№ 25 del 17 giugno 2016 · con Teleradio dal 19 al 25 giugno
NOBLESSE OBLIGE
Il castello di Masino, nel Canavese, è un esempio mirabile della cultura e del gusto della nobiltà italiana del passato Corriere del Ticino · laRegione · Tessiner Zeitung · chf 3.–
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Ticinosette allegato settimanale N° 25 del 17.06.2016
Agorà Alloggi. Abitare low cost
Vitae Antonio Ballerio
Tiratura controllata
63’212 copie
Silvano de Pietro .................................................
di
di
4
nicoletta Barazzoni.............................
6
Mariella dal Farra ................................................
8
Arti Cantare le emozioni. Valentino Alfano Media Marvel. Eroi con difetto
Impressum
di
di
laura di corcia ...............................................................
10
r. roveda; Foto di S. Mengani ...
35
Patrizia Mezzanzanica ed elvin MonteSino ..............
40
Svaghi ....................................................................................................................
42
Reportage Castello di Masino. Noblesse oblige Tendenze La tavola di giugno
di
di
Chiusura redazionale
Venerdì 10 giugno
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
Giancarlo Fornasier
Photo editor Reza Khatir
Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55
Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 29 88 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook
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(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona
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In copertina
Castello di Masino, interno Fotografia ©Simone Mengani
Letteratura e mercato Quale atteggiamento assumere con quegli editori che vogliano camuffare, dietro giudizi senza giudizio, la propria valutazione commerciale? Non credo sia più tempo per assecondare i responsabili del decadimento della letteratura a prodotto da supermercato. D’altra parte il refrain “lo chiede il mercato” o peggio “bisogna accontentare il mercato” riproduce una sudditanza che non può essere pretesa dalla letteratura. La letteratura non è mai stata oggetto di critica, una volta riconosciute le qualità di un libro, se non a un dipresso, a pubblicazione avvenuta: l’aberrazione di prevenire la critica per evitarla non può appartenere alla scrittura. Accondiscendervi è negare alla radice la stessa sostanza dei romanzi, che non devono essere “belli” ma “di qualità”, non “adatti” ma “buoni”, non “commerciali” ma “necessari”. E certo se non si occupano gli scrittori – e gli intellettuali in genere – di proporsi come luogo di resistenza all’identificazione fra cultura e consumo, non solo è persa la cultura ma non è più sensato proclamarsi intellettuali. Detto questo, il discorso è identico sul piano giornalistico. In questi anni solo pochi hanno fatto del giornalismo estero un mestiere responsabile: il resto ricade sotto l’asservimento ai poteri e, quando va bene, alla critica di maniera. D’altra parte, scorriamo la produzione letteraria di questi anni: i nomi che vanno per la maggiore fra gli scrittori italiani – inutile citarli – sono perlopiù abili confezionatori di facezie. Persino quanti la critica esalta come profondi, sono sterilmente non rilevanti. Non intendo con questo pretendermi meno qualsiasi di costoro, ma rivendico il diritto di fare letteratura in nome della letteratura e della vita, non del mercato e delle sue regole.
Di recente un mio romanzo è stato sottoposto a un editing da parte di un agente letterario. È stato per me un momento di grande ottimismo. Ho riconosciuto un lavoro capillare sul testo e nessuna ingerenza estorta in base a valutazioni di marketing. Sono stati scorti i limiti del testo e vi abbiamo lavorato insieme. Andare oltre questo esercizio critico significa trascendere l’opera e discriminare l’identità del romanzo, bello o brutto che sia. Mi auguro vivamente che lo spirito letterario che ha animato l’editor in quell’ottimo lavoro di revisione non venga mai meno in nome dello spirito antiletterario che subordina a sé, presso le case editrici, ogni ulteriore valutazione che non sia di vendibilità. Personalmente, non ho mai respinto una critica intelligente e persino la richiesta di emendamenti pesanti. Ma questo è il lavoro in fieri dello scrittore. Il resto è sospingere letteratura, realtà e cultura nelle mani – parole di Gurdjieff – dell’imputtanamento. Cordialmente, Marco Alloni
Abitare low cost Alloggi. Le cooperative edilizie in Svizzera vantano una storia lunga e importante. Cerchiamo allora di scoprire i motivi del loro successo e i vantaggi che producono per i loro soci e la collettività in occasione del centenario di quella che è la più antica fra le cooperative di abitazione svizzere, la ABZ di Zurigo di Silvano De Pietro
L
Agorà 4
a più grande e una delle più antiche cooperative di abitazione della Svizzera festeggia i cento anni di attività. È zurighese, si chiama ABZ (Allgemeine Baugenossenschaft Zürich) e possiede e gestisce un enorme patrimonio di 4638 abitazioni, ripartite in 506 edifici plurifamiliari e 106 case monofamiliari, a loro volta raggruppati in 56 complessi residenziali. Una vera potenza in questo particolare ramo dell’economia, considerato che delle 256 società affiliate alla Federazione cantonale zurighese delle cooperative immobiliari, oltre la metà è attiva nella sola città di Zurigo con patrimoni non superiori in media alla ventina di edifici e ai 250 appartamenti. La ABZ, nata nel 1916 per iniziativa di un pugno di lavoratori che volevano sfuggire alle condizioni squallide in cui erano costretti a vivere, riuscì a realizzare il suo primo gruppo di case quattro anni dopo, nel quartiere (allora comune autonomo) di Oerlikon. Oggi questa cooperativa che continua a essere presente nelle zone popolari della città, conta 7400 soci e dà alloggio a oltre 11mila persone. Viene gestita da un consiglio d’amministrazione di nove membri e da una direzione di tre persone, con l’aiuto di circa 150 dipendenti a tempo pieno o parziale e di 200 soci collaboratori a titolo gratuito. Per celebrare il secolo di vita, la ABZ ha messo in atto un ricco programma di manifestazioni culturali e sociali che, iniziato a fine marzo, si concluderà il 25 giugno con una grande festa popolare. L’occasione, tuttavia, è propizia anche per ricordare le ragioni in base alle quali sono sorte le cooperative edilizie in Svizzera, i motivi del loro successo, come funzionano, l’ambiente sociale che creano e i vantaggi che producono per i soci e per la collettività. Una soluzione funzionale Abitare in Svizzera, è risaputo, costa caro, sia se si acquista, sia se si prende in affitto una casa o un appartamento. Le ragioni sono svariate e complesse. Ma sta di fatto che trovare un’abitazione a prezzo o a pigione moderata è difficile per chi dispone di un reddito medio o basso. Il problema è ovviamente più acuto nei centri urbani, dove le amministrazioni locali sono alle prese con diversi modelli di soluzione. Uno di questi, applicato con successo da almeno un secolo in alcune città della Svizzera tedesca, è quello rappresentato dalle società cooperative edilizie (o di abitazione, o immobiliari), che agiscono come una sorta di correttivo del mercato, al fine di permettere anche
alle classi sociali meno abbienti di accedere ad abitazioni dignitose. In effetti, l’apparizione delle cooperative, tra la fine dell’ottocento e i primi anni del novecento, ha dato qua e là in Svizzera un impulso all’adozione di politiche sociali dell’alloggio. E grazie alle cooperative, gli affitti, generalmente troppo alti a Zurigo e nelle altre maggiori città a nord delle Alpi, non causano più troppe tensioni sociali e rimangono generalmente sotto controllo. Le prime carenze di abitazioni cominciarono a manifestarsi a Berna intorno al 1870, per l’afflusso di funzionari della neonata Confederazione. Ma anche a Basilea, più o meno negli stessi anni, a causa dell’immigrazione alsaziana. E poi a Zurigo, a Winterthur, a Baden, con l’industrializzazione e il conseguente trasferimento in città di manodopera proveniente dalla campagna. Gli sforzi iniziali dei comuni, tesi a costruire alloggi di proprietà pubblica, si rivelarono però presto insufficienti. Allo scoppio della Grande Guerra nel 1914, molti stranieri chiamati alle armi partirono in massa. Questo causò una temporanea eccedenza di alloggi, che soltanto a Ginevra, San Gallo e Neuchâtel durò fino agli anni trenta. In realtà, nonostante il calo della popolazione, i matrimoni non erano diminuiti nella stessa proporzione. E la penuria di alloggi riesplose. Nel 1919 a Zurigo risultava sfitto solo lo 0,05% delle abitazioni. Le pigioni salirono alle stelle. La Confederazione intervenne emanando norme per la tutela degli inquilini, per il sequestro di alloggi inutilizzati e per incoraggiare la costruzione con crediti vantaggiosi e sovvenzioni a fondo perso, in aggiunta ai sussidi cantonali e comunali. Da allora, i boom dell’edilizia si sono succeduti con una certa regolarità fino a oggi. E nel periodo tra le due guerre le cooperative immobiliari ebbero uno sviluppo straordinario, divenendo lo strumento fondamentale per accrescere l’offerta di alloggi a prezzi bassi nelle città industriali. All’inizio erano soprattutto casette unifamiliari a schiera, ma presto divennero grandi edifici di appartamenti in affitto. Riequilibrio sociale Nel secondo dopoguerra c’è stato un rinnovato intervento attivo della Confederazione (stimolato anche dalla famosa iniziativa Denner sul “diritto all’abitazione e la protezione della famiglia”, respinta con appena il 51,1% dei voti nel 1970) allo scopo di promuovere lo sviluppo di un’edilizia popolare. Le cooperative immobiliari ne hanno tratto un
Il loro fine è l’aiuto e il sostegno reciproco, ovvero la promozione degli interessi economici dei membri aderenti. Ciò significa che il principale vantaggio di cui godono i soci di una cooperativa di abitazione è quello dei canoni di locazione bassi. Questi rimangono a lungo termine stabilmente al di sotto del livello di mercato, perché le eccedenze di bilancio (dovute, tra l’altro, anche all’incremento di valore degli immobili e all’entrata di nuovi soci) vengono reinvestite nel miglioramento del patrimonio immobiliare.
Unità di abitazione di una cooperativa edilizia nell’area di Zurigo (da seebahnhoefe.ch/tres.ch)
rinnovato vigore: sia quelle che, come la Eiwog di Zurigo, si sono date lo scopo di costruire abitazioni di proprietà; sia quelle che hanno creato complessi residenziali alternativi, come ha fatto la Wogeno, sempre a Zurigo. I vantaggi per la collettività (in concreto, per le amministrazioni comunali) si sono rivelati notevoli, in quanto la costruzione di alloggi di utilità pubblica (come vengono definite le abitazioni a pigione moderata) continua a svolgere una importante funzione di riequilibrio sociale. Attualmente in Svizzera si contano oltre mille cooperative immobiliari (ma non in Ticino, dove sono praticamente sconosciute), per un totale stimato di circa 170.000 abitazioni in affitto, che rappresentano pressappoco il 5% degli alloggi sul mercato. Una votazione popolare a Zurigo ha stabilito di recente che nei prossimi anni almeno un terzo delle abitazioni in città dovranno appartenere alla categoria degli alloggi di utilità pubblica, ovvero devono essere di cooperative che le affittano a prezzo contenuto. In effetti, calcolare le pigioni soltanto sulla base dei costi reali di costruzione e manutenzione degli edifici, è il metodo applicato di solito dalle società cooperative, dal momento che esse non hanno generalmente scopo di lucro.
Concetto e contesto abitativo Ma vi sono anche altri vantaggi. Il più importante è concretamente rappresentato dalla stessa architettura di molti complessi residenziali costruiti da cooperative. Gli edifici vengono in genere disposti o direttamente collegati in modo da racchiudere ampi cortili interni, se possibile con delle aree verdi e con parchi giochi. Nella progettazione si tiene conto soprattutto della presenza di famiglie, ma si prevedono anche alloggi per anziani, asili nido, negozi, ritrovi, piccole aziende artigianali o di servizi, e così via. La forma abitativa cooperativa tende quindi a offrire sempre più spesso il vantaggio di vivere in un contesto stimolante, socialmente articolato e a misura di famiglia. In alternativa, poiché non esistono soltanto le cooperative di abitazioni in affitto, si può entrare in una cooperativa di abitazioni di proprietà, o crearne una nuova, se insieme ad altre persone si desidera acquistare l’immobile in cui si andrà ad abitare. Questa scelta consente ai soci non solo di partecipare al capitale comune, ma anche di mantenere un ampio margine decisionale e la possibilità di realizzare almeno alcune preferenze personali in fatto di abitazione. Le forme di cooperazione nel ramo immobiliare che si sono affermate in Svizzera sono comunque diverse. La più diffusa è quella delle cooperative che si costituiscono quale unico proprietario, e in quanto tali gestiscono e amministrano direttamente le abitazioni. Di solito sono le più grandi, presso le quali l’amministrazione ha poteri simili a quelli delle società immobiliari dell’economia privata. Un’altra forma è quella delle cooperative autogestite, nelle quali inquilini e comunità domestiche hanno più poteri decisionali e sono responsabili, tra l’altro, della locazione e della selezione degli affittuari. Ed esistono anche società cooperative di imprenditori (per lo più fondate da aziende edili). Tutte queste forme cooperative sono però sempre accomunate da un ideale di utilità collettiva, quindi dall’impegno a favore della comunità e per la solidarietà. La ABZ di Zurigo, la cui storia oggi viene rievocata, ne è un esempio. Dora Staudinger, l’unica donna tra i suoi fondatori, lasciò scritto che “la cooperativa non costruisce solo abitazioni, ma una nuova, migliore comunità umana, nella quale non si debba combattere e imbrogliare, ma aiutare e sostenere”.
Agorà 5
Cantare le emozioni Ticinese, autore di testi e di canzoni per Mina, pone al centro della propria ispirazione il vissuto personale e la sua interiorità ma anche il contesto in cui ha scelto di vivere
di Nicoletta Barazzoni
Valentino Alfano, ticinese, ha iniziato a scrivere poesie da
Arti 6
giovanissimo. A 18 anni sua madre gli regala una chitarra che inizia a suonare da autodidatta. Dopo aver acquisito una certa destrezza con lo strumento e dopo aver raccolto alcuni scritti sotto forma di poesie, comincia a vestire le parole con la melodia. È in quel periodo che compone la sua prima canzone per Mina, per poi proseguire il sodalizio con la famosa cantante, per cui ha scritto ben 14 brani. Dopo le prime emozioni provate ascoltando i suoi testi cantati da Mina ha via via affinato la sua arte, imparando a usare la struttura delle canzoni, a dare peso crescente alle parole e ai loro suoni, elaborando uno stile personale per descrivere immagini ed emozioni. Traendo ispirazione dal mondo in cui vive ma anche dal suo vissuto interiore e personale, coglie gli stimoli dall’incontro con le persone, dalle onde del lago, dai silenzi, da tutto quello che lo trasporta nel mondo delle parole e della musica, assorbendo l’impercettibile che trasforma in poesia. Nelle tue canzoni c’è poesia che traspare dalla gioia e dal dolore. Le parole per te sono frutto di una ricerca o scaturiscono da qualche cosa d’altro? Più che da una ricerca nascono dall’emozione del momento. Quando sento il bisogno di scrivere, o sono in un certo stato d’animo, inizio a scrivere, e dunque vado d’istinto. Poi è chiaro che se il mio interesse in quel momento è di sviluppare una canzone su quello che ho scritto, affronto tutto il discorso della metrica. A me piace scrivere le parole, la musica la aggiungo poi come supporto, e come stato d’animo in più a quello che scrivo. Un certo tipo di suono che accompagna una determinata parola restituisce maggiormente l’emozione di quel preciso termine. I tuoi testi sono stati scelti da Mina e questo spiega molte cose. Perché l’incontro con un personaggio famoso come lei non ti ha aperto altre porte visto che il tuo talento è naturale? Me lo chiedo anch’io. È vero che non ho mai chiesto a Mina di aiutarmi e non so nemmeno cosa sarebbe successo se glielo avessi chiesto. Devo dire che in me c’è sempre stata la paura di mettermi in prima persona a raccontare le mie emozioni. Piuttosto le faccio raccontare da altri. Poi, con gli anni, le cose sono cambiate, ho fatto un disco nel frattempo, e dunque ho trovato il coraggio di espormi, anche se mi sento sempre in difficoltà. La timidezza mi ha impedito di buttarmi in un discorso serio e importante. Quando ho sentito per la prima volta Mina cantare le mie canzoni non ci credevo. Alla fine le cose sono
andate così, vivo con un altro lavoro, e faccio sempre quello che mi piace, nel tempo che mi rimane. In questo momento, considerato quello che circonda il mondo della musica, penso sia più stimolante dare ai giovani il coraggio di buttarsi perché le possibilità ci sono. Per sfondare ci vuole anche una buona dose di sfacciataggine che non ho. Forse se avessi avuto qualcuno che mi incitava e incoraggiava ci avrei provato. C’è stato altro che ti ha bloccato nella tua ascesa a un mondo musicale più ampio? La mia condizione familiare mi ha reso la vita difficile poiché ero il più grande di quattro fratelli, mia madre era rimasta vedova quando avevo otto anni, perciò eravamo poveri e non potevo abbandonare la famiglia per la musica. Ero il loro punto di riferimento, mia madre era una cassiera e aveva bisogno che contribuissi alle spese di casa. Dalle tue canzoni come “103 parole” oppure “Oh anima” si avverte il tuo carattere e il tuo stile musicale. Non si intravvede una somiglianza con altri cantautori. C’è a chi piace il mio modo di scrivere e fare musica proprio perché non è paragonabile a nessun altro. Scrivo quello che sono, quello che vedo e quello che scaturisce dalle sensazioni. Trovo che sia una cosa molto importante, in generale, facendo riferimento, per esempio, a certi cantanti, osservare come la parte artistica che emerge maggiormente sia quella che non è possibile paragonare ad altri, nel bene e nel male. Restiamo alla musica italiana: in molti criticano Ramazzotti, Ligabue, Antonacci o la Pausini, ma sono autori che portano avanti un loro modo di scrivere senza assomigliare a nessuno. Le brutte copie degli altri non piacciono. La cosa bella dell’artista sia nella scrittura, nel modo di porsi, come cantante e come personaggio, sia nel modo di scrivere musica è proprio la possibilità di far raccontare agli altri quello che tu fai. A me non piace spiegare le canzoni e quando me lo chiedono rispondo sempre: spiegamela tu. Non mi interessa spiegare perché ho scritto quella frase in quel momento, mi interessa sapere cosa provoca quella frase nell’altra persona, che fa parte del vissuto dell’altra persona e non del mio vissuto. Tornando alla tua domanda, quando Mogol ha sentito le mie canzoni mi ha detto che sono bravo a cantare. Sapendo che ho scritto i testi per Mina non si è soffermato più di tanto su quella parte del mio lavoro. Però mi ha detto che la mia voce e il modo in cui canto arrivano allo stomaco e prendono. Quando gli ho chiesto il perché, mi ha risposto che è una dote che si ha o non si ha. La canzone deve provocare le farfalle allo stomaco.
Ascoltando le tue canzoni ci si può ritrovare in una condizione emotiva non spiegabile... Certe dinamiche le si sente ma non le si riesce a spiegare. Quello che considero, e tengo presente quando scrivo, è mantenere un contatto con chi ascolta che sia il più comprensivo possibile. Faccio un esempio: Battiato a volte scrive in un modo incomprensibile anche se si cerca di capirlo. Se si parla di emozioni a volte non è facile far da tramite con chi ascolta. Ci devono essere delle vibrazioni che entrano in risonanza. Mi faccio spesso rapire da questo mistero perché sono aspetti inspiegabili. Il vissuto di un musicista incide molto sulla sua creatività e sulle sue capacità creative. Come ti giostri in questo senso? Mi lascio andare, tiro fuori quello che sento che è tutto il mio vissuto. Non è facile perché a volte ti trovi a voler scrivere qualche cosa ma a non sapere come fare. Ho avuto un momento di cedimento dovuto a una depressione che mi ha portato ad abbandonare la chitarra e la scrittura. Fino al momento in cui stavo vivendo questa fase non mi sono chiesto nulla. L’ho vissuta lasciando che facesse il suo corso per un anno e mezzo, cercando di superarla senza troppe resistenze. Una volta superata la depressione ho capito che era un segnale che mi stava dicendo qualche cosa, un messaggio che mi arrivava da qualche parte. Quando ne sono uscito ho trovato nuova energia. Ho assorbito e assimilato da questo momento di stallo il massimo dell’ispirazione e nuova energia. Con quei pochi amici con cui mi sono confidato ho sempre detto che sono andato a dare la mano al diavolo e poi sono tornato indietro. Solo che in questo caso il diavolo mi ha dato una mano, se di diavolo si può parlare, aiutandomi. La sensazione della mia malattia era proprio questa. Parlando con mia moglie Nanette mi sono reso conto che per me è stata un’opportunità per crescere e evolvere. La sofferenza mi è diventata amica perciò la ringrazio. Alla fine tutte le cose più interessanti, nell’ambito della creatività, sono sempre state create nella sofferenza e mai nella felicità. Vasco Rossi che stimo per i testi, scritti in modo semplice ma non banale, ha detto che quando era felice non riusciva a scrivere.
Quando si soffre si riesce a entrare meglio in se stessi, si entra più in contatto con il proprio io. Questo legame tra la sofferenza e l’aspetto creativo ha qualche cosa di molto misterioso. In questo momento dove stai canalizzando le tue risorse e le tue emozioni? Non smetto di scrivere sperando di trovare il pezzo che scateni emozioni. Un progetto appena realizzato si chiama “Contesti”, realizzato con altri sei artisti. Ho scritto il pezzo originale e poi con Umberto Alongi e Esteban Diaz abbiamo ritoccato la parte musicale. Il testo è rimasto quello che era, a parte qualche parola che ho cambiato più che altro per adattarlo alla nuova metrica, non per necessità espressive. L’abbiamo scritta unicamente per poter diffondere un messaggio positivo e per raccogliere fondi per la fondazione OTAF di Sorengo.
Arti 7
Valentino Alfano (per gentile concessione)
Il limite dell’eroe
A differenza di altri supereroi, quelli targati Marvel mostrano il loro lato umano riuscendo così a catturare l’attenzione del pubblico di Mariella Dal Farra
È sicuramente
complicato scegliere la
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Giovedì
5 maggio Captain America: Civil War è uscito nelle sale segnando il migliore esordio per un film straniero nei primi quattro mesi dell’anno. Non è un’eccezione: da alcuni anni, i supereroi della Marvel sbancano al botteghino senza colpo ferire. X-men, Daredevil, Iron Man, L’incredibile Hulk, Thor, Spiderman, The Avengers e I guardiani della Galassia visitano regolarmente i nostri schermi cinematografici e domestici tenendoci avvinti alle loro storie,
tradizionalmente intrecciate ai destini del mondo. Una lunga storia L’universo Marvel nasce sotto forma di fumetto nel 1939, ma “la sua moderna incarnazione risale al 1961, anno in cui la casa editrice lanciò I fantastici 4 e altri supereroi”1 nati dalla fantasia di un gruppo di autori, il più noto dei quali è senz’altro Stan Lee. Fondata da Martin Goodman, la piccola impresa newyorchese2 ha attraversato nel corso degli anni diverse vicissitudini, cambiando nome più volte, vedendo succedersi generazioni di grafici ed editori, fino alla recente acquisizione (2009), da parte della Walt Disney, di Marvel Entertainment: la consociata dell’editrice Marvel Worldwide Inc, nonché licenziataria sotto forma di film, telefilm, giochi, gadget e anche... carte di credito (la “Marvel MasterCard”) degli oltre 8000 personaggi Marvel. Come spiegare l’imperituro successo di questi supereroi, che conoscono oggi una rinnovata popolarità presso “grandi e piccini”? Fra i diversi fattori che contribuiscono a tale riuscita, è interessante soffermarsi sull’intuizione originale di Stan Lee. Infrangendo la convenzione stabilita dai fumetti dell’epoca, primi fra tutti Superman e Batman della competitor DC, la Marvel creò dei supereroi “litigiosi, rancorosi, che rifuggivano l’anonimato e le identità segrete a favore della notorietà”3. In altre parole, eroi che, accanto ai superpoteri, manifestavano debolezze molto umane, spesso esemplificate da handicap o limitazioni specifiche. Turbe adolescenziali, stress, emarginazione… Così, Spiderman “era insicuro e aveva problemi di socializzazione, come qualunque altro teen-ager”4; Daredevil ha acquisito i suoi poteri in un incidente che però lo ha reso cieco (gli altri suoi sensi sono super-sviluppati in
maniera compensatoria; per esempio, è dotato di un radar interno che gli consente di localizzare persone e oggetti); Jessica Jones soffre di Disturbo post-traumatico da stress e beve in maniera compulsiva; Hulk, nelle vesti del fisico Bruce Banner, ha difficoltà di integrazione sociale e di fatto non regge lo stress; gli X-men sono mutanti: quasi tutti/e hanno subito episodi di bullismo a scuola e maltrattamenti da parte delle famiglie in quanto “diversi”; Iron Man pare invincibile, ma il suo cuore è stato infranto, metaforicamente e alla lettera: ha un frammento di granata vicino al muscolo cardiaco, e solo lo scudo magnetico che indossa sul petto (e che deve ricaricare ogni giorno) gli consente di restare in vita. Tali vulnerabilità rendono da sempre i personaggi della Marvel psicologicamente più complessi dei loro colleghi, innescando meccanismi d’identificazione capaci di agganciare in maniera duratura la sensibilità di lettori e spettatori. A un livello più profondo, questi supereroi “vulnerabili” esprimono in maniera forse ingenua, ma efficace, un assioma basilare: il limite, la criticità, la debolezza sono suscettibili di trasformarsi in eccellenza, laddove adeguatamente elaborati, perché è proprio la difficoltà che ci spinge a “superare noi stessi”. Essere coraggiosi significa dunque affrontare ciò che ci spaventa; chi non ha paura di nulla non può dirsi coraggioso, ma sociopatico... Non è dunque un caso che i supereroi Marvel tendano a essere particolarmente popolari nelle fasi storiche in cui ci sentiamo più minacciati: per esempio negli anni sessanta, durante l’intensificarsi della Guerra fredda, così come a partire dall’inquieto inizio di questo nuovo millennio. Per saperne di più Fra le ultime produzioni Mar-
vel, segnaliamo le serie televisive Daredevil (due stagioni: 2015 e 2016) e Jessica Jones (2015), entrambe disponibili su Netflix. La guida definitiva al composito universo Marvel è online sull’omonimo sito all’indirizzo: marvel.com/universe/ Main_Page.
note 1 https://en.wikipedia.org/wiki/Marvel_Comics 2 Molte delle saghe sono ambientate in una New York “parallela”, che rispecchia quella reale. 3 Ibidem 4 Ibidem
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a Milano in cui sono cresciuto e ho fatto le prime esperienze infantili era ancora popolare e per certi versi genuina. Vivevo con la mia famiglia a Porta Ticinese, anche se la nostra corte, a differenza delle altre (quelle popolari, con i ballatoi), era abitata da un ceto medio agiato. Ricordo con nostalgia i giochi che facevamo da bambini: pallone, bandiera, tutti rigorosamente fra maschi, con qualche apertura verso le bambine, a fine infanzia. Sono stato bocciato in prima media, la maestra diceva che non ero ancora maturo. Così finii in collegio a Genova, ma non è stata un’esperienza negativa, anzi, ringrazio di esserci andato perché sono stati anni formativi: ho imparato a difendermi e soprattutto ho capito che il mondo non è tutto rose e fiori. Quando ho iniziato a studiare scenografia a Brera, erano gli anni sessanta, gli anni del bar Jamaica, frequentato dagli artisti; c’era un’atmosfera frizzante che influiva positivamente su noi giovani. La passione per il teatro, però, è nata prima, durante il Liceo artistico: ricordo che L’opera da tre soldi di Strehler mi folgorò letteralmente! Dopo il diploma, nel ‘67, mi sono trasferito a Roma, chiamato da Pierluigi Pizzi1. Com’erano diversi quegli anni! Era tutto più semplice, le cose accadevano senza grossi sforzi: per esempio, quando andai a casa di Pizzi, si prese un intero pomeriggio per guardare i miei lavori, infine mi assunse. Iniziai quindi a lavorare in TV, dietro le quinte. A un certo punto però qualcosa si è spezzato: sentivo che in televisione i miei studi erano sprecati. Dopo un viaggio in Tunisia, che mi ha permesso di riflettere e di interrogarmi a fondo, mi sono iscritto a scuola di recitazione. La mia grande fortuna è stata quella di conoscere Giancarlo Sbragia e di entrare nella Compagnia degli “Attori Associati”. Ho iniziato dalla gavetta: il mio primo ingresso è stato all’Olimpico di Vicenza, avevo una battuta soltanto. Sbragia è stato il mio padre artistico, era uno che ti faceva lavorare a fondo sulla parola; siamo stati nove anni insieme e sono stati importantissimi. Poi mio padre non è stato bene e io ho deciso di ritornare a Milano. Subito ho vinto un provino con Soleri al Piccolo: fosse stato Strehler sarei corso, ma avevo già dato la mia parola al Franco Parenti dove mi pagavano anche meglio. Nell’83 c’è stata ancora una parentesi romana: ho recitato con Albertazzi nel Riccardo III. Paradossalmente ero più conosciuto a Roma che a Milano, dove gli attori mi sembravano impie-
gati bancari, mancava quel qualcosa in più che c’era nella capitale. Forse per questo approdai a Lugano, dove subito mi innamorai del verde. Allora il settore prosa in radio era diretto da Alberto Canetta e da Ketty Fusco. Lavoravamo parecchio. L’anno dopo ho iniziato a lavorare al Teatro la Maschera di Lugano e col tempo abbiamo fondato “Luganoteatro”.Certo, non è stato semplice. Tutto quel lavoro per due, al massimo tre serate! Io, Ketty Fusco e Silli Togni abbiamo cercato di creare una compagnia di prosa, ma Salvadè, l’allora capo del Dicastero cultura, ci fece capire che non era loro intenzione quella di creare un teatro stabile. A volte mi guardo indietro e mi chiedo, ma cosa hai fatto, Antonio? Tutti quegli sforzi… Ma so che quello che mi ha fatto fermare in Ticino non è stato solo il teatro: sono rimasto qui per Rossana (Maspero, ndr.), la donna di cui mi sono innamorato e che ho sposato. Al teatro devo molto: ho conosciuto persone di notevole caratura, ho arricchito il mio bagaglio culturale, ma soprattutto recitare mi ha permesso di guardarmi dentro e conoscermi meglio, nel bene e nel male. Sono una persona abbastanza mite e tranquilla, un generoso, non sono uno che tendenzialmente fa del male. Interpretando Macbeth, però, ho scoperto dei lati oscuri di me stesso che mi hanno sconcertato. Il teatro mi piace più del cinema, in termini di soddisfazione personale in teatro sei padrone di te stesso, al cinema no. C’è una tappa da superare, ovviamente, bisogna uccidere i padri (nel mio caso, Sbragia); come dice Thomas Bernhard, sul palcoscenico c’è un punto magico e lo devi trovare, ma quando interpreti personaggi come Macbeth, ti lasci andare e vivi una scissione. Da una parte controlli tutto, ascolti gli umori del pubblico e stai attento alle battute, dall’altro fluttui in uno stato di grazia in cui ti senti così bene… è come lievitare, sei a teatro ma sei anche da un’altra parte. Sono arrivato tardi a recitare, a trent’anni, ma quando sono salito sul palcoscenico mi sono sentito finalmente a casa. Rammarichi? Mi sarebbe piaciuto portare avanti anche la pittura. In un’altra vita, chissà…
ANTONIO BALLERIO
Vitae 10
Da Milano a Roma, dalla TV al teatro. Un percorso ricco di incontri… ma alla fine, si sa, tutte le strade portano al Ticino
note 1 Regista teatrale, scenografo e costumista.
testimonianza raccolta da Laura Di Corcia fotografia ©Flavia Leuenberger
Castello di Masino Noblesse oblige Affacciato sull’ampia pianura del Canavese, non lontano da Ivrea, e immerso in un grande e antico parco, il castello è stato ininterrottamente abitato dai conti Valperga per dieci secoli. Per questa ragione le sue sale, con le ricche decorazioni, gli arredi e gli affreschi testimoniano della cultura e del gusto della nobiltà italiana del passato di Roberto Roveda; fotografie ©Simone Mengani
in apertura: la settecentesca corte interna del castello edificata su un alto terrazzo che domina la pianura del Canavese. a sinistra: un particolare del Salone degli antenati con alcuni ritratti di membri illustri del casato dei Valperga. a destra: il Salone da ballo, ricavato nel XVIII secolo in uno dei quattro torrioni del castello.
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uando ci si sporge dal monumentale bastione antistante il castello di Masino ci si ritrova affacciati su un immenso balcone. Appoggiati alla balaustra in pietra fatta costruire nel settecento si può, infatti, allargare lo sguardo a tutta la pianura del Canavese e osservare in lontananza il rilievo morenico della Serra di Ivrea, con le Alpi sullo sfondo. Il grande edificio domina questo spazio da circa dieci secoli, da quando venne edificato come fortezza a guardia della pianura. A erigerlo furono i membri della famiglia Valperga, una grande casato piemontese che fa risalire le proprie origini ad Arduino d’Ivrea, condottiero e re d’Italia a cavallo dell’anno mille. Arduino, figura mitica di aristocratico italiano che si oppose al papa e all’imperatore, riposa oggi, non certo a caso nella cappella del castello.
Maniero e residenza signorile Un castello ormai da secoli trasformato in grande dimora signorile e oggi “protetto” e conservato dal FAI, il Fondo per l’ambiente italiano (fondoambiente.it) che gestisce Masino dal 1988. Dell’antico maniero medievale, infatti, rimane poco, a eccezione dei resti dei bastioni e dei contrafforti difensivi. Con il tempo l’originaria funzione militare dell’edificio venne meno, il castello prese a ingentilirsi e alla semplicità e solidità si aggiunsero lusso ed eleganza. A partire dal cinquecento, caddero così, sotto i colpi delle mazze e dei picconi, muri e massicciate e si aprirono spazi dove realizzare giardini e passeggiate. Da sentinella del Canavese, Masino divenne luogo di svago e villeggiatura per i Valperga che per secoli incaricarono architetti e
giardinieri perché rendessero unico lo spazio circostante l’edificio. Oggi ritroviamo, grazie anche ai restauri degli ultimi decenni, lo splendido parco frutto delle ultime trasformazioni, quelle del settecento e dell’ottocento. Osserviamo allora la grande area verde che si estende su buona parte della collina dove si erge Masino e che ha il proprio fulcro nel castello per poi dipartirsi verso ponente e verso levante. Seguendo il giardino, attraverso viali maestosi, si giunge alla grande distesa erbosa dove è possibile ammirare l’imponente Labirinto, realizzato nella seconda metà del settecento. Altra meraviglia all’aperto è la particolarissima “Strada dei ventidue giri” realizzata tra il 1840 e il 1847, che con il suo percorso impervio e panoramico collega il castello all’abitato di Strambino.
Tutto come al tempo che fu… All’interno, il complesso di Masino è forse ancora più stupefacente per la qualità delle decorazioni e per i diversi stili che si rincorrono negli ambienti. Ritroviamo così affreschi del seicento non lontani da trompe l’oeil dal sapore spiccatamente tardomanieristico per giungere alle ricche decorazioni rococò del grande salone principale interamente dedicato, nei primissimi anni del settecento, alla celebrazione della dinastia dei Savoia. I Valperga, infatti, erano legatissimi alla dinastia sabauda tanto che il conte Francesco I di Masino all’inizio del XVIII secolo fece riservare alla sua amante, Giovanna Battista Savoia di Nemours, madre del duca Vittorio Amedeo II di Savoia, un piccolo e raffinato appartamento che oggi è un po’ il gioiello del castello.
nella pagina accanto: il Salotto rosso nell’appartamento di Madama Reale a sinistra: una delle camere da letto in basso: gli stemmi nobiliari che decorano il soffitto di una delle sale testimoniano dei solidi legami dei Valperga con i maggiori casati europei
Viene infatti chiamato appartamento di “Madama Reale” e pare uscito direttamente da un’antica stampa con il suo maestoso letto a baldacchino addobbato con tessuti di seta provenienti dalle manifatture lionesi. A dominare l’interno e l’esterno dell’edificio è, però, un più moderno e sobrio gusto neoclassico frutto di una generale opera di rinnovamento avviata intorno al 1780. Ne furono artefici i fratelli Carlo Francesco II di Masino, viceré di Sardegna (regione che allora apparteneva ai domini dei Savoia), e l’abate Tommaso Valperga di Caluso, matematico e poeta, una delle menti più brillanti dell’illuminismo italiano. In particolare, all’abate Valperga si deve l’ideazione del complesso programma iconografico della Galleria dei poeti: una raccolta di ventidue ritratti affrescati à grisaille dei più significativi esponenti della poesia italiana, oltre all’importante biblioteca, che custodisce più di 20.000 volumi. Negli spazi interni del castello, quindi, è facile calarsi totalmente nelle atmosfere di epoche passate dato che la residenza è rimasta ininterrottamente in mano allo stesso casato per un migliaio d’anni. Non ha quindi conosciuto periodi di abbandono e decadenza e men che meno le devastazioni di mani ostili che hanno interessato tante antiche dimore. Qui a Masino le stanze, gli arredi le decorazioni sono ancora intatti, a raccontarci il gusto per il bello della nobiltà italiana negli ultimi quattro secoli e sembrano quasi in attesa che gli antichi proprietari tornino da una cavalcata, da un viaggio in calesse o da una passeggiata nel meraviglioso e vasto parco.
Per informazioni visitfai.it/castellodimasino Simone Mengani Nato a Perugia, classe 1978, si trasferisce all’età di cinque anni a Vacallo, dove inizia a coltivare la passione per il territorio. Dopo gli studi liceali si iscrive all’Accademia di Architettura di Mendrisio, dove si diploma nel 2004. Dopo alcune esperienze di lavoro, nel 2006 inizia l’attività come fotografo indipendente, prediligendo la fotografia di architettura. Collabora con diverse riviste e settimanali, operando anche nell’ambito della fotografia panoramica. Per ulteriori informazioni: www. fotomengani.ch
La tavola di Giugno Tendenze p. 40 – 41 di Patrizia Mezzanzanica ed Elvin Montesino
Giugno il mese in cui inizia l’estate e, con il caldo, giunge la voglia di cibi leggeri, freschi e colorati. Perché è proprio il colore, insieme alla varietà di gusti sia della frutta sia della verdura, ciò che maggiormente caratterizza le tavole della stagione estiva
Giugno è il mese dei colori e della frutta. Arance, pompelmi e kiwi lasciano il posto a meloni, ciliegie, fichi, albicocche, pesche e prugne, mentre asparagi e carciofi a piselli, pomodori, cetrioli, fagiolini, fave e melanzane. Per chi, come noi, segue la stagionalità questo è uno dei mesi più ricchi e golosi. Sono infinite le ricette che si possono realizzare con questa varietà di prodotti così come le storie e le tradizioni che li accompagnano. La ciliegia, per esempio. Esiste nel bacino del Mediterraneo, probabilmente importata dall’Asia, da più di tremila anni. Nella mitologia greca era considerata la pianta sacra a Venere, da cui la leggenda che portasse fortuna agli innamorati. In Cina rappresenta il fascino femminile e, in Giappone, è addirittura un simbolo nazionale. In cucina, per la sua forma arrotondata, l’aspetto accattivante, il colore intenso e il delizioso sapore zuccherino è molto apprezzata. La si può utilizzate fresca nelle torte, nelle macedonie, nelle insalate e in alcune salse che accompagnano la selvaggina ma anche conservare sotto spirito, oppure adoperare nella preparazione di marmellate, sciroppi, succhi e di alcuni liquori come lo cherry, il brandy e il maraschino. Anche il fico è un apprezzatissimo prodotto di giugno. Le specialità del mese sono i fioroni, più grandi rispetto a quelli settembrini. A tavola vengono spesso proposti come antipasto insieme al prosciutto o ai salumi, più raramente con il formaggio. Esattamente come nell’antica Roma dove, insaporiti con sale, aceto e una salsa a base di pesce, erano serviti prima del pranzo. Molto diffusa, ancora oggi, è la pratica dell’essicazione del fico che viene poi offerto, come da tradizione millenaria, la notte di Capodanno. Il Re sole Ma forse il re di tutti i frutti estivi è il pomodoro. Sugoso, profumato, povero di zuccheri e grassi e ricco, invece, di sali minerali, vitamine e oligoelementi aiuta la digestione e la diuresi, contrasta le infezioni e combatte i radicali liberi. Deve il suo colore rosso ai primi innesti italiani del XVI secolo. In Perù, il luogo da cui proveniva, era infatti di colore dorato. Considerato per lungo tempo velenoso e utilizzato solo come pianta ornamentale, il pomodoro fa la sua comparsa ufficiale in cucina e nei ricettari solo nell’ottocento. Uno degli abbinamenti – e sono centinaia! – più geniali che riguarda il pomodoro è quello con la pizza. La famosissima Margherita, preparata in onore della regina Margherita di Savoia proprio con i pomodori, è una delle più grandi invenzioni culinarie di tutti i tempi. Infine, i piselli, legumi ricchi di proteine vegetali, acqua e potassio. Originari dell’India e simbolo di fortuna e prosperità, i piselli arrivano al loro apice del successo europeo nella Francia del seicento, dove tutti ne andavano letteralmente pazzi. Un paio di secoli dopo Mendel, padre della genetica moderna, partì proprio da questi piccoli legumi per avviare gli studi che lo porteranno a formulare le sue famose leggi.
Qualche ricetta Pasta alle acciughe, pomodorini e pinoli per 2 persone 200 g di pomodorini pachino; qualche foglia di basilico; 10/12 olive nere; 4 filetti di acciuga sott’olio; 2 cucchiai di olio extravergine di oliva; 2 spicchi di aglio; 160 g di pasta (fusilli); una manciata di pinoli; sale Lavare i pomodori e tagliarli a spicchi quindi metterli in un colino con un pizzico di sale e le foglie di basilico. Aggiungere le olive snocciolate e tagliate a metà. In una padella soffriggere a fuoco lento l’olio, gli spicchi d’aglio e le acciughe tagliate grossolanamente. Unire i pomodorini e le olive e saltarli per un paio di minuti a fiamma alta, quindi spegnere. Quando la pasta è cotta saltarla a fiamma alta nella padella del condimento e aggiungere i pinoli. Cubetti di salmone e piselli all’erba cipollina per 2 persone 250 ml di brodo vegetale; 300 g di piselli; 1 cipolla bianca; 1 cucchiaio di olio extra vergine; 400 g di salmone in trancio o in filetto; una manciata di erba cipollina; pepe nero; sale Scaldare il brodo e, nel frattempo, tagliare la cipolla soffriggerla con l’olio in una padella, quindi aggiungere i piselli e cuocere per qualche minuto a fiamma alta. Aggiungere il brodo vegetale, un pizzico di sale e uno di pepe e cuocere a fuoco medio per una decina di minuti. Tagliare il salmone a cubetti e aggiungerlo a fine cottura con fiamma vivace per qualche minuto. Servire con una manciata di erbe cipollina tritata. Crema di yogurt con ciliege sciroppate per 6 persone 500 g di ciliegie; 50 g di zucchero; 100 ml di acqua; 500 g di yogurt bianco; cioccolato fondente a scaglie Snocciolare e tagliare le ciliegie a metà. In un pentolino mettere lo zucchero con l’acqua e lasciarlo bollire, girando di tanto in tanto, per una decina di minuti a fiamma media. Aggiungere quindi le ciliege, mescolare e cuocere per una ventina di minuti. Lasciare raffreddare le ciliegie sciroppate in una ciotola. Distribuire lo yogurt in coppette e versarvi sopra le ciliegie con il loro sugo. Tenere in frigorifero per circa mezz’ora quindi servire con sopra il cioccolato a scaglie.
La domanda della settimana
Ritenete che anche in Ticino dovrebbe essere attuata una politica a favore della diffusione di cooperative edilizie per la creazione di abitazioni a pigione o a costo ridotto?
Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 23 giugno. I risultati appariranno sul numero 27 di Ticinosette.
Al quesito “Il vostro partner vi ha tradito in un incontro occasionale: preferite saperlo oppure rimanere all’oscuro di tutto?” avete risposto:
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Astri ariete Solstizio estivo baciato dal trigono della Luna con Urano. Date spazio al lato creativo. Discontinuità amorose e licenziosità per i nati nella prima decade.
toro Venere in piacevole soccorso. Possibilità di incontri. Tra il 21 e il 22 importante opportunità professionale. Controllate di più la vostra ansia.
gemelli Momento karmico importante. Vivete saggiamente il solstizio estivo per arricchirvi di nuove energie. Apritevi al nuovo eliminando il vecchio.
cancro Momento magico per la vita affettiva. Determinati i nati nella terza decade appoggiati dalla retrogradazione di Marte nella quinta casa solare.
leone Potrete rivoluzionare in maniera sensazionale e definitiva la vita in ogni suo aspetto. Opportunità professionali per chi è impegnato sul piano creativo.
vergine Pigiate sull’acceleratore delle vostre attività. Assai combattivi i nati nella terza decade. Giove piuttosto benevolo con i nati nella seconda decade.
bilancia Non cedete alle inquietudini. Tra il 23 e il 25 la Luna vi sarà particolarmente favorevole. Incontri con persone anticonformiste. Vita sociale in fermento.
scorpione Inquietudini amorose e professionali provocate dal transito di Marte. Puntate agli obiettivi reali. Venere in Cancro favorisce i nati nella prima decade.
sagittario Grazie al trigono con Urano potrete aprire le porte all’incredibile. I nati ai primi di giugno dovranno comunque stare attenti a non parlare troppo.
capricorno La vita affettiva e di coppia tenderà ad assumere un ruolo di primo piano. Scarsa resistenza verso le attività lavorative per i nati nella prima decade.
acquario Mercurio, Saturno e Urano favorevoli. Progettate e agite alla grande senza perdere tempo. Irascibili nella giornata del 25 i nati nella terza decade.
pesci Tra il 21 e il 22 la Luna sarà dalla vostra parte. Rivoluzione patrimoniale, soprattutto nel settore immobiliare, per i nati nella seconda decade.
Gioca e vinci con Ticinosette
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La soluzione verrà pubblicata sul numero 27
Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate il numero 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata) entro giovedì 23 giugno e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 21 giugno a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!
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Verticali 1. Sfrutta al massimo la produttività del terreno • 2. Segno zodiacale • 3. I pesi senza la tara • 4. Dittongo in paese • 5. Cantone svizzero • 6. Il noto Teocoli • 7. Pari in fosso • 8. Un famoso cavallo galoppatore • 9. Sfortunato • 13. Isola dell’arcipelago britannico • 17. Intacca la vite • 18. Inviolabili, divini • 20. Conia monete • 24. Bulbo oculare • 25. Vivono ai piedi del Vesuvio • 27. Il Polo navigatore • 30. È fisso o cellulare • 33. Il nome della poetessa Negri • 35. Somara • 38. Sport invernale • 42. Il capitano di Verne • 44. Pari in giallo • 46. Zona circoscritta • 48. Signore in breve • 49. Carme lirico • 51. In mezzo al mare
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Orizzontali 1. Sono cantanti e compositori • 10. Le segnano le lancette •11. Blasfemie • 12. Diverbi • 14. Il pronome dell’egoista • 15. Belgio e Lussemburgo • 16. Oscuro, cupo • 18. La nota più lunga • 19. Usata, adoperata • 21. Pedina coronata • 22. Il regno dell’oltretomba • 23. Mitico animale dal corpo di cavallo • 26. Le iniziali di Montanelli • 28. C’è chi la fa fredda • 29. Venuta al mondo • 31. Avanti Cristo • 32. Mezza paga • 34. Il numero perfetto • 36. Il leggendario Robin • 37. Oscuramento di un corpo celeste • 39. Una nota e un articolo • 40. Salvò la fauna • 41. Le immagini sacre del Pope • 43. Sottili, esili • 45. Un dato anagrafico • 47. È circondata dal mare • 49. Il bel Sharif • 50. Piace al beone • 51. Un bello dell’Olimpo • 52. Ha la cruna • 53. Altari pagani • 54. Dittongo in giada
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La soluzione del Concorso apparso il 3 giugno è: SATURATO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stata sorteggiata: Cugini Fiorella 6616 Losone Alla vincitrice facciamo i nostri complimenti!
Premio in palio: buono per le offerte del tempo libero di RailAway FFS RailAway FFS offre un buono del valore di CHF 100.– per le sue offerte del tempo libero. Per esempio l’offerta “Tamaro Park” che fino al 3 luglio include il viaggio con i mezzi pubblici e un pacchetto Tamaro Park a scelta con il 30% di sconto. ffs.ch/tamaro-park
Con RailAway FFS al Tamaro Park. Al Monte Tamaro potrete lanciarvi in un avventuroso mondo grazie alle numerosi attrazioni come il Parco Avventura, la tirolese e l’emozionante slittovia. A valle, allo Splash e Spa Tamaro, potrete poi rilassarvi nella fantastica piscina panoramica.
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