molto più di quanto si inviti a riflettere il lettore. E con grande dispendio di citazioni e riferimenti colte si giunge al topolino della rivelazione finale: l’occidente è nostalgico della sua unità, e solo Dio può assicurarla. Una tesi come tante che non si capisce perché debba essere l’oggetto di un libro di tale fatta. Tanto più che ci racconta di una decadenza evidente e sotto gli occhi di tutti, che solo una certa “furbizia” intellettuale può immaginare risolta dall’Islam e dal nostro ritorno ai vantaggi del comunitarismo di marca Il successo del caso Michel Thomas, in arte Michel Houellebecq (navecorsara.it) islamica. Ma il vero limite del libro risiede, appunto, al di là del suo mancato bersaglio. Il suo limite è letterario in senso stretto. È un romanzo in L’Islam visto dall’Europa cui la digressione sovrasta pesantemente il narrato, dove Non entrerò nel terreno del citazionismo di cui il libro è l’ombelico del protagonista offre la sponda a speculazioni infarcito. Ogni singolo riferimento – a partire da quello, intellettualistiche di cui al lettore non importa alcunché. ridondante e cattedratico, a Huysmans – è infatti passibile Lento, legnoso, pretenzioso nel suo accademismo di di ogni sorta di controcanto. Ma rileverò che alla letteramaniera, non avrebbe raccolto che qualche consenso di tura contemporanea manca soprattutto – e questo ne è un nicchia se non fosse comparso, fortunosamente e fortuna- caso eloquente – un rapporto immediato con la propria tamente, in questo delicato frangente della storia francese. realtà reale. Con quanto della realtà andrebbe percepito fuori dai suoi categorismi intellettualistici e schematismi Ancora una volta, “erano una soluzione, quella gente”. Ora la domanda è dunque: a quando un romanzo davve- speculativi. La realtà islamica va ben al di là, nel suo visro consapevole sul rapporto fra Islam e occidente? I casi suto, dei precetti esteriori in cui la inquadra Houellebecq, letterari si sgonfiano nel giro del consumarsi dei fatti di concentrando tutta la sua attenzione su quel “fantasioso” attualità che li hanno alimentati. È tempo di prescindere, ritorno alla famiglia, alla poligamia opportunistica, a nel giudizio sulla letteratura, da quanto ne fa un efficace quella (inventata) sottomissione delle donne, a quel loro strumento “usa e getta” dell’impero della polvere. A meno ritrarsi dal mondo del lavoro, a quello strategismo poliche non si voglia davvero credere che la letteratura sia tico che supera le contrapposizioni sinistra-destra di cui l’autore intride la sua rappresentazione dell’Islam. morta e non resti in sua vece che l’editoria. D’altronde Sottomissione è un romanzo pretestuale. Una Ma purtroppo questo è uno dei segni della decadenza trama ridotta all’essenziale per raccogliere, spalmata come europea. Per raccontarci l’Islam ci affidiamo a un “promarmellata aggettivante su un pane di per sé insipido, fessore” – che lo sia o meno lo stesso Houellebecq – che una mera digressione pseudo-accademica. Sarebbe stato si perita di narrarcelo dalla prospettiva di un eurolettepiù opportuno giocare la finzione “futuristica” in forma ralismo persino stucchevole.
Società 11
S
ono nato a Brescia il 4 febbraio del 1971, ma sono cresciuto a Stabio, in Ticino, dove a tre anni e mezzo mi sono trasferito con i miei genitori, per seguire il lavoro di mio padre, meccanico di precisione. Da bambino mi piaceva giocare a calcio anche se non ho mai pensato di diventare un professionista. Sognavo invece di diventare un poliziotto. A calcio ho continuato a giocare, arrivando alla Prima Divisione… fino a ventun anni quando, nel giro di sei mesi, mi sono rotto le ginocchia. Ho deciso allora di abbandonare la carriera calcistica, per dedicarmi totalmente al lavoro e crescere professionalmente, anche perché dopo le scuole dell’obbligo avevo già deciso di seguire le orme paterne. Sono andato a Locarno, dove ho frequentato una scuola all’interno di un’azienda nel settore della produzione di macchine di elettroerosione. Mi pesava però l’assenza da casa e dopo un anno ho preferito abbandonare gli studi e sono tornato a casa. A quel punto ho cambiato completamente indirizzo scolastico, mi sono iscritto a una scuola privata di lingue e commercio, la Sant’Anna, e dopo due anni ho conseguito il diploma. Avevo 19 anni e tanta voglia di lavorare per non gravare più sulla mia famiglia. La mia prima esperienza lavorativa è stata per un’azienda di trasporti: ero il braccio destro del responsabile della logistica dei trasporti di derrate alimentari dall’Italia alla Svizzera e viceversa. Dopo neanche un anno l’azienda ha deciso di lasciare a casa il mio capo e di tenere me, come responsabile del reparto. Ero molto giovane, ma già gestivo il lavoro di quattro persone, organizzavo le loro giornate e tenevo i contatti con i clienti, tramite il telefono e tramite telefax: sono passati solo vent’anni ma parlare di telefax oggi sembra parlare di preistoria! La società per cui lavoravo mi prometteva di continuo che presto avrei ottenuto un importante aumento di stipendio, ma più passava il tempo e più l’aumento non arrivava e io mi accorgevo che dov’ero non c’erano neanche grandi sbocchi lavorativi. Un giorno un massaggiatore dell’ambiente calcistico, a cui avevo confidato il mio scontento professionale, mi ha messo in contatto con il mio attuale datore di lavoro.
Dopo un colloquio, sono stato immediatamente assunto come responsabile della gestione della parte amministrativa della società per la filiale di Coldrerio. Sono così passato dai trasporti a un’azienda di servizio, un’agenzia di una nota marca di automobili tedesca dove ho iniziato con l’occuparmi soprattutto di fatturazione e contabilità. Dopo cinque anni che lavoravo lì sono stato cercato da un’altra azienda. Ne ho subito parlato con il mio direttore: da parte mia volevo capire se valeva la pena restare, se c’erano possibilità di crescita professionale, anche economica. Lui mi ha così proposto di lasciare la contabilità per occuparmi della vendita, un settore dagli ampi margini di crescita, e io ho deciso di rimanere e da allora, era il 1998, mi occupo della vendita di macchine, un’attività che mi dà grandi soddisfazioni e alla quale cerco di dare il massimo ogni giorno. Per me, che sono timido di natura, è stato un cambiamento radicale, perché da un giorno all’altro mi sono ritrovato a diretto contatto con la clientela. È stata una bella sfida professionale e personale che, grazie anche al mio essere testardo da una parte e obiettivo e riflessivo dall’altra, penso di aver superato con successo. Oggi è proprio il fatto di rapportarmi con la gente a darmi la spinta per alzarmi ogni mattina con entusiasmo. Posso dire di essere una persona fortunata: amo il mio lavoro, non saprei scegliere di meglio, e spero di continuare con lo stesso coinvolgimento fino alla pensione. Al di là dell’ambito professionale, ho tre splendidi figli e una compagna con la quale sto molto bene. I miei ragazzi stanno entrando nella fase adolescenziale e la mia preoccupazione più grande è di educarli al meglio, affinché scelgano la strada giusta e diventino delle persone valide. Tra gli impegni di lavoro e la famiglia, non mi rimane molto tempo libero, però ogni tanto trovo una valvola di sfogo concedendomi ancora un po’ di sport: non gioco più a calcio, ma preferisco gite in mountain bike, praticare sci e fare passeggiate in compagnia, a stretto contatto con la natura.
FrANCESCO rAgNOLI
Vitae 12
Da piccolo sognava di diventare un poliziotto, oggi lavora per una nota azienda automobilistica. Una professione che assieme alla compagna e ai tre figli riempie completamente la sua vita
testimonianza raccolta da Roberto Roveda fotografia ©Davide Stallone
Vittoriale
Il rifugio del Vate di Fabiana Testori; fotografie ŠFlavia Leuenberger
A
nche senza conoscere il Vate, la sua opera, i suoi romanzi, le sue manie e l’influenza che ebbe sull’Italia fra le due guerre, entrare e passeggiare nella cittadella monumentale del Vittoriale degli italiani resta un’esperienza suggestiva. Un po’ per l’architettura così singolare, un po’ per la maestosità del parco, un po’ per l’assemblaggio, assolutamente insolito di costruzioni completamente diverse fra loro e un po’, alcuni ne sono assolutamente certi, perché la presenza di Gabriele D’Annunzio pare aleggiare ancora fra mura e viottoli del complesso museale.
Arroccato su di un piccolo promontorio del Lago di Garda, nel comune di Gardone Riviera, il Vittoriale si estende su circa nove ettari di terreno e domina l’intero paese. Gabriele D’Annunzio acquistò la villa, la casa colonica, la casa del giardiniere e l’oliveto nel 1921. In seguito, si aggiunsero altri elementi, il frantoio, il culmine del colle, la darsena al lago e la villa Mirabella con il rustico. La villa principale, dove il poeta trascorse gli ultimi anni di vita, ricavata da una casa colonica del settecento era stata abitata e poi abbandonata, con tutto ciò che contene-
Flavia Leuenberger Classe 1985, ha frequentato il Centro scolastico per le industrie artistiche (CSIA) ottenendo nel 2004 il diploma di grafica. Dopo alcuni anni di esperienza anche in ambito fotografico svolge ora entrambe le attività come professionista indipendente. flavialeuenberger.daportfolio.com
in queste pagine Veduta del Lago di Garda dalla sommità del Mausoleo in apertura Angolo di lettura all’interno della Libreria
va, poco prima dell’entrata in guerra dell’Italia (1915), da Heinrich Thode, storico dell’arte tedesco di fama europea. Di dimensioni modeste per l’epoca, solo diciannove vani, la villa aveva conquistato immediatamente il Vate, forse ormai stanco, a cinquantotto anni suonati, di bighellonare per l’Europa rincorso dai creditori e di lanciarsi in nuove imprese di guerra, soprattutto dopo la deludente esperienza di Fiume, la cui occupazione non aveva portato i frutti sperati. La proprietà di Gardone Riviera rappresentò quindi la me-
ritata sosta dopo tanto peregrinare, anche se i più maligni parlarono di “esilio” voluto da Mussolini che ormai considerava D’Annunzio una presenza troppo ingombrante. Mix stilistico Quel che è certo è che il poeta-guerriero era alla ricerca di spazi tranquilli dove tornare alla sua arte, come scriveva già nel 1917 nei Taccuini: “… Vedo sul Garda biancheggiare Sirmio. Il crivello delle nuvole lascia cadere qualche grano di sole, giallo come il gran siciliano. Il lago ha qualcosa di pudico.
La stanza della Leda
La sala del Mappamondo, biblioteca principale della residenza
S’avvolge in un velo argentino, e lascia vedere qualcuna delle sue grazie rosee. Il lago è immobile, come allora. Le nuvole vi si specchiano. A Desenzano l’acqua è zaffiro schietto. La penisola di Sirmione è come una calza di seta bruna ove una donna passa un braccio per rovesciarla mettendo la mano fino al pedule; e la pelle rosea attraverso il tessuto fine (…). A un tratto la nuvola si dissolve. Tutto è azzurro, come un’ebbrezza improvvisa, come un capo che si rovescia per ricevere un bacio profondo. Il lago è d’una bellezza improvvisa, indicibile. E il Nemico è tuttavia laggiù! Intorno a Sirmio e vene di smeraldo. S’odono i violini e le viole di Salò”. Gabriele D’Annunzio, con l’aiuto del fedele architetto e amico Gian Carlo Maroni trasformò ben presto la villa di Thode, d’influenza tipicamente “nordica”, in un edificio che ricalcava il suo gusto personale e i suoi eccessi. Gli stili più diversi, dal liberty al futurismo, passando per una lunghissima serie di citazioni scolpite su pareti e statue, foto, idoli, stemmi, bandiere, addobbi si sono fusi in un unico luogo che ancora oggi richiama l’attenzione di molti. La casa come autocelebrazione Per descrivere nel dettaglio il complesso del Vittoriale sarebbero necessarie pagine e pagine. Ogni spazio – dal mausoleo del Vate con tre giri di mura, alla nave Puglia, cioè alla prora dell’incrociatore Puglia che nel 1915 aveva protetto l’esercito serbo e che in seguito venne collocata nel parco del Vittoriale, dal giardino ricco di cipressi, ulivi, palme, roseti, all’anfiteatro all’aperto, già vagheggiato da D’Annunzio ai tempi della sua relazione con l’attrice Eleonora Duse e poi finalmente realizzato a Gardone, passando per il cosiddetto appartamento degli ospiti, dove il poeta ospitava compagne, amiche e amanti – meriterebbe una descrizione a sé. Dovendo scegliere, particolare attenzione è importante dedicarla alla casa, ossia all’ex villa Cargnacco (detta Prioria), vero e proprio santuario del poeta. Fin dall’ingresso (il vestibolo) è chiara l’impronta dannunziana, nella penombra infatti, il visitatore veniva condotto o a destra (stanza del Mascheraio) dove si accoglievano gli ospiti non graditi, scura e quasi interamente occupata da oggetti appartenuti ancora a Thode, oppure a sinistra, nell’oratorio dalmata, ricco di simboli religiosi, dove invece si accoglievano gli ospiti graditi al Vate. Fra le stanze più interessanti non si possono tralasciare quella del Mappamondo, ex biblioteca di Thode, in cui sono raccolti alcuni cimeli napoleonici, fra cui la maschera funeraria di Napoleone, la tabacchiera usata dall’ex imperatore a Sant’Elena e il sigillo imperiale in agata e argento; ma anche la stanza della Leda, la camera da letto dedicata al tema amoroso, fondamentale nella vita del poeta, colma di maioliche persiane, porcellane cinesi e ceramiche tutte dominate dall’oro e dall’azzurro; il bagno blu, di artigianato moderno, costellato da un’infinità di oggetti, 850 si dice, fra ceramiche, gessi, bronzi, ampolle e animali di ogni tipo; e ancora la stanza di Cheli, la sala da pranzo, che prende il nome dalla tartaruga che il poeta ricevette in dono dalla marchesa Luisa Casati che morì di indigestione per aver mangiato troppo. È proprio Cheli imbalsamata a dominare la tavola come monito ai commensali. All’interno della Prioria è impossibile dimenticare lo spazio forse più inquietante dell’intera villa, la stanza del Lebbroso. Una camera voluta da D’Annunzio come luogo di meditazione
Cortile interno
e raccoglimento, ma allo stesso tempo anche come camera funeraria un giorno che la morte fosse sopraggiunta. Su di una pedana al centro si trova il letto, metà culla, metà bara dove fu effettivamente esposto il poeta subito dopo il decesso (1938). Accanto al giaciglio una statua del primo cinquecento raffigurante San Sebastiano, mentre sul soffitto sono raffigurate cinque sante in volo, da Sibilla di Fiandra a Caterina da Siena. Testimonianza di un’epoca Il Vittoriale è stato donato dallo stesso D’Annunzio allo stato italiano già nel 1923, non ancora completato e nemmeno interamente pagato, ma per il Vate testimonianza della sua opera ultima, la più estrema, la più completa. Dichiarato monumento nazionale solo un anno dopo la donazione, la cittadella fortificata, oltre a essere stata luogo d’incontro di amici e nemici del poeta-guerriero, come Balbo, Coselschi, Cadorin, Toscanini, Mussolini ecc. è stata fin dall’inizio meta di intellettuali, politici e curiosi. Oggi è sicuramente la testimonianza non solo della vita di un poeta che fu anche personaggio pubblico, ma anche e soprattutto di un’intera epoca e di una parte centrale della storia d’Italia. Per informazioni e visite: vittoriale.it.
fonti bibliografiche Anna Villari, Gabriele D’Annunzio e il Vittoriale. Guida storicoartistica, Silvana Editoriale, Milano, 2009. Enrico Di Carlo, Dall’Abruzzo al Vittoriale. D’Annunzio 1938-1998, Andromeda Editrice, Teramo, 1998.
Concorso. La foto del mese
Pubblichiamo la seconda immagine selezionata tra quelle giunte in Redazione nell’ambito del concorso fotografico lanciato da “Ticinosette” ai lettori per il 2015. Il prossimo appuntamento è tra quattro settimane...
Il sogno (la strada per raggiungere i sogni) di Alessandro Pellegrini
Tutti possono partecipare al concorso fotografico anche se, per ovvie ragioni, sono esclusi categoricamente i professionisti della fotografia (ma non gli apprendisti fotografi e altre persone in formazione). Nel corso del 2015 i partecipanti potranno inviare una sola foto per ogni sezione, anche in tempi diversi. Abbiamo definito quattro tematiche sulle quali potete sbizzarrirvi: “la memoria”, “il sogno”, “il corpo”,
“l’acqua”. Ricordiamo che in ogni invio deve essere specificata la sezione a cui si intende concorrere, oltre al proprio nome e cognome, indirizzo e recapito telefonico. Come già indicato, le immagini – che saranno accettate solo se inoltrate in alta risoluzione (300/320 ppi) in modo da consentirne la pubblicazione – dovranno essere inviate al seguente indirizzo di posta elettronica: phototicinosette@gmail.com.
Mensilmente pubblicheremo un’immagine selezionata tra quelle giunte nell’arco delle quattro settimane, e ritenuta la più interessante dal comitato di Redazione. Tra un mese verrà dunque pubblicata la seconda immagine selezionata e alla fine del 2015 le migliori saranno raccolte in un reportage. Il vincitore finale, selezionato sempre dalla Redazione, riceverà un premio in contanti di ben 400 franchi.
Gli annoiati
A scuola ci si annoia? A quanto pare è questo il risultato di uno studio recente che mette in luce, fra l’altro, la scarsa capacità di sorprendere ed emozionare da parte di chi sta dietro la cattedra di Carlo Baggi
La terza edizione di “Scuola a tutto campo”, lo studio che
ha passato in rassegna lo stato della nostra scuola, registra che: “… quasi un allievo su due di scuola media afferma di annoiarsi, un sentimento condiviso pure dal 44% degli apprendisti che segue una formazione a tempo pieno”1. Apparentemente la notizia non desta particolare meraviglia; credo che chiunque, nell’arco della propria esperienza scolastica, abbia provato quel sentimento soprattutto nell’ambito dell’insegnamento delle materie che non gli erano congeniali. In realtà, il dato è inquietante, sia per l’ampiezza del numero statistico, sia perché procede da un diffuso stato d’animo che si manifesta anche al di fuori dell’esperienza scolastica. Occorre esaminare, dapprima, quali siano i sentimenti che generano la “noia” e, quindi, chiedersi se il tedio manifestato nell’ambito scolastico sia indotto da lacune di metodo e sia il medesimo che affligge i giovani anche nel tempo libero.
tragici. Venendo ora al secondo aspetto, la “noia” dei giovani sovente non evapora appena essi escono dall’ambiente scolastico, anche se è mascherata dalle molteplici offerte di attività formative e ludiche cui vengono sottoposti nel tempo libero.
Trasmettere emozioni In effetti, essa è espressione di un profondo disincanto alimentato anche dall’inscatolamento tecnologico che, con il suo tipo d’informazione, conferisce la subdola illusione di possedere la chiave per comprendere ogni aspetto esistenziale. Disincanto che confonde il discernimento critico con la facoltà di comparare offerte tra loro solo apparentemente competitive. A questo punto ricompare il deficit scolastico che, stentando a formare il corretto giudizio, ossia la capacità di saper esprimere in parole il pensiero, sottrae alla ragione il suo vero potere che è quello di saper dominare le parole, cogliendone ogni sfumatura. Le radici della noia La mancanza di questa capacità Per quanto concerne il primo provoca, soprattutto nei giovaaspetto occorre dire che la noia Jean Guitton a Gerusalemme nel 1936 (mj-lagrange.org) ni, una contestazione silenziosa è figlia, essenzialmente, di due atteggiamenti: l’abitudine e il disinteresse. L’abitudine, di (noia) verso il sistema educativo. Senza comprenderne il per sé, non è un fatto negativo perché coopera alla forma- perché, esso è percepito come una barriera temporale che zione dell’esperienza e offre, all’essere umano, il senso di separa le intime aspirazioni dalle dovizie di “opportunità” equilibrio necessario per affrontare le vicissitudini della che il mercato offre. Guitton scrive che l’insegnamento, quotidianità. Tuttavia assume una valenza negativa quando quello che resta anche nella maturità, è generato quando produce un accecamento dei beni posseduti, ossia di tutto “un maestro ha sollevato su qualche punto il velo della consueciò che, in una vasta gamma di sensazioni, permette di tudine, comunicandoci un’ammirazione ch’egli nutriva, sempre produrre piacere (dalla tazzina di caffè, al benessere, alla nuova, nel suo cuore. Non è tanto per quello che ci insegnava che egli ci istruiva, perché quelle cose noi avremmo potuto, a salute, all’amore). Anche il disinteresse rappresenta un concetto neutro. Si rigore, trovarle in un libro. Ma ci ha fatto penetrare nella sua può essere positivamente disinteressati per scelta o negati- stessa emozione”3. Ecco, questo è forse ciò che manca sempre vamente per incapacità di pensiero. Quest’ultima situazio- di più nella nostra società. Occorrerebbe allora finalmente ne è ben descritta da Jean Guitton2, il quale afferma che: capire se questo fatto è una conseguenza della stessa o un “… la prima condizione per imparare a pensare è quella di disegno voluto per la stessa. coltivare in sé la facoltà dello stupore”. Lo stupore, l’assoluta meraviglia, è la propensione costante che ogni anima coltivata manifesta nell’approccio esistenziale, indipendente- note 1 “Quanto piace la maturità in Ticino” di Netoska Rizzi, Corriere mente dal grado di conoscenza. Disposizione, quella, che del Ticino, 28 febbraio 2015, pag. 9. la nostra contemporaneità, incapace di percepirne il vero 2 Jean Guitton, Arte nuova di pensare, Edizioni Paoline, 1986, pag. 13. senso, collega ormai unicamente alla descrizione di fatti 3 Jean Guitton, op. cit., pag. 15.
Kronos 43
Segni di vita Tendenze p. 44 â&#x20AC;&#x201C; 45 | di Alessio Longo
Scrostato, consumato, liso, sgarrupato, sciupato, degradato, grattato eppur bello. Ă&#x2C6; lo shabby chic, piĂš che una moda uno spunto di riflessione sul ciclo della vita e il suo significato
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el ricercato mondo dell’arredo e del design puntualmente fa capolino una moda insolita: lo shabby chic. Indipendentemente dalle origini e dal piacere di conservare e trattare sedie, armadi ecc. in modo “trasandato”, è evidente che un oggetto shabby chic non è per tutti, la sua comprensione richiede una certa sensibilità e un approccio estetico che, in maniera più o meno consapevole, porta in sé il seme dell’incertezza. Nel senso che gli oggetti shabby sono “in movimento”… o per lo meno rappresentano qualche cosa che “non è”, in verità “non c’è” e non esiste più.
Questa sensibilità decadente nasconde un’apparente malinconia, l’amore per la vita e per la bellezza “che si fugge tuttavia” come senso di un piacere profondo per l’esistenza effimera. Un senso di transitorietà che è perfettamente incarnato nella cerimonia del Mandala di sabbia tibetano, durante la quale i monaci creano una meravigliosa opera di sabbia colorata, per poi distruggerla al termine della cerimonia stessa: un modo per rappresentare il senso di transitorietà di tutto quello che viene creato, non importa in quanto tempo ne quanto sia caro o sofisticato. m o r t E , v i ta ,
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r i n n o va m E n t o
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Lo stesso John Ruskin, ottocentesco storico e studioso inglese (uno dei padri del moderno concetto di restauro), nel suo tentativo di creare una dimensione nella quale arte, vita quotidiana e spirito non fossero in antitesi, evidenziava il fatto che vi fosse, nel riconoscimento estetico, insita la transitorietà della vita, rivendicando così il diritto alla morte anche per gli oggetti. In altre parole, l’attenzione al decadente, al rovinato, al riutilizzato sono simboli ed evocazioni di un processo naturale di rinnovamento, nel quale il vecchio lascia il posto al nuovo, in modo a volte repentino, a volte più lento ma sempre in movimento.
Nel giro di qualche generazione si è passati dalla volontà di mantenere intatto e rinnovare periodicamente lo strato di pittura che, per esempio, riveste il tavolo della cucina, al lasciare che il tempo e l’usura dell’utilizzo segnino il mobile dandogli un carattere spontaneo, per così dire. Ma qual è la chiave di lettura che permette di affermare che un oggetto scrostato, consunto, smussato, è bello? Per non fermarsi semplicemente alla superficie (scrostata) un possibile approccio è legato a quello che vuole esprimere questo stile. Il termine stesso “shabby” si può tradurre come elegante decadenza, o elegante e trasandato. In ogni modo, la questione è aperta. Questo atteggiamento, decadente o trasandato che sia, mostra un passaggio da una realtà che si intuisce (la vernice com’era) a una realtà che si intravede (la vernice che non c’è più). Poco importa che l’effetto sia originale
o ricreato, quello che conta è il riconoscimento dell’effetto che regala, il quale in altri termini è il generarsi di un sentimento, di uno stato d’animo. Gli oggetti shabby generano in chi li apprezza una sensazione di semplicità e di intimo calore, capace di contrastare austerità e certezza con umile fragilità e precarietà dell’esistere, manifestando il diritto alla vulnerabilità. d a l l’ o c c i d E n t E a l l’ o r i E n t E
Questo approccio richiama una filosofia giapponese molto antica il “wabi-sabi”: come per lo shabby, superfici scrostate, incerte, arrugginite, in movimento, sono particolarmente apprezzate. In particolare, lo spirito del “wabi-sabi” si fonda su alcuni semplici principi: 1. tutte le cose sono temporanee; 2. tutte le cose sono imperfette; 3. tutte le cose sono incompiute. Con questo approccio si apre la porta su di una realtà che riecheggia ai quattro angoli del pianeta, e che è sempre riconducibile alla stessa radice: la transitorietà della vita, ovvero, parafrasando Lorenzo de Medici (il Magnifico), “chi vuol’esser lieto sia di doman non v’è certezza”.
per saperne di più Leonar Koren, Wabi-Sabi (Edizioni Ponte alle Grazie, 2006) John Ruskin, Economia politica dell’arte (Bollati Boringhieri, 1991) Giuseppe Tucci, Teoria e pratica del Mandala (Astrolabio Edizioni, 1969)
La domanda della settimana
Ad oggi avete già deciso chi e che cosa votare alle prossime elezioni cantonali del 19 aprile?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 19 marzo. I risultati appariranno sul numero 13 di Ticinosette.
Al quesito “Ritenete che lo Stato sia sufficientemente attivo nella costruzione e nella promozione di immobili a pigione moderata? avete risposto:
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NO
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Astri ariete Fino al 17 godrete degli effetti della congiunzione del Sole con Venere. Charme e importanti opportunità favorite dalla retrogradazione di Giove.
toro Miglioramento nelle attività professionali in ordine a una raggiunta maggiore serenità. Favorite le attività in equipe per i nati nella prima decade.
gemelli Seconda e terza decade a gonfie vele; situazioni di stress per le prime decadi. Fate una scelta alla volta, senza farvi condizionare da paure immaginarie.
cancro Grazie gli arrivi di Venere e Mercurio nei segni del Toro e dei Pesci si apre una fase ricca di prospettive. Irascibili i nati nella seconda decade.
leone Grazie ai pianeti in buon aspetto siete in grado di affrontare qualunque tipo di situazione. Riconoscimenti pubblici e guadagni. Incontri sentimentali.
vergine È difficile resistere a una forte suggestione. Evitate di adottare atteggiamenti al limite della superstizione. Discussioni e tensioni in famiglia.
bilancia Incontri determinanti per una vita intera. Seguite l’istinto. Assai impazienti i nati tra la seconda e la terza decade. Ritorno di un antico rivale.
scorpione Una certa indolenza e un maggiore appetito erotico e/o alimentare, riducono il vostro senso del dovere. Pigrizia. Affinamenti intellettuali.
sagittario La vostra vita sentimentale può arricchirsi di nuovi elementi e di nuove situazioni. Occasioni professionali per i nati nella seconda decade.
capricorno Situazioni di aggressività inaspettata all’interno degli ambienti familiari. L’ingresso di venere in Toro del 18 favorisce i nati nella prima decade.
acquario Amore e situazioni inaspettate fino al 18 marzo. Vita sociale ricca di situazioni e di eventi. Un po’ troppo autoindulgenti i nati nella prima decade.
pesci Novità per i nati nella prima decade. Seguite l’istinto. Fate quello che ritenete più giusto. In compagnia delle persone più care tra il 19 e il 20.
Gioca e vinci con Ticinosette
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Questa settimana in palio: un orologio salvavita Limmex
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Soluzioni n. 9 La soluzione del Concorso apparso il 27 febbraio è: PETROLIO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta sono stati sorteggiati:
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Orizzontali 1. La capitale sul fiume Potomac • 10. Erba irritante • 11. Il noto Ventura • 12. Cattiva • 13. Vende occhiali • 14. È vicino a Cadempino • 16. Un distillato • 17. È funesta quella di Achille • 18. Ortaggio insulso • 19. Rifugio per animali • 21. La terza nota • 22. Pari in vinto • 23. Crimine • 25. Consegnato • 27. Un’eroina di Daudet • 29. Abitavano l’Olimpo • 30. Bella regione austriaca • 32. Il dittongo del beone • 33. Particella nobiliare • 34. Il Paradiso perduto • 35. Stoffa pregiata • 37. Conoscitrice, competente • 40. Breve esempio • 41. Piccolo difetto • 42. Leggera imbarcazione • 44. La sigla del Tritolo • 45. Antica città dell’isola di Creta • 46. Pena nel cuore • 47. Fa strage nei pollai • 48. La Diana, cantante • 49. Lo si chiede con un SOS. Verticali 1. Noto film del 2006 di Oliver Stone con N. Cage • 2. Motivetto • 3. Cellule non differenziate • 4. Ungheria e Italia • 5. L’immagine sacra del Pope • 6. Venute al mondo • 7. Fitta foresta siberiana • 8. Osso del cranio • 9. Poppante • 15. Pesci prelibati • 18. Restituire • 20. Velivolo • 24. Levatrice • 26. Elettrodo positivo • 28. Due romani • 31. Leale, sincero • 33. Divinità femminili • 35. Gag pubblicitaria • 36. Debolezza muscolare • 38. Raziocinio, intelletto • 39. Aureole - 43. Il figlio di Isacco e Rebecca • 47. Ferrovie Svizzere.
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 13
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 19 marzo e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 17 mar. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
Augusta Moriggia (Bioggio) Bianca Piatti (Savosa) Roberto Guggiari (Arosio) Ai vincitori facciamo i nostri complimenti!
Tra coloro che inoltreranno corrrettamente la soluzionedel cruciverba verrà estratto un fortunato lettore che vincerà un elegante orologio salvavita Limmex con GPS e abbonamento base per sei mesi incluso, per un valore di CHF 713!
Grazie all’orologio salvavita Limmex e alla migliore rete telematica di Swisscom può ricevere aiuto in qualsiasi momento ovunque si trovi premendo semplicemente un tasto. In caso di emergenza, le funzioni di telefonia mobile integrate nell’orologio la connettono con le persone da lei scelte o con la centrale di allarme professionale. Questo le offre una sensazione di sicurezza nella sua vita quotidiana, anche quando non porta con sé il cellulare. Maggiori informazioni su swisscom.ch/orologio-salvavita
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