Corriere del Ticino · laRegioneTicino · Tessiner Zeitung · chf 3.–
№ 13 del 27 marzo 2015 · con Teleradio dal 29 mar. al 4 apr.
rasi al suolo
Nell’ultimo film di Vito robbiani il tema della solidarietà si interseca a quello della conservazione del patrimonio culturale
Le vere rock star fra gli abbonamenti combinati Internet superveloce e stabile Il meglio dell’intrattenimento con la TV digitale Rete fissa gratuita Eccellenti livelli di assistenza al cliente da
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Ticinosette allegato settimanale N° 13 del 27.03.2015
Impressum Tiratura controllata 66’475 copie
NATASCHA FIORETTI .....................................
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NICOLETTA BARAZZONI ................................................
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ALBA MINADEO ........................................................................
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Agorà Imprenditoria. Rete al femminile Arti Stella d’Oro. Rasi al suolo Eroi Lanza del Vasto
DI
DI
Cucina Ollare. La pietra del gusto
Chiusura redazionale
Vitae Nicola Colombo
Editore
Reportage I raccoglitori del Cairo
DI
DI
A CURA DELLA
REDAZIONE ..........................................
DEMIS QUADRI ..................................................................
Venerdì 20 marzo Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
DI
MARCO ALLONI; FOTOGRAFIE DI PASCAL MORA ........
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LAURA DI CORCIA ..............................
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Svaghi ....................................................................................................................
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Tendenze Comunicazione. Public speaking
DI
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook
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In copertina
Un ospite dello Stella d’Oro, Tenero Fotografia ©Reza Khatir
Fede o fanatismo? Buongiorno, sono un vostro lettore, apprezzo sembra indebolirsi, ma poi penso che in fondo il settimanale sia per gli articoli e sia per l’uso abbiamo la capacità e l’intelligenza per accetcome guida TV. Proprio qualche giorno fa in tare la diversità delle persone e delle culture, televisione ho visto un’intervista al cantautore purché esse non si trasformino in barbarie, e italiano Francesco Guccini, uomo di sinistra che questo è possibile ed è l’unica via che pose anche scrittore. Pur non essendo d’accordo siamo seguire. Ma dobbiamo farlo tutti quanti con le sue idee, trovo che abbia scritto delle insieme. Perdonate lo sfogo. Un cordiale saluto, B. K. (Breganzona) canzoni con dei testi molto poetici che hanno accompagnato la mia ormai, ahimé, lontana gioventù. Devo però ammettere che le sue risposte mi hanno deluso e anche un po’ sorpreso. Il giornalista gli ha chiesto infatti cosa lui pensasse dell’espansione dello Stato Islamico e dei crimini orrendi che questi feroci assassini stanno commettendo in Europa e nel Medio Oriente. Guccini ha risposto all’intervistatore dicendo che questa violenza inaudita è il risultato della “fede”. Da cristiano, ho trovato questa risposta assurda e superficiale e mi ha sorpreso che un uomo del genere non riesca a fare la distinzione fra fede e fanatismo, che giustamente il giornalista ha messo in evidenza. La fede è una condizione che si conquista ogni giorno talvolta, con fatica e con la quale dobbiamo fare costantemente i conti, non è scontata e deve sempre confrontarsi con l’incertezza. Il fanatismo è invece, secondo me, il risultato di una frustrazione profonda, di sentimenti di odio e vendetta verso il mondo e i propri simili, Appuntamento dunque tra sette giorni... ed è la vera fabbrica del male. e BUONA FORTUNA A TUTTI! Certo, quando guardo il telegiornale e vedo uomini neri che addestrano bambini a uccidere, la mia fede vacilla,
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Concorso pasquale
Non perdetevi la prossima uscita di Ticinosette: la “caccia” alle uova di Pasqua nascoste tra le pagine del settimanale potrebbe garantirvi una vincita di ben CHF 200.–
Rete al femminile Imprenditoria. Le fiere al femminile, negli Stati Uniti sono ormai diffuse. In Europa ce n’è qualcuna, a Londra e a Monaco, per esempio. Nel nostro paese Women’s Expo Switzerland è una assoluta novità, inaugurata due anni fa e pronta a essere replicata il 29 marzo 2015 a Zurigo. Ma è solo la punta dell’iceberg… di Natascha Fioretti
L’ Agorà 4
idea legata allo sviluppo delle fiere al femminile è quella di offrire una vetrina all’imprenditoria rosa, un’occasione per fare rete, crescere e allargare i propri orizzonti in termini sia di business sia di relazioni umane. Ideatrice del progetto svizzero è Lisa Chuma, originaria dello Zimbabwe, trasferitasi giovanissima a Londra, poi in Svizzera con la sua famiglia. Grazie a questo progetto ha realizzato il suo sogno di “aiutare le altre donne a credere in se stesse, a collaborare fra di loro”, dando vita, al contempo, a una sua attività indipendente. “Sono originaria dello Zimbabwe dove ho vissuto fino all’età di sedici anni. Sono figlia unica cresciuta da una mamma single che ha sempre cercato di trasmettermi il meglio, di aiutarmi e agevolarmi nel mio cammino. Mi ha sempre spronato a fare ciò che desideravo, a diventare la persona che volevo essere”. Dallo Zimbabwe a Londra poi in Svizzera, è un bel percorso: “Il passaggio non è stato così diretto, prima con mia madre ci siamo trasferite a Londra dove ho studiato e sono cresciuta dai 16 anni in poi. Quella londinese è stata una bella esperienza, molto diversa dagli anni in Zimbabwe, tutto era differente a partire dal cibo, dalla scuola. Sono stati però anche tempi difficili data l’età dell’adolescenza, un periodo delicato della formazione durante il quale non sai ancora che cosa vuoi diventare”. Ma Lisa ce l’ha fatta grazie anche alla madre “è sempre stata il mio modello di riferimento, mi ha cresciuta da sola e ha sempre lottato per me e per il mio bene. La sua forza di volontà è sempre stata di esempio per me”. Dopo la laurea nel campo dell’imprenditoria, Lisa sapeva che un giorno avrebbe avuto la sua attività indipendente: “negli anni ho avuto diverse esperienze lavorative prima di raggiungere il mio obiettivo ma sin dall’inizio mi era chiaro che volevo fare qualcosa per e sulle donne. Ci sono così tante cose che le donne potrebbero fare ma non osano perché gli manca il giusto incoraggiamento, qualcuno che dica loro «ehi, va bene, vai avanti così»”. L’onda giusta è arrivata con la nascita del primo figlio, “avevo 22 anni quando è nato e mi sono detta «merita il meglio, devo fare qualcosa per lui». Smettiamola di pensare che avere un figlio sia la fine del mondo, basta guardare l’altro lato della medaglia e rendersi conto che è semplicemente
un nuovo inizio. Questo è stato per me. Prima ho fondato una rivista al femminile, poi l’idea di Women’s Expo Switzerland, una fiera per espositrici donne”. Un’idea in crescita Il concetto alla base del progetto è quello “di fare rete tra donne, creare relazioni, offrire una piattaforma di scambio, un’occasione di incontro e di confronto, dare visibilità alle capacità imprenditoriali femminili nei diversi settori”. Quella di quest’anno è stata la terza edizione, è andata molto bene con una buona attenzione da parte dei media. Le prime due che esito hanno avuto? “Quando sono arrivata in Svizzera non conoscevo nessuno, dunque mi sono dovuta arrangiare da sola ma è andata bene. Nel 2013 abbiamo avuto 85 registrazioni, nel 2014 grazie al passaparola siamo cresciuti e siamo arrivati a quota 166 espositrici. L’ambiente è fantastico, l’anno scorso ci siamo divertite ed è stato un successo. Sicuramente replicheremo anche quest’anno”. Le espositrici giungono da tutta la Svizzera, in prevalenza dalla Svizzera tedesca (54%) mentre solo il 6% dal Ticino. Partecipano donne di tutte le età con una prevalenza di imprenditrici (40%) di età compresa tra i 40 e i 49 anni. Per iscriversi basta andare sul sito www. womenexpo.ch. Ma la forza del progetto non si esaurisce con la fiera in sé: “Oltre alla fiera anche il sito è una piattaforma per fare rete e per farsi conoscere. L’idea è quella di proseguire con dei seminari in cui le donne possono imparare a a vendere meglio i propri prodotti. Noi donne siamo brave in un sacco di cose ma non siamo brave a farci pubblicità, a vendere le nostre capacità e conoscenze”. Una componente essenziale Uno dei primi sostenitori dell’iniziativa di Lisa Chuma è stata l’Associazione delle imprenditrici svizzere (Frauenunternehmen Schweiz) con sede a Zurigo. Abbiamo rivolto qualche domanda alla sua presidente Esther-Mirjam de Boer. La vostra asociazione è attiva dal 1998: quale significato ha per Zurigo e la Svizzera una fiera tutta al femminile? Quali considerazioni vi hanno spinto a sostenerla?
Centomila aziende in Svizzera sono guidate da donne, significa il 30% circa delle piccole medie imprese. Women’s expo Switzerland aiuta a rendere visibili e conosciute le realtà più piccole. È una piattaforma attrattiva per molti dei nostri soci per questo ci siamo decisi di sostenere il progetto per noi in un’ottica win win. Non temete che una fiera per sole donne corra il rischio di essere percepita come un club per pochi eletti? La visita alla fiera è aperta a tutti ed è gratuita, non ci sono dunque ostacoli o barriere. Che le donne siano espositrici caratterizza la speciale atmosfera che si viene a creare in quel giorno. È una cosa che non si può descrivere, la si può solo vivere in prima persona. Facendo un confronto con gli altri paesi europei, come si sono sviluppate le imprese femminili in Svizzera e quali sono le maggiori difficoltà? Le carriere al femminile vanno sempre più nella direzione della piccola, media impresa sia come fondatrici sia in posizioni guida. Anche la partecipazione delle donne alla fondazione o proprietà di una azienda cresce sempre di più ed è maggiore rispetto all’incremento delle donne in posizioni chiave nelle grandi imprese. Il ruolo delle donne nell’imprenditoria viene purtroppo ancora molto sottovalutato nell’opinione pubblica. In che cosa si differenzia la conduzione al femminile di una impresa? Le donne fondano e guidano le aziende in maniera più attenta
con meno capitale, personale e rischi di investimento. Questo le rende meno interessanti ai media e alle organizzazioni promotrici. Mentre la stabilità che le donne portano nella nostra economia di mercato è di grande importanza. Di questo vogliamo rendere consapevole l’opinione pubblica e il mondo imprenditoriale attraverso la nostra attività. E il Ticino? Pepita Vera Conforti, presidente della Commissione pari opportunità del canton Ticino e ideatrice del premio Ermiza dedicato ai media per promuovere sul nostro territorio una maggiore attenzione alla questione delle pari opportunità si dice molto convinta in merito a questa iniziativa: “Stupisce che sia qualcuno da fuori a dire «valorizziamoci, facciamoci conoscere, abbiamo un valore che deve essere in qualche modo veicolato anche attraverso delle strategie di marketing per promuoversi»”. Uno degli obiettivi di Women’s expo Switzerland è quello di fare rete tra donne imprenditrici. È necessario? Esiste un problema di messa in rete delle donne che agiscono all’interno di contesti economici dove spesso ci si interpreta come concorrenti. Quando si parla del mondo economico si immaginano uomini che sono a capo di aziende e non donne. E oggettivamente, analizzando i dati, le donne ai vertici sono poche ma questo non vuol significa che non abbiamo voglia o non abbiamo niente da dire. In questo senso sono necessarie strategie che promuovano una cultura d’azienda al loro interno. Pensiamo (...)
SUNRISE FREEDOM : SI COMMENTA DA SÉ
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“Sono favorevole a tutte le iniziative che spingono le donne a entrare in relazione d’affari tra loro: una via efficace per promuovere riconoscimento e stima reciproca, opportunità e inclusione, etica e sostenibilità nelle scelte economiche” (Marialuisa Parodi)
al Prix Egalitè vinto da Chocolat Stella con una imprenditrice capace non solo di creare una situazione friendly per le donne ma anche di pensare ai collaboratori e alle collaboratrici come cittadini aventi diritto.
Agorà 6
La Commissione per le pari opportunità l’anno scorso ha pubblicato uno studio Le cifre della Parità. Un quadro statistico delle pari opportunità fra i sessi in Ticino. Quali sono i risultati più interessanti? Siamo molto soddisfatte perché in collaborazione con l’ufficio statistica del cantone abbiamo promosso questa raccolta in forma di otto schede su tematiche della vita quotidiana con un occhio particolare al femminile. Per intenderci, si parla di diverse sfere di vita caratterizzate da situazioni di (dis)parità: demografia, formazione, attività professionale, conciliazione lavoro/famiglia, lavoro non remunerato, povertà, politica e violenza domestica. Non abbiamo raccolto solo dati statistici ma anche informazioni complementari affiancando al linguaggio specialistico una comunicazione di tipo illustrativo. Emerge, per esempio, che se in passato l’arrivo dei figli tra i 25 e i 40 anni comportava un’uscita almeno temporanea dal mercato del lavoro, oggi le donne rientrano nel ciclo lavorativo più velocemente e in numero maggiore. Tuttavia in alcune professioni, rispetto ai colleghi uomini, fanno più fatica a fare carriera, lavorano più spesso a tempo parziale e guadagnano meno. Parità di trattamento Anche secondo Marialuisa Parodi, economista e presidente di Business Professional Women Ticino (parte di BPW Switzerland e BPW International, associazione presente in oltre ottanta paesi con circa 20.000 affiliate), una fiera tutta al femminile rappresenta una buona idea: “Sono favorevole a tutte le iniziative che spingono le donne a entrare in relazione d’affari tra loro: una via efficace per promuovere riconoscimento e stima reciproca, opportunità e inclusione, etica e sostenibilità nelle scelte economiche. La rete BPW promuove attivamente le scelte imprenditoriali e gli scambi commerciali tra donne, attraverso varie piattaforme e partnership globali (per esempio, l’iniziativa Act4Growth sostenuta da BPW Europe)”. Da recenti studi e statistiche risulta che le donne sono sempre più presenti ai vertici nelle piccole e medie imprese e meno ai piani alti delle grandi aziende. Secondo la Parodi “l’imprenditorialità femminile è in aumento perché l’espressione work-life balance non ha senso: non c’è dicotomia tra vita privata e lavoro, la vita è una sola e il lavoro ne è una
parte importante. Le donne preferiscono impegnarsi in attività coerenti con gli altri ruoli della propria esistenza, flessibili e significative. Le grandi aziende devono attrezzarsi meglio perché questi valori trovino spazio e le donne devono aprire gli orizzonti verso tutte le professioni”. Secondo gli ultimi dati il divario salariale tra uomini e donne è ulteriormente aumentato. BPW Ticino e le altre consociate da anni si impegnano nel progetto EPD – Equal pay day, volto a eliminare il gap in materia di trattamento e remunerazione fra uomini e donne. Una differenza che dipende “in buona misura da un fenomeno più ampio, familiare a tutte le economie sviluppate: si allarga la forbice tra profitti (che salgono) e salari (che scendono) e all’interno dei salari aumenta la dispersione: salgono quelli medio-alti, composti anche da elementi retributivi variabili, diminuiscono quelli molto bassi, dove la disoccupazione colpisce più duramente. In Svizzera, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è inferiore al 50% e si concentra nelle fasce basse di salario: perchè impiegate in settori a minor contenuto tecnico-scientifico e in imprese di minori dimensioni, soprattutto a tempo parziale e quindi escluse da opportunità di formazione e promozione. Per le fasce di salario più elevato, quelle associate a maggiori responsabilità e a contenuto intellettuale, infatti, l’indagine non esprime cambiamenti significativi rispetto al 2010: la differenza salariale resta intorno a un tremendo 26,5%, con la felice eccezione del settore farmaceutico, una delle poche specializzazioni a contenuto scientifico che le donne tradizionalmente scelgono: qui la differenza è solo del 6%. In Ticino le cose migliorano leggermente, ma sempre sul brutto 20,2%. Ora c’è bisogno di interventi che mirino alla parità delle opportunità. In Svizzera il dialogo sulla parità salariale è naufragato, il Parlamento dovrà intervenire”. BPW Club Ticino promuove svariate attività, l’ultima riguarda il mentorato Generazioni, “consiste nella guida saggia che donne con esperienza professionale offrono a chi comincia «a corsa a ostacoli» nello stesso settore. Offrire sostegno alle giovani donne continuerà a impegnarci. Vogliamo incuriosirle e stimolarle a scegliere percorsi di studio e professionali nelle materie tecnico-scientifiche. Basta vestiti grigi e niente gonne (per parafrasare Christine Lagarde): l’abitudine a guardare al sodo ci rende attente e capaci di gestire i rischi, meno influenzabili, più orientate alle regole e all’etica, più sensibili al benessere di chi lavora con noi e per noi. Valori di cui tutti i contesti professionali hanno profondamente bisogno”. per maggiori informazioni: bpw-ticino.ch
Rasi al suolo
Il documentario “Stella ciao” di Vito Robbiani, nell’affrontare il tema della solidarietà verso i richiedenti asilo, sensibilizza il pubblico riguardo alla salvaguardia del patrimonio storico e culturale di Nicoletta Barazzoni; fotografia ©Reza Khatir
Benché il tema centrale di Stella ciao, film di Vito Robbiani
(prodotto da Nicola Bernasconi, mediaTREE e RSI), ruoti intorno alle problematiche legate ai richiedenti asilo, si affronta anche il tema dell’abominevole distruzione edilizia e della speculazione, della memoria contrapposta all’oblio. Il regista ci racconta di come è nata la scelta di costruire una storia attorno al ristorante-albergo Stella d’Oro di Tenero: “Ho alloggiato in quella pensione quando lavoravo alla redazione di Pardonews durante il Festival. Avevo notato che tra gli ospiti c’erano molte persone di colore. Ho pensato che fossero atleti impegnati al centro sportivo di Tenero, poi il gerente Silvio Deidda mi ha spiegato che erano richiedenti asilo. La convivenza tra turisti e rifugiati mi ha incuriosito, ho iniziato a girare senza sapere bene cosa ne avrei fatto, poi sono apparse le modine, e la storia della Stella d’Oro è diventata sempre più intrigante e unica. Ho coinvolto nel progetto Nicola Bernasconi e insieme abbiamo ricostruito l’ultimo anno e mezzo di vita di quel luogo così particolare. Non ho voluto esprimere un giudizio, ma lasciare allo spettatore il gusto della scoperta. Un albergo, un luogo di passaggio per turisti ma anche per coloro che arrivano nel nostro paese alla ricerca di una vita migliore, e che vengono parcheggiati per mesi nell’incertezza del proprio destino. Una storia di accettazione, che è tipica del nostro tempo. Un terreno che vedrà sorgere un quartiere residenziale di 160 appartamenti tutti uguali, anche questo è il nostro destino”. Lo spettro delle modine La conservazione dei beni del passato, in questo caso il ristorante Stella d’Oro di Tenero, di cui ormai non esiste più traccia, non può che rappresentare l’eredità del nostro presente e del nostro futuro. E lo testimoniano le voci degli avventori, degli ospiti di passaggio al ristorante con alloggio, denotando come la convivenza tra persone di nazionalità diverse sia possibile grazie al principio della solidarietà. Il documentario infatti mette in luce l’attività solidale di Silvio, di origini sarde, che giunto nel nostro paese ha sperimentato la condizione di straniero in terra elvetica. Ed è in questa chiave di lettura che nel documentario la memoria si fa collettiva in quanto ripercorre le vicissitudini dei suoi frequentatori. I racconti dolorosi ci
ricollegano ai ricordi dei migranti ticinesi. Le scene iniziali del documentario evocano la distruzione del ritrovo Stella d’Oro ma le inquadrature riconducono alla fine di altri edifici abbattuti in questi anni per i quali associazioni e liberi cittadini si sono battuti, e si stanno ancora battendo, affinché venga trovata una soluzione collettiva per la salvaguardia di un patrimonio costruito nei secoli. Con le riprese della ruspa che demolisce il passato, nel documentario spunta lo spettro delle modine, per far posto a un piano di quartiere e a case residenziali. Si rimane impotenti di fronte al progresso urbano, indifferente alla componente sociale. Ma le cose cambiano e l’evoluzione sembra essere sempre più inarrestabile. “Siamo abituati a passare davanti a un cantiere e non ricordarci cosa c’era prima. Viene abbattuto un palazzo d’epoca e con lui tutte le sue storie: la Stella d’Oro aveva una storia da raccontare, questo era il mio compito di documentarista”. Vengono abbattute costruzioni in cui ha dimorato il vissuto delle persone e a nulla valgono le storie dei singoli contro le decisioni politiche e la speculazione edilizia. Per una nuova coscienza Cosa ha voluto dire con questo suo documentario Vito Robbiani? “Una volta terminata l’esperienza Stella d’Oro, Silvio inizia un’attività in un take away asiatico sul Piano di Magadino, un luogo di passaggio, dove il cemento fa da padrone: questa è la strada del progresso, forse vale la pena porsi qualche interrogativo in più”. Il riconoscimento ottenuto alle Giornate di Soletta, selezione ufficiale Prix du Public, ha confermato che il messaggio è stato recepito. “Sono stato colpito dal lunghissimo applauso che Soletta ha dedicato a Silvio. Per me è stata la prova che il messaggio è passato, che l’umanità vince e che se si racconta qualcosa di semplice in modo semplice, non è necessario esporre un punto di vista diretto, il pubblico vede al di là delle immagini”. Prima della diffusione televisiva, prevista tra l’estate e il prossimo autunno, il film verrà proiettato in Ticino ad aprile all’interno della rassegna “Un po’ di cinema svizzero...”, organizzata dai cineclub di Lugano, Bellinzona, Mendrisio e Locarno.
Arti 7
Lanza del Vasto
È stato il discepolo cristiano di Gandhi e il primo a far conoscere la non violenza in Europa. Fondatore delle comunità dell’Arca, ha passato la vita a risvegliare le coscienze per un nuovo sviluppo morale ed economico di Alba Minadeo
Eroi 8
Giuseppe Lanza del Vasto (1901–1981) ha trentasei anni quando decide di spogliarsi dei suoi averi e recarsi in India a cercare Gandhi per diventare un vero cristiano. È il 1937, l’Europa si avvia verso la seconda guerra mondiale e questo poeta, filosofo e pellegrino è tra i pochi a comprendere la pericolosità del militarismo e del nazionalismo. Intuisce che, in quel momento, l’insegnamento evangelico di pace è messo in pratica soltanto da Gandhi. Appena arrivato nella terra del Mahatma, gli rubano il piccolo bagaglio: non gli resta più nulla, se non la volontà di mettersi in ascolto alla scuola della più grande anima spirituale del tempo. Proprio da Gandhi (che non era cristiano) Lanza del Vasto ottiene la spiegazione del Vangelo. Questa è per lui un’esperienza decisiva e, negli incontri con Bapu (padre, in hindi), Shantidas (ovvero servitore di pace, come lo chiama Gandhi) matura la scelta della non violenza che sarà fondamentale per il resto della sua vita. Nel 1943, lo stesso Gandhi gli suggerisce di tornare in Europa, dilaniata dalla guerra, per portare e diffondere questa pratica anche in occidente.
è sicuramente una profezia per quegli anni e anche oggi, con la globalizzazione e la crisi finanziaria internazionale, c’è di che interrogarsi sulla dismal science, la scienza triste, come Thomas Carlyle definì l’economia. Per risolvere questi grandi problemi, l’Arca propone la conversione personale, il ritorno al lavoro manuale, a coltivare e a ritrovare una dimensione artigianale.
L’impegno pacifista Le azioni concrete di Lanza del Vasto e del suo movimento vanno dalla guerra in Algeria fino al Concilio del 1963: un’attività febbrile d’impegno attraverso manifestazioni non violente. Ma la non violenza non si improvvisa, è una scuola da esercitare. A Roma, per esempio, alla vigilia dell’Enciclica Pacem in terris, Lanza Del Vasto afferma l’urgenza che la chiesa ufficiale prenda una posizione nei confronti della guerra – si era usciti da poco dalla crisi di Cuba, sventata da papa Giovanni – e comincia un’azione di digiuno molto riservata. Lo stesso avverrà negli ultimi mesi del Concilio Vaticano II, durante l’emanazione della Gaudium et Spes, per il riconoscimento dell’obiezione di Lanza del Vasto (da fr.academic.ru) coscienza, negli anni della guerra del La comunità dell’Arca Nei 1948, fonda a Tournier, in Francia, la prima comunità Vietnam. Nonostante il successo delle sue proteste pacifiche, pacifista e spirituale dell’Arca, a cui ne seguiranno altre, Lanza Del Vasto, come Danilo Dolci (Ticinosette n. 46/2013, tuttora operanti nel mondo. Giuseppe Lanza di Trabia- ndr.), è un personaggio scomparso dalla memoria nazionale Branciforte, nato il 29 settembre 1901 a San Vito dei italiana. La musica è una parte importante nella sua disciNormanni, in Puglia, da un’aristocratica famiglia siciliana plina spirituale, oltre alla meditazione, lo yoga e la danza. e da madre belga, ricevette un’educazione internazionale, Il canto è un momento di rappelle che invita a lasciare per studiò filosofia a Pisa e a Parigi. Fu anche artista poliedrico, qualche istante il quotidiano e richiama a una dimensione scultore, cesellatore e musicista. Una figura del cristianesimo più alta dell’esistenza. Lanza del Vasto è stato uno studioso del novecento ancora poco conosciuta in Italia, più noto di musica medievale e canto gregoriano, compositore di brani insieme con la moglie Simone Gèbelin, musicista e in Francia, dove visse a lungo. Alla fine degli anni settanta, in una delle poche interviste cantante, da lui chiamata Chanterelle. rilasciate, disse: “La non violenza è il solo mezzo per combattere In questi anni si assiste a un grande bisogno e a un ritorle ingiustizie della società. Tutti gli altri, cercando di opporsi no di interesse per il vivere comunitario, e le Comunità al male, raddoppiano il male. Se opponi il male al male, non dell’Arca rifioriscono un po’ ovunque in Europa. Alla sua ripari il male, bensì lo raddoppi. E così non solo ai conflitti, la morte, avvenuta nel 1981 a Murcia, in Spagna, Lanza del nonviolenza è una risposta, ma anche al problema economico: Vasto ha lasciato molti scritti, tra i quali Principii e precetti del per esempio, che cos’è l’economia non violenta? Il fatto di non ritorno all’evidenza - Introduzione alla vita errante, pensieri alle sfruttare nessuno e di non permettere a nessuno di sfruttarci”. radici della non violenza (e uno dei pochi libri pubblicati Un tema molto attuale: parlare di economia non violenta in italiano quand’era ancora in vita).
Cucina La pietra del gusto a cura della Redazione
Con la primavera appena iniziata (almeno sfogliando il calendario) la voglia di pranzare all’aperto torna a fare capolino. Tra i “cibi” di stagione le grigliate la fanno certo da padrona; un ambito solitamente dominato dalla classica griglia in ferro e dal fuoco della carbonella, che alcuni stanno però sostituendo con più pratiche, versatili e conviviali lastre di pietra ollare. I vantaggi della pietra sono molteplici: tra questi la possibilità di cuocere qualsiasi cibo e garantire un maggior controllo della cottura. Essa infatti assorbe una grande quantità di calore che rilascia lentamente; basta quindi riscaldarla bene e con le dovute accortezze (poche) per potervi cucinare un’infinità di alimenti, evitando inutili e poco salutari bruciature. Una volta acquistata (e a meno che non sia già stata trattata), per utilizzare la pietra ollare è necessario seguire alcune accortezze ed evitare così danni alla pietra stessa. Al primo uso lavate la pietra a lungo dai due lati con acqua calda e un cucchiaio di bicarbonato. In seguito, ungete la lastra (sopra e sotto) con olio e spargetevi sopra del sale, lasciandola riposare per almeno un giorno intero. Quindi, mettete nella parte media del forno ancora spento – è importante
portare a temperatura la pietra evitando repentini sbalzi – e accendetelo a 150 °C circa. Raggiunta la temperatura lasciatela nel forno altri 30 minuti, poi fatela raffreddare... Adesso è pronta per essere utilizzata: da questo momento la vostra pietra può essere riutilizzata semplicemente inserendola a freddo nel forno e impostando la temperatura a 200 °C, quella indicata per cucinare, per esempio, una grigliata di verdure (peperoni, funghi, cipolle ecc.) e salsicce. Alcune pietre ollari in vendita hanno anche dei fornellini mobili (come quelli ad alcol o elettrici) per garantire che il supporto sia sempre a una temperatura di cottura. Tra i vantaggi della pietra ollare come non citare la possibilità di portarla (con specifici supporti solitamente forniti dal fabbricante) anche in tavola; in questo modo tutti gli invitati possano cucinare da soli i cibi che preferiscono, quello che vogliono e alla cottura desiderata. La pulizia della pietra ollare deve avvenire quando si è completamente raffreddata; lavatela quindi con acqua, sapone e una spugna per piatti (non troppo abrasiva). È normale che nell’utilizzo si formino nella pietra piccole crepe, “difetto” legato al calore ma che non ne impedisce un normale uso.
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Per chi sa cos’è la bontà. www.selection.migros.ch
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ato nel 1970, figlio e nipote di insegnanti, detestavo la scuola ed ero un pessimo allievo: probabilmente il primo calcolo che ho imparato a fare con le dita è stato quello degli anni che mancavano alla fine degli studi… Per questo motivo ho intrapreso la via dell’apprendistato per diventare quello che adesso si definisce polimeccanico. In seguito ho vissuto due anni a Carrara, lavorando nella bottega di Mario Angeli, fabbro anarchico, un’esperienza affascinante e senza tempo. Nella sua fucina c’erano la forgia, l’incudine, la morsa, una piccola molatrice da banco e nient’altro. Ho potuto così scoprire come con quasi nulla si potessero creare cose straordinarie. Sono tornato a Bellinzona nel 1993. Il mio bisnonno era lattoniere e aveva costruito casa sopra il suo laboratorio, ho quindi avuto la fortuna di avere a disposizione uno spazio in cui cominciare a lavorare. I primi anni li ho fatti da fabbro “integralista”, nel senso che credevo che non avrei mai usato una saldatrice e non sarei sceso a nessun compromesso col mondo moderno… Ma poi non è andata proprio così, anche perché la tecnologia mi ha sempre affascinato. I miei pezzi sono comunque in gran parte incastrati, avvitati e assemblati senza saldatura. Mi definisco “fabbro e tecnico d’arte” perché, oltre a lavorare come fabbro artigiano, ho collaborato come tecnico con il teatro, il cinema e altri artisti. Nove anni fa è iniziata la mia avventura con la nebbia. Il progetto è nato con la storia d’amore con Monica: grazie alla sua collaborazione si è sviluppato e ha preso forza, senza di lei un progetto simile sarebbe probabilmente naufragato. Siamo come una barca a vela, io la vela e lei il timone. Le idee sono libere nell’aria, finché a un certo punto decidi di aggrapparti a una di loro. Ma le idee da sole non hanno valore, è la capacità di realizzarle ad averlo. Così è stato per noi con la nebbia. Sono legato ai paesaggi nebbiosi sin dall’infanzia, si tratta di un elemento che mi appartiene, che conosco, con il quale sento una profonda affinità. Un’altra cosa che mi affascina è il contrasto tra la nebbia e il ferro, la materia pesante che ho iniziato a lavorare per formazione professionale. Il pro-
getto con la nebbia è nato per scopi scenografici, ma poi è stata l’industria a permetterci di campare e al contempo di svilupparlo. L’applicazione in ambito industriale si lega all’abbattimento delle polveri e all’abbassamento delle temperature. La polvere, muovendosi nell’aria, si carica elettrostaticamente ed è igroscopica, per cui assorbe l’umidità. La nebbia ha invece carica negativa, quindi le sue particelle e quelle della polvere si attirano, si inglobano e appesantite cadono a terra. Grazie a questo principio, con i nostri impianti possiamo intervenire negli inceneritori, nelle fabbriche, nell’industria chimica o in generale dove la polvere crea pericolo di esplosioni o problemi di convivenza. Rispetto all’uso di getti d’acqua, la nebbia resta in aria leggera, non infradicia ambienti e persone, e ottiene effetti migliori con quantità d’acqua centinaia di volte inferiori. L’importante esperienza industriale ci ha permesso di costruire grossi impianti e trovare soluzioni concrete sviluppando sistemi di alta qualità. Gli ambienti industriali, con le loro macchine complesse, sono affascinanti. In generale per me il lavoro è un bel gioco: vengo spesso nel mio “parco giochi” anche la domenica, specie quando devo “pensare con le mani”. È mia convinzione che siano state le mani a portare un contributo fondamentale alla nostra intelligenza: sono state loro, quando i nostri antenati hanno cominciato a stare eretti, a permetterci di afferrare, osservare, elaborare oggetti, cambiare il mondo che ci circonda; saranno ancora le mani e la loro intelligenza a salvare l’umanità o a condannarla. Un invito che credo si dovrebbe rivolgere ai giovani è quello di – invece di perdersi in anni di formazione fuorviante – confrontarsi con il lavoro, un’esperienza meravigliosa che permette di realizzare cose straordinarie. Il mio desiderio è di continuare a ricreare paesaggi e scenografie spettacolari e portare la nebbia – questo elemento emozionale, evocativo e poetico – tra la gente, negli spazi pubblici.
NICoLA CoLoMBo
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Uomo ingegnoso e portato alla manualità, ha una visione allargata della sua avventura professionale, e ha fatto della produzione di nebbia naturale il suo mestiere
testimonianza raccolta da Demis Quadri fotografia ©Reza Khatir
I RACCOGLITORI DEL CAIRO di Marco Alloni; fotografie ŠPascal Mora
Il loro nome deriva dalla parola “zabala”, spazzatura. Gli “zabaliyyn” sono i raccoglitori di immondizia del Cairo, una sorta di casta di intoccabili o innominabili. Il termine designa, tra i diversi gruppi che si occupano della raccolta, della selezione e dello smaltimento dell’immondizia cairota, soprattutto quelle cinquantamila famiglie che vivono alle falde del monte Muqattam non lontano dalla Cittadella di Saladino e dalla cosiddetta Città dei morti
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a loro storia è antica. Provengono in origine dall’oasi occidentale di Dakhla, da dove intorno agli anni dieci del secolo scorso si trasferiscono al Cairo per cercare fortuna. Questo primo gruppo di migranti – chiamati anche ahl el-waha, oasici – si installa in una delle zone urbane più affollate (Ramsess) e comincia a prestare servizio privato nelle case in cambio di pochi soldi e attraverso un semplice contratto mensile. Dopo le nazionalizzazioni di Nasser, una seconda forte ondata migratoria investe il Cairo, e dalle zone rurali di tutto l’Egitto – soprattutto dalle province meridionali di Assiut e Minya – cominciano a provenire migliaia di lavoratori rimasti orfani delle loro terre. Sono gli zabaliyyn in senso proprio, comunità di cristiani copti che vanno a insediarsi sulle pendici del monte Muqattam che argina la capitale. Oggi rappresentano uno dei gruppi più consistenti e consolidati per la raccolta della spazzatura cairota, e non è raro, in questi ultimi decenni, che siano oggetto di reportage più o meno folcloristici.
Pascal Mora Nato a Zurigo nel 1983, ha vissuto in Egitto per circa due anni. A partire dal 2011, come fotoreporter, ha realizzato una serie di servizi sulle Primavere arabe in paesi come Tunisia, Libia e Siria. moraphoto.ch
Differenziata certosina In realtà il loro lavoro, lungi dal rappresentare soltanto un richiamo esotico per il viaggiatore meno schizzinoso, costituisce una fondamentale risorsa per l’intera capitale. Contrariamente alle compagnie assoldate dal governo – spesso di origine straniera – gli zabaliyyn riescono infatti a riciclare ben l’80% del materiale raccolto a fronte di un risibile 25% delle società di stato. Come riescano in questa titanica impresa è presto detto. Tanto per cominciare la maggior parte dei rifiuti organici viene consumata dai suini allevati in quella zona, una sorta di smaltimento naturale che elimina dall’immondizia tutto il materiale commestibile e che ha meritato alla comunità degli zabaliyyn il non troppo edificante soprannome di “porcai” (zarraba). A ciò si aggiunge un capillare lavoro di selezione dell’immondizia pezzo per pezzo. Per chi volesse, turandosi il naso, visitare la Città della Spazzatura ai piedi del Muqattam, sarà subito evidente un fatto: intere famiglie, comprese donne, anziani e bambini, spulciano nelle pattumiere accovacciati a terra fra migliaia e migliaia di sacchi, differenziando ogni singolo cascame a mano. Un lavoro certosino che anche nel più suscettibile dei visitatori non può che suscitare un vivo senso di ammirazione. Capillare è d’altronde anche il loro lavoro all’interno della città. Lungi dall’affidarsi a grandi camion o a rimorchi di lamiera, gli zabaliyyn formicolano per la capitale conducendo carretti di legno trainati da asini, e solo di tanto in tanto da motorette. Ingegnosi equilibri permettono a gabbie di cartone legate con corde di iuta di contenere l’incontenibile. E non è raro scorgere, per il Cairo, carrette la cui altezza raggiunge i tre o quattro metri. Grazie a questo primitivo e medievale sistema di raccolta, gli zabaliyyn riescono così a coprire ogni singolo metro quadrato di città e a fare piazza pulita – è proprio il caso di dirlo – di ogni più pulviscolare frattaglia.
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Misteriose alleanze Più impressionante e suggestivo di questo metodo di lavoro – che d’altronde regala alla metropoli un’allure che potremmo definire ottocentesca, innestando nel tessuto urbano un tono di ruralità che rende il Cairo unica – è però quanto si presenta al visitatore una volta raggiunte le pedici nel Muqattam. Al di là del surreale spettacolo di un’intera cittadina sommersa dalla spazzatura – dentro e fuori le case, lungo i muri, con pile di immondizia che raggiungono balconi e finestre – ciò che si scopre è infatti il più grandioso degli ossimori. Superata la cortina di pattumiera che riveste le strade in ogni ordine di posto, guadagnata la parte alta di Zabala City, appaiono, maestose e inverosimili, tre o quattro chiese copte scavate nella roccia: veri e propri anfiteatri che si incuneano nella pietra fino a profondità di cinquanta e più metri. È in questi posti gelidi, ombrosi, traversati dalle eco profonde delle litanie e delle preghiere, che fra immondizia e Dio sembra instaurarsi una misteriosa e criptica alleanza. D’un tratto ci sentiamo investiti da una sensazione quasi insopportabile: la verità di Dio – anche per un ateo – appare in tutta la sua evidenza come la verità degli ultimi. Un trono di spazzatura sorregge santuari che affondano nella terra quasi a cercare il divino nel più profondo della roccia. E improvvisamente, fra spazzatura e cielo, si crea una simbiosi inattesa, sconvolgente, abbacinante. È la sensazione che provo ogni volta che torno a visitare il quartiere degli zabaliyyn e mi spingo fino alla sua sommità per immergermi dentro quei grandi anfiteatri scavati nella
roccia. D’incanto l’afrore di immondizia scompare e riemerge dalla terra umida il sentore quasi inebriante dello spirito. La città dissolve miracolosamente. Si viene risucchiati nel nudo della roccia e ci si trova al cospetto delle icone copte che campeggiano sugli altari e lungo le pareti come al cospetto di una placenta trascendentale. E ci si domanda se quei due mondi – il mondo dell’immondizia e il mondo dello spirito – non siano la stessa cosa. Una visita al quartiere degli zabaliyyn al Cairo meriterebbe un salto oltre la ripugnanza non fosse per questo appagamento finale. Sentirsi, da laici, oltre le lordure e i miasmi, laddove la terra ci riaccoglie nel suo seno. Non serve essere credenti per avvertirlo. Basta avventurarsi fin là, con il cuore aperto e il naso chiuso.
Public speaking Tendenze p. 40 – 41 | di Laura Di Corcia
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e donne, quando parlano, vengono ascoltate meno degli uomini. Secondo una ricerca condotta presso l’università di Yale, gli ambienti lavorativi tendono a premiare gli uomini che prendono la parola ed esprimono la propria opinione, penalizzando invece le donne più attive che di conseguenza tendono a rinunciare. Ma è giusto fare un passo indietro? Stare zitte e buone e lasciare campo libero al testosterone? Diventare sempre meno assertive? Il “public speaking”, l’arte di parlare in pubblico, una disciplina pensata non solo per manager e persone in carriera, ma per tutti coloro i quali desiderano incrementare la loro capacità affabulatoria da applicare alla vita di tutti i giorni, è la strategia migliore per riuscire a catturare l’attenzione di un ipotetico pubblico. E le occasioni possono essere le più varie: dall’assemblea di condominio agli scrutini scolastici alle riunioni di lavoro. Grazie al “public speaking” è possibile quindi acquisire una maggiore sicurezza, diventando più incisivi durante le proprie dissertazioni pubbliche.
Mi sento bloccato/a
Molto spesso vorremmo dire la nostra, ma la presenza di molte persone ha il potere di bloccarci. Che cosa ci frena, nello specifico? “Il giudizio
degli altri”, risponde senza esitazione Massimiliano Cavallo, trainer di public speaking. “La nostra vocina interiore ci continua a dire che non siamo abbastanza interessanti, che siamo troppo agitati, che la voce trema; ma di solito queste cose il nostro uditorio non le nota nemmeno”. Rendersi conto che a volte la visione che abbiamo di noi stessi non corrisponde a quella che ne ricava chi ci sta di fronte, rappresenta un notevole passo avanti verso una maggiore autostima, dote indispensabile per vincere la paura di parlare in pubblico. Con la PNL , la “programmazione neurolinguistica”, è possibile sradicare le convinzioni svalutanti che abbiamo di noi stessi. Se siamo convinti che parlare davanti a un pubblico non faccia assolutamente per noi, non faremo mai una buona performance. Come si fa a vincere la paura di non riuscire a parlare? Prima di tutto, occorre visualizzare il proprio successo. La mente, infatti, ha un potere enorme. Credere in se stessi è la strategia più utile, affiancata all’arte del pensare positivo, immaginando la situazione come un momento di successo, con un pubblico attento ed entusiasta. Se si è timidi e agitati, meglio prepararsi il più possibile, senza pretendere da se stessi di parlare a ruota libera e di diventare dall’oggi al domani dei professionisti della comunicazione. Strutturare il proprio discorso in
parti ben definite aiuta a non sentirsi disorientati nei momenti più difficili, sempre ricordando che avere bene in chiaro cosa dire non equivale a imparare tutto a memoria, a mo’ di pappagallo. Un’altra strategia infallibile? Ammettere il proprio nervosismo con l’uditorio, ovvero esprimere sin all’inizio la propria tensione e le proprie paure, cosa che permettere di scaricare l’ansia e conseguentemente di creare un legame empatico con il pubblico. Molto utile anche concentrarsi sul proprio respiro e sentirsi ben piantati per terra con i piedi e le gambe ferme.
Come catturare l’attenzione dell’uditorio
Passata la prima fase, quella legata alla paura, diventiamo man mano
più sicuri di noi stessi. Ma non basta. Per catturare l’attenzione del pubblico ci sono strategie mirate, che normalmente vengono insegnate durante i corsi di public speaking. Prima di tutto occorre porre attenzione allo sguardo, che deve essere democratico, rivolto a tutto l’uditorio. È fondamentale, inoltre, fare le giuste pause, per permettere a chi ci ascolta di capire bene i concetti e suscitare la sua attenzione. Per non annoiare il pubblico è bene alternare il ritmo, quindi parlare in alcuni momenti più velocemente, in altri più lentamente. Gli esperti di public speaking concordano: il discorso deve essere strutturato in tre parti, ovvero il “decollo”, che è l’avvio, quella parte in cui il pubblico decide
se seguire o meno chi parla; poi si passa al “volo”, dove si esporranno i contenuti facendo in modo che non vi siano cali d’attenzione; infine si giunge all’“atterraggio”, ovvero il congedo, momento in cui si ribadiscono i concetti principali in modo che gli ascoltatori portino a casa qualcosa del discorso o della conferenza. In generale, mostrarsi più interessati che interessanti e porre domande al pubblico aiuta molto, così come fare un uso intelligente e mirato dei supporti tecnologici, delle immagini e delle presentazioni Power point. Meglio non girare attorno ai concetti ed evitare le ripetizioni. La capacità di sintesi, infine, dà sempre una marcia in più.
La domanda della settimana
Ritenete che il concetto di famiglia sia esclusivamente riferibile a un nucleo costituito da una coppia eterosessuale, cioè composta da una donna e da un uomo?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 2 aprile. I risultati appariranno sul numero 15 di Ticinosette.
Al quesito “Ad oggi avete già deciso chi e che cosa votare alle prossime elezioni cantonali del 19 aprile?” avete risposto:
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Astri ariete Novità professionali inaspettate. Costruite il vostro futuro, ma giocatevi ogni opportunità nel presente. Spese per la casa e per l’abbigliamento.
toro Vita sentimentale in fermento: incontri inaspettati e atmosfere trasgressive grazie ai buoni aspetti con Nettuno. Grande fervore per i più creativi.
gemelli Saturno e Nettuno, entrambi angolari, vi spingono ad adottare scelte avventurosamente irrevocabili. Novità con il segno dell’Ariete. Riposo tra il 1. e il 3.
cancro Passioni, colpi di fulmine, rotture improvvise. Svincolatevi dai condizionamenti familiari. Venere favorevole. Positivo l’incontro con il Toro.
leone Con Venere di transito si tende a dare priorità alla vita affettiva. Nuova vita per i nati nella prima decade ormai da tempo sotto l’influsso di Saturno.
vergine Cambiamenti e metamorfosi spirituale. Incontri sentimentali. Favorite le professioni più creative o artistiche. Non fatevi condizionare o inibire dalle paure.
bilancia Svolte professionali e novità. Con Mercurio e Urano in reciproca opposizione si fa sempre più forte la voglia di avanzare verso un cambiamento.
scorpione Enormi potenzialità da canalizzare in modo consapevole senza che si possano generare evidenti conflittualità. Dominate gli impulsi del vostro ego.
sagittario Miglioramento dei rapporti lavorativi. Momento ideale per iniziare una dieta disintossicante. Malinconie tra il 1. e il 2 per i nati nella prima decade.
capricorno Colpo di fulmine e incremento delle relazioni sociali. Alla grande tra il 1. e il 3 aprile grazie ai buoni aspetti con Luna, Marte e Venere. Bene con il Toro.
acquario I vari transiti vi spingono verso una deriva più materialista. Urano resta comunque sempre vostro alleato favorendovi nei settori più inusuali. Progetti.
pesci Cambiamenti e metamorfosi spirituali. Scarsa focalizzazione in ordine agli obiettivi da raggiungere. Confusione e/o stati di stress tra il 1. e il 2 aprile.
Gioca e vinci con Ticinosette
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 15
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 2 aprile e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 31 marzo a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Orizzontali 1. Panini, stuzzichini • 9. Uno a Zurigo • 10. Villaggio • 11. Quella Sacra giudica •13. Norvegia e Romania • 14. Pari in bocca • 16. Similitudini • 19. Cavallo alato • 20. Il primogenito di Noè • 21. Il geloso verdiano • 23. È vicino a Bioggio • 25. Velivolo • 27. Andati in poesia • 29. Stella del cinema • 30. Lo stato con Stoccolma • 33. I figli di Urano e di Gea • 35. Rosa pallida • 36. Epoca • 37. Bruciate • 39. Nostro in breve • 40. La costruì Noè • 41. Accentato nega • 42. Indossa la muta • 44. Le Lipari • 46. Procedura • 48. Li ha tesi l’irato • 50. Ingordi, famelici • 52. Sigla radiologica • 53. Egli • 54. Cortili agresti. Verticali 1. Una cura in cardiologia • 2. Quartiere cittadino • 3. Avversario • 4. Le iniziali di Papi • 5. Un recipiente del casaro • 6. Son due in 100 • 7. La fine di Aramis • 8. Piccolo difetto • 12. Lo è Pegaso • 15. Implicare, includere • 17. Lo spinto del sarto • 18. Incitate, spinte • 22. Feriti • 24. Gran Turismo • 26. Dittongo in reato • 28. Stentare, faticare • 31. Mezzo vaso • 32. Metallo bianco argenteo • 34. Ispido • 38. Non l’ha in zucca lo stolto • 41. Distese nevose • 43. Dissetarsi • 45. Spinosa • 47. Capo etiope • 49. Ghiaccio inglese • 51. Pari in scusa.
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Soluzioni n. 11
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La soluzione del Concorso apparso il 13 marzo è: STRADALE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Elvezio Zambelli 6937 Breno Al vincitore facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: buono RailAway FFS per l’offerta “Falconeria Locarno” RailAway FFS offre un buono del valore di 100.– CHF per 2 persone in 2a classe per l’offerta RailAway FFS “Falconeria Locarno” (viaggio in treno ed entrata) da scontare presso una stazione FFS in Svizzera. Info su ffs.ch/falconeria
Con RailAway FFS alla Falconeria di Locarno. L’affascinante mondo dei rapaci. Non perdete l’occasione di ammirare e fotografare aquile, falchi, gufi e avvoltoi. Alla Falconeria vedrete questi affascinanti uccelli volare liberamente in un ambiente naturale. Sarà uno spettacolo impressionante che vi farà dimenticare per qualche istante la vita di tutti i giorni.
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Fatti, non parole n. 174
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<wm>10CFWKMQ6DMBAEX3TW3i5nY66M6FCKiN4Noub_VQhditFMMduWUfDwWt_7-kmHT5OpSZ0ZPQpb9ZxVC5mQi_BYPHSL7H-_kWgAxu8xyFzjDs6mPmrUch3nFzJZctNyAAAA</wm>
Con noi nessuno resta a becco asciutto. Ci impegniamo per una pesca sostenibile che tuteli gli ecosistemi marini e dal 2006 siamo partner del WWF e soci fondatori del WWF Seafood Group. Proponiamo il più ampio assortimento di pesce e frutti di mare bio della Svizzera e realizziamo il 99% del nostro fatturato ittico da fonti sostenibili*.
Tutti i dettagli dell’impegno Coop per uno sviluppo sostenibile su fatti-non-parole.ch
*Quota di fatturato pesce e frutti di mare classificati dal WWF come «consigliati» o «consigliati con cautela» rispetto al fatturato ittico totale
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Il video sulla provenienza del pesce
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