Ticino7

№ 32 del 7 agosto 2015 · con Teleradio dal 9 al 15 agosto

I A LE SPEC

L A V I FE S T FI L M DEL R NO A C O L Corriere del Ticino · laRegioneTicino · Tessiner Zeitung · chf 3.–

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Ticinosette allegato settimanale N° 32 del 07.08.2015

Agorà Recitazione. Giù la maschera

Marco Jeitziner .............................................

4

Keri Gonzato .........................................

8

Arti Sam Peckinpah. Il “regista terribile”

Vitae Federica Tantardini

di

di

roberto roveda ...........................................

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Keri Gonzato ..............................................................

12

Media Documentari. Racconti visivi

Impressum

di

di

Fabio Martini; Foto di reza Khatir.............

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Keri Gonzato; Foto di reza Khatir ..........

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Mariella dal Farra...................................

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Tiratura controllata

Reportage Locarno. Out of this world

Chiusura redazionale

Ritratti Marco Solari. Il giardino segreto

di

Società Cinema. La fabbrica dei sogni

67’470 copie

Venerdì 31 luglio

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

di

di

Redattore responsabile

Tendenze Action cam. Dentro l’emozione

Keri Gonzato ...................................

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Coredattore

Svaghi ....................................................................................................................

46

Fabio Martini

Giancarlo Fornasier

di

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Palexpo Fevi, Locarno Fotografia ©Reza Khatir

Servizio pubblico / servizio al pubblico Lavorare nell’affollato mondo delle testate novità; è evidente che gli “attacchi” apparsi e dei portali di informazione in Ticino non di recente sul Corriere del Ticino non sono è facile. In generale, vivere di giornalismo piaciuti ai vertici di Comano, ai suoi giore di notizie è sempre più complicato (cri- nalisti e ad alcuni lettori. Critiche ingiustisi economiche, contrazioni pubblicitarie, ficate? Generalizzazioni? Attacchi politici e giornali e portali news gratuiti ecc.) e secondi fini? L’impressione è che se oggi il nell’ultimo decennio nella nostra regione gioco pare essersi fatto più duro è perché, (come nel resto della Svizzera) le forze in oltre alle notizie di cronaca e alle previsioni gioco sono molto mutate: se la Radiotele- del tempo, vi sono aspetti imprenditoriali visione italiana-RSI rimane il maggiore edi- ed economici piuttosto rilevanti. Molto tore (e il più ricco) del cantone, la nascita maggiori che in un recente passato. dell’attuale MediaTI Holding SA – a cui oggi Buona lettura, Giancarlo Fornasier fanno riferimento due quotidiani, TV, radio e web – ha di fatto creato due poli che, per forza di cose, si contendono lettori/spettatori. Senza dimenticare i recenti accordi firmati tra MediaTI e Rezzonico (editore, tra l’altro, del Caffè assieme a Ringier), sintomo certo di future sinergie. Pubblico e privato dunque, con le naturali contrapposizioni, politiche, nei modi di leggere e di comunicare eventi e realtà sociali.

A seguito della recente votazione sul canone radioo 2015 n r e a c o le pagin TV le voci critiche lm L fi nti tra l e e s e d r p l ciak sulle reti pubbliche Festiva tratte: piccoli state es ato i 7 o v n o o c s s non sono mancate no ette, artore S he han Ticinos c a i n d o r a 0 lo 3 ed erano del tutto g Iv Dalpe Tra co mero del nu a klan n i r prevedibili. Ma il dia t ka o ieri uzzo Locarn ornal battito e le discussioni N a i v etti gi i il l S g i b i l. sui costi dell’informaerali e Festiva Figino ni del ti gen n io e z ie m o a r zione e delle produn ep li abbo tere all cono g er assis in p zioni RSI, e sulla loro v lettrici! o e li h a c p rtunate o f essi in e m ll a bontà, non sono una menti Compli

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I cIa I r p o

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Giù la maschera Cinema. Che cosa è diventato il mestiere dell’attore al cinema e alla televisione? Una lettura critica basata su una semplice constatazione: siamo tutti degli interpreti di Marco Jeitziner

A

tutti è capitato di vedere capolavori e brutti film.

Ma vi è già successo di dirvi che, in fondo, quel ruolo l’avreste potuto interpretare anche voi, tanto vi è sembrata banale la recitazione? Vedo ormai così tanti attori e attrici mediocri da domandarmi se davvero sia indispensabile il “talento” per recitare. Non mi riferisco al teatro, che mi pare tutt’altro esercizio, ma sopratutto alla TV e in parte anche al cinema.

Agorà 4

Nessuna novità Gli attori sudano le classiche sette camicie presso scuole riconosciute, come del resto infermieri, cuochi e architetti. Gli attori campano a fatica in assenza di ingaggi come moltissimi musicisti, artigiani e scrittori. Si dice poi quello dell’attore sia un mestiere che coinvolge le emozioni come nessun altro… ditelo a insegnanti, poliziotti o medici.

Eppure tra mediocri interpreti e attricette da quattro soldi, l’attore è ammirato, celebrato e coccolato. Perché quando ne incontriamo uno restiamo spesso in braghe di tela?

Anche se il film non l’abbiamo nemmeno visto?

Su come l’assenza di critica – ahimé anche nostrana – possa, mi si passi il gioco di parole, partorire una montagna da un misero topolino, mi sono già espresso1. I mezzi di informazione, e quindi i giornalisti, sembrano essere gli indiziati principali. “Se i giornalisti di Washington sono abituati a inginocchiarsi, quelli di Hollywood non si vergognano a strisciare”2 tuona l’esperto Richard Stengel. I cronisti davvero liberi sul Sunset Boulevard (o a Cinecittà o dovunque si producano film) non esisterebbero. Sono controllati dagli agenti degli attori (si parla solo del film), oppure gli stessi agenti scelgono a quali media – e quindi a quali giornalisti compiacenti – convenga concedere un’intervista. Oppure ancora sono gli attori stessi che non rispondono a domande scomode (vedi Bill Cosby, Robert Downey Jr. ecc.). Il teorico del cinema Armando Guiducci afferma che “sul fronte dei divi e degli attori forse non c’è nessuna autentica novità (...).

Sono infatti i mass media che continuano a formarli: i divi continuano a diventare tali in forza proporzionale all’influsso dei mezzi che li impongono”.3 Fama e profitto Nella nostra cultura l’attore approfitta di uno stereotipo legato al culto dell’immagine e della bellezza, e poi semmai – quando sono presenti – a quello del merito e della

bravura. Lo stereotipo è costruito ad arte da chi i film li finanzia e li distribuisce, mentre il cinema e la TV partecipano come cassa di risonanza a questa fabbrica dei sogni e dei miti. Due famosi sociologi coniarono già alla fine degli anni quaranta il termine di “industrie culturali”, inserendovi anche il cinema e la TV ovviamente. Un film non è più soltanto creatività prima, e intrattenimento poi, ma è il fine per il profitto e la notorietà. L’attore Maurizio Micheli ha detto4 che oggi “(...) la professione dell’attore è vista non come sacrificio per riuscire a ottenere dei risultati, ma come un mezzo per fare carriera il più in fretta possibile”; e che “ci sono una mancanza di umiltà e una presunzione di base molto forti”. L’attore italiano Toni Servillo5 ritiene che ci sia “un principio di vanità” che “danneggia il teatro stesso”, figuriamoci il cinema. L’attore, ha detto il francese Fabrice Luchini6, “è un essere pieno di difetti, un vanitoso, un instabile, uno animato da altri. Fare l’attore è un sintomo di isteria”. Che in parecchi casi siano personalità di sicuro interesse per la psichiatria? Non si spiegherebbe altrimenti perché oggi schiere di illusi continuino a inseguire il sogno. Paradossalmente la recitazione (parte del contenuto) è sempre meno nitida e prioritaria dell’alta definizione della tecnologia (parte del mezzo).

Sempre meglio che lavorare Si dice anche che recitare sarebbe il mestiere più bello del mondo, perché non sarebbe come... lavorare. Ma non c’è qualcosa di svilente nei mille provini, ennesima forma di competizione umana? La macchina gira e rigira su se stessa gonfiandosi a dismisura, ma dei veri contenuti, cioè le storie, i film, che si dice? La macchina sembra girare al rovescio tanto che gli unici ad avere un talento, competenza e professionalità, cioè registi, sceneggiatori e tecnici (luci, suono, scenografia, musica ecc.), sono spesso all’ombra dell’attore o dell’attrice di turno. Quante volte ricorrono al lavoro di altri tramite cascatori o controfigure, annullando persino il corpo che è invece la materia prima della loro ambizione? Entrano in scena per al massimo alcuni secondi o minuti, a dimostrare di saper fare qualcosa, aiutati infine dalle magie del montaggio. Fa bene dunque Servillo a dire che il regista “ti usa e poi ti lavora (…) quindi comunque abusa” dell’attore, come si fa con una marionetta, con uno schiavo. Pensare che negli anni venti del novecento il critico e letterato italiano Ricciotto Canudo (...)

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Agorà 6 L’attore italiano Toni Servillo in un fotogramma tratto dal film Una vita tranquilla di Claudio Cupellini del 2010 (da wordpress.com)

creò l’espressione “settima arte” pensando al cinema, un condensato delle altre arti. È curioso notare che Canudo esaltò il cinema proprio quando uscì nelle sale Il monello di Charlie Chaplin, che disse:7 “i bambini e i cani sono i migliori attori del cinema”.

Scemenze a peso d’oro A Marlon Brando, universalmente ritenuto uno dei più grandi attori di sempre, è attribuita questa frase: “in nessun’altra attività si guadagna così tanto facendo scemenze”.

E proprio Brando avrebbe ampiamente contribuito all’indecoroso avvento degli attori strapagati. Nel 1978 per sole due settimane di lavorazione e pochi minuti allo schermo, per il film Superman incassò la bellezza di 3,7 milioni di dollari (!). Brando, afferma il critico Alberto Crespi, “si «abbassò» al cinema perché al cinema gli dei sono molto più pagati e raggiungono un numero infinitamente maggiore di fedeli”8. C’erano per fortuna anche registi come Pasolini, che affermava di non scegliere mai un attore per la sua “bravura” ma solo perché... è un attore! Se il tanto osannato Neorealismo italiano degli anni cinquanta e sessanta ha spesso utilizzato attori non professionisti per parti secondarie ma anche primarie, come si giustifica il cinquantennio del cosiddetto star system? Ancora Guiducci spara a zero contro gli stessi attori di oggi, “miti troppo spesso fiacchi e superficiali”, e contro i cronisti di cinema, vittime di “un’incapacità di costruirsi

positivamente una vita personale su modelli meno tristemente conformistici, ben più dignitosi”9. Già, l’etica e la morale, in tutto questo che c’entrano? Niente, sembrerebbe. Il celebre Tom Cruise ha dichiarato: “non ho mai fatto film per soldi.

Se le tue scelte si basano sui guadagni e il film non va bene, cosa significa? Resti senza niente”10. E vorremmo credergli?

Quale merito?

L’ego dell’attore gli impedisce di rendersi conto che in realtà è perfettamente interscambiabile con un altro. Inoltre sono trasalito quando ho letto che un famoso attore ha percepito 75 milioni di dollari in un anno (!), vale a dire sei milioni di dollari al mese se lavorasse ogni giorno! Ma per quale merito? Si sarebbe speso circa lo stesso per lottare per due anni contro la deforestazione amazzonica, oppure per ridurre la devastazione delle coste della Guyana, o ancora è la fattura che sarebbe costata agli Stati Uniti per due anni di lotta l’AIDS in Etiopia. Anche il piccolo schermo non scherza. Il protagonista de “Il commissario Montalbano” Luca Zingaretti percepirebbe 450mila euro a puntata11.

Se poi consideriamo che, oltre a essere milionari e famosi, moltissimi attori hanno anche il brutto vezzo di, quanto meno, apparire superficiali in modo imbarazzante... La lista di esempi è lunga. Cito l’attrice americana Christina Applegate. Una geniale giornalista, per l’ennesimo insulso film natalizio, le chiese: “sei una persona da vacanza? Ami

le vacanze?”. Risposta della Applegate: “amo il Natale, davvero, lo amo. Amo stare con la famiglia e amo la neve. Amo la musica e le luci e tutto il resto”12. Ognuno faccia le proprie valutazioni, ma cos’altro attendersi da una donna ricca che in vita sua non ha conosciuto altro che set televisivi e cinematografici grazie alla madre, guarda caso attrice pure lei?

Artisti del marketing Da alcuni decenni attori e attrici famose, spesso già decaduti o sulla via del tramonto, si prestano (loro o la loro immagine?) a cause umanitarie o ambientali. L’ONU li chiama “ambasciatori di buona volontà”. Vengono ritratti dalla stampa mondiale nei peggiori posti del mondo, in mezzo a guerre, carestie, malattie. Sincerità o pubblicità?

Lo fanno per redimere il loro fortunato status o per mettere in pace le nostre coscienze? Mi piacerebbe chiederglielo.

Mi domando che cosa è cambiato nella Repubblica Centrale Africana da quando Mia Farrow ci è stata per conto dell’UNICEF? E Angelina Jolie Pitt avrebbe mai scoperto il dramma dei rifugiati in Cambogia se non ci fosse stata per girare un film, come scrive l’UNHCR13?

Anche qui la lista di stelle che si scoprono tutto d’un tratto caritatevoli e sensibili alle ingiustizie è lunga. È vero che molti ricchi attori possiedono facoltose fondazioni o elargiscono importanti somme di denaro per scopi di prevenzione, ma non potrebbero limitarsi a questo già bel gesto?

I disgraziati e gli sfortunati del mondo hanno bisogno di acqua potabile, di cibo, di pace, di un tetto sopra la testa, oppure di vedere la bella faccia di un Ben Affleck o il bel sorriso di una Emma Watson?

Se il film fa flop Secondo il blogger Gabriel Snyder i costi milionari di un film quasi mai vengono recuperati al cinema e c’è ancora troppo mistero sulla provenienza dei soldi: pare che nessuno sia mai riuscito a mettere il naso nei libri contabili dei grandi studi cinematografici14... Non è un po’ strana questa opacità per un mondo così scintillante? Anche se il film al botteghino incassa un terzo di quanto è costato, la stella di turno non vede minimamente scalfita la sua fama, tanto meno il suo portafogli. Quanto detto da Cruise può essere vero quando si è dei perfetti sconosciuti, ma ciò vale per tutti noi. In realtà gli attori di fama godono di contratti blindati che li mettono al riparo da qualsiasi rivendicazione finanziaria da parte dei produttori. La giornalista di Forbes, Dorothy Pomerantz, scrive che celebrità come Eddy Murphy o Drew Barrymore sono tra le più pagate nonostante i giganteschi flop dei film in cui sono stati ingaggiati, costati trenta milioni di dollari ma con un incasso di malapena otto15. Com’è possibile? Snyder spiega che oltre al pagamento anticipato dell’attore, tutto dipende dagli accordi presi (se il film recupera i costi, cosa imprevedibile oltre che molto rara; se ci sono percentuali sui profitti, sul ricavo lordo ecc.).

Per fortuna la crisi finanziaria del 2008 ha cambiato un po’ le cose. La collega Kim Masters dice che “dopo anni di promesse non mantenute (...) gli studios finalmente (...) stanno martellando sui salari iniziali e anche sugli extra come i jet privati”16. Per Snyder “gli studios stanno cercando di porre un freno ai costi in anticipo, perché i soldi degli hedge fund che

avevano gonfiato i loro budget di produzione durante il boom sono scomparsi”. La prassi sarebbe ormai la seguente: chi rompe gli accordi, rifiuta un ruolo o il cachet proposto... avanti il prossimo!

Non solo spettatori I risvolti meno edificanti toccano anche la speculazione immobiliare nei quartieri e nelle città in cui risiedono le capricciose stelle del cinema; l’evasione fiscale; le concessioni per ottenere con sorprendente facilità questa o quell’altra cittadinanza; la distruzione dell’ambiente durante e a causa dei set cinematografici; la privatizzazione di terreni pubblici (come isole o interi atolli) ecc. Per fortuna nel 1981 il pubblicitario J. B. Wilson ha creato i “Razzie Awards” (la pernacchia d’oro). L’iniziativa dovrebbe godere di maggiore visibilità: ogni anno, il giorno prima degli Oscar, una giuria internazionale di addetti ai lavori nomina i peggiori attori, film, registi ecc. Anche qui la lista è lunga. Eppure la macchina delle illusioni non si ferma, a giudicare dalle agghiaccianti inchieste sui “bambini star” fabbricati a Hollywood, privati della loro infanzia da madri lobotomizzate dalla TV e da padri assetati di soldi17. Morti i vecchi attori di un tempo, snobbati quelli già troppo vecchi (specie le donne), avanza un esercito di ragazzini con la stessa faccia e lo stesso modo di recitare, interscambiabili come pedine. È chiaro che finché si faranno film – e non vedo come questo dovrebbe cambiare – ci saranno sempre nuovi attori, cioè al massimo quello che sono, mai bravi, mai pessimi, al limite credibili, veritieri, espressivi o no.

Gli attori serviranno sempre prima loro stessi, il loro ego, poi noi, gli altri, vendendoci sogni, quindi serviranno più il capitale che non l’arte e la cultura, più l’industria che molti ritengono ormai vicina al coma vegetativo, cioè lo stato artistico (salvo rarissime eccezioni) in cui si troverebbe il cinema almeno dagli anni ottanta. Intanto, e lo diceva già cinquant’anni fa il sociologo canadese Erving Goffman, sembriamo dimenticare (o non renderci conto) che siamo tutti in grado di calarci nei panni di un’altra persona e di suscitare delle emozioni negli altri. Gratuitamente. note 1 Si veda “Arte. Critica poco critica?” (Ticinosette n. 16/2014).

2 Da Il manuale del leccaculo (Fazi Editore, 2001).

3 Da Il mito dell’attore: come l’industria della star produce il sex symbol, a cura di G. Aristarco (Edizioni Dedalo, 1983).

4 La Regione (25.4.2013).

5 Il Sole 24 Ore (22.8.2008).

6 La Repubblica (10.12.2013).

7 Da La mia autobiografia (Milano, 1964).

8 L’Unità (2.7.2004).

9 Si veda anche la questione sportivi/giornalisti sportivi (Ticinosette n. 32/2012).

10 http://www.talktalk.co.uk/entertainment/film/interviews/tom_cruise.html 11 “Gli stipendi d’oro degli attori di fiction. Ecco le cifre” (www. lanostratv.it, 23.4.2012).

12 http://movies.about.com/od/survivingchristmas/a/survivca101404. html 13 http://www.unhcr.org/pages/49db77906.html 14 “How Movie Stars Get Paid”, da http://gawker.com (2.4.2009).

15 “Hollywood’s Biggest Flops”, Forbes online, 22.1.2010.

16 “Haggling with the stars”, thedailybeast.com (2.4.2009).

17 “The Hollywood complex”, di Dan Sturman e Dylan Nelson (Stati Uniti, 2011).

Agorà 7

Il “regista terribile” Vero e proprio caposcuola per moltissimi registi Sam Peckinpah, a cui il Festival del film Locarno dedica un’ampia retrospettiva, ha sviscerato la natura violenta e “animale” dell’uomo, senza ipocrisie e falsi pudori di Keri Gonzato

Sam Peckinpah è uno di quei rari uomini nati senza la

Arti 8

paura di esplorare il lato oscuro della realtà. Forse perché la vita lo ha fatto inciampare spesso, forse perché ne è morbosamente affascinato e, molto probabilmente per entrambi i motivi. Egli ci è entrato dentro per poi tornare indietro e raccontarla in dialoghi e immagini. Lungo il suo percorso di cineasta ha rivisitato la tradizione western con una profondità tutta sua, esplorando e sviscerando tematiche universali come la mascolinità, la violenza, la morale e l’onore. Non ha mai accettato di scendere a compromessi con la sua arte in nome del profitto e, con il suo approccio eccentrico e singolare, ha ridefinito radicalmente il modo in cui i film, e le storie che in esse si narrano, possono essere realizzati.

Espolare il momento “Viviamo le nostre vite tra le parole «azione» e «taglia». È il solo momento in cui siamo veramente vivi”, dice all’attrice Helen Shaver sul set del suo ultimo film Osterman weekend. Attraverso i suoi personaggi Peckinpah, senza che lo spettatore se ne accorga, parla della sua vita.

Un’esistenza avventurosa, spiazzante, conflittuale, sofferta, condotta sul filo del rasoio.

I suoi film, spesso e volentieri, vengono mutilati e snaturati a tradimento dai produttori. Alcol, droghe e un’intensità ossessiva nel vivere il lavoro sono stati forse il suo modo di reagire al fatto di essere puntualmente giudicato fuori luogo. Il suo carattere rude e eccessivo gli ha complicato la vita. Dedito all’alcol, litigava spesso con le case di produzione cinematografiche che regolarmente, a film concluso, non volevano più collaborare con lui. Paradossalmente, queste condizioni ostili unite alla sua natura indomita hanno fatto si che egli sviluppasse l’approccio radicale ed esplosivo che caratterizza i suoi film. Nonostante i sui modi abrasivi, nel suo lavoro con gli attori è geniale tanto da dar vita alle

migliori prestazioni nella carriera di molti di loro. Il suo linguaggio filmico è definito da un editing preciso (è uno dei primi registi ad appassionarsi tanto alle magie della post-produzione). La sua passione è esplorare il momento.

Gioca con il tempo, lo trasforma e lo plasma e così facendo crea sequenze uniche. È affascinato dalla possibilità di espandere e contrarre un singolo istante, come quello di un proiettile che perfora un corpo, e le emozioni che vi sono connesse. Le sue scene in slow motion, gli zoom, le

Sam Peckinpah a Losa Angeles nel 1964 (da amazonws.com)

desincronizzazioni e i piani ultra-corti che derivano da questa ricerca artistica stimolano i sensi dello spettatore in un modo inedito.

Tutto per tutto Anthony Burgess ha affermato che “la violenza genera violenza”. Un’equazione che spiega la propensione per le forze distruttive di Peckinpah. Nella sua vita è stato bistrattato, incompreso e questa violenza si riversa impetuosa nelle sue scene. “C’è una grande striscia di violenza in ogni essere umano. Se non viene incanalata e compresa, sfocerà in guerra o in follia” dichiarò lo stesso regista, e l’arte era il suo modo di incanalarla ed esprimerla, nella bellezza e nella brutalità.

Affronta il tema della morte senza filtri e con la sua opera mette in scena il potenziale distruttivo dell’uomo.

Con Ride the high country (Sfida nell’alta Sierra, 1961), il suo secondo film, inizia a mostrare di cosa è capace. Esplora l’area grigia in cui il buono e il cattivo si confondono nella stessa persona. Il mucchio selvaggio (1969), uno dei suoi film più importanti, esplode sugli schermi e nell’opinione pubblica esprimendo la violenza umana con una potenza mai vista prima. Uscendo dalla proiezione stampa Martin Scorsese affermò che Il mucchio selvaggio rappresentava per le generazioni degli anni settanta ciò che Citizen Kane era stato per tutto ciò che avvenne prima. Il film successivo, The Ballad of Cable Hogue (La ballata di Cable Hogue, 1970) spiazza tutti per essere una storia dolce e divertente. Ma questa non è che una breve pausa, una sorta di tuffo nell’acqua fresca nel mezzo di un deserto di stenti. Ben presto Peckinpah si rimette in cammino alla ricerca di emozioni forti. Le troviamo in Straw dogs (Cane di paglia, 1971) con Dustin Hoffman, un tuffo nei meandri più neri dell’animo umano. Un’altra opera controversa sulla quale si è detto di tutto, c’è chi lo disprezza accusando il regista di misoginia e chi si innamora ancora più profondamente del suo lavoro. Un paio di film più tardi Peckinpah torna a far parlare di sé con l’uscita di Bring me the head of Alfredo Garcìa (Voglio la testa di Garcia, 1974). Con questo racconto surreale, girato tra gli Stati Uniti e il Messico, continua la sua esplorazione dei temi della mascolinità e della morale. Il protagonista ha il compito di uccidere un uomo per un milione di dollari, scopre però che costui è già stato ucciso e da qui nasce un piano alquanto bizzarro: dovrà trovarlo, disseppellirlo, tagliargli la testa e portarla sino in Messico... Il film è un viaggio esilarante verso gli inferi. Si muove lungo una strada fatta di immagini polverose, alcoliche, traballanti, allucinate e sporche. Ai critici di allora non piacque, era troppo grezzo e sudicio per risultare accettabile.

Oggi, beh, è tutta un’altra storia.

Nell’abisso Nessuno dei suoi personaggi principali muore di vecchiaia e così, fedele ai suoi racconti fino all’ultimo, anche lui a 59 anni se ne va con un attacco di cuore. Un mese dopo la sua scomparsa, a un incontro commemorativo l’attore James Coburn, che recitò per lui in La croce di ferro (1977), ricorda Bloody Sam come un uomo “che mi spinse nell’abisso e poi si tuffò dopo di me. Mi portò a vivere delle grandiose avventure”.

Peckinpah, nel bene e nel male, ha vissuto la sua vita al massimo. Una vita da cui sono sgorgate 14 pellicole che hanno marchiato a fuoco la storia del cinema.

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Racconti visivi

La produzione cinematografica in Ticino ha sempre manifestato una forte attrazione per l’ambito documentaristico. Una vera e propria vocazione di cui parliamo con alcuni protagonisti della scena cantonale

di Roberto Roveda

Media 10

In Ticino il cinema è una passione. Anzi “fare cinema” è una passione. Lo dimostrano le tante case di produzione indipendenti presenti sul territorio ticinese e i tanti cineasti nostrani che si cimentano dietro la macchina da presa. Questa attenzione alla produzione cinematografica è sicuramente connessa al grande traino costituito da un evento di livello globale come il Festival del film, manifestazione che ogni anno dedica alcuni suoi eventi al cinema di casa. Quest’anno, per esempio, a Locarno è prevista una giornata dedicata alle realtà formative in ambito cinematografico e audiovisivo presenti nel canton Ticino, con una panoramica sui lavori più recenti prodotti da CISA (Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive), SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana) e Accademia di architettura dell’USI (Università della Svizzera Italiana)1.

Le ragioni di un legame antico Una peculiarità della produzione locale è la predilezione per una particolare forma di cinema: il documentario. Non certo a caso si parla da tanti anni della documentaristica come fiore all’occhiello della produzione cinematografica e televisiva ticinese e che deve chiaramente il suo sviluppo a ragioni molto pratiche, dato che fare cinema di fiction – soprattutto quando si parla di grandi produzioni – è praticamente impossibile in una realtà piccola come il nostro cantone. Il documentario, viceversa, consente grande libertà espressiva anche con pochi mezzi.

Così, il documentario è stato e continua a essere la via prescelta da professionisti del giornalismo e cineasti nostrani per raccontare il cantone e i suoi mutamenti sociali e culturali. Un racconto all’inizio quasi contemplativo nella sua attenzione nel mostrare scenari e paesaggi e che poi ha saputo evolversi interessandosi maggiormente alle persone e alle storie; ma anche un racconto che da unicamente locale che era negli anni sessanta del novecento ha saputo poi allargarsi a mondi lontani, con i tanti documentari che hanno raccontato la realtà internazionale, l’arte, la scienza, l’emigrazione ticinese e grigionese nel mondo.

In questo senso un grande ruolo lo ha svolto la televisione di lingua italiana, fornendo a intere generazioni di documentaristi i mezzi e le opportunità per realizzare le loro opere. Come ci conferma Michael Beltrami, autore di documentari e futuro produttore della fortunata trasmissione domenicale della RSI “Storie”: “Per tutti quelli che si

avvicinano alla professione di regista, ma soprattutto per coloro che vogliono lavorare nella continuità, realizzare documentari è il modo più diretto per esprimersi in un contesto del “cinema del reale”, dove documentario o finzione non sono necessariamente due generi in contrapposizione ma due modi per poter raccontare delle storie, il primo con maggiore spontaneità anche in relazione ai mezzi di cui possiamo realisticamente disporre.

Nella Svizzera italiana ci sono almeno tre generazioni di cineasti e siamo in tanti con la voglia di fare. La RSI ha sempre rappresentato un partner naturale per chi lavora in questo ambito, in primo luogo perché ancora oggi è tra le poche emittenti televisive europee che propongono documentari di narrazione in prima e seconda serata, e quindi c’è richiesta di queste produzioni.

Sostenendo non solo la realizzazione interna ma anche quella indipendente, sia regionale sia nazionale: attraverso il Pacte de l’Audiovisuel, la RSI nel tempo ha contribuito sostanzialmente, e contribuisce tuttora, alla realizzazione di un elevato numero di film di questo genere”.

Grazie anche a queste condizioni favorevoli, il Ticino è stata la palestra e il palcoscenico per nomi che hanno fatto la storia della documentaristica non solo svizzero-italiana

Fotogramma tratto da Destinazione Svizzera (2015), documentario in 5 episodi prodotto dalla RTS. Tra i registi coinvolti il ticinese Vito Robbiani

come, per citarne alcuni, Werner Weick, Bruno Soldini, Leandro Manfrini, Villi Hermann. Maestri a cui si sono aggiunte e continuano ad aggiungersi nuove generazioni di autori a testimoniare come il settore seguiti a essere vitale e ad attrarre.

Il desiderio di raccontare, in libertà Rimane, infatti, intatta, nonostante i mutamenti dei gusti e delle tecniche, una sorta di vocazione al racconto in Ticino che va al di là delle solo opportunità pratiche. Come ci conferma, per esempio Vito Robbiani, documentarista e insegnante di tecniche audiovideo applicate al web presso la SUPSI2: “C’è sempre tanta voglia da parte degli autori ticinesi di cimentarsi nel racconto. Credo che ci sia rimasto dentro il desiderio di fare storia e di raccontare, e il documentario è per noi una delle vie privilegiate per esprimerci. Personalmente ho cominciato come giornalista poi ho preso a fare il cameraman, il montaggio… e quando fai la «camera» per altri, a un certo punto hai voglia di girare le tue storie e quindi ho iniziato a filmare le cose che interessavano a me. Così ho incominciato a fare documentari”.

Ecco, il documentario non come scelta di ripiego rispetto al cinema di finzione ma come momento espressivo alternativo, come grande opportunità. Fulvio Mariani3 gira documentari da oltre trent’anni, dedicandosi principalmente alle grandi imprese alpinistiche e non ha dubbi in questo senso: “Innanzitutto a me piace il documentario, piace realizzare documentari, il lavoro con poche persone. Fare fiction in pochi è impossibile, mentre nel documentario sento di muovermi liberamente, con poche aiuti, con mezzi leggeri.

Mi sento molto più libero a lavorare a una storia documentaristica anziché a una fiction. Ho lavorato come direttore alla fotografia in qualche fiction e mi sono anche divertito, però non ritrovo quelle passioni e quegli stimoli, che riesco a ricavare da un documentario e anche dall’improvvisazione”. Perché con il documentario l’autore scopre la possibilità di sorprendersi,

di lasciarsi anche guidare dagli eventi, dagli incontri e dalle situazioni, come ci conferma Michael Beltrami: “Il documentario ha indubbiamente un maggiore margine di sorpresa nella sua realizzazione. Il documentario è l’arte del lasciarsi sorprendere dagli eventi, dalla realtà che si modifica mentre si realizza il film, al contrario la finzione richiede, anche per una questione economica, maggior controllo e una pianificazione e un’esecuzione più rigide. A volte questo è fatale alla spontaneità del racconto che anche in una finzione potrebbe spesso essere più «realistica» e di conseguenza più «credibile»”.

Il futuro del documentario “alla ticinese” Molti autori, una produzione ancora ricca, grazie anche all’impegno della RSI, una lunga e consolidata tradizione alle spalle. Eppure la documentaristica ticinese fatica a fare il grande salto, fatica troppe volte a uscire dai confini angusti del cantone: “A mio parere c’è un po’ il problema di non aver creato una scuola documentaristica in Ticino” ci racconta Vito Robbiani “Mi spiego: ogni autore ha scelto e sceglie la propria strada, non c’è una «scuola», con peculiarità immediatamente riconoscibili, che ci unisca. Come per la Svizzera l’unione nella diversità ci darebbe forza. È anche vero che la presenza di due istituzioni che si occupano di audiovisivo, la CISA e la SUPSI, oggi sta contribuendo a creare un cuore più identitario nel modo di fare documentaristica in Ticino”.

Un cuore identitario che però deve diventare il punto di partenza per trovare forse nuove chiavi per raccontare la realtà ci dice Fulvio Mariani: “In Ticino il documentario deve andare fuori del Ticino. Perché il nostro è un territorio piccolo e lo abbiamo visto e rivisto, visitato dall’alto al basso. E quindi il documentario deve uscire dai luoghi comuni. Il documentario deve svilupparsi per conto suo e ogni regista dovrebbe avere il coraggio di raccontare storie che non sono necessariamente legate al territorio. Dobbiamo avere il coraggio di uscire e di fare cosi fuori del nostro territorio”.

Allargare gli orizzonti e non solo in termini fisici aggiunge Vito Robbiani: “Forse dobbiamo riuscire a creare delle storie anche limitate al piccolo, forse raccontate sul nostro territorio, ma declinate con una chiave universale che ci permetta di uscire dai nostri confini. Abbiamo le possibilità di fare, abbiamo una storia, ma siamo un po’ incastrati dentro il nostro territorio: i nostri prodotti faticano a sconfinare e questo è un nostro limite da superare in futuro”.

Senza però dimenticare alcune regole di base, che sono andate benissimo in passato e funzioneranno certo anche negli anni a venire. La conclusione è di Michael Beltrami: “Fin da quando i primi documentari erano quelli esclusivamente verbali del racconto a voce, le caratteristiche che decretano la qualità di una storia sono: un buon inizio, una o più parti in contrapposizione, uno sviluppo e una conclusione, più tanti altri possibili elementi drammaturgici che non staremo ad elencare.

Questo al di là di ogni possibile innovazione puramente formale o delle caratteristiche più o meno rivoluzionarie degli spazi di fruizione che potremo avere in futuro”.

note 1 Il programma completo su pardolive.ch 2 Informazione sulle produzioni di Vito Robbiani su mediatree.com 3 Informazioni sulle produzioni di Fulvio Mariani su icebergfilm.ch

Media 11

N

el giro di una settimana sono passata dall’essere una liceale come tutte le altre a un “caso” mediatico. Tutto è partito a inizio anno, da una lezione di opzione complementare visiva durante la quale la docente ha proposto a ognuno di noi di creare un video per partecipare al concorso istituito da Expo 2015.

Ho sempre giocato con la videocamera, soprattutto per immortalare momenti speciali legati alle attività che amo di più. Sono attratta dallo sport e ho il pallino per le discipline fuori dal comune. In particolare, mi dedico al monociclo. Un’attività ludica e divertente tanto quanto tecnica e impegnativa e, per fortuna, totalmente slegata dalle logiche della competizione. Da otto anni mi diverto a fare acrobazie con questa strana bici che ha una sola ruota.

Assieme al mio gruppo di amiche, Alissa, Clara e mia sorella Michela, abbiamo anche creato il movimento MOMÒciclo (momociclo. altervista.org) che allude al Mendrisiotto dove abitiamo.

Siamo sempre in giro, in Ticino, in Svizzera, nei paesi limitrofi e alcune di noi sono persino state ai Mondiali in Canada. Quello che cerchiamo sono emozioni nuove ed eventi legati a questa pratica. Se andiamo alle gare non è per vincere ma per la buona onda che vi troviamo. Il che non esclude che poi spesso si ottengano dei buoni risultati.

Ai Mondiali di Bressanone, per esempio, ho ottenuto un secondo e un terzo posto. Da queste scorribande, in modo del tutto spontaneo, sono nati anche molti dei miei filmati.

Oltre al monociclo mi diverto al tiro con l’arco, lo jonglage e lo slackline, pratica di equilibrismo in cui si cammina su una striscia di tessuto tecnico tesa tra due estremità.

Quando ci è stato proposto di creare il video per l’Expo, per me è stato quindi naturale pensare di immortalare queste passioni. Il fil rouge è rappresentato da una mela rossa e dal detto popolare “Una mela al giorno toglie il medico di torno” che poi si è trasformato in “Chi mangia una mela al giorno color rosso farà sport a più non posso”. La Mela che dà il titolo all’opera ed è un simbolo dell’alimentazione sana, ha fatto rientrare il video nella categoria del concorso “Short food movie” (shortfoodmovie.org). Ho iniziato prendendo qualche appunto e disegnando le tappe della

storia che avrei voluto raccontare. Ho acquistato le mele, chiamato a rapporto i miei amici armati di arco, frecce e monocicli e ho iniziato le riprese. Come è mio solito, ho fatto il compito in modo del tutto spontaneo e senza pormi troppe domande sull’esito. Oltretutto, il periodo di preparazione del video è coinciso con le porte aperte delle varie università e non ho avuto molto tempo a disposizione. Nei fine settimana ero all’ECAL di Losanna, all’Accademia di Brera a Milano e a Locarno al DFA. In pratica, ho dovuto filmare tutto in una sola giornata. Ci siamo trovati ad Arogno e, a causa di un’improvvisa nevicata, ci siamo dovuti adattare: potrete immaginare che praticare il monociclo su una strada innevata non è la cosa più scontata! È stato tutto molto casuale.

Detto questo, mai avrei pensato all’esito sorprendente di quello che per me era stato un semplice compito scolastico. Considerando poi che il concorso era aperto a tutti, inclusi i cineasti affermati con il doppio se non il triplo dei miei anni, proprio non avevo considerato che la giuria guidata dal regista Ferzan Özpetek, avrebbe scelto proprio il mio. Invece, come un fulmine a cielo sereno, il mio video spontaneo è stato scelto, assieme a pochi altri, per essere proiettato su un muro digitale di 600 metri quadrati all’ingresso dell’esposizione universale di Milano 2015. Alla giuria è piaciuta la freschezza e la semplicità dell’idea che trasmette un messaggio positivo per la salute in modo allegro. Tanti miei compagni vivono la tecnologia come una dipendenza. Io, grazie ai miei genitori, sono stata abituata a usarla a piccole dosi. Questo mi ha sempre spinta a cercare stimoli fuori dalla porta di casa. Sono cresciuta utilizzando un vecchio computer senza l’accesso a internet, ho creato il mio account Facebook solo due anni fa e giro con un telefonino che tanti coetanei definirebbero preistorico. Cosa mi aspetta nel futuro? Non lo so. Per ora so che mi sono iscritta al DFA perché da sempre amo occuparmi dei bambini e, per il resto, mi lascio sorprendere dalla vita.

Altrimenti che gusto c’è?

FEDERICA TANTARDINI

Vitae 12

Amante delle discipline sportive acrobatiche, ha trasformato la sua passione in una ricerca espressiva grazie all’uso creativo delle piccole telecamere. E i risultati non si sono fatti attendere...

testimonianza raccolta da Keri Gonzato fotografia ©Sabine Biedermann

LOCARNO

Out of this world

O

ra posso volare. Non è difficile, viene spontaneo nella mia condizione. Basta concentrarsi su un luogo, su un momento, un puntino nel tempo e nello spazio, e mi ritrovo lì, a folleggiare nell’aria come una rondine. Ho dovuto attendere moltissimo. Perché la vita non per tutti scorre in un attimo. Nel mio caso, per esempio, è stata di una lunghezza rara. Ho goduto la fama, sono stato un uomo invidiato e apprezzato nel lavoro come negli affetti, ho avuto due splendidi figli, una moglie bella e intelligente e un amico meraviglioso. Lui è stato un grande attore, ma aveva qualcosa di devastante dentro di sé, una sorta di struggimento che lo ha consumato, corroso fino a ucciderlo. Gliela leggevi sulla faccia quella sofferenza, maschera e condanna.

testo di Fabio Martini liberamente ispirato alla vita di Kevin McCarthy fotografie ©Reza Khatir

Ora posso volare e sono tornato, dopo molti anni. Come capita, non riesco a indicare un motivo preciso, una ragione al mio girovagare. Ho pensato Locarno e un attimo dopo volteggiavo fra queste strade di cui conservavo solo un ricordo velato e che ora mi paiono nuove e sconosciute. Le città mutano, si trasformano, il nuovo subentra al vecchio e ti ritrovi di colpo in uno spazio ignoto pur sapendo che un tempo i tuoi passi calpestavano quelle piazze e quelle vie, i tuoi sensi coglievano quegli odori, quei rumori e quelle

voci, le tue mani stringevano centinaia e centinaia di altre mani di perfetti sconosciuti.

Riesco quasi a sentire il tepore che sale dai tetti su cui mi sto librando, ancora carichi di sole. Ciò nonostante mi è impossibile ricordare esattamente cosa significhi esistere, ti puoi scervellare quanto vuoi ma il modo in cui le cose accadono, tutta quella cascata di emozioni che a ogni istante ti attraversa ti è negata per sempre. Tutto muta, non c’è una direzione, non un obiettivo. Si volteggia in un eterno

Kevin McCarthy (1914–2010) è stato un famoso attore americano, conosciuto dal grande pubblico per il suo ruolo di protagonista nel film di Don Siegel “L’invasione degli ultracorpi” (1956) e per essere stato uno dei fondatori dell’Actors Studio.

La sua capacità di interpretare ruoli diversi, ma sempre con uno stile e un carattere distintivo, gli ha consentito di lavorare in molti contesti, dalle serie televisive al cinema. Ospite d’onore nel corso della 51esima edizione del Festival del film di Locarno nel 1998, in quell’occasione venne fotografato da Reza Khatir che realizzò una serie di suggestivi ritratti (vedi sopra) ispirati al celebre film di Siegel.

a fianco Capolinea dei bus del Festival in apertura Piazza Muraccio

presente, relegati in un silenzio assoluto, greve e immutabile. Certo, scorgo quello che mi sta intorno, l’autobus fermo in attesa dell’ultimo passeggero, gli ombrelloni chiusi ma pronti a proteggere i turisti dalla calura, le case che si affacciano sulla grande piazza e che fanno da scenario alla festa del cinema. Ma non mi è possibile udire nulla.

Gli altri come me, i morti intendo, non li incontro mai. Si è soli su un pianeta abitato da vivi di cui puoi cogliere il movimento, le quotidiane e ripetitive azioni, le gioie come

le pene. Il film muto della realtà. Mimi, non ultracorpi, verrebbe da dire.

Mi era piaciuta Locarno. Era l’estate del 1998 e la luce era magnifica, un gran senso di quiete. Le persone erano gentili con me e curiose di conoscere qualcosa della mia vita, cosa pensavo del mio ultimo film, quali i miei interessi, le mie idee politiche. Una giornalista, graziosa e dai modi affettati, mi aveva intervistato a lungo, aveva chiesto di (...)

Via Francesco Chiesa

Morettina

La via del tappeto rosso

Via Marcacci

Piazza Grande

Cinema Kursaal

mia sorella Mary, la scrittrice, e anche di Monty, della nostra amicizia. Ero già piuttosto anziano a quel tempo, ma ricordavo ogni cosa e avevo una gran forza che mi consentiva ancora di lavorare. Stare sul set mi era sempre piaciuto, incontrare persone nuove ogni giorno, tutta gente giovane che ti tiene in vita, ti infonde energia. Ora non resta che questo schermo enorme sul quale viene proiettato un film di cui conosco a fondo la storia, che è poi sempre la stessa, eterna vicenda. Perché quando siamo vivi aspiriamo incessantemente alla ricerca di un’altra vita, di un altro tempo, ignari del fatto che in quel momento stiamo godendo della sola eternità. E, qui, ve lo assicuro, non c’è nulla che valga la pena vivere. Soltanto silenzio e un’infinita solitudine.

Resterò qui fino all’alba, vagherò per le viuzze, entrerò nelle case e negli uffici a spiare la gente, mi infilerò nel Grand Hotel, che pare ormai chiuso, alla ricerca della stanza in cui un pomeriggio ebbi modo di fare una lunga chiacchierata con un giovane attore tedesco, Adam, mi sembra si chiamasse. Era pieno di entusiasmo per il suo lavoro e mi auguro gli sia andata bene. Scivolerò sul lago all’alba sfidando in volo i gabbiani per poi tornare la sera a osservare dall’alto, come un angelo, al di sopra delle centinaia e centinaia di teste, le immagini mute che scorreranno sul grande schermo. Una meravigliosa, straordinaria illusione. Volti e corpi, paesaggi e mondi immaginati, dolori e piaceri, forme di un’umanità alla continua ricerca di una spiegazione. Che non esiste, che non può essere narrata.

Marco Solari.

Il giardino segreto di Keri Gonzato; fotografie ©Reza Khatir

continua, “li leggi a 16 anni e poi a 20, li riprendi in mano a 30, a 40 anni, a 70, e ogni volta trovi di fronte a te dei testi nuovi: li vivi e percepisci in modo totalmente diverso a seconda di chi sei in quel momento”. L’opera che più lo affascina per la sua completa perfezione è la Divina Commedia di Dante che, a ogni lettura, svela un segreto in più. Noi mutiamo e la letteratura con noi… “C’è poi un piccolo testo in Proust che avrò letto venti volte, percependolo ogni volta come completamente diverso, si tratta della scena di due antichi e illustri amanti che si incontrano all’Hotel Danieli di Venezia: un capolavoro”.

Ritratti 42

Marco Solari, da sempre, è giardiniere attento al suo rifugio nel quale si ritira dalla vita mondana che contraddistingue la sua figura pubblica. In questo luogo si rivela come pochi lo conoscono, una persona riservata e amante della tranquillità. La letteratura ha sempre fatto parte della sua famiglia, i nonni e il bisnonno amavano i grandi filosofi. Sul tavolino di fronte a noi riposa pacifico “L’Immortale”, l’inizio dell’Aleph di Borges. “Non sono un bibliofilo, il mio interesse non è mai stato quello di collezionare volumi preziosi, tanto è vero che molti miei libri, nelle varie letterature, sono delle semplici edizioni tascabili”, racconta all’ombra di una grande pianta, “la mia curiosità (...) è sempre stata catturata dal contenuto”. Infiniti arabeschi di parole, capaci di contenere interi universi, che ama leggere in lingua originale, un privilegio che gli è dato dalle sue origini. È infatti cresciuto tra Berna, il Ticino e la cultura francese, e ciò gli consente di padroneggiare le tre rispettive lingue, oltre ad avere buone conoscenze dello spagnolo e dell’inglese, “anche se modeste” asserisce. “Borges, Cervantes, Shakespeare li leggo, quando posso, in originale”, mi dice, “spesso però scelgo un testo accompagnato dalla traduzione mentre un mio desiderio rimasto irrealizzato è quello di leggere Tolstoj e Dostoevskij in russo per cogliere fino in fondo la forza viscerale di quella terra”.

Uno sconfinato viaggio “La letteratura è un universo sconfinato, a cui ci si deve avvicinare senza la brama di riuscire a esaurire il viaggio”, aggiunge. “Una volta, spinto dalla curiosità, chiesi a Giovanni Orelli e a Werner Weber, l’allora capo del settore cultura della NZZ, di indicarmi i loro libri di riferimento” ricorda. “Ogni singola opera che mi hanno indicato racchiude un mondo sconfinato ed esigerebbe più di una vita per essere sondato appieno”. Rievoca il giorno in cui un amico estremamente colto si fermò davanti alla biblioteca di suo bisnonno e disse: “toute une vie et ne rien avoir lu”. “E poi c’è quell’effetto di amnesia che si riproduce con Proust, Dante, Shakespeare, Goethe e altri mostri sacri”,

Quando cade il Sole Da giovane la sua vivace curiosità lo ha portato in giro per il mondo. “Volevo scoprire terre nuove, incontrare persone che sapessero mostrarmi la loro realtà”, mi dice con gli occhi che scorrono lungo i ricordi, “e ho avuto molta fortuna”. Dai vent’anni in poi, nel periodo dedicato al corso di studi in Scienze sociali a Ginevra, parte regolarmente in viaggio come guida per delle mete grandiose. “Sono profondamente grato di aver visto il mondo prima che mutasse radicalmente”.

Da Macao, ai bordi della Cina ha visto l’odio nello sguardo delle guardie rosse, nella Katmandu che ha visitato si sentivano migliaia di campanelle e nell’aria si respirava una spiritualità profonda; ha visitato la Cambogia e la cultura Khmer prima del massacro delle squadre rosse che si sono portate via tutti i suoi amici cambogiani. “Giungendo dalla società del motore e del rumore, di luoghi come il Nepal e Rangun mi colpiva il silenzio”, dice, “ad Angkor, camminando da solo verso il piccolo tempio in pietra rossa di Banteay Srei, alle 17.15 in punto aspettavo il quarto d’ora di rame, quando la giungla tace nel momento in cui il sole si abbassa, «cade», ricoprendo il mondo dei suoi bagliori ramati per poi sprofondare e, nel buio totale che accende la notte, migliaia di animali esplodono”.

I paradisi della memoria Nonostante la sua natura intima e riservata, Marco Solari ha avuto una vita movimentata e intensa, che lo ha portato a 26 anni, quando divenne il direttore dell’Ufficio del Turismo del cantone più giovane, a vivere prima a Rio de Janeiro, poi a Bangkok e in seguito in Spagna. Mi confessa che considera i ricordi che porta con sé come una profonda ricchezza interiore che condivide con sua moglie Michela, una persona incantevole. “Oggi, dal mio giardino segreto, quando penso a queste esperienze incredibili, realizzo che mi farebbe paura tornarci e riaccendere i sentimenti della giovinezza e dell’incanto perduti, preferisco viaggiare e «sperare» attraverso i libri”, dice pensieroso. “I paradisi della memoria, come l’amore di una bella donna ormai lontana, sono luoghi irraggiungibili, però li hai vissuti e per questo devi essere grato, oggi provo una grande riconoscenza per tutto quello che la vita ha saputo darmi”.

La fabbrica dei sogni Assistere a una proiezione cinematografica significa farsi catturare da suoni, immagini e pensieri tanto avvolgenti da garantirci esperienze irripetibili. Una situazione totalizzante che cattura noi ma anche i nostri vicini di Mariella Dal Farra

Società 44

Fra tutti i dispositivi atti a catalizzare la facoltà immagina- estrazione economica, genere, orientamento, provenienza tiva – parliamo della musica, della letteratura, del teatro, vengono stemperate dalla condivisione dell’esperienza, che delle arti figurative ecc. – il cinema è quello di marca più è “volontaria, fluida, giocosa e, [soprattutto] transitoria”2. Per francamente allucinatoria. Immersi nel buio della sala alcuni giorni (come nel caso di un evento come quello di cinematografica, o nella penombra del nostro soggiorno Locarno) diventa così possibile sperimentare “le vite degli adeguatamente predisposto, noi abbandoniamo il nostro altri”3 tanto in senso diacronico – proiettandoci in quegli corpo sul divano (o nella poltroncina), lasciando che la “altri” che sono a loro volta delle proiezioni – quanto in nostra attenzione si diparsenso sincronico, nella conta – e quindi, in una certa temporaneità/contingenza misura, che si “distacchi” dell’essere spettatori insieda noi, rendendoci relatime ad “altri” in carne e ossa. vamente meno presenti a noi stessi – per raggiungere Una vita, mille vite un’altra dimensione: quella Quando è la città a farsi cidel racconto che si svolge nema, ecco che questo molsullo schermo. Un racconto tiplicatore dell’esperienza (il che è prima di tutto visivo (e festival) si rivela in tutto il poi sonoro): la “proiezione” suo “spettacolare” potenziadi immagini bidimensionali le. Ne deriva, nel migliore capaci di produrre un effidei casi, un arricchimento di cace effetto di realtà, tale auto/etero-consapevolezza, da indurre lo spettatore a un ampliamento del venreagire empaticamente (con taglio delle possibili “solutrepidazione, gioia, nostalzioni” esistenziali presenti Un fotogramma tratto dal film The Ring (2002) di Gore Verbinski gia ecc.) agli accadimenti nel mondo, poiché l’esporappresentati. sizione e il confronto, diretto o “traslato”, con l’alterità ci restituisce a noi stessi (e al mondo) con occhi nuovi. E se il Sogno o son desto? rischio è quello di andare in “overflow” – e cioè in sovracParafrasando Robert Desoille, il cinema è davvero un carico di dati –, ci sarà sempre tempo, una volta tornati a “sogno guidato da svegli”: un’esperienza transferale che, casa, per elaborare quanto di nuovo abbiamo visto, sentito, come in un gioco di specchi, ci rimanda a noi stessi, ma e forse anche imparato. per interposta persona (o personaggio). E quando ciò avviene in un contesto condiviso, al cinema, insieme a persone che magari non conosciamo ma che per un’ora o invito alla lettura Per un approfondimento del tema, e per gli amanti del cinema in due partecipano, ciascuno a proprio modo, al nostro stesso generale, segnaliamo il ben noto Stati di cinema. Festival ossessione “viaggio”, ecco che la catarsi acquista le caratteristiche di di Enrico Ghezzi (Bompiani, 2002). un rito. Non stupisce, dunque, che tali meccanismi risultino ulteriormente amplificati se il rito diventa collettivo note assumendo, per esempio, le proporzioni di un festival in 1 K. McRae, S.M. Heller, O.P. John, J. J. Gross, “Context-Depencui il moltiplicarsi degli eventi, e degli spettatori, dà vita a dent Emotion Regulation: Suppression and Reappraisal at the un temporaneo microcosmo culturale1 e quindi, aggiunBurning Man Festival”, Basic and applied social psychology, 33: pp. 346–350, 2011. geremmo, psico-sociale.

2 L’interesse sotteso alla frequentazione di un evento stra- 3 Art. cit.

Le vite degli altri (Das Leben der Anderen) è un film del 2006 ordinario come un festival del cinema è infatti suscettibile scritto e diretto da Florian Henckel von Donnersmarck, vindi far scivolare in secondo piano variabili che nel quoticitore del Premio Oscar come migliore film straniero, nonché diano possiedono ben altra pregnanza: le differenze di età, del Prix du Public al Festival di Locarno nel 2006.

DENTRO L’EMOZIONE

Tendenze p. 45 | di Ker i Gonzato

S

urf, mountain bike, snowboard, kayak, kite. Le videocamere d’azione sono nate per stare in movimento: la loro missione è catturare le emozioni, la bellezza e l’intensità degli sport all’aria aperta. L’impatto delle riprese è spettacolare e le immagini possono offrire esperienze coinvolgenti: generalmente, infatti, queste macchine sono dotate di un obiettivo grandangolare, simile al “fisheye” che, se montato su una tavola da snowboard, ti permette di vedere tutto: la tavola, l’atleta e le montagne.

Il fatto di poter riprendere un’azione in modo così ravvicinato – con la particolarità di lasciare le mani libere alla persona che compie l’azione – ha davvero rivoluzionato e ampliato le possibilità di riprendere determinate discipline.

A livello tecnico si tratta di videocamere performanti e incredibilmente resistenti, all’acqua come agli shock e dunque sono le compagne di avventura ideali per chi ama le attività sportive più o meno estreme. “Le ho scoperte, come tutti, grazie ai siti specializzati e agli atleti che per primi le hanno usate per documentare le proprie azioni”, spiega Guido Toscanelli che nel tempo libero si dedica a 360° alla pratica di sport d’azione; “mi sembrava fantastico poter vivere e vedere con gli occhi di un atleta e provare le stesse sensazioni guardando delle immagini”.

Per tutti i gusti Parlando con Guido, che le usa da diverso tempo per catturare momenti sportivi epici, scopriamo che sul mercato si trovano diverse tipologie di action cam. Tra queste spicca l’azienda GoPro, divenuta leader indiscussa di questo mercato grazie agli atleti di punta che fanno da testimonial e a una vastissima gamma di accessori che permettono di adattare la videocamera ad ogni tipologia di sport. L’ultima frontiera in quanto a qualità di immagini, performance e facilità di utilizzo è la GoPro Hero4. Di alta qualità e spesso più economiche rispetto al produttore precedente, ci sono le Sony (per esempio, la Sony HDR AS30V), della Garmin con la sua Garmin VIRB Elite, della Toshiba con la Toshiba

Camileo X-Sports, della Panasonicc con la Panasonic HX-A500E. Oppure, se cercate qualcosa di più economico, date un occhio alla Xiaomi YiCamera...

Mmmh... dove la metto?

Le caratteristiche tecniche di una buona videocamera d’azione sono la nitidezza delle immagini, i colori brillanti e fedeli alla realtà, la capacità di registrare con una varietà di risoluzioni diverse, la capacità di filmare fotogrammi ad alta frequenza (HFR) e, non da ultimo, infinite opzioni per il montaggio fisico che siano estremamente resistenti.

“I vantaggi delle action cam sono innumerevoli. Una volta per avere la stessa qualità di immagine e stabilità servivano videocamere costosissime, ingombranti e soprattutto pesanti”, racconta Guido, “ora invece tutto è racchiuso in videocamere sempre più piccole, performanti e accessibili a tutti”.

Nate per gli appassionati degli sport d’azione, attraverso la curiosità e la creatività dei consumatori, sono arrivate ovunque… e impiegate in mille modi: c’è chi riprende una giornata dal punto di vista del figlio di due anni mettendogliela in testa, chi l’attaccata al suo cane e chi la fa volare fissandola al collo di un’aquila: “Dal mio punto di vista, più che rivoluzionare in modo radicale le modalità di ripresa degli sport di azione, penso che questa generazione di videocamere abbia permesso a tutti di riprendere ogni cosa in qualsiasi momento”, conferma Guido Toscanelli con una nota di critica rispetto ad una delle ossessioni della nostra società: filmare piuttosto che vivere… “All’ inizio, quando la accendi, ti preoccupi solo di avere un filmato cool – pensi a dove montarla, all’angolazione e agli effetti – ma con il tempo capisci che stai perdendo la possibilità di goderti il momento, la sensazione di scivolare su un’onda e di contemplare il panorama mozzafiato in cui sei immerso... Il vento nei capelli, i profumi, le paure e le soddisfazioni anche la videocamera migliore non riesce a fissarli: solo il tuo cuore lo può fare e quindi io ho scelto di accenderla sempre meno!”.

La domanda della settimana

Siete soddisfatti della vostra esistenza e vi ritenete delle persone felici?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 13 agosto. I risultati appariranno sul numero 34 di Ticinosette.

Al quesito “Il fatto di avere degli animali domestici vi ha imposto o vi impone delle limitazioni nella scelta delle vacanze?” avete risposto:

SI

75%

NO

25%

Svaghi 46

Astri ariete Sfruttate ogni occasione. Date libero sfogo a ogni desiderio. Non fatevi inibire dalle paure. Grazie anche a Venere un Ferragosto veramente con i fiocchi.

toro Dall’11 sarete aiutati sia da Giove che da Mercurio. Opportunità nella vita sentimentale. Momento d’oro per gli artisti e per i creativi. Stress il 15.

gemelli Scelte sbarazzine, non sempre coerenti. Maggior cautela sui social. Venere favorevole aiuta i nati nella terza decade.

Grandi opportunità e qualche ansia.

cancro A partire dall’11 vi sarà un miglioramento della vita sociale. Spostamenti.

Opportunità di lavoro nel mondo dei viaggi, del giornalismo e della cultura.

leone Grazie al passaggio di Venere il momento è propizio per la vita sentimentale. Puntate sul futuro senza farvi disturbare dal passato. Ferragosto ok.

vergine Dall’11 agosto in poi, Giove transiterà per circa 12 mesi nel vostro segno.

Scelte più trasgressive. Opportunità d’affari per i nati nella prima decade.

bilancia Momento piacevole. Nuova energia per i nati nella prima decade. Positive le giornate comprese tra il 9 e il 10 grazie agli strali di una Luna amica.

scorpione Seduttivi e intriganti. Attenti a non rovinare tutto con rigidità o esasperazioni fuori luogo. Maggior cautela negli affari almeno fino all’11 agosto.

sagittario Grazie all’ultimo transito di Giove e al passaggio di Venere momento ricco di opportunità professionali. Ferragosto all’insegna della mondanità.

capricorno Vittoria legale. Sbalzi umorali intorno al 12 agosto provocati dall’opposizione lunare. Evitate i condizionamenti familiari. Guadagni e opportunità.

acquario Marte in Leone vi rende combattivi.

Attenti a non irrigidirvi su posizioni dettate dall’orgoglio. Liberatevi da ogni zavorra. Riposo tra il 14 e il 15.

pesci Momento di confusione in ordine al proprio sistema di valori. Scelte trasgressive. Attenti a non creare falsi miti.

Seguite un’alimentazione più sana.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 34

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate il numero 0901 59 15 80 (CHF 0.90) entro giovedì 13 agosto e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 11 agosto a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Orizzontali 1. Essere simili • 10. Certo senza pari • 11.

Il box dell’aereo • 12. Stato dell’Europa orientale • 14.

Valor Militare • 15. Intacca la vite • 16. Puntini vezzosi • 17. Lo redige il giornalista • 20. È anche idrofilo • 21.

Fiume delle Marche • 23. Io, in altro caso • 24. Avverbio di luogo • 25. Digiuno forzato • 27. Risonanza • 29. L’io dello psicanalista • 30. Il Calcio del chimico • 32. I denti atti alla masticazione • 34. Quel che abbaia non morde • 35. Illustri • 37. Commissario Tecnico • 38. Negazione • 39. Incontro di vocali • 40. Dittongo in Coira • 41.

Terna • 43. Uno detto a Londra • 45. Grossa arteria • 47. Bel paesino malcantonese • 49. Lo importò Nicot • 51. La prima donna • 52. Quasi ricchi.

Verticali 1. Vi si impara a leggere e scrivere • 2. Vasi panciuti • 3. Pungenti, sferzanti • 4. Leccornia • 5.

Cuor di galante • 6. Pari in pianta • 7. Argovia sulle targhe • 8. Ha composto il “Bolero” • 9. La figlia di Elena e Menelao • 13. Trampolieri • 16. Salvò la fauna • 18. Pronome personale • 19. Antica città fondata dagli Spartani • 22. Albero dell’Africa occidentale • 23.

Scimmia asiatica • 26. Lo stato con le piramidi • 28.

Risuona nell’arena • 31. Più che vecchio • 33. Arrosto di maiale • 36. I capitelli con le volute • 42. Ispida • 44. Cela l’amo • 46. Il nome della Cercato • 48. Pari in cerotto • 50. Pari in saggi.

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La soluzione del Concorso apparso il 24 luglio è: MANOVALE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Maurizia Magni 6949 Comano

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Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

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Emozionarsi Momenti indimenticabili al Festival del film Locarno. ubs.com/festivaldelfilmlocarno <wm>10CAsNsjY0MDQx0TW2MLI0tAAAy5-HPA8AAAA=</wm>

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