Corriere del Ticino · laRegioneTicino · Tessiner Zeitung · chf 3.–
№ 46 del 13 novembre 2015 · con Teleradio dal 15 al 21 nov.
esodo
Il crescente afflusso di migranti e profughi verso l,europa sta mettendo a dura prova i rapporti e gli equilibri fra i paesi del vecchio continente
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Chiusura redazionale Venerdì 6 novembre
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook
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In copertina
In fuga Illustrazione ©Bruno Machado
4 Arti Mostre. Impero eterno di alessandro Tabacchi ................................................. 10 Mundus Ambasciatori. Istruzioni per farla franca di Federico Franchini.................... 12 Vitae Marian Bader di nicoleTTa barazzoni ............................................................. 14 Reportage Curio. Casa Avanzini di s. canali; FoTo di v. caMMaraTa e s. dalla valle .. 39 Profilo Bernard Haitink. Un’occasione imperdibile di oresTe bossini ....................... 44 Luoghi Sala prove. Studio sonoro di Marco jeiTziner; FoTo di Flavia leuenberger......... 46 Fumetto L’Ispettore Leoni di MaTTeo gerber e Francesco dalla sanTa ....................... 48 Tendenze Cappotti. Il ritorno di Monty di Marisa gorza ....................................... 49 Svaghi .................................................................................................................... 50 Agorà Migranti. Passaggio a est
Ticinosette allegato settimanale N° 46 del 13.11.2015
di
Marija Milanovic ................................................
Paese che vai, accoglienza che trovi Mi riallaccio all’articolo che ho avuto modo di leggere nell’edizione no. 42/2015 (Editoriale, “Turismo: il peso di Expo”, ndr.). Avrei voluto scrivere subito in quanto la risposta l’avevo pronta, proprio perché a seguito di un paio di uscite serali mi era capitato di non sentirmi ben accolta. (...) In questi giorni ho letto un articolo che si riallacciava al medesimo argomento e quindi ho deciso di portare la mia testimonianza. Il caporedattore del Blick, Peter Röthlisberger, in un editoriale dal titolo “Caro Ticino”, critica il nostro cantone di scarsa simpatia. E posso dire che mi trova d’accordo su tutta la linea. A fine settembre, un sabato sera, mi sono recata in centro Lugano, con mia figlia. Era una bella giornata e abbiamo deciso di fare un giro per Lugano a vedere le tanto criticate isole verdi e poi di fermarci a mangiare. Ci siamo avvicinate a una nota pizzeria in Piazza Cioccaro: essendo una bella serata vi erano già diversi tavolini occupati all’esterno, anche se erano solo le 18:30. Siamo entrate in cerca di un cameriere per chiedere dove potevamo sederci e quindi ci siamo accomodate. Abbiamo dovuto aspettare diversi minuti prima che ricomparisse a portarci la lista. Sia io che mia figlia eravamo affamate (...) e non vedevamo l’ora di gustarci la cena. Nonostante ci girassero intorno un paio di camerieri e un caposala, ci sembrava di essere trasparenti. Nessuno si fermava, almeno a prendere l’ordinazione delle bibite. Infine, ci siamo guardate in faccia, ci siamo alzate e ce ne siamo andate. A questo punto mi chiedo, chi me lo fa fare di andare a mangiare una pizza a Lugano quando
posso andare a Ponte Tresa, pagare 1/3 ed essere trattata almeno con gentilezza? Perché di più non si pretende. La seconda esperienza invece mi ha spiazzata, non ci volevo credere. Un mercoledì sera sono stata invitata a cena da un’amica che voleva festeggiare il proprio compleanno in un ristorante. (...) Dato che si trattava di un giorno feriale, non volevamo far tardi e quindi verso le 22 abbiamo chiesto il conto. Fuori dalla porta, ci siamo fermate per salutarci quando dietro di noi abbiamo sentito le tapparelle delle finestre che venivano abbassate e la porta che veniva chiusa con due giri di chiave. Non vedevano l’ora che ce ne andassimo! Ma non potevano aspettare due minuti che ci spostassimo? Che brutta sensazione. Ho proprio avuto l’impressione di non essere la benvenuta, solo una cliente in più alla quale dare retta. Ma si rendono conto, che se i clienti smettono di frequentare il loro locale, restano senza lavoro? Io non sono una turista, in 10 minuti rientro a casa mia. Ma mi metto nei panni di un turista, che forse non parla nemmeno la nostra lingua, e magari non viene nemmeno dalla Svizzera, ma da un paese più lontano, di sicuro gli farebbe piacere vedere del personale gentile che lo aiuta a sentirsi a casa. Sono sempre dell’opinione che se si deve lavorare, tanto vale farlo bene, il tempo sul posto di lavoro lo devi trascorrere comunque, quindi non conviene sorridere? Ecco, forse la risposta al calo del turismo in Ticino è questa: la mancanza di gentilezza, disponibilità e poca tolleranza verso chi non è di queste parti. L. C. (mail)
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Passaggio a est Migranti. Il mondo occidentale ha preso atto delle dimensioni della crisi dei migranti. Le notizie dei barconi che affondano nel Mediterraneo sono ormai all’ordine del giorno. Una strana situazione: la disperazione spinge migliaia e migliaia di persone a recarsi verso i paesi balcanici ed è proprio in Serbia che ci siamo recati per capire meglio cosa sta realmente accadendo di Marija Milanovic; illustrazione ©Bruno Machado
M Agorà 4
i sono recata in Serbia all’inizio del mese di agosto, per cercare di comprendere cosa stesse succedendo esattamente. Alla base di questo viaggio una domanda: cosa può offrire a chi è in fuga dalla guerra una nazione che all’inizio degli anni novanta è stata protagonista di un pesante conflitto armato e dalle cui conseguenze ha iniziato a uscire solo da pochi anni? Un paese che oggi si trova ad affrontare un problema inatteso come quello della gestione dei richiedenti asilo. La prima città nella quale mi reco è Niš, nel sud, perché da informazioni raccolte nel mese di giugno, si tratterebbe della prima tappa del viaggio che porta i rifugiati fino all’Ungheria. Ma, con mia grande sorpresa, non trovo nessuno. In pochi minuti riesco ad avere una spiegazione: in giugno la crisi era ai suoi inizi e nessuno sapeva ancora esattamente come si sarebbe evoluta. I più furbi hanno però presto capito come guadagnare soldi facilmente. Tassisti e autisti di autobus si sono organizzati in fretta: da Preševo (città al confine con la Macedonia) hanno cominciato a trasportare i disperati direttamente a Belgrado, dove la rete di passatori si è basata. Mi è però impossibile andare a Preševo per osservare quanto accade: da più parti me lo sconsigliano perché la situazione è tesa. Non tanto a causa dei migranti quanto a causa degli scontri tra etnia albanese e popolazione serba. Inoltre, in quanto cittadina serba, non è il caso di correre rischi. Decido allora di recarmi direttamente a Belgrado. Ed è proprio nella capitale che il quadro della situazione mi risulta più chiaro e che mi trovo faccia a faccia con la realtà dei numerosi iracheni, siriani, somali, afghani in viaggio verso l’Eldorado europeo. Abdourahman, 19 anni, somalo Nella capitale i parchi pubblici – e in particolare quello vicino alla stazione degli autobus – sono sovraffollati e l’immagine di centinaia di persone ammassate su cartoni posati per terra a mo’ di materasso non lascia indifferente nessuno. Qui faccio la conoscenza di Abdourahman, fuggito dalla Somalia. Il giovane, felice di incontrare qualcuno che
parla francese, mi racconta la sua storia, che assomiglia a decine di altre ascoltate durante il mio soggiorno. Con l’aiuto di una rete clandestina il giovane liceale ha lasciato il suo paese via mare; un primo viaggio che gli è costato 1000 dollari e che ha effettuato in compagnia di una cinquantina di persone a bordo un’imbarcazione lunga appena 5-6 metri. Mi è impossibile, nonostante i numerosi tentativi, farmi raccontare dove questa prima tappa li abbia portati e come siano giunti fino in Turchia. Solo a partire da quest’ultima tappa le storie si fanno più precise. Un’altra barca, in condizioni simili alla prima, ha quindi tentato di trasportarli in Grecia, trovandosi però in difficoltà al largo delle coste elleniche: “Senza l’intervento della Marina, non so se sarei qui a raccontarti la mia storia. Ho davvero avuto paura”. Come altrove lungo la rotta migratoria, anche in Grecia la rete clandestina è ben organizzata e da qui, grazie a essa, Abdourahman e i suoi compagni hanno potuto proseguire il loro viaggio verso la Macedonia. Un taxi, applicando tariffe maggiorate, li ha in seguito portati fino alla frontiera con la Serbia, poi attraversata a piedi. Nel paese dell’ex Jugoslavia le autorità hanno loro rilasciato un permesso di soggiorno valido 72 ore (una misura introdotta da Belgrado da pochi mesi soltanto, per cercare di far fronte all’afflusso e di esercitare un controllo su chi entra nel paese), durata che però molto spesso non viene rispettata: Abdourahman è qui già da cinque giorni e non sa quanto resterà ancora. Aspetta, come altri, che un misterioso “qualcuno” gli faccia sapere quale bus prendere per andare verso l’Ungheria. Il suo progetto, come quello di quasi tutti, è quello di raggiungere la Germania. E poi? “Se possibile, vorrei restarvi per continuare i miei studi. Altrimenti cercherò di andare ancora più a nord: Belgio, Danimarca, Svezia o Finlandia”. Un salto nel buio: non c’è infatti, nella maggior parte dei casi, nessuno che li aspetta “dall’altra parte”. Anche una volta raggiunto l’Eldorado, dovranno quindi cavarsela da soli. Episodi positivi? “Non ce ne sono stati. Non mi è successo nulla di bello da quando, in febbraio, ho lasciato tutto. Posso però
raccontarti la peggiore esperienza che mi è rimasta impressa. Si tratta del viaggio tra Turchia e Grecia: la barca era sovraccarica, non riuscivamo a respirare come si deve, mancava l’ossigeno, molte persone si sono sentite male. Ho temuto di morire”. Il ragazzo è partito da solo, ma lo trovo in compagnia di un gruppo di suoi compatrioti, conosciuti, mi spiega, in Turchia. Da allora viaggiano insieme. Perché la migrazione porta con sé anche questo: nuove amicizie e nuovi legami, che cercano di compensare la perdita di quei contatti umani venutisi a spezzare una volta lasciato il proprio paese. Il migrante-tipo Una volta terminato il mio incontro con Abdourahman, decido di discutere con altri rifugiati che incontro nei parchi della capitale: le storie, quando riesco a farmele raccontare – perché non è semplice ottenere la loro fiducia – si assomigliano quasi tutte. Cambiano i luoghi di provenienza delle persone, ma non la loro esperienza. Se dovessi descrivere il migrante “medio”, direi che ha tra i 20 e i 30 anni, è un uomo celibe, ha una discreta situazione finanziaria e almeno due telefoni con sé: uno semplice nel quale inserisce le carte prepagate acquistate durante il viaggio, e uno smartphone che, grazie a internet, gli permette di restare in contatto con chi non è potuto partire con lui o con chi lo aspetta alla destinazione finale. Non mancano però nemmeno le coppie con figli in giovane età. Il mio cammino incrocia poi quello di chi lavora al Centro per richiedenti asilo di Belgrado. Il direttore del centro mi
rivela un’informazione poco nota: il posto per accogliere una parte dei migranti che ho visto nei parchi c’è, ma non viene sfruttato. Questo perché le strutture apposite si trovano distanti dai centri urbani e quindi le persone preferiscono dormire all’addiaccio, nelle vicinanze dei passatori, piuttosto che avere un materasso, un tetto e pasti regolari, ma non avere la possibilità di partire appena l’occasione si presenta. Ecco spiegata l’invasione di massa in città di questi senzatetto di passaggio. Perché, non dimentichiamolo, la Serbia è esattamente questo: solo e unicamente una terra di passaggio, una sosta lungo la strada verso un futuro (forse) migliore. Nessuno ha intenzione di restarvi, cosciente del fatto che il paese non è in grado di offrire la miglior vita alla quale invece queste persone ambiscono. Ed è proprio a causa di questo che il lavoro delle operatrici psicologiche, sociali e pedagogiche è difficoltoso: i contatti con i migranti sono brevi e risulta difficile aiutare qualcuno in pochi giorni, come mi spiega la psicologa del centro. “Molte di queste persone hanno subìto delle perdite su più livelli: materiali, umane, identitarie. Non solo non hanno più una casa e molti di loro hanno subito dei gravi lutti, ma hanno anche perso la propria cultura e le proprie tradizioni, e di conseguenza la propria identità. Hanno smesso di essere quello che erano e sono ormai diventati solo dei migranti”. I traumi che queste persone si portano dentro, mi spiega, sono enormi: in fuga da conflitti armati e arruolamenti forzati nell’esercito, in moltissimi sono stati testimoni o vittime di violenze fisiche e mentali. E gli aguzzini non sono sempre quelli che uno (…)
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si immagina: “Spesso mi vengono raccontate storie di abusi da parte di operatori umanitari, polizia e soldati”. La conseguenza è ovvia: queste persone non si fidano più di nessuno, hanno paura anche di chi vuole sinceramente porgere loro una mano amica. “È difficile conquistare la loro fiducia nei pochi giorni che riusciamo a restare in contatto. Si presenta inoltre un altro problema: quando si apre il vaso di Pandora, e non si gestisce in maniera appropriata quanto ne fuoriesce, le conseguenze possono essere anche più gravi del previsto. E noi esperti non siamo sempre presenti per aiutare, più tardi, queste persone a gestire i propri sentimenti”. Bambini a rischio Come viene invece gestita la presenza di numerosi bambini, costretti, alla pari degli adulti, a camminare per chilometri sotto la stecca del sole, a dormire all’aperto, a non potersi lavare per giorni? “Loro riescono ad accettare meglio la situazione nella quale si trovano: sono estremamente flessibili e si adattano con una certa facilità a tutte le novità che si trovano ad affrontare”. Purtroppo, però, dall’altra parte, sono anche le vittime più facili per i trafficanti di esseri umani e per i pedofili. Ciò è valido in particolare per quei giovanissimi che viaggiano da soli, senza genitori, parenti o amici. “Fra le storie più drammatiche che ho sentito, quelle di separazioni tra membri della stessa famiglia sono le più difficili da digerire. È capitato infatti in più occasioni che genitori e bambini venissero piazzati su veicoli diversi, per facilitare l’attraversamento della frontiera. Poi però solo uno dei due mezzi la passa liscia, mentre l’altro viene bloccato. I due gruppi si perdono di vista ed è estremamente difficile per loro ritrovarsi”. E tra i compiti del centro c’è anche quello di offrire non solo il sostegno legale (si deve fare in modo che ai minorenni venga riconosciuto lo statuto di rifugiato), ma anche e soprattutto quello psicologico. “Immaginatevi l’orrore per un bambino di essere separato dai propri genitori. Il nostro ruolo è quello di farli sentire al sicuro e protetti”. Il muro ungherese Dopo aver discusso con rifugiati e operatori psico-sociali, l’ultima tappa, per me, è la frontiera serbo-ungherese. È
il primo agosto, siamo nel pieno della stagione delle vacanze, eppure la strada che ho scelto di percorrere è stranamente deserta. Nessuno per strada, nessuno in dogana e nemmeno nei campi intorno. Eppure si tratta di un passaggio di confine minore (Kanjiža), la sorveglianza è ridotta, e quindi il passaggio illegale più facile. Arrivando avevo intravisto tre ragazzi che camminavano lungo i binari, ma non riesco più a ritrovarli. Quando ormai sto per rinunciare, incontro in maniera totalmente fortuita il presidente della comunità locale, che, nonostante sia domenica e che sia il suo giorno libero, senza esitare mi porta a vedere con i miei occhi il muro – che era ancora incompleto – che il governo di Budapest ha deciso di costruire per cercare di bloccare l’afflusso di migranti. Ma prima insiste per mostrarmi quello che in pochi hanno visto: i luoghi dove i rifugiati si accampano lungo il loro cammino verso il confine. E qui mi rendo conto dell’impatto che il passaggio dei migranti determina sull’ambiente. Le loro tracce sono ovunque: rubano la frutta nei frutteti, le uova nei pollai, abbandonano i propri rifiuti per strada, nei terreni degli agricoltori e nei boschi di solito deserti generando disagio nella popolazione. Giunti al muro, la mia guida mi spiega che questo non farà che spostare il problema altrove: “Se non possono passare da qua, cercheranno altre vie, e le troveranno”. La strada si allungherà, ma non sarà un problema per chi ha già percorso migliaia di chilometri. La Serbia è accerchiata da accessi all’UE: restano la Romania, la Bulgaria e la Croazia. La Croazia decide di isolarsi E ha avuto ragione: nel mese di settembre la Croazia ha iniziato a chiudere le sue frontiere con la Serbia, per evitare l’accesso di massa e senza controllo di migranti illegali. Ciò ha riportato in superficie vecchie tensioni tra i due paesi, mai completamente sopite. E le immagini della guerra jugoslava (1991-1995) si rifanno vivide nella memoria di molti… Pochi giorni fa, infine, un fulmine a ciel sereno: la notizia, anticipata dai media locali, che il governo di Zagabria starebbe anch’esso valutando l’idea di innalzare un muro di protezione. La Serbia sarebbe quindi destinata – se Belgrado non intraprende misure radicali – a continuare da fare da tampone tra l’UE e il resto del continente. Un ruolo che potrebbe presto condividere con la Bosnia-Herzegovina, il cui confine con la Croazia è molto più esteso e quindi più difficile da controllare nella sua totalità. E chissà che i migranti, finalmente non decidano di fermarsi proprio in questo paese, la cui popolazione è composta al 45% da fedeli di confessione musulmana, con usi, costumi e cultura simili ai loro. L’idea di un’Europa unita sta, insomma, subendo delle trasformazioni: un’unione impermeabile e isolata dai propri vicini, che da soli non potranno far fronte a una crisi sempre più incontrollabile.
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Impero eterno
La mostra organizzata dal Museo d’arte di Mendrisio offre l’occasione per riflettere sulla nostra percezione dell’arte classica e sul ruolo svolto da Roma nel diffonderla ai posteri di Alessandro Tabacchi
L’arte classica ellenica è giunta a noi filtrata, e immancabilmente plasmata, rimaneggiata e aggiornata (questo l’aspetto più importante) dalla sensibilità, dalle capacità tecniche e dal gusto personale dei tanti anonimi, e spesso talentosi, scultori operanti nei secoli dell’Impero romano, spesso copisti, meno spesso artisti indipendenti, seguaci di una gloriosa tradizione. Proprio a causa di questa funzione di cerniera fra ellenicità e mondo medievale e moderno, la scultura romana è stata letta da una vulgata scolastica, sempre in voga, in modo riduttivo come una gigantesca opera di copia degli originali greci.
Arti 10
Le mille facce di Roma Dobbiamo rileggere l’arte romana con occhi nuovi, e ridarle quella dignità di valore autonomo che merita. E questa mostra ci permette di farlo, poiché pone in dialogo molti manufatti romani dei secoli imperiali con sculture medievali e barocche legate all’eredità classica, arrivando fino al neoclassicismo di Bertel Thorvaldsen. Incarnate nel marmo troviamo le pulsioni culturali che hanno mosso la nostra storia per secoli e secoli. Da Carlo Magno fino a Napoleone, e oltre, la storia d’Europa è stata una titanica (e fallimentare) serie di tentativi di riaggiornare l’Impero che fu di Roma, tanto geograficamente, quanto cultuRealismo e rigore ralmente. Dal Sacro Romano ImSe questa visione semplicistica è pero, traballante, entropico, eppur indubbiamente vera per quanto ricoriaceo puzzle di tensioni ideali guarda la maggioranza dei soggetti cesaree, alla Russia zarista (con e delle pose convenzionali – del Mosca come “Terza Roma”) l’ereresto l’originalità come valore a sé dità dell’Impero ha viaggiato fra è prodotto dell’era moderna e non i secoli, come una chimera, un dobbiamo trascurare l’importanza sogno, o un incubo. La vediamo del lavoro dei copisti in un’epoca materializzarsi, questa eredità, nelche non disponeva di supporti per le sculture barocche del seicento duplicare le opere e diffonderle per Ercole fanciullo con il serpente, scultore romano della seconda metà del XVII secolo (da un originale qui esposte, fra cui uno Spellato mezzo di altri media –, ha invece di Ercole Ferrata), marmo statuario mozzafiato, che fa impallidire le minor forza se ci addentriamo in smargiassate in formaldeide di un un’analisi profonda (vorrei dire fenomenologica) delle opere prodotte dagli ignoti scalpellini Damien Hirst, o in quell’Eracle Bambino con la serpe, che operanti nell’Impero. Possiamo notare, e apprezzare nella si pone in diretto dialogo con la tradizione iconografica loro originalità, i tratti propri della ritrattistica di epoca pagana, che ornò l’Urbe e le terre mediterranee a lei assogimperiale romana: il realismo, la sobrietà nei mezzi, una gettate per quattro secoli e oltre. E anche quando alla messe di soggetti pagani si avvicendarono, con la conversione al certa durezza psicologica sempre presente. Guardiamo il Tito imperatore esposto in mostra. Tutte le cristianesimo, motivi iconografici nuovi e visualmente più caratteristiche della ritrattistica romana sono riassunte in cupi, intrisi di gravitas, l’eredità romana venne mantenuta questo volto, duro e realistico, che non rinuncia a mostrare in vita. Si veda il tentativo di rendere le pieghe delle vesti la pinguedine dell’effigiato e un senso di apatia disillusa del Vescovo benedicente del XII secolo in mostra: siamo nel suo sguardo: l’arte ellenica, col suo platonismo forgiato lontani anni luce dalla levità e dal virtuosismo dell’arte nel marmo, è molto lontana. classica, eppure è palpabile la tentazione di rapportarsi, con La medesima riflessione si potrebbe esprimere riguardo umiltà commovente, alla grande tradizione della scultura Ulpia felicitas del II secolo d.C., la cui malinconica austerità di Roma imperiale. Tutte le strade conducono a Roma, dice mi è parsa anticipare di tanti secoli la sublime linearità un famoso proverbio: questa mostra ce lo restituisce con del Laurana o del Verrocchio, ma che, spingendo il nostro autorevolezza e lo invera, scolpito nella pietra. sguardo molto più lontano, pare contenere in nuce anche la forza realistica dei ritratti di Kathe Kollowitz o la mala mostra linconia di certe levigate, inquietanti sculture simboliste, Roma eterna, capolavori di scultura classica. La collezione Santarelli. e forse anche un po’ della ieraticità di certi pezzi stanti di Sino al 31 gennaio 2016, Museo d’arte Mendrisio. Henry Moore o Marino Marini. Tel. +41.(0)58 688 33 50; mendrisio.ch/museo
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Istruzioni per farla franca Desideri godere dell’immunità giudiziaria? Una possibilità c’è: farsi accreditare in qualità di ambasciatore presso una sede diplomatica in Svizzera. Poco importa per quale stato... di Federico Franchini
Più è piccola e sconosciuta la nazione che rappresenti, meno darai nell’occhio… e più facile sarà ottenere il titolo di ambasciatore. I vantaggi invece – a dispetto del tuo “peso” politico ed economico – sono uguali per tutti: sia che tu diventi ambasciatore degli Stati Uniti e della Russia (cosa per altro improbabile) oppure di un micro-stato caraibico (cosa già più fattibile). L’unico ostacolo, probabilmente, saranno i soldi: l’acquisto del titolo di agente diplomatico può raggiungere anche il mezzo milione di dollari.
Mundus 12
fare dei fondi illeciti depositati in Svizzera dall’ex presidente nigeriano Sani Abacha. Oggi, con lo statuto di ambasciatore, Chagoury, sarebbe intoccabile. Così come lo è stata Gulnara Karimova, figlia del presidente/dittatore dell’Uzbekistan. Quando, nel 2012, il Ministero pubblico della Confederazione ha aperto un’inchiesta per riciclaggio di denaro, i procuratori si sono scontrati contro un muro: la signora era infatti ambasciatrice del suo paese presso il Consiglio dei diritti umani.
Materie prime, denaro e cocaina Un’isola da sogno Ambasciatori e consoli sono Sono diversi gli stati che non spesso attivi nel commercio hanno i mezzi per offrire di materie prime. Jean-Paul posti presso le varie missioGandur, miliardario vodese, ni diplomatiche. Per questo fondatore di una società pesono disposti a fare indossare trolifera, è stato console onoi panni dell’ambasciatore al rario del Congo-Brazzaville a miglior offerente. Qualche Ginevra. Da poco nominato tempo fa, le Matin Dimanche ambasciatore della Repubha raccontato la storia del blica centrafricana presso rappresentante di Granada La bandiera dell’isola di Santa Lucia, Caraibi la sede ginevrina dell’ONU, presso l’ONU a Ginevra. George Cohen, il multimilionario francese che beneficia di Laurent Foucher è un uomo d’affari francese attivo nel questo statuto, non sembra dedicare molto tempo all’attività settore minerario, nel petrolio e nelle telecomunicazione. diplomatica: dalla sua nomina nel 2008, come da lui stesso La Repubblica centrafricana ci riporta a un caso del 2008 ammesso, non ha mai visitato il Palazzo delle Nazioni. In- quando, all’aeroporto di Zurigo-Kloten, su un uomo in terrogato dai colleghi romandi sulle motivazioni di questa provenienza da Bangui vennero trovati diamanti non disua investitura, l’uomo ha risposto di volere rendere servizio chiarati per un valore di 128mila franchi. Indagini successive hanno portato a scoprire la persona che teneva i fili del a un’isola magnifica del quale si è innamorato. traffico, provando ulteriori attività di import-export illegali. Questa stessa persona, già condannata per truffa in Svizzera Immunità giudiziaria Ma quali sono i vantaggi di cui gode un ambasciatore di e in Germania, fondatore e responsabile di una società di stanza in Svizzera? Secondo le regole in vigore, stabilite dalla commercio d’oro, sul suo sito personale afferma oggi di Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, “l’agente essere console onorario di questo martoriato stato africano. diplomatico gode dell’immunità della giurisdizione penale dello A volte il titolo diplomatico è utilizzato per favorire opestato accreditario”. Ma ci sono altri privilegi, in particolare l’e- razioni illecite. Di recente, la procura di Roma ha scoperto senzione fiscale e doganale. Alla frontiera, infatti, la famosa che denaro proveniente dal traffico di cocaina era trasferito “valigia diplomatica” non dev’essere aperta né trattenuta. all’estero con l’ausilio di personale diplomatico congolese. Granada non è l’unico stato ad avere accreditato un uomo Qualche anno fa fece scalpore una truffa che coinvolse un d’affari straniero a Ginevra. Santa Lucia, 175mila abitanti fiduciario ticinese il quale beneficiava del titolo di console nel cuore dei Caraibi, è rappresentata da Gilbert Changoury, onorario di Vanuatu. Nel 2013 invece, nell’ambito di un “businessman” libano-nigeriano. In carica dal 2003, Cha- processo per riciclaggio e traffico di droga presso il Tribugoury è il più longevo ambasciatore accreditato al Palazzo nale penale federale, venne dimostrato come un corriere delle Nazioni. L’uomo d’affari non è immacolato: nel 2000 fosse stato munito di un “impianto diplomatico” falso che un giudice lo ha ritenuto colpevole di riciclaggio di denaro permetteva il trasporto e l’importazione della cocaina in e sostegno a un’organizzazione criminale in relazione all’af- Svizzera.
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V
ivere a Lugano mi infonde molta riconoscenza, poiché mi dà la possibilità di assaporare la pace. Cerco tutti i giorni l’amore. Le persone che incontro sono un’occasione di arricchimento per la mia esistenza. Quando penso al Venezuela provo però tanta nostalgia e tristezza perché è un paese distrutto. Quando dico che sono grata alla Svizzera è perché ho vissuto una situazione pericolosa. Guardo a questo paese con ammirazione anche se ci sono due aspetti umani che lo caratterizzano: ho trovato persone diffidenti che si lamentano per cose vane ma ho anche incontrato persone semplici e generose con molti valori. Cerco di portare qui parte della mia cultura ma devo prima sapermi adeguare e integrare. Mio marito Ado, che è di nazionalità svizzera, l’ho conosciuto a Praga, in un momento della mia vita in cui ero molto sola. A quel tempo abitavo a Miami. Trovando lui è stato come riconoscere il mio cuore. Negli Stati Uniti ho seguito un master in Diritto, lavorando poi nell’antiriciclaggio. A Caracas ero avvocato. Sono cresciuta in una famiglia in cui c’erano due visioni del mondo. Mia mamma, che era educatrice, aveva un approccio alla vita molto amorevole e solare, l’espressione dell’amore. Mio padre, capitano della marina, aveva una visione molto più rigida. Nel 1999 ci siamo trasferiti negli Stati Uniti per scappare dal regime. Ci siamo dovuti reinventare una vita a Miami. La scelta più dolorosa che ho fatto è stata quella di lasciare i miei genitori in un paese a rischio, che non ha futuro. Non siamo stati colpiti direttamente dal regime ma una mia zia, che amavo tanto, è stata uccisa a causa della situazione di insicurezza che si vive nel mio paese. Quando ci fu il tentato colpo di stato ho visto gente che sparava a caso contro la folla. C’eravamo anche io e mia mamma. Tra chi sparava c’era l’attuale presidente del mio paese. Sono morte persone giovani sotto i nostri occhi, è stato un giorno che non potrò più dimenticare. Vivevamo in una continua condanna e nel terrore di non poter rivedere l’alba del giorno dopo. La pace, insieme alla vera scelta della libertà, che la Svizzera mi sta dando non ha prezzo. Qui ho il pane. In Venezuela non trovi il pane, lo zucchero, la carta igienica. Ma del
Venezuela ho conservato la passione e il senso di fiducia verso il prossimo. In Svizzera la mia formazione di avvocato non è stata riconosciuta. Ho lavorato però in una banca a Lugano. Sono stati due anni in cui ho conosciuto persone fantastiche, ritrovando me stessa, non abitando più nella mia mente ma nel mio cuore. Così ho potuto alimentare la mia passione per la fotografia che adesso è diventata il mio mestiere, che esprimo nei locali dello “Spazio 1929” di Lugano. Sono soddisfatta dei risultati che stanno arrivando dopo quattro anni di impegno, che mi sta portando anche all’estero. Sono fotografa di matrimoni. Mi piace documentare l’amore, fissando artisticamente i momenti più felici della vita. Non dirò mai che sono completa perché altrimenti non posso crescere. Ho raggiunto un buon livello ma voglio continuare a migliorare anche per essere, magari, fonte di ispirazione per altri. Mi piacciono anche i ritratti di donne con le quali cerco di far emergere la loro luce interiore. Il percorso formativo me lo sono organizzata da sola. Ho iniziato contattando tutti i fotografi che mi piacevano, chiedendo loro di farmi da mentore, autofinanziandomi con i risparmi che ho raccolto quando lavoravo in banca. Ho seguito dei corsi con fotografi riconosciuti, imparando da loro il mestiere. Roberto Valenzuela mi ha dato molto con la sua umiltà. Anche Bob e Dawn Davis che abitano a Chicago e fanno fotografie di matrimoni di persone note mi hanno fornito un grande supporto morale. Sono in contatto con una comunità di esperti in fotografie di matrimoni che fanno reportage. Pedro Cabrera, Tyler Wirken e Brett Butterstein, ognuno con le proprie competenze, mi hanno offerto molti spunti di riflessione. Se qualcuno mi invidia vuol dire che sto andando bene. Mentre se sei invidioso vuol dire che non sei soddisfatto di te stesso. Non ho ancora raggiunto il mio obiettivo che però non voglio nemmeno raggiungere perché vorrebbe dire non avere più nulla da raccontare. Tra cinque anni mi vedo felice, mentre faccio la fotografa, e sto insegnando quest’arte ai più giovani, magari ai più giovani.
MARIAN BADeR
Vitae 14
Il primo sentimento che prova il mattino quando si sveglia? Un grande senso di gratitudine per poter avere un nuovo giorno da scoprire
testimonianza raccolta da Nicoletta Barazzoni fotografia ©Simone Mengani
Curio
Casa avanzini di Sara Canali; fotografie ŠVincenzo Cammarata e Simona Dalla Valle
Una delle sale dell'ala principale, situata a nord
Il salone centrale con i dipinti murali e, sullo sfondo, il pianoforte
La stanza dei libri, posta al piano superiore
S
edie, in ogni stanza. Come ad aspettare che qualcuno vi si accomodi, o come a dire che qualcuno si è appena alzato. Sono fuori posto, scomposte, vissute. Sullo sfondo stanze polverose, ma cariche di energia e l’impressione che le mura e il mobilio siano ancora imbottiti di vita, quella che resta di secoli di storia che hanno visto passare per le stanze di casa Avanzini persone, famiglie e racconti. Siamo nel comune di Curio, un villaggio del medio Malcantone adagiato morbidamente sulle colline che si specchiano nel lago di Lugano, ed è proprio qui che sorge questa dimora, nell’antico nucleo del paese con la facciata rivolta sulla via carrozzabile che lo percorre da destra a sinistra. Qui gli Avanzini sono conosciuti da sempre, fin dal Medioevo perché fondamentale era il loro ruolo quali notai quando ancora non esisteva un registro cantonale né statale e tutti gli atti venivano conservati tra le mura della casa. Un luogo di potere che ha accolto la gente più misera e quella più “importante” e ricca, suscitando sempre una sorta di reverenziale soggezione nel visitatore.
Una grande cantina e oltre 50 Stanze Organizzata su tre elementi architettonici che sorgono intorno alla corte centrale, quello che si vede oggi della villa è il frutto di continue trasformazioni nei secoli. Le cantine invece conservano uno stile medievale che fa di questo luogo un patrimonio di grande valore. Al suo interno, distribuite su quattro piani e tre ali, si contano cinquantatré stanze che raccontano il vivere di più famiglie insieme, figli dei figli, e la servitù, in camere più piccole. Totale: 966 metri quadrati di superficie, di cui 450 costituiscono il complesso abitativo, 130 la corte e poco meno di 400 il giardino. Di questa vita, restano i segni, le impronte, le ombre. I tavoli al loro posto e una quantità di libri sparsi nelle sale più alte. È l’ala nord quella abitata più a lungo, fino al 1997 per l’esattezza. A viverci fu Annita Avanzini, moglie di Pietro che fu figlio di Pietro e nipote di Pietro. C’è ancora l’urna delle ceneri dell’ultimo Pietro Avanzini in questa parte di casa che fino all’ultimo accolse il calore della presenza umana, e ancora ci sono i suoi diari, conservati nel museo del Malcantone. Su queste agende annotava ogni cosa con precisione quasi maniacale arricchendo gli scritti di disegni e schizzi dove spesso si riconoscono angoli di Curio e del paesaggio circostante. Personaggio notevole, colto, appassionato d’arte, aveva frequentato l’accademia di Firenze e sul passaporto si definiva “possidente”, uno degli ultimi signori a poterselo permettere. Fu un amante della bicicletta al punto da essere considerato da alcuni cronisti sportivi il più grande ciclista ticinese di tutti i tempi. Faceva tutto così, come farebbe un piccolo D’Annunzio di provincia.
Una delle stanze da letto principali, situata nell’ala nord della villa
Le stanze dell’ala secondaria sono più spoglie e meno conservate
Il passaggio verso la cucina dell’ala principale
Vince Cammarata Classe 1978, vive a Muralto. Graphic designer di formazione (Accademia di Comunicazione, Milano), ha un master of Science in Corporate Communication (USI, Lugano) e ha frequentato il Corso di Alta Formazione in Fotogiornalismo (Contrasto, Milano). Collabora anche con il settimanale Azione. vincecammarata.com Simona Dalla Valle Fotografa e filmmaker, vive e lavora tra Londra e la provincia di Como. Insieme a Vincenzo Cammarata fa parte del collettivo Fosphoro.
(...)
Il balcone si affaccia sul retro della casa, con vista sul giardino e sulla chiesa di Curio
Sulle pareti della cucina principale vi sono ancora i segni delle pentole
Il giardino di casa Avanzini: nella parte sinistra si trovava la vasca per le anguille
Libri e una vasca per Le anguiLLe Pietro e Annita abitavano la cucina che conserva ancora il segno delle pentole appese al muro, lo studio dove venivano conservati i rogiti e dove ora resta solo una libreria vuota, e le camere da letto al piano superiore, con i letti ancora oggi coperti da lenzuola e trapunte. Il salotto su tutti è il luogo più significativo della casa, locale di rappresentanza con ritratti di famiglia e, ancora oggi, un pianoforte. Dipinti murali ottocenteschi rendono ancora più suggestiva la stanza che invita chiunque a prendere posto sulle sedie sparse, per ascoltare l’immaginaria musica di quei tasti bianco e neri. Immacolati gli spazi, è come se fossero in attesa, sospesi e fuori dal tempo, pronti ad essere riutilizzati, all’occorrenza. Poi c’è una stanza piena di libri, vi si accede dal ballatoio del piano di sopra, quello delle camere. Manca una libreria e i bei volumi sono sparsi a terra, quasi ne fosse stato rovesciato un sacco pieno, e su di loro si srotola un filo di luce, che passa dalle finestre serrate, dalle imposte e dalle fessure. È una poesia osservarli uno a uno, scoprirne i titoli e camminarci in mezzo, prima di ridiscendere e prendere aria passeggiando sul balcone che si affaccia sul giardino e sulla chiesa di Curio. Nell’erba, se si osserva bene, si scova una vasca dove era abitudine tenere le anguille, cibo nobiliare da consumare fresco.
conservare e far rivivere Dai suoi diari, non è difficile capire quanto Pietro Avanzini fosse legato alla casa. Diceva che alla sua morte l’avrebbe donata al comune, come in effetti accadde nel 1974, lasciando comunque l’usufrutto alla moglie. Nella sua immaginazione, come racconta in una lettera per un amico, vedeva nella villa un casa di riposo per vecchi artisti e artigiani locali, un luogo insomma che mettesse insieme i saperi e le arti. Su questa linea, ben si innesta il progetto della Federazione delle Associazioni di Artigiani del Ticino (GLAti) che vuole far rivivere la quattrocentesca Casa Avanzini trasformandola in un centro artigianale regionale. Alla base, l’idea dell’economia frugale che cerca di recuperare spazi con un minor dispendio di energia. Pochi lavori di restauro per tenere vivo l’aspetto autentico di questo luogo così speciale e metterlo in sicurezza prima di affidare le stanze ad artigiani capaci di prendersene cura. Atelier, spazi condivisi, un’enoteca nelle cantine, queste alcune delle idee per ridare sangue alla arterie dell’edificio. Questa una delle idee, la più accreditata. Intanto, mentre la burocrazia fa il suo corso, casa Avanzini si mantiene così, sospesa in bilico in un non-tempo facendo ciò che in tutta la sua esistenza ha imparato meglio: aspettare.
Un’occasione imperdibile
Il ciclo di concerti che Bernard Haitink dirigerà a Lugano nei prossimi giorni offre un’occasione unica per ascoltare uno dei grandi maestri del novecento di Oreste Bossini
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Il 17 e 18 novembre, nel nuovo
auditorium del LAC, Bernard Haitink dirigerà la Chamber Orchestra of Europe in un ciclo di musiche di Robert Schumann, con la partecipazione di due eccellenti solisti appartenenti a generazioni diverse come il violoncellista Gauthier Capuçon e il pianista Murray Perahia. Haitink è il “grande vecchio” della musica europea e ogni occasione di ascoltarlo è imperdibile. A 86 anni compiuti, pur avendo ridotto il numero dei concerti, continua a regalare al pubblico
splendide lezioni di musica e di stile. I suoi colleghi coetanei, da Carlos Kleiber a Colin Davis, Lorin Maazel e Claudio Abbado, sono ormai scomparsi e Haitink rimane l’ultimo rappresentante di una generazione che ha fatto in tempo a vivere l’età dell’oro della grande musica. La sua figura è stata forse un po’ meno appariscente, perché a differenza degli altri maestri della sua epoca Haitink non ha svettato in misura analoga nel regno dell’opera. Non per scarso amore del teatro o del lavoro con i cantanti, ma per un rispetto assoluto nei confronti della musica e delle ragioni dell’arte insito nella sua natura. Il mondo dell’opera, così complesso e articolato, qualche volta richiede dei compromessi che un artista come Haitink non era molto disposto ad accettare. In questo forse emerge il rigore calvinista delle sue origini olandesi, che si manifestano anche in altri aspetti della sua biografia di direttore. Interprete memorabile Haitink, per esempio, non ha mai saltabeccato da un’orchestra all’altra, ma è rimasto fedele a un novero abbastanza ristretto di compagini. La sua orchestra del cuore è stata il Concertgebouw di Amsterdam, che ha diretto per oltre un quarto di secolo dal 1961 al 1988. Dopo Amsterdam, dove ha chiuso i rapporti in maniera un po’ burrascosa con l’orchestra, Haitink si è trasferito in Inghilterra. Qui ha diretto per molti anni la London Philharmonic Orchestra, il Covent Garden, il festival di Glyndebourne Opera. Fuori dall’Europa, Haitink si è limitato a dirigere in maniera stabile solo la Boston Symphony, un’orchestra di grande carattere e di spiccata personalità. Le orchestre lo adorano, i virtuosi si farebbero in quattro per far musica con un maestro della sua esperienza e intelligenza musicale. Le masterclass di direzione d’orchestra che Haitink tiene al Lucerne Festival sono tre le più ambite e raccol-
gono centinaia di richieste, per un corso riservato a non più di 25 studenti. Quello che affascina i giovani, oltre ai segreti di un mestiere che paradossalmente non si può insegnare, è la figura di un artista che ha avuto la fortuna di conoscere e di lavorare con i giganti della musica del novecento. Haitink per esempio ha incontrato Dimitrij Sostakovic a Mosca, le cui Sinfonie, in particolare la Quarta e la Quindicesima, figurano tra le sue interpretazioni memorabili. I grandi affreschi sinfonici esaltano infatti le sue qualità musicali e non è un caso che Mahler e Bruckner, autori pur così diversi e allo stesso tempo legati allo sfondo culturale dell’Austria decadente, rappresentino forse il punto culminante della magia delle sue interpretazioni. Esplorando Schumann A Lugano Haitink dedica un intero ciclo a un autore come Schumann, che non è ricordato esattamente come un maestro dell’orchestra. Il giudizio critico sulle sue quattro Sinfonie è stato a lungo negativo, soprattutto in riferimento alla qualità della scrittura orchestrale. Mahler giunse addirittura a correggere la strumentazione di Schumann, per eliminare difetti imputati alla scarsa pratica dell’autore con l’orchestra. In effetti l’esperienza di Schumann come direttore d’orchestra a Düsseldorf, negli ultimi anni della sua vita, fu abbastanza disastrosa e si concluse in maniera catastrofica, con i dirigenti dell’orchestra venuti a trattare con la moglie Clara le dimissioni di Schumann, poco prima che il musicista si gettasse nel Reno in preda a una crisi nervosa. Anche i Concerti per violoncello e per pianoforte, malgrado la musica meravigliosa che contengono, rappresentano degli esempi del tutto eterogenei rispetto alla tradizione di questo genere. Il Concerto per violino poi, scritto immediatamente prima di perdere la ragione, venne addirittura secretato dagli eredi
e da Brahms, curatore insieme a Clara del lascito musicale di Schumann, ed è tornato alla luce soltanto negli anni trenta del novecento. Il Concerto non ha ancora trovato un posto stabile nel repertorio delle sale da concerto, e non rientra nemmeno in questo ciclo di Haitink. Eppure, malgrado tutte le debolezze e i lati eccentrici del suo linguaggio sinfonico, Schumann espresse in questi lavori il dolore implacabile e la nostalgia inestinguibile per la perduta armonia del mondo, incrinato in maniera
irrimediabile come un cristallo colpito da un sasso. La ricchezza del mondo di Schumann, che Haitink esplora con la Chamber Orchestra of Europe, la scopriremo solo ascoltando i due concerti di Lugano. Orchestra e direttore formano un equipaggio ideale per affrontare questo viaggio, dal momento che la Chamber Orchestra unisce l’immediata reattività di un quartetto d’archi a un colore del suono nobile e fresco, affinato in molti anni di lavoro e di studio filologico.
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Sala prove. Studio sonoro di Marco Jeitziner; fotografie ©Flavia Leuenberger
Luoghi 46
Pare che negli Stati Uniti sia il garage di papà o lo scantinato di casa. Pare che nella vicina Italia sia quasi impossibile trovarne. Resta che ogni gruppo musicale, ogni appassionato che si rispetti, deve esercitarsi in un “locale prove” o “sala prove” per creare, ripetere, allenarsi e persino esibirsi davanti a un piccolo pubblico. Questi luoghi esistono in tutto il cantone, sono molto diversi uno dall’altro e sono soprattutto privati. Minuscoli scantinati Per trovare una sala prove serve spesso il passaparola. Accedervi a volte è una vera Via Crucis (non di rado ci sono delle lunghe liste di attesa!). Cito qualche aneddoto personale. Ricordo quando andai a chiedere nella zona industriale del mio distretto se ci fosse uno scantinato, un bunker, un “buco” per provare e suonare. Il proprietario di un’azienda mi guardò diffidente, come se la mia richiesta fosse la più assurda di questo mondo. A volte ai privati interessa solo incassare soldi, non capendo nulla di musica, tant’è che ci offrirono di provare all’interno di uno skate-park (sic!). L’impressione è che il musicista (bravo, pessimo, noto o sconosciuto) non venga considerato come un qualsiasi altro creativo, ma come uno che fa “rumore”. Be’, prima sala prove: uno scantinato di un bar frequentato soprattutto da giovani metallari, messo a disposizione dal gerente del ritrovo. Era possibile farlo perché nell’immobile c’erano solo uffici. Il locale doveva misurare sì e no quindici metri quadrati. Non c’erano né bagni né acqua corrente, ma alcune regole di orario e pulizia. Dopo qualche mese fummo tutti cacciati a causa di alcuni adolescenti irrispettosi.
Magazzini decadenti Seconda sala prove: una delle baracche all’esterno di un’industria abbandonata. Lo spazio era molto più grande, quindi potemmo finalmente arredarlo con del mobilio usato, c’erano i servizi, non molto igienici, ma vi portammo anche un frigorifero. Ah, quanti assoli, rullate, slaps, arpeggi, colpi di tasti, distorsioni e feedback acustici? E quante risate e sudate in estate? Ci restammo qualche anno, malgrado il tetto bucato, qualche topolino che rosicchiava i cavi elettrici e dei furti da parte di alcuni vandali. Siccome le baracche non erano acusticamente isolate il nostro hobby non era mai veramente libero: si provava quando non suonava nessun altro gruppo. Creammo tante canzoni e improvvisammo a volte con musicisti di ogni tipo e di ogni età, ma c’erano due problemi. Il primo: l’anziano vicino, l’unico, sosteneva che i nostri accordi lo disturbassero più del fiume, del treno o dell’autostrada che correvano prossimi a a casa sua. Il secondo: l’affitto proibitivo. Purtroppo c’è chi lucra sulle spalle di chi pratica musica, a suon di contratti capestro e di disdette legali, manco si trattasse di affittare appartamenti. Solaio aziendale La terza sala prove fu il solaio di un’azienda agricola. Si doveva attraversare il villaggio, poi campi e serre e superare uno stretto ponticello per arrivarci. Una stretta scala conduceva al secondo piano del grande capannone. Lo condividevamo con un altro gruppo musicale, così dimezzavamo le spese dell’affitto. Restammo sbalorditi dalla pessima acustica dovuta al soffitto di metallo posto in diagonale, ma soprattutto dal freddo che c’era in inverno. In compenso c’era l’acqua corrente e un bagno decente. Poi il solito problema: un vicino, benché abitasse a duecento metri sulla trafficata strada cantonale, riteneva che facessimo troppo baccano, così il comune scrisse al proprietario dell’azienda e ci sfrattò. Per ripetere in Ticino servono dunque soldi e luoghi fuori dall’abitato: mi sembrano due condizioni che escludono i musicisti dal centro città. Non sarebbe meglio se ogni comprensorio investisse in alcune sale prove pubbliche, risanando luoghi in disuso o disabitati, attingendo ai fondi per le politiche giovanili e culturali? Non si smorzerebbe così la spirale di certi affitti assurdi (e magari abusivi) richiesti dai privati a cui, spesso, di questo hobby non interessa nulla? Non si darebbe così la possibilità a tutti non solo di avvicinarsi alla musica, ma anche di suonare in spazi minimamente adeguati? Sembra musica del futuro.
Luoghi 47
Forza, forza! Non abbiamo molto tempo!! Armatevi e volate sui camion!!! CODICE ROSSO!!
CODICE ROSSO!!!
Episodio 7 : CORSA CONTRO IL TEMPO
Testi: Matteo Gerber | Disegni: Francesco Della Santa
Chiama Leoni, digli che stiamo arrivando!
muoviti!!!
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è come-è come se avesse rifiutato la chiamata...
continua...
Il ritorno di Monty Tendenze p. 49 | di Marisa Gorza
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e voci che circolano sugli inglesi li descrivono come flemmatici, tranquilli, imperturbabili... In realtà, sono sempre stati dei bellicisti, molto attaccati ai principi militari e alla loro politica imperialista. In ogni britannico doc alberga dunque un dr. Jekill dall’aplomb impeccabile accanto a un trasgressivo/aggressivo Mr. Hyde, pronto a manifestarsi, non con pozioni, ma con qualche pinta di birra. Da storie di battaglie derivano difatti i capi di abbigliamento più inglesi che mai. Basti pensare al trench che letteralmente si traduce “trincea”, oppure al cardigan, il golfone che prende il nome da un ufficiale della cavalleria britannica James Thomas Brudel, conte di Cardigan, e infine il montgomery, capotto favorito del generale Bernard Law Montgomery, epico vincitore della battaglia di El Alamein. Questo tipo di paltò corto o, meglio, di giaccone lungo quasi al ginocchio, con tanto di cappuccio e chiuso da alamari in corda, fu introdotto dalla Royal Navy nelle dotazioni dei marinai fin dal 1914. Il caldo e spesso panno color cammello con cui era fabbricato, lo rendeva un’ottima, pratica protezione dai freddi venti dell’Oceano Atlantico e dei mari del Nord. Il suo successo, al di fuori del mondo militare, inizia però al termine del conflitto, quando i prototipi in eccedenza vengono messi in vendita al pubblico civile. Il montgomery diventa così un capo basico e soprattutto comodo del guardaroba maschile e femminile, amato specialmente da intere schiere di liceali e universitari a partire dalla fine degli anni quaranta. Rivisitato dagli stilisti in chiave colorata e moderna, il montgomery è ormai un intramontabile must della moda. Versatile e dallo stuzzicante sapore rétro, resta comunque un capo essenzialmente casual e anticonformista, pronto a riparare dal freddo anche in questo inverno già alle porte. E, data la sua anima battagliera, di sicuro farà molte conquiste tra modaioli e non.
geometrici irregolari, dai mini dress bon ton alle nuvole di organza e pizzo degli abiti da sera. Carrè squadrato, grandi tasche applicate, impunture sartoriali e alamari in pelle cuciti a mano caratterizzano il montgomery quasi “classico” dell’uomo vestito Scervino, declinato a grandi check, righe chevron, maxy galles, ma anche nel più tradizionale dei toni cammello. L’interno rivela una doppiatura in maglia rigata, oppure a disegni jacquard tipo norvegesi, uguale al maglioncino in mohair accostato ai pantaloni sartoriali in grisaglia con tanto di banda smoking.
FogLie D’autunno Sartorialità italiana e meticolosa cura per il dettaglio sono i punti fermi delle proposte invernali di Cinzia Rocca. La scelta dei tessuti cade sui soffici e leggerissimi hairy fabric, quali alpaca, angora, cashmere, ricchi di tepore come pellicce. Perfino il montgomery ha una levità tutta femminile, specialmente se si tinge dei caldi colori delle foglie e dei boschi autunnali, tra i quali spicca il marrone bruciato, il rosso vinaccia, l’arancio speziato e il verde muschio tipico del sottobosco. La linea leggermente ad A e le maniche svasate al gomito rendono più svelta la silhouette, sdrammatizzando la preziosità intrinseca del capo.
aLLure marziaLe? DanDy contemporaneo Da sempre Ermanno Scervino cerca l’unione armonica degli opposti. Colori, materiali, volumi, così apparentemente diversi tra di loro, si impegnano a raccontare le sfumature della femminilità usando un linguaggio couture. I rigori invernali scelgono l’aplomb delle stoffe maschili per cappotti d’ispirazione army, tra i quali non poteva mancare il montgomery in una particolare nuance di royal blue. Un colore intenso e brillante che sta bene su tutto: dalla gonna folk alla maglieria dai pattern
Un po’ bohemienne e decisamente anticonformista, anche l’uomo venuto dal freddo, ipotizzato da Alessandro Michele by Gucci. Basti accennare alle camicie in seta rosso fiamma che incendiano la passerella con imponenti colli da poeta nostalgico annodati a fiocco. Ma la punta di diamante del vintage rivisitato con vocazione futuristica è il montgomery scarlatto o in uno squillante verde bandiera. Costruito in panno di cashmere lavorato double, ha tasconi, carré sagomato, cappuccio e alamari a forma di oliva, proprio come ordinava la Royal Navy.
La domanda della settimana
Album, figurine, giochi e gadget di varia natura: i grandi distributori fanno a gara per conquistare i più piccoli. Ritenete siano iniziative utili ed educative?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 19 novembre. I risultati appariranno sul numero 48 di Ticinosette.
Al quesito “Le aggregazioni comunali (come avvenuto di recente in Riviera e nel Bellinzonese) permettono di migliorare i servizi al cittadino?” avete risposto:
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Astri ariete Situazioni inaspettate e impreviste generate da un’improvvisa voglia di libertà. Tra il 17 e il 19 favoriti i rapporti con il segno dell’Acquario.
toro Mercurio in opposizione: lingua a freno e siate meno polemici con i colleghi. La vita sentimentale segue percorsi misteriosi e non convenzionali.
gemelli Grazie a Marte e al transito di Urano la vita sentimentale sta per colorarsi di situazioni inaspettate, Fortunati incontri tra il 17 e il 19 novembre.
cancro Irascibili. State attenti a non compiere azioni azzardate. Atteggiamenti non costruttivi all’interno della coppia. Tra il 15 e il 17 Luna in opposizione.
leone Discussioni familiari. Non cedete ad antichi rancori. Attenti nei confronti di chi ha la tendenza ad agire dietro le quinte. Venere e Marte favorevoli.
vergine Momento ottimo per le finanze. Se saprete ragionare in grande potrete raccogliere importanti risultati. Mercurio favorisce l’acume intellettuale.
bilancia Stimolati da Marte e Venere, infuocati da Urano, ogni giorno ne combinate una. Discontinuità nei rapporti affettivi. Tra il 15 e il 17 pausa di riposo.
scorpione Grazie a Mercurio e ai buoni aspetti con Giove e Plutone si profila la conclusione di un progetto di lavoro. Buone opportunità tra il 15 e il 17.
sagittario Favorite le iniziative artistiche. Risoluzione di una vertenza legale grazie a un’abile negoziazione. Buone opportunità tra il 17 e il 20 novembre.
capricorno Con Marte e Venere in quadratura vorreste ricevere maggiore soddisfazione dalla vostra vita sentimentale. Bene colloqui di lavoro ed esami.
acquario Grazie ai valori espressi dalla nona casa solare è il momento ideale per realizzare un viaggio in compagnia del partner. Nervosi fino al 20.
pesci Incontri e scambi culturali con risvolti professionali. Bipolari i nati nella seconda decade influenzati dal Giove. Ipersensibili i nati in febbraio.
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 48
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate il numero 0901 59 15 80 (CHF 0.90) entro giovedì 19 novembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 17 nov. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Verticali 1. Noto film-commedia interpretato da Tim Allen e S. Weaver • 2. Sbagliato, impreciso • 3. Animali • 4. Il monogramma di Schubert • 5. Combattere • 6. Inattivo, inoperoso • 7. Pari in bocca • 8. Cantilena soporifera • 9. Il mitico re di Egina • 16. La fine della Turandot • 18. L’ama Anita • 20. Parti di pagamento • 22. Il figlio di Anchise • 25. Consiglio Nazionale • 27. C’è ma non si vede! • 28. Titubare • 30. Si affiancano spesso ai consumi • 33. Negazione • 35. Le stuzzicano i profumi • 37. Due romani • 38. Il poeta di Ascra • 42. Oppure... a Zurigo • 44. Il nome di Clapton • 46. Dubitativa • 48. Preposizione semplice • 50. I confini di Gordevio • 51. Pilone centrale • 52. Il dio egizio del sole.
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Orizzontali 1. Insurrezione, rivolta • 10. Agnese a Madrid • 11. Equivale a circa 30 grammi • 12. Interrotte, sospese • 13. Norvegia e Cuba • 14. Mesce vino • 15. Seggio regale • 17. In nessun tempo • 18. Micia • 19. Ripetere • 21. Nord-Est • 23. Nuovo Testamento • 24. Altari pagani • 25. Quel che abbaia non morde • 26. Non più crudi • 28. Il monogramma di Newton • 29. Gioco enigmistico • 31. Il Sodio del chimico • 32. Organizzazione internazionale • 34. Somara • 36. Arrendevolezza • 39. Il Campeador • 40. Il dio greco della guerra • 41. Serraglio • 43. Il giorno trascorso • 45. Spagna e Germania • 47. Pedina coronata • 48. I confini di Comano • 49. Doni • 52. Il nome di Steiger • 53. Il vil metallo • 54. Lo è anche l’Atlantico.
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La soluzione del Concorso apparso il 30 ottobre è: RISCATTO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Verena Buzzini 6952 Canobbio
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Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
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SPINAS CIVIL VOICES
Accogliete una famiglia africana nella cerchia dei vostri parenti. Nominando Helvetas nel vostro testamento, accogliete persone povere e svantaggiate tra i vostri eredi. Il vostro legato lascia qualcosa di molto prezioso: lâ&#x20AC;&#x2122;opportunitĂ di condurre una vita autodeterminata, dignitosa e sicura. Siamo volentieri a disposizione per una consulenza: www.helvetas.ch/lasciti