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L’appuntamento del venerdì
04 VII
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Patriottismo?
No, amor di patria
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6 A tutto musical! 10 Glaciazione. Arriverà l’alba del giorno dopo? 39 Liuteria. La fabbrica dei suoni: Stefano Moccetti Corriere del Ticino
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laRegioneTicino
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Giornale del Popolo
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Tessiner Zeitung
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prius.ch
Aria più pulita
Consumi ridotti
Fino a una tonnellata di emissioni di CO2 in meno l’anno con la Toyota Prius1. Nel traffico urbano, la Prius viaggia per lo più solo con il motore elettrico e quindi a emissioni zero.
La Prius consuma solo 4,3 l al 100 km.
Accelerazione
Silenziosità
Con una potenza globale di 117 CV , la Prius consente un’accelerazione paragonabile a quella di un motore da 2,4 litri.
Con il motore elettrico si viaggia praticamente senza rumori.
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Che cosa conta davvero per te? La tecnologia Hybrid Synergy Drive della Toyota Prius, un’intelligente combinazione tra motore a benzina e propulsore elettrico, soddisfa ogni esigenza. La Prius è l’unico veicolo completamente ibrido, cosa che gli consente di viaggiare anche con la sola spinta del motore elettrico. Se a tutto questo si aggiunge la generosità degli interni, con posto per cinque persone bagaglio compreso, non stupisce che siano già stati venduti più di un milione di modelli. Quando passi per un giro di prova? * Prezzo netto consigliato.
Hybrid Synergy Drive®. Il futuro respira.
Prius HSD 1.5, motore a benzina con 78 CV e motore elettrico con 50 kW, potenza globale 117 CV e coppia di 400 Nm, 5 porte, da fr. 38’950.–*.
In confronto alle emissioni medie di CO2 di un veicolo diesel della classe media con una percorrenza di 20’000 km l’anno. 2 Un motore a benzina con 78 CV e un propulsore elettrico con 50 kW forniscono una potenza globale di 117 CV. Prius: consumo complessivo 4,3 l/100 km, emissione Ø CO2 104 g/km, categoria di efficienza energetica A. Emissione Ø CO2 di tutti i modelli offerti in Svizzera: 204 g/km.
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numero 28 4 luglio 2008
Agorà Patriottismo? No, amor di patria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Arti A tutto musical!
Impressum Tiratura controllata 93’617 copie
Chiusura redazionale Venerdì 27 giugno
Editore
Teleradio 7 SA Muzzano
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Media Fumetti… Non solo giornaletti
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Società Glaciazione. Arriverà l’alba del giorno dopo? Salute Ictus, una ferita al cervello Vitae Ivan Renggli
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Direttore editoriale
Reportage Liuteria. La fabbrica dei suoni: Stefano Moccetti
Capo progetto, art director, photo editor
Tendenze Amphicar, l’auto che nuota! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Peter Keller
Adriano Heitmann
Redattore responsabile Fabio Martini
Coredattore
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Giancarlo Fornasier
Concetto editoriale IMMAGINA Sagl, Stabio
Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12
Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch
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In copertina
Fotografia: Gabriele Putzu Ti-Press, Stabio
Libero pensiero Egregi Signori, Sul numero 24 di Ticinosette il servizio sulle “nuove montagne” ha suscitato in me nostalgie di un Ticino che solo alcuni anni fa era un bel Cantone verde, e ora è tristemente ridotto a cumuli di terra e cemento. Nessuno ne parla, ma le deturpazioni sono sotto gli occhi di tutti; nessuno ha il coraggio di denunciarle perché chi le ha ordinate o progettate è intoccabile e si trincera dietro le solite argomentazioni sul progresso. Il progresso per queste persone insensibili, significa velocità, tempo prezioso, aumento delle vendite di auto, profitti. Per loro il ”verde” esiste solo come partito che dà fastidio, ma il verde della natura non lo vedono neppure se affetti da un daltonismo il ché non impedisce loro di riconoscere alla perfezione il colore del danaro. E quando vengono intervistati, con evidente faccia tosta, dicono che dopo i lavori la zona verrà ripristinata ”come prima”. AlpTransit è un tragico esempio di deturpazione celato dietro promesse di rispetto ambientale. Ci credo poco, e se la gigantesca e costosissima opera verrà terminata (lo sarà?), vedremo a cosa servirà. Io non l’ho capito ancora bene. Comunque complimenti per il servizio di Kurt Sghei e le foto di Adriano Heitmann. L. R. (Lamone)
Caro lettore, la sua lettera offre lo spunto per tornare al tema che ha occupato questo spazio nel numero 27. Lei denuncia danni all’ambiente e deturpazioni e aspira, quanto me, a un mondo più armonico, più salubre e civile da lasciare ai nostri figli. Condivido le sue preoccupazioni giornalmente, da decenni. Come lei, assisto ai “cumuli”, alla cementificazione, alla dissipazione del verde. Tutto questo è davvero necessario? Difficile dirlo. Si ha la sensazione che la logica del profitto possa travolgere tutto. Come consumatore mi rendo infatti conto che solo l’atto di acquistare beni, da me compiuto ogni giorno, muove petroliere, tir, treni e aerei, uomini e merci. Avrà anche questo a che fare con AlpTransit o con il passante della Vedeggio-Cassarate? Forse sì. Certamente, il mondo lo abbiamo già trasformato abbastanza. Dobbiamo piuttosto imparare a gestir meglio ciò di cui disponiamo individuando soluzioni efficienti e originali. Davanti a noi si profilano profonde trasformazioni: sull’Occidente premono le genti e i problemi energetici sono al centro di preoccupazioni economiche e politiche. Ci troviamo di fronte a cambiamenti epocali, ma questo non ci deve impedire di resistere al brutto e alla devastazione, almeno finché è possibile. Cordialmente, Fabio Martini
Patriottismo? No, amor di patria
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L’
affermazione fatta dal procuratore ginevrino Bernard Bertossa alla vigilia degli europei (“Il patriottismo? Suscita tutta la mia diffidenza”) risulta, da un certo punto di vista comprensibile. In nome del patriottismo, infatti, durante i secoli sono stati compiuti massacri indicibili e gravissime ingiustizie collettive. E non solo in un passato remoto. Nella nostra Europa, nel 1914 milioni di uomini sono stati mandati al fronte a morire senza sapere per chi e perché (chi non ricorda la denuncia del giovane soldato tedesco Paul Bäumer, protagonista di Niente di nuovo sul fronte occidentale? di E.M. Remarque, 1931). E le follìe pseudopatriottiche del Terzo Reich e dell’Impero sovietico – di cui la battaglia di Stalingrado dipinta in tutta la sua assurda crudezza da Grossmann in Vita e destino sono l’emblema – hanno continuato l’eccidio, aprendo nei popoli europei una ferita troppo recente per essere rimarginata. Certo, è pur vero che in nome di un autentico ideale patriottico, i partigiani italiani o francesi si batterono per liberare la loro nazione dal nazifascismo o dall’occupazione delle truppe del Terzo Reich e quelli ungheresi e cechi dai carri armati russi. Come è vero che centinaia di migliaia di soldati svizzeri si sono mobilitati patriotticamente per difendere il nostro Paese attorniato dalle truppe dell’Asse e decine di migliaia di uomini di buona volontà in quello stesso periodo permisero a numerosi fuggiaschi di trovare
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Agorà
Troppo spesso additato come il responsabile delle più grandi tragedie del Ventesimo secolo, per alcuni il patriottismo rappresenta invece la ricerca e la difesa di un’identità e la riscoperta di radici culturali costitutive di una società alla ricerca di un futuro in Svizzera una nuova patria. Eppure, noi abbiamo ereditato soprattutto la connotazione negativa del patriottismo, non solo a causa degli effetti perversi di un ideale spesso strumentalizzato dalla più cinica Realpolitik, ma anche perché i movimenti socialisti, che un forte impatto hanno avuto sull’opinione pubblica della seconda metà del Novecento, fino a pochi anni fa avevano la loro bandiera nell’Internazionale. D’altronde, all’indomani del secondo conflitto mondiale, l’Europa unita nasce per rompere con le tentazioni nazionalistiche e riunire pacificamente, in una sola dimora, nazioni che per secoli si erano scannate a vicenda obliterando le loro radici comuni. A un’idea di patriottismo che la storia e la sua interpretazione dominante hanno spinto ad associare al macello del Ventesimo secolo, va ad aggiungersi un’evoluzione sociale ed economica che ha reciso progressivamente le radici dei popoli e di conseguenza la consapevolezza di una casa comune ereditata dai padri. “Da alcuni secoli, gli uomini hanno distrutto dovunque il passato, ciecamente, nelle loro patrie e nelle patrie altrui. Se ciò nonostante c’è stato un reale progresso nel corso di questo periodo, ciò non è accaduto per merito di questa furia distruttiva ma suo malgrado, per l’impulso di quel poco di passato che sopravviveva”. Il giudizio della filosofa ebrea Simone Weil
onda lunga a connotazione peggiorativa. Ma un ritorno del pendolo è possibile? Nel mondo globale, la nostalgia di un radicamento locale è forte. Con l’avvento di una lingua universale che si impone al di sopra delle frontiere nazionali, nelle regioni riprende vigore anche la lingua dei padri, il dialetto. E chi è partito sente il richiamo, se non della severa patria, della dolce madrepatria. Se l’esatta coincidenza di territorio nazionale e patria non corrisponde più alla realtà di una società ad altissima mobilità umana e vieppiù pluriculturale, la lingua e una cultura comuni, la storia e la religione, il gusto e gli stili di vita dei popoli, sono fattori distintivi ancora evidenti e in buona parte condivisi all’interno e al di là delle frontiere nazionali. Epurato dalla sua corazza nazionalistica e/o collettivistica, l’amor di patria non può che uscirne più genuino e spontaneo. Non pretesto per consolidare poteri dispotici o imperialistici, quindi, come è accaduto talvolta in passato, bensì attiva corresponsabilità e cura nei confronti del proprio ambiente vitale. Giustifica-
Agorà
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» di Moreno Bernasconi; fotografia di Adriano Heitmann
(1909 - 1943) è perentorio, ma come non coglierne la fondatezza? Dalla rivoluzione industriale, che ha strappato dalla terra i contadini per ridurli a salariati spersi nei suburbi delle metropoli (un processo che continua a distanza di due secoli nelle nuove metropoli dei Paesi del Sud e in Oriente), al colonialismo, che molto raramente ha risparmiato le culture dei popoli che ha assoggettato, al mito dell’individualismo, spacciato per trionfo della libertà e che invece lascia i singoli, privati della forza contrattuale di una comunità, in balìa del potere politico ed economico, l’evoluzione socio-economica ha minato fortemente il sentimento di appartenenza ad una patria. A spallate, poi, un diffuso freudismo dozzinale ha contribuito a distruggere, nelle evidenze morali delle nostre società, l’importanza della figura paterna. Paternalistico, patriarcale, padre-padrone: è raro ormai nella nostra lingua trovare espressioni riferite al padre che non siano portatrici di valore negativo. La patria e il patriottismo non sono sfuggiti a questa
to desiderio di preservare il meglio di una cultura tramandata, rinnovandone gli effetti benefici e facendo da argine all’omologazione ormai dilagante. D’altronde, l’insorgere dello slow food e delle genuine tradizioni culinarie dei popoli contro l’appiattimento del fast food, nonché la difesa del territorio e dell’ambiente naturale dall’incidenza invasiva di una speculazione anarchica, che cosa sono se non una rinnovata forma dell’ amor di patria, della cura per l’ambiente vitale di una comunità? Nel Fondo del sacco (1970), Plinio Martini paragonava gli uomini del Ventesimo secolo ai cespugli che nel deserto americano ritirano le radici, si riavvolgono a palla e si lasciano trascinare dal vento fino alla prossima destinazione. Così è – appunto – nel deserto. In un territorio omologato e replicato nella sua ossessiva “indifferenza”. Il vero dilemma che si pone a noi uomini del Ventunesimo secolo non è – come alcuni ritengono – la scelta fra una nostalgia di stampo nazionalistico e un multiculturalismo sorretto da un pensiero debole. Volenti o nolenti, la molteplicità culturale delle nostre società è una realtà, prodotta dalla globalizzazione degli scambi e dalla grande mobilità che ne consegue. Eppure, senza la ripresa di un rinnovato amor di patria, un indistinto multiculturalismo sarà solo l’anticamera o di una grigia omologazione globale, oppure di una preoccupante regressione della società allo stadio tribale. O un mix di ambedue: un aggregato umano in cui, sotto la cappa di una società globale omologata, pullulano nuove identificazioni tribali. E il tribalismo – con i suoi riti e totem primitivi e la sua mancanza di visione del bene comune – è certamente più pericoloso del patriottismo. Per riprendere l’affermazione di Simone Weil, gli uomini hanno bisogno di riscoprire l’importanza di una memoria collettiva e di rimettere radici. Solo sapendo chi siamo e da dove veniamo è possibile una vera corresponsabilità in una società globale. Nel suo saggio del 1949 L’enracinement (La prima radice, 1996), la filosofa ebrea afferma addirittura che il primo criterio con cui valutare una riforma politica è proprio la sua capacità di ridare ai cittadini radici. “Genius loci” e valori condivisi all’interno di un territorio comune, fanno la qualità della vita di una comunità e impediscono una pericolosa deriva verso il tribalismo.
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o negli stessi anni a Londra per raggiungere risultati da guinness dei primati. Numeri da capogiro: settecento repliche per West Side Story e negli anni Settanta tremilatrecentocinquantotto a Londra per Jesus Christ Superstar. E forse sta proprio in questi antichi numeri la forza del Wort und Ton Drama, il teatro musicale, luogo in cui scena e musica si intersecano, prendendosi a braccetto. La sua forza e capacità di suggestione non finiscono mai di stupirci ed è storia di oggi il suo ritorno prepotente sui palcoscenici dei più famosi teatri del mondo. Fenomeno capace di influenzare anche lo scenario della lirica (basti pensare alla grande operazione della Boheme/Rent, alleggerita nella composizione dell’orchestra e condita da cantanti e attori giovani e dai fisici dirompenti) che è ritornata a essere una vera e propria gallina dalle uova d’oro.
Internet
www.compagniadellarancia.it Un portale per avere informazioni dettagliate sulle stagioni teatrali e gli spettacoli della più conosciuta compagnia italiana di musical.
solitamente destinati ai concerti rock. E non è un caso che il cinema, quello americano, abituato davvero ai grandi numeri, abbia “mangiato” alcune di quelle uova d’oro, alimentando poi, in una sorta di circuito virtuoso, lo straordinario successo di ritorno in teatro. Basti pensare al “caso” Chicago, fatica cinematografica a firma di Rob Marshall: 75esima edizione degli Academy Awards 2003, tredici nomination, ben sei statuette. Ma che negli ultimi tempi stesse accadendo qualcosa nel mondo del musical, anche in Italia, è certo, viste le avvisaglie: febbraio 2003, Sanremo e il suo festival si presenta “a tutto musical”. Come d’incanto uno degli eventi più seguiti in Italia apre le porte ai beniamini del musical: Serena Autieri (fino a poche settimane prima protagonista in Bulli e Pupe) che affianca Baudo e Fiorello, annuncia a Radio Due che I Dieci Comandamenti e Pinocchio saranno fra gli ospiti. E non è un caso, nemmeno, che questo coincida con un allargamento della fetta di mercato e di pubblico. Negli ultimi anni solo in Italia sono stati allestiti ben 29 spettacoli. Quasi tutti appannaggio della Compagnia della Rancia che dal 1988 produce i maggiori musical internazionali in versione italiana e, scelta più recente (dal 2000), punta su produzioni originali con Dance!, Pinocchio – ceQuarant’anni tra salite e discese. Ecco co- lebre la collaborazione con i Pooh – e il recenme, alle soglie del terzo millennio, il teatro tissimo Il Giorno della musicale risorge, trasformandosi in un vero Tartaruga. campione d’incassi Insomma se di ritorno si tratta non c’è da In tutta Europa, da I Miserastorcere il naso come fanno i puristi del bili a I Dieci Comandamenti, è teatro musicale (altra cosa a dir loro rispetto tutto un fiorire di grandi proal musical) a patto che si possa anche oggi, duzioni volte alla costruziomandare in rassegna, come per il trentenne di un genere di spettacolo nio Sessanta-Ottanta, titoli significativi e globale, capace di uscire dai di ”nuova fattura” tali da diventare veri e teatri per invadere i palasport propri classici.
» di Paola Tripoli
Arti
a West Side Story, da Mary Poppins a My Fair Lady. Probabilmente sono questi alcuni dei musical più belli e famosi della storia del cinema. Da Hair a Chicago, da Cabaret a Jesus Christ Superstar, a Grease, a The Rocky Horror Picture Show, a Evita, a Cats: questi i musical che hanno fatto la fortuna di teatri, artisti, autori. Mai come come nel musical, cinema e teatro si fanno l’occhiolino. Sono gli anni Trenta, l’America è divorata dalla Grande depressione e da una crisi economica senza precedenti. Il musical cinematografico diviene allora l’antidoto, un modo per ricordare a tutti il mai tramontato sogno americano. Alleati e complici in questo programma politico che mescola sapere scenico e ideologia, alcuni dei più grandi attori-danzatori, tra tutti emerge la coppia Fred Astaire – Ginger Rogers, ma anche tecnici e orchestratori. Il musical è la grandiosità di Griffith riveduta e corretta, il grande incanto, l’energia che travolge, che esorcizza, che libera energie. Ma è nel teatro la sua vera origine: sappiamo di non sbagliare, infatti, nel sostenere che il primo vero esempio di musical è proprio il melodramma settecentesco. Da allora la strada percorsa è stata lunga. Bisogna sbarcare nella Broadway degli anni Sessanta
Gabriele Bonsignori Dizionario del Musical Dino Audino Editore 2006 L’opera, in due volumi, raccoglie i musical teatrali prodotti in tutto il mondo a partire dal 1900: notizie su trame, autori, cast, numero di repliche, curiosità e commenti.
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Da Cantando sotto la pioggia
A tutto musical!
Scena dal musical Peter Pan (fotografia di Gioggò Marino - www.ilrossetti.it)
Libri
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Non solo giornaletti
perdere il sonno a migliaia di giovani e meno giovani. A proposito di meno giovani, dopo poco entra un quarantenne distinto e ben vestito, come vedere una gazzella a una festa per leoni. L’uomo domanda al ragazzo dietro la cassa se sono arrivati i numeri che aveva ordinato. Li prende, li paga, li controlla e sorride, poi se ne va fingendo che siano per la figlia ma il suo sguardo da furbetto fa capire che è un cliente abituale. Saluto il ragazzo dietro alla cassa ed esco, mentre fuori l’acqua continua a cadere. Il mio girovagare per Lugano mi porta in Corso Elvezia dove trovo un altro negozio
Batman di Tim Burton Warner Bros., 1989 Mitico film sull’uomo pipistrello e la sua lotta contro Joker, personaggio interpretato da Jack Nicholson. Tim Burtono è stato uno dei pochi registi a riuscire a portare sul grande schermo il mondo dei fumetti rispettando perfettamente lo spirito dei personaggi.
Libri
M. Frezzato Tour de France Vittorio Pavesio Productions, 2006 Frezzato è uno dei maggiori disegnatori di fumetti italiani. Con questo volume che ha la forma di appunti di viaggio disegnati, riesce a coinvolgere anche il lettore più smaliziato.
proprietario è disponibile e ben informato sulle novità. Mi spiega che la situazione in Ticino non è facilissima “Per chi vuole fare musica nel cantone, esistono delle sovvenzioni ma per chi vuole pubblicare qualche giornaletto non c’è assolutamente nulla”. Gli domando se esistono delle manifestazioni e mi parla della Manorfumetto, che si svolge ogni due anni alla Manor di Lugano. Esiste anche un’altra fiera che si è tenuta a Lugano l’1 e il 2 settembre dell’anno scorso, la Uchronia Comics Convention. Vengo a sapere che si terrà anche quest’anno ma a Bellinzona, i giorni 6 e 7 di di settembre. Qualche altra ricerca. Scopro che a Sierre esiste un vero e proprio festival dei fumetti, il Sismics Festival, che si è tenuto dal 22 al 25 di maggio di quest’anno. L’evento ha registrato moltissimi partecipanti ma è dedicato specialmente agli appassionati dei fumetti di lingua francese. Per i fanatici ticinesi del genere una delle fiere più importanti è senza Come funziona il mondo degli appassionati dubbio Lucca Comics del fumetto? È davvero riservato solo ai and Games, che si tiepiù giovani o coinvolge anche gli adulti? Uno ne dal 30 ottobre al 2 sguardo veloce a un ambiente fuori dal co- novembre 2008. Nata mune inizialmente come fiera di soli fumetti, è divenstorico per gli aficionados tata poi una rassegna internazionale anche del fumetto: Mandrake. Una per il cinema d’animazione, l’illustrazione volta dentro ammiro l’esposie i videogiochi. Tornando a casa, sempre zione di comics e dischi jazz. sotto la pioggia, ripenso a tutti i ragazzini Incorniciati e appesi alle pareche ho visto con la faccia nel loro fumetto ti osservo diversi disegni con e lo sguardo incantato, emozionato, rapito. dedica tra cui anche uno di È proprio quell’emozione, così manifesta in Hugo Pratt, padre del celebre chi lo sta leggendo, a farmi capire che, in Corto Maltese. Anche qui il fondo, non sono solo giornaletti.
» di Gabriele Scanziani; illustrazione di Mimmo Mendicino
Media
beo. Piove sui cappucci e sugli ombrelli colorati dei passanti. La piazza davanti alla Manor è invasa dalle persone e sotto un balcone, riparato dalla pioggia, un ragazzino sfoglia vorace un giornaletto con un mostro in copertina. Accanto a lui, in via Pessina, trovo l’entrata di un negozio, Maniac, sul manifesto c’è scritto “Fumetteria”. Penso subito che potrebbe essere buon materiale per l’articolo sul fumetto che devo scrivere per Ticinosette. Entro e percorro le scale che mi portano al primo piano, la vera entrata del negozio. Lo spazio è invaso da copertine colorate di ogni tipo, alla mia sinistra ci sono fumetti in esposizione e alla mia destra un piccolo banco con sopra la cassa. Dietro, un ragazzo con la barba, dall’aria simpatica, risponde alle domande di quattro ragazzini simultaneamente, ognuno gli chiede quando uscirà un fumetto diverso. Oggi vanno per la maggiore soprattutto i fumetti giapponesi, i cosiddetti manga. Nomi come Naruto, Death Note, Nana, Tsubasa sono solo alcuni dei giornali che fanno
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Il cielo sopra Lugano è plum-
Film
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Abbiamo letto per voi stesso micio si fa più acuta e riusciamo a capire un po’ di più – sia chiaro solo un pochino di più – la natura di questo animale, insondabile per definizione. Masson individua nove emozioni feline primarie e il libro si struttura attorno a queste, una per capitolo: dall’amore, passando per la gelosia, concludendo con la giocosità. Si sfatano poi alcuni luoghi comuni, che vogliono che il gatto sia incapace di provare gratitudine e che sia egoista. La chiave d’accesso per capire la mente felina e per non giudicarla erroneamente, come l’autore sottolinea a più riprese, è il fatto che il gatto non si è evoluto (a differenza del cane ad esempio) come animale sociale, da branco,
dovendo preoccuparsi della sicurezza e del benessere degli amici e dei parenti prima della propria. Masson, che ha già esplorato l’emotività dei cani, ha sempre creduto che quella dei gatti fosse altrettanto complessa, solo più difficile da decifrare. Bella, inoltre, la sua definizione quando scrive “sono convinto che i gatti siano sensibilità pura”. Il nostro autore è stato psicanalista, assumendo anche la carica di direttore dei prestigiosi Archivi Sigmund Freud. Tra i suoi saggi indichiamo Quando gli elefanti piangono (Baldini & Castoldi, 1996), un best seller internazionale, e l’altrettanto popolare I cani non mentono sull’amore (Baldini & Castoldi, 1997).
Con Bell chiunque diventa Mister Grill
Estate, amici, barbecue: la festa è iniziata! LA FE STA CONTI N UA !
Bell Bistecca di manzo Cayenne al miele
Bell Petti di pollo conditi
Bell Cervelas con formaggio
Gustare e vincere: desiderate ordinare l’opuscolo Bell con tanti consigli e trucchi su come grigliare oppure partecipare per posta al concorso? Allora basta che spediate una cartolina postale con la parola chiave «Opuscolo» o «Concorso» e il vostro nome e indirizzo a: Bell Shop, Casella postale 257, 3172 Niederwangen. www.bell.ch
te a fiamman Vincete un cabriolet
» di Samantha Dresti
J. M. Masson La vita emotiva dei gatti Il Saggiatore, 2008
Finalmente un libro sui gatti “diverso”. Un saggio sensibile e intelligente che sonda, per quel che è possibile, la natura di queste misteriose creature. Proprio così, Masson scava nelle loro emozioni e lo fa coinvolgendo il lettore, il quale a volte si ritrova a ridere di gusto davanti alle vivide descrizioni dei comportamenti dei suoi Minnalousche, Miki, Moko, Megalamandira e Yossie. Leggendo le conclusioni ricavate dallo studio diretto dei suoi felini – prelevati dalla società per la protezione animali in quanto “è sempre una buona idea rivolgersi a un ricovero per animali che ospita gatti in attesa di trovare una sistemazione” –, l’osservazione del nostro
Che cosa sta succedendo al Pianeta azzurro? Tra ghiacci che si sciolgono, sbalzi repentini della temperatura e ipotesi di una nuova grande glaciazione, alcune riflessioni sui futuri cambiamenti climatici (2004), che prendeva spunto proprio da questa teoria, l’interesse nei confronti di una potenziale catastrofe sembra essere scemato a favore di altri scenari futuri più “vendibili”. A onor di cronaca, alcuni osservatori hanno ipotizzato
si. Curiosamente, mentre i ghiacciai delle Alpi sono in costante arretramento e assottigliamento, i segnali premonitori di un’era glaciale vanno ricercati nelle immensità blu dell’oceano Atlantico, dove opera uno dei più complessi
Guy Dauncey et al. Clima tempestoso Muzzio, 2003 Un volume che individua, dal globale all’individuale, le diverse azioni possibili per ridurre l’effetto serra: idee e consigli pratici a tutti coloro che desiderano fornire il proprio contributo.
sistemi di equilibrio termico del pianeta. Tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta della Corrente del Golfo. Si tratta di una gigantesca “autostrada” d’acqua calda che, partendo dai Caraibi, raggiunge le acque gelide del Mare del Nord (fra Islanda e Norvegia), dove, a seguito del progressivo raffreddamento e per le mutate condizioni di salinità, sprofonda nuovamente negli abissi. A sua volta questa enorme massa d’acqua scorre nelle profondità atlantiche in direzione sud-ovest, ritornando con un viaggio di migliaia di chilometri nella zona del Mar dei Sargassi, pronta a riprendere, ritornando alle precedenti condizioni di temperatura e salinità, il ciclo verso nord. Questo vero e proprio fiume oceanico a doppio scorrimento fa sì che le regioni d’Europa che si affacciano sull’Atlantico siano mediamente molto più calde delle corrispondenti regioni americane o siberiane poste alla medesima latitudine. L’effetto benefico della Corrente del Golfo è responsabile di temperature in media dieci gradi più alte rispetto a quelle che si avrebbero in sua assenza (un’enormità, trattandosi di temperature medie!). Questo meccanismo meraviglioso, però, è “malato”: sta, infatti, rallentando la sua corsa. A causa dell’immissione forzata di milioni e milioni di chilometri cubi di acqua dolce nel nord Atlantico dovuta allo scioglimento accelerato dei ghiacci artici, la salinità delle acque dell’oceano sta scendendo alquanto bruscamente (circa lo 0,1% negli ultimi dieci anni, un’altra enormità a livello globale) e questo ha comportato un rallentamento della Corrente del Golfo: alcune stime parlano già del 30% in meno rispetto al 1960. Inoltre, e qui stanno i guai, la Corrente del Golfo è un sistema dinamico
» di Alessandro Tabacchi; illustrazioni di Mimmo Mendicino
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un vero e proprio processo d’insabbiamento della verità da parte dei governi statunitense e inglese, come delle lobby economico-militari a essi collegate, notoriamente poco propense ad affrontare i problemi del dissesto ecologico del pianeta. Può sembrare strano che il surriscaldamento del pianeta possa provocare delle glaciazioni estese in vaste aree, ma il rischio è molto serio, e la possibilità che la ridente campagna inglese possa trasformarsi in una coltre gelata e la penisola scandinava evacuata per la pressione di giganteschi ghiacciai in espansione, non rientra più nell’ambito della fantascienza, pur rimanendo nel campo delle ipote-
Tim Flannery I signori del clima Corbaccio, 2006 Che cosa significa l’espressione “cambiamenti climatici”? In che modo il riscaldamento globale influenzerà la nostra vita? Il processo che si è messo in moto è inevitabile? Tim Flannery espone con chiarezza tutti gli strumenti di cui disponiamo per affrontare questo, inevitabile, problema.
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Società
queste ultime settimane mi sono trovato spesso a riflettere su una tesi, solo all’apparenza paradossale, che alcuni anni fa trovò larga eco presso la comunità scientifica internazionale. Parlo della possibilità che l’innaturale riscaldamento termico globale degli ultimi decenni dovuto all’inquinamento – così si dice – e il conseguente scioglimento delle masse glaciali artiche siano la causa in tempi alquanto brevi (dai dieci ai duecento anni per intenderci) di una nuova era glaciale in Europa. Dopo lo scalpore provocato da questa tesi – tutt’altro che peregrina, come si vedrà – e il successo di qualche anno fa del kolossal The day after tomorrow
Arriverà l’alba del giorno dopo?
In
Libri
che ha solo due modalità di esistenza, ovvero funzionare perfettamente o non funzionare affatto. In poche parole, se l’immissione di acqua dolce continuerà con questi ritmi, assai presto la Corrente del Golfo si fermerà: non ci saranno rallentamenti continui, ma un passaggio repentino dal moto alla quiete. E se si fermerà, domani come fra dieci anni (i dati sono ancora assai discordanti, trattandosi di previsioni matematiche su sistemi caotici) l’Europa, nel giro di pochissimi anni, si scoprirà ghiacciata. Ma cosa succederebbe in concreto se la Corrente del Golfo si fermasse definitivamente? La scienza purtroppo non è in grado di dirci con precisione che cosa avverrà, in quanto le glaciazioni sono dei fenomeni assai complessi. Tuttavia, possiamo farcene un’idea attraverso lo studio di ciò che è già avvenuto in passato. L’alternarsi di ere glaciali e periodi più caldi interglaciali è infatti una delle caratteristiche salienti della storia del nostro pianeta. Solo nell’ultimo milione di anni sono state rilevate almeno quattro grandi glaciazioni – conosciute in Europa coi nomi suggestivi di quattro affluenti del Danubio, ovvero Günz (1.200.000-620.000 anni fa), Mindel (455.000-240.000), Riss (200.000-125.000) e Würm (70.000-15.000) – e secondo alcuni studiosi le ere glaciali sarebbero anche di più, sei o sette. Questi fenomeni grandiosi sono dovuti a una complessa interazione fra il moto della Terra attorno al Sole (a sua volta influenzato dal moto del Sole stesso attorno al centro galattico e al piano della sua orbita galattica), la variazione della composizione dell’atmosfera terrestre (fondamentale risulta essere la percentuale di anidride carbonica in essa), l’influsso sulla biosfera
dell’attività delle macchie solari, del vulcanesimo terrestre e, soprattutto, dell’intensità delle grandi correnti oceaniche: come la Corrente del Golfo. Nell’eventualità di una futura glaciazione le regioni più colpite sarebbero la già citata Gran Bretagna, l’Irlanda, la Scandinavia e l’Europa centro-occidentale, e di rimando anche l’Italia e la Spagna. Che poi ciò possa comportare un semplice, per così dire, irrigidirsi del clima a livelli siberiani, oppure la comparsa di una calotta di ghiaccio di centinaia di metri, è impossibile da determinare. Per avere un’idea di cosa sia stata (e quindi cosa possa essere anche in futuro) una glaciazione, basti ricordare che nel periodo Würmiano tutte le Alpi erano corazzate da uno strato di ghiaccio alto oltre 2000 metri. Dalla calotta gelata emergevano solo le cime maggiori, come isole sperdute in un mare di ghiaccio. Le regioni prealpine era un unico immenso mare di ghiaccio alto oltre due chilometri che, scendendo dal Disgrazia, dal Bernina, dall’Ortles, e contenuto a stento a sud dalle Orobie, arrivava fino a Lecco
per sfociare nella Pianura Padana. Dove oggi sorgono le cittadine e le industrie della Brianza avremmo visto delle gigantesche lingue di ghiaccio farsi strada fra i boschi. Anche dall’Adamello enormi lingue di ghiaccio alte centinaia di metri scendevano verso la pianura, dove oggi sorge Brescia: ancor oggi, a nord di Chiari e a guardia delle colline della Franciacorta, si erge per oltre trecento metri sopra la pianura il Monte Orfano, che altro non è che un residuo della morena laterale del gigantesco ghiacciaio che riempiva tutta la Valcamonica: osservandolo dalla pianura possiamo immaginare l’immensità della coltre ghiacciata che conteneva! Nel versante settentrionale
delle Alpi il mare di ghiaccio era ancora più compatto ed esteso! Non sappiamo se una glaciazione di questa portata attenda le nostre regioni, tuttavia le conseguenze di un blocco della Corrente del Golfo sarebbero comunque disastrose. La sola idea che ci siano delle possibilità, per quanto remote possano essere, che una tale sciagura possa avvenire in futuro, dovrebbe indurci a fermare la folle corsa verso l’autodistruzione che la civiltà pare aver intrapreso da due secoli a questa parte. Forse la glaciazione non arriverà mai, tuttavia solo ipotizzarla vale come un memento mori sulle sciagure causate dall’uomo. Lo stesso che dovrebbe portare alla nascita di una nuova vera coscienza ecologica.
Società
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Ictus, una ferita al cervello
Internet
www.swissheart.ch La Fondazione svizzera di cardiologia dedica un ampio spazio anche alla prevenzione e alla cura dell’ictus cerebrale, in quanto malattia del sistema circolatorio. Sul sito si possono ordinare gratuitamente diversi opuscoli informativi.
È importante, inoltre, curare eventuali malattie cardiache che possono predisporre a ictus. Cosciente del fatto che la tempestività della prognosi e delle cure può ridurre la mortalità Tomografia di ictus tratta da www.ajnr.org (elaborazione TecnicaT7) e favorire la guarigione, l’Ente ospedaliero cantonale (Eoc) ha attivato lo scorso auUn “ciao” che rimane in gola, vascolari. A esserne colpiti tunno una struttura specializzata, la “stroke una mano che non riesce più sono soprattutto gli uomini, unit” (stroke in inglese significa appunto ad afferrare un bicchiere, gli portatori di maggiori fattori di ictus), che coinvolge tutti gli ospedali del occhi che vedono doppio, la rischio per questa patologia. cantone e ha la sua base al Civico di Lugano. testa che sembra scoppiare. Le donne risultano parzialIl responsabile del progetto è il dr. Claudio Sono i sintomi tipici dell’in- mente protette da fattori di Städler. Riguardo alla prevenzione ci spiega farto cerebrale, l’ictus (dal natura ormonale. Se da un che: “Innanzitutto il paziente deve rivolgersi latino, colpo) e dell’attacco lato vi sono condizioni di al medico o chiedere soccorso al 144. Deve ischemico transitorio. Queste rischio che non possono esessere infatti curato immediatamente in una malattie sorgono quando il sere modificate – età, sesso struttura adeguata, che permetta di procesangue non arriva più al cer- e predisposizione familiare dere alle misure diagnostiche e alle terapie vello a causa dell’occlusione –, ve ne sono altre sui quali è moderne. In caso di ictus molto acuto, nelle di un vaso sanguigno o di invece possibile intervenire prime ore dopo l’insorgenza dei sintomi, può un coagulo: senza ossigeno in modo anche decisivo. Ci essere eseguito in alcuni casi un trattamento le cellule nervose muoiono o riferiamo all’ipertensione arper ridurre l’estensione dell’infarto cerebrale subiscono danni gravi, talvol- teriosa, all’ipercolesterolemia, e il conseguente handicap neurologico”. ta irreversibili. al fumo di tabacco, alla sedenSta di fatto che circa il 20 per cento dei Questo tipo di patologia ri- tarietà, all’obesità e al diabete. pazienti muore e meno della metà può far guarda soprattutto le perso- Quindi, per prevenire l’ictus ritorno al proprio domicilio completamente ne anziane. L’età rappresenta e tutte le malattie vascolari, indipendente. Ogni anno in Svizzera circa infatti il principale fattore di occorre monitorare la presmille pazienti sono definitivamente istituziorischio, sia dell’ictus ischenalizzati: “Questi dati mico (85 per cento dei casi) L’infarto cerebrale colpisce soprattutto gli dimostrano che l’ictus sia delle emorragie cerebrali uomini con più di 65 anni, con conseguenze non è una malattia be(15 per cento). Solo il 15 per nigna e da banalizzare”, spesso molto gravi. Si può prevenire tenen- commenta il dr. Städler, cento dei pazienti ha meno di 65 anni, mentre oltre la do d’occhio colesterolo, diabete e pressione, “attualmente, non esimetà ne ha più di 75. L’ictus mangiando sano e facendo movimento ste ancora un centro è comunque una malattia che ambulatoriale che si può colpire ogni fascia di età, sione arteriosa, alimentarsi occupi globalmente dei pazienti che hanno compresa quella giovanile e in maniera sana, riducendo il subito un ictus. L’Eoc e in particolare l’Ospeinfantile. In Ticino ne sono tasso di colesterolo nel sangue dale regionale di Lugano stanno sviluppando vittima ogni anno quasi un e mantenendo un peso ideale. alcune strutture che permetteranno una migliaio di persone e in ter- Senza ovviamente dimentimigliore presa a carico di questi pazienti sia mini più generali rappresenta care il fumo e l’abitudine a nella fase stazionaria acuta sia in quella amla terza causa di morte dopo eseguire regolarmente sport bulatoriale”. Un’iniziativa importante che il cancro e le malattie cardio- ed esercizio fisico. speriamo venga attuata al più presto.
» di Antonella Sicurello
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Michele Maero Il mio ictus ed il mistero delle cellule staminali Polistampa, 2007 L’autore a partire dalla sua vicenda personale tratta dell’ictus, oltre a dare una serie di notizie sull’utilizzo delle cellule staminali nella cura di questa malattia.
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Salute
Libro
Distributed by John Lay Electronics AG, 6014 Littau
Il nuovo televisore Viera Full-HD: Immagine perfetta dei movimenti pi첫 rapidi.
» testo di Antonella Sicurello; fotografia di Adriano Heitmann
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fare quel mestiere, affrontai una riqualificazione professionale come disegnatore. Fu dura, ma grazie alla costanza fui persino premiato come miglior apprendista ticinese. Da allora lavoro al 50 per cento come disegnatore del genio civile a Vira Gambarogno. La passione per lo sport è arrivata cinque anni dopo l’incidente. Iniziai a correre con Giorgio, un mio grande amico, per perdere peso. Continuai per qualche anno, poi un giorno sfidai il mio braccio: “Voglio proprio vedere cosa riesco a fare senza di te”. Mi diedi due anni di tempo per prepararmi al Triathlon di Locarno: riuscii a fare 2 chilometri e mezzo a nuoto nel La prossima sfida lo attende alle Palago, 90 in bici e 21 di corsa. raolimpiadi di Pechino. Il ciclista di Era il 1996, mi dissi: “Adesso, Cadenazzo, racconta come un incidente Ivan, puoi fare quello che può cambiare la vita vuoi”. Così passai al nuoto per tre anni, gareggiando in tutta tagliavano persino la carne e Europa. Nel 1999 avevo ottenuto cinque il formaggio. Ma di questo record svizzeri. Non riuscendo a qualificarmi aiuto non avevo bisogno e lo alle Olimpiadi di Sydney del 2000, decisi di capirono presto. Dopo l’inciprovare con la bicicletta. Da allora pedalo dente conobbi Fabrizia e per ogni pomeriggio dopo il lavoro: l’anno scorstare con lei lasciai Locarno. so ho percorso 20 mila chilometri. Oggi viviamo a Cadenazzo Con il Team Chocolat Stella-Merida Ford Belcon i nostri due figli, Enea e car ho partecipato ai campionati europei e Alice, di 12 e 8 anni. del mondo e nel 2004 ad Atene sono arrivato Ripensando a quel periodo mi quarto nell’inseguimento in pista. Il 25 agofa piangere il ricordo di mia sto mi aspettano le Paraolimpiadi di Pechimadre all’ospedale accanto al no. Con un tutore in carbonio studiato dagli mio letto, la sua sofferenza, ingegneri del Dipartimento delle tecnologie quella di mio padre e dei miei innovative della Supsi, in collaborazione con fratelli. Sono ricordi che ti l’Ortopedia Tulipani, dovrei riuscire a ridurre segnano... il mio miglior tempo di due secondi e avviAdesso ho una scossa forcinarmi al record del mondo. Il progetto si te... Tranne la notte, ogni 2-3 chiama proprio “Due secondi per Pechino”. minuti avverto le scosse: la Accumulo questo ritardo in partenza perché sensazione è simile a quella non riesco a sprintare e ad alzarmi dalla biche si prova quando si picci. Quello che voglio dalle Paraolimpiadi è chia il ginocchio contro il riuscire a esprimere tutto il mio potenziale. tavolo. Il dolore è come una Poi, se arriverà la medaglia... rosa: quando sboccia è al suo Dopo le Olimpiadi abbandonerò l’attività apice, poi appassisce e scomagonistica, perché voglio stare di più con la pare. Le persone normali mi mia famiglia. Mi piacerebbe però tornare a dicono che noi diversamente fare triathlon a livello amatoriale e continuaabili abbiamo un carattere più re a confrontarmi con le persone normodotaforte. Non è vero. Siamo tutti te, come faccio da sempre. L’importante non dotati di questa forza, ma ne è vincere ma uscire dal proprio guscio e stare disponiamo solo quando ne con gli altri, senza distinzioni e pregiudizi. abbiamo veramente bisogno. Io ci sono riuscito: l’anno scorso sono stato A me accadde nel momento eletto sportivo ticinese di tutti i tempi dagli in cui fui costretto a rifarmi utenti del sito www.sportticino.ch. Ora sono una nuova vita professionale. terzo nella classifica dei migliori atleti di Prima dell’incidente ero lattoaiutosport.ch. Essere in questa classifica è per niere edile. Non potendo più me il simbolo della mia vera integrazione.
Ivan Renggli
Vitae
ro alla settimana alpina con la scuola reclute. Durante una camminata con il sacco sulle spalle iniziai ad avvertire male al collo e un formicolio al braccio. Avvisai i miei superiori: pensarono che fossero tutte scuse. Il dolore si faceva sempre più forte e fui costretto a svuotare lo zaino. Tenni con me soltanto il fucile. Mi lasciarono lì da solo e dopo un’ora arrivai in cima, con il braccio sinistro paralizzato e tutto blu: avevo compresso i nervi del plesso brachiale. Andai all’ospedale di Lugano dopo quattro giorni: la mielografia accertò lo schiacciamento dei nervi. Non mi scartarono dalla scuola reclute e rimasi ancora ad Airolo. Tre settimane più tardi mi recai con un mio amico a Bienne per festeggiare i nostri 20 anni. Al ritorno avemmo un incidente in autostrada: per la stanchezza mi addormentai al volante e fummo sbalzati fuori dall’auto. Lui non si fece nulla, io mi strappai quattro dei cinque nervi del plesso brachiale. Capii subito che c’era qualcosa che non andava: non sentivo più il braccio e avevo un dolore all’altezza della spalla. Era il 24 maggio 1987. Quanto tempo... Nel 2007 ho festeggiato i 40 anni e i miei primi 20 dopo l’incidente. Mi piace pensare di avere soltanto 21 anni... Fui ricoverato a Losanna per un trapianto di nervi che doveva limitare i danni. Dopo 3-4 anni riuscii a muovere un po’ la spalla, grazie anche alla fisioterapia, che faccio ancora una volta alla settimana. Ho accettato subito l’handicap. Guardandomi in un ipotetico specchio mi dissi: “Senti, indietro non puoi più andare, devi solo guardare avanti. Devi cercare di vivere come prima, meglio di prima”. Da quel giorno ho vissuto come un ragazzo normale e senza rimorsi. La famiglia, i genitori, i miei undici fratelli, gli amici di allora, tutti loro mi hanno aiutato moltissimo. Erano apprensivi, mi
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la fabbrica dei suoni testo di Fabio Martini fotograďŹ e di Adriano Heitmann Stefano Moccetti ha seguito la sua passione con tenacia. Abbandonati oltre venticinque anni fa gli studi di medicina, è divenuto uno dei piĂš conosciuti e apprezzati liutai di chitarre classiche e da flamenco a livello internazionale. Lo abbiamo incontrato nel suo laboratorio di Bioggio
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mestiere del liutaio rientra fra quelle poche forme di alto artigianato destinate, nei migliori dei casi, a sfociare nell’arte pura. A differenza di altre attività artigianali, esso necessita infatti di un compimento, di un passaggio ulteriore. Costruire strumenti musicali significa infatti creare “oggetti” in grado di produrre vera musica solo se affidati alle mani, alla tecnica, alla sensibilità e alla cultura dell'interprete. Il rapporto fra il liutaio e lo strumentista riveste in questo senso un’importanza cruciale, e qui sta il nocciolo della questione. È il territorio in cui si confrontano sensibilità e sapienze diverse, accomunate dall’interesse reciproco per la musica e per i suoi aspetti più criptici ed esclusivi. La conoscenza tecnica di uno strumento, sia essa esecutiva o costruttiva (non sono rari i casi di musicisti che si sono dedicati alla produzione di strumenti), è sempre un “infinito”, perché il limite delle possibilità interpretative e di produzione materiale sta sempre oltre, come l’orizzonte che fugge sempre davanti al nostro moto. C’è poi la magia particolare della liuteria, i profumi dei legni e delle colle, l’accuratezza e la lentezza della lavorazione, così estranee ai ritmi di produzione a cui la maggior parte di noi è oggi sottoposta. Stefano Moccetti, liutaio ticinese, noto a livello internazionale per la produzione di chitarre classiche di altissima gamma, non sfugge a queste regole. L’incontro avviene nel suo laboratorio, a Bioggio, davanti al banco di lavoro
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Qual è stato il suo iter formativo e la storia della liuteria Moccetti? La mia formazione come liutaio ha seguito un percorso piuttosto particolare. In realtà, ho studiato medicina ma durante un anno di praticantato ho capito che quella non era proprio la mia strada. Ho studiato la chitarra fin da bambino, raggiungendo anche un buon livello. Con il passare del tempo la mia passione per lo strumento è andata crescendo e si estesa anche agli aspetti tecnici e costruttivi. Ho inziato con qualche riparazione, poi ho realizzato una prima chitarra, cercando di cogliere qua e là i segreti del mestiere. In realtà, non avevo affatto una formazione solida come liutaio. L’occasione è venuta nel 1984 quando ho avuto l’opportunità di partecipare a un corso di liuteria per chitarra tenuto da José Romanillos, uno dei più famosi liutai e studiosi della chitarra del mondo, creatore, fra l’altro delle chitarre utilizzate dal chitarrista inglese, Julian Bream. Ho potuto costruire una chitarra sotto la sua guida e mi si è letteralmente aperto un mondo. Ma sentivo di
aver bisogno di un apprendistato più approfondito e così gli ho chiesto se aveva la possibilità di accogliermi come allievo. Fortunatamente la risposta è stata positiva e così ho lavorato con lui per alcuni mesi consolidando la mia esperienza e le mie conoscenze. Dopodiché sono andato avanti… ho fatto anche qualche strumento ad arco, ma insomma… la chitarra è rimasta al centro del mio interesse.
A quali tipo di modelli e di scuola si ispira per la sua produzione? Direi esclusivamente alla liuteria tradizionale spagnola, che viene dalla tradizione del primo Ottocento e il cui capostipite è Antonio de Torres (1817 – 1892). Torres è considerato un po’ lo Stradivari della chitarra, a lui si deve la realizzazione del modello che ha fatto da base a tutta la liuteria spagnola. A partire dagli anni Sessanta del secolo appena concluso sono inizate alcune sperimetazioni da parte di molti liutai ma qui si entra in una dimensione complessa. Per quanto
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mi riguarda, io resto legato alla scuola di Romanillos, che fra l’altro ha scritto dei testi fondamentali sulla costruzione e la storia della chitarra spagnola, e la mia attività si svolge nel solco di quella specifica tradizione costruttiva.
In base a quali criteri vengono scelti i legni? La faccenda dei legni è complessa. Innanzitutto perché è sempre più difficile trovare i legni adatti alla liuteria. Ormai sono 25 anni che costruisco e già quando ho iniziato non era semplice reperire i legni. In Brianza, con pazienza, si trovavano i cosiddetti fondi di magazzino ma legni come, per esempio, il palissandro brasiliano, già raro all’epoca, oggi è stato messo all’indice e non può più essere utilizzato. Il legno principale per la sonorità è l’abete che viene utilizzato per la realizzazione delle tavole armoniche (la parte superiore della cassa dove è presente il foro). All’inizio della mia attività ho acquistato due metà tronchi, un legno eccezionale di cui sono contentissimo. È il mio tesoro, un abete che viene dalle ➜
Foto grande: rifinitura dello spessore della tavola armonica Sopra: fasi della lavorazione del manico
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montagne svizzere, una foresta molto fredda vicino al confine con la Francia dove gli alberi crescono molto lentamente e il legno presenta un’elasticità eccezionale. Si tratta di piante che datano dai 250 ai 350 anni. Probabilmente non riuscirò neanche a consumarlo tutto. Per quanto riguarda invece i legni della cassa, oggi vanno i legni esotici duri – una volta si usava anche l’acero, ma oggi è passato di moda –, soprattutto le varietà di palissandro, indiano, africano, brasiliano, tutti molto rari e costosi. Anche il mogano è diventato difficile da trovare.
perché in tal senso ci sono spesso richieste precise da parte del cliente che ama avere il “pezzo unico”. Anche la colalborazione con i musicisti è essenziale. Con Andrea Dieci, ad esempio, collaboro da anni, utilizza i miei strumenti e fra noi c’è uno scambio continuo di idee, di impressioni. Anche con Pepe Romero, che ha due mie chitarre, ho avuto modo di confrontarmi.
Che tipo di clientela si rivolge a lei?
Tutte questi aspetti dipendono soprattutto dal progetto. Risulta infatti più facile ottenere certi tipi di sonorità se ci si basa su un progetto che è in grado di restituire queste caratteristiche. Bisogna tenere presente che nella costruzione di uno strumento musicale di alta gamma le variabili sono davvero moltissime. Naturalmente, si possono tentare strade nuove ma il rischio è poi di non riuscire a ricondurre l’eventuale difetto o carenza a un preciso elemento costruttivo. Io tendo a lavorare su un
Si tratta per lo più di professionisti in ambito classico o studenti in vista del diploma che desiderano avere uno strumento di alto livello. Poi, naturalmente, ci sono anche dei dilettanti, ma non sono moltissimi. Tenga presente che per costruire una delle mie chitarre impiego minimo sei settimane, per cui nell’arco di un anno realizzo sei, sette pezzi, non di più. Le finiture sono sempre diverse, non faccio mai strumenti identici, anche
Come cerca di equilibrare nei suoi strumenti qualità come dinamica, cantabilità, chiarezza polifonica, suono e modulabilità timbrica?
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ambito ristretto, che è il frutto della mia esperienza e di quella di altri liutai come Romanillos, per esempio. Tenga presente che tavole che provengono da parti diverse della stessa pianta possono rispondere diversamente… è un equilibrio sottile che deve essere mantenuto. È per questo che utilizzo sempre lo stesso materiale per le tavole armoniche. Devo dire che da questo punto di vista, che è cruciale, riesco a produrre chitarre che non si discostano molto l’una dall’altra. Poi c’è l’imponderabile, il tratto personale che è indefinibile e in qualche modo misterioso rende peculiare il lavoro di un liutaio.
E i giovani? Non ce ne sono molti che vogliono intraprendere questa professione. Per me è poi difficile prendere a bottega un principiante perché necessita di un’attenzione costante che mi distoglie dal lavoro. L’ideale sarebbe avere un giovane liutaio già autonomo sul piano della formazione. Il Ticino poi non rappresenta un buon mercato: la maggior parte delle mie chitarre oggi va all’estero
Foto grande: incollaggio del fondo e chiusura della cassa Sopra: montaggio della cassa sulla tradizionale solera
amphicar l’auto che nuota!
Vi è mai successo di vedere un’auto solcare le acque? Oppure osservare sbigottiti un motoscafo uscire sornione rveloci dal suo habitat naturale e accodarsi ad auto sportive supe e rumorosi autocarri lungo una striscia di puzzolente asfalto bruciato dal sole? Io l’ho vista… e sono qui a raccontarvi che cos’era quello strano marchingegno… LA STORIA La Amphicar è stata l’unico vero progetto automobilistico su “larga scala” di anfibio mai prodotto e venduto al pubblico. Fabbricata in Germania dalla Quandt tra Lubecca e Berlino, su progetto dell’ingegnere Hans Trippel, trae il suo nome dalle traduzione delle parole “anfibio” e “auto” nella lingua di Shakespeare. Trippel costruì i primi prototipi di anfibio nel 1929. Tra il 1932 e il 1942 si dedicò ad altri numerosi progetti, anche per l’esercito tedesco, assemblando almeno un migliaio di auto che poteva solcare le acque. Dopo alcuni anni di silenzio e passate le tremende tragedie della seconda guerra mondiale, Trippel si rifece vivo al Salone automobilistico di Ginevra del 1959 con un nuovo progetto: l’Eurocar, un esperimento che può essere con-
siderato il progenitore dell’Amphicar, uscita a distanza di pochi mesi. Prodotta tra il 1961 e il 1968 in 3.787 esemplari, l’anfibio di Trippel è oggi considerato un pezzo da collezione. Molte delle vetture prodotte raggiunsero a partire dal 1964 il mercato inglese. Oggi si stima che le Amphicar ancora funzionanti siano circa 500 in tutto il mondo, solo una novantina di queste in tutta Europa. In effetti, il mercato americano costituì una piattaforma commerciale talmente importante – circa il 90% delle vendite tra il 1961 e il 1967 – che, quando la motorizzazione americana nel 1968 bloccò l’importazione dell’anfibio, l’azienda tedesca ne risentì al punto da interromperne la produzione. Fu la fine della più diffusa e nota auto “sia da terra che da acqua”…
LA TECNICA La Quandt fu in grado di ottenere i motori dell’inglese Triumph a dei prezzi ragionevoli. Originariamente Trippel utilizzò dei propulsori raffreddati ad aria, ma le autorità americane imponevano per il loro mercato quello ad acqua (munito di radiatore e liquido di raffreddamento, per intenderci). Per questa ragione fu utilizzato in seguito il propulsore della Triumph Herald 1200. La trasmissione utilizzata era un derivato di quella che equipaggiava la Porsche 356. Il motore da 1147 cmc costituiva una perfetta combinazione di potenza, peso, affidabilità ed elasticità – lo stesso propulsore rimase in produzione sino al 1979 come cuore della Triumph Spitfire – aveva una potenza di 48 cavalli a 4.750 giri/min. Nota come “770”, l’Amphicar poteva raggiungere una velocità massima in acqua di 7 nodi (circa 13 km/h), mentre a terra toccava i
113 km/h. La “770” usci in una versione “evoluta” negli ultimi anni di produzione, con il motore di 1500 cmc e una potenza elevata a 75 cavalli. La navigazione sull’acqua era possibile grazie a due eliche in nylon poste sotto il paraurti posteriore. La trasmissione terra-acqua era possibile grazie a un cambio Hermes (la stessa azienda che fabbricava le trasmissioni per Porsche): questa permetteva sia alle ruote di trazione sia alle eliche di funzionarie in modo indipendente o simultaneo. La trasmissione “da terra” a quattro marce più retromarcia era simile a quella adottata dalla Volkswagen per il Maggiolino; la trasmissione a due marce in acqua invece costituiva una caratteristica unica della Amphicar. L’auto-barca fu proposta in quattro colori: Beach White, Regatta Red, Lagoon Blue e Fjord Green.
Tendenze
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IL DILEMMA: AUTO O BARCA? Una delle scritte che campeggiano sul cruscotto non lascia alito a nessun dubbio: “Chiudere le pompe di sentina e assicurarsi che le porte siano chiuse ermeticamente”… E che dire poi dell’antenna radio-segnale di tipo marittimo che spunta dal baule (meglio chiamarla poppa?), delle luci di navigazione, del contachilometri che riporta la velocità in nodi marini... Elementi che dialogano con le alette poste sui parafanghi posteriori – meglio note come “pinne” – che caratterizzavano il design automobilistico dei tardi Cinquanta. Anche se il foro posto sul baule, voluto per poter comodamente infilare un ombrellone, ci riporta alla navigazione da diporto. Tra gli appassionati possessori, l’Amphicar è considerata un’auto affidabile e di semplice manutenzione, sia per l’utilizzo su acqua come su strada. Anche se da più parti non era considerata né una buona auto né una
buona barca a motore, ma in grado comunque di inserirsi nella media delle prestazioni in entrambi i tipi di veicolo. Sia sull’asfalto che sull’acqua, l’Amphicar curvava con le ruote anteriori e questo ne faceva un mezzo facilmente “manovrabile” anche per i meno esperti. Tra i piccoli inconvenienti, la frenata costituisce un “piccolo dramma”: inutile premere sul pedale del freno… sono le eliche a dover invertire la loro marcia, operazione per nulla immediata. Negli anni Sessanta, alcune serie speciali di Amphicar furono prodotte per il governo tedesco e usate sia dalle forze di polizia sia quali veicoli di salvataggio per pompieri e protezione civile. Volete sapere chi tra i molti appassionati sparsi sul pianeta possiede un’Amphicar? Un nome su tutti: Madonna… se non è roba “trendy” questa!
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Lenno, lago di Como; una giornata di ordinaria “navigazione”...
REFERENZE INTERNET www.amphicar.com www.amphicars.com www.amphicar.net
di Giancarlo Fornasier » testo fotografie di Adriano Heitmann
Tendenze
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Disegnare la vita
Design
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“Forse quello che dico può sembrare
strano, ma mi piacerebbe dire senza pudore che amo appassionatamente l’industria, che non vedo alcuna alternativa all’industria, che la civiltà contemporanea e futura può progredire solamente attraverso l’industria”. In questi termini si esprimeva Michele De Lucchi nel 1980, architetto italiano che da Firenze (dove si laurea nel 1975), si trasferisce a Milano aprendo nel 1984 il proprio studio. Incaricato dall’azienda Artemide di Ernesto Gismondi di realizzare una lampada da tavolo, De Lucchi progetta nel 1986 la Tolomeo, una rilettura in chiave moderna delle lampade a “molle” del passato. Preso a modello la Naska Loris, celebre lampada da lavoro norvegese derivata da un analogo prodotto inglese creato nel 1934, il
progetto di De Lucchi si distingue per un fascino e un’eleganza sorprendenti. La fonte luminosa, una tradizionale lampadina a incandescenza, viene spostata nei punti interessati per mezzo dei suoi lunghi bracci, una sorta di compasso con un’apertura molto ampia. Prodotta in alluminio lucidato e anodizzato, la Tolomeo ha la testa e i bracci orientabili in tutte le direzioni. Ma il vero cuore del progetto sta nel meccanismo a molle, che in questo caso è nascosto: le stesse molle si estendono all’interno del braccio per tutta la sua lunghezza, un sistema che dà leggerezza e una dose di mistero alla sua parte prettamente meccanica. Un risultato che non sarebbe stato possibile senza il contributo del responsabile dell’ufficio tecnico di Artemide, Giancarlo
Fassina, non per nulla cofirmatario della lampada. L’esilità data dalla lunghezza dei suoi bracci e dalla base d’appoggio, la cura dei particolari, l’uso sapiente del materiale fanno della Tolomeo un oggetto di grande fascino e dall’indubbio successo, se è vero che già alla prima presentazione del prototipo al salone Euroluce di Milano (1987) le sole prenotazioni raggiunsero la ragguardevole cifra di 10.000 pezzi. Un successo confermato anche due anni più tardi con il prestigioso premio Compasso d’Oro. Quella di De Lucchi è una carriera professionale segnata da continui successi e riconoscimenti. È del 2006 la Laurea ad Honorem conseguito presso Kingston University di Londra per il suo contributo alla “qualità della vita”.
Importante congiunzione tra Marte e Saturno. Possibile situazione di stress generata da occasioni lavorative. Cercate di affrontare le situazioni con la giusta serenità senza farvi prendere dall’ansia. Piccole invidie familiari per i nati nella terza decade.
La congiunzione tra Marte e Saturno, vi spinge verso l’adozione di misure drastiche. I nati a fine segno, altresì interessati dall’opposizione tra Venere e Giove, potrebbero riconsiderare una situazione affettiva, e adottare un forte cambiamento.
toro
scorpione
Andate alla grande! Se siete di aprile non dovete fare altro che prendere; se oserete tutto quanto vi verrà dato. Momento professionale importante. Romanticismo in crescita per i nati della terza decade favoriti dal transito di Venere nella vostra terza casa solare.
Momento decisivo per i nati della prima decade. Cercate di canalizzare tutte le vostre energie verso il raggiungimento di un obiettivo ben preciso. Se siete poi nati nella terza decade, potreste ricevere una inaspettata entrata economica.
sagittario
Possibili discordie familiari generate da una vostra impennata d’orgoglio. Evitate di affrontare un fratello o un cugino senza prima comprenderne le reali ragioni. Improvvisa fuoriuscita di risorse finanziarie per i nati della terza decade in relazione a un rapporto sentimentale.
Momento di cruciale importanza per i nati della terza decade interessati dal transito di Plutone retrogrado. Fate appello alle vostre energie più nascoste, ricorrendo anche ai vostri istinti più primordiali. Rotture, con risvolti legali per i nati di novembre. Attenti all’alimentazione.
cancro
capricorno
Momento estremamente vivace sotto il piano affettivo. Una continua sovrapposizione tra coniugi e amanti. State attenti a non strafare. In cucina, troppi cuochi guastano. Vita professionale estremamente positiva per i nati di giugno.
Marte e Saturno vi stanno spingendo a vele spiegate verso il raggiungimento di tutti i vostri obiettivi. Possibile incentivazione degli appuntamenti mondani favorita dal passaggio lunare. Momenti di passione per i nati della terza decade.
leone
acquario
Forte fuoriuscita economica per l’acquisto o la riparazione di un mezzo di trasporto. Questo aspetto vede coinvolti soprattutto i nati in luglio (Marte e Saturno transitano nella loro seconda casa natale). Eventi inattesi per i nati della terza decade.
Se avvertite l’esigenza di un consigliere, considerate che il Nodo Lunare Nord si trova in trigono con Mercurio, per cui fatevi guidare da una persona più giovane, da vostro figlio o persino da un amante (Mercurio in quinta casa).
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Settimana segnata da decisioni irrevocabili. Cercate di scegliere in base al vostro reale “sentire” senza farvi condizionare oltremodo dall’orgoglio. Momento particolare per i nati della terza decade fortemente sollecitati dall’azione di Urano.
Settimana decisiva, da affrontare con circospezione. Possibili blocchi emozionali provocati da un eccesso di autoanalisi. Marte e Saturno opposti potrebbero avere un effetto inibente sulla vostra capacità di prendere delle decisioni rapide.
Elemento: Acqua - cardinale Pianeta governante: governante: Luna Relazioni con il corpo: torace, seno, ventre Metallo: argento Parole chiave: sensibilità, emotività, inconscio
Così come la vita sul nostro pianeta ebbe inizio dall’acqua, anche l’uomo affronta la prima fase della sua esistenza all’interno dell’utero materno, totalmente immerso nel liquido amniotico. L’acqua, come sostanza primigenia e arcana è anche l’elemento fondante del segno astrologico del Cancro: acqua limpida di sorgente, luogo di gestazione che rimanda, nella nostra fantasia, al femminile e al mondo notturno. I nati nel Cancro vivono infatti fra due opposte dimensioni, quella esterna, della coscienza pura, e quella più profonda, dell’inconscio. Ciò offre loro la possibilità di celarsi, di isolarsi dalla realtà del mondo, proteggendosi grazie a un complesso insieme di sogni, fantasie e riflessioni interiori. Forti sul piano dell’immaginazione e delle capacità ideative, essi amano tornare al passato, che viene spesso analizzato e ripercorso quasi ossessivamente, con attente riflessioni su fatti e argomenti. Il punto debole delle persone nate in questo segno sta proprio nell’esasperante oscillare fra passato e presente, tra reale e immaginario. Il senso del tempo che fugge li assilla, e li costringe a organizzare intorno a sé una serie di strutture protettive rassicuranti (coppia, famiglia, amici, comunità religiose e non). Non mancano di tenacia e determinazione – non di rado hanno successo sul piano lavorativo e professionale – anche se la loro mancanza di aggressività (ma sarebbe preferibile parlare di un vero e proprio rifiuto) viene talvolta confusa con debolezza o eccessiva mitezza. Pacatezza e sensibilità sono infatti le loro armi predilette, e sin da bambini eludono i giochi competitivi o eccessivamente aggressivi, optando per modalità meno veementi.
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gemelli
Il Sole transita nel segno del Cancro dal 22 giugno al 22 luglio
Astri
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» a cura di Elisabetta
bilancia
“…alto silenzio fa la bianca luna”
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Âť Illustrazione di Adriano Crivelli
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Indovina… dove siamo?
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1. Gravano sul debito • 2. La borsa del canguro • 3. Liscia • 4. Il dio egizio del sole • 5. Informati • 6. La Sara dell’atletica • 7. Lo causano gli ingorghi • 8. Carme lirico • 12. Misura di lunghezza inglese • 17. Caravan • 18. I confini di Intragna • 20. Marcello, indimenticato attore • 24. Il niente del croupier • 25. Italia e Austria • 27. Figura geometrica • 30. Fu il primo eresiarca • 32. Incarico provvisorio • 33. Sud-Est • 38. Uncini da pesca • 41. I confini di Sonvico • 42. Giallo pallido • 44. Pari in tirante • 45. Si dà agli amici • 48. Due nullità.
Verticali
1. Quello edile erige • 9. Le Ninfe delle sorgenti • 10. Prep. semplice • 11. Prediche • 13. La stagione del solleone • 14. Una nota e un articolo •15. Romania e Utah • 16. Gli avversari dei tori • 19. Organizzò la rivolta degli Iloti • 21. Affermazione • 22. Tela per sacchi • 23. Centellini • 26. Mezzo lato • 28. Andata in poesia • 29. Il bel Sharif • 31. Un nome di Pasolini • 33. Misure per cataste • 34. Comprende dodici mesi • 35. Razza • 36. Cons. in stuoia • 37. Dittongo in giada • 39. Noto collegio inglese • 40. Se ne ricava anche olio • 43. Sardonici • 45. I confini del Ticino • 46. Sei romani • 47. Il nome di Bova • 49. Accatastato, sovrapposto.
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Schema realizzato dalla Società Editrice Corriere del Ticino
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Le soluzioni verranno pubblicate sul numero 30.
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Epigoni A quale romanzo appartiene il seguente finale? La soluzione nel n. 30. Al vincitore andrà in premio “Gli uomini che fecero il Ticino” di Franco Celio, Edizioni laRegioneTicino, 2007. Fatevi aiutare dal particolare del volto dell’autore e inviate la soluzione entro giovedì 10 luglio a ticino7@cdt.ch oppure su cartolina postale a Ticinosette, Via Industria, 6933 Muzzano. “Ciò che ne rimane, oggi, sulla terra è la sua parte inorganica. Un granello di silicio per ogni mosca: qualche metro cubo di sabbia, e nient’altro”.
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