Ticino7

№ 12 del 20 marzo 2015 · con Teleradio dal 22 al 28 mar.

POTERE E NOBILTÀ

Palazzo Riva in via Pretorio a Lugano è uno dei grandi tesori della città.

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23.02.15 15:48

Ticinosette allegato settimanale N° 12 del 20.03.2015

Agorà Medio Oriente. La satira nella Mezzaluna

Stefania Briccola ........................

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nicoletta Barazzoni ................................

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faBio Martini .................................................

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Keri Gonzato ..................................................................

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di

Letture Asparagi. Il meglio di noi

di

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Tiratura controllata 66’475 copie

Chiusura redazionale Venerdì 13 marzo

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Vitae Stefan Christiani

di

Giancarlo fornaSier ...........

39

Matteo GerBer e franceSco della Santa ..........................

46

Reportage Palazzo Riva a Lugano. L’arte del potere Fumetto Ispettore Leoni

4

nicola deMarchi ......................................

Media Miami Vice. Crockett & Tubbs Mundus Moso. Nel paese delle donne

Impressum

di

di

di

P. Mezzanzanica ed e. MonteSSino ..

48

Svaghi ....................................................................................................................

50

Cucina Dalla parte del cibo (9). Comfort food

di

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook

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In copertina

Palazzo Riva, via Pretorio, Lugano.

Soffitto decorato e dipinto. ©Edizioni Casagrande, 2014

Musiche altre La vitalità musicale del nostro cantone si conferma anche nel corso di questi mesi primaverili che anticipano i grandi appuntamenti estivi. La rassegna 2015 “Tra jazz e nuove musiche” di Rete Due è infatti a buon punto, e proprio alla fine di questo mese sono previsti due interessanti concerti: il giorno 30 marzo il quartetto della pianista Julia Hülsmann si esibirà nello Studio 2 della RSI insieme al cantante Theo Bleckmann. I cinque artisti presenteranno un progetto ispirato alla musica meno conosciuta del grande compositore Kurt Weill (il titolo è appunto Unsung Weill), esplorata e riletta in modo originale e “imprevisto”. Il giorno successivo l’appuntamento, al Teatro Foce di Lugano, è con uno dei chitarristi più stimolanti della scena improvvisativa contemporanea, Mark Ribot. Collaboratore di lunga data di artisti come Tom Waits, John Zorn ed Ellery Eskelin, Ribot si propone con un progetto dedicato alla musica cubana (Marc Ribot Y Los Cubanos Postizos è il nome del gruppo) reinterpretata però attraverso lo spettro caleidoscopico della cultura musicale newyorkese degli ultimi vent’anni. Tra rumorismo, richiami a un mondo musicale scomparso e raffinati echi esotici, il gruppo offre, come indicato nella presentazione ufficiale della rassegna, a cura di Paolo Keller, “una traduzione musicale dello spirito presente nell’ormai classico romanzo Il nostro agente all’Avana di Graham Greene”. Il mese di aprile vede inoltre due altri importanti appuntamenti della rassegna: il 13 aprile ad Ascona, al Teatro del Gatto, un duo comprendente John Scofield, celebre chitarrista americano, in compagnia del pianista e cantante inglese Jon Cleary, proporrà un percorso fra blues, gospel e funky, mentre

il giorno 20 aprile, all’Auditorio Stelio Molo della RSI a Lugano, si esibirà Rabih Abou Khalil, riconosciuto suonatore di oud (il liuto mediorientale), insieme a un gruppo dalle molteplici influenze viste anche le presenze del portoghese Ricardo Ribeiro alla voce e del sardo Gavino Murgia, alle ance e alla voce.

Insomma, un percorso fra le diverse anime del Mediterraneo.

Sul lato meno istituzionale, ma non per questo di minor rilievo, segnaliamo la rassegna di musica improvvisata e non convenzionale che si tiene allo Spazio Panelle 10 di Locarno. Certamente non un grande auditorium, ma un luogo raccolto e con un’eccellente acustica, in cui da anni è possibile ascoltare e incontrare artisti di fama internazionale.

La rassegna, intitolata Festival M.I.C. primavera 2015, avviata in febbraio e che si concluderà alla fine di maggio, è centrata sulle nuove realtà dell’improvvisazione nel nostro paese. I prossimi appuntamenti sono il 22 e il 29 marzo, serate in cui si esibiranno due trii, rispettivamente Christoph Erb (ance), Frantz Loriot (viola) Christian Wolfarth (percussioni) e Fabian Mueller (piano), Kaspar Von Grünigen (contrabbasso), Fabian Bürgi (batteria). Nel mese di aprile invece, gli appassionati di improvvisazione e musiche “altre” potranno, sempre nell’ambito della rassegna, ascoltare due concerti: il 12 aprile l’interessante quartetto del sassofonista Lino Blochlinger, e il 19 aprile di nuovo un trio con Guy Bettini (tromba e flicorno), Natalie Peters (voce) e Christian Weber (contrabbasso). Per gli appuntamenti di maggio, vi assicuro di grande interesse, vi terremo puntualmente aggiornati.

Buon ascolto, Ben Zej

La satira nella Mezzaluna Medio Oriente. I tragici fatti di Parigi hanno stimolato discussioni e riflessioni sulla satira e i suoi limiti. Ma se in occidente la libertà di irridere i “potenti”, pur con posizioni e sfumature differenti, viene condivisa, cosa accade nei paesi di religione musulmana?

Quali i confini imposti dall’alto o autoimposti? Ne parliamo con Farian Sabahi, giornalista ed esperta di problematiche mediorientali di Stefania Briccola

“L Agorà 4

a satira non è prerogativa del solo occidente: anche in Medio Oriente gli artisti disegnano vignette, prendendo di mira il potere e il clero, ma non Dio e i suoi Profeti. Rischiando comunque la censura e ritorsioni anche pesanti”. Esordisce così Farian Sabahi, scrittrice, giornalista (anche per la RSI) e docente universitaria specializzata in tematiche mediorientali che di recente ha pubblicato il libro Il mio esilio con l’avvocata iraniana Shirin Ebadi, Nobel per la pace 2003 per la sua battaglia per i diritti delle donne e dei minori.

La satira rientra nell’universo variegato della “libertà di espressione”, si intreccia con l’idea di confine, necessario ai musulmani (ma non solo) per la protezione di alcuni valori e quasi avverso agli occidentali che cercano di eliminarlo per consentire una società aperta. Sembrerà paradossale, ma la grandezza di uno stato di diritto risiede proprio nei limiti che pone alle libertà di ciascuno attraverso il bilanciamento di interessi meritevoli di tutela e nel chiedersi fino a che punto è lecito spingersi oltre. In Europa la satira non si è fermata dopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo che ha tolto la vita a dodici giornalisti e fumettisti per aver pubblicato delle controverse vignette, considerate offensive verso la religione islamica, ma in seguito ripubblicate. Nei paesi musulmani, dove è impensabile ritrarre il profeta Maometto e Dio (in Tunisia la proiezione del film Persepolis dell’iraniana Marjane Satrapi è stata vietata perché Dio viene ritratto come un vecchio saggio), la linea rossa della censura governativa è ben demarcata.

La voce della satira (sempre politica e mai religiosa) si è fatta più anonima, talora si è spostata online, tuttavia non è morta. L’onda lunga delle primavere arabe ha sortito vari effetti e modi geniali di esprimersi per aggirare la censura.

In Siria hanno spaccato le mani ad Ali Farzat che ha osato farsi beffa di Bashar al Assad (raffigurato in una vignetta mentre trasporta la valigia del dittatore libico Gheddafi), in Arabia Saudita ha imperversato il video “No woman, no drive”, divenuto virale in breve tempo e di cui diremo tra poco, in Pakistan si può ridere di tutto eccetto che della religione e dell’esercito, in Libano c’è libertà ma guai a

toccare la religione. La satira si declina diversamente nei paesi islamici, più o meno moderati. Ne discutiamo dunque con Farian Sabahi, che di questo tema si è occupata anche a livello accademico.

Farian Sabahi, parliamo dello stato dell’arte della satira in Medio Oriente rispetto al potere e alla religione e dei confini che sono autoimposti…

In Israele offendere l’etica e la religione altrui è un reato contemplato dal codice penale. I vignettisti non prendono di mira Gesù o Maometto, ma soltanto la propria tribù. Quindi, per esempio, nella satira israeliana in generale la macchietta è il rabbino, in particolare quello razzista, omofobo e corrotto. Ci sono dei confini che sono autoimposti. In Israele, che è considerato il paese più democratico e occidentale del Medio Oriente, non si fa beffa della religione altrui. In Siria c’è un personaggio molto famoso che si chiama Ali Farzat, un vignettista che intervistai poco dopo la morte del presidente Hafez al-Assad. Nel febbraio del 2001 il neopresidente Bashar al-Assad gli permise di pubblicare la rivista satirica Addomari (in arabo significa “colui che accende i lampioni per la strada”), era il primo giornale indipendente costituito in Siria dal 1963. Ali Farzat ha pubblicato moltissime vignette che vendeva anche al quotidiano francese Le Monde. È un autore molto apprezzato nel mondo arabo e quando, negli anni ottanta, smise di scrivere e di pubblicare le sue vignette sul giornale siriano Al Thawra, la testata perse il 35% delle copie. Con le primavere arabe in Siria, Ali Ferzat ha vissuto la pagina più nera della sua carriera. Addomari era già stato chiuso perché Bashar al Assad si era reso conto del potere della satira, ma le ritorsioni non si sono fermate: gli scagnozzi del presidente hanno spezzato braccia e dita al vignettista, impedendogli di disegnare. Da qualche tempo, Ferzat vive in esilio. La sua colpa? Aver preso in giro il presidente siriano alAssad nel 2011, ritraendolo sudato mentre portava la valigia di Gheddafi. Non bisogna dimenticare che la Siria è un paese in cui la satira ha una lunga storia. Le tre vignette a colori che Ali Farzat mi diede, in formato cartolina, ritraggono un generale che elargisce medaglie a un poveraccio; un uomo comune che annaffia i suoi fiori e coltiva il suo giardino laddove qualcun

altro, altolocato, raccoglierà i suoi frutti; e un uomo con quattro chiavi accanto a una donna di cui si vedono tre serrature (la quarta ha evidentemente a che vedere con la sessualità). Le vignette di Ali Ferzat rappresentano una critica, evidente, allo strapotere dei militari (pensiamo al libico Gheddafi, all’iracheno Saddam Hussein e allo stesso Assad). In un certo senso, le sue vignette sono trasversali a tutto il mondo arabo, perché tale è lo strapotere dei militari così come il divario sociale e le questioni di genere. Un altro esempio di vignettista che è andato contro il regime siriano è Ibrahim Qashoush. A lui è andata molto peggio di Ali Farzat: lo hanno trovato morto il 4 luglio del 2011 nel fiume Oronte. Non si sa bene come sia stato ucciso, ma aveva la gola tagliata. Questo dimostra che in Siria (ma non solo) la satira è un mestiere estremamente pericoloso. È sempre difficile pubblicare satira nei paesi musulmani o si può fare dello humour su qualche tema?

In Pakistan si pubblicano vignette che si fanno beffa di uomini e donne di spettacolo, sportivi e politici. Ma non si prendono in giro i leader religiosi e la blasfemia contro Maometto è punita con la morte. Essendo una dittatura militare non è poi così strano che anche i vertici dell’esercito non possano essere toccati dalla satira.

Cosa succede in Iran con la satira?

La satira in Iran esiste già dai primi del novecento. Con la rivoluzione costituzionale del 1906 le nuove idee politiche prendono forma e i giornalisti iniziano a usare la satira come mezzo di espressione particolarmente efficace. La rivoluzione

costituzionale è stato un evento importante nella storia dell’Iran, perché ha permesso al paese di dotarsi di una costituzione e di un parlamento. Nel 1907 viene stampato, tra gli altri, il giornale satirico socialista Sur-i-Israfil, molto radicale, dove trova posto la rubrica di un famoso vignettista, Ali Akbar Dihkhuda, a cui deve la sua fama. Vi sono poi altri esempi di satira che venivano pubblicati all’inizio del novecento, ma non necessariamente in Iran proprio a causa della censura di regime. Un aspetto curioso è che molto spesso, per evitare la scure del censore, i giornalisti iraniani pubblicavano a Tbilisi (in Georgia) o a Istanbul. Da queste città, i giornali venivano contrabbandati in Iran. In queste prime vignette, di inizio novecento, i giornalisti non prendono in giro la fede e il Profeta, bensì gli uomini di religione. Un po’ come succede nell’ebraismo dove il rabbino è spesso oggetto di satira.

Che tipo di risposta c’è stata all’attentato di Parigi in Iran?

In Iran in molti hanno condannato l’attentato ai redattori di Charlie Hebdo. Tra loro anche l’ayatollah conservatore Ahmad Khatami, che guida la preghiera del venerdì a Teheran, il presidente del parlamento Larijani, artisti e calciatori, nonché il sindaco di Teheran che ha però precisato che “la libertà non deve offendere”. Inoltre, il religioso Shahab Moradi ha chiesto agli attivisti sul web di pubblicare tre slogan: “Amo Maometto”, “Odio il terrorismo” e “Condanno gli insulti al Profeta”, in persiano, inglese, francese e arabo spiegando ai media iraniani che è importante contrastare l’idea di insultare il Profeta e non le persone che hanno pubblicato la vignetta. La satira sui giornali in Iran è soggetta a censura ma, nonostante questo, molto (...)

SUNRISE FREEDOM : SI COMMENTA DA SÉ

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“Sembra un paradosso, ma la grandezza dello stato di diritto sta proprio nei limiti che pone alle libertà di ciascuno attraverso il bilanciamento di interessi tutti meritevoli di tutela. Grazie a quei limiti ognuno è veramente libero. Se non vi fossero, saremmo tutti aggrediti da chi, credendo di esprimere una propria legittimità critica, invade una sfera delicatissima come il sentimento religioso”

Agorà 6

spesso gli artisti criticano la situazione economica e la politica. Per esempio, sulla rivista satirica Golaghah (ora non più in edicola) avevo trovato due vignette curiose che rendono bene l’idea. In una il tassista chiede al passeggero dove vuole andare e l’uomo, che siede davanti, gli dice che non deve andare da nessuna parte: è salito sul taxi semplicemente perché, essendo lui (il conducente) un funzionario della pubblica amministrazione, doveva parlargli e non riusciva ad avere udienza. Si criticano così le difficoltà economiche in Iran, dove anche i funzionari di governo devono ricorrere a un secondo lavoro e usano l’automobile ufficiale per trarre un profitto personale. Di fatto, dopo l’orario di lavoro i funzionari di governo devono mettersi a fare i tassisti per sbarcare il lunario. Nell’altra vignetta, sempre pubblicata su Golaghah, il medico chiede al paziente dove vorrebbe fare la puntura, se sulla natica sinistra o destra; il pover’uomo non ne può più di sentire parlare di destra e sinistra, di riformatori e conservatori. Dice che non ha voglia di parlare di politica e di fare la puntura al centro e via andare…

C’era una barzelletta che Reagan amava ripetere sulla differenza tra l’Unione Sovietica e l’America. Se domani un giornalista si sveglia e scrive “Reagan è uno stronzo” lo può fare perché negli Stati Uniti c’è la democrazia. Il russo controbatte dicendo “Anche noi! Infatti, anch’io domani mi sveglio e posso scrivere che Reagan è uno stronzo”.

Questa la dice lunga sul fatto che in democrazia tutto sembrerebbe concesso. Tuttavia gli Stati Uniti non hanno applaudito la ripubblicazione delle vignette di Charlie Hebdo come la maggior parte dei paesi musulmani che hanno condannato la scelta. C’è un limite alla satira che spazia nelle stesse democrazie a varie latitudini?

Ho avuto uno scambio di recente con un giurista europeo sulle libertà riconosciute e garantite almeno formalmente. Sembra un paradosso, ma la grandezza dello stato di diritto sta proprio nei limiti che pone alle libertà di ciascuno attraverso il bilanciamento di interessi tutti meritevoli di tutela. Grazie a quei limiti ognuno è veramente libero. Se non vi fossero, saremmo tutti aggrediti da chi, credendo di esprimere una propria legittimità critica, invade una sfera delicatissima come il sentimento religioso. La satira dovrebbe essere un diritto illimitato, ma in realtà non lo è. Ho seguito molto la TV e l’online dopo gli attentati di Parigi e questo concetto è rimbalzato spesso. La domanda che spesso pongono i predicatori musulmani è la seguente: “se l’occidente (e in particolare l’Europa) vantano tutta questa libertà di pensiero e tutti possono dire quello che pensano, senza rischiare, allora perché in alcuni paesi come la Francia e l’Austria si rischia la galera se si mette in dubbio l’Olocausto?”. Secondo questi predicatori musulmani sarebbero “i due pesi e le due misure dell’occidente”.

A tal proposito mi viene in mente la risposta dell’Iran alle vignette blasfeme di Charlie Hebdo. L’Istituto iraniano del fumetto, nel tentativo di pareggiare i conti, ha indetto un concorso internazionale di disegni sulla Shoah mettendo in palio sostanziosi premi in denaro per i primi tre classificati. I lavori verranno esposti al Museo Palestinese d’Arte Contemporanea di Teheran. Già nel 2006, all’indomani della pubblicazione delle vignette danesi offensive per l’Islam, in Iran si era tenuto un concorso di satira negazionista con tanto di pubblicazione in un libretto di una cinquantina di pagine in cui veniva messo in dubbio l’Olocausto che diventava il pretesto per massacrare i palestinesi. Ovviamente quella pubblicazione, a mio parere decisamente di cattivo gusto, non è piaciuta alle nostre latitudini europee.

Come vede la sfilata dei capi di stato a Parigi all’indomani dell’attentato? Non è curioso vedere leader che inneggiano alla libertà di espressione e al contempo la osteggiano nei loro paesi? È l’ipocrisia di personaggi che vogliono far parte del clan dell’occidente e al tempo stesso limitano i diritti all’interno dei paesi che governano. È curioso vedere che il giornale ortodosso israeliano Hamevaser abbia rimosso con un fotoritocco le donne raffigurate nella foto storica dei leader, presenti alla manifestazione di Parigi contro l’attentato a Charlie Hebdo, dopo aver dato spazio all’indignazione contro la strage. Sull’immagine originale comparivano anche la cancelliera Angela Merkel, l’Alto rappresentante per la politica estera UE Federica Mogherini e Anne Hidalgo, sindaco di Parigi.

Dopo la primavera araba è cambiato qualcosa in Medio Oriente sulla satira? Ci si è spinti più in là, c’è stato un ritorno all’ordine o si trovano forme d’espressione più sottili?

La satira ha continuato il suo lavoro e, di pari passo, il censore non demorde. Oggi, fortunatamente, si può pubblicare online. Ma anche in questo caso non è detto che si possa farla franca. Dopo le primavere arabe c’è stato un caso interessante in Arabia Saudita.

Si tratta di un video divenuto virale in poco tempo e intitolato “No woman, no drive”, realizzato da un giovane saudita che reinterpreta un classico di Bob Marley e lo stravolge facendo riferimento alla legge restrittiva che non permette alle donne di guidare. Quando gli autori del video si sono resi conto del successo avuto (e del fatto che il censore si era messo sulle loro tracce) hanno cercato di sminuirne la portata sostenendo che non volevano criticare le norme che regolano la monarchia saudita ma appoggiarle. Ipocrisia di matrice araba, musulmana e maschilista? Oppure si tratta del solo modo per salvare la pelle.

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Crockett & Tubbs Che fine hanno fatto gli agenti Crockett e Tubbs, i super patinati, coraggiosi, belli e dannati poliziotti del serial “Miami Vice”?

di Nicola deMarchi

La serie televisiva Miami Vice è stata, per parecchie stagioni alla fine degli anni ottanta, per me e altri milioni di telespettatori, un irrinunciabile rito quotidiano. La sua sigla smagliante, con palmizi, motoscafi d’altura, colorite architetture Art déco, belle donne e fenicotteri nel tramonto, si ergeva allora a liturgia estetica. I due protagonisti – agenti della squadra speciale anti-droga della polizia di Miami, specializzati in azioni sotto copertura –, assursero a modelli di stile, se non di vita, anche grazie alle giacchette a spalline e relative magliette attillate color pastello del detective Sonny Crockett (all’anagrafe Don Johnson) e ai completi gessati di Rico Tubbs (Philip Michel Thomas, il braccio destro di Sonny). Per non parlare dei bronci, dei non detti e delle pose di Sonny e del tenente Castillo: quasi un paradigma dell’individualismo estremo e del solipsismo tipico di quel decennio.

Media 10

Voglio continuare a “vivere”…

Chiaramente se tale era il mio attaccamento alla vita e ai personaggi di Miami Vice, non oso pensare quanto intenso fosse quello dei due protagonisti. Con le belle donne, i grossi motori, gli ascolti da capogiro, una produzione a dir poco mirifica (all’epoca la serie TV più costosa di sempre), i tormentoni ad alto potenziale emotivo – oltre ai temi di Jan Hammer, i pezzoni di Phil Collins, Depeche Mode, Peter Gabriel, Police e tanti altri –, e in più gli abiti a dir poco pittoreschi (che sarebbero diventati il sintomo stilistico di un’epoca), non penso sia stato facile per questi due infiltrati di lusso nello sfarzoso mondo degli spacciatori di cocaina uscire dai loro personaggi senza subire scompensi (leggi typecasting: ovvero sindrome da eccessivo attaccamento a una finzione).

Non a caso correva ai tempi voce che, girata l’ultima puntata della serie (1989), lo stesso Don Johnson avesse vissuto per un po’ nelle strade di Miami sotto le mentite spoglie di Sonny Crockett. O meglio: nei panni di quel Sonny Burnett (il nome di copertura che Crockett utilizzava durante le sue missioni), che fu anche, nel corso di qualche memorabile puntata, la sua seconda oscura personalità.

Sto parlando della famosa (per i cultori) “trilogia Burnett” in cui Sonny, dopo aver assistito impotente all’esplosione della barca sulla quale si trovava la moglie Caitlin, impazzisce per il dolore e si trasforma nel doctor Jeckyll della situazione: ovvero il citato “spacciatore” Sonny Burnett.

Il disturbo di personalità si protrarrà, nella finzione, durante i tre episodi in cui avviene anche che Sonny spara al vecchio collega e amico Rico Tubbs.

All’esame dei fatti però, questa pare l’ennesima leggenda urbana. Tant’è che poco dopo la fine della serie, Don Johnson sarà presto di ritorno sui grandi schermi, anche se con una sottile ma significativa mutazione: nei panni, cioè, di un cattivo (Harry Maddox, protagonista del thriller The Hot Spot di Dennis Hopper). Ecco quindi la prima, ma forse unica, conseguenza della fine di Miami Vice per Don Johnson: l’aver scoperto una nuova vena creativa nel ruolo di farabutto. Una vena che sembra qua e là contagiare anche il suo vissuto. Il dossier “problemi personali” – nella fattispecie, abuso di droga e alcool, molestie e bancarotta – si arricchirà anche per l’ex detective Crockett (passato decisamente al lato oscuro della vita) intorno alla metà degli anni novanta e per cause diverse dalla sindrome da typecasting (in particolare, pare, per la seconda e definitiva rottura con l’amata Melanie Griffith).

Superata la crisi, rieccolo fin dal ’96, ormai padre di sei figli, protagonista sugli schermi TV con la serie Nash Bridges e in seguito sui grandi schermi con ispirati ruoli di cattivo in Machete di Rodriguez, o ancora in Django di Tarantino.

Forme di alienazione professionale Ma quello che qua e là pare attingere alla sfera delle leggende urbane per il Sonny-Don Johnson, sembra più malinconicamente vero per il suo collega Rico Tubbs (Philip Michael Thomas). Tanto più tristemente che se i due non erano proprio quei grandi amiconi che davano l’impressione di essere allo schermo, non sono neanche quei nemici giurati che furono, per esempio, un’altra famosa coppia di poliziotti televisivi: il duo Tom Poncharello e Larry Wilcox di Chips.

Certo è che, malgrado la buona sintonia tra i due, le simpatie verso Rico-Philip Michael Thomas alimentate, tra l’altro, dall’improbabile mix etnico (nativo americano con sangue africano, tedesco e irlandese), e dal suo proverbiale incedere “silent-sexy-cool”, si scontrano fin dalla fine della serie con l’attitudine un tantino altezzosa del personaggio. Non a caso cosi descritto, all’inizio della sua carriera, da maliziosi biografi: “Thomas attira l’attenzione per il suo charme travolgente, la fiducia in sé stesso e”, continua caustica la biografia, per il suo “less-than-restrained ego”, vale a dire qualcosa tipo il suo immenso egocentrismo.

Con il successo e i soldi di Miami Vice, manco a dirlo, le cose per il suo ego non si aggiustano. Cosi, tra assurdi e immodesti proclami (che includono la conquista di prestigiosi premi musicali), Thomas cadrà presto in disgrazia presso il pubblico. E se si escludono le partecipazioni un

Media 11

Philip Michael Thomas e Don Johnson nei panni di Rico Tubbs e Sonny Crockett (da serialy.mirekholy.net) filo meno blasonate accanto a Bud Spencer (Detective Extralarge), e due episodi di Nash Bridges (in cui si riformerà la coppia Johnson-Thomas), le comparsate TV di Thomas si limiteranno in verità fin dalla metà anni novanta a un trito programma di “lettura psichica” via telefono (“NexTones”) di cui sarà per qualche tempo l’animatore.

Prova che se la fama non arrangia i problemi di egocentri-

smo, l’essere troppo a lungo nei panni di un personaggio finisce per procurare preoccupanti forme di alienazione professionale. Leggi: patologica volontà d’infiltrarsi (nel caso di Thomas) e attrazione verso il male (nel caso di Johnson). Roba da meritare l’indagine da parte di una commissione d’inchiesta interna, fra le fila della modaiola polizia di Miami…

Nel paese delle donne Società matriarcale e matrilineare, quella dei Moso, minoranza etnica cinese, si contrassegna per essere basata su principi di pace e di rispetto degli individui di Nicoletta Barazzoni

Mundus 12

Girato in Cina nel 2012, il documentario Nel nome della madre. La società matriarcale ha dei valori ben precisi madre racconta la storia dei Moso, una minoranza etnica che, se letti con la lente degli occidentali, appaiono come che vive nella regione dello Yunan, nell’area meridionale retaggio di un mondo arcaico e primitivo che abbiamo abdel grande paese asiatico. La loro società è rigorosamente bandonato attraverso le rivoluzioni (per esempio, l’avvento matriarcale e matrilineare. Ogni famiglia ha infatti un capo, delle nuove tecnologie, e in precedenza la scrittura, uno chiamato la dabu, la madre anziana incaricata di scegliere la dei principali manufatti dell’uomo). La struttura familiare figlia più adatta a succederle. Al padre biologico non viene dei Moso è fuori dal comune anche perché rifiuta qualsiasi riconosciuto un ruolo ufficiale, che vieespressione di comunicazione tecnone esercitato invece dagli zii materni. logica. Con questo lavoro Francesca Il padre tuttavia conserva tutti i diritti Rosati Freeman ha voluto evidenziare sui suoi figli. Lo straordinario risultato come la società Moso si fondi sul di questa società egualitaria, fuori darispetto. Oltre all’assoluta mancanza gli schemi occidentali e tradizionali, di violenza e aggressività tra i compoè l’assoluta mancanza di ogni forma nenti, vi è la predominanza dell’oralità, di violenza domestica. Un millenario che esclude qualsiasi forma di scrittura. esempio di convivenza armoniosa, paI Moso perseguono infatti nel mancifica e priva di ogni tipo di discriminatenere intatta la loro organizzazione zione. Nel corso della presentazione del sociale, basata esclusivamente sulle documentario, realizzato da Francesca capacità mnemoniche. Trasmettendo Rosati Freeman (antropologa e scritla loro conoscenza attraverso la parola trice che vive a Ginevra), coadiuvata parlata sviluppano la partecipazione e dal giornalista, storico e scrittore Pio l’aggregazione in tutte le manifestazioD’Emilia (che collabora con il Manifesto ni del quotidiano, che si fondano sul e l’Espresso), sono stati messi in luce consenso collettivo. La cultura orale, gli aspetti fondanti di questa società proprio in quanto tale, non assomiDa allaboutindiefilmmaking.com che – ha precisato la Freeman – si fonglia alle culture alfabetizzate. Infatti da sulla libertà sessuale, separando il la tecnologia della parola, e quindi sentimento amoroso dalla procreazione. Gli uomini e le l’oralità, ha una sua precisa psicodinamica che consente donne vivono in pace e armonia. Con il principio del ti innanzitutto un’iterazione fisica, che a sua volta permette amo ma non sono tua i Moso escludono il senso di possesso, di relazionarsi con gli altri attraverso l’esperienza corporea tipico del contratto matrimoniale. Il sentimento d’amore diretta. Per le culture orali la parola riveste un potere anche non è legato alla situazione economica. I componenti sono magico. Siamo spesso portati a credere che le etnie come i monogami ma non conoscono il vincolo del matrimonio. Moso siano realtà primitive e selvagge, non considerando La relazione uomo-donna dura fin che può durare, e se il la cultura orale come un fatto naturale dell’uomo e come legame si rompe ci si lascia in amicizia. Pur essendo basato un potenziale innato. Ma su quali basi si fonda una sociesul matriarcato, la donna non prevarica in nessun modo il tà che permette a tante persone di vivere insieme senza ruolo dell’uomo perché i Moso attuano sempre le loro scelte nessun conflitto? sulla base del consenso, del dialogo e dell’approvazione in L’aspetto umano nelle dinamiche di questi gruppi, che tutti gli ambiti: familiare, sociale e politico. Il loro matriar- prediligono il contatto e i rapporti tra le persone reali, cato non è dunque inteso come un’egemonia prevaricatrice tiene sempre presente il rispetto e il valore della persona. La della donna sull’uomo ma deriva dal principio primordiale scelta del titolo da parte dell’autrice, Nel nome della madre, secondo cui è la madre a dare la vita. Il matrimonio non da un lato evoca con più forza il principio della madre che esiste e la famiglia dura in eterno, rimanendo la stessa per antropologicamente esclude qualsiasi forma di violenza, intere generazioni. Il componente, in questo caso la figlia, dall’altro rimanda a madre natura che i Moso venerano resta nella famiglia, mentre il partner può essere cambiato. e rispettano. Le donne Moso ereditano infatti il legame ancestrale della terra dalle loro antenate, trasmettendolo Rispetto e valore della persona così alle generazioni successive. Il documentario, che sta Nella convinzione che gli uomini passano ma le madri facendo il giro del mondo, è stato fino a ora presentato in restano, le donne Moso glorificano l’amore eterno della ben otto festival.

Letture Il meglio di noi di Fabio Martini

L’asparago

ha qualcosa di assolutamente unico e fra le verdure è di certo una delle più apprezzate, anzi, per alcuni è un vero e proprio vegetale di culto. La sua pregevolezza è forse in parte riconducibile alla fugace comparsa sui banchi del mercato che inizia proprio in questa stagione e si protrae per altri due o tre mesi. Ma la sua bontà la si può solo apprezzare tenendo le gambe sotto al tavolo: lesso e condito con olio, limone (o aceto, per chi preferisce), cotto al burro e spolverato di parmigiano, accompagnato da un bell’uovo all’occhio di bue, accoppiato a carni, in frittata, in crosta… questa piantina della famiglia delle Liliacee ha la capacità di imprimere un gusto unico a qualsiasi piatto in cui viene impiegata. Verde, bianco o violetto, l’asparago vanta una tale nobiltà che innumerevoli sono le IGP istituite per difenderne e diffonderne le varietà. Per non entrare nel merito delle sue innumerevoli e sempre citate qualità nutrizionali che ne fanno un eccellente diuretico, come dimostra l’odore un po’ sulfureo che contrassegna la

minzione post prandium. Cibo per il corpo ma soprattutto per l’anima, dunque, benché il grande scrittore e umorista Achille Campanile (1899–1977), in un suo noto libello, avesse cercato di dimostrare come fra anima e asparago ci fosse ben poco in comune: “Mi accorgo che casualmente m’è venuta sotto la penna un’analogia del tutto accidentale fra gli asparagi e l›immortalità dell›anima: m’è capitato, cioè, di dire che, se l’anima non fosse immortale, nulla resterebbe di noi; invece, essendo essa immortale, resta molto, resta la parte migliore di noi. Anche degli asparagi resta molto, purtroppo; ma al contrario di noi, non la parte migliore o più nobile. Anzi resta la peggiore, il gambo”, e via di questo passo. Ma la scelta dei due termini non è casuale e diviene gustoso paradigma della scrittura di Campanile che, spesso partendo dalla banalità del quotidiano, sapeva condurre il lettore, attraverso paradossi e un uso sapiente della lingua, a riflessioni fuori dell’ordinario. Quasi ad alludere che, nonostante tutto, fra anima e asparago corre più di quanto non si pensi…

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Per chi sa cos’è la bontà. www.selection.migros.ch

Asparagi e immortalità dell’anima di Achille Campanile BUR, 2006

D

opo la maturità ho lasciato Ascona e sono andato a Zurigo a studiare informatica aziendale. In seguito, il mio interesse per questa disciplina ha preso una svolta filosofica, grazie al master in intelligenza artificiale… Al termine degli studi però, non volevo fare un lavoro in cui sarei stato sempre davanti al computer e mi sono inserito nell’ambito della consulenza imprenditoriale. Ritrovandomi, comunque, di fronte a uno schermo! Ho lavorato per i più grandi istituti bancari, ho passato sei mesi a Londra per un progetto specifico, sette mesi in Danimarca per una grossa assicurazione, ho fatto un periodo alla Roche e, poco a poco, mi sono fatto un’idea di come funziona la finanza. Il mio compito era di sviluppare strategie informatiche per ridurre i costi, sviluppare software in grado di raggiungere varie nazioni e via dicendo. Questa fase è stata importante per la mia crescita professionale e mi ha fatto viaggiare molto, ma mi ha anche mostrato una realtà straziante… Spesso si lavorava fino alle tre, alle quattro del mattino – talvolta con giacca e guanti, perché la banca aveva spento il riscaldamento – e il giorno dopo eri di nuovo lì alle otto. Per fortuna, si lavorava sempre in team e, a tarda notte, quando eravamo soli e indisturbati, per sdrammatizzare mettevamo su filmini divertenti da youtube e cantavamo a squarciagola. Dopo un po’ di tempo, se non sei un carrierista sfegatato, inizi a chiederti se ne valga la pena… L’idea di lasciare la mia ragazza a casa da sola mi pesava. Magari le dicevo che sarei tornato per cena, lei preparava tutto e poi alle otto dovevo chiamare per dire che non ce l’avrei fatta. La mia compagna è del locarnese, ci siamo conosciuti sul treno nei tragitti tra Zurigo e Locarno ai tempi degli studi universitari. Per fortuna ha tenuto duro, malgrado i miei quattro anni folli, e ora siamo felicemente sposati…

Io vivo con la sensazione di conoscere la mia storia prima di averla vissuta e questo mi dà un senso di direzione. Il mio futuro professionale sta scritto nel desiderio di realizzare progetti commerciali che mi permettano, in seguito, di fare qualcosa di utile per l’umanità, dedicandomi a iniziative sociali e umanitarie. Ho vissuto sulla mia pelle la competizione e l’attaccamento alla carriera, ma la sensazione è che se ti

fermi lì un giorno, morirai senza lasciare niente. Non parlo del bisogno di essere ricordato, quanto piuttosto del desiderio di ridare ciò che ho ricevuto, di contribuire a rendere questo mondo un po’ più bello.

Penso a quei momenti di difficoltà in cui qualcuno mi ha aiutato e ho provato molta gratitudine…

Per ora vivo molto il momento facendo un passo alla volta. Ricordo che già ai tempi dell’università uscivo la sera con il mio buon amico Mimmo, anche illustratore per Ticinosette, discutevamo sempre di progetti: sono sempre stato un vulcano di idee!

La start-up a cui sto lavorando ora la tengo nel cassetto da tempo… Oggi so come si gestisce un’azienda e ho gli strumenti per farla partire per davvero. Mentre ero a Copenhagen, parlavo con un amico zurighese e uno ticinese, di questa idea via skype e, assieme a qualcuno che ha creduto in noi e ha investito, è nata la voglia di renderla reale.

Un anno fa mi sono dimesso e sono tornato in Ticino, dove ho creato un team di sette persone. Mi ci sto dedicando anima e corpo e sono felice, sta procedendo bene. Si tratta di una start-up che vuole cambiare il modo di diffondere messaggi, sia privati che aziendali.

Come puoi condividere il tuo messaggio con il mondo in modo originale? Per molti privati e piccole imprese accedere agli spazi pubblicitari tradizionali costa troppo e noi abbiamo creato una via alternativa. L’obiettivo è quello di connettere le persone, aiutandole a trovare luoghi per aumentare la loro visibilità. Si tratta di una piattaforma dove puoi offrire spazi pubblicitari a piccole aziende, attività commerciali e a persone singole… Da oggi abbiamo anche un dirigibile e una mongolfiera! Una piccola pizzeria potrebbe invece mettere a disposizione i suoi sotto bicchieri per la pubblicità di una parrucchiera che pagherà una piccola cifra per ogni pezzo. Mentre ci sarà chi sulla mongolfiera scriverà la sua richiesta di matrimonio! Attualmente, ci stiamo preparando a coinvolgere le regioni svizzere d’oltralpe! Ho sempre mille visioni da realizzare, sul mio iPhone ne ho una lunga lista.

Ma sempre un gradino per volta, lasciandomi sorprendere…

STEFAN CHRISTIANI

Vitae 14

Formatosi in ambito informatico e finanziario, è convinto che per dare senso alla propria vita non siano sufficienti lavoro e carriera, ma l’impegno nel sociale e nella comunicazione umana

testimonianza raccolta da Keri Gonzato fotografia ©Flavia Leuenberger

Lugano.

Palazzo Riva di Santa Margherita

Lâ&#x20AC;&#x2122;arte del potere di Giancarlo Fornasier

in queste pagine Dall’alto: vista aerea di Palazzo Riva in via Pretorio/via Ariosto a Lugano; la suddivisione del piano nobile; vista da terra della facciata principale dell’edificio; in basso la pianta del pianoterra.

A destra: il particolare piccolo giardino interno con l’edicola contenente una rappresentazione di Diana Cacciatrice. in apertura L’elegante scalone d’onore situato nell’ala nord, in marmo d’Arzo e di Varenna con inserti in ferro batuto.

L

a notorietà di un luogo è sovente legata a elementi urbani che nel tempo diventano simboli, catalizzatori e specchi di una comunità. Che cosa sarebbero Roma senza il Colosseo, Parigi amputata della sua Tour Eiffel o Mosca senza Piazza Rossa? Eliminarli in modo definitivo significherebbe sacrificare non solo la storia di quei luoghi, ma anche le memorie che attorno ai monumenti si sono plasmate: quella artistica e storica, certo, nonché quella collettiva e che permette a chi abita in quella città o borgo di identificarsi con esso.

I palazzi costruiti dalla famiglia Riva – importanti notabili attivi sulle rive del Ceresio sin dal XIII secolo – sono per Lugano radici vitali e che permettono di comprenderne la storia, almeno quanto la più nota Piazza della Riforma o la storica cattedrale dedicata a San Lorenzo. In particolare gli edifici civili, oltre a essere esempi di arte edificatoria e decorativa dei periodi nei quali sono stati costruiti, sono una preziosa rappresentazione della società dell’epoca, delle dinamiche e delle modalità con le quali ci si mostrava, della propria forza attraverso la pubblica rappresentazione.

Francesco Saverio Riva Un recente volume edito dall’editore Casagrande (vedi scheda in calce al reportage) ricostruisce e ripercorre la storia di uno di questi edifici. I palazzi riconducibili alla famiglia Riva nel centro di Lugano sono in effetti tre: il meno visibile ma non meno importante si trova a ridosso di piazza Cioccaro ed è riconoscibile per il suo intonaco rosa (frutto di un intervento ottocentesco), costruito e poi trasformato tra negli ultimi decenni del seicento e i primi del settecento per volere di Antonio Riva (1618–1678). Più sontuoso il secondo, affacciato tra il lungolago e piazza Alessandro Manzoni: oggi sede dell’istituto di credito BSI, fu commissionato da Giovan Battista Riva (1695–1777) e costruito a partire dal 1747. Il terzo è un edificio “situato nel centro storico di Lugano in via Pretorio, l’antica contrada di Santa Margherita, nel quartiere un tempo denominato di Verla”, come scrive nel volume Simona Martinoli, storica dell’arte e ricercatrice: “il palazzo non solo è miracolosamente sopravvissuto alle profonde trasformazioni che hanno ridisegnato il volto della città di Lugano a partire dalla fine del XIX secolo, ma è anche rimasto di proprietà della famiglia Riva che ne cura la conservazione”. Tra i pochi miracolati dunque e, visto quello che oggi gli sta attorno, graziato da uno sviluppo della città che nell’ultimo secolo ben poco ha guardato al suo passato.

Sei e settecento sono secoli molto importanti per la città e la famiglia Riva si distingue come uno dei casati “più influenti e facoltosi della regione”, impegnati su vari fronti (...)

(non da ultimo quello legato all’acquisizione di proprietà immobiliari) e con forti legami economici e sociali anche oltre Gottardo (Lucerna). Essenziali e da coltivare, visto che il cantone era ancora un baliaggio confederato.

L’edificazione di Palazzo Riva di Santa Margherita avviene per volontà di Francesco Saverio Riva (1702–1783), conte abate e letterato con legami anche a Roma, ultimogenito di Giovan Battista e di Lucrezia Morosini. I documenti hanno permesso una precisa ricostruzione della nascita dell’edificio: a partire dal 1732 Riva acquista e registra le aree che diventeranno la “casa di mia abitazione”: dove prima sorgevano una “casa con stalla e orto” (facile immaginarsi che

cosa era Lugano al tempo), un “casino” e anche un “orto”, Francesco Saverio progetta il suo palazzo di rappresentanza che, scrive lui stesso, “accrescerà il comodo al pubblico e la fabbrica sarà di maggior decoro e ornamento al Borgo”. Come dire, operare per se stessi e pensare al bene della comunità...

“Muri di rustico” e trasformazioni Palazzo Riva nasce dunque dell’accorpamento di più edifici e terreni. In un documento del 1752 in cui viene citato il capomastro Pietro Corti (o Curti; impegnato in quel decennio anche nella costruzione del Convento dei Cappuccini di San Giuseppe e uomo di fiducia del conte abate), è già definita

sopra Interno di un locale al primo piano, nella parte terminale dell’ala rivolta a nord, con soffitto cassettonato e dipinto. a sinistra Soffitto ligneo sempre a cassettoni dipinto a tempera del grande salone al piano nobile. Ai quattro lati si intravvedono realizzazioni trompe-l’œil e fregi con edifici e vedute di architetture idealizzate ed elementi del barocco torinese. L’autore non è stato identificato, ma forse sono da ricondurre al pittore locarnese Giuseppe Antonio Felice Orelli (1706–1776) già citato per opere presenti in altre sale di Palazzo Riva di Santa Margherita (sala delle Quattro stagioni).

la pianta: facciata principale lineare con un androne, un portico, un cortile interno aperto verso il giardino. La forma a “U” di oggi è la stessa che la costruzione aveva alla fine dei lavori, nel 1754: i muri perimetrali esterni e interni sono tenuti grezzi, “rustici”, in pietra rasa frammista a mattoni; una scelta stilistica di scuola piemontese che ha molti esempi nel nord Italia, come ricorda Simona Martinoli. Interessante rilevare che Francesco Saverio – che avendo preso i voti non aveva moglie e figli – occupava solo una parte del palazzo, in parte affittato ad altri membri della famiglia.

Sviluppato su due piani (oltre al pianoterra), tra i locali originariamente costruiti è certa la presenza di un oratorio

privato, forse edificato nel 1752/’53 e poi smantellato; di esso rimane un dipinto che raffigura l’Ascensione di Cristo eseguito su un soffitto a volta presente nella parte finale dell’ala sinistra del palazzo, quella rivolta a sud.

Con la morte di Francesco Saverio l’edificio venne suddiviso tra gli eredi e in parte saccheggiato (1799). Di quello che avvenne e c’era al suo interno per tutto l’ottocento si hanno poche notizie; meglio andrà nel secolo successivo e il lavoro di catalogazione avviato dopo l’entrata in vigore della prima Legge sulla conservazione in Ticino (1909).

Vicende, trasformazioni e passaggi di proprietà per le quali vi rimandiamo a quanto scritto nel volume (pagg. 25–32). (...)

Caminiera decorata a stucco al pianterreno. All’interno una grisaille che raffigura Marco Curzio a Cavallo (autore non identificato).

Dettaglio di un amorino con le ali di farfalla che sorregge una ghilranda floreale presente nella galleria al primo piano (autore non identificato, ca. 1740).

Una rappresentazione dell’Ascensione di Cristo dipinta sul soffitto dell’originario oratorio (opera attribuita a Giuseppe Antonio Maria Torricelli, 1710–1808).

Scrigno di decorazioni e collezioni Un edificio di rappresentanza doveva “farsi notare” sia all’esterno sia all’interno, come ricorda Valeria Frei nel capitolo dedicato alle decorazioni pittoriche e a stucco.

E quello dei Riva aveva tutte le caratteristiche per esserlo, vista la posizione centrale del palazzo (nello storico nucleo del borgo) e l’intervento di artisti di primo piano: da Bartolomeo Rusca (che dal 1734 divenne pittore della corte di Spagna a Madrid) a Giuseppe Antonio Petrini di Carona, ai membri della famiglia luganese dei Torricelli, alla bottega dello stuccatore Francesco Camuzzi di Montagnola.

Se l’edificio nobiliare è certo da considerare come uno dei “migliori esempi di architettura civile tardobarocca conservatisi” a sud delle Alpi (con quella facciata rigorosa, sobria ma elegante), il suo interno non è da meno con dipinti murali e su tela – alcune decine di quadri riassunti nel corposo e dettagliato capitolo dedicato alla quadreria dei Riva, scritto da Edoardo Agustoni e Lucia Pedrini Stanga –, delicate e leggere decorazioni a stucco nelle volte dei soffitti, imponenti caminiere, soffitti lignei anch’essi dipinti, senza dimenticare la presenza di alcuni arredi sacri e altri manufatti mobili come tavolette e tessuti ricamati.

Al di là delle opere oggi appartenenti alla Fondazione e alla famiglia Riva, la predisposizione all’arte e alla cultura di Francesco Saverio è testimoniata dalla originaria consistenza delle opere presenti nelle varie dimore del conte abate: oltre 270, un numero molto importante per l’epoca e per il nostro territorio che fa della famiglia luganese un collezionista di tutto rispetto. E piuttosto sensibile al mantenimento e alla conservazione unitaria dei suoi averi (con fatica raccolti), già pensando a quello che sarebbe potuto avvenire nell’immediato futuro: “(...) per non rompere quella conveniente proprietà che io ho studiato di introdurvi con non piccola spesa”, scriveva Francesco Saverio nel suo testamento dell’ottobre 1776.

sopra A sinistra: ritratto della contessa Maria Maddalena Riva Rusca, moglie di Rodolfo Giovanni Riva (Carlo Francesco Rusca, olio su tela, metà XVIII secolo).

A destra: ritratto del conte Giovan Battista Riva, avvocato e notaio, figlio di Antonio Riva e Vittorina Somazzi (autore anonimo, olio su tela, 1718).

Il Palazzo Riva di Santa Margherita a Lugano e la sua quadreria a cura di Simona Martinoli Con contributi di Edoardo Agustoni, Valeria Frei, Anna Lisa Galizia, Simona Martinoli, Lucia Pedrini-Stanga, Elfi Rüsch e Marco Schnyder; Fotografie di Roberto Pellegrini e Stefano Spinelli Collana “Arte e monumenti”, 144 pagine Edizioni Casagrande, 2014

Le nove del mattino. A quest'ora Lugano ha un odore freddo. LE macchine invadono le poche strade che abbiamo come se sciamassero su una carcassa pronta a dare loro la fortuna che desiderano.

Ieri notte un uomo è morto nel Casinò della città...

Qualcuno gli ha fatto esplodere la slot machine in faccia. E la città trema ancora una volta.

Episodio 2 : Monete insanguinate

Testi: Massimo Rosi | Disegni: Francesco Della Santa Dentro la sala slot è morto solo lui. Pochi i feriti e nessuno di loro ha notato nulla se non l'esplosione. Nella slot machine era stato messo un esplosivo fatto in casa, irrintracciabile, che si sarebbe attivato con la combinazione vincente.

Lui è il signor Sulmonni, è il proprietario del locale.

Lei conosceva la vittima?

Guardi, io solitamente non giro per il casinò, sto tutto il tempo in ufficio, ma quest'uomo, da quel che so, era un abitudinario del mio locale.

Una detonazione elettrica.

L'ora del decesso?

Erano le due e mezza del mattino...

Siamo fortunati che non ci sono state altre vittime, signore.

Ci sono solo altri tre feriti.

Bene, interrogateli allora.

Sembrerebbe quasi una sorta di attentato.

No, Matilde, la cosa era mirata a quest'uomo... … Un uomo apparentemente bisognoso di vincere. Un uomo che ancora non ha un'identità.

Mi tolga solo una curiosità, signor Sulmonni...

Chi fa la manutenzione alle slot machine?

Probabilmente gli unici ad aver potuto mettere dell'esplosivo nella slot machine sono questi signori qua dentro... Ed ora lo scopriremo.

Fermi tutti, polizia cantonale. Siamo qui solo per farvi qualche domanda.

Quello che non capisco è il movente...

Apparentemente non ve ne è uno.

Appena entriamo Matilde sbaglia tutto, ha un approccio troppo da sbirro per bene...

fermo!

Detto fatto. Ovviamente se una persona è colpevole non resta a farsi arrestare.

Corro. Ma non sono più allenato come un tempo.

Le giunture scricchiolano, ma devo prenderlo.

Non ti muovere...

Se fai una sola mossa la mia collega ti spara alle gambe.

Ci siamo. Probabilmente abbiamo il nostro colpevole.

CONTINUA...

9

Comfort food Cucinare p. 48 – 49 di Patrizia Mezzanzanica ed Elvin Montessino

Sempre più in voga in tutto il mondo il comfort food è molto più di un cibo semplice, legato alle tradizioni e ai ricordi della nostra infanzia. È una vera e propria cura per la nostra anima. hi non ha mai sofferto per una pena d’amore?

O attraversato un momento di disagio? O avuto semplicemente il desiderio di viziarsi un po’? È proprio allora che si sente il bisogno di alimenti golosi, in grado di dare piacere e soddisfare un bisogno emotivo, oltre che fisico.

Farsi consolare dal cibo è, a volte, terapeutico: una coccola, uno strappo alla regola che ci ritempra lo spirito. È questo il senso e il significato del comfort food, del cibo che ci procura un’emozione, che non significa

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gustare un buon piatto qualunque ma quel piatto in particolare, legato al ricordo di momenti sereni, alla presenza di figure rassicuranti, a un luogo o a un periodo dell’infanzia. Insomma, una pietanza capace di scaldare il cuore. Possono essere i biscotti al burro della nonna, la pasta con il ragù della mamma, l’arrosto della domenica, il fritto che odorava per ore tutta la casa. Il suo aroma funziona esattamente come il profumo che ci mettiamo addosso: lo sentiamo e improvvisamente siamo lì, con quella persona, in quella casa, in quella particolare situazione. E, in qualche modo, ci sentiamo rassicurati. Farne un’abitudine alimentare non è opportuno ma, ogni tanto, un tuffo nei sapori del passato è lecito e concesso, per non dire, doveroso e salutare.

Cibo per l’anima

In uno dei primi articoli pubblicati sulle pagine di questa rivista ho scritto che cucinare è una questione di cuore. Beh, mai come in questo caso l’affettività si pone al centro del gusto. Perché non si mangia solo per il bisogno di nutrirsi ma per assaporare, per gioia, per viziarsi, per sentirsi meglio.

Recenti studi scientifici riportano, infatti, che diete molto rigide e gravi squilibri nutrizionali possono influire negativamente sull’umore fino a causare tristezza e depressione. Per contro, vi sono alimenti che favoriscono la secrezione di endorfine e aumentano i livelli di serotonina, (il famoso ormone della felicità), nel cervello.

Cioccolato fondente, noci e pasta sono fra questi.

Associato quasi sempre a un periodo del proprio passato, alla memoria dell’infanzia, della casa e della famiglia, il comfort food è, in Europa, relativamente sano. L’esistenza di una cultura gastronomica popolare garantisce, infatti, la genuinità dei prodotti e la qualità dei metodi di preparazione. Lo stesso non si può dire, per esempio, degli Stai Uniti dove le multinazionali dell’alimentazione hanno sempre favorito (nel passato ancor più che nel presente) lo smercio di junk food su larga scala. Cedere alla tentazione di un bell’arrosto al forno non è come riparare da McDonald’s e abbuffarsi di hamburger, così come servirsi una seconda fetta di quella burrosa crostata fatta in casa, simile in tutto e per tutto a quella della nonna, non è come servirsi una doppia porzione di una qualsivoglia torta a strati alta non meno di dieci centimetri e ricoperta di glassa colorata chimicamente che, ahimè, è diventata tanto di moda anche da noi. In conclusione, ben venga il cibo compensatorio e consolatorio ma non dimentichiamo mai chi siamo, da dove veniamo e, soprattutto, che in ogni cosa occorre misura. E, se proprio dobbiamo peccare, cerchiamo di farlo con intelligenza. Ecco qualche consiglio.

Qualche ricetta 1 TORTA PANNA, CIOCCOLATO E CILIEGE (O FRAGOLE) 150 g di zucchero; 100 g di farina; 50 g di fecola; 40 g di cacao amaro; 50 g di cioccolato a scaglie; 7 uova; 1 bustina di zucchero vanigliato; sale; 800 g di panna montata; 3 cucchiai di kirschkasser (liquore di ciliegie); 20 ciliegie sciroppate

Sbattere le uova con lo zucchero semolato, lo zucchero vanigliato, un pizzico di sale e la scorza di limone grattugiata. Aggiungere la farina, la fecola e il cacao amaro. Infornare a 180 °C per 35 minuti. Lasciare raffreddare e tagliare la torta in tre dischi. In un pentolino scaldare un bicchiere d’acqua con un cucchiaio di zucchero e il liquore alle ciliegie e inumidire i tre strati della torta. Montare 400 g di panna e aggiungere le ciliegie sciroppate, quindi farcire la torta sovrapponendo gli strati. Montare la restante panna e ricoprire tutta la torta spolverandoci sopra il cioccolato a scaglie.

2 MELE CARAMELLATE 6 mele Granny Smith; 350 g di zucchero; 80 g di burro; 80 g di panna fresca

In una casseruola da forno scaldare a fuoco lento lo zucchero in un bicchiere d’acqua e, quando bolle, aggiungere il burro e la panna.

Infornare la casseruola per 20 minuti a 150 °C. Spelare e infilare la mela a pezzi su stecchi.

Rigirarli nel caramello e lasciare raffreddare su un foglio di carta forno 3 BUDINO DI NOCI 120 g di noci; 60 g di farina; 30 g di pangrattato; 100 g di zucchero; 5 uova; panna fresca

Montare gli albumi a neve, incorporare lo zucchero e mettere il tutto in frigorifero. Lavorare i tuorli con lo zucchero fino a ottenere una crema spumosa e aggiungere la farina, le noci tritate e, per ultimi, gli albumi mescolando delicatamente. Distribuire il composto in stampini imburrati e cosparsi di pan grattato chiudendoli con un foglio di alluminio. Fare cuocere a bagnomaria per 40 minuti a 180 °C. Una volta tolti dal forno e lasciati raffreddare, capovolgere gli stampi e decorare il budino con panna montata.

La domanda della settimana

Ritenete che i prodotti naturali e gli alimenti venduti come “bio” siano più controllati e salutari degli altri?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 26 marzo. I risultati appariranno sul numero 14 di Ticinosette.

Al quesito “Anche in Ticino la disoccupazione giovanile preoccupa e pone seri interrogativi: la responsabilità è anche degli orientatori e delle istituzioni scolastiche?” avete risposto:

SI

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NO

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Svaghi 50

Astri ariete Battaglieri e decisi nel raggiungimento dei vostri obiettivi. Vigore e forza fisica per i nati nella terza decade. Il 28 vi occorre un po’ di riposo.

toro Momento propizio per artisti, psicologi, medici e politici. Venere favorisce l’inizio di un amore romantico. Evitate un’alimentazione troppo zuccherina.

gemelli Giove favorisce le attività di comunicazione per i nati nella seconda decade.

Soluzione di una vertenza legale per i nati in giugno. Maggior riposo il 25.

cancro Situazioni romantiche ricche di emozioni. Favoriti gli artisti e le professioni più creative. I nati nella terza decade osservino prudenza il 22 e il 28.

leone Gelosi e possessivi. I nati nella seconda decade potranno rispolverare con successo un progetto professionale accantonato. Impegni il 25 e il 26.

vergine Giove e Urano vi aiuteranno a risolvere un problema agendo dieto le quinte.

La quadratura con Saturno inibisce i nati nella prima decade.

bilancia Smorzate i toni in ordine a eventuali tensioni con il partner, ma non fatevi sopraffare. Importante opportunità per i nati nei primi giorni di ottobre.

scorpione Il 23 marzo verrete soggiogati dalle emozioni. Particolarmente gelosi e possessivi i nati nella seconda decade.

Non siate permalosi sul lavoro.

sagittario Risultati inaspettati. Giocatevi ogni possibilità perché il destino è con voi.

Maggior cautela per i nati nella prima decade nella serata del 24 marzo.

capricorno Tra il 22 e il 24, Venere e Luna piuttosto favorevoli. Definitiva risoluzione di una vertenza legale. Favoriti gli incontri con una realtà estera.

acquario Tra il 22 e il 24 attrazione per l’effimero anche a scapito di situazioni più serie. Attenti a quello che mangiate, evitando di esagerare con il cibo.

pesci Momento positivo per un viaggio in compagnia del partner. Affari riconducibili al mondo dei trasporti o della comunicazione. Interesse per l’arte.

Gioca e vinci con Ticinosette 1

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 14

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 26 marzo e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 24 marzo a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Orizzontali 1. Un duro sport acquatico • 9. Gigari • 10. Il re di Shakespeare • 11. Opera di Verdi • 13.

Il musqué del pellicciaio • 15. Diverbi • 16. La bella Campbell • 18. L’immagine sacra del Pope • 20. È fine in montagna • 21. Negazione • 22. Il vil metallo • 24.

Le iniziali di Cerusico • 25. Un ruolo del calciatore • 27. Paga il fio • 29. Novantanove romani • 31. Selva, foresta • 33. La nota Minnelli • 34. Pietre, massi • 35.

Due romani • 36. Mai usato • 38. Il Ford dei fumetti • 40. Associazione Sportiva • 41. Soffio, respiro • 43.

Devoto • 45. Elettrodo positivo • 47. Frutti conici • 48.

Altari pagani • 50. Colpevoli (f) • 52. Innalzato • 53.

Può essere mancino • 55. Olio inglese • 56. È anche solare • 57. I confini di Sonvico.

Verticali 1. Posò per Canova • 2. Lo firma il giornalista • 3. Lo è l’evento azzurro o rosa • 4. Palla al centro! • 5.

Gas luminoso • 6. Dittongo in guasto • 7. Obbrobrio • 8. Particola • 12. Il noto Banfi • 14. Affiatamento, fratellanza • 17. Alcoolisti Anonimi • 19. Abbrustolire • 23. Dittongo in poeta • 26. Lo cela il baro • 28. Ben unto, ingrassato • 30. Uccide Abele • 32. Miniera • 37. Si affiancano spesso ai consumi • 39. Encomiato, elogiato • 42. Inattivi, inoperosi • 44. Le firmano gli autori • 46. Lo Jacopo di Foscolo • 49. Il dio sbuffante • 51. Uno a Zurigo • 54. In mezzo al coro.

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Questa settimana in palio: 100.– franchi in contanti!

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La parola chiave è: 1

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Soluzioni n. 10 La soluzione del Concorso apparso il 6 marzo è:

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CISTERNA Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Adriana Fumagalli 6873 Corteglia Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Svaghi 51

E I N I L L O B I I L G O C C RA I D O T T E I L G I N O C N U RICEVI .

O T I U T A R G E H C U L E P

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