№ 41 del 9 ottobre 2015 · con Teleradio dall,11 al 17 ottobre
SENSO DI COLPA
Corriere del Ticino · laRegioneTicino · Tessiner Zeitung · chf 3.–
Sentimento potente e condizionante in grado di scatenare stati d᾿animo ostili e comportamenti riprovevoli
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Ticinosette allegato settimanale N° 41 del 09.10.2015
Impressum Tiratura controllata 67’470 copie
Chiusura redazionale Venerdì 2 ottobre
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook
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In copertina
Il fardello della mente Illustrazione ©Bruno Machado
4 Arti Giotto. Il padre del blu di alessaNdro taBacchi ................................................... 6 Lessico Amicizia (seconda parte) di FraNcesca rigotti ................................................. 7 Abitare Calce. Un materiale millenario di FraNcesca ajmar ....................................... 8 Letture Operazione Paperclip. Nazi per lo Zio Sam di roverto roveda ..................... 9 Kronos Letture bibliche. La moglie di Lot di carlo Baggi ....................................... 10 Letture Il Re Giallo. Paure cosmiche di daNiele BerNardi ......................................... 11 Vitae Graziano Martignoni di laura di corcia ........................................................ 12 Reportage Coltelli affilati a cura della redazioNe; FotograFie di davide stalloNe ......... 37 Luoghi Linescio. Le pietre raccontano di r. roveda; FotograFie di F. leueNBerger ......... 42 Tendenze Pizzi. Misteriose trine di marisa gorza................................................... 44 Svaghi .................................................................................................................... 46 Agorà Psiche e relazioni. Il male della colpa
di
Nicoletta BarazzoNi...........................
Casse malattia: costi... e benefici? Di questi tempi le casse malati sembrano essere l’argomento del giorno. Sono state sollevate diverse problematiche, che riguardano soprattutto i costi. Non ho mai sentito parlare però di una grave ingiustizia, una discriminazione che viene inflitta dalle casse a persone che non hanno colpa alcuna, vuoi perché con un carico pesante di malattie, vuoi per età avanzata, oppure per infermità gravi, che possono coinvolgere anche piccole creature nate con problemi. A queste persone è negata la complementare e devono usufruire solo della LAMal. Senza alternative. Parlo per esperienza diretta. Sono in età AVS, ma tutt’ora attiva su più piani anche di lavoro. Nel mio caso ho pagato per trent’anni un’assicurazione privata presso un cassa malati che, qui sta il mio errore, a un certo punto ho cambiato, lusingata da prezzi molto più bassi. La faccio breve. Dopo poco tempo ogni complementare mi è stata rifiutata e ora mi trovo assicurata solo con la LAMal e senza possibilità alcuna di poter avere tutta una serie di servizi complementari. Mi sono sentita dire più o meno larvatamente che in pratica sarei costata troppo e che non c’era l’obbligo di assicurarmi. Se non c’è tornaconto le mielate parole di “solidarietà trasversale”, “attenzione e massima cura del paziente” con cui le casse malati ci imboniscono, anche con telefonate in casa, vanno a farsi benedire. Dopo più di un rifiuto ho preso la prima, anzi l’ultima cassa malati dell’elenco, tanto erano tutte uguali. Mi domando allora come è possibile che un paese civile, come dovrebbe essere la Svizzera, tolleri l’ingiustizia che più si è malati, o bisognosi di cure, infine meno cure
si ottengono. Quelle di base certo ci sono, ma è il rifiuto per se stesso, senza appello, che ti fa sentire carta straccia. Si tratta comunque di una deprivazione di servizi che per un malato possono fare la differenza. Il tutto mi pare condito da un buona dose di cinismo nonché mancanza di umanità e rispetto dei sentimenti delle persone, cose che chi si occupa di salute dovrebbe avere! Persone, malati che soffrono di diverse patologie, anche gravi, che certo non dipendono da cattiva volontà ma semplicemente dalla sfortuna. C’è pure il risvolto psicologico di chi si sente messo da parte. Come, solo perché si è anziani o con particolari malattie, quando c’è più bisogno di aiuti, di ogni genere, questi sono rifiutati?! C’è di che farsi venire una depressione. Peccato che a chi non ha la complementare l’aiuto psicologico non viene concesso... Come d’altronde nemmeno l’aiuto domiciliare, e se si vuole un aiuto, lo si deve pagare, come è successo a me quando ho subito una frattura. A questo proposito vorrei invece sottolineare il grande impegno e la professionalità di medici, chirurghi, infermieri e operatori vari, che nel mio caso si sono prodigati senza risparmio. (...) I medici, quando racconto la mia storia, scuotono la testa, mi danno ragione ma hanno le mani legate, impotenti di fronte alla prepotenza. Mi risulta che il rifiuto a un’assicurazione con complementare non sia solo un mio caso sporadico. Anzi. Con qualsiasi persona ne parlo, subito mi si dice che ci sono molti altri casi simili al mio. Il mio scritto quindi va al di là del caso personale: è ora che qualcuno affronti seriamente la questione. D. R. (Lugano)
Il male della colpa Psiche e relazioni. Nella vita di ogni persona rappresenta un sentimento potente e condizionante. Un vero fardello che è fonte di difficoltà, violenze, degrado fisico e morale. Ma dove ha origine e quale funzione svolge il senso di colpa? E soprattutto, come può essere gestito? di Nicoletta Barazzoni; illustrazione ©Bruno Machado
S Agorà 4
e dovessimo stilare una lista dei sentimenti che sorreggono il mondo, ognuno di noi risponderebbe elencando l’amore, la vergogna, l’odio, la paura oppure la colpa. Prendiamo allora spunto proprio dallo spettacolo “La colpa” della Markus Zohner Arts Company per parlarne. Nella registrazione audio, realizzata per la presentazione1, Zohner sostiene che “la colpa è una potentissima gabbia, un sistema sociale che ci tiene a bada, ci fa comportare bene, e ci tiene in regola. Esiste la colpa come concetto, è qualche cosa di reale o è solo un’immaginazione? È vero che l’immaginazione è reale ma è importante chiedersi se la colpa esiste per sé o se esiste solo perché la definiamo tale. Dopo il lavoro fatto negli ultimi anni sostengo che è l’uomo che l’ha creata, la gestisce e la vuole. Perché egli la vuole è tutt’altra domanda. L’uomo vuole la colpa perché è lo strumento di potere più potente che esiste, attraverso la colpa l’uomo infligge potere… quando c’è il senso di colpa c’è la colpa, il senso di colpa esprime la colpa”.
La colpa segreta Gli spettacoli di Zohner sono esperienze corroboranti che scavano dentro, ma sono anche salvifiche perché condivisibili. Gli spettatori diventano attori in quanto invitati a esprimere anonimamente su un foglio, depositato in un contenitore, le loro colpe, lette da una voce fuori campo. Quante e quali emozioni attanagliano le persone che hanno portato alla luce, senza volto, senza nome e protette dall’anonimato, le loro colpe e i loro sensi di colpa: mi sento in colpa perché non ho sensi di colpa; mi sento in colpa perché esisto; mi sento in colpa perché mento alle persone care; mi sento in colpa perché sono stata malefica con un’amica; mi sento in colpa perché sono stata cattiva; mi sento in colpa perché non sono morto al posto di mio fratello; mi sento in colpa perché mangio senza ritegno; mi sento in colpa perché ho rubato; mi sento in colpa perché tratto male mia madre; mi sento in colpa perché non ho mai portato a termine nulla; mi sento in colpa perché sono una privilegiata; mi sento in colpa perché sono incapace di amare.
La colpa come strumento del potere Non c’è nulla di più facile del governare con il senso di colpa e nulla di più difficile del non sentirsi in colpa, ciò che rende forte chi esercita il senso di colpa e indebolisce chi lo subisce, spesso impaurito dalla punizione. Per come siamo stati educati e siamo “strutturati” non possiamo vivere senza sensi di colpa, possiamo però capire e accettare i sentimenti che li scatenano. Sorretta dalla paura, la colpa si nutre del suo stesso male e perciò, se non la elaboriamo, essa ci divorerà. Poi c’è chi compie azioni d’ogni genere senza mai sentirsi in colpa, venendo meno al senso di responsabilità. Lo sguardo della psicanalisi La psicanalista Tonia Cancrini nel suo libro Un tempo per il dolore. Eros, dolore e colpa (Bollati Borighieri, 2002) si sofferma ampiamente sulla colpa che, nella sua misteriosa inquietudine interna, rende impossibile l’amore e il realizzarsi del rapporto d’amore. La Cancrini, durante un suo intervento pubblico, sosteneva: “È mia convinzione che nella vita e nella stanza d’analisi la colpa sia spesso una presenza pesante. Nella vita la colpa è spesso la causa di difficoltà nei rapporti, di atti delinquenziali, di abbrutimenti nell’alcol e nella droga, di fallimenti, di guerre e di conflittualità profonde. Nella stanza di analisi la colpa destruttura la mente del paziente e dell’analista e può porre entrambi in situazioni di stallo e di paralisi. Il sentimento di colpa crea un’oscura inquietudine che impedisce di pensare. La colpa produce depressione, noia, avvilimento, che sono l’opposto della vita, della vitalità e della creatività; l’opposto della musica, dei colori, l’opposto degli affetti. Perché ci sia amore, affetto, tenerezza, cura dell’altro è necessario avere elaborato e superato il senso di colpa che inchioda alla noia e alla depressione”. Il punto di vista della Chiesa A tal riguardo ci siamo confrontati con don Gerald, vicario a Mendrisio. Egli ci spiega qual è il significato della colpa per la Chiesa e perché essa ci pone di fronte alla colpa.
I Vangeli ci parlano di un Dio venuto in terra per sollevare i mortali dalla colpa. Don Gerald, ci spiega il significato? Nel Vangelo di Giovanni (3, 16-17), si legge: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”. Lei ha ragione quindi quando dice che nel Vangelo si legge che Dio è venuto nel mondo per sollevare i mortali dalla colpa. Ma perché i mortali hanno per forza una colpa? Perché Dio non viene per sollevarci dalla paura, per esempio, o dall’incertezza? La prima colpa era sorta in Adamo dopo la sua caduta, dovuta alla disobbedienza alla legge di Dio. E per quale ragione Dio non ha perdonato Adamo ma lo ha condannato alla colpa? Dio non condanna e non giustizia nessuno! Non ha condannato né giustiziato Adamo ed Eva. Il loro peccato aveva una conseguenza intrinseca. “Il Signore Dio diede questo comando all’uomo”; “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”. (Gen 3, 16-17). Se Dio avesse voluto condannarli o giustiziarli, secondo questo comando, dovevano morire. Ma non sono morti, perché non sono né condannati né giustiziati. Non sono neppure abbandonati! “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4, 4) affinché venisse a liberare l’uomo dal peccato e dalla colpa. Questa colpa trasmessa a tutta la natura umana, viene di solito cancellata attraverso il nostro battesimo nel quale ci immergiamo nella morte e risurrezione di Gesù, ricevendo un lavacro spirituale del peccato originale. Nella Lettera di San Paolo ai Romani (7, 14-25) San Paolo afferma che c’è in noi il desiderio del bene, ma non sempre la capacità di attuarlo. Per questa debolezza della nostra natura, a volte pecchiamo. E finché saremo nella natura umana, non saremo mai perfetti né incapaci di sbagliare. La colpa e il senso di colpa nascono proprio da questi sbagli e peccati. Ma la soluzione agli sbagli e ai peccati (di omissione o di commissioni ecc.) non è di chiudersi nel proprio io, affliggendosi con senso di colpa; e neppure nella durezza del cuore, cioè nell’impassibilità morale. Non è neppure né nella disperazione né nella fuga dalla natura umana (Rm 7, 24). La soluzione è di affidarsi a Gesù. Per fare questo però occorre umiltà. L’umiltà di ricordare sempre che sia-
mo uomini, che non siamo perfetti, perciò possiamo sbagliare e perfino anche peccare. L’umiltà perciò di non affidarsi mai solo alle proprie forze per quanto una persona sia intelligente oppure scientificamente qualificata. Il Concilio Vaticano II, afferma che “Cristo è la chiave” (Gs 10) di tutto, e anche della gabbia della colpa e del senso di colpa. La Chiesa senza il concetto di colpa può esistere? La Chiesa può esistere senza colpa. La prima Chiesa era quella dei Primi Genitori, Adamo ed Eva. Erano in relazione con Dio e con tutto il creato. Non erano turbati da niente. Non avevano nulla di cui farsi perdonare. Non mancava loro nulla. Eppure la relazione con Dio era imprescindibile per loro. Stando con Dio, erano felici. La comunione con Dio rende veramente felice. Se non ci fosse stato il peccato, non ci sarebbe stata la colpa, eppure la Chiesa come comunità dei figli di Dio sarebbe ugualmente esistita. Allora è Cristo il pilastro della Chiesa e non la colpa. La colpa non è necessaria! La colpa non è necessaria per l’esistenza della Chiesa, solo Dio lo è! La colpa però è uno strumento di potere e sottomissione, perché sentirsi in colpa impedisce l’amore, portando l’essere umano alla rabbia e alla depressione. Dio non condanna nessuno. Egli ci educa, affinché impariamo in un modo o l’altro a non rifare gli stessi errori. La colpa non è uno strumento di oppressione né di sottomissione, perché è intrinseca e non viene mai imposta. Uno si sente in colpa perché il suo cuore gli ricorda costantemente che ha infranto quella legge di amore che è nel suo cuore che gli dice “fai il bene e non fare il male”. E anche quando uno ha sbagliato o peccato e si sente in colpa, non è una brutta cosa in sé. Avere il senso di colpa ti porta a riconoscere gli errori e a chiedere perdono e a riconciliarti di nuovo con la persona offesa. Quel che non va bene è perdurare nello stato di colpa, condannarsi oppure rifiutare di chiedere perdono e di riconciliarsi. Nel Libro del profeta Isaia (1, 18) si legge l’invito del Signore al peccatore che sente il peso della colpa: “Su, venite e discutiamo” dice il Signore. “Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana”. Questo è quanto succede attraverso il sacramento della confessione! E a proposito della colpa, del senso di colpa e della confessione, papa Francesco ci ricorda che: “Dio non si stanca mai di perdonarci, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”! note 1 http://zohner.com/release/lacolpa/
Agorà 5
Il padre del blu
Palazzo Reale a Milano propone un viaggio nell’opera di Giotto, anticipatore dell’arte rinascimentale e figura dalla grande influenza di Alessandro Tabacchi
Arti 6
Che cosa dire su Giotto (vero nome Ambrogiotto di Bon- in cui il blu, non presente nello sfondo che è color oro done) che non sia stato già detto? Fu artista dalla vita lunga tradizionale, s’incarna nella veste del Salvatore donando – almeno per l’epoca: nato probabilmente nel 1267 morì una plasticità degna delle antropometrie di Klein. Stesso settantenne nel 1337 – e dall’eredità feconda, vero creatore discorso si potrebbe fare per la veste blu della Madonna (assieme al predecessore Cimabue e al successore Masaccio) del Polittico di Bologna. di una nuova concezione figurativa, mediata dall’eredità bizantina ma capace di spalancare le porte a quella che sarà Un colore moderno poi larga fetta dell’arte dei secoli successivi, dal rinascimento Ho citato Yves Klein (1928–1962) non a caso: l’artista francese considerava se stesso una sorta al realismo fino all’espressionismo. di “ultimo medievale” incarnatosi Vero pilastro fondatore della cultura nell’era della tecnologia, e può essere visuale occidentale, Giotto è stato interessante porre la sua esperienza sempre tanto celebrato da risultaartistica al termine di un cammire quasi impossibile essere originali no cominciato proprio da Giotto, nell’approcciarlo. “primo dei moderni” nel declinante Per questo, cogliendo lo spunto della medioevo. Un cammino di coscienza grande mostra aperta sino al 10 genvisuale e tensione ideale svolto nei senaio 2016 negli spazi di Palazzo Reale coli, e in maniera non lineare. Da un dedicata a questo titano girovago per lato abbiamo l’incipit, con Giotto il le città italiane (da Firenze a Rimini, visionario creatore di un nuovo senda Padova a Roma, da Napoli a Mitire, dall’altro il terminus, l’arrivo di lano), per uscir dal seminato della una lunga evoluzione: quel Klein che vulgata, potremmo focalizzarci sulla si pone alla fine della storia e sulla sua inedita sensibilità cromatica e soglia estrema dell’abisso figurativo, scoprire, fra i tanti meriti di Giotto quel Klein che sceglie di rinascere colorista, quello di aver portato al più creando un blu assoluto che da lui alto livello di significanza il colore “La proposizione delle aste al Tempio” (1306), Cappella degli Scrovegni, Padova (particolare) poi prese il nome, tangibile segno di blu nell’arte occidentale. un nuovo sentire con radici antiche, summa di tutti i blu della storia della pittura. Quel “blu Non solo “il cielo” È assai probabile che Giotto avesse negli occhi l’arte appli- Klein” che deve a Giotto molto e ne è quasi emanazione cata orientale del lapislazzulo e delle ceramiche islamiche diretta. Perché questo colore, come diceva il francese, rapquando, sviluppando un’intuizione che girava nell’aria presenta “l’invisibile che diviene visibile”: e il primo a capirlo – intuizione messa in opera per primo da Cimabue nella fu proprio Giotto. splendida Maestà di San Francesco (ca. 1285–1288) in cui le In questo limite estremo dell’eredità del fiorentino, Yves figure emergono da un fondo blu spettacolare e mistico –, “le Monochrome” è in buona compagnia: voglio citare diede a questo colore un ruolo principe: penso naturalmen- un’opera grandiosa come il trittico BLU I-II-III di Joan Mirò te alla meravigliosa Cappella degli Scrovegni a Padova (il (1893–1983), datato 1961, la migliore incursione del maegrande convitato di pietra di questa mostra milanese, ma stro surrealista nella pittura di campo cromatico – corrente tangente alle esperienze sul monocromo e destinata a sfocianon poteva essere altrimenti). Il blu di Giotto non deve essere pensato solo come uno re nel minimalismo –, che in quegli anni portava a termine sfondo; sotto questo aspetto Giotto spesso fu un seguace quasi due secoli di riflessione sull’ “oggetto pittura”; anche della tradizione, si vedano i suoi polittici, presenti anche questo infinito propagarsi del blu oltre i confini ideali delle in mostra, tutti rigorosamente a fondo oro, come Bisanzio tele in ultima istanza è un lascito giottesco. I pochi segni insegnava. Piuttosto la sua vera rivoluzione fu di carattere neri e rossi di Mirò su questa distesa di blu cosmico hanno culturale: il blu di Giotto è un colore platonico, è la mimesi la stessa presenza delle figure stanti che ornano la locandina di un’idea. Non è un semplice “cielo”: è il colore mistico della mostra: sarebbe stato bellissimo vedere un dialogo a della dimensione ultraterrena, che da semplice sfondo distanza fra artisti tanto lontani spazialmente e temporaldiventa palpitante essenza cromatica. Prova ne sia anche mente. Si sarebbe percepita un’inedita convergenza di sensi. il Cristo del Polittico Stefaneschi, vera star di questa mostra, Nel nome di un sentire cromatico comune. Blu ovviamente.
Amicizia
(Seconda parte)*
Da alcuni anni la tecnologia si è imposta come medium nei rapporti di relazione fra le persone. Si tratta di un limite alla conoscenza dell’altro o solo di una diversa modalità? di Francesca Rigotti
Chi vive o lavora a contatto con ado-
lescenti e giovani adulti, per esempio, in un’aula scolastica o universitaria, sa benissimo che oggi le lezioni si ascoltano con un occhio rivolto al/ alla prof e uno allo smartphone, spesso goffamente celato sotto un libro o un maglione, con un orecchio alla voce che spiega e l’altro teso a cogliere il minimo segnale che giunge dall’apparecchietto. Il/la docente sa che quando finisce l’ora tutti si precipitano a mettersi in contatto, senza doversi più nascondere, col mondo degli amici in rete per venire al corrente di tutti gli “eventi” verificatisi nel frattempo, e spesso lo fa pure chi sta in cattedra. Ora, tutti questi scambi di informazioni apparentemente di nessuna rilevanza ma che appaiono indispensabili a molte persone anche non più giovani, in che relazione possono essere posti col mondo dell’amicizia? Rappresentano degli ostacoli o, al contrario, sono dei facilitatori? Apocalittici Introduciamo a scopo di comprensione del rapporto tra amicizia “in presenza” e “in assenza” la ripartizione, per quanto riguarda le reazioni alle Nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (NTIC), tra apocalittici (che ne vedono quasi solo i lati negativi) e integrati (che invece esaltano questo tipo di relazioni virtuali). Tra i primi va annoverata la sociologa e opinionista britannica Susan Greenfield, che mette in guardia dal venir meno, entro le relazioni personali, dei dati offerti dalla vicinanza fisica: “Attenzione alla diminuzione della percezione del tono della voce, della lingua del corpo e dei feromoni, quelle molecole che scateniamo inconsciamente ma che gli altri annusano. Se non si vedono, non si sentono e non si toccano le altre
persone ci si comporterà in maniera meno consapevole, meno imbarazzata e paralizzata e meno sensibile a come si viene giudicati”. … e integrati Tra gli integrati, il sociologo nordamericano Robert Putnam che fa parte di coloro che vedono internet non come un sostituto bensì come un appoggio per l’amicizia reale, e distinguono tra veri amici da una parte e contatti eventualmente utili dall’altra. Putnam ha coniato per i due tipi di relazioni le espressioni bridging social capital (reti sociali che mettono insieme persone che contano l’una per l’altra, legate da relazioni importanti dal punto di vista dei sentimenti e delle emozioni) e bonding social capital (che si riferisce a reti sociali che mettono insieme persone diverse e che contano poco per noi, ma aprono chance a informazioni o a nuove prospettive sociali e lavorative). Secondo Putnam si tratta di una distinzione di rilievo perché gli effetti dei bridging networks sono prevalentemente positivi, mentre i bonding networks rischiano di avere conseguenze negative, anche se forniscono la maggior quantità di supporto sociale. Chi vivrà vedrà Internet insomma cambia la vita? E, soprattutto, cambia l’amicizia? O invece è vero il contrario, che più le cose cambiano più restano come prima, secondo l’antica saggezza del Gattopardo? Sono poi da considerare davvero “amici” le persone con le quali abbiamo fugaci contatti in rete o di cui leggiamo i twitter e commentiamo i blog? E c’è un rapporto fra l’amicizia in rete e l’idea di vincolo? E con la libertà di scelta? * La prima parte è apparsa in Ticinosette n. 36/2015 del 4 settembre.
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addio allo spreco di carta
Un materiale millenario La calce, tra i più antichi nella storia delle costruzioni, è giustamente considerata una materia prima altamente sostenibile, con ottime caratteristiche tecniche nei progetti di “Green Building” di Francesca Ajmar
La calce aerea, calce comune o calce viva, è un materiale da costruzione noto fin dai tempi antichi, ottenuto per cottura ad alevata temperatura del calcare, roccia costituita in gran parte da carbonato di calcio e molto diffusa in natura. La facile reperibilità e i costi di lavorazione contenuti fanno sì che oggi la produzione mondiale annua della calce sia di oltre i 300 milioni di tonnellate. Ma la sua storia risale all’epoca preistorica, quando l’uomo cominciò a scoprire anche altri leganti naturali (per esempio, l’argilla), prima della scoperta e della lavorazione dei metalli, grazie alla cottura a temperature meno elevate e una tecnica più rudimentale.
Abitare 8
nei palazzi Maya e Incas, in Cina, nella Grande Muraglia (228 a.C.), in India e in Mongolia, in numerosi templi e in abitazioni private.
La riscoperta di una materia “eco” Proprio ai romani dobbiamo la prima codificazione, le modalità d’uso e il sistema produttivo della calce. Dai greci e dai fenici importarono la tecnologia dei leganti idraulici: la calce miscelata a pietre vulcaniche acquisiva la proprietà di indurirsi sott’acqua, caratteristica fondamentale per la realizzazione di porti, ponti, acquedotti. Nel De architectura di Marco Vitruvio Pollione, opera monumentale La genesi della civiltà risalente al 15 a.C., troviamo È probabile che la sua scopermolti punti ancora perfettata avvenne casualmente, osmente validi al giorno d’oggi. servando il modificarsi delle E riguardo alla preparazione pietre calcaree poste vicino delle malte, troviamo passo al fuoco: queste si sarebbero per passo quello che un tecnisbriciolate e una volta unite co farebbe ai nostri tempi per all’acqua avrebbero formato verificare la qualità del grasun impasto plastico che, una sello (ovvero la calce idrata volta asciugatosi, ritornava ad sottoforma di pasta, cioè già Fornace da calce, Torrazza di Caslano (da wikimedia.org) avere la rigidità della pietra spenta in acqua e lasciata maoriginaria ma con la forma turare in fosse o contenitori). che l’uomo avrebbe voluto conferire. La scoperta dei le- La calce, nel sistema produttivo d’oggigiorno, non conganti è da considerare un passo fondamentale nella storia tiene né rilascia sostanze tossiche, può essere prodotta dell’evoluzione della civiltà, poiché ha permesso all’uo- localmente, senza il rischio di esaurimento della materia, mo di realizzare le prime opere murarie complesse, non ha un basso impatto ambientale (le emissioni di CO2 sono a secco, con una capacità di resistenza al tempo davvero inferiori a quelle di produzione del cemento) e attiva un impressionante. parziale riassorbimento di anidride carbonica in fase di I primi reperti archeologici in cui troviamo un uso sistema- messa in opera. tico della calce risalgono all’8000 a.C., a Cajenu, in Turchia, Nella realizzazione di malte e finiture, la calce presenta per la copertura di alcuni terrazzi, mentre in Israele, nel indiscutibili vantaggi per elevata traspirabilità delle mu7000 a.C. la calce compare nella realizzazione di pavimenti. rature, salubrità degli ambienti (è inattaccabile da batteri Nel 3000 a.C. in Tibet questo materiale venne utilizzato e muffe), fonoassorbenza, valore estetico di lucentezza, per la costruzione di piramidi, e la medesima cosa si ritrova ottima resa degli intonaci, e totale reversibilità. Ma anche al Cairo, in Egitto, in elementi strutturali della piramide a livello di tecniche applicative si stanno recuperando di Cheope, oltre che per l’intonaco che faceva da base per sistemi molto antichi: tra questi il Tadelakt, rivestimento i dipinti dei geroglifici. Nel periodo in cui l’utilizzo della murale, brillante e impermeabile, usato tradizionalmente calce si diffondeva nell’Impero Romano, avveniva altret- negli hammam e nei bagni dei giardini in Marocco, e oggi tanto in parti lontanissime del mondo non comunicanti sempre più utilizzato in edilizia per l’impermeabilizzazione fra loro: in America Centrale, la troviamo nelle piramidi e di superfici a contatto con l’acqua.
Letture. Nazi per lo Zio Sam di Roberto Roveda
Ci sono storie che per più di mezzo secolo sono state rigorosamente “top secret”. Eventi imbarazzanti legati alla Guerra fredda e allo scontro senza quartiere tra USA e vecchia URSS per il predominio mondiale. Operazione Paperclip, scritto dalla giornalista americana Annie Jacobsen, ricostruisce una di queste vicende “indicibili” quella del vasto programma di reclutamento di scienziati nazisti da parte della CIA e di organismi del governo americano all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale. Nel Terzo Reich, infatti, la scienza e la tecnologia avevano fatto passi da gigante, soprattutto nel settore bellico e dell’aviazione, grazie alla possibilità di compiere sperimentazioni senza alcun vincolo etico e legale su cavie umane e ambiente. Per questa ragione, finita la guerra, si scatenò una vera e propria lotta senza esclusione di colpi tra le nazioni vincitrici per assicurarsi le menti migliori – e spesso più spietate – del regime hitleriano. Tra la metà degli anni quaranta e i primi anni cinquanta del novecento venne allora
varata negli Stati Uniti l’ “Operazione Paperclip”, grazie alla quale circa duemila scienziati nazisti passarono al servizio e furono protetti dalle istituzioni americane. Pur di utilizzare le loro scoperte, infatti, vennero nascosti documenti compromettenti e “dimenticati” crimini efferati di questi uomini di scienza: criminali che avevano lavorato nei campi di concentramento e che avevano utilizzato i prigionieri per esperimenti folli (come poteva essere congelare una persona per poi provare a riportarla in vita...). Grazie a questi “scienziati” l’apparato industriale e militare americano fece un balzo nel futuro come testimonia, per esempio, la vicenda di Wernher von Braun (1912–1977), il padre dei razzi V1 e V2 che bombardarono Londra e poi protagonista della conquista della Luna. In cambio, però, l’America strinse un patto scellerato che regalò l’impunità a tanti carnefici e negò ogni giustizia alle loro migliaia di vittime. Una pagina realmente vergognosa che queste pagine hanno il merito di aver sottratto all’oblio degli archivi.
Operazione Paperclip di Annie Jacobsen Piemme Edizioni, 2014
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ford.ch
La moglie di Lot La vicenda della fuga di Lot dalla città di Sodoma, distrutta da un cataclisma divino, se letta attentamente rivela contenuti di grande modernità di Carlo Baggi
Kronos 10
Il significato di Sodoma (sod-om) è “insieme di segreti”, quello di Gomorra (am-o-ra) è “popolo di Ra”; il nome delle due città è dunque: “I segreti del popolo di Ra” e Ra era il nome del dio egizio, rappresentato dal Faraone (par’oo, parola di Ra). La Genesi racconta1 che due angeli, giunti a Sodoma per portare in salvo Lot, nipote di Abramo, insieme a sua moglie e alle figlie, gli raccomandarono di non fermarsi nella pianura e di non guardare indietro. Come noto, la moglie nell’udire il fragore del cataclisma si voltò e si tramutò in una colonna di sale. Il racconto ha dato luogo a diversi stereotipi: Sodoma è legata alla pratica dell’omosessualità; la fine della moglie di Lot all’immobilismo provocato dal rimpianto per il passato. In realtà, il peccato di Sodoma è piuttosto legato all’avidità e alla mancanza di carità e di ospitalità, come svelato da un altro testo biblico2.
umana rimasta orfana di quell’espressione. Per esempio, il fatto che il comunismo si sia esaurito come teoria politicoeconomica non comporta l’estinzione delle attese che esso rappresentava; del resto la Guerra civile che scosse Roma nel I secolo a.C. fu causata dallo scontro tra “optimates” e “populares”.
Una inutile fuga Occorre allora comprendere che siamo su una soglia, valicata la quale gli equilibri secolari che ruotano, altalenanti sul perno delle forze classiche, s’infrangeranno. L’assoluto predominio che stiamo concedendo alla tecnica provocherà, se non corretto, l’esaurimento delle capacità del linguaggio e, con esso, del significato ultimo dell’uomo. La tecnica che “diventa condizione imprescindibile d’esistenza” rende il “recupero dell’identità individuale al di là della funzionalità… “La fuga di Lot”, miniatura tratta dal codice un controsenso”6. In questa realtà, ogni Misterioso segreto Speculum humanae salvationis attitudine diventa priva di potere Per quanto concerne la moglie di Lot (1485–1509), British Library, Londra espressivo e come tale l’essere umano il discorso è meno banale di quanto entra in uno stato di subordinazione tramandato. Il testo originale ebraico della Genesi recita: “E guardò, la moglie di lui, dietro di lui e fu determinato dall’ “accettazione indiscussa dell’esistente”7. Il colonna di sale”3. Nell’immagine rilasciata dalle traduzioni, “segreto del popolo di Ra”, di cui si diceva, consiste proprio la donna sembra fermarsi per guardare indietro, mentre il in questo: una società plasmata da un sistema omologante. resto della famiglia procede nella fuga. Ipotesi improbabile, La tradizione biblica scorge un simbolo di tale pericolo sia perché Lot non avrebbe certo lasciato indietro la donna. In nell’episodio della Torre di Babele, sia nella schiavitù egiziaeffetti, il testo dice che quella guardò dietro la persona di Lot. na dei figli d’Israele. In entrambi gli episodi ci si sofferma In ebraico, le lettere che formano la radice di questo nome sul cambiamento della tecnica edilizia (progresso) che, in sono lamed-tet, ed esprimono il senso di ciò che è misterioso luogo delle pietre (diversità), utilizza i mattoni (omologae segreto, che ingloba e inviluppa4. Così egli rappresenta un zione). Forse, ciò che la moglie di Lot vide in quel bagliore velo che nasconde la luce e si pone come polarità di Abra- fu l’inutilità della fuga. Il velo che Lot portava in salvo simmo5. L’anonima moglie di Lot coglie, nell’accecante bagliore boleggia l’ancestrale incapacità dell’uomo di comprendere che si sprigiona su Sodoma e Gomorra, lo svelamento del il progresso, che non risiede nella qualità dei mezzi ma segreto che il marito rappresenta e, immediatamente, la nella consapevolezza che il bene e il male dipendono da lui. sua persona è pietrificata. Che senso ha parlare oggi di un evento che pare recluso nella fantasia del mito biblico? In note realtà, l’attualità del racconto è straordinaria, perché il “se- 1 Genesi 19:1-29 greto del popolo di Ra” serpeggia e cresce nel nostro sistema 2 Ezechiele 16:49 di vita. Dobbiamo considerare che ogni espressione umana 3 Genesi 19:26 4 Antoine Fabre d’Olivet, La lingua ebraica restituita, pagg. 249, 250, è legata a un linguaggio. L’economia, la politica, la scienza, la religione, la filosofia si esprimono con termini propri e, 5 Archè-Edizioni PiZeta, 2002. Annick de Souzenelle, La lettera, strada di vita. Il simbolismo delle producendo significati dialettici, formano la vitalità intelletlettere ebraiche, pag.134, Servitium editrice, 2003. tuale del genere umano. Quando un linguaggio si estingue, 6 Umberto Galimberti, Psiche e techne, pag. 560, Feltrinelli, 1999. un altro subentra per continuare a rappresentare la realtà 7 U. Galimberti, op. cit., pag. 561.
Letture. Paure cosmiche di Daniele Bernardi
Forse non tutti i cultori della serie TV True Detective sono a conoscenza dell’opera di Robert W. Chambers. Nato a Brooklyn nel 1865, fu pittore, scrittore e illustratore (Life, Truth, Vogue). Della sua produzione letteraria il testo più celebre è la raccolta di novelle Il Re Giallo. Tra queste pagine si narra di una tragedia (Il Re Giallo, appunto) che conduce alla pazzia tutti quelli che la leggono. Moltissimi elementi di questi racconti del terrore sono volutamente rintracciabili all’interno della citata serie televisiva. Sarà per questo che la casa editrice Vallardi non ha perso l’occasione di proporre una versione italiana del libro di Chambers. Tra gli estimatori dello scrittore newyorkese vi era nientemeno che il grande Howard. P. Lovecraft: l’autore de I miti di Chtulhu, infatti, dichiarò addirittura che “quest’opera raggiunge vertici di paura cosmica”. Ma i nostri tempi non sono certo quelli di Chambers e i racconti de Il Re Giallo, oggi, non risultano particolarmente spaventosi. Di certo, la parte migliore della raccolta è
la prima, dove l’autore si sofferma sull’esistenza del fantomatico libro. La scrittura di Chambers però è quella di un uomo di un’altra epoca e questo si fa sentire (alcuni periodi risultano stucchevoli e difficili da digerire). Inoltre, a una prima lettura, le vicende riportate non sembrano reggere l’inevitabile confronto con i racconti di Edgar A. Poe o dello stesso Lovecraft. Ancora meno entusiasmante è la seconda parte del libro; dove l’autore abbandona la tragedia maledetta per dedicarsi a descrizioni romantiche della vita di alcuni artisti che frequentano la Parigi di fine ottocento. Nell’insieme del libro si trovano aspetti interessanti e immagini accattivanti, ma la sensazione è quella di una raccolta che ha fatto il suo tempo. Gli appassionati di True Detective e i cultori della letteratura gotica sapranno apprezzare queste pagine, e alcuni vorranno “divertirsi”, come suggerisce il risvolto di copertina, a cercare gli aspetti ricorrenti nella sceneggiatura della celebre serie. Per altri sarà forse una lettura interessante, ma non indimenticabile.
Il Re Giallo di Robert W. Chambers Vallardi, 2014
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A
ppartengo, certamente non da pentito, alla generazione utopica del sessantotto. Riconosco ancora oggi questa appartenenza, che ha occupato un posto decisivo nel mio Bildungsroman, come qualcosa non di nostalgico ma di profondamente attuale e vivo in me, nel mio modo di pensare e di sentire ciò che mi sta attorno, nei miei gesti quotidiani. Non dico tutto ciò per nostalgia, ma perché credo che quella stagione con le sue illusioni, con i suoi errori, ma soprattutto con le sue passioni ideali sia stata e sia ancora assolutamente determinante nella mia vita. La brezza o la bufera di quegli anni mi colse un po’ improvvisamente quando ero ancora studente liceale in una scuola benedettina, come fu l’allora Collegio Papio di Ascona. Quella scuola, severa e accogliente insieme, capace di lasciare un segno d’appartenenza che dura negli anni, esercitava un dialogo con la grande Tradizione, con la tradizione classica da una parte e la tradizione cristiana dall’altra. Del resto, anche a casa mia era così. La mia famiglia, democristiana, con una sensibilità forte nei confronti dei perdenti della vita e nello stesso tempo un po’ ribelle; sin da mio nonno, libero commerciante e poeta anarchico, allergico a tutte le forme di sudditanza burocratica e di conformismo statalista. Alitava già il vento del cambiamento, persino su di noi, nati e cresciuti a Locarno, per i quali anche semplicemente prendere il treno, andare a Lugano e innamorarsi di una ragazza di lì diventava un’esperienza quasi esotica. Non scorderò mai una discussione furente con mio padre, quando scoprì che volevo acquistare Il capitale di Marx. Alla fine, dopo l’arrabbiatura, mi diede addirittura i soldi per comprarlo, dicendomi, “se vuoi dire la tua opinione, prima studia”. Arrivarono gli anni universitari. Mi iscrissi a medicina a Zurigo. Era il tempo delle rivolte studentesche. Un’epoca vissuta per me nel suo filone utopistico e libertario. Riflettevo sull’alienazione dell’individuo, avvicinandomi sempre di più a utopie liberatorie, anticonformistiche e accostandomi al pensiero della beat generation. Frequentavo poco i corsi previsti dal mio piano-studi. Alle lezioni di chimica preferivo quelle di letteratura, alla fisica preferivo la storia delle religioni, saltavo le due ore di anatomia per
andare a seguire filosofia. Dopo la laurea, ho scelto la specializzazione in psichiatria; poi, per approfondire il percorso, mi sono orientato verso la psicoanalisi. Ma attenzione: non è stata una scelta meramente professionale. Sentivo di dover fare i conti con la mia famiglia, per quanto bella. Tornato in Ticino, ho avuto la possibilità di fare un’esperienza fondamentale per la mia esperienza umana e professionale: ho lavorato per alcuni anni in quello che allora si chiamava Ospedale neuro-psichiatrico cantonale. Era un grande mondo dove l’incontro con la follia era totale. In quel periodo conobbi anche Basaglia e Jean Oury: era il post-sessantotto che entrava nel mondo della malattia mentale e il cambiamento era grande. A Trieste Basaglia preparava la chiusura del manicomio; a Mendrisio si respirava un’aria simile, volevamo abbattere i confini fra noi/loro. Le barriere franavano quando, provocatoriamente, ci toglievamo quella linea di demarcazione, che era il camice. Questi cambiamenti, alla fine degli anni settanta, hanno dato origine alla nuova Legge sull’assistenza socio-psichiatrica cantonale (la LASP), affidata dall’allora consigliere di Stato Bernasconi a un gruppo di giovani, fra cui il sottoscritto. In fondo, in tutti questi anni mi ha mosso come curante il rispetto della dignità delle persone e il desiderio di scoprire il cuore della loro soggettività. Questo mi ha avvicinato negli ultimi decenni alle Medical humanities, a quello che chiamiamo umanesimo clinico, che vuole trasformare, per dirlo semplicemente, una mera medicina dell’organo o dell’organismo in una medicina della Persona. Potrei dire, scherzando, che non mi farei mai curare da un medico che non abbia letto La montagna incantata di Thomas Mann. L’essere umano è un mistero e i misteri ci obbligano a fare dei percorsi per avvicinarci alla loro realtà. Non si è mai sopito in me il desiderio di stare nei chiaroscuri, di perdermi nel crepuscolo delle cose dove forse abita il senso originario delle cose stesse. In fondo, sono e rimango modestamente un cercatore di orizzonti e insieme di radici.
GRAZIANO MARTIGNONI
Vitae 12
Formatosi nel periodo del ’68 e divenuto psichiatra, è stato testimone della rivoluzione che ha cambiato l’approccio al paziente e alla mente umana
testimonianza raccolta da Laura Di Corcia fotografia ©Flavia Leuenberger
Autunno, stagione di piatti tipici e rassegne gastronomiche. La conferma della vocazione per la buona cucina e la convivialità della nostra regione. Da nord a sud, ecco cinque chef nostrani e il loro personale “invito” a tavola... testi a cura della Redazione; fotografie ©Davide Stallone
Cuoca creativa Sandra Defanti Ristorante Defanti, Lavorgo
Nata a Giornico, Sandra esercita la professione di insegnante prima di sposare Cesare Defanti: dall’unione nascono due figli. Adora leggere, dipingere, praticare yoga, coltivare fiori, andare a teatro, viaggiare... Ma, soprattutto, entrare nelle cucine di tutto il mondo, dove gli chef la ospitano. Lavorando al loro fianco apprende e rielabora piatti che propone con passione nel proprio ristorante. Da questi scambi nascono idee e spunti per serate a tema che i coniugi propongono ai loro clienti. “I tre porcellini”: cotechino croccante alle lenticchie rosse speziate, filetto mignon con purea al limone, polpette agli spinaci su letto di verdure.
Chef Claudio Panzeri Ristorante Crotto dei Tigli, Balerna
Nato il 20 marzo 1980 a Mendrisio e cresciuto a Novazzano, nel 1995 inizia il suo apprendistato come cuoco all’albergo Milano di Mendrisio, dove consegue l’attestato federale di capacità. Parte poi per Saint Moritz dove resta per due anni alle dipendenze dell’albergo Europa. Nel 2001 ottiene la maturità tecnica professionale e a seguire il certificato di gerenza presso la scuola di GastroTicino. Dopo una breve esperienza presso l’osteria San Matteo di Cagiallo, con lo chef Alan Rosa, viene assunto come chef al Torchio Antico di Arzo. Ristorante di cui prende le redini nell’agosto 2005. Un’esperienza che dura cinque anni. Nel 2010 ritira, ristruttura e riapre il ristorante Al Gaggio di Novazzano. Nel 2014 si sposta al Crotto dei Tigli di Balerna, locale che attualmente dirige. Perito d’esami, formatore per apprendisti e cuoco della gastronomia, sono ulteriori traguardi nel frattempo raggiunti. Da metà 2015 è presidente di GastroMendrisiotto. Suprema di faraona ai frutti di bosco.
Chef Luigi Lafranco Ristorante Ai Giardini di Sassa, Hotel Villa Sassa, Lugano
Dietro ogni piatto, oltre al sapore, si nasconde un sapere intenso e profondo, fatto di tradizioni, idee e creatività. Queste in sintesi, la forza e l’arte dello chef Luigi Lafranco, felice di fare il lavoro che ha sempre sognato di fare. Curioso per natura, amante delle emozioni forti è convinto che la vita sia un’avventura da vivere intensamente. Grande viaggiatore, da quando ha lasciato la sua città natale – Biella in Piemonte, terra di grande tradizione culinaria e vinicola – si è cimentato con successo nelle cucine di altre culture, lavorando in Portogallo, a Londra, alle Maldive e dando lustro alla sua carriera nei più prestigiosi alberghi svizzeri, tra i quali i leggendari Badrutt’s Palace Hotel di Saint Moritz e il Palace Hotel di Gstaad. Grazie alla sua formazione variegata e multiculturale, non ama imporre il suo gusto, al contrario cerca di capire cosa piace al cliente, quale emozione cerca e adatta spontaneamente le sue ricette a clientele diverse. Straordinaria e rinomata è la sua capacità di creare squadra: nella sua cucina lavorano in grande armonia chef donne, il più famoso cuoco giapponese di Lugano, virtuosi pasticceri e persino il giovanissimo talento “Semola”, a cui lo chef Lafranco insegna con passione e sentimento. Non è raro vederli insieme, durante una pausa didattica, raccogliere erbe aromatiche nel giardino per le pietanze. Mille foglie di carne di Bruna Alpina salata fatta in casa con salsa al caprino.
(...)
Chef Mauro Grandi Ristorante La Belle Epoque, Hotel Esplanade, Minusio
Sperimentare, sperimentare e sperimentare ancora. Senza mai tradire la qualità e la stagionalità dei prodotti del territorio a cui la sua cucina è legata a doppia mandata. Dall’Italia al Ticino, la sua seconda patria, lo chef Mauro Grandi ha fatto un viaggio formativo e professionale, non dimenticandosi di tenere gli occhi aperti sul mondo, dal quale raccogliere e accogliere informazioni, emozioni e avventure del gusto, da vivere sempre intensamente. Una carriera vivace, dinamica e versatile. Da commis de cuisine al Grand Hotel Eden Paradiso nel 1993 a chef de restaurant al ristorante Le Hameau dell’Hotel Montpellier di Verbier nel 1999, a sous chef e responsabile di cucina a Villa Principe Leopoldo di Lugano dal 2002 al 2004. Il desiderio di ricerca e d’innovazione lo ha incoraggiato a spingersi oltre, arrivando a creare particolari menù vegano-vegetariani a più portate, sino a veri e propri banchetti per molte persone, inclusa la torta nuziale. Il suo motto è “noi siamo quello che mangiamo!”, per questo ha fatto suoi i moderni metodi di cottura, come quella lenta e a bassa temperatura e quella sottovuoto che mantengono alto il valore organolettico del cibo. Cucina e territorio sono per lui indissolubili e durante il tempo libero, dopo aver coccolato le sue bimbe, salta in moto e parte alla ricerca di nuovi itinerari tra le bellezze naturali della Svizzera. Delizia di vitello gratinata alle mandorle con gallinacci scottati, mille foglie di melanzane e petali di pomodoro canditi al timo.
Chef Franco Passoni Ristoranti La Cucina e La Terrazza, Hotel Kurhaus, Cademario
Per lui il menù è come una poesia e le ricette sono i suoi versi. La scelta degli ingredienti, i loro abbinamenti, lo sposalizio tra i sapori e persino lo stridore tra i gusti, compongono le rime e i sonetti del suo virtuosismo culinario. Dalla sua cucina sospesa a 850 metri di altezza, davanti a un panorama mozzafiato, lo chef Franco Passoni riafferma ogni giorno la sua versatilità nei piatti fusion tra Mediterraneo e Asia, la sua raffinata creatività nell’interpretare i desideri e i gusti dei clienti e soprattutto la sua capacità nel gestire a tutto tondo due ristoranti contemporaneamente. La Terrazza, più genuino e tradizionale e La Cucina, con un menù gourmet e ricercato. Come un poeta esperto, compone le sue pietanze aggiungendo armonia, estro e un tocco di genialità: “Faccio di tutto perché il cliente sia davvero soddisfatto e non solo sazio. Per questo ho scelto d’intraprendere il cammino per diventare chef, per creare e sperimentare di continuo, mantenendo il focus sui desideri del cliente”. Lo chef Passoni però sa anche “far di conto”, per gestire in modo imprenditoriale la sua cucina e per controllare le calorie dei pasti dei clienti che scelgono il pacchetto “Detox”, fiore all’occhiello della SPA dell’hotel. Lui stesso afferma che se non avesse fatto lo chef avrebbe studiato matematica. Ma la cucina, si sa, quando diventa passione è un alternarsi continuo di poesia e di regole matematiche. “Il mare in montagna”: noce di capesante in manto croccante alla nocciola ed erbette del nostro orto casalingo.
Linescio. Le pietre raccontano di Roberto Roveda; fotografie ©Flavia Leuenberger
me, poi quelli più in alto, dove i pendii si fa tanto erti da intimorire anche chi vi è nato. Pietra dopo pietra, terrazza dopo terrazza i monti attorno a Linescio sono diventati una sequela di gradoni, tante scalinate verso il cielo o, più prosaicamente, verso una quotidianità meno angosciata dalla fame.
Luoghi 42
Linescio: la Valmaggia lascia il posto alla Val Rovana e l’uomo sembra cedere definitivamente il passo alla natura. Una natura aspra, che fa correre il pensiero ai primissimi versi della Ginestra di Leopardi “Qui su l’arida schiena / Del formidabil monte…”. Una natura impietosa per quanto ha reso scoscesi i fianchi di questi monti, con secoli di erosione e frane, tanto da doverle strappare con la forza lo spazio sufficiente per vivere. Qui il fiume Rovana scorre in una gola stretta, un centinaio di metri sotto l’abitato. Linescio riposa sparpagliato sulla riva sinistra, con le sue quattro antiche frazioni - Linésc dint, Linésc fora, Canton Zott e Canton Zora – e la sparuta compagnia di una cinquantina di abitanti fissi. I villeggianti nei giorni più caldi dell’estate si spingono sui monti sopra la valle e ravvivano le case delle frazioni più in alto, solitamente abbandonate del tutto. Ma dura poco: le montagne a picco nascondono facilmente il sole… “paes da la malafortuna, d’inverno senza soo e d’está senza luna” come recita il detto popolare. Campi terrazzati: sfida per la sopravvivenza Eppure qui l’uomo resiste da millenni. Generazioni e poi ancora generazioni si sono date il cambio nel difficile lavoro di armonizzare i bisogni dell’uomo con la montagna, i boschi, le pietre, le bizzarrie del clima e della stagioni. Il paesaggio terrazzato di Linescio e dei sui dintorni lo testimonia con i suoi 25 chilometri di muretti a secco, così simili gli uni agli altri nella loro geometria. Vale la pena fermarsi e osservarli con attenzione. Si colgono allora le sfumature dei sassi, la sapienza antica che si intravede in alcune soluzioni per far combaciare pietra con pietra, così da unirle per sempre. Questi muretti parlano, ci dicono più di tanti tomi la tenacia dei contadini e montanari di un tempo, una tenacia che era pari solo alla durezza della vita che conducevano. Chi poteva se ne andava, anche a cercare fortuna in Australia e California; ma i più dovevano conquistare la terra, “modificando” la montagna… prima i terreni più vicini alla valle e al fiu-
Un lavoro comunitario durato secoli Fu il lavoro di una comunità intera, protrattosi per secoli. Agli uomini adulti toccava la raccolta e la preparazione delle pietre, prima usando quelle presenti nel luogo da terrazzare e poi spingendosi nelle cave tra le montagne. Colpi di mazza e scalpello continui riempivano l’aria e le pietre più grosse venivano separate con il cügn, il cuneo di legno, il compagno inseparabile degli spaccapietre antichi. Entrava nelle fenditure della pietra, veniva bagnato e con l’umidità si ingrossava fino a che il sasso cedeva. Un lavoro di pazienza certosina e fiduciosa come lo era quello di trasportare le pietre verso i terrazzamenti con ceste, muli o facendole scivolare sui sentieri se erano troppo pesanti. Quindi seguiva l’incastro per preparare i muretti e il riempimento dei terrazzi con la terra, portata in quota da uomini e donne con ogni mezzo. Ai bambini, invece, il compito di concimare i nuovi terreni sudando sotto il carico di letame fino ai gradoni più alti. In questo modo, dove prima vi era montagna, ora si potevano coltivare cereali, rape, patate e anche piantare filari di vite con cui produrre vino e allietare un po’ di più la vita. Nel frattempo ogni anno si terrazzavano, se necessario, nuovi terreni ma soprattutto ci si prendeva cura di quelli esistenti. Li si accudiva e teneva puliti, riparava se vi era la necessità: perché questo delicato ecosistema artificiale di Linescio poteva funzionare solo se vi era cura, manutenzione e abnegazione verso il costruito. Così, quando i tempi sono cambiati, con il novecento della grande fuga dai monti e dalle campagne, e il magico equilibrio tra l’uomo e la natura è venuto meno, quest’ultima ha ripreso il sopravvento... come una grande piovra che allunga i suoi tentacoli su tutto ciò che le è appartenuto e che brevemente ha concesso ad altri. Boschi e rovi hanno nascosto buona parte dei terrazzamenti mentre resistono quelli più prossimi al paese, segni di una antica presenza umana che non vuole abdicare.
Il progetto di recupero Negli ultimi anni si è ripreso a ripristinare muretti e terrazzi, e coltivare ancora parte dei terrazzamenti grazie a un progetto voluto dall’APAV (Associazione per la protezione del patrimonio artistico e architettonico di Valmaggia; apav.ch) e realizzato dalla Pro Linescio (prolinescio.ch), l’associazione che si occupa di recuperare salvaguardare e mantenere il caratteristico paesaggio di Linescio.
Luoghi 43
©Christer Strömholm (1918–2002)
Misteriose trine TALMENTE PREZIOSO, RAFFINATO E INTRIGANTE CHE NAPOLEONE LO RESE D’OBBLIGO PER I GUARDAROBA DA SFOGGIARE ALLA CORTE IMPERIALE. IL PIZZO, DENOMINATO ANCHE TRINA O MERLETTO, SUPERAVA IN TAL MODO LA FASE DI IMPOPOLARITÀ PATITA DURANTE LA RIVOLUZIONE FRANCESE, PERIODO IN CUI FU REPUTATO UNA FRIVOLEZZA DEGNA DI FUTILI ARISTOCRATICI. MA FU UN DECLINO TRANSITORIO PERCHÉ IL SUO FASCINO NON È MAI TRAMONTATO… Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza
D
ifficile indicare la data esatta della prima comparsa del pizzo come materia per comporre abiti femminili e adornare marsine maschili! Tuttavia si sa che fece fortuna nella Venezia del cinquecento (creato ad ago) e nelle Fiandre (lavorato a tombolo) per poi diffondersi nei secoli successivi in Francia, Spagna, Inghilterra e nelle contrade orientali della Svizzera, in particolare a San Gallo. Apprezzato da gran dame e regnanti di tutta Europa, raggiunse il gran trionfo sul finire dell’ottocento. Cioè quando il pittore ferrarese Giovanni Boldini ritrasse l’Infanta Eulalia di Spagna vestita di un abito costruito con vaporose balze di merletto: immortale immagine di regale ed esclusiva eleganza. Dopo oltre un secolo il fascino del tessuto con delicati ricami traforati, alternati a punti pieni, è rimasto intatto, quale emblema di una femminilità misteriosa e sfaccettata. Velare e svelare E proprio per quel vezzo di velare e svelare che un abito di pizzo può esprimere innocenza o, al contrario, conturbante malizia. In fondo non fa che sottolineare quanto l’animo
di ogni donna sia volubile e mutevole. Passato dalla decorazione degli altari agli indumenti intimi e d’alcova, dai veli nuziali alle tenute usate come arma di seduzione, dagli abiti bon ton-couture alla Grace Kelly alle camicie da rockettaro, il pizzo, con le sue mille vite e interpretazioni è ancora alla ribalta della moda. E se ha già caratterizzato con decisione i capi più in della stagione del sole, non mancherà di sbirciare sotto i soprabiti d’autunno. Una sfida raccolta dagli stilisti che lo usano mescolato al tulle impalpabile e a diafane reti per creare degli abiti dall’effetto body painting. Occasione che le celeb non si lasciano scappare, impazienti come sono di incorniciare il fisico scolpito dalla palestra (... e dal bisturi). Intrigante e flessibile Lunghi, fluidi abiti dalle delicate trasparenze in pizzo bianco, sfumato nel beige e abbinato al camoscio, si trovano da Alberta Ferretti, mentre profumano di rock’n’roll le corte, svolazzanti vestine di Blugirl in trine dai colori fluo, accessoriate con boots e micro giubbotti in pelle. Decisamente sexy il pizzo firmato Dolce&Gabbana per lunghi vestiti a balze spagnoleggianti, ma anche per mini dress traslucidi da dove sbirciano alte culotte e reggiseni a balconcino. Disegna pure gli accessori più originali e intriganti come le scarpe da sera di Gianvito Rossi, sia versione stiletto che ballerina. Per chi ha la fortuna di continuare le vacanze o andarsene in crociera, freschi merletti sangallo compongono i candidi bikini di Calzedonia corredati di camicia copricostume in denim a graziosi forellini cut out. E a proposito di camicie mi pare giusto citare quelle da uomo siglate Versace Renaissance, destinate a un macho belloccio e narciso. Tutte in pizzo a fori importanti, più vicini alla formula del “vedo” che a quella meno coraggiosa del “vedo non vedo”. Micro techno trafori Liberate dal romanticismo zuccheroso e dall’effetto centrino, le nuove trine giocano piuttosto con tocchi punk o high tech, come succede nelle collezioni di Ermanno Scervino. Insoliti macramé di ciniglia si alternano al neoprene iper leggero e laserato ad arte, tanto da creare smerli tipo broderie anglaise sugli abiti dalla silhouette sinuosa e a vita alta, sui top e sulle gonnelle a tulipano. Micro trafori ricamati a mano, ovvero meticolosi, piccoli capolavori d’alto artigianato come si facevano un tempo tuttavia privi di una scontata nostalgia. Anzi, l’alto tasso di nuova perizia sperimentale li inscrive in una vera e propria avanguardia: quella dei pizzi techno-couture.
La domanda della settimana
Anche nel 2016 i premi dell’assicurazione malattia obbligatoria aumenteranno in modo significativo. Cambierete cassa per poter risparmiare?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 15 ottobre. I risultati appariranno sul numero 43 di Ticinosette.
Al quesito “Se aveste lo spazio, sareste disponibili a ospitare rifugiati siriani o di altre popolazioni che fuggono dai loro paesi per guerre e conflitti?” avete risposto:
SI
30%
NO
70%
Svaghi 46
Astri ariete Con Saturno stabile prendono piede i progetti riconducibili a una attività estera, alle università, alla ricerca. Errori di comunicazione l’11 e il 12.
toro Tra il 14 e il 16 equilibri familiari in disordine per futili motivi. Marte in congiunzione con Giove porta importanti novità e conquiste professionali.
gemelli Calo energetico in corso provocato dai numerosi transiti nei segni mobili. Irascibili i nati nella seconda decade. Possibili vertenze legali. Indolenza.
cancro Possibili stati di incomunicabilità con le persone più intime tra l’11 e il 13. Vi occorre maggior riposo. Promozioni e guadagni grazie a Giove e a Marte.
leone Novità professionali. Possibile un ritorno di fiamma. Particolarmente attenti verso le situazioni più creative. Spese riconducibili al proprio automezzo.
vergine Siete pieni di energie e non vi tirate mai indietro. Vittoria in una vertenza legale. Riconoscimenti di carattere pubblico. Successo negli sport.
bilancia Balzo evolutivo e ricerca di un percorso individuale. Una nuova opportunità professionale per i nati nella prima decade. Un incontro importante.
scorpione Tra il 14 e il 16 emozioni amplificate. Passate queste giornate con le persone a voi più care. Fortuna professionale per i nati nella seconda decade.
sagittario Il transito di Saturno impone una presa di coscienza. Particolarmente disturbati e nervosi i nati nella seconda decade. Malinconici il 16 ottobre.
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acquario Fortuna professionale. Partono favorevolmente i vostri progetti a lungo termine. Maggior riposo tra il 14 e il 16 in occasione della quadratura lunare.
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Gioca e vinci con Ticinosette
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 43
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate il numero 0901 59 15 80 (CHF 0.90) entro giovedì 15 ottobre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 13 ottobre a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Orizzontali 1. Insegnante, allenatore • 9. Frutti conici • 10. Ama Radames 11. Tutelare, salvaguardare • 13. Campicelli coltivati • 14. Consonanti in laurea • 15. Articolo maschile • 16. Un amico di Tex • 17. Nulla • 19. Branco di selvaggi • 21. Diana nel cuore • 22. La tesse il ragno • 24. Cattive • 25. Ligio, solerte • 27. Valor Militare • 29. I confini di Melano • 30. Hockey Club • 31. Crescita economica • 33. Il giorno in corso • 35. dubitativa • 36. Nord-Est • 37. È famosa quella di Michelangelo • 39. Il niente del croupier • 41. Dittongo in giada • 42. Il trapianto del giardiniere • 44. Lo stato con Atene • 46. Mariangela, attrice • 47. Zia spagnola • 49. Le iniziali della Magnani • 50. La sigla del Tritolo • 51. Piace al pigro • 52. Il nome di Fossati. Verticali 1. Piccolo pachiderma africano • 2. Giardino d’inverno • 3. Gira su se stessa • 4. Le gettano i pescatori • 5. Recidere • 6. Felino tigrato • 7. Carme lirico • 8. La perla del collezionista • 12. La rapì Paride • 17. Norvegia e Germania • 18. Ippolito, scrittore • 20. Mingherlina, fragile • 23. Encomiare • 26. Responsabilità Civile • 28. Pittore francese • 31. Dissetarsi • 32. Handicappato, invalido • 34. Ginevra sulle targhe • 38. L’ama Garibaldi • 40. Ama Tristano • 43. La bella Campbell • 45. Folletti nordici • 48. Fiume engadinese.
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Soluzioni n. 39
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La soluzione del Concorso apparso il 25 settembre è: STACCARE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Aris Lombardi 6900 Lugano Al vincitore facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: un Rail Check da CHF 150.– Con l’abbonamento annuale Arcobaleno gli adulti viaggiano 12 mesi pagandone solo 9, i giovani viaggiano 12 mesi pagandone solo 7. Gli abbonati annuali beneficiano inoltre di sconti e promozioni del programma fedeltà a loro dedicato. arcobalenopremia.ch
Viaggiate ovunque con meno di 5.– franchi al giorno. arcobaleno.ch
Arcobaleno offre un Rail Check da CHF 150.– a uno dei fortunati concorrenti che comunicheranno la soluzione corretta del cruciverba.
Svaghi 47
ANTICIPATE L’INVERNO. SORPRENDETELO.
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RIPARTITE A SANGUE FREDDO. AL VOLANTE DI NISSAN JUKE, QASHQAI, X-TRAIL: LEASING* ALLO 0% ACCONTO* 0% nissan.ch
Modelli riprodotti: NISSAN QASHQAI TEKNA 4x4, 1.6 l dCi, 130 CV (96 kW), 5.1 l/100 km, equivalente benzina 5.7 l/100 km, 133 g CO2/km, categoria d’efficienza energetica: C, prezzo di listino Fr. 38 790.–, dedotto premio NISSAN TOP Fr. 2940.–, prezzo netto Fr. 35 850.–. NISSAN JUKE TEKNA 4x4 Xtronic, 1.6 l DIG-T, 190 CV, 6.5 l/100 km, 153 g CO2/km, categoria d’efficienza energetica: E, prezzo di listino Fr. 30 550.–, dedotto premio NISSAN TOP Fr. 2160.–, prezzo netto Fr. 28 390.–. NISSAN X-TRAIL TEKNA 4x4, 1.6 l dCi, 130 CV (96 kW), 5.4 l/100 km, equivalente benzina 6.0 l/100 km, 143 g CO2/km, categoria d’efficienza energetica: C, prezzo di listino Fr. 44 090.–, dedotto premio NISSAN TOP Fr. 2440.–, prezzo netto Fr. 41 650.–. Ø di tutte le auto nuove in Svizzera: 144 g/km. *Valgono le condizioni leasing di RCI Finance SA, 8902 Urdorf: chilometraggio/anno: 10 000 km. Assicurazione debito residuo inclusa. L’assicurazione casco totale obbligatoria per contratti di leasing non è compresa. Tasso d’interesse annuo effettivo 0%. La concessione del credito è vietata se causa un indebitamento eccessivo del consumatore. Esempio leasing: NISSAN JUKE VISIA, 1.6 l 94 CV (69 kW), 6.0 l/100 km, 138 g CO2/km, categoria d’efficienza energetica: E, prezzo di listino Fr. 17 990.–, dedotto premio NISSAN TOP Fr. 1300.–, prezzo netto Fr. 16 690.–, acconto Fr. 0.–, 36 rate mensili di Fr. 269.–, tasso d’interesse annuo effettivo 0%. L’offerta è valida dal 1°.10.2015 al 30.11.2015 o fino a revoca per le ordinazioni di clienti privati presso tutti gli agenti NISSAN aderenti all’iniziativa. NISSAN SWITZERLAND, NISSAN CENTER EUROPE GMBH, Postfach, 8902 Urdorf.
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