Ticino7

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№ 16 del 17 aprile 2015 · con Teleradio dal 19 al 25 apr.

SCRIGNI DI VITA

Esempio della simbiosi fra uomo e territorio, i grotti storici sono una testimonianza importante della cultura ticinese

Corriere del Ticino · laRegioneTicino · Tessiner Zeitung · chf 3.–


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Ticinosette allegato settimanale N° 16 del 17.04.2015

Impressum

Agorà Insubria. Oltre la frontiera

67’470 copie

ROBERTO ROVEDA .................................................

Kronos Letteratura. Scienza della fantascienza

DI

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FRANCESCA RIGOTTI ..........................

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

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ROBERTO ROVEDA ..................................................................

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DI

Reportage Grotti storici. Vita nella roccia

DI

DANIELE FONTANA; FOTO DI PETER KELLER ...

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Tendenze Moda. Frange: senza tempo

MARISA GORZA ........................................

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Svaghi ....................................................................................................................

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Chiusura redazionale Venerdì 10 aprile

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ALBA MINADEO.......................................

Società Trasparenza. Il villaggio di vetro Vitae Gianni Ferraro

Tiratura controllata

DI

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Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Swiss Press Photo 2015

Amministrazione

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook

Stampa

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In copertina

Grotto a Cevio (valle Maggia) Fotografia ©Peter Keller

Lo scorso mer- (Landesmuseum) di Zurigo, per poi procoledì 15 aprile seguire in Ticino, a Berna e al Museo naha avuto luogo a zionale svizzero Prangins (vicino a Nyon). Berna l’annuale I migliori lavori e i vincitori delle varie premiazione del- categorie (“Attualità”, “Vita quotidiana”, la Stampa svizze- “Reportage svizzeri”, “Ritratto”, “Sport” ra. Nella sezione ed “Estero”) sono selezionati da una giuria “Swiss Press Pho- internazionale. Buona lettura, la Redazione to 15” – che raccorpo narranTe coglie le migliori fotografie giornalistiche del 2014 – Reza Khatir (tra l’altro photo-editor e autore di molti reportage e ritratti per Ticinosette)) è ancora una volta tra i premiati. È il quarto anno consecutivo che un suo lavoro viene selezionato e appare tra i vincitori, quest’anno nella categoria “Vita quotidiana” con il reportage sullo spettacolo “TeatroDanzaGiovani” della Compagnia Giovani Tiziana Arnaboldi apparso in Ticinosette n. 3/2015 (nell’immagine). ). Essendoci un embargo voluto dagli organizzatori dell’importante concorso, al momento di andare in stampa non abbiamo informazioni rispetto ad altri fotografi ticinesi i cui Tra coloro che hanno trovato e comunicato correttamente lavori siano stati a diverso il numero di piccole uova colorate (erano 6) presenti tra le pagine titolo premiati a Zurigo, né del numero apparso il 3 aprile, la fortunata vincitrice è: di servizi pubblicati dalla nostra testata che figuriLidia Bancora (Lugano) no tra i lavori selezionati. Ricordiamo che l’esposizioA lei il premio di CHF 200.- in contanti. ne delle immagini del “Swiss COMPLIMENTI... Press Photo 15” (e la disponiE AL PROSSIMO CONCORSO! bilità del catalogo correlato) sarà visibile a partire dal 24 aprile e sino al 5 luglio presso il Museo nazionale № 3 del 16 gennaio 2015 · con Teleradio dal 18 al 24 gen.

Corriere del Ticino · laRegioneTicino · Tessiner Zeitung · chf 3.–

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Concorso pasquale

Quante uova di Pasqua erano nascoste tra le pagine del numero 14 di Ticinosette?


Oltre la frontiera Ticino. Le questioni transfrontaliere stanno diventando sempre più complesse e non possono essere affrontate con arroccamenti, improvvisazione o con la semplice buona volontà. Richiedono formule di governance a livello politico e istituzionale capaci di superare i particolarismi in modo da creare strategie di insieme e di cooperazione per una maggiore integrazione tra le terre di confine. Con vantaggi per tutti di Roberto Roveda

L

Agorà 4

a crisi economica e sociale che ha investito e sta ancora investendo buona parte d’Europa ha fatto crescere in Svizzera – e ancora di più nel cantone Ticino – il desiderio di isolamento. È, infatti, sempre più presente in buona parte dell’opinione pubblica elvetica la nostalgia per un passato in cui la Confederazione era ancora più di oggi un unicum nel panorama europeo, una realtà molto slegata e distinta dal resto dell’Europa. La realtà dei fatti, però, ci richiama costantemente all’impossibilità di un semplice ritorno al passato. La Svizzera, volenti o nolenti, non può essere un’isola a sé stante, soprattutto in un mondo totalmente interconnesso dal punto di vista sociale ed economico come quello odierno. E tantomeno può essere un’isola il canton Ticino, realtà piccola dal punto di vista territoriale e demografico e quindi fatalmente costretta a fare i conti con la vicina Lombardia. Non è certo una caso che i rapporti tra Svizzera e resto d’Europa siano in questo momento più magmatici e complessi che mai, sospesi tra l’aspirazione diffusa in terra svizzera di reimporre alcuni paletti e limitazioni e la necessità di fare i conti con i tanti legami ormai esistenti in particolar modo con l’Unione Europea. Così, ci si ritrova a dover fare i conti con la questione dell’applicazione entro la fine del 2016 dell’articolo costituzionale contro l’immigrazione di massa che di fatto mette a rischio gli Accordi Bilaterali con l’UE e a osservare, nello stesso tempo, la sempre maggiore integrazione finanziaria e bancaria della Svizzera con il resto del mondo e la nascita di nuovi accordi fiscali con i partner europei. La necessità di “governare” il cambiamento È indubbio, quindi, che il quadro dei rapporti della Confederazione elvetica con il resto del mondo vive un momento di evoluzione e di incertezza. Una incertezza che, complice anche il franco sempre più forte e libero di fluttuare sulla piazze finanziarie, rischia di avere ricadute pesanti a livello economico e occupazionale, soprattutto nelle terre di confine come il Ticino. Ricadute che saranno

incontrollabili se non vi sarà a livello politico una volontà chiara di governare il cambiamento. Serve, allora, una gestione (governance, per dirla all’inglese) forte per evitare che si ricorra sempre di più a manodopera estera per contenere i costi oppure che, dopo l’entrata in vigore delle norme contro l’immigrazione di massa, gli imprenditori puntino a imporre salari più bassi per far fronte alle difficoltà di una economia chiusa e con difficoltà di esportazione verso i partner commerciali più vicini. Serve una politica non solo rivolta alle questioni meramente economiche ma in grado di prospettare un futuro migliore a livello sociale e culturale. Un futuro dove, senza perdere di vista le nostre peculiarità, si sappia trarre vantaggi dal grande mondo che si estende al di là del confine di Chiasso. In poche parole, si potrebbe pensare di valorizzare in maniera concreta quell’area transfrontaliera che risponde al nome di Insubria: un’area di grande interesse e potenzialità, per la sua consistenza demografica, la forza e la complementarietà economica e sociale, che però è estremamente penalizzata perché divisa tra due realtà statali che hanno difficoltà a colloquiare tra loro e troppo spesso, a livello centrale, faticano a occuparsi in maniera proficua di questioni regionali o macroregionali. L’Insubria, mito o realtà possibile per il Ticino? L’area insubrica ha dunque bisogno di una propria governance che le consenta di puntare verso uno scenario di “area transfrontaliera integrata”, capace di visioni e di progettualità di medio-lungo periodo, in grado di negoziare a più livelli al fine di generare un surplus di valore aggiunto in termini di conoscenza, reti, incremento di competitività, remunerazione di risorse (pubbliche e private), “fiscalità dedicata” e reinvestimenti mirati sul territorio. Un’utopia di un impossibile “paradiso in terra”? Ne parliamo con Remigio Ratti, già professore di economia internazionale e regionale all’università di Friburgo e co-curatore, con il politologo Oscar Mazzoleni, del volume Vivere e capire le frontiere in Svizzera (Armando Dadò editore, 2014).


Professor Ratti, guardando al Ticino viene da pensare che potrebbe essere una sorta di ponte ideale capace di collegarsi sia con il mondo tedesco a nord, sia con il mondo italiano a sud. Potrebbe sfruttare al meglio questa peculiarità geografica, politica (fa parte della Confederazione e quindi è legato al mondo tedesco della Svizzera interna) e linguistica per prendere il meglio dai due ambiti. Viceversa, pare di scorgere una tendenza all’arroccamento, al volersi considerare a tutti i costi una sorta di enclave o exclave a seconda dei punti di vista, che fatica a colloquiare coi vicini. Lei cosa ne pensa? Solo idealmente, o nella retorica politica, il Ticino si trova nella posizione di ponte tra il mondo tedesco a nord e il mondo italiano a sud. Pur distinguendo tra rapporti culturali e quelli socio-economici, raramente il Ticino ha coscientemente svolto una funzione di ponte. Esso si è trovato piuttosto nella situazione di “zona grigia”, come la chiamerebbe un geografo, o di “spazio di transizione”, tra regimi istituzionali e strutture socioeconomiche diverse. Ciò dà luogo, in genere, a effetti frontiera penalizzanti. Questo va ricordato, in un momento in cui si rovescia una situazione in cui per qualche decennio abbiamo conosciuto, unilateralmente, uno sviluppo “grazie alla frontiera”: abbiamo ormai perso i vantaggi dei punti di frontiera e/o di rottura di carico, come lo è stata la stazione internazionale di Chiasso; come pure una parte delle rendite di posizione (la banca svizzera che salva i risparmi degli italiani) e delle rendite differenziali. Per esempio: le differenze salariali tra residenti e frontalieri, fin quando quest’ultimi sono stati soggetto/oggetto

di un mercato del lavoro “duale” e ben separato. Era stata la nostra strategia, non solo imprenditoriale ma anche politica. Politica sempre implicitamente accettata, anche quando, nel 1981, i ricercatori dell’allora URE (oggi IRE) denunciarono, e fu polemica, i rischi strutturali di questa scelta opportunistica. Che cosa si dovrebbe fare a livello di istituzioni, politico, ma anche di cittadini per affrontare le sfide della contemporaneità e realizzare un modello di politica transfrontaliera virtuoso, capace dei rompere un certo isolamento ticinese? Occorre un deciso cambiamento di prospettiva, connessa a un’adeguata rappresentazione mentale per uno sviluppo sostenibile dell’area transfrontaliera e implicante una nuova governance pubblico privata. Altrimenti restiamo ai due scenari descritti nel volume Vivere e capire le frontiere in Svizzera: quello di una territorialità in “balia degli eventi”, esterni in particolare, e quello dell’ “arroccamento”, vale a dire della difesa unilaterale derivata da comportamenti non-cooperativi, come possono essere le black-list italiane o il blocco dei ristorni sulle imposte alla fonte pagate dai lavoratori non residenti. Il cambiamento di prospettiva implica l’abbandono di un approccio puntuale e funzionale. L’esempio, disastroso, è proprio quello della tassazione dei frontalieri, che ha tenuto banco nell’ultimo quadriennio di politica cantonale assumendo, da spunto specifico, valenze sempre più fuorvianti perché prive di una loro collocazione cognitiva e strategica complessiva. Cosa si è ottenuto? Poco o niente. Questo ha pesato e pesa tuttora nelle trattative bilaterali (...)

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tra Svizzera e Italia, penalizzando, con il trascinarsi nel tempo, gli interessi della piazza finanziaria costretta a confrontarsi, per le nuove regole del gioco multilaterali, con uno scenario ben diverso dal passato. Questo mostra come sia cambiata la natura dei problemi di frontiera: noi ne vediamo le conseguenze locali e i cittadini tendono a favorire quei comportamenti politici che… si rivolgono alla cura dei sintomi, quando invece occorrerebbe risalire alle cause, sempre più legate alle nuove aree di potere di un mondo interconnesso. Pur riconoscendo i severi termini delle nuove sfide economiche, sociali, ambientali e politiche, la soluzione per il Ticino non sta certo nell’arroccamento.

Agorà 6

Le “aree a tripla A” A suo parere esiste concretamente la possibilità che il Ticino trovi nella vicina Lombardia un partner con cui crescere assieme, con vantaggi per entrambi? Cosa deve cambiare perché questo si realizzi? La realtà del mondo odierno è quella delle reti urbane e metropolitane e noi siamo, con AlpTransit, a un’ora e mezza o poco più da Zurigo, di cui potremmo essere la nuova periferia, e a cinquanta chilometri da Milano, dalla quale o ci sentiamo estranei o ci sentiamo soffocati (la sola Lombardia ha più abitanti della Svizzera). Allora gli interlocutori-partner devono essere trovati a cerchi: un primo cerchio è quello del vicinato, con cui dobbiamo capire come governare i temi del vivere quotidiano (la Regione insubrica, se vogliamo). Un secondo cerchio è quello delle relazioni con Milano (ma anche Torino) e la Regione, non solo come istituzione ma costruendo una comunione di interessi con le forze vive imprenditoriali, rompendo il gioco inverso, quello della non-cooperazione (un esempio viene dallo studio comune realizzato per mettere in luce le possibilità di business tra banca ticinese e le imprese nord-lombarde). Un terzo cerchio o asse è quello che si spinge fino alla Liguria, polo del corridoio Genova-Rotterdam, in cui si inserisce AlpTransit e da cui possono dipendere i risultati della politica del trasferimento dei traffici strada-ferrovia. Potenzialmente le nostre economie sono complementari e occorre trovare le regole del gioco che permettano di farle convergere con soluzioni “win-win” per tutti. Questo implica una visione di sistema, sia pur specifica, valorizzante il capitale territoriale dell’assieme dell’area di frontiera. La sfida del secolo è quella di proporre la Svizzera italiana come spazio economico elvetico dell’area metropolitana lombarda e bandiera svizzera della cultura italiana e dell’italicità. Guardando a quello che lei ha definito il primo cerchio, quello del vicinato, da tanto tempo si parla di Regione Insubrica anche se per ora essa esiste solo sulla carta. In molti suoi interventi lei ha parlato di creare a livello insubrico una o più “aree a tripla A”. Ci può spiegare che cosa intende con questa definizione? Un’area transfrontaliera integrata non si realizza né automaticamente, né per il libero gioco del mercato. È un discorso che sta maturando in vari ambiti, poiché l’Europa è fatta di spazi di frontiera. Per esempio, i problemi dell’Alsazia rispetto al Lussemburgo, sono di portata analoga ai nostri. L’ambizione – e non è indifferente per noi – è quella di riconquistare delle condizioni

quadro (diritto del lavoro e diritto fiscale, in primis) che siano eque e condivise, per consentire investimenti e attirare attività innovative durevoli. Anche in Italia e in Lombardia ci si muove in questo senso con nuovi strumenti, vicini agli attori e interessi imprenditoriali, che possono essere implementati anche su scala transfrontaliera: dai “contratti di rete”, pensati per aumentare competitività e capacità innovativa pur lasciando le imprese indipendenti, ai decreti “burocrazia zero” fino alla creazione di “Parchi Industriali Integrati”, nei quali vigano “norme europee” omogeneizzate rispetto alle normative vigenti. Zone a tripla A, così abbiamo denominato l’idea di costituire – al di qua (area ferroviaria di Chiasso) e al di là della frontiera (Varese, Val Cuvia, Comasco) – alcune Aree di Aggregazione e di Armonizzazione Transfrontaliera (AAA-T). Se è vero, come affermato nel recente studio “Ticino Futuro” dell’IRE (Istituto di Ricerche Economiche)1, che – l’avvenire è “fondato sull’ integrazione tra secondario e servizi (includendo una riflessione su coesione sociale e fiducia)” – con lo Stato a garantire le condizioni quadro adeguate – allora perché non pensare che i “frontalieri” possano restare e produrre a casa loro nelle “AAA-T”, nel pieno gioco di interessi reciproci italiani e svizzeri? Lo studio dell’IRE, senza spingersi nella nostra proposta, ci indica addirittura in quali ambiti la realtà produttiva è già vicina a questo concetto, indicandoci tre meta-settori: moda, biotecnologie, meccatronica, ai quali noi aggiungiamo la logistica integrata. Ma in che modo si potrà arrivare a istituire queste aree AAA-T? Un accordo internazionale e transfrontaliero dovrà identificare la delimitazione del/i territorio/i con tale denominazione, le materie e i contenuti passibili di interventi, le procedure quadro da applicare. L’accordo quadro è firmato dagli stati nazionali (quale implementazione intelligente dei principi di libertà europei e compatibilmente con il voto popolare sull’immigrazione di massa) e all’interno di questo le amministrazioni pubbliche (Lombardia, Ticino), le istituzioni locali, le organizzazioni territoriali e i singoli attori economici e sindacali possono firmare accordi, promuovere progetti, implementare azioni di sostegno, sulla base di regole semplificate e predefinite. Una prospettiva di questo tipo è secondo lei concretamente realizzabile? Se mi permette rispondo iniziando da un aneddoto personale. Io sono di Balerna e già dalla mia infanzia ho più o meno capito che vivere in una zona di frontiera induceva soprattutto all’arte dell’arrangiarsi! Ecco, il salto che vedo è proprio quello – imprescindibile, ma alquanto arduo – di superare questa mentalità. Abbiamo dedicato quattro anni al tema della tassazione dei frontalieri; forse nei prossimi quattro anni si potrebbe arrivare a risultati sostanzialmente promettenti per affrontare e ribaltare i “processi di lombardizzazione”, almeno nei settori produttivi e senza strozzare quella parte dell’economia e della società “frontaliero dipendente”.

note 1 http://www.ire.eco.usi.ch/evento.htm?doc_id=24257


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Scienza della fantascienza Un volume dello studioso Renato Giovannoli ci aiuta a comprendere l’importanza del genere letterario fantascientifico. E dei suoi risvolti nella moderna cultura scientifica di Francesca Rigotti

Kronos 8

“È una storia della fantascienza? È un’enciclopedia della fantascienza? No, è un catalogo di idee fantascientifiche!”. Ho scelto per presentare la riedizione di questo dotto e intelligente libro del docente di filosofia, bibliotecario e studioso sopraffino di semiotica della cultura Renato Giovannoli – La scienza della fantascienza, Bompiani, 2014; autore del quale abbiamo già recensito in questa sede Jolly Roger. Le bandiere dei pirati, Ticinosette n. 26/2014 –, la formula con la quale, all’apparire nei cieli della sagoma del supereroe in calzamaglia azzurra e mantello rosso, la gente gridava: “È un aereo? È un uccello? No, è Superman!” (Nembo Kid, per noi bambini d’antan). Ho scelto proprio questa formula per cercare di evocare, con il linguaggio di un fumetto di fantascienza, lo stupore per un lavoro di tale portata, profondità e acume e che dimostra conoscenze approfondite del pensiero filosofico, scientifico e fantascientifico.

I “buchi di vermi” e l’Inferno di Dante Uno degli elementi di cui la fantascienza si serve appoggiandosi alla fisica sono i “buchi di vermi” o wormholes che si formerebbero nei buchi neri, e che permetterebbero a un’astronave di compiere il saltino di cui si diceva nello spazio incurvato su se stesso. Ma non è un buco nero anche l’Inferno di Dante – azzarda il nostro autore – soprattutto per la sua origine gravitazionale, al cui vertice c’è Lucifero, l’essere più pesante (per la gravità o “carco” del suo peccato) che ha sfondato la superficie terrestre creando l’abisso cosmico che lo imprigiona? Tale abisso è a forma di imbuto, proprio come lo spazio intorno a un buco nero, e Lucifero è “il vermo reo che ‘l mondo fora” (Inf. XXXIV, 108) producendo il wormhole attraverso il quale Dante può passare e raggiungere il Paradiso terrestre (p. 285, n. 96).

Che cos’è la fantascienza? Il sistema della fantascienza La fantascienza è un genere letterario Questa faccenda dei vermi e (come l’horror o il giallo, ma anche, dei loro buchi può dare l’idea per cercare paragoni illustri, il romandella finalità del lavoro svolzo di formazione e di avventura, o to da Giovannoli, che propone l’epica) che facendo uso di paradossi qui, completamente rinnovata descrive mondi alternativi a quello e notevolmente aumentata, la La copertina di un numero di Nembo Kid della nostra esperienza: mondi perdunuova edizione di una precedenti, sognati, temuti, desiderati; mondi te opera: portare argomenti per possibili e alternativi, universi paralleli. Il sistema della la sua tesi, che sostiene che la fantascienza produce teorie fantascienza opera, per esempio, nella “quarta dimensio- autonome rispetto alla scienza, le quali tendono a interane”, per spiegare la quale Giovannoli (così diamo anche gire e a formare un “sistema fantascientifico” abbastanza un esempio del suo metodo) parte da Platone passando per coerente e omogeneo. Leibniz e Kant, e per il matematico G. B. Riemann e le loro Tale sistema comunica con quello della scienza in grande ipotesi filosofico-matematiche di mondi pluridimensionali: libertà, ma non cessa di nutrirsi di frammenti del dibattito il riflesso di tali ipotesi e teorie nella fantascienza si rivela scientifico e filosofico. La scienza a sua volta non sembra nell’idea che si possa raggiungere un punto lontanissimo immune dall’influenza dell’immaginario fantascientifico, nello spazio se l’universo è considerato non soltanto ricur- talché “talvolta le teorie nate nell’ambito della fantascienza e vo, ma proprio come un foglio di carta ripiegabile in cui il passate alla scienza tornano alla fantascienza con un surplus punto di partenza A che si trova a un estremo viene a con- di precisione scientifica”. giungersi con il punto B dell’estremo opposto, se gli estremi Ma l’ultima parola, nel sistema della fantascienza, ce l’ha vengono avvicinati con una piegatura. A quel punto basta sempre la fantascienza. Ed è per questo che è vano andare un saltino da A a B, e ci siamo. Tra scienza e fantascienza alla ricerca di verifiche sperimentali e di estrema coerenza sussiste un continuo interscambio, spiega Giovannoli: gli della teoria, perché altrimenti non avremmo fantasciensviluppi della fisica offrono spunti alla fantascienza, la za, una letteratura che per definizione include il fattore quale a sua volta prevede talvolta futuri sviluppi della fisica. scientifico ma anche molta fantasia.


Fatti, non parole n. 215

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Da noi gli animali grufolano di piacere. Quando si tratta di salute degli animali, andiamo volentieri ben oltre i requisiti previsti dalla legge. Come nel caso dei nostri maiali Naturafarm che dal 1996 godono di grande libertà: possono uscire all’aria aperta in ogni momento, dispongono di diversi materiali per giocare e lettiere di paglia. Per il nostro straordinario impegno la Protezione svizzera degli animali ci ha nominati n.1 in Svizzera per quanto concerne il benessere degli animali.

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Il villaggio di vetro Prendiamo spunto da un recente saggio del filosofo Byung-Chul Han per parlare di trasparenza. Un argomento assai attuale in tempi di ipervisibilità di Alba Minadeo

Società 10

Il pensatore tedesco di origine coreane Byung-Chul Han entrare. Ovviamente Byung-Chul Han porta all’estremo una nel suo libro La società della trasparenza (Nottetempo, 2014) tendenza, ma è proprio questa esasperazione che ci invita a riprende ciò che disse Jean Baudrillard, il filosofo francese guardare nel rovescio di pratiche e abitudini che diamo per scomparso qualche anno fa: un mondo totalmente privo scontate. L’apparente naïveté dei social network solletica il di opacità e di segreti può anche essere infernale. Eppure, la nostro narcisismo e ci obbliga a essere là dove tutti sono trasparenza è uno dei miti intoccabili della nostra società, in quel momento, e questo vuol dire esporsi in nome di un imperativo al quale è etico attenersi: dobbiamo essere un’omogeneizzazione che produce likes. Quest’ipervisibitrasparenti, non nascondere nienlità a tutti i costi rischia, secondo te ed esporci completamente; le il filosofo, di divenire oscena: un nostre relazioni, siano esse pubblimondo che abolisse ogni spazio, che, private, culturali o finanziarie riservatezza, discrezione, difficoltà (vedi il recente accordo OCSE per nella relazione con l’altro, sarebbe l’abolizione del segreto bancario) un mondo della totale esposizione devono essere impostate sulla sincee dunque pornografico. “La bellezrità assoluta. Questo concetto risale za”, diceva Goethe, “non si dà mai al tempo di Jean Jacques Rousseau, totalmente in chiaro, mai in totale quando il filosofo svizzero invocatrasparenza”. “Nel segreto”, scriveva va, in un’epoca di camuffamenti di Walter Benjamin, “è il fondamento vario genere, il totale denudamento divino della bellezza”. È il pathos delreciproco, l’utopia del villaggio di la distanza, dice Byung-Chul Han, vetro in cui ciascuno è esposto alla a rendere possibile il rapporto con visibilità del suo vicino (che ritrol’altro. Distanza e pudore sono paviamo poi in molti libri di fantarole desuete, e per certi versi scanscienza, fantapolitica e distopie, da dalose, che dovremmo recuperare. Orwell a Bradbury fino all’ultimo The circle di Dave Eggers). “Non Trasparenza e sparizione dire, non fare mai cosa che non vuoi Byung-Chul Han nel suo precedenche tutti vedano e ascoltino”, scrive- Il filosofo coreano Byung-Chul Han (da vn.nl.com) te saggio La società della stanchezza va Rousseau in Julie ou la nouvelle (Nottetempo, 2012) prende spunto Héloïse, “Quanto a me, ho sempre considerato come l’uomo da Pier Paolo Pasolini per parlare di una società obesa, depiù degno di stima quel romano il quale voleva che la sua casa pressa, ammalata di positività in cui tutti dicono sempre di fosse costruita in modo che si vedesse tutto quello che faceva”. sì, le vecchie passioni individuali e sociali cambiano cifra, l’irritazione sostituisce la collera, la prestazione soppianta Un mondo panottico il lavoro. In quest’ultimo libro, invece, sembra fare un riSecondo questi presupposti, il comportamento morale idea- chiamo all’elogio della timidezza di Duccio Demetrio in La le si attuerà quando nessuno avrà più niente da nascondere, vita schiva (Cortina, 2007), un sentimento oggi démodé che ma forse sarebbe meglio dire, dati i tempi, quando nessuno trapela anche dalle interviste a Carlo Emilio Gadda (raccolpotrà più nascondere qualcosa, come nel Panopticon, il te in “Per favore, mi lasci nell’ombra”, Adelphi, 1993). Già carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Je- Epicuro consigliava di vivere ignorati. Oggi, si passa dalla remy Bentham. Oggi, paradossalmente, non è più soltanto il beffa della normativa sulla privacy alla completa mancanza potere a esercitare sui singoli una vigilanza totale ma, scrive di riservatezza. Ma forse qualcosa si sta muovendo: proprio Byung-Chul Han, il controllo si esercita anche dal basso di recente, la legislazione in materia di internet ha stabilito verso l’alto. Ciascuno di noi espone gli altri alla visibilità: che le persone hanno il pieno diritto di essere dimenticate e ognuno tiene d’occhio il suo prossimo fin dentro la vita pri- possono chiedere di rimuovere le pagine che le riguardano vata. La sorveglianza digitale non è più soltanto un attacco dai motori di ricerca. alla libertà, ma ciascuno si offre in modo volontario allo Se poi vogliamo veramente renderci invisibili, forse non ci sguardo panottico: la società della trasparenza è una gabbia resta che sparire volontariamente, come fece il fisico Ettore in cui tutti controllano tutti e in cui tutti sono contenti di Majorana. Ma questa è un’altra storia.


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in da ragazzo ho avuto la passione per la montagna. Già a 12 anni andavo a fare escursioni con i compagni di scuola. Raggiungevamo basse colline, curiosavamo nei dintorni, ci piaceva osservare la natura. Man mano che prendevamo confidenza cercavamo percorsi più difficili, altezze maggiori. E così a un certo punto abbiamo cominciato ad arrampicare su qualche piccola parete di roccia, una ventina di metri, e via via sempre di più. La mia famiglia era contenta di questa passione, l’importante per i miei genitori era che io facessi qualcosa di interessante, che non rimanessi con le mani in mano a vagare senza un obiettivo, per questo erano più soddisfatti che preoccupati. La montagna l’ho sempre vissuta in gruppo, e questo è stato un aspetto fondamentale. Come dicevo, più prendevamo confidenza e più sceglievamo percorsi impegnativi e per affrontarli chiedevamo consigli alle persone più grandi, volevamo sapere, per esempio, come comportarci in determinate situazioni, quale attrezzatura portare. Allora, e mi riferisco agli anni sessanta, le dotazioni erano diverse rispetto a oggi: le corde non erano in materiale idrorepellente, erano di canapa, le imbracature non esistevano, c’era solo un cordino legato alla vita e poi al cordino noi legavamo la corda, i moschettoni erano di ferro, pesantissimi; inoltre le pareti non erano attrezzate, non avevano chiodi e quindi dovevamo metterceli noi con il martello e stare anche attenti a recuperarli, perché non c’erano soldi per comprarne altri, anzi, spesso accadeva che prestavamo il materiale a un altro gruppo che ce lo chiedeva. Pian piano, arrampicata dopo arrampicata, abbiamo raggiunto le cime più alte: le vette delle Alpi Vallesane, il Monte Rosa, il Monte Bianco. Sul Monte Bianco io purtroppo non ce l’ho fatta ad arrivare in cima, perché a metà strada abbiamo trovato brutto tempo e siamo dovuti ritornare alla capanna, una sorta di rifugio. Le capanne sono sempre prenotate e per il giorno dopo non c’era posto e quindi, non potendo pernottare lì, abbiamo dovuto rientrare a casa. In seguito, non ho più avuto l’occasione di salire sul Monte Bianco e devo dire che per me è stato un grande dispiacere. Intanto, gli

anni passavano, io mi ero sposato ed era nata mia figlia, che ormai è grande e mi ha fatto diventare nonno di due bellissime bimbe. Portavo avanti la passione per la montagna insieme agli impegni familiari e al mio lavoro di meccanico. Ormai avevo raggiunto una certa esperienza ed ero entrato a far parte del Club alpino svizzero e della società alpinistica di Chiasso. Alla fine dell’anno preparavo, insieme agli altri membri più esperti, il programma per l’anno successivo. Facevamo scelte importanti perché, essendo i capi gita, dovevamo decidere chi fosse in grado di partecipare alle escursioni, di salire in alta quota e chi no, e purtroppo qualcuno bisognava lasciarlo a casa. Mi piaceva, e mi piace tuttora, stare con i giovani, vedere i loro progressi. A volte i ragazzi che avevano terminato il corso di alpinismo ci chiedevano di poter venire con noi per affrontare una montagna “difficile”. Quando arrivavamo in cima per loro era una enorme soddisfazione, ma per noi era un successo ancora più grande, perché eravamo riusciti a far ammirare loro le meraviglie della montagna. I giovani oggi hanno molti mezzi, sono più facilitati, purtroppo abbandonano la montagna altrettanto facilmente e questo è un peccato. A 66 anni sono andato in pensione e ho smesso di andare in montagna, quella vera, cioè dai 3000 metri fino ai 4000-4600. Oggi, che di anni ne ho 76, mi divido ancora tra la montagna e la famiglia e collaboro con il Parco delle Gole della Breggia: faccio da guida ai visitatori di questo bellissimo parco, al cui interno sono presenti gallerie dal fascino particolare e nel quale c’era un cementificio, in parte demolito e in parte trasformato in museo. La montagna è stata, ed è la mia vita. Se mi guardo indietro, penso che rifarei tutto quello che ho fatto, solo cercherei di lasciare più spazio a questa mia passione. Se invece guardo avanti spero di continuare a praticare l’escursionismo, a riempirmi della bellezza che ritrovo a ogni passeggiata, magari in compagnia delle mie nipotine.

GIANNI FERRARO

Vitae 12

La passione per la montagna e la sua attività come guida lo hanno spinto fin sulla cima delle maggiori vette europee. Oggi, settantenne, accompagna i visitatori nel Parco delle Gole della Breggia

testimonianza raccolta da Roberto Roveda fotografia ©Flavia Leuenberger


Grotti storici

VITA NELLA ROCCIA di Daniele Fontana; fotografie ŠPeter Keller



Tutte le foto presenti in queste pagine sono state scattate lungo il sentiero dei grotti, situato ai piedi del versante destro della Vallemaggia, appena sopra il Museo Valmaggia a Cevio Vecchio. Questi manufatti, alcuni di origine medievale, sono stati ricavati sotto grandi blocchi di pietra, franati al termine dell’ultima era glaciale.

Peter Keller

Classe 1950, ha dapprima seguito una formazione nell’ambito della tipografia e della fotografia, in seguito si è diplomato in Ingegneria della stampa e dei media presso l’Università di Stoccarda. Dopo una carriera dirigenziale per diversi quotidiani, da luglio 2012 lavora come fotografo e autore indipendente. kellerfotomedia.ch

L’

uscio è basso. Schiacciato tra due massi giganteschi. Sta lì da tempo immemore. La porta è di legno grezzo di castagno, chiusa da un chiavistello di ruggine. Tutto intorno muschi e licheni. È un disegno silvestre. Una rappresentazione di fiaba. Bisogna trovarlo. E cercarlo prima. Ma per quel grotto c’è un cammino conosciuto. Scavato nelle terre del tempo. Da qualche centinaio di anni è sacrario di beni preziosi. Prodotti dell’incrociarsi virtuoso tra la potenza meravigliosa della natura e l’ingegno laborioso dell’uomo. Vino e formaggi soprattutto, in equilibrio precario tra ventilazione e umidità. Tra sanità e deterioramento. Quasi una simbologia. Dentro regna il buio assoluto. Un buio fisico come immensamente fisiche sono le pareti naturali di quell’anfratto trasformato in luogo di conservazione e di refrigerazione.

Natura creatrice Un buio che incute rispetto. Cui non puoi dare del tu. Neppure quando a catasto ti appartiene. Perché è della natura quel buio. Della grande frana che quattrocento anni fa si staccò dalle pareti della montagna travolgendo ogni cosa al suo passaggio. Compresa la vita della giovane che, come ogni giorno, stava accudendo le capre in questo pianoro su cui l’immane valanga di massi si è arrestata scaricando l’energia di mille bombe moderne. La cronaca, benché romanzata, non ci dice se lei se ne rese conto, allarmata forse dal belato preveggente delle sue bestie. Da qualche parte vorremmo sempre che la vita si facesse cogliere negli ultimi istanti del suo scorrere. Con uno sguardo, un suono, un’emozione. Prendendoci per mano per portarci nel cuore del terrore. Il nostro invero. (...)



(...)



Ringraziamenti Si ringrazia il Museo di Valmaggia a Cevio proprietario di una parte dei grotti e Rosanna Janke, curatrice del museo per la sua grande disponibilità. Museo di Valmaggia Tel. 091 754 13 40 e 754 23 68; museovalmaggia.ch. La struttura è aperta da aprile a ottobre, da martedì a domenica, 13:30–17:00.

Cripta ventosa Dentro al grotto fa fresco. È la sua natura. Mai più di dodici gradi. D’estate e d’inverno. Merito della fisica, dell’effetto di quel soffio che è poi la natura stessa di questa crypta ventosa. Un soffio rimasto incompreso per lungo tempo, sino a quando scienziati e naturalisti non hanno scoperto i principi della pressione atmosferica. Perché è attorno a questa che si svolge il mistero che si compie lì dentro. Meglio, dentro le fessure formatesi tra i grandi massi, da cui spira quell’aria e attorno a cui è stato ricavato questo “crotto”. Un gioco termico tra aria esterna e interna, una legge di natura. Leggerezza e rigore. Tutto secondo logica. Eppure sempre tanto che si fa meraviglia. Nel buio silenzio di quel tumulo la scienza pare però perdere la propria ragione. E lo spiro che sgorga dalla fredda roccia sembra farsi voce di quella ragazza travolta e di tutte quelle che, come lei, per mano di natura o di uomini ancor più crudeli hanno perso senza colpa alcuna l’unica occasione che, per caso assoluto, ci viene concessa di esistere.

Culle di vita Quell’aria è la memoria che ci racconta di lei e ci ricorda di loro. E che, con alito fresco, prolunga la vita di cibi preziosi, libagione di altri umani che nelle loro case o sotto i castagni là fuori godranno e vivranno. E così in quelle pietre, tra quelle “grotte” si consuma l’inesausta rappresentazione del nostro stare al mondo, solitario anche quando in compagnia. Tra facezie e chiassose empatie. Tra cibi genuini e non sempre salutari. Tra autenticità e pericoli di derive folcloristiche. Metafora mirabile del rischio enorme di un’autarchia sociale prima ancora che culturale. Le pietre si sono ammassate ovunque vi siano stati ghiacciai in ritirata, piene di fiumi e cedimenti di pareti montuose. Altre genti ne hanno saputo approfittare con uguale abilità intelligenza ed efficienza. A volerle leggere queste sono le cripte della fratellanza. I segni dell’unica scelta che ci può assicurare una migliore speranza: la comprensione. Il vino è fresco. Il formaggio preservato al riparo anche dalla muffa. Il crotto respira. La sua gente vive.


SENZA TEMPO Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza


LO HANNO CONFERMATO LE PASSERELLE PIÙ AUTOREVOLI E CHIC: LE FRANGE RITORNANO A ONDULARE SUGLI ABITI E SUGLI ACCESSORI DELLA PROSSIMA ESTATE, DECISE, A QUANTO PARE, AD ANIMARE LA SUCCESSIVA STAGIONE Fluide e fluenti, le frange ereditano un passato rutilante e sensuale, metafora dei ruggenti anni venti, quando rifinivano le tenute delle flappergirl, mescolandosi a piume e lustrini. Tuttavia le frange sugli outfit hanno un’altra origine, meno sofisticata, ma altrettanto affascinante. Quella ereditata dalle tenute in pelle di daino o di cervo degli indiani d’America, contornate da fitte striscioline intagliate nel vello. Negli States il giaccone di pelle sfrangiata era piuttosto popolare fin dall’ottocento, specialmente tra i cacciatori del Far West. Elvis Presley ne fece la sua uniforme negli anni cinquanta, imitato poi da tutto il mondo rock, David Crosby in testa. Negli ottanta Claude Montana lavora moltissimo la pelle sia borchiata che sfrangiata e proprio in quel periodo Giorgio Armani adotta lunghe frange per comporre mitici abiti da sera corredati da grandi scialli. Nei novanta, entrano a far parte dello stile siculo-pop di Dolce&Gabbana e di quello da squaw-chic di John Galliano. Un tormentone che avrà la sua apoteosi una quindicina di anni fa con le frappe e le frange alla cowgirl di Prada e alla flapper rediviva di Cavalli, con vestitini dai filamenti in tintinnanti coralli.

INNAMORA E FA PROSELITI

Ma non finisce qui. Western, rodeo, rocker, bohémienne o charleston che sia, la sfrangiatura innamora e fa proseliti. Se non è la gonna super sexy di Michael Kors dalle frappe intagliate nel camoscio che si aprono a ogni passo, è l’abito tricot di Dries Van Noten a terminare in una fitta cortina di

fili danzanti. Se non sono i jeans di Martin Margela a essere caratterizzati dal copri-pantalone da grande capo indiano, è la donna-colomba di Gianbattista Valli, ispirata a certi dipinti di Chagall, a spiccare il volo con frange aeree come ali. Se non è una borsa a tracolla in pellame sfrangiato (Etro, Pucci, Zara e diversi altri) è un paio di sandali, oppure un corto top-crop o un bikini etnico a essere sedotto da teorie di frangione e frangettine.

HIPPIE O SQUAW?

Ed è una moderna squaw l’interprete della suggestiva collezione estiva firmata Alberta Ferretti. Ma se leggerezza e libertà sono il suo stile di vita e quindi di vestire, la dolce creatura non manca di carattere, né di consapevolezza. Sul sinuoso abito color nudo, dalle trasparenze mitigate da inflorescenze tridimensionali scolpite nell’organza, si infila un gilet in camoscio caramello che si allunga in infinite frange asimmetriche. Frange e ancora frange ritrovate su stivaletti, sabot e corollari vari, ma soprattutto sugli abiti e sui ponchos in listelli di morbida suede intagliati, intrecciati e assemblati rigorosamente a mano. Pronte a roteare come flessuosi petali, filiformi e multistrato, alternati a maliziose incrostazioni di diafano pizzo. Sorge però un dubbio: questa musa è davvero una soave fanciulla indiana o è una hippie anticonformista? Oppure è riapparsa ancora lei, la maschietta “bella e dannata”, stufa di starsene racchiusa tra le pagine di Fitzgerald?


La domanda della settimana

Ritenete che in Ticino burocrazia e produzione di “inutili” scartoffie siano aumentati negli ultimi anni?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 23 aprile. I risultati appariranno sul numero 18 di Ticinosette.

Al quesito “In generale, ritenete che il personale di vendita nei grandi magazzini ticinesi sia sufficientemente cortese e disponibile?” avete risposto:

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Astri ariete Riverberi da un lontano passato. Incontri karmici e ritorni di fiamma. Numerosi incontri tra il 21 e il 23 aprile grazie agli effetti del transito lunare.

toro A partire dal 20 aprile novità nell’ambito degli affari. Meglio un uovo oggi che una gallina domani. Scaricate le tensioni con la pratica di uno sport.

gemelli Tra il 21 e il 22 aprile Luna di transito nel segno: espansione delle vostre conoscenze. Potete intraprendere un viaggio o darvi a nuove letture.

cancro Rottura da ogni cordone ombelicale. Se farete i conti con voi stessi riuscirete a realizzare le cose in grande. Colpi di fulmine con i Gemelli.

leone Periodo attraversato da anticonformismo grazie ai buoni aspetti con Urano. Incontri karmici e con persone più grandi provenienti da un’altra cultura.

vergine Passione e forte crescita dell’erotismo. Risultati professionali per i nati ai primi di settembre. Maggiore cautela per i nati nella prima decade.

bilancia Ascoltate i messaggi provenienti dal vostro cuore. Ritorni di fiamma. Finalmente arriva un incontro atteso da molto tempo. Venere vi rende più belli.

scorpione Momento sfavorevole nei rapporti sociali. Siete troppo suscettibili e vi accendete per nulla. Tra il 19 e il 20 più equilibrio nel rapporto di coppia.

sagittario Scarso interesse per il lavoro e poca autodisciplina. Fortunate le attività professionali creative grazie a Urano. Sbalzi umorali tra il 21 e il 22.

capricorno Rinnovata fortuna professionale per i nati nella seconda decade a partire dal 20. Cambiamenti radicali promossi da Plutone e Urano tra il 23 e il 24.

acquario Con Giove in opposizione attenti a non prendere scorciatoie nella gestione degli affari. Controllate più a fondo ogni situazione. Disturbi di stagione.

pesci Tra il 23 e il 25 Luna di transito. Approfittatene per compiere qualcosa di importante. Magnetismo e forti riconoscimenti in ambito pubblico.


Gioca e vinci con Ticinosette 1

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 18

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 23 aprile e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 21 aprile a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Questa settimana in palio ci sono 100.– franchi in contanti! 6

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La soluzione del Concorso apparso il 3 aprile è: CANCELLO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Alfredo Haueter 6865 Tremona

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Verticali 1. Noto film del 1994 di E. Oldoini con Renato Pozzetto • 2. Risiedere, dimorare • 3. Arbusto aromatico • 4. Nome di donna • 5. Il nostro bel cantone • 6. Antica cambiale • 7. L’indimenticato Aroldo del teatro • 8. Pari in forca • 12. Ciotola • 13. Estate francese • 16. Risultato • 18. Il misterioso Pallino • 21. L’albero del Libano • 23. Popolo nomade del Sahara • 24. Spine senza pari • 26. Elevata • 28. Si festeggia il 25 dicembre • 29. Pomata • 32. Solco lunare • 34. Pari in Pippo • 36. È ottima anche quella salmonata • 38. È bella ma stupida • 40. Lo usa la stiratrice • 43. Il monogramma di Robespierre • 46. In nessun tempo • 47. Quel che abbaia non morde • 48. Italia e Svezia.

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Orizzontali 1. Indossa la toga • 9. Trampoliere sacro dell’Egitto • 10. In coppia con Gian • 11. Resuscitare, tornare alla vita • 14. La dea della discordia • 15. Chiamare in giudizio • 17. Gallo castrato • 19. La fine di Aramis • 20. Burrone, precipizio • 22. Segno zodiacale • 23. Prova attitudinale • 25. Il nome di Baglioni • 27. Appiccicare • 30. Tribunale da ricorso • 31. Oscuro • 33. Privi di fede • 35. Dittongo in paese • 36. Turchia • 37. Fulmine • 39. Competizione • 41. Raganella arborea • 42. Mezza cena • 44. Parola francese • 45. Austria e Spagna • 46. Andate a male • 48. Vocali in cricca • 49. Lo teme l’autista • 50. Un componente dell’acqua.

Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

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Tre secondi non hanno mai avuto un gusto così buono.

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