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Corriere del Ticino · laRegione · Tessiner Zeitung · chf 3.–

№ 6 del 5 febbraio 2016 · con Teleradio dal 7 al 13 febbraio

LA SCELTA AMERICANA

Ritratti, luoghi e ricordi di alcune famiglie ticinesi che nel corso degli ultimi secoli hanno lasciato la confederazione E SPECIAL

NI O I Z A R GENE


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21.01.2016

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Ticinosette allegato settimanale N° 6 del 05.02.2016

Agorà Pensioni. Un Pilastro al palo Arti Martha’s Laundry. La lavatrice

di di

RobeRto Roveda ..............................................

4

GiancaRlo FoRnasieR .........................................

7

amanda PFändleR .......................................

8

Famiglia Prima infanzia. Asili familiari

Impressum

di

KeRi Gonzato ....................................

10

maRco JeitzineR; Foto di sabine biedeRmann .................................

12

Società Maternità. Fuori tempo massimo?

di

Tiratura controllata

Vitae Nick Mottis

Chiusura redazionale

Reportage Emigrazione. Il Ticino d’America

Editore

Luoghi Adolescenti. La stanza dei sogni

63’212 copie

Venerdì 29 gennaio Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor

di

di

R. cuFFaRo; Foto di F. leuenbeRGeR ....

37

KeRi Gonzato; Foto di Reza KhatiR ...........

42

di

F. maRtini ..........

44

maRisa GoRza .........................................

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Svaghi ....................................................................................................................

46

Recensioni Claudio Magris

di

m. alloni / Luca Sisera Roofer

Tendenze Attività fisica. Bimbi e sport

di

di

Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 29 88 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook

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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Mary Anne van Paul Grisetti (Soledad, California) Fotografia ©Flavia Leuenberger

Menti errabonde Questo numero di Ticinosette, come annunciato in copertina, affronta il tema delle generazioni offrendo un sguardo, se pur circoscritto, su alcune delle problematiche che riguardano le diverse fasce di età: dalla questione concernente la sicurezza economica nella parte della vita che segue all’impegno lavorativo, all’aspirazione di alcune donne in età non più feconda ad avere figli grazie alle nuove tecnologie mediche, dal bel reportage di Flavia Leuenberger sugli emigrati ticinesi in California al salutare caos che domina nelle stanze dei nostri figli adolescenti. Ed è proprio su di loro che vorrei soffermarmi. Un numero crescente di evidenze scientifiche, sia in ambito psicologico che neurologico, rivela un profondo cambiamento nei procedimenti mentali degli adolescenti: le loro menti appaiono differenti rispetto alle generazioni precedenti. Questo non significa affatto che siano meno attenti, iperattivi, svogliati o meno consapevoli, ma che il loro cervello si sviluppa secondo parametri del tutto nuovi. Il caso più evidente è rappresentato dalla generale predisposizione a intraprendere scelte rapide rispetto a decisioni maturate attraverso la riflessione. Prendiamo in esame, per la sua importanza, il tema della lettura. Da questo punto di vista, gli insegnanti considerano spesso i propri alunni svogliati e poco motivati, incapaci di portare a termine la lettura di un libro se non con grande fatica. In realtà, decine di studi in ambito neuropsicologico dimostrano come gli adolescenti della net generation sotto l’apparente pigrizia siano dotati di uno stile di lettura, o meglio di

non-lettura, del tutto specifico: i movimenti oculari dei “nativi digitali” sono infatti in grado di scorrere testi sulle pagine web alla incredibile velocità di 100 parole ogni 4,4 secondi, un tempo in cui di solito risulta possibile leggerne in media solo una ventina. Questo differente approccio al testo – definito anche “screening a F” dalla forma del movimento oculare –, permette ai ragazzi di rilevare in tempi ridotti gli elementi salienti presenti nelle pagine digitali. Il problema sorge quando questo approccio viene applicato al supporto cartaceo e quando è necessario leggere, analizzare e impossessarsi del senso profondo di un testo. Il “fattore” tempo è in questo senso cruciale: maggiore è il tempo che si dedica alle parole, maggiori sono le possibilità di analizzarle e farle proprie. È, fra l’altro, interessante notare come il mercato editoriale, e non solo in ambito scolastico, stia via via virando verso la produzione di libri sempre più ricchi di immagini, grafici, tabelle, rimandi web e box testuali, sostenendo e in qualche modo adeguandosi a questa diversa modalità di lettura (o “non-lettura”). Ma tale approccio all’assunzione delle informazioni e dei contenuti, secondo molti studiosi, potrebbero avere implicazioni assai negative, a partire dalla perdita della consapevolezza del pensiero stesso, pensiero che si forma e stabilizza solo attraverso la riflessione, così come l’incapacità di cogliere i nessi fra i diversi fenomeni della realtà, colti solo nella loro esteriorità, con il conseguente risultato di trasformare i nostri ragazzi in soggetti manipolabili, a tutti i livelli. Buona lettura, Fabio Martini


Un Pilastro al palo Pensioni. In questi ultimi anni il II Pilastro del sistema pensionistico svizzero è andato incontro a progressive contrazioni e vi sono segnali contrastanti sulla sua capacità di garantire anche in futuro rendite adeguate. Le prospettive appaiono quindi più incerte di un tempo, soprattutto nel nostro cantone dove bassi redditi e ridotti risparmi personali non sono un’eccezione. E dove l’adesione al III Pilastro è ancora scarsamente praticata di Roberto Roveda

P Agorà 4

er molto tempo la pensione è stata una delle certezze dell’esistenza. Garantiva sicurezza economica e una tranquilla vecchiaia dopo una vita di lavoro. Negli ultimi tempi le cose stanno però cambiando un po’ in tutti i paesi dell’Occidente e i sistemi previdenziali tradizionali non paiono più in grado, soprattutto in prospettiva futura, di assicurare le stesse certezze di un tempo. A pesare negativamente sull’efficienza previdenziale è prima di tutto il progressivo allungamento della vita media: sono molte di più di un tempo, infatti, le persone che possono sperare di percepire la pensione per decenni. Allo stesso tempo la popolazione sta invecchiando e sta aumentando lo squilibrio tra pensionati e i lavoratori, che con i loro contributi letteralmente “tengono in piedi” i sistemi pensionistici. Nel 1948 c’erano 6,5 persone attive per ogni pensionato, oggi la proporzione è scesa a 3,4 lavoratori per pensionato. E la situazione è destinata a peggiorare mano a mano che lascerà il lavoro la generazione del “baby-boom” (i nati fra il 1946 e la metà degli anni sessanta). A ciò si aggiunge la difficile situazione economica e finanziaria attuale: per cui sempre meno giovani possono ambire a un lavoro stabile, con contratti a tempo indeterminato e, non da ultimo, ben retribuito (e quindi accompagnato da adeguati versamenti previdenziali). Un quadro che si complica ulteriormente se si considera che gli investimenti dei fondi pensione tendono a rendere sempre di meno.

La Riforma Berset e il II Pilastro Una situazione non facile anche per la Confederazione che pure continua a godere di uno dei sistemi pensionistici più stabili e performanti al mondo. Recentemente l’agenzia di rating Mercer ha, infatti, posizionato la Svizzera ai primi posti per efficienza del suo sistema, dietro paesi notoriamente virtuosi come Danimarca, Paesi Bassi, Australia, Svezia. Allo stesso tempo il sistema dei “Tre Pilastri” soffre di qualche criticità, come dimostra il fatto che da qualche mese è in discussione al Consiglio federale la Riforma della previdenza per la vecchiaia. Quest’ultima, licenziata dal consigliere federale Alain Berset, prevede l’età del pensionamento a 65 anni anche per le donne, maggiore

flessibilità nel ritiro dall’attività professionale, aumento dell’IVA di 1,5 punti entro il 2030 e riduzione del tasso di conversione LPP (Legge sulla previdenza professionale) dal 6,8 al 6%. Queste proposte hanno sollevato critiche sia da destra come da sinistra, tanto che sono stati introdotti alcuni correttivi, come l’aumento di 70 franchi delle nuove rendite AVS (pari al 6% per quelle minime) e la rinuncia a toccare quelle di vedove e orfani. In realtà, la riforma mira soprattutto a risolvere alcuni problemi che sono emersi negli ultimi anni a carico principalmente del II Pilastro, che appare incapace rispetto a un tempo di far fronte alle esigenze dei lavoratori. Questa fragilità ci viene confermata da Jenny Assi, docente e ricercatrice presso il Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI:“Il II Pilastro soffre particolarmente dell’instabilità dei mercati finanziari. La volatilità attuale rende più incerte le performance dei fondi pensione che sono sempre meno in grado di garantire le rendite previste dalla LPP. Chiare le ripercussioni sul tasso di conversione, fissato inizialmente, nel 1985, al 7,2%, poi portato all’attuale 6,8% e destinato con la Riforma Berset a essere abbassato al 6%. Quest’ultimo tasso di conversione dovrebbe rendere più sostenibile da un punto di vista finanziario il II Pilastro. In base all’Indice Pictet LPP 25, ossia l’indice utilizzato come riferimento per valutare il rendimento dei fondi pensione, oggi i fondi pensionistici possono infatti aspettarsi un rendimento annuale medio del capitale del 2,7% mentre con il tasso di conversione al 6,8 % dovrebbero ottenere il 4-5%”. Come mai i fondi pensione non garantiscono più le rendite di un tempo? Perché prediligono investimenti poco rischiosi, nel mercato obbligazionario e a tasso fisso, e questo comporta oggi una minore remunerazione del capitale rispetto a un tempo. Ne consegue la necessità di tenere bassi i tassi di interesse annuali e di abbassare il tasso di conversione. Così facendo però, il sistema a capitalizzazione non permette di far fronte all’invecchiamento demografico, come invece si sperava. Anni fa si diceva che il I Pilastro non avrebbe retto col tempo mentre oggi è risaputo che è piuttosto il II Pilastro a essere in crisi.


IL SISTEMA PREVIDENZIALE ELVETICO I PILASTRO

II PILASTRO

III PILASTRO

previdenza statale

previdenza professionale

previdenza privata

AVS AI PC

LPP LAINF

Previdenza 3A

Copertura del fabbisogno esistenziale

Garantire con il I Pilastro un reddito pari al 60% dell’ultimo salario percepito

(vincolata)

Previdenza 3B (libera)

(prestazioni complementari)

Come rafforzare il II Pilastro Gli scricchiolii del II pilastro sono allora tanto preoccupanti da dover richiedere interventi anche più decisi rispetto a quelli prospettati dalla Riforma Berset? Lo proviamo a chiedere a Dario Giudici, amministratore della Fondazione Ticinese per il Secondo Pilastro (si veda www.ftp2p.ch/). Personalmente sono convinto che per migliorare le cose bisognerebbe ridurre le spese, come i guadagni delle assicurazioni sociali che non dovrebbero essere pari alle assicurazioni private. Bisognerebbe intervenire sulla “legal quote” attuale per cui se una persona investe 100 franchi in assicurazione, 10 franchi vengono trattenuti. La “legal quote” dovrebbe essere abbassata almeno al 5% e recupereremmo così diversi miliardi di franchi. Allo stesso tempo credo che l’abbassamento rapido, entro il 2020, del tasso di conversione al 6% creerà dei problemi non compensati dall’aumento di 70 franchi delle nuove rendite AVS. Le persone avranno meno soldi e questo non aiuterà l’economia in generale. E secondo me vi saranno delle disfunzioni nel II Pilastro che porteranno più persone a ricorrere alle complementari AVS all’età del loro pensionamento oppure all’assistenza. Le complementari ricadono sotto la competenza cantonale e non federale e quindi il problema è stato semplicemente spostato dal livello centrale a quello locale. La Riforma, insomma, non porta a una soluzione dei problemi del II Pilastro. Come si dovrebbe agire allora? Io punterei ad aumentare la trattenuta in busta paga del 3% per le categorie sotto i 25 anni. In termini di interessi, porterebbe a un miglioramento del capitale poi trasformato in rendita. Si dirà che oggi sono meno di un tempo le persone che lavorano sotto i 25 anni, però c’è ancora un sacco di gente che non va all’università e si impiega precocemente. Seconda possibilità: basterebbe aumentare leggermente i contributi di risparmio, in

Complemento individuale

maniera tale che il tasso di conversione del 6% venga applicato su un importo più alto e si ottenga quindi una rendita pari a quella che si otteneva con il vecchio tasso di conversione. Secondo me l’unico modo è questo: aumentare quel tanto i contributi in maniera tale che, arrivando all’età del pensionamento, ci siano più soldi da trasformare in rendita. E diversificare maggiormente gli investimenti dei fondi pensione, anche in funzione dei mutamenti del mercato? Non la vedo quale soluzione, anche perché le Casse pensione lo fanno da anni. Credo sia necessario ritornare maggiormente sul settore immobiliare, soprattutto immobiliare a uso abitativo. Nella Fondazione di cui sono amministratore – che per inciso ha un bilancio economico al 107,5%, e un bilancio tecnico vicino al 109% – l’immobiliare rappresenta quasi il 30% dei nostri investimenti. È chiaro che il guadagno medio è inferiore rispetto a quello potenziale degli investimenti borsistici però è più sicuro, soprattutto se parliamo di stabili affittati a uso abitativo. In generale, le persone l’affitto lo pagano e con regolarità. Sono, inoltre, soldi più sicuri rispetto a quelli di uno stabile commerciale in cui si è legati al buon andamento della ditta o società che lo affitta. Nel settore immobiliare quindi la diversificazione è garantita, è in franchi svizzeri, è controllata. Nel campo finanziario a chi affido i miei soldi? Al Murdoch di turno? Li investo nei fondi hedgiati, cioè assicurati, ma che sicuri poi non sono? Meglio puntare con oculatezza sugli immobili dato che in alcuni luoghi del Ticino – zona periferica di Bellinzona o nel Mendrisiotto, per fare due esempi – è ancora possibile acquistare a condizioni vantaggiose e avere affitti che diano sicurezza di tassi di remunerazione tali da garantire le pensioni delle persone. In generale, però, ci vuole soprattutto oculatezza da parte delle persone. Oggi, non certo a caso, si vuole togliere (...)

Agorà 5


“Come al solito il nostro cantone è un po’ il fanalino di coda. I tassi di sotto-copertura sono molto più elevati che nel resto della Svizzera e in più abbiamo il problema delle prestazioni complementari. Questo vuol dire che in Ticino esiste già un problema di povertà pensionistica che è più elevata che nel resto della Svizzera” (Jenny Assi, SUPSI)

la possibilità di ritirare i fondi per potere acquistare una prima casa perché è rischioso. Infatti, si ritirano i soldi, si ristruttura l’abitazione poi magari la coppia “scoppia” e deve rivendere perdendoci dei soldi e la pensione. Così come alcuni ritirano i fondi per iniziare un’attività commerciale in proprio. Ma non è che in questi campi ci si può improvvisare imprenditori, se “va male” ci si rovina…

Agorà 6

Più aperta alla possibilità di rendere più performanti i fondi pensione anche nel mercato finanziario è Jenny Assi, che però propone un mutamento di prospettiva in queste operazioni: Il II Pilastro dovrebbe prendere in considerazione con maggiore interesse gli investimenti socialmente responsabili, fondi che tengono conto, oltreché della performance economica anche dell’impatto sociale e ambientale degli investimenti. Dobbiamo ricordarci, infatti, che i fondi pensione non sono stati creati solo per il risparmiatore e per garantire le rendite pensionistiche, ma anche per favorire gli investimenti nell’economia reale. I fondi pensione sono a questo titolo indispensabili per favorire una crescita economica sostenibile. Ci sono paesi come gli Stati Uniti, l’Inghilterra, l’Olanda e la Norvegia che guardano ai fondi pensione come strumento di leva per la responsabilità sociale delle imprese, quindi per favorire uno sviluppo sostenibile dell’economia. In Svizzera siamo ancora molto lontani. Diversi studi scientifici hanno tuttavia dimostrato come gli investimenti responsabili, oltreché avere un impatto positivo sull’ambiente e la società, siano vantaggiosi anche dal punto di vista economico. Una via nuova quindi, anche se non sconosciuta – tiene a rimarcare Dario Giudici – alla Fondazione Ticinese del Secondo Pilastro, che è iscritta a Ethos Fondazione per gli investimenti sostenibili a cui è affidato anche il compito di rappresentare alle assemblee le varie fondazioni di previdenza (per circa 140 miliardi di franchi) e ha altri investimenti per la sostenibilità. E il III Pilastro? Al momento non abbiamo però ancora considerato il III Pilastro, che dovrebbe essere un fondo aperto, accessibile, capace di garantire un reddito supplementare oppure di colmare le lacune del II Pilastro. Ma raggiunge il suo scopo? Prima di tutto per accedere al III pilastro è necessario superare un reddito che, per il 2016, è di 21.150 franchi. Una soglia alta – che nelle intenzioni si vorrebbe abbassare – soprattutto per chi ha un lavoro atipico, a tempo determinato o part-time. Dottoressa Assi, il III Pilastro viene veramente in aiuto a quei lavoratori il cui II pilastro è poco performante?

No, perché l’accesso al III Pilastro è influenzato molto dal reddito e dal contratto di lavoro. La propensione a sottoscrivere il III Pilastro aumenta con l’aumentare del reddito e della sicurezza lavorativa. Più facile che a sottoscriverlo siano le persone che ne hanno meno bisogno e che non hanno lacune previdenziali. Quindi i redditi bassi alla lunga sono quelli destinati a essere meno garantiti dal punto di vista pensionistico? I redditi bassi, soprattutto quelli sotto i 20mila franchi l’anno, sono perlomeno garantiti dal I Pilastro. Infatti, in questo caso il tasso di sostituzione è dell’80%, inoltre i redditi bassi possono contare sulle prestazioni complementari. Soprattutto è la classe media a essere particolarmente penalizzata perché il II Pilastro, già oggi, dovrebbe garantire un tasso di sostituzione del 60% dell’ultimo reddito, che è troppo basso. Quindi anche con un reddito inferiore agli 80mila franchi annuali una persona avrebbe bisogno, già oggi, di fare il III Pilastro. Purtroppo, spesso non se lo può permettere. Un elemento di novità rispetto al passato, anche se non è direttamente collegato con il sistema pensionistico, riguarda l’eredità. Le persone oggi hanno maggiori probabilità di ereditare in un’età vicina al pensionamento, tra i 50 e i 54 anni, e quindi possono usare tali capitali come fondo per la vecchiaia e non per costruire una casa o avviare un lavoro come avrebbero fatto da giovani. Ma anche in questo caso sappiamo che l’eredità tende a rafforzare le disuguaglianze economiche piuttosto che ad attenuarle. Il più delle volte chi ha pochi mezzi finanziari non eredita abbastanza perché proviene da famiglie meno abbienti. E in questo quadro non certo idilliaco il Ticino come si posiziona? Come al solito il nostro cantone è un po’ il fanalino di coda. I tassi di sotto-copertura sono molto più elevati che nel resto della Svizzera e in più abbiamo il problema delle prestazioni complementari. Questo vuol dire che in Ticino esiste già un problema di povertà pensionistica che è più elevata che nel resto della Svizzera. In Svizzera le persone in AVS che ricevono le prestazioni complementari sono nell’ordine del 12%, mentre in Ticino del 19%. Tuttavia, le prestazioni complementari sono state pensate come prestazioni transitorie, quando sono state create. Nel tempo sarebbero dovute sparire. Invece è probabile che – soprattutto nei prossimi anni – diventeranno sempre più importanti proprio in relazione alle difficoltà del II Pilastro, ai cambiamenti relativi al mercato del lavoro e anche alla precarietà delle famiglie (ricordiamo che i divorzi incidono pesantemente sulla copertura pensionistica). Sono tutti fattori che fanno sì che anche in futuro le prestazioni complementari giocheranno un ruolo importante nel nostro cantone.


La lavatrice

In Ticino i gruppi e i generi musicali certo non mancano. Tra le novità stampa, radio e web hanno dato ampia visibilità e positivi riscontri ai Martha’s Laundry. Tutti meritati? di Giancarlo Fornasier

C’è chi acquista musica per le recensioni, chi per il pas-

un minutino e poi arrivino ste’ maledette tastiere. Ma una traccia di chitarra più decisa, no? Senza sfondare nel calderone ritrito dell’indie/dream/post-pop(rock), si intende... “Stories” mi pare già vecchia alla terza nota: date un orecchio al passaggio 3:47… Allora? Ma che succede? Personalmente lo trovo inutile. Anche qui la parte migliore delle chitarre Acqua, un po’ calda... arriva dopo ben 4:30 minuti di vagheggio musicale... tardi e I brani sono dieci e hanno il pregio di mostrare una certa troppo breve. L’epifania pop del gruppo si manifesta mirabilunicità d’intenti. Che diventa, ahimé, già al terzo brano mente in “Beautiful” (che non sfigurerebbe in una raccolta un po’ ripetitiva nella struttura dei pezzi e negli arrangia- dei Simple Minds degli anni d’oro). Gli segue “Nights and menti, con le linee diritte di days” – assieme alla già citata basso e batteria soffocati in “Last time”, le migliori del spazi insufficienti per farsi lotto – con riecheggi dei Maapprezzare. C’è “troppa roba” nic Street Preachers periodo lì dentro (il classico riverberoHoly Bible (1994). “Time and ne creato in studio?) a coprire Space” introduce una batteria l’essenza; un eccesso synth, più strutturata, anche se i campionamenti e note che il soliti preludi di synth e indepiù delle volte poco o nulla cifrabili pseudo-archi tolgono aggiungono a quello che la il piglio adolescenziale al bradinamica dei brani dovrebbe no. Mmh, eppure negli ultimi di suo trasmettere. Mancano 15 anni di esempi rock-pop Max, Marco e Joas (da ticinobands.com) “vuoti” e imperfezioni musiinteressanti ai quali attingere cali (non errori) che aiuterebpiù convintamente non manbero a cogliere le intenzioni del gruppo e la sua vera anima. cherebbero: Trail of Dead, Strokes, BRMC, Interpol, Arcade La matrice musicale verrà apprezzata da chi ama la new wave Fire e compagnia bella. Per non parlare dei loro padri: dai romantica e dai toni gotico-epici dei temibili anni ottanta Modern Lovers agli Wire e Sonic Youth, dai J&MC ai Pixies. (ricordate i The Mission?). Prendete il brano “The Abyss”: dopo 30 secondi di intro soft-elettronico, il gruppo attacca Senza “CD” non sei nessuno? in pieno stile The Cure (quelli di Kiss me, 1987). Il pezzo è tra I ragazzi non sono alle prime armi (Max Ghitti, qui al basso, i più strutturati del lavoro, forse perché si tiene su linee solo è un rodato chitarrista già attivo anche in Italia), i brani tratteggiate e più distese. Interlocutoria la parentesi al minu- sono tutti in inglese e la pronuncia perfettibile. Mi pare che to 3:00 con note di tastiere perdute qui e lì... poi si riprende. questo lavoro manchi un po’ di personalità. Mi sarei aspet“Last Time”, l’ultimo brano del lavoro, inizia nella migliore tato di più vista l’età e la proposta fatta con “Transmission”, tradizione del pop evoluto sempre degli anni ottanta (New pezzo disponibile solo in rete: è raro trovare cover dei Joy Order e Psychedelic Furs). Peccato che a un certo punto Division meritevoli – “Love will tear us apart” degli Swans sembrano entrare in scena le vecchie Hole di Courtney Love, è caso a parte –, ma quella fatta dai Martha’s non è delle più qui al maschile (“oh yes… oh no…”). Per fortuna dura poco e banali. In molti hanno fatto assai peggio. Hold your Breath già dal minuto 1:40 si risente un basso alla Peter Hook che è il classico lavoro formalmente ben confezionato ma a cui ricuce le fila. L’identità dei Martha’s sta forse qui? Forse: lo manca (forse) un produttore – figure scomparse in nome di riprova che al minuto 3:10 un intermezzo (l’ennesimo del autogestioni scarsamente autocritiche –, qualcuno in grado disco) apre le porte della caverna: nonostante suoni sin di orientare in modo distaccato il gruppo. Un virus, ahimé, troppo ovattati e in una generale pulizia quasi stucchevole, dilagante nell’era della rete. I ragazzi avrebbero fatto meglio a alla fine del brano gli accordi si aprono. Anche la voce batte pubblicare i brani migliori (4 tracce ma più dirette e sporche) sulle giuste corde. Interessante (epica permettendo). in un mini-EP formato 7” in vinile a edizione limitata, a cui I ragazzi non mancano di impegno ma i pezzi troppo spes- aggiungere una manciata di CD (buoni per la promozioso non decollano. L’inizio di “Another way to die” (prima ne). Gossip a volontà nei social, qualche concerto “indie” traccia) sembra promettere bene: peccato che il buono duri esplosivo (ma breve) al punto giusto... e poi stai a guardare. saparola (che di solito funziona egregiamente) e chi per la copertina. L’involucro di Hold your Breath dei Martha’s Laundry promette bene: un trampolino che invita a fare un salto (trattenendo il respiro) nell’acqua placida di una piscina...

Arti 7


Asili familiari

Il fenomeno delle famiglie diurne si sta diffondendo quale alternativa ad altri servizi a pagamento come i nidi, i doposcuola o le tate. Una realtà sempre più organizzata sul territorio, che beneficia di aiuti cantonali, con tutti i suoi vantaggi. E svantaggi, naturalmente di Amanda Pfändler

Famiglia 8

“La cosa più bella? Quando sento Anna, una delle bimbe che vengono da me, dire di avere due mamme e due papà”. Paola (nome noto alla Redazione) è mamma diurna, e lo è da una quindicina di anni. Ha iniziato per caso: “un’amica aveva bisogno, per sua figlia, mi ha chiesto e ho accettato”. Allora i figli di Paola erano ancora piccoli, lei ha potuto conciliare i suoi impegni di mamma con il vantaggio di guadagnare qualcosina. “Non molto, ma non è certo un’attività che si fa per soldi”. Da quando ha iniziato, il passaparola ha fatto il suo lavoro, e ormai sono decine i bambini che sono passati da casa sua: “Alcuni sono cresciuti con me, ho iniziato ad accudirli da quando avevano pochi mesi”. Verso la quarta o la quinta elementare, poi – nota Paola – in genere i genitori smettono di affidarsi alla mamma diurna: i bambini sono più indipendenti, possono stare un paio di ore da soli, oppure dai vicini o da amici. “Il distacco talvolta è duro, soprattutto quando rivedo uno dei «miei» bambini in giro, adolescente, e magari nemmeno mi saluta. E pensare che gli cambiavo il pannolino. Ma in fondo è normale…”, afferma sorridendo. Mamme che aiutano mamme Quello delle famiglie diurne è un fenomeno che offre un doppio vantaggio: da un lato dà la possibilità a donne che magari da tempo cercano un impiego e non lo trovano, di svolgere un’attività remunerativa e di riavvicinarsi al mondo del lavoro, dall’altra permette a quelle famiglie che per varie ragioni – principalmente professionali – non possono occuparsi dei propri figli durante il giorno, di affidarli a una persona fidata, esperta. In Ticino le famiglie diurne esistono da più di 25 anni, “importate” dalla Svizzera tedesca, per coprire un bisogno che è via via cresciuto negli ultimi vent’anni; essenzialmente perché sempre più donne lavorano, ma anche perché i nonni – per esempio – non abitano vicino, oppure sono ancora “giovani”, lavorano o non hanno necessariamente voglia di occuparsi dei nipoti a tempo pieno. Secondo le stime del Dipartimento della sanità e socialità (DSS) sono oltre un migliaio i bambini, di diverse età, ospitati da una famiglia diurna, per un totale di 220mila ore all’anno. Va tuttavia precisato che questo dato riguarda le famiglie diurne che fanno capo a una delle tre associazioni sul territorio o che – comunque – si sono annunciate al cantone. Ve ne sono anche (ed è difficile quantificare il fenomeno) non “ufficiali” che svolgono questa attività. Paola è una di loro, ciò nonostante in paese è diventata un punto di

riferimento, tant’è che persino il comune in alcuni casi l’ha chiamata, per aiutare famiglie che avevano bisogno di una persona fidata cui affidare i propri bimbi. Madre “ufficiale” o “fai-da-te”? In genere – spiega Raffaella Conti Pasinelli, dell’Associazione famiglie diurne del Sopraceneri – per diventare famiglia diurna occorre seguire un iter preciso: “Bisogna iscriversi a una delle tre associazioni sul territorio, che svolgono un’attività di coordinamento, di formazione e di controllo. Le coordinatrici incaricate incontrano quindi la famiglia, per valutarne l’idoneità. Vengono inoltre richiesti un’autocertificazione sullo stato di salute e gli estratti dai casellari giudiziali per tutti i membri maggiorenni del nucleo familiare, nonché preavvisi presso il comune di domicilio. Una famiglia diurna deve poter offrire qualità del servizio, un luogo accogliente, sicuro e protetto, un ambiente sereno e stimolante, flessibilità rispetto agli orari di collocamento, accoglienza, ascolto e sostegno ai genitori nel percorso di crescita dei loro figli, possibilità di socializzazione, così come pari opportunità educative e culturali”. Le associazioni e il Dipartimento della sanità e della socialità-DSS, spingono affinché chi decide di creare una famiglia diurna, faccia capo a loro. Per una doppia garanzia: “Chiaramente”, precisa Conti Pasinelli, “lavorando per il nostro tramite, si è maggiormente tutelati, sia per le questioni assicurative, sia finanziarie. Inoltre, da noi la mamma diurna può svolgere una formazione sia di base, sia continua, e questo in modo del tutto gratuito. Le associazioni garantiscono inoltre prestazioni sociali e, in caso di malattia della mamma diurna, una sostituta. Le coordinatrici affiancano le famiglie diurne e le sostengono costantemente. Dal lato della famiglia affidante, poi, c’è la garanzia di vigilanza e assistenza continua”. Gli affidamenti sono quindi più controllati e beneficiano inoltre di una retta oraria “personalizzata”, calcolata in base al reddito della famiglia. Il caso di Paola, una mamma diurna “fai-da-te” non è comunque isolato ed è legale, purché ci si annunci al DSS come mamma diurna e – chiaramente – si dichiari quanto guadagnato. Quella di Paola è stata una scelta dettata dalla volontà di essere più indipendente e spontanea. “Non faccio per esempio pagare merenda o pranzo, come so che fanno le mamme diurne che aderiscono a una delle associazioni in Ticino, ma ho un fisso giornaliero. Mi regolo direttamente con le famiglie per le presenze, le tariffe ecc, senza necessità di passare attraverso il tramite delle associazioni. Preferisco così”.


Immagine tratta da pionero.it

Un’offerta alternativa e personalizzata Insomma, la parola d’ordine è flessibilità. Per chi sceglie l’opzione mamma diurna, è questa una delle ragioni principali: “Gli asili nido”, spiega Paola, “hanno orari fissi, giorni fissi, non accettano il bambino se è ammalato. Da me è diverso”. “In una famiglia diurna”, aggiunge Conti Pasinelli, “oltre a trovare un piccolo nucleo, con un quotidiano molto simile a quello che il bambino trova a casa propria, vi è la possibilità di lasciare i bambini a orari che vanno al di là delle classiche 7-19 dei nidi, o nel fine settimana, pensiamo per esempio ai genitori attivi nei settori alberghiero e sanitario”. “È un servizio personalizzato che permette ai genitori con un orario di lavoro irregolare oppure su chiamata di lasciare i propri bambini a qualcuno di fidato”, le fa eco Anna Maria Brugnoli, presidente dell’Associazione Luganese famiglie diurne. C’è poi l’aspetto costi: “Le famiglie affidanti pagano le presenze effettive, non c’è un obbligo di presenza”, continua. In realtà, contrariamente a quanto si pensi, le mamme diurne non sono semplicemente una risposta alla carenza di posti negli asili nidi o all’assenza di doposcuola. Questo – spiegano al DSS – vale essenzialmente nelle valli e nelle zone più periferiche, dove non esiste la massa critica per organizzare nidi e doposcuola. Altrove, invece, la mamma diurna risponde a un’esigenza diversa, al bisogno di una prestazione più individualizzata oppure più “familiare”. “È quindi molto importante”, sottolinea Raffaella Conti Pasinelli, “che la famiglia abbia a disposizione più opzioni e che scelga il servizio che meglio si concili con i propri bisogni e preferenze. Per questo motivo le Associazioni Famiglie Diurne hanno, negli anni, ampliato i loro servizi, gestendo anche centri extra-scolastici, centri di socializzazione, nidi d’infanzia, colonie diurne, mense e nidi famiglia”. Dalla parte della mamma diurna Non si sceglie di diventare mamma diurna per soldi. Il guadagno infatti, come detto, non è elevato: 5,50 franchi all’ora a bambino, cui si aggiungono i rimborsi per i pasti,

le vacanze e i supplementi notturni. L’aspetto economico può costituire un “arrotondamento” del budget familiare, ma la decisione di diventare mamma diurna – spiegano DSS e Associazioni – ha ragioni di tipo sociale e umano: la volontà di mettersi a disposizione per sostenere altre donne, altre madri. E quella di diventare mamma diurna non è una scelta evidente, poiché sovente è una scelta che coinvolge un’intera famiglia: i figli e il marito di Paola hanno dovuto accettare che quotidianamente ci fossero altri bambini in casa. Hanno dovuto condividere spazi e giochi. Non è sempre stato facile, ogni tanto i suoi figli reclamavano la mamma e la volevano solo per sé, ma è anche vero “che alla fine si sono ritrovati con tanti fratellini e sorelline, hanno imparato a cambiare pannolini, a dare le pappe e – come me – si sono affezionati ai nostri piccoli ospiti”. Ora, dopo 15 anni, Paola ha deciso che è arrivato il tempo di smettere: “I miei figli sono cresciuti e io e mio marito siamo più liberi. Vorremmo poter gestire il nostro tempo in modo più spontaneo, andare in vacanza quando vogliamo, senza pianificare troppo”. Senza dover rendere conto – come è anche giusto che sia – alle famiglie affidanti della propria presenza. E per una mamma diurna che smetterà, la speranza è che ve ne siano molte altre pronte ad accogliere il testimone. Il bisogno – come sottolineano anche i responsabili al Dipartimento della sanità e della socialità – è in costante crescita e non sempre l’offerta riesce a rispondere in modo adeguato alla domanda, molto variata sia negli orari, sia nei luoghi. Come spiega la presidente dell’Associazione luganese, “benché non ci sia una lista d’attesa di bambini che vanno collocati, e si cerchi di rispondere alle richieste man mano che giungono in ufficio, spesso si presenta il problema logistico: abbiamo richieste in zone nelle quali mancano le famiglie diurne e quindi diventa complicato per chi ha figli legati alla scuola dell’infanzia o elementare, che hanno quindi bisogno di una mamma diurna per il doposcuola”. Nuove famiglie diurne sono quindi assolutamente ben accette!

Famiglia 9


Fuori tempo massimo? Le nuove e controverse tecniche rendono possibile la maternità, oltre a coppie più giovani con problemi di infertilità, a donne che arrivano ai limiti della normale fase biologica della vita in cui avviene la procreazione. Una nuova prospettiva o un assurdo paradosso del progresso scientifico? di Keri Gonzato

Fino a pochi anni fa, la scienza non

Società 10

offriva vie di scampo, i figli si facevano finché il proprio corpo lo permetteva. “Sul finire del ventesimo secolo mutamenti nell’ambiente sociale e naturale sembrano avere fortemente perturbato la procreazione umana nei paesi industrializzati”, conferma il biologo francese e critico scientifico Jaques Testart, “c’è anzitutto il problema della posticipazione della maternità, collegata all’esigenza della donna di affermarsi nel mondo del lavoro”1. Complici i cambiamenti dello stile di vita, si tende a rimandare la decisione di mettere al mondo un bambino sempre più in là. La “bucket list” di cose da fare, prima di metter su famiglia, è infinita… il giro del mondo da realizzare, il conto in banca da rimpinguare, la sindrome di Peter Pan da superare, il principe azzurro da scovare, la casa da acquistare e il traguardo professionale da raggiungere. Insomma, spesso, si rimanda fino ad arrivare sul limite della quarantina e ritrovarsi a rischio. Sì perché, se nei nostri venti anni siamo nel pieno delle possibilità procreative, dai trenta in poi il capitale riproduttivo diminuisce gradualmente e considerevolmente… “Il calo sensibile della fertilità conseguente all’aumento dell’età materna è una delle cause per cui si ricorre alla procreazione assistita” conferma Jacques Testart, “al tempo stesso numerosi studi mostrano un impoverimento nella qualità dello sperma; questo fenomeno, inquietante per la sua repentinità se si considera che il potere di fecondazione dello sperma si è mantenuto stabile per millenni, è stato attribuito all’inquinamento, ma le ragioni precise sfuggono tuttora”. In questo panorama, la procreazione assistita offre un miraggio rassicurante… Una sorta di piano B di salvezza!

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Speranze e polemiche È importante dire che, la scienza offre un aiuto ma non permette di fare miracoli, quando la fase biologica di procreazione giunge al termine non si può più fare nulla… “Le nuove tecniche – in particolare la diagnosi genetica preimpianto – aumentano le percentuale di gravidanza verso la fine della normale fase biologica, ma non oltre”, spiega il dottor Thierry Suter, specializzato in ginecologia e ostetricia e fondatore del ProCrea Swiss Fertility Center di Lugano, “superata la fase fertile della donna, una gravidanza e solo possibile con l’ovodonazione o con le ovociti della stessa donna crioconservati quando era più giovane”. “Il fatto che tante donne vogliono avere figli più tardi – tra 40 e 50 anni – è secondo me comprensibile visto che la speranza di vita è aumentata e che nella società occidentale la maggior parte delle donne non vogliono più sposarsi subito per aver figli”, prosegue il dottor Suter. È inutile dire che le polemiche intorno a queste tecniche di intervento sono numerose. Morale e politica A inizio 2014, a Berna, gli Stati hanno detto sì alla selezione degli embrioni contro le malattie “gravi”, ma con dei limiti. “Il Consiglio degli Stati vuole permettere analisi genetiche sugli embrioni in vitro destinati a coppie con difficoltà nella procreazione per evitare

la comparsa di gravi malattie ereditarie (come la mucoviscidosi), ma non intende estendere tale possibilità per determinare la presenza di anomalie cromosomiche (come la trisonomia), né permettere la creazione di cosiddetti «bambini salvavita», concepiti per curare un fratello o una sorella malati” (Giornale del Popolo, marzo 2014). I limiti sono stati imposti dalla minoranza sostenuta dal ministro Alain Berset che “ha evocato il rischio di una deriva eugenetica se non si restringe il campo di applicazione della legge alle malattie ereditarie gravi, tanto più che un giorno anche le coppie fertili, magari un po’ in là con gli anni, potrebbero pretendere di poter far capo a questa tecnica per evitare rischi genetici nella prole”. In questa occasione, la senatrice turgoviese Häberli-Koller, aveva dichiarato di temere che simile tecnica potesse favorire la stigmatizzazione spingendo le assicurazioni a esprimere riserve nei confronti di bambini disabili, dal momento che esistono tecniche per non averli, oppure a colpevolizzare quelle coppie che hanno voluto lo stesso un figlio benché portatore di un handicap. Il medico argoviese Felix Gutzwiller (PLR/ZH) affermava invece che la normativa elvetica in materia di procreazione assistita era una delle più conservatrici d’Europa e, proprio ber questo, “molte coppie che vogliono avere figli vanno all’estero per aggirare

Nel caso in cui mi ritrovi senza lavoro. <wm>10CAsNsjY0MDQx0TW2NDIxsgQAfUYVVQ8AAAA=</wm>

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impiantarli nell’utero. Ciononostante, il dibattito rimane aperto e i contrari sono pronti a lanciare un referendum contro la legge di applicazione. Abbiamo sbirciato in un abisso vasto e complesso. Il dibattito è aperto. Sta alla bussola morale di ognuno definire i limiti di tali questioni. Una cosa è certa, scegliendo la strada della natura, rinunciando a qualche exploit nella famosa bucket list, e buttandosi – ancora relativamente giovani – nell’avventura di diventare genitori si evitano parecchie complicazioni. A ognuno di noi la scelta.

Immagine tratta da womenembracingbrilliance.com

Si può? <wm>10CAsNsjY0MDQx0TW2NDIxNgAAmM_SNQ8AAAA=</wm>

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i divieti della nostra legislazione”. Una delle paure maggiori dei contrari era che si trattasse di un’ulteriore passo verso le derive dell’eugenetica… Secondo Géraldine Savary (PS/VD), anch’essa a favore di una legge più permissiva, però “il rischio di una deriva eugenetica – selezione artificiale per il perfezionamento della specie umana – è esagerato e che i disabili non rischieranno in futuro di essere stigmatizzati”. Il 14 giugno dello scorso anno, l’elettorato svizzero è stato chiamato a votare per decidere se autorizzare il rilevamento precoce delle malattie gravi negli embrioni prodotti con la fecondazione artificiale, come fanno i paesi

vicini. La DPI (diagnosi preimpianto) è l’analisi genetica dell’embrione prodotto in vitro che si effettua prima di impiantarlo nell’utero della donna. Secondo i sostenitori ha il compito di offrire maggiore sicurezza. I contrari sostengono invece che si tratti di un gioco rischioso e inammissibile con la vita umana. La bussola morale In giugno 62% dei votanti, 20 cantoni e semicantoni su 26, hanno approvato la modifica dell’articolo costituzionale relativo alla medicina riproduttiva e all’ingegneria genetica in ambito umano. La DPI2 sarà accessibile unicamente in due situazioni – se una coppia è portatrice di gravi malattie ereditarie oppure se non può avere figli in modo naturale – ossia nei soli due casi in cui la fecondazione in vitro è autorizzata in Svizzera. L’esito del voto apre strada alla legalizzazione della diagnosi di embrioni concepiti tramite fecondazione in vitro prima di

note 1 “Per procreazione assistita si intende qualsiasi procedura messa in atto per facilitare l’incontro dello spermatozoo con l’ovulo, con esito fecondo, nel caso in cui si siano verificate difficoltà al concepimento. La gamma degli interventi è ampia e in funzione della causa della sterilità (v.). Le tecniche di procreazione assistita hanno sollevato, sin dal loro affermarsi, delicate questioni di carattere medico, sociale, giuridico ed etico”. Da Jacques Testart, La Procreazione Assistita (Il Saggiatore, 1996). 2 “Per i suoi sostenitori, la DPI serve soprattutto ad evitare inutili sofferenze a quei genitori che non sarebbero in grado di prendersi cura di un bambino gravemente handicappato. Per i suoi avversari, non solo non ci si può arrogare il potere di decidere chi ha il diritto di nascere o no (come con l’aborto), ma in più, non si possono creare embrioni sapendo in anticipo che alcuni saranno volontariamente distrutti. Alcuni temono anche la diffusione di pratiche eugenetiche che non hanno alcuna giustificazione medica. Con l’evoluzione della tecnologia, si potrebbe immaginare che in futuro si sceglierebbe non solo il sesso del proprio futuro bebè, ma anche il colore dei suoi occhi o dei suoi capelli, in attesa di altro ancora”. Da Marc-André Miserez, aprile 2015 (swissinfo.ch).

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S

Vitae 12

ono sempre stato interessato alle storie, alla narrazione, soprattutto alla televisione. Non so spiegare in modo razionale perché, ma penso che in parte venga dall’influenza di tre grandissimi amici di famiglia con i quali sono cresciuto. Alla fine degli studi allo IULM a Milano, una città che offre tantissimo ma molto difficile da conoscere, sono andato a trovare una cara amica siciliana che si era trasferita in Gran Bretagna, a Leeds, per un master. Quella settimana ha cambiato tutto! Da piccolo guardavo moltissimi film ambientati in Gran Bretagna ed è per questo che, quando sono arrivato lì, mi sono sentito subito a mio agio. È in Gran Bretagna che sono diventato adulto! Mi sono informato e ho trovato un master in produzione di documentari per il cinema e la TV a Manchester. L’ambiente studentesco inglese mi ha appassionato tantissimo: era completamente differente da quello di Milano dove tutti si presentavano a scuola con l’auto dell’ultimo modello e i vestiti firmati. Là gli studenti si svegliavano alle dieci del mattino, arrivavano con le infradito e la tuta da ginnastica! (ride, ndr.). Dopo la laurea avevo voglia di fare qualcosa di più pratico e ho trovato un corso che mi permetteva di usare una telecamera, filmare un programma in TV, giocare con la regia, presentare, montare. Ho imparato tantissimo. La Gran Bretagna offre un enorme vantaggio: è incredibilmente aperta agli stimoli esterni. Non ho avuto alcun problema di integrazione, mi hanno aiutato enormemente la mia conoscenza dell’inglese, le relazioni che avevo già, ma anche lo studio della TV che ti permette di cogliere le sottigliezze culturali di un paese. Alla fine di questa esperienza ero combattuto: il mondo della TV mi piaceva ma mi faceva anche paura, perché produrre programmi in un paese che non è il tuo è difficile. Avevo l’opzione della carriera accademica, finché mi hanno offerto un lavoro in Scozia, a Glasgow, per il quale mi ero candidato quasi per gioco. È andata bene. Tre giorni dopo ho fatto la valigia, ho preso il treno e mi ci sono trasferito senza conoscere nessuno. Ho prodotto programmi per la BBC, per Channel 4 e diverse compagnie indipendenti. Settimanalmente

mi muovevo fra Londra, Manchester, Dublino, Belfast, vivendo momenti molto intensi con dei colleghi che conoscevo poco. Ho lavorato con registi come Mark Cousins, Tilda Swinton, Irvine Welsh, occupandomi di una vasta gamma di programmi: da un documentario per la BBC su una scuola per bambini sordomuti che stava per chiudere a Edimburgo, a un reality su “compra e vendi la casa”, fino a un documentario su un albergo di lusso per cani e gatti a Los Angeles (una delle cose più orribili e affascinanti che avessi mai visto nella mia vita!). Com’è la Scozia? È geniale! È esotica, la luce e le persone sono diversi, ti senti in cima all’Europa, lontano dalle cose, una sensazione all’inizio piuttosto piacevole. Ricorderò sempre quel giorno sul treno da Edimburgo a Glasgow, tutti quei prati verdissimi con quei fiori viola che in inglese si chiamano heather (Brugo, ndr.)! È stata una sfida, una carica di adrenalina che spero tutti possano sentire una volta. Ci sono rimasto sette anni! Sapevo già che un giorno sarei ritornato in Ticino e cominciavano a mancarmi la mia casa e le mie relazioni. Quindi con tutta calma mi sono detto che era arrivato il momento. In Ticino ho avuto la fortuna di trovare il lavoro che già facevo, alla RSI, chiaramente in un contesto e con ritmi di lavoro diversi. Qui, per esempio, è molto più difficile quando cerchi un ospite, una storia particolare, perché siamo in pochi, però credo che nel mondo televisivo ogni limite rappresenti in realtà un’opportunità per trovare soluzioni creative. Credo la RSI sappia farlo ancora bene, con un ritmo magari più lento, più elegante e vicino al territorio ma che mi piace molto. Da due anni produco la trasmissione per giovani adulti “Linea Rossa” e sono stato incredibilmente fortunato di poterlo fare. I giovani possono parlare di tutto, le tematiche tante volte sono simili a quelle trattate in altre trasmissioni, per questo non vanno considerati come “diversi” o “ignoranti” e soprattutto come se fossero tutti uguali.

NICK MOTTIS

Da Locarno a Milano, da Manchester a Glasgow, seguendo sempre la sua passione: raccontare storie per il piccolo schermo. Oggi fa il produttore televisivo

testimonianza raccolta da Marco Jeitziner fotografia ©Sabine Biedermann


IL TICINO D’AMERICA Ritratti di famiglie ticinesi emigrate in California di Rosangela Cuffaro; fotografie ŠFlavia Leuenberger


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ella toponomastica degli Stati Uniti non mancano tracce che ricordano la secolare presenza di immigrati svizzeri e ticinesi in terra americana. Nomi di località e strade, talora, riportano alla memoria le non poche colonie elvetiche lì insediatesi. Ne sono esempio distretti come Switzerland nell’Ohio, New Switzerland in Georgia, le cittadine Gruetli-Laager nel Tennessee e Tell City in Indiana, oppure, ancora, un caso particolarmente significativo, la Ticino Street a Soledad in California. Fu proprio nel Golden State che, tra la seconda metà dell’ottocento e gli anni trenta del novecento, cercarono fortuna circa 30mila ticinesi.1 Affascinata dalle storie di queste persone, Flavia Leuenberger ha ricercato e intessuto una rete di contatti con famiglie di origine ticinese che oggi vivono tra gli stati della West Coast e del Montana. Filo conduttore della ricerca è il dialogo con persone in cui è vivo il ricordo dei familiari partiti dal Ticino e delle sfide che dovettero affrontare nella loro nuova terra. Il reportage fotografico che ne è scaturito coglie, in particolare, le manifestazioni di affetto per la Svizzera, evidenziando costantemente e con equilibrio la presenza di elementi, oggetti e richiami ticinesi all’interno del contesto americano. La maggior parte delle persone ritratte, originarie delle valli del Sopraceneri, negli Stati Uniti sono divenute col tempo proprietari terrieri o gestori di ampi ranch, come, tra i molti esempi, Brian Rianda, esperto di flora e fauna, attualmente proprietario di un’estesa tenuta a Chualar, in California. L’integrazione nella nuova società ha permesso agli immigrati ticinesi di avviare attività economiche e produttive, poi portate avanti e rinnovate dai discendenti. Il clima mite, le terre pianeggianti e le condizioni fertili hanno facilitato l’adattamento. Per molti, la chiave del successo è stata rappresentata, oltre che dall’intraprendenza personale, dalla fedeltà alle tradizioni del Ticino, tenacemente conservate e tramandate. Osservando con attenzione l’immagine scattata nel ranch della famiglia Grisetti, per esempio, si nota un’insegna che indica come qui vengano tutt’oggi allevate mucche svizzere, “Purebred Holstein-Friesian” (ovvero di pura razza Holstein-Friesian). Questo segnale ci restituisce l’immagine di un’attività che ha fatto della tradizione contadina elvetica il proprio marchio. Seguendo una formula molto simile, il caseificio del dairyman Scott Lafranchi, avviato dal nonno nel 1919, è diventata un’azienda di notevoli dimensioni, che alleva centinaia di mucche importate dalla Svizzera per produrre formaggi seguendo scrupolosamente la ricetta di stagionatura valmaggese. Tra i ticinesi rintracciati dalla giovane fotografa negli Stati Uniti non si annoverano, tuttavia, solo allevatori o casari, ma anche discendenti di artigiani come

John Grisetti Junior, Soledad, California


Lee e Anna Conti, Sonoma, California


Brian Rianda, Chualar, Salinas Valley, California


Scott Lafranchi, Nicasio, California

Tony Canonica, emigrato nel 1896 dapprima in Nevada e in seguito nel Montana, che avviò una delle prime lattonerie a Butte, il “Tony’s Tin Shop”, trasformato ora in un atelier-museo in cui sono conservati gli originali strumenti di lavoro dello stagnaio. Nel caleidoscopio statunitense Flavia Leuenberger concede spazio, oltre che alle immagini del lavoro e del successo professionale, anche a una realtà più intimista, che coglie nelle inquadrature d’interni. Ne è un esempio il ritratto di Cesira Helvetia Ottolini, emigrata in California da Gordevio senza conoscere la lingua inglese. La donna, che ha posato nella sua abitazione, ha mantenuto un profondo legame con le proprie origini: ai figli nati e cresciuti nel Golden State ha insegnato non solo il dialetto della propria infanzia, ma anche le melodie della tradizione popolare ticinese. Tra le immagini d’interni scattate da Flavia Leuenberger, si notano paesaggi svizzeri e maestose cime alpine raffigurate in dipinti o stampe alle pareti. Vedute della patria lontana da cui sono partiti genitori e parenti sono appese, per esempio, nel salotto della famiglia Grisetti. Un ritratto ancora diverso è quello di Anna e Lee Conti, entrambi originari della Val Lavizzara e vissuti per una vita intera sulla West Coast. Sono ripresi nel cortile della propria casa appoggiati al cofano di una Chevrolet, uno dei marchi automobilistici statunitensi più rappresentativi, fondato agli inizi del novecento proprio da un pilota e imprenditore svizzero. In generale, si può osservare come i dettagli che ricordano la Svizzera siano combinati con elementi tipici del paesaggio e dell’arredo americano. Le immagini, nel loro insieme, non offrono solamente una testimonianza del fenomeno migratorio che riguardò il cantone tra la metà dell’ottocento e l’inizio del novecento, ma rivelano anche quale e quanto profondo sia il ricordo che tuttora lega queste famiglie al Ticino.

note 1 Giorgio Cheda, L’emigrazione ticinese in California. I ranceri, Edizioni Fontana, 2005, p. 104. in mostra Il testo presente in queste pagine è stato preparato per il catalogo della mostra fotografica dedicata alla fotografa Flavia Leuenberger, esposizione curata da Rosangela Cuffaro e Francesca Luisoni in collaborazione con il Museo d’arte di Mendrisio. La mostra, che avrà luogo a Casa Pessina a Ligornetto, aprirà il 21 febbraio 2016. Si ringrazia il Museo d’arte per la concessione alla pubblicazione. in libreria È di recente pubblicazione Le colonie ticinesi in California di Maurice Edmond Perret (Armando Dadò Editore, 2015). Il volume, con un’introduzione dello storico Giorgio Cheda, è la traduzione e riedizione di uno studio apparso nel 1950. Geografo, studioso e docente, Maurice Edmond Perret (1911–1996) ha a lungo soggiornato negli Stati Uniti ed è stato, tra le altre cose, delegato della Croce Rossa in Israele.

Flavia Leuenberger

Una delle 400 mucche svizzere del Ranch Lafranchi

Classe 1985, ha frequentato il Centro scolastico per le industrie artistiche (CSIA) ottenendo nel 2004 il diploma di grafica. Dopo alcuni anni di esperienza anche in ambito fotografico svolge ora entrambe le attività come professionista indipendente. flavia-leuenberger.ch


Adolescenti La stanza dei sogni di Keri Gonzato; fotografie ©Reza Khatir

rock star, sdraiarsi sul letto e proiettare sul soffitto tutti i propri sogni più grandi e più segreti.

Luoghi 42

Ricordo l’adolescenza come un periodo particolare e stravagante. In questa fase della vita si vive una trasformazione enorme. Un mutamento profondo che coinvolge il corpo, i pensieri e le emozioni. Non siamo più bambini e non siamo ancora donne o uomini. Siamo semplicemente lì, nel mezzo di una foresta piena di ombre, paure, incertezze, sogni e fantasie. L’infanzia è svanita, l’età adulta non è che una visione fuligginosa, e al centro ci sei tu, un giovane che tenta di dare una forma e una definizione alla propria identità… In questo cammino intenso, c’è un luogo speciale che offre un momento di quiete. Spazio prediletto Nella sua stanza l’adolescente si trova a tu per tu con se stesso. Dopo una giornata a fare la gimcana tra le normative della scuola, gli obblighi imposti dalla società e le richieste dei genitori, chiude la porta della sua camera e… aaah, che sollievo, respira un po‘ di libertà! Deposita per terra lo zaino e con lui le maschere che ha imparato a indossare per funzionare nel sistema, quella da nerd, da bullo, da belloccia o da invisibile. Finalmente, può semplicemente essere. “È la mia stanza e ci faccio quello che ci voglio!”, siamo in molti a sentire ancora riecheggiare quest’affermazione nei corridoi della memoria. In questa frase troviamo il succo di quello che è un luogo davvero importante per l’adolescente, dove può ricaricare le batterie, sconnettendosi dal mondo esterno. Se la casa è il regno dei genitori, la scuola dei professori e la città di politici e poliziotti… la camera da letto per l’adolescente è una zona franca e per questo sacra. È qui che, quando i genitori non ci sono, può mettere la musica a manetta e ballare come un folle, può portarci fidanzatino/a e sperimentare, dimenticare tutto perdendosi nella lettura di un romanzo, osservare e studiare il mondo dalla finestra virtuale di internet… Ed è sempre qui che ci si può truccare per ore travestendosi da adulte, invitare gli amici e parlare per ore, suonare la chitarra sentendosi una

Estensione di se stessi La stanza, per un ragazzo, è un vero e proprio mezzo espressivo. Le sue pareti sono una tabula rasa su cui incollare parti di sé sotto forma di poster, fotografie, scritte, sogni in carta e colore. I genitori, varcando la soglia di quel territorio straniero, hanno la preziosa opportunità di scorgere una sfumatura dell’anima dei propri figli. Quelli più attenti, osservando oltre la porta, potranno carpire qualcosa del mondo interiore di quelle strane creature in evoluzione. Il disordine è la condizione che definisce meglio la stanza di tanti giovani… Un caos che è già di per sé una dichiarazione di indipendenza e di anarchia. Riviste e libri di scuola, pupazzi, mucchi informi di vestiti, trucchi e accessori… Un marasma che parla del mondo interiore scompigliato di chi, senza che nessuno lo avvisasse o preparasse, ha visto la sua infanzia andare in pezzi ed ora è lì, in una sorta di strano limbo, con davanti una nuova realtà che ancora non comprende. “In realtà, gli adolescenti disordinati sono figli sani, anzi sanissimi”, scrive lo psicologo Raffaele Morelli, “la confusione di oggetti in cui la maggior parte degli adolescenti è immersa corrisponde al caos interiore e psichico tipico di questa età, oltre che essere un modo loro, molto orgoglioso, di affermazione e differenziazione da mamma e papà, spesso molto ordinati. Non è raro che il caos dei nostri adolescenti annunci un futuro diverso, un ordine che si produrrà solo nel tempo”. In adolescenza, la rivendicazione del diritto di avere una stanza in disordine rappresenta un forte simbolo del suo desiderio di libertà, di indipendenza e di trasgressione delle regole. Così come i genitori sentono che la casa è un’estensione di se stessi, allo stesso modo l’adolescente vive la sua stanza. Dato che la stanza è posizionata all’interno della casa e che il ragazzo è ancora ampiamente dipendente dai genitori questa situazione, come ben sappiamo, è all’origine di molti conflitti, sbattimenti di porte e urla vichinghe incluse. Ma tranquilli, è tutto normale, questi conflitti fanno parte del gioco e del naturale processo di maturazione, sia come figli sia come genitori. Senza pareti Detto questo, ogni ragazzo è diverso e così ogni stanza che cambia di pari passo con la sua evoluzione personale. Qualunque stille esse abbiano è proprio nelle loro stanze che, a giornata conclusa, i ragazzi di tutto il mondo tirano un respiro e si prendono uno spazio per sé. In quel lembo geografico protetto da un pavimento, un soffitto e delle pareti, possono vivere il proprio presente e tracciare gli schizzi del proprio futuro.


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Letture Oltre la guerra di Marco Alloni

L’ultimo romanzo di Claudio Magris conferma la cifra stilistica che contrassegna l’autore triestino a partire dal suo capolavoro Alla cieca pubblicato qualche anno fa. Si tratta di un approccio alla vita – e quindi alla Storia – in cui si risolve, in modi che non trovano eguali nella narrativa italiana contemporanea, il grande tema del nostro rapporto con il tempo. Siamo di fronte a un libro apparentemente senza trama, nel quale passato e presente – come in Alla cieca – convivono simultaneamente in una narrazione che impasta la Storia in un amalgama da cui scaturiscono solo le essenze. Non a caso il vero protagonista del romanzo non è un personaggio ma un luogo: un museo in progettazione nel quale sono idealmente raccolti quei lasciti di perentoria fisicità che richiamano la guerra: anzi, le guerre. In particolare, la Prima e la Seconda guerra mondiale. E in questa ricostruzione dell’abominio, dell’inutilità e della crudeltà della guerra attraverso i suoi strumenti di morte, Magris non fa sconti:

in una fitta catalogazione ne presenta l’assurda vitalità e tutto ciò che significarono – e continuano a significare – per i destini dell’umanità. Un libro sulla Storia, dunque, come nessuna storiografia è mai riuscita a concepirne. Un libro che degli eventi storici ci ricorda il lato più funesto. E del nostro rapporto con il tempo ci esorta a fare spunto per ripensare criticamente la nostra condizione di belligeranti. Ma non solo. Il grande pregio di Magris sta nell’aver individuato una lingua – una cifra stilistica, appunto – che scardina ogni linearità, riproponendoci la Storia per quel realmente è: un tempo in cui la memoria e il presente giocano a riconoscersi e nascondersi. Un tempo nel quale la nostra colpevole maturità dovrebbe fare i conti con la nostra età bambina, con quell’immaturità in cui capimmo, istintivamente, che il solo modo per accettare la guerra è quella di giocarci. Giocare alla guerra per evitare di farla. Creare un fastoso museo per evitare che il dramma si ripeta.

Non luogo a procedere di Claudio Magris Garzanti, 2015

Ascolti Sopra i tetti di Fabio Martini

Luca Sisera è uno dei più interessanti contrabbassisti svizzeri. Nell’arco della sua carriera – ha appena compiuto quarant’anni – ha saputo approfondire e metabolizzare, con tenacia e instancabile curiosità, esperienze assai diverse sia nell’ambito del jazz sia in quello della musica improvvisata, inanellando un percorso che lo ha portato a suonare in America, in Cina e da poco anche in Egitto. Al di là dei riconoscimenti a livello nazionale e internazionale e degli oltre trenta dischi registrati, Sisera ha svolto e continua a svolgere un ruolo centrale nella giovane e innovativa scena jazzistica elvetica. È in quest’ambito che il musicista originario di Coira ha dato vita a un quintetto di grande interesse che, sotto la sua guida, ha pubblicato un CD per la nota etichetta britannica Leo Records. Prospect è un lavoro che attesta dello spessore e della piena maturità di Sisera, compositore dotato e raffinato, capace di offrire una musica vitale ed eccitante (delle nove tracce presenti sul disco ben sette portano la sua firma).

Nei brani, contrassegnati da strutture ritmiche e armoniche complesse, convergono con naturalezza elementi della tradizione jazzistica (“Backyard cowboys”, “Drunk Octopus”, la splendida “Neptune’s Chant” che riecheggia atmosfere shorteriane), del funk (“Underhill Steam”), della musica contemporanea (“Warship Requiem”, brano che nasce da un’improvvisazione collettiva per poi addensarsi e dissolvere in un clima di estrema tensione). Non mancano momenti di autentica improvvisazione (“Roofer” e “Digger”) che confermano la capacità dei musicisti di maneggiare con consapevolezza e intensità i materiali più disparati. Michael Jaeger, mirabile al tenore e al clarinetto, Silvio Cadotsch, trombonista dal fraseggio cerebrale, Yves Theiler, un talento del pianoforte, Michi Stulz magico alle percussioni, ci regalano sotto la conduzione di Sisera, un lavoro che, pur toccando corde diverse, conserva un’invidiabile unità stilistica a conferma della sapienza musicale e artistica del leader del quintetto. Da non perdere!

Prospect di Luca Sisera Roofer Leo Records, 2015


BIMBI E SPORT

Praticare un’attività fisica ha, per un bambino, un’importanza enorme, sia per la sua evoluzione psicomotoria sia per la socializzazione e per un corretto sviluppo osseo. Ma a quale sport avviare i propri figli e a quale età? Tendenze p. 45 | di Marisa Gorza

Dai

pediatri, ai nutrizionisti agli ortopedici, dagli psicologi agli educatori tutti, ma proprio tutti, sono concordi sulla necessità di praticare sport fin dall’infanzia. Ma qual è lo sport giusto per il proprio rampollo o frugoletta? Quale scegliere? Domanda ricorrente da parte dei genitori alla quale risponde il dottor Paolo Peduzzi, noto medico di Bellinzona: “Quale pediatra, sono molto attento al benessere totale dei piccoli, quindi ritengo indispensabile che la scelta sia frutto di un equilibrato compromesso tra le esigenze fisiologiche del figlioletto, le sue inclinazioni e, come ultime, le esigenze dei genitori. Spesso accade invece che queste abbiano la priorità su tutto e che i ragazzini diventino lo specchio dei desideri frustrati o le ambizioni di mamma e papà – «sono sempre stato una schiappa a giocare a calcio... e allora tu diventerai un campione del pallone! Non ho avuto la possibilità di emergere... lo farai tu!». Tutto questo è nefasto per i piccoli. Torniamo al calcio, per quanto in tenera età, sia gioioso e socializzante in seguito può diventare una rincorsa alla prestazione, con allenamenti forzati e con un grosso carico di stress per tutta la famiglia. Così dicasi della danza o del pattinaggio... Inoltre il campanello d’allarme deve suonare prima che il bambino venga sovraccaricato di impegni con un time schedule così fitto da far invidia a un manager. Ma è il caso? Una particolare attenzione va messa anche nella scelta del club o palestra da frequentare per assicurarsi che l’ambiente sia stimolante e formativo”. Tenendo in debito conto le raccomandazioni del dottor Peduzzi, passiamo a elencare gli sport più gettonati. Premesso che quello assolutamente perfetto non esiste, vige comunque qualche regoletta variabile secondo l’età del piccoletto. Per i bimbi al di sotto dei 2 anni le attività dovrebbero rappresentare un momento di puro gioco, meglio se

all’aria aperta. Mentre per quelli in età prescolare (3-5 anni) vanno bene le discipline che lasciano spazio alla scoperta, ma con regole semplici. Le migliori capacità motorie dei ragazzini tra i 6 e i 9 anni permettono loro di iniziare uno sport più organizzato. Va da sé che, superati i 10 anni, si può porre l’attenzione su strategie che mirino allo sviluppo della massa muscolare attraverso sport via, via più complessi. Per i preadolescenti entrano in ballo altri fattori collegati all’autoaffermazione e allo sfogo della naturale aggressività. Quindi un po’ di competitività, ben incanalata e organizzata, serve da equilibrante psichico.

ATLETICA LEGGERA

Correre, saltare, lanciare... ecco che si impara tutto quello che il corpo umano può fare. Inoltre non si può imparare l’atletica senza incrementare le capacità metaboliche e di coordinazione neuromuscolare, perciò non va iniziata prima dei 7-8 anni. Ottima per arricchire il bagaglio di esperienza motoria.

BASKET

Come il calcio e la pallavolo è uno sport di squadra dove il praticante deve prendere decisioni nello spirito dello stesso team. Attività completa che fa lavorare sia le gambe che la parte superiore del corpo. Grinta, lavoro di gruppo, ma anche esaltazione dell’individualità. Da iniziare pure dopo gli 8 anni.

CALCIO

Si corre e si salta e ci si coordina con gli altri all’interno dello spazio e come tutti gli sport di squadra, si comincia intorno ai 7-8 anni. Migliora la capacità respiratoria, la velocità e la resistenza, ma ha il limite di non interessare in modo significativo l’uso di mani e braccia. Può però stimolare una competitività esasperata.

CICLISMO

Come attività ludica è adatta a partire dai 4 anni in quanto accresce l’autostima, il senso dell’equilibrio e la capacità di risolvere situazioni impreviste. Pur trattandosi di uno sport asimmetrico che predilige gli arti inferiori, insegna a bilanciare i movimenti e il peso su due ruote.

DANZA

La danza lavora sul corpo nella sua globalità. Tutti i muscoli e l’intera ossatura vengono sollecitati e stimolati. Inoltre vengono favorite la postura e l’armonia dei gesti imparando a tenere il tempo musicale. Perfetta per le bimbe dai 5 ai 10 anni poiché induce a contrastare la perdita di coordinamento dei periodi di veloce crescita fisica. Sottovalutata a torto dai maschietti.

KARATE E JUDO

Sono attività spesso “mal viste” dai genitori che temono per l’incolumità dei figlioletti. In realtà, se ben gestite, sono utilissime allo sviluppo totale dei bambini che, lavorando sulla coordinazione e sulla mobilità articolare, entrano in contatto con la propria aggressività e imparano a controllarla. Richiedono una certa forza muscolare che si acquisisce dopo gli 8 anni.

NUOTO

Benché sia uno sport armonioso e simmetrico e indicato fin dai primi anni di vita, non interviene su fattori quali l’abilità di coordinare il corpo rispetto allo spazio e sulla capacità di lavorare insieme agli altri per favorire la socializzazione. Ma presenta altri vantaggi: poiché l’acqua toglie l’effetto peso, non esercita carichi sull’apparato locomotore con un bassissimo rischio di traumi. Per non parlare dell’utilità di acquisire autonomia nell’elemento liquido.


La domanda della settimana

Il 28 febbraio si avvicina: avete già deciso se approvare o meno la costruzione della seconda canna autostradale sotto il San Gottardo?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 11 febbraio. I risultati appariranno sul numero 8 di Ticinosette.

Al quesito “Il littering (abbandono di rifiuti in luoghi pubblici) è un malcostume noto da tempo. Avete l’impressione che oggi il nostro cantone sia più «sporco» che in passato?” avete risposto:

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Astri ariete Tra il 7 e il 10 forte aspetto angolare. Situazioni trasgressive per i nati in aprile. State attenti a non adottare atteggiamenti autodistruttivi.

toro Fortuna professionale. Ogni vostro merito tende a essere riconosciuto. Guadagni provenienti da una attività artistica o creativa. Stanchezza.

gemelli Tentazioni irresistibili. State attenti a non farvi confondere le idee. Restate con i piedi per terra. Bene tra l’8 e il 9. Speculazioni finanziarie.

cancro Mercurio e Venere in opposizione e Marte continua a stimolarvi. Non ve la sentite proprio di limitarvi, volete fare tutto quello che vi passa per la testa.

leone Permalosi e ipersensibili. State attenti a non divenire irascibili. Prospettive professionali di una certa importanza per i nati nella seconda decade.

vergine Possibili abbagli in ordine ai rapporti con il partner. Ognuno sembra vivere all’interno di un proprio “film”. Alla grande i nati nella seconda decade.

bilancia Forte aumento degli interessi sessuali. Situazioni inaspettate e improvvise. Bene tra il 9 e l’8. Con la Luna in Acquario favoriti i rapporti creativi.

scorpione Tra il 9 e l’11 la Luna transiterà nel settore riservato all’amore e alla creatività. Momento importante per i nati in novembre. Colpi di fulmine.

sagittario Cambiamenti decisivi. Tagliate con il passato e guardate con fiducia al futuro. Realizzate ogni vostra potenzialità. Instabili i rapporti familiari.

capricorno Incontri sentimentali. Fortuna professionale per architetti e artisti in genere. Svolte nel campo immobiliare. Cambiamenti improvvisi in famiglia.

acquario Irritabili i nati nella seconda decade toccati dal transito di Marte. Incontri e pubbliche relazioni in località insolite. Progetti per il futuro.

pesci Grazie a Marte e Venere opportunità di risolvere una criticità. Cambiamenti professionali, riconducibili a una attività estera. Prudenza e riposo.


Gioca e vinci con Ticinosette 1

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 8

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate il numero 0901 59 15 80 (CHF 0.90) entro giovedì 11 febbraio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 9 feb. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Verticali 1. Così un tempo veniva chiamato il pastore tedesco • 2. Brillano in cielo • 3. Bagnata di rugiada • 4. Risuona nell’arena • 5. Fredda regione dell’Europa settentrionale • 6. Cucinata • 7. Solco lunare • 8. Illustrare un libro • 9. Cortili agresti • 13. I confini di Intragna • 17. Incapace • 19. Le pale che producono energia • 23. Limitrofi, confinanti • 25. Pedina coronata • 27. Cantone svizzero • 28. La capitale con il Colosseo • 31. Si dà arie • 33. I bottoni del montgomery • 34. Sta per “sangue” • 36. Croce Rossa • 37. Cattiva • 39. Mario, architetto • 43. Andati in poesia • 45. Abitazione • 47. Nel centro di Carona • 48. Rabbia • 51. Dittongo in baita.

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Orizzontali 1. Turpiloquio • 10. Occhiello • 11. Son ghiotti di miele • 12. Urlate a gran voce • 14. Torti senza pari • 15. C’è chi lo fa con il diavolo • 16. Intacca la vite • 18. L’aria poetica • 20. Il nome della Oxa • 21. Cattivo • 22. Il dittongo del beato • 24. Assicurazione Invalidità • 25. Squadra madrilena • 26. Riunire, raggruppare • 29. Mezza riga • 30. Circolavano in Italia • 31. L’opposto di dry • 32. Hanno il cordiglio • 33. Chiude la preghiera • 35. Avanti Cristo • 36. Lo solleva uno scandalo • 38. Un mammifero striato • 40. La cintura del kimono • 41. Pari in pianto • 42. La terza nota • 44. Austria e Cuba • 46. Calamitati, allettati • 49. Nettezze, splendori • 50. Capo etiope • 52. Insenatura.

La soluzione del Concorso apparso il 22 gennaio è: PROCIONE Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Denise Pino 6500 Bellinzona Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!

Questa settimana ci sono in palio 100.– franchi in contanti!

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