Ticino7

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05 XII

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08 L’appuntamento del venerdì

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04 Giovani e politica. Non è un paese (solo) per vecchi 06 Classica. L’arte di Tartini 50 Moda. Carla Sozzani

numero

CASA VERDI p. 43

Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Giornale del Popolo • Tessiner Zeitung

CHF. 2.90

con Teleradio dal 7 al 13 dicembre


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numero 50 5 dicembre 2008

Impressum Tiratura controllata 90’606 copie

Chiusura redazionale Venerdì 28 novembre

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Agorà Non è un paese (solo) per vecchi Arti Musica. L’arte di Tartini Media Internet non perdona

DI

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GIORGIA RECLARI

ORESTE BOSSINI

DI

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MARCO FARÉ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Società Principi e valori: una distinzione

DI

FABIO MARTINI

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Kalendae San Nicolao

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Racconto La parete

ERMINIO FERRARI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

DI

FRANCESCA RIGOTTI

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Direttore editoriale

Vitae Luigi Croci Torti

Capo progetto, art director, photo editor

Reportage Casa Verdi

Redattore responsabile

Animalia Il pappagallo. Un racconto inedito

Coredattore

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Concetto editoriale

Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Peter Keller

Adriano Heitmann Fabio Martini

Giancarlo Fornasier IMMAGINA Sagl, Stabio

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KURT SGHEI

DI

4 6 8 10 12 14 18 43 50 54 56 59

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VALENTINA GERIG . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Moda Carla Sozzani. Il microcosmo di Carla

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MARISA GORZA

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PIERO SCANZIANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

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In copertina

La signora Paltrenieri, ospite di Casa Verdi, con il ritratto del compositore emiliano. Fotografia di Adriano Heitmann

Libero pensiero Gentili lettori, pubblichiamo un estratto di una interessante e lunga lettera giunta in redazione a commento dell’articolo Il Belpaese è in vendita, pubblicato sul numero 47 di Ticinosette. Va da se che condividiamo in pieno le osservazioni e le preoccupazioni del lettore che affrontano un tema di cui ci occuperemo senz’altro a breve. Cordialmente Fabio Martini Egregio le considerazioni sul destino dei beni culturali italiani da lei espresse nell’articolo pubblicato sul n. 47 del vostro settimanale, mi costringono a sottolineare, con amara rassegnazione, che non è dal pulpito ticinese che ci si può permettere di fare prediche agli italiani sul tema da lei sollevato. La materia è regolata in Ticino dalla Legge sulla tutela dei beni culturali del 1997 e dal relativo regolamento del 2004. Le disposizioni identificano due categorie: i Beni di interesse cantonale (la tutela dei quali è responsabilità dell’Amministrazione cantonale) e i Beni di interesse locale, la cui protezione (o non protezione) è di esclusiva competenza delle amministrazioni comunali. Una suddivisione che è anche una sciagura. Sì, perché mentre i primi sono generalmente tutelati dalla legge precedentemente in vigore dal 1946 (fra di essi rientrano, per esempio, le chiese antiche di Lugano, i tre Palazzi Riva, il Palazzo Civico, Casa Albertolli, Villa Ciani ecc) i secondi, di spettanza comunale, sono costantemente oggetto di scempio e distruzione. Le amministrazioni locali non sono infatti

vincolate a protegge i beni segnalati dal Cantone attraverso le operazioni di inventario. Inoltre, la pianificazione urbanistica vigente permette lo sfruttamento intensivo delle aree edificabili, non tenendo in alcun conto delle preesistenze edilizie. Ergo, la costante pressione speculativa da parte del comparto immobiliare e la conseguente distruzione di edifici storici. Cito ad esempio, Villa Antonietta in via Besso a Lugano, l’Hotel Washington di Massagno – edifici circondati da splendidi parchi con piante secolari –. A rischio anche Villa Branca a Melide. Il timore di dover concedere indennizzi ai proprietari e di intralciare il settore edilizio sono fattori che inducono i Comuni a non istituire vincoli di utilizzo su terreni dal valore commerciale tanto elevato. L’elenco degli scempi è comunque lunghissimo, mi limito a questi. Per quanto concerne i nostri vicini, lo Stato italiano, pur con le sue lungaggini, riesce comunque a finanziare i restauri più impegnativi e non pochi sono i privati coinvolti in queste attività. Un esempio italiano. Il Grand Hotel di Rimini, splendido esempio di Liberty tanto caro a Federico Fellini, venne costruito nel 1908 su progetto del ticinese Paolito Somazzi. La locale sovraintendenza ha ora preteso dal proprietario le indagini stratigrafiche di muri e porte per stabilire la colorazione originaria e ripristinarla. Un’operazione impensabile da noi e poi, dove sono finiti i grandi alberghi ticinesi progettati dal Somazzi? Il Grand Hotel Brissago, demolito, il Park Hotel di Lugano, demolito, il Meister di Paradiso, demolito. Tirate voi le conclusioni… Cordiali saluti R.B. Montagnola


Non è un paese (solo) per vecchi

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Agorà

Giovani e politica. Una nuova iniziativa incentiva il coinvolgimento diretto nella realtà comunale. Ma il segreto della partecipazione comincia dalla comunicazione. Parola di una giovane che ha sfidato i politici sul web. E ha vinto

A

patici, egoisti, narcisisti, indifferenti, arroganti, maleducati se non bulli violenti e “cannaioli” assidui. L’immagine che spesso i media rimandano dei giovani è desolante: le generazioni future appaiono come una massa di individui edonisticamente ripiegati su se stessi. Giovani e politica? Tanti diavoletti e un minaccioso mare di acqua santa in cui non osano bagnare nemmeno l’alluce. Eppure ci sono dati che parlano di impegno e partecipazione: alle elezioni dello scorso aprile si è assistito a un aumento degli under 30 nelle liste elettorali e in molti ce l’hanno fatta, grazie ai voti raccolti fra i coetanei. Anche il Cantone non è rimasto a guardare e da anni – a seguito dell’approvazione della Legge Giovani – promuove e sostiene iniziative a favore del coinvolgimento, dai momenti di incontro e dialogo come la Sessione e il Consiglio cantonale dei giovani, alla redazione di una “Carta delle politiche giovanili”. Quest’ultima, pubblicata di recente, contiene anche consigli pratici sulla realizzazione di progetti – soprattutto a livello locale – dedicati ai giovani e alle autorità e ha fruttato nel 2007 al nostro Cantone un prestigioso premio da parte dell’Assemblea delle Regioni d’Europa. Ma la scommessa sui cittadini di domani è andata oltre. Il 10 novembre scorso il Gran Consiglio ha approvato lo stanziamento di un credito a favore di tutti i comuni che introdurranno una giornata di incontro con i residenti più giovani per discutere delle loro richieste ed esigenze, sul modello di un progetto in corso nei cantoni Argovia e Soletta. Perché la partecipazione politica, ma anche sociale, inizia dalla riflessione sulla realtà che ci circonda e ci tocca più da vicino.

Ma la realtà, infine, qual è? L’asserzione ricorrente secondo cui i giovani non si interessano di politica è vera o è solo un usurato luogo comune? Lo abbiamo chiesto a Sara Leoni, una giovane eletta in aprile nel Consiglio comunale di Lugano, “miracolosamente” a suo dire. In realtà, ha saputo rinnovare il modo di proporsi, raggiungendo gli irraggiungibili… È vero che i giovani sono passivi, fanno fatica a elaborare idee e proposte su problemi che non li riguardano personalmente. Ma la causa non va cercata in un’involuzione dello spirito di partecipazione, in una chiusura verso un mondo, quello politico, ritenuto troppo lontano dalla realtà quotidiana. Piuttosto il contrario. I giovani oggi sono bombardati di stimoli, informazioni, sollecitazioni, inoltre hanno mille attività: lo studio, lo sport, i corsi extrascolastici. Per documentarsi ed elaborare idee ci vuole tempo, un bene prezioso di cui dispongono sempre meno sia i ragazzi sia gli adulti che dovrebbero coinvolgerli per primi: la famiglia. Quando però si trova un momento per discuterne si vede come l’interesse e la sete di risposte e spiegazioni siano enormi. Secondo te come si può interessare i giovani alla partecipazione sociale e politica? Il dialogo è fondamentale, ma deve essere condotto con un’impostazione e un punto di vista adatto agli interlocutori, quindi se possibile da altri giovani. Il fatto è che l’età media della nostra classe politica è molto elevata. Ho degli amici che hanno tentato di inserirsi, ma dopo due riunioni di partito in cui vedevano solo capigliature grigio-bianche hanno rinunciato perché si sentivano estranei all’ambiente. Io stessa ho qualche difficoltà a


Agorà

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Quindi pensi che la nuova iniziativa per avvicinare i giovani alla politica comunale possa dare dei frutti? Sicuramente ma, come dicevo, bisogna anche avere degli interlocutori adeguati. A nessun sedicenne interessano le spiegazioni politiche di un sessantenne, ma l’opportunità di discutere con un coetaneo o qualcuno di poco più anziano dà una garanzia di maggiore comprensione. Inoltre si dovrebbe avvicinare fisicamente i ragazzi alla politica: uscire dalle aule e dalle noiose lezioni di civica che vengono immancabilmente ignorate ed entrare nel cuore dei centri decisionali, con visite guidate

nei municipi e nel Parlamento. Conosco un municipale di Biasca che organizzava lezioni in comune per i bambini delle elementari, riscuotendo un interesse incredibile. La partecipazione inizia anche con la conoscenza. Ma per trasmettere qualcosa ai giovani bisogna parlare il loro linguaggio, comunicare con i loro mezzi. Internet, per esempio, è un medium efficacissimo, ancora praticamente ignorato dai politici di casa nostra. Credi anche tu nella forza del web? Quanto accaduto negli Stati Uniti con l’elezione di Obama è un esempio della comunicazione politica del futuro? Assolutamente sì. Obama è giovane e ha saputo raggiungere e coinvolgere fasce di elettori vastissime grazie alle nuove tecnologie. Ma prima di lui l’ho provato io stessa sulla mia pelle. Quando mi sono candidata non avevo nessun elemento per vincere: non sono ancora trentenne, sono una donna, nessuno

della mia famiglia risiede a Lugano. Ero praticamente una sconosciuta. Ho creato un blog – www.saraleoni.ch – e un sito per i giovani luganesi in collaborazione con un’altro giovane candidato. In breve tempo ho ricevuto una quantità incredibile di visite e messaggi. E poi sono stata eletta, ancora più incredibilmente. Un altro esempio? Ho recentemente partecipato a una raccolta di firme per un’iniziativa comunale. In una settimana ne ho raccolte poco più di cinquanta, i miei colleghi più anziani, grazie alla loro rete di conoscenze, anche seicento! Eppure migliaia di persone mi hanno votata. Migliaia di elettori che mi hanno conosciuta grazie al web. Molti giovani con una grande voglia di cambiamento e di volti nuovi hanno scelto chi è in grado di ascoltarli nel modo corretto. Credo sia ora di cambiare radicalmente l’impostazione della comunicazione politica e sono certa che l’ “effetto Obama” avrà un seguito anche nel nostro piccolo.

» di Giorgia Reclari; illustrazione di Simona Meisser

confrontarmi con i miei colleghi che vantano una carriera decennale e che spesso sono restii a mettersi in discussione con una novellina alle prime armi. Trovo senza dubbio fondamentale l’esperienza e la preparazione dei più anziani, ma credo che si dovrebbe prestare maggiore attenzione alla voce dei giovani.


L’arte di Tartini 6

Libri

Luca Scarlini Lustrini per il regno dei cieli. Ritratti di evirati cantori Bollati Boringhieri 2008 L’altra faccia del melodramma: cinque storie esemplari di splendidi infelici, raccontate con buon gusto e simpatia umana.

» di Oreste Bossini; illustrazione di Micha Dalcol

Arti

gues, Jean Jacques Rousseau affermava che Torquato Tasso fosse il solo poeta a esser stato cantato dopo Omero. Ma, aggiungeva, solo dai gondolieri di Venezia, qui ne son pas grands lecteurs. L’antica abitudine di cantare le ottave della Gerusalemme liberata ha colpito in particolare la sensibilità degli scrittori romantici, che hanno contribuito nell’Ottocento a far conoscere un aspetto caratteristico della vita musicale del popolo veneziano. Quel mondo è scomparso da tempo, sepolto sotto tonnellate di cianfrusaglie per turisti, ma di esso sopravvive forse un flebile ricordo nell’incanto che giungeva dall’ascolto, nel silenzio della notte veneziana, di un verso come “Intanto Erminia fra l’ombrose piante”, intonato da un’armoniosa voce proveniente da un rio nascosto alla vista, mentre dal lato opposto, scavalcando le calli e i palazzi addormentati, un altro gondoliere proseguiva a gara cantando il verso successivo, “d’antica selva dal cavallo è scorta” e così via. Ancor oggi è frequente incontrare sul Canal Grande un cantante ritto su una gondola

C. Banchini; P. Bovi Tartini Zig Zag Territoires Le Sonate per violino solo di Tartini, messe a confronto con le melodie popolari che le hanno ispirate.

dei cinquant’anni, dopo aver scalato le vette del successo europeo con concerti difficili e zeppi di artifici tecnici, Tartini sembrava circondato da una flottiglia animato all’improvviso dal desiderio di di gondole cariche di turisti, scrivere una musica semplice, melodica e che ascoltano con aria com“naturale”, per usare la sua stessa espressiopiaciuta le canzoni tipiche ne. Come un vecchio Don Giovanni sfinito del “made in Italy”, ‘O sole e deluso dai vizi più raffinati, il maestro rimio e Volare. cercato dai migliori allievi d’Europa (“Scuola La cosiddetta Aria del Tasso delle nazioni”, venne definita la sua attività era diventata agli inizi del didattica a Padova) aveva sete di qualcosa Settecento una sorta di everdi puro, innocente, non adulterato. Quella green. La melodia, tramandata prima espressione umana della musica Tarda generazioni, cominciava a tini sentiva di averla trovata nella musica interessare anche gli intelletpopolare. “Ciascuna di queste nazioni ha le tuali e i musicisti. Tra questi, sue canzoni popolari”, scriveva nel Trattato spiccava in particolare Giudi musica, osservando come le più semplici seppe Tartini, letteralmente e naturali sono “le più ricevute”. In conclustregato dal fascino di quella sione, “la natura ha più forza dell’arte”. Per cantilena. Personaggio conTartini l’arietta elementare di una donna del troverso, con una giovinezza popolo era lo stile più difficile da trattare romantica e turbolenta, divoper un musicista, perché “il più prossimo rato da inquietudini decisaalla natura”. Il grande Tartini da una parte mente moderne, Tartini era discuteva con i maggiori matematici del uno dei più famosi violinitempo le sue scoperte scientifiche sul suono sti del suo tempo, un’epoca e dall’altra si sforzava Il rapporto tra Giuseppe Tartini e la musica di ascoltare umilmente popolare, tra canti notturni di gondolieri e chi alla “Natura” era più vicino di lui. “Ed la Gerusalemme liberata del Tasso, viene ri- io in Venezia – scriveva portato in primo piano da un pregevole disco a un amico – pagavo il della violinista Chiara Banchini mio traìro a que’ tali ciechi suonatori di violino, perché anche da quelli ho imparato”. nella quale i grandi virtuosi, Tartini apprese tanto bene quell’arte, che specialmente italiani, non fausò ben quattro volte l’Aria del Tasso nelle cevano certo difetto. Attorno sue Sonate per violino solo. Quella melodia agli anni Quaranta del Setterappresentava una specie di codice segreto, cento, la produzione musicale che Tartini sperava di decifrare per riuscire a di Tartini prese una strada depenetrare l’arcano mistero della musica. cisamente nuova. Alla soglia

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Nell’Essai sur l’origine des lan-

CD


Abbiamo ascoltato per voi

In un’intervista di Francesco Varriale per “All About jazz” Steve Lacy così si esprimeva riguardo a Duke Ellington “Si tratta del primo musicista che ho ascoltato e ha costituito la vera spinta per realizzare tutto quello che ho fatto, la mia principale fonte di ispirazione, ancora oggi”. “Sempre Amore” registrato nel 1986 in duo con Mal Waldron e dedicato alla musica di Duke Ellington e Billy Strayhorn era già un’aperta dichiarazione d’amore, appunto, e riconoscenza verso i due grandi maestri. In questo ulteriore bellissimo cd Steve Lacy testimonia, nuovamente e praticamente, questa discendenza. Registrato dal vivo, l’album è costituito dai due set del concerto

che Lacy tenne in completa solitudine alla Egg Farm di Saitama in Giappone il 15 Ottobre del 2000. Nel primo set vengono presentati dieci brani di Duke Ellington e nel secondo sei composizioni originali. Il confronto è illuminante. Con grande naturalezza e musicalità viene delineato un percorso che lega Ellington, l’eredità monkiana – sempre presente in Lacy – e una profonda ricerca timbrica. I brani vengono caratterizzati “rumoristicamente” in modo deciso e nuovo anche per uno sperimentatore come Lacy. In a Mellow Tone, The Mooche, Morning glory, Prelude To a Kiss, Portrait of Bert Williams, Azure, Cotton tail, In a Sentimental Mood, Koko, e To the

Bitter nelle mani di Lacy diventano terreno per esplorare glissati, suoni soffiati, growl primitivi, e molto altro. Come ha ben sottolineato Michel Contat, se il merito di Duke Ellington è stato quello utilizzare l’orchestra come un unico strumento, il merito di Lacy è sicuramente quello di avere saputo ricreare sonorità e sfumature di un’intera orchestra con il solo sax soprano. Oltre a ciò, nelle composizioni originali, è interessante risalire alle fonti letterarie che le hanno generate. In Art viene musicata una poesia di Hermann Melville che tratta della natura dell’arte, On a Midnight Kick utilizza un testo di Bob Kaufman e Wave Lover uno di Jack

Steve Lacy 10 of Dukes + 6 Originals Senators Sen 01 (www.senatorsrecords.com) Francia, 2002

Kerouac. The Breath fa parte della Tao suite su testi di Lao Tzu e Traces della suite sui testi del poeta zen Ryókan. In quest’ultimo brano il testo è reso esplicito dall’esecuzione vocale dello stesso Lacy. Completa l’album Gospel, un blues dedicato a Stevie Wonder.

» di Giancarlo Locatelli

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www.blackcat.bloggy.biz/archive/3280.html Blog al quale si fa riferimento nell’articolo. Se volete ripercorrere la storia di Barbara e di suo figlio attraverso i suoi scritti (come la prima lettera di denuncia dell’episodio).

la storia di Davide poco dopo. Umiliato e in lacontro Golia. È invece l’espe- crime, il piccolo attira l’attenrienza di un bambino autisti- zione di una commessa che co e di sua madre contro un chiede spiegazioni. Barbara le gigante della distribuzione. Il parla della sindrome autistica duello non è certamente ad del figlio e lei risponde “Ma se armi pari, le dotazioni sono non è normale non lo deve La voce si sparge. In pochi giorni, decine di diverse, ma quale sia la più portare in mezzo alla gente”. blog riportano l’episodio ed esprimono la potente non è certo. Il gigan- Incapace di reagire, Barbara propria solidarietà a Barbara e a suo figlio. te è il distributore Carrefour torna a casa. La sera, scrive La “blogosfera” – a volte osannata, a volte Italia e la sua arma è l’indiffe- una e-mail alla direzione del bistrattata – dimostra la sua potenza: quella renza. Barbara, una “mamma Carrefour di Assago, con codel passaparola. Quattro giorni dopo l’amorgogliosa di un bambino au- pia al ministro Carfagna e a ministratore delegato di Carrefour Italia tistico di quattro anni”, può “Striscia la notizia”, nota tratelefona privatamente a Barbara. Dice: “Non invece contare sulla sua voce. smissione satirico-informativa vogliamo insabbiare il caso, ma farne un E su quella di internet. dei canali Mediaset. Inoltre, evento per far sì che non si ripeta e che tutto La storia inizia lo scorso set- racconta sul suo blog quanto il nostro personale stia più attento.” Barbara, tembre. Barbara porta suo successo, facendo notare che dal canto suo, non pretende risarcimenti, figlio al supermercato Carre- sul sito istituzionale Carrefour ma chiede una raccolta fondi per un’assofour di Assago, vicino a Mi- Italia dichiara di impegnarsi ciazione di ricerca che si occupi di studiare lano, dove è previsto il tour nel sociale e riporta un coml’autismo. Non è più Davide contro Golia. delle auto del film Cars a ma dell’articolo della legge Il duello è diventato collaborazione. grandezza reale. Per i bimbi è italiana che tutela i soggetti È stata la personalità dell’amministratore l’occasione di farsi fotografare portatori di handicap: “Sodelegato di Carrefour Italia a determinare con Saetta. Quando viene il no, altresì, considerati come questo tipo di reazione da parte dell’azienturno di Alexander – il fi- discriminazioni le molestie da? Oppure la minaccia incombente della glio di Barbara – il piccolo si ovvero quei comportamenti trasmissione televisiva e della pubblicità emoziona, è incerto e dopo indesiderati, posti in essere dovuta all’interessamento di un ministro? appena un paio di secondi di O forse, è stata la reesitazione viene richiamato Una vicenda odiosa. Ma anche una storia di azione di migliaia di dal fotografo: “Muoviti! Non persone, quelle presperanza. Grazie alla rete le aziende che non senti in rete? Probasiamo mica tutti qui ad aspettare te!”. Si aggiunge l’aiuto- si comportano “bene” possono essere colte in bilmente, la risposta fotografo: “Vattene biondino, fallo e costrette a correre ai ripari corretta è in una comnon puoi star qui a vita!” a binazione di queste tre cui fanno eco altri bambini per motivi connessi alla disaipotesi. Di sicuro, il rapporto tra cliente e in coda: “Oh, mi sa che quello bilità, che violano la dignità azienda è cambiato, da quando internet ha è scemo”. Non è finita: se è e la libertà di una persona un ruolo importante nelle nostre vite. E in vergognoso il comportamen- con disabilità, ovvero creano ogni caso, se un’azienda può permettersi to di persone, che avrebbero un clima di intimidazione, di di ignorare la rete e i suoi utenti, è bene dovuto lavorare con i bambi- umiliazione e di ostilità nei che si renda conto che gli internauti non ni, peggio è quanto accaduto suoi confronti”. ignoreranno l’azienda.

» di Marco Faré; illustrazione di Danila Cannizzaro

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www.genitoricontroautismo.org Il portale Genitori contro Autismo è nato tre anni fa dalla volontà di alcuni genitori. Contiene apporti medici, terapeutici e pratici, e si presenta come una finestra realistica e ampia sul problema “autismo”.

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rogativa degli storici e dei politologi valutarlo. Sta di fatto che, come ha sostenuto il sociologo francese Alain Touraine, autore di Libertà, uguaglianza, diversità, “il valore è più che altro un’aspirazione ideale, che solo a volte si concretizza nel diritto”. Nei valori, quindi, si cela una natura duplice e ambigua, una vocazione tirannica e dogmatica, “poiché ogni valore, dovendo valere, non ammetterà di essere limitato o condizionato da altri” (Gustavo Zagrebelsky, in Valori e diritti. Dietro i conflitti della politica, “la Repubblica”, 22 febbraio 2008). Diverso il discorso relativo ai principi. In questo caso la visione concerne qualcosa che sta all’inizio, che principia e che informa in ogni momento l’azione avviata per affermarlo, sottoponendola a una costante vigilanza normativa. “Tra il principio

Alain Touraine Libertà, uguaglianza, diversità Il Saggiatore, 1998 Globalizzazione versus identità nazionali. Touraine definisce demodernizzazione il risultato di questa opposizione: il superamento delle strutture ideologiche dello stato-nazione, la frammentazione del corpo sociale.

maniera tale che ci sia un posto per tutti. I principi, si dice, possono bilanciarsi” (G. Zagrebelsky, art. cit.). Un esempio: in quanto cittadini, noi possiamo sostenere il principio di libertà e al contempo quello della necessità di sicurezza che comporta altresì la restrizione della libertà esercitata sul criminale. Il principio si configura quindi come un elemento in grado di armonizzarsi con altri principi sulla base non di un obiettivo assoluto, totalizzante, ma di quella che Aristotele definiva come mesótes (giusto mezzo), la moderazione e l’equilibrio, in riferimento all’essenza stessa della morale. Ma al di là delle analisi sul significato, se da un lato continuiamo a sentire parlare di valori e principi come elementi interscambiabili e indifferenziati, dall’altro resta acceso il dibattito fra chi sostiene, come Benedetto XVI, che diritti e dignità umana devono configurarsi come valori in grado di travalicare ogni giurisdizione statale, e chi, all’opposto, vede nell’affermazione totalizzante dei valori un tentativo di Un dilemma aperto, una questione lunga imposizione sui diritti secoli ma sempre enormemente attuale so- individuali e collettivi. Riguardo poi alla prattutto in relazione ai temi della bioetica crisi dei valori o prine del rapporto fra Stato e Chiesa cipi (come preferite), tranquilli… quella c’è e l’azione c’è un vincolo di sempre stata perché connaturata all’umano coerenza (non di efficacia, divenire. Cosa ritenete pensasse l’esponente come nel valore). […] Infine, medio dell’Ancien Régime alle soglie della i principi non contengono Rivoluzione francese se non che i sani valori una propensione totalitaria della società feudale stavano inesorabilmenperché, quando occorre, […] te tramontando a favore di una non meglio essi possono combinarsi in identificata barbarie borghese?

» di Fabio Martini

Società

di valori e mancanza di principi sono espressioni ricorrenti, spesso riferite in modo generico e non specificato alla contemporaneità, alla condizione esistenziale dei giovani, alla politica, alla bioetica. Tematiche centrali nello sviluppo delle società e del pensiero filosofico e politico. Ma valori e principi, contrariamente a quanto si crede, non sono affatto la stessa cosa. In verità, la materia a cui si riferiscono è la medesima, ad esempio, la vita, la libertà, la pace, la sicurezza, ecc. Ciò che cambia è piuttosto il punto di osservazione. Il valore rappresenta infatti una finalità, un obiettivo al cui raggiungimento contribuisce una serie organizzata e strutturata di azioni, legittimate proprio dal valore in sé che si configura come una sorta di propulsore, di volano. Attenzione però: quale sia il prezzo da pagare non conta, l’importante è la finalità, l’attuazione dello scopo, in una prospettiva squisitamente machiavellica. Tutto è giustificato, tutto è possibile: la guerra in Iraq è stata formalmente sostenuta dall’obiettivo – che esprimeva anche un valore –, di liberare gli abitanti del paese dalla tirannia di Saddam Hussein. Che gli obiettivi vengano poi raggiunti è pre-

Gustavo Zagrebelsky Contro l’etica della verità Laterza, 2008 Un’ampia riflessione sui concetti di democrazia e laicità analizzati nelle loro molteplici e diversificate connessioni e in una prospettiva di grande laicità da parte di uno dei maggiori giuristi italiani.

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Crisi

Principi e valori: una distinzione

Francobollo emesso da La Posta Svizzera in occasione della creazione del Consiglio dei diritti dell’uomo dell’ONU.

Libri


Una mitragliatrice asserraglia-

ta in una trincea si muove con meccanica precisione da destra a sinistra, sputando proiettili all’impazzata. Di fronte ad essa crollano come birilli decine di soldati lanciati all’attacco. La cinepresa riprende in soggettiva, coinvolgendo direttamente lo spettatore nel massacro. In questa sequenza di pochi secondi sta tutta la denuncia della guerra e dei suoi orrori, secondo la visione di Lewis Milestone (1895–1980), capostipite del genere antimilitarista. All’ovest niente di nuovo è stato il primo e riuscitissimo tentativo di ricreare in immagini quanto scritto dal tedesco Erich Maria Remarque appena un anno prima nel suo capolavoro assoluto Niente di nuovo

Abbiamo visto per voi sul fronte occidentale (1929). Ambientato durante il primo conflitto mondiale sul fronte franco-germanico, la pellicola narra la storia di alcuni liceali tedeschi che, affascinati dalla propaganda bellica e esaltati dal patriottismo di un loro professore, si arruolano come volontari nell’esercito del Kaiser. Ma si renderanno ben presto conto che la guerra ha poco a che spartire con etica, coraggio e dovere: conosceranno invece violenza, fame e morte. Condotta con mano sicura da Milestone, capace di fondere il realismo, la spettacolarità della battaglia e la complessità dei dialoghi – siamo agli esordi del cinema sonoro – la pellicola è una presa di coscienza, uno sguardo nuovo verso la falsità

degli ideali militaristici senza alcuna retorica. Il pacifismo che permea il film si afferma così nell’animo dello spettatore con la stessa gradualità con cui i protagonisti realizzano l’insensatezza del conflitto, l’ipocrisia menzognera di chi sacrifica i propri giovani spedendoli nelle trincee. All’ovest niente di nuovo scosse sin dall’esordio le coscienze. Tanto che non fu mai proiettato nell’Italia fascista – se non dopo il 1956 – e in Germania venne duramente contestato dal nascente movimento nazista. Intanto i nuovi cattivi maestri stavano affilando le armi della retorica e nuove guerre si profilavano all’orizzonte. Forse ancora più dure e cruente di quella descritta da Lewis Milestone.

All’ovest niente di nuovo (All Quiet on the Western Front)

» di Roberto Roveda

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Regia di Lewis Milestone Con: Lew Ayres, Louis Wolheim e John Wray Produzione: Universal Pictures (USA, 1930) DVD: Universal Pictures, 2005

Per spuntini, delizie e stuzzichini.


San Nicolao

» di Francesca Rigotti; illustrazione di Valérie Losa

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Marcel Mauss Saggio sul dono Einaudi, 2002 Una puntuale e completa riflessione di carattere filosofico e antropologico sulla natura del dono, la sua funzione e l’aura sociale che lo contraddistingue.

non prende. La generosità pagana diventerà in seguito cristiana, fonderà la beneficienza, libererà gli schiavi e lascerà beni ai poveri, mentre oggi la moderna giustizia sociale dispensa i ricchi possidenti (com’era ai suoi tempi Nicola) dal donare. Ma torniamo a Nicola o Nicolaos, che fu vescovo della cittadina di Mira in Asia Minore, nell’attuale Turchia. Egli visse nei primi secoli dell’era cristiana e usò il suo ricco patrimonio per aiutare i bisognosi. La leggenda racconta che regalò nascostamente delle monete d’oro, lanciandole avvolte in una stoffa attraverso la finestra, a un pover’uomo che non aveva la dote con cui maritare le tre figlie. Il vescovo Nicola morì poi a Mira, dove fu anche sepolto: ma intorno all’anno mille le sue spoglie vennero trafugate e portate a Bari e intorno a esse fu edificata l’omonima basilica. Il santo in cambio manifesta chiarabenefattore – sovrapponendosi ad altri santi mente il proprio potere. La tra cui lo svizzero Nicolao della Flue – divendistribuzione di doni gratune poi la figura che portava doni ai bambini ita, spontanea e non richie(mandarini, dolcetti, come dicevamo) per sta – come quella praticata assumere infine, ai primi dell’Ottocento, le dal santo Nicola – dimostra sembianze di un vecchio pacioccone con la il carattere non utilitaristico barba lunga, il vestito rosso col cappuccio delle società non orientate al bordato di bianco (i colori della Coca Cola) e mercato, come quella antica. un bel pancione. Insomma, il nordico Santa D’altra parte il dono alla colKlaus e i più meridionali Babbo Natale, Père lettività occupò un posto assai Noël e via così. Una bella carriera, non c’è che importante in epoca ellenistidire: da vincitore del popolo a benefattore ca e romana, tra il 300 prima dei bambini. Anche perché la parte negativa e il 300 dopo la nostra era. Si – chiamiamola così – viene tutta lasciata al tratta della pratica che porta il compagno “cattivo” di quella che in realtà è difficile nome di evergetismo una coppia formata da Nicolao e dal suo servo (cioè buone opere). In quelle (Knecht Ruprecht in ambito germanico). Il sersocietà il donare era un rito vo è l’alter ego di san Nicola, come Mister Hide e i liberi rapporti tra dono lo è del Dottor Jekill in un’altra celebre coppia e beneficenza occupavano il manichea: di là tutto il male, di qua tutto il bene. Mentre san NicoQuale bambino pensa più, la sera del 5 dicem- la si presenta carico di bre, a lucidare a specchio la scarpetta per met- doni, il servo impugna la frusta per fustigare i terla fuori della porta aspettando con trepida- bimbi cattivi. Lo scritzione che passi San Nicolao a riempirla? tore tedesco Theodor Storm gli dedicò una posto che nella nostra hanno delicata poesia, nella quale Knecht Ruprecht il mercato economico e la sua si informa presso il padre se i bambini sono regolamentazione. La persostati buoni, se hanno studiato e pregato. Infina generosa secondo l’antico ne, Robert Schumann scrisse l’omonima comfilosofo Aristotele, il magnaposizione musicale delle Kinderszenen (1838): nimo – così detto perché ha oggi, nella nostra società buonista, verrebbe un animo grande – è chi dà e perlomento denunciato per molestie.

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Kalendae

Oggi bimbi e ragazzi portano tutti e solo scarpe da ginnastica ai piedi, altro che zoccoli o scarponcini di cuoio. E a mettere lo stivale o la calza o il piattino fuori dalla porta dell’appartamento si rischia di vedersi rubare dolciumi, noci e mandarini… come successe a noi, una volta, e i bambini la mattina dopo trovarono soltanto le bucce della frutta e la carta stagnola dei cioccolatini. Eppure san Nicola era una figura molto potente. A cominciare dal nome: Niko-laos, il vincitore del popolo (laos in Greco, da cui il nostro “laico”), dove nike è il termine greco che sta per vittoria, come sappiamo dalla famosa statua della Nike di Samotracia esposta al Museo del Louvre a Parigi. Nonché dal nome di una oggi, ahimé, ancor più nota ditta produttrice di scarpe – appunto – che alcuni si ostinano a pronunciare “nàiky” come fosse un’invenzione statunitense. San Nicola era un santo molto potente, perché chi dona e regala senza chiedere niente

Libri


È

» di Giancarlo Fornasier

finalmente disponibile ed è stato presentato al pubblico nelle scorse settimane il volume dedicato al Convento cappuccino di Santa Maria del Bigorio uscito per l’editore Fontana di Pregassona. Una pubblicazione della quale avevamo anticipato l’imminente stampa all’interno del lungo reportage fotografico dedicato proprio al complesso conventuale e pubblicato sulle nostre pagine nel mese di ottobre (n. 41). Sottotitolato “Una storia secolare di spiritualità e di accoglienza”, nella sue 176 pagine il libro intende essere per volontà degli stessi autori – Fra’ Roberto in primis, coadiuvato da Fra’ Riccardo Quadri e Aldo Morosoli – la raccolta “definitiva” di quanto il Convento ha saputo raccontare sino ad oggi, attraverso le prime testimonianze (che risalgono addirittura al primo secolo dell’anno Mille), la fondazione (1535), la sua crescente fortuna (sancita con la consacrazione da parte di san Carlo Borromeo nel 1577 e la presenza dal 1797 di una coinvolgente Via Crucis), i forti legami con la popolazione locale e i cambiamenti architettonici intervenuti nei secoli, vera ricchezza di un bene artistico protetto dalle autorità cantonali per la presenza di opere d’arte (mobili e immobili) di notevole valore. La pubblicazione gioca sull’equilibrio tra i vari contributi scritti, immagini d’archivio e fotografie dell’odierno complesso catturate da Ely Riva. In particolare la parte scritta – giustamente debitrice delle pubblicazioni già edite in passato (su tutte il volume dell’indimenticato padre Giovanni Pozzi pubblicato nel 1977) – trae linfa dalla storia religiosa e civile del Bigorio, con inevitabili accenni all’intero palinsesto storico cantonale. Corsi e ricorsi di una “vita” segnata anche da disastrosi e dolorosi eventi (come l’incendio avvenuto nei primi mesi del 1987 che risparmiò la preziosa biblioteca) e che mostrano l’assoluta vitalità spirituale e culturale del Convento, conosciuto oggi internazionalmente come centro per la ricerca dei valori fondamentali della vita.

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Abbiamo letto per voi

AA.VV. Santa Maria del Bigorio Fontana Edizioni, 2008

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Racconto

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La parete testo e fotografie di Erminio Ferrari

Non ci voleva tanto a capire che era un morto. Uno zaino a testa in giù – d’accordo, ancora lontano sul ghiacciaio, troppo distante per poterlo distinguere – uno zaino messo in quel modo che cosa poteva essere se non un morto? Poi c’erano quella luce esitante; e la parete Nord del Fletschhorn ad aspettarci. Un desiderio e una promessa. La morte, che talvolta è le due cose insieme, quella morte non era prevista. La Nord del Fletschhorn l’ho amata prima con gli occhi, come avviene con tante cose, donne comprese (se non che non sono cose, e il più delle volte limitandomi a guadare). Con gli occhi e con quello stupore ben noto e un po’ incantato che viene da lontano, da chissà dove. Poi arrivano il modo e i tempi per farlo, le cose dette e sentite; ma questo dopo. Prima c’è quello starle davanti, alla Nord, o anche sotto: se si guarda in su dal Simplon Dorf, la si vede altissima sopra un balcone di seracchi. E non dirò qui della sua miseria, e della nostra, ora che le estati riducono il suo lenzuolo un tempo immacolato a uno straccio lurido. Non lo dirò, per rispetto e per tristezza. Devo però riconoscere che mi sono deciso a scrivere di queste cose perché lo ha già fatto un mio amico, Alberto Paleari, in un suo romanzo, Ci sfiorava il soffio della valanga. Il fatto che noi due fossimo lì dopo tanto parlarne ad aspettare questo benedetto Fletschhorn, e che la nord ci venisse incontro in quel modo: dovevamo parlarne. Adesso che anche lui ne ha scritto posso. Nel senso che una cosa è leggere di un luogo, di una vicenda o di un volto, e poi trovarli a un certo punto della propria vita; altro è imbattersi in una pagina quando il suo racconto è già noto alla nostra esperienza. Un esempio. Molti anni fa avevo letto Cani neri, di Ian McEwan, e dopo aver chiuso il libro su quel vaticinio di Europa riunita e crudele, ero andato nella Causse per conoscere i luoghi del romanzo. Ecco, i primi esseri animati a farsi incontro appena sceso dalla macchina a Saint Maurice per chiedere da dormire in una locanda erano stati due enormi cani neri. Con il romanzo dell’Alberto mi era successa la stessa cosa, ma questa volta ero io un cane nero a venirmi incontro dalle sue pagine. Ed era notte. Nel buio si cammina come in una sospensione del tempo, che è forse la cosa più preziosa di un avvicinamento. È il lavorio che precede l’opera, incerto e per questo ricco di tutte le possibilità, fallimento compreso. Si tace e il silenzio amplifica ogni suono; le distanze si annullano, perché la percezione della distanza è un fatto di relazione tra punti diversi nel tempo – diciamo così –, e nella cecità provvisoria del cammino notturno è ben difficile che l’orizzonte si estenda oltre il raggio tremolante di una lampada frontale. Poi c’è magari una luna piena grande così e ci si vede che è una bellezza, e quello che ho appena scritto è da cancellare… Però mi ricordo di una salita nella notte, col fiato rotto sui prati verticali e poi per il costone che eleva al castello del Pizzo d’Andolla. Zitti come se avessimo litigato, io e il Giuseppe. Per fortuna non si vedeva proprio niente: ci sarebbero


altrimenti mancati il coraggio e le gambe. Ce lo siamo confessati soltanto dopo, in cima, con lì due inglesi che tanto non capivano. Al Fletschhorn camminavamo come si cammina con l’Alberto: i pensieri assiepati dietro una cortina di rare espressioni, serbate piuttosto per il dopo. E comunque lesti. Lui dice di no, ma dovreste avere presente la lunghezza delle sue gambe. D’altra parte non so se esiste una precisa distinzione tra avvicinamento e salita. Il tumulto di pensieri, sonni interrotti, desiderio, paura, che mi tiene sulla corda nelle ore e nei giorni che precedono l’appuntamento, ma fa dire di no: si parte ed è già salita. Per noi avventizi, perlomeno. In più mi scopro ogni volta portatore di un leggero handicap che mi fa inevitabilmente inciampare nelle storie che mi hanno preceduto: nomi volti parole letture, talvolta la Storia. Mi ci perdo, nelle storie, e il Sempione ne è pieno, a partire dall’osteria di mio nonno che aveva nel nome quel passo lontano, e ogni volta che lo valico mi torna in mente. E sui pascoli che salgono fino alle morene del Fletschhorn, l’erba mi sembra del verde morbido e ruminato di cui scriveva Faulkner. Mi ci perdo, appunto.

E allora può essere che quello che potremmo chiamare avvicinamento è un più o meno lento sgravarsi di sé, di quella vasta e mutevole congerie di retaggi e possibilità che ci danno forma. Così da arrivare all’attacco, salutati i cari fantasmi che abbiamo incrociato, leggeri e persino un po’ buddhisti. Altri infiammati da un sacro furore, perché nulla c’è di uguale nelle cose terrene. Altri ancora a perdifiato, perché l’avvicinamento è penitenza, fitness con indosso il cilicio. Poi viene la salita, la vera liberazione. Ma se penso a quella montagna, allora è dello sguardo che per primo mi portò a lei, che serbo ricordo. L’inganno cangiante delle sue luci. La mesta consolazione che dà un senso di bellezza a cui finiamo per credere, o cedere. Poiché per quelli della mia età c’è pur sempre da ricordare Guccini che faceva il verso a Gozzano e cantava dell’isola che appare e scompare, e prova a raggiungerla se sei capace. Gli alpinisti hanno dimostrato di esserlo, ma a me sembra sempre di essere sulla tolda a scrutare e immaginarmela, tinta d’azzurro, colore della lontananza. Uno così, chi se lo tira dietro in montagna? Insomma, si andava silenziosi per quelle morene sopra i pascoli del Sempione, ché il Fletschhorn è più di ogni altra la

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Racconto

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montagna del Sempione. I viennesi che la videro dal passo se ne invaghirono e via tracciarono la loro via sulla Nord. L’Alberto ci tornò, per primo, d’inverno; ma quando poi la risalì con me fece come se fosse la prima volta, e l’intenzione era buona e sincera. Dunque siamo arrivati al colletto 3012. L’hanno sempre chiamato così, perché quella è la sua quota Adesso si direbbe: al bivacco, ma allora non c’era ancora. C’era, lontano sul ghiacciaio, quello zaino rosso alla cui memoria è poi stato posato e intitolato il bivacco. Così il nostro passo guardava verso quella bellezza di parete, e i nostri occhi ci portavano a quell’interrogativo imprevisto. La mia guida davanti e mi de dré. Oltretutto, io, di mio, non ho ‘sto gran coraggio. E prima di qualsiasi interrogativo morale mi ha preso una certa fifa. Non si passa impunemente accanto a uno zaino con attaccata una persona che ci ricorda che cosa ci aspetta. E la pietà per i morti? E le morti di cui è lastricata la via dei nostri paradisi provvisori? Bei tipi che siamo. Guido Rey, quando finiva l’Ottocento, fece la sua onorata salita alla parete Est del Monte Rosa, che allora era una bella impresa, e quando si affacciò dalla Capanna Margherita appena inaugurata, vide due punti neri immobili sul ghiaccio del Colle Gnifetti. Figuriamoci se non l’aveva capito che erano morti. Cercò qualche bella parola per scriverne in seguito, e li piantò lì. Lungo la via normale di salita all’Everest, i cadaveri li scavalcano. Noi non avevamo neppure la scusa dell’Everest. “Santa Madonna degli alpinisti, perché si muore?” “Perché bisogna”, rispose lei. Solo che non ci sembra quasi mai l’ora; né la montagna il posto.

Fa freddo. È tempo di fondue.


D’altra parte, so di uno che si è posto il problema meno superficialmente di quanto possa fare io: mi sembra Kierkegaard, ma non ne sono certo. Dunque, questo K. ricordava la resurrezione di Lazzaro a opera di Cristo. Un bel numero, niente da dire. Ma perché, si chiedeva K., perché riportarlo in vita per poi abbandonarlo a una successiva morte non meno certa? Posso immaginare che Cristo non lo fece come numero da illusionista – non ne aveva bisogno, siamo noi a nutrirci di illusioni – ma mosso dalla pena per la sorella di Lazzaro. Perché la pietà non ha fini, è questa la morale: si può alleviare un dolore ed è già molto, forse tutto ciò che ci sia consentito fare, senza essere per forza signori del cielo e della terra. Tutte cose che ho pensato dopo, naturalmente, e che scrivo solo adesso. Quel mattino si trattava soltanto di andare avanti o tornare indietro. Io c’ero già, indietro. Ma l’Alberto non sbagliava dicendo che non appena si fosse fatto giorno sarebbero arrivati a cercarlo. E infatti eravamo ormai in piena parete – piccozze e ramponi che si alternavano nel passo estatico della salita – quando abbiamo sentito e poi visto l’elicottero del soccorso sorvolare il ghiacciaio alla ricerca di quel poveretto. E sentivamo avvicinarsi la cima, annunciata da quel refolo freddo che scavalca la cresta e scende a portare brividi e sollievo, quando ci siamo resi conto che stavano cercando troppo in basso, nella zona dei crepacci, e che nel frattempo l’evaporazione diurna glielo aveva nascosto dietro uno schermo di vapori. Così siamo poi stati noi, dopo esserci fatti la nostra bella Nord, a dare l’allarme, giù al Dorf, indicando con precisione il luogo in cui avrebbero trovato lo zaino. Pensa che ci hanno anche ringraziati

Racconto

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» testimonianza raccolta da Kurt Sghei; fotografia di Adriano Heitmann

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un uomo alla berlina, spogliandolo di tutto. Per quanti milioni di franchi ci siano in ballo, per quanti documenti, prove, per quante amicizie, io possa avere avuto, per quanto io sia rispettato come persona pubblica e nella professione, la mia è una storia che pochi, di quelli che avrebbero potuto farci qualcosa, volevano anche solo sentire. Perché non si trattava solo di credere, o no, a quello che dico e dicevo io, non è solo questo: il fatto è, che una banca, una delle banche più potenti in questa nazione di banchieri, non andava toccata, punto, non andava messa in discussione. Era la mia parola La lotta fra un uomo e una grande ban- contro quella di uno stuolo di avvocati, portaborse, big boss, ca, senza esclusione di colpi. Al di là di la mia parola contro un sisteogni possibile norma di rispetto dei di- ma molto più complesso che ritti individuali. Una storia da brivido, si autogarantiva l’impunità… mi chiede dove abbia trovato che ha segnato una vita la forza in questi anni? La quell’uomo, non c’è mai staforza per tirate avanti? Be’, le dirò, in chiesa, to. Quando sono andato a davanti a nostro Signore. Egli mi ricorda cercare l’aereo sui piani di chi sono, io sono un orologiaio, prima di arrivo e partenza, nessun aetutto, prima che tutto mi fosse portato via, reo all’ora in cui l’ho visto e questo è consolatorio, gliel’assicuro… atterrare, non è mai atterrato. però, se questa notte, caro amico, dovessi Figurarsi ripartire. Io mi fido morire, sento che non mi dispiacerebbe più di questi miei occhi, non sodi tanto, sento che qualcosa in me si è rotto, no cieco come Santa Lucia, a qualcosa fra me e il resto degli uomini: vede, me tanto cara, o come la Forho già un posto al cimitero che mi aspetta tuna e ne’, tantomeno, come e le assicuro che quel posto, quel riposo, la Giustizia. Queste cose, forse non mi spaventa, perché la mia coscienza tragicomiche all’apparenza, è a posto. Certo, ho una famiglia… se non gliel’assicuro, sono sconvolci fossero stati loro, le mie tre figlie, mia genti per un uomo in cerca di moglie, i miei poveri morti, allora, lo amgiustizia. Qualcosa ben oltre il metto, probabilmente avrei scelto un’altra concetto di legge uguale per via, mi sarei lasciato andare in oscure derive. tutti. Che cosa mi è successo? D’altra parte, ben presto, anche in famiglia Be’ è una storia lunga… guari problemi si sono fatti più spiccioli, per di questo libro Con licenza carità, si trattava di arrivare a fine mese... di rubare?, sono 545 pagine, non avevamo più nulla, se non i debiti di faccia lei… sappia che sono quella falsata battaglia legale. Dovevo resistato in carcere, che mi è stato stere, e ho resistito, ed eccomi qui, ancora io, sottratto un giro d’affari da l’orologiaio Croci Torti, organista alla chiesa oltre 30 milioni di franchi, parrocchiale di Mendrisio. Prima di quel avevo tre cassette di sicu21 novembre ’72, ero uno che ci credeva rezza, in altrettante banche, negli uomini, nella loro giustizia; credevo bene, me le hanno svaligiate nel buonsenso, credevo che la verità non e svuotate, e non la polizia… fosse oggetto opinabile più di tanto. Ero in me ne sono capitate mille, politica, sono stato presidente di partito, qui come a Giobbe, ma qui Dio a Stabio, ero un personaggio noto… pensi, non c’entra, qui c’entra solo negli anni sessanta, per quarantamila lire, l’ingordigia di uomini senza ho portato qui un certo Fò con la moglie scrupoli che per speculazione, Franca, sono venuti a bordo di un calessino, per fini di carriera, non si soricordo di avere pensato, quarantamila lire, no fatti problema nel mettere mica poche, però…

Luigi Croci Torti

Vitae

el 1976 il grande capo, il direttore della banca, accetta di incontrarmi. Vediamoci qui, alle 17… cerchiamo di essere discreti però. Senta, facciamo giù, al meno due, sì… sottoterra, al parcheggio. Sia puntuale, mi raccomando… Figurarsi, sono un orologiaio, arrivo là con un quarto d’ora d’anticipo, aspetto in macchina. Arriva un’automobile, con i lampeggianti accesi, dentro ci sono due uomini, si fermano davanti alla mia auto e scendono: sono poliziotti, mitra a tracolla, mi squadrano truci e fanno cenno di abbassare il finestrino, Lei cosa ci fa qui? Proprio in quel mentre si apre la porta dell’ascensore ed eccolo, il grande capo, un tempismo perfetto. Cammina spedito, si rivolge ai due agenti in dialetto, Che ci fate voialtri qua? Non aspetta la risposta e li liquida con una finezza d’altri tempi: fö di ball. I due, senza fiatare, rimontano in auto e scompaiono. Io, immediatamente dopo quel colloquio, sono andato dal pubblico ministero, volevo sapere chi avesse chiamato la polizia a intervenire: nessuno ha chiamato, nessun agente è stato là, dicono. Ora lei capirà, cosa intendevo prima, quando le dicevo che ho perso ogni fiducia nei confronti della Giustizia: dal poliziotto… al giudice. Certo, lo so, è cosa grave quella che dico, ma l’ho vissuta qui, sulla mia pelle, quest’amara sistematica disillusione, sono trentasei anni ormai, è una vita, se questa è vita. Un altro esempio? Questo è pazzesco, scompare un aereo. Ricevo da un amico, comproprietario di quell’aereo, la segnalazione che da Zurigo, quella mattina, scende il direttore generale della banca per conferire con il pm che si occupa del mio caso. Bene, io quella mattina sono ad Agno, l’aereo atterra. Ad aspettare c’è una macchina, entro le 10 del mattino il dg è a Lugano, al Palazzo di Giustizia. Ufficialmente, però, a Palazzo di Giustizia,

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Veduta dall'interno ed esterno della Casa Verdi; nelle pagine seguenti: all’interno della cripta del Maestro nel giardino di Casa Verdi

CASA VERDI

Giuseppe Verdi pensò ai suoi colleghi meno fortunati e alla possibilità che la vecchiaia fosse anche conforto e armonia, proprio come la musica. Una semplicità d’intenti che abbiamo ritrovato nei racconti e negli sguardi di chi, oggi, a Casa Verdi ci vive. testo di Valentina Gerig fotografie di Adriano Heitmann




Reportage

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sopra: l’entrata principale con esposte le biografie degli ospiti musicisti; sotto: sulla destra, Stefania Sina, 79 anni, cantante lirica, a Casa Verdi insegna disegno. Qui è nel laboratorio di pittura con Agostina Aliprandi, 87 anni, violinista

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iazza Buonarroti, Milano. Proprio al centro si erge alto, su un piedistallo, le mani giunte dietro di sé, il monumento di Giuseppe Verdi. È imponente, ma sobrio, quasi familiare. Ieri, tornando a casa sotto un acquazzone, ho pensato alle parole che l’artista Alberto Savinio scrisse nel 1944: “Quando l’acqua, come oggi, viene giù a catinelle, è una pena vedere il nostro padre melodico esposto al diluvio a testa nuda e senza paltò. Si vorrebbe scavalcare la ringhierina di ferro battuto, aiutare il buon Maestro a scendere dallo zoccolo, dargli una mano per fargli attraversare la strada, accompagnarlo sotto l’ombrello dentro la casa di riposo”. Alla destra del monumento, infatti, c’è Casa Verdi, la casa di riposo per

musicisti ideata e fortemente voluta dal grande Maestro. Un edificio in stile neogotico commissionato all’architetto Camillo Boito, fratello del noto letterato e musicista Arrigo. Giuseppe Verdi, nella sobrietà che lo contraddistinse, volle che fosse inaugurato solo dopo la sua morte per evitare l’imbarazzo dei ringraziamenti per sé e il dovere di riconoscenza per gli altri.

Il 10 ottobre 1902 Casa Verdi apre le porte ai primi ospiti. Si badi, ospiti e non ricoverati, casa e non ricovero. Anche le parole con cui si sarebbe chiamata la sua “opera più bella”, così la definì Verdi, dovevano evocare armonia e serenità. Come se le persone fossero dei piccoli spartiti di una grande sinfonia. Ed è davvero l’atmosfera che si respira all’interno. Negli occhi degli ospiti anziani scorgo serenità, a tratti forse noia, qualche insofferenza e malinconia, ma raccontate con freschezza e tranquillità. Tra i corridoi si respira arte, scendendo le scale sentiamo la melodia di un pianoforte e dai vetri smerigliati scorgiamo la figura di una esile ragazza bionda concentrata nella composizione che sta eseguendo. C’è la Sala dei concerti, la stanza di Verdi col-


Reportage

sopra: il maestro Veccia, 75 anni, suona ogni giorno il suo violoncello; sotto: il maestro Paolo Varetti, flautista, 87 anni. Sullo sfondo, alcuni dei suoi quadri

lezionista, che raccoglie i suoi oggetti, interamente donati alla Fondazione e nel giardino la cripta dove riposano il Maestro e la sua seconda moglie Giuseppina Strepponi. Dal 1998 agli ospiti anziani, attualmente poco più di 50, si sono aggiunti una quindicina di ragazzi che sono a Milano per imparare l'arte della musica. Un’idea che, come ci spiegano la direttrice, la dott.ssa Danila Ferretti e il suo assistente Sergio Cozzi “è nata con l’intento di creare un’integrazione generazionale”. I ragazzi svolgono la loro vita, ma mangiano insieme ai colleghi più anziani. I veri amici, in realtà, a detta dei molti racconti che ho ascoltato, sono le persone responsabili della struttura. Per loro solo parole di riconoscenza e affetto. Il sign. Varetti, uno degli ospiti, sintetizza

perfettamente dicendoci: “Se avessero il latte di gallina me lo porterebbero”. La visita a Casa Verdi si rivela una carrellata di racconti e sguardi di chi, anche grazie alla musica, riesce a trascorrere la vecchiaia in un’atmosfera di armonia. Alcuni hanno proprio voglia di chiacchierare. La signora che ci fa fare il giro è più sbrigativa perché deve correre alla Scala. Si chiama Luisa Mandelli, sopra-

no, 86 anni e non li dimostra. Va di fretta ma si illumina quando arriviamo alla cappella, di cui si occupa personalmente. È orgogliosissima della tovaglietta nuova che ha messo sull’altare e di quella sotto il banco con i merletti. Vuole che la si fotografi a tutti i costi, l’ha trovata in un mercatino. Nessuno sembra dimostrare la propria età. Scordiamoci la figura dell’anziano ripiegato in se stesso, che non esce mai. Gli ospiti della Casa escono eccome, quando non hanno acciacchi, e lo possono fare quando vogliono. Nella struttura frequentano laboratori artistici, ricevono visite. A volte degli allievi vengono a prendere lezioni di musica. Ce lo conferma Agostina Aliprandi, 87 anni, violinista, una signora minuta con un sorriso dolce. Ha solo un cruccio:

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Reportage

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Maddalena Azzola, “la Signora del guardaroba”, si occupa degli abiti di Giuseppe Verdi gelosamente conservati nell’“archivio”

“Non trovo una giovane che si presti ad accompagnarmi al violino con il piano. Qui le ospiti anziane hanno tutti problemi alle mani”. Proseguiamo e incontriamo la vitalità e l’energia incarnate in Stefania Sina. Friulana, “prima di essere cantante lirica” mi dice, ha 79 anni e a Casa Verdi ha un gran da fare. Insegna disegno nel laboratorio di pittura ed è la redattrice responsabile de “La Voce”, il giornalino di Casa Verdi. È aggiornatissima: computer, file e compagnia bella per lei non sono entità sconosciute. Nella stanza dei Fiori, Titti, la volontaria, è una signora sorridente che ci accoglie con calore. Tra gli ospiti in sua compagnia mi colpisce una figura minuta in bianco, con i capelli accuratamente raccolti in uno chignon, seduta serenamente su una sedia a rotelle. Si

chiama Emma Martinotti e ci dice con orgoglio che ha 98 anni. Al piano di sopra incrociamo nel laboratorio di maglieria Rosy Mirabelli, 89 anni, cantante di musica sacra e Livia Luise, 88 anni, pianista. Sono molto diverse: Rosy si definisce un animale solitario (ora è vedova, ma è stata “felicemente divorziata”), si vede i suoi film in dvd (tutte le camere sono dotate di una tv a schermo piatto) con le cuffie “così non disturbo nessuno”. Ci tiene che visiti la sua camera perché la figlia le ha portato i garofani rosa. Livia è una signora dolce, ha le dita affusolate, è stata sposata 58 anni, mi parla della sua famiglia, del figlio e della nipotina Emma. Le si illumina lo sguardo quando le chiedo dove va in vacanza: “Vado in Abruzzo, nella mia Pescara”.

Il maestro Paolo Varetti, flautista, conclude la carrellata. Ha 87 anni, è vestito di tutto punto: papillon bordeaux, camicia, gilet, giacca celeste scuro con due spille: una con la chiave musicale, l’altra con un flauto traverso. La sua stanza è quasi un mini appartamento perché ci viveva con la moglie che ora gli manca molto. Numerosi dipinti, tutti suoi, sono appesi alle pareti. Il più bello raffigura degli alberi nella nebbia. Ci suona un pezzo col flauto e ci fa sorridere più volte. Casa Verdi ha molto da raccontare. E forse sono proprio i vissuti di ogni ospite ad avvicinarci ancora di più a Verdi, rispetto a una trafila di notizie e cenni biografici. Tutto sembra rimasto come voleva il Maestro ed è una sensazione di protezione che fa sentire bene


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IL MICROCOSMO DI CARLA

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» di Marisa Gorza; fotografia di Adriano Heitmann

Moda

Prima di incontrarla avevo un Musa della moda, giornalista, precorri- L’apertura di un co-ventucerto batticuore. Sapevo già che trice di stili e tendenze, Carla Sozzani re store nell’area di Tokio si tratta di una donna unica, nel 2002 e recentemente di rappresenta una delle figure di spicco del un tre piani di 1.400 metri di un personaggio non ascrivibile a nessuno stereotipo. Per mondo culturale milanese e internaziona- quadri in quel di Seoul, dequesto non mi ero preparata le. L’abbiamo incontrata negli spazi di 10 nominati entrambi 10 Coralcuna domanda di routine... Corso Como, il suo fashion store, per una so Como, la dice lunga... anche se ne rimuginavo cenbreve chiacchierata fuori dagli schemi Sono molto felice e appagata to, mentre camminavo verso per come le cose sono progredite 10 Corso Como. Ma Carla Sozzani è molto, molto di più di e non solo per un fatto di business, ma per aver raggiunto quanto detto sopra. Genuina, niente in lei sa di costruito, o di il mio scopo di comunicare. maniera, o di... moda: è sempre sé stessa. Entusiasta, in tutto ciò che dice e fa si avverte la fiamma della passione. Sicura- Uno dei suoi grandi amori rimane pur sempre la moda... mente è una delle figure di spicco del fashion world italiano e Quando è scoccata la scintilla? internazionale. Musa ispiratrice di fogge e tendenze e, spesso, L’innamoramento è stato subitaneo, da ragazzina. Intorno al ’68 si avvertiva nell’aria un clima di risveglio, un’atmosfera lungimirante precorritrice di gusti e di stili. Nel 1990, dopo un intenso trascorso come giornalista e diret- particolare che presupponeva dei cambiamenti sociali, riflessi trice di prestigiose riviste, tra cui le edizioni speciali di Vogue nel modo di vestire, di essere. Per me poi, che ero stata educata ed Elle, infiniti viaggi d’esplorazione e ricerca e soggiorni, sia dalle Suore Marcelline, significava dare un divertente involucro nell’emisfero orientale sia in quello occidentale, apre a Milano alla mia voglia di trasgressione. presso il n. 10 di Corso Como una galleria d’arte moderna e I begli abiti mi piacciono sempre, ma non mi importa che siano una libreria-centro culturale e di ascolto delle più esclusive tassativamente di moda, li indosso per sentirmi a mio agio e non per compilation musicali. La zona, con quel che di poetico of- mostrarmi. Mia nonna diceva sempre: “sicurezza metà bellezza”. fre, forse dettato dalla vicinanza di Brera e dagli echi della scapigliatura, e con i tratti avveniristici indotti dai grattacieli Con quel fisico sottile e il volto tonico e fresco (mi confida – di Stazione Garibaldi, è ben presto destinata a concentrare la complicità femminile? – che il tutto è frutto di una vita sana, movida meneghina, fatta di long drink, happy hour e abiti à vitamine a go-go e costanti sedute di Pilates) immagino che si la page. Così, già l’anno successivo, alla Galleria Carla Sozzani senta à l’aise nella tenuta che indossa. Cioè pull minimalista, si aggiunge un fashion & design store, un café restaurant e sala gonna ondeggiamte di Azzedine Alaia a scaglie tipo drago, porda thé immersi in un giardino. Recente capitolo del progetto tata con leggings e anfibi. Tutto nero. Illumina il viso (niente è il piccolo hotel chiamato 3Rooms. Tre suite su tre livelli e trucco) un collier d’argento, pezzo unico di Kris Ruhs. E sapendo sul percorso di accesso dalle scale e dai ballatoi, tipici della che nel fashion store, oltre ad Alaia ci sono firme quali Kawakubo, Milano d’antan, tanto per sottolineare il carattere originale e Yamamoto, Margiela, Ford... non posso che chiederle: la commistione di generi. Quali sono le peculiarità dei grandi nomi stranieri? Come è nata l’idea di un concept store, ai tempi inimma- Diciamo che il modo di vestire, dopo l’ondata rinnovativa e liberatoria ginabile e ora così imitato? dei Settanta, negli Ottanta si era fatto un po’ aggressivo. Quindi da L’idea era (e rimane) quella di un luogo dove la gente si trovasse allora mi sono avvicinata in particolare agli stilisti giapponesi, riconobene, come a casa propria. Avevo in mente di creare un propulsore scendomi nel loro genere moderato e molto creativo, nel contempo. di proposte, di modi di pensare, tenendo conto del fatto che a me piace caldeggiare solo ciò che mi prende davvero il cuore. E ora dove sta andando la moda? Sta marciando a grandi passi verso la “limited edition”, cioè verso il Ha incontrato difficoltà? capo quasi unico, desiderato, speciale e, naturalmente, anche costoso. Difficoltà? Quando ho aperto la Galleria in un cortile, senza vetrine Riservato perciò a chi ha mezzi economici. Viceversa si può optare per e senza sfarzi, sono stata considerata visionaria, ma ho proseguito le cose proposte con un certo gusto e tempismo – perchè negarlo? – dalper la mia strada. Quella di dare alle mie esperienze, effettuate nei la grande distribuzione vedi Zara, H&M e altri e magari mescolare un campi dell’editoria, della moda, della fotografia e dell’arte, una pezzo prestigioso con qualcosa di nuovo che ha un senso economico. evoluzione tradotta in un “giornale” vivo e completo. Per creare così il proprio stile personale e in fondo anche avveduto.


Tendenze

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Disegnare la vita Le Corbusier

Design

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Charlotte Perriand (nella foto; 1903–1999) è stata un architetto e designer francese. Collabora con Le Corbusier tra il 1927 e il 1937. Nel 1930 intraprese un lungo viaggio in Unione Sovietica che la mise in contatto con l’ambiente fertile di idee del costruttivismo russo. Nel 1940, mentre la Germania stava invadendo la Francia, Charlotte si imbarcò per il Giappone, dove

era stata invitata per tenere un seminario sul nuovo design. Dopo l’entrata in guerra del Giappone con gli Stati Uniti fu segregata. Ritornò in Francia nel 1946, con il nuovo marito e la figlia avuta in quegli anni. La vita professionale riprese con nuove collaborazioni. Ebbe contatti con il pittore Fernand Léger, con Jean Prouvé, con Lucio Costa e altri importanti architetti.

Progettata da Le Corbusier (pseudonimo di Charles-Edouard Jeanneret-Gris,1887–1965) con il cugino Pierre Jeanneret e la giovane Charlotte Perriand, la Chaise longue à réglage continu (LC4) fu presentata al Salone d’Automne des Artistes Décorateurs di Parigi nel 1929 come parte dell’Equipement interieur d’une habitation. Per la progettazione della “vera macchina per riposare” – così la definì lo stesso Le Corbusier – si sussurra che il grande architetto abbia pensato alla figura del cow-boy mentre fumava la pipa, seduto coi piedi in alto, appoggiati sul bordo del camino. Forse ispirandosi alla Morris Chair di Philip Webb, la LC4 venne utilizzata per la prima volta nella Villa Church a Villed’Avray (Francia, 1928–29). La produzione su larga scala fu affidata alla fabbrica Thonet e

successivamente dalla ditta zurighese Embru. Tra le più note poltrone dell’intera produzione mondiale, la Chaise longue è costituita da due elementi liberi fra loro: la base e la culla (o seduta, in canapa autoportante) entrambe con struttura in acciaio. Quest’ultima, che segue nella forma le curve del corpo umano, poggia quasi fluttuando sulla sua base e vi può scorrere senza la presenza di alcun meccanismo. Questo consente qualsiasi inclinazione, pur mantenendo la stabilità grazie dall’attrito dell’acciaio con la gomma che riveste i traversi della base della culla: la posizione viene dunque stabilizzata dal peso del corpo e dalla posizione prescelta di chi la usa. La culla ha un molleggio assicurato da cinghie elastiche e il poggiatesta e il poggiapiedi erano rivestiti in pelle.


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Coop non vende bevande alcoliche ai minori di 18 anni.

Offerte valide fino a sabato 13 dicembre 2008, fino ad esaurimento delle scorte. *In vendita nei grandi supermercati Coop.


Animalia

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Vi sono talune analogie che spiegano il millenario stupore dell’uomo, il più intelligente tra i mammiferi, davanti al pappagallo, il più intelligente tra gli uccelli. La sua zampa può, come la nostra mano, afferrare, stringere, carezzare, portare alla bocca il cibo. Se in più noi abbiamo i piedi, egli ha le ali e con esse vola. La seconda analogia sta nella lingua, che in entrambi è grossa, molle e carnosa. La terza e più sorprendente sta nella parola: il pappagallo è l’unico animale capace di ripetere sensatamente il discorso dell’uomo, sillaba per sillaba. Non vi riescono il gorilla e lo scimpanzé, che tanto ci somigliano, non vi riesce il cane, che tanto ci ama. Senza fatica il pappagallo impara ogni nostro idioma, ogni dialetto, ogni inflessione. All’uomo invece non è mai riuscito di ripetere il vario, colorito e potente linguaggio dei pappagalli. Strana bestia, con becco, artigli e ali aguzze da rapace che poi si nutre di frutta, fiori e pollini. Strana bestia, che incantò Alessandro e i suoi macedoni, Augusto e i suoi romani, Goffredo e i suoi crociati. Strana bestia, che prolifica in tutti i continenti, ma disdegna l’Europa, dove s’acconcia soltanto in prigionia. Gli zoologi hanno catalogato il pappagallo tra gli uccelli, pure si domandano se è proprio un uccello, così come si domandano se l’uomo è proprio un mammifero. Hanno entrambi la testa straordinariamente grossa, la mascella mobile e l’intelletto perspicace. Il pappagallo ha una vita sociale, una vita familiare, una vita coniugale. Se le nostre repubbliche si basano sul lavoro massacrante per tutti, le loro si basano sul lieto cicaleccio generale. Creature arboree, si radunano in grandi stormi colorati ai margini d’immense foreste e chiacchierano piacevolmente di quanto intorno accade. Il linguaggio ha condotto l’uomo alla metafisica e alla poesia, ma ha condotto i pappagalli alla saggezza. Infatti nei loro popoli non si conosce l’assassinio, né il furto, né la violenza, né le dittature, non si conoscono guerre e tutti si difendono

Il pappagallo un racconto inedito di Piero Scanziani

in comune dai pochi nemici. Ognuno s’accontenta del cibo e degli agi che la patria offre, né cerca altrove. La loro famiglia è unita soltanto dall’affetto, il loro matrimonio è impareggiabile. I maschi adolescenti s’innamorano d’una coetanea e, accettati, non la lasciano più. Si stringono l’uno all’altra, s’abbracciano, si baciano, in un commovente slancio dei cuori. Una volta all’anno, quando la femmina cova nel nido, il maschio non solo la nutre, ma sta tutto il giorno su d’un ramo vicino, a cantarle strofe che la distraggono dalla sua fatica. Fedeli all’unico amore della vita, non sopportano la separazione e se uno degli sposi perisce, l’altro non regge alla solitudine e presto muore. V’è da dubitare che gli uomini siano dei pappagalli mal riusciti. In prigionia il pappagallo traligna, forse a causa del contatto con gli uomini, forse a causa della libertà perduta. Tuttavia, se il pappagallo sopravvive, nel suo cuore rinasce l’affettuosità naturale e nella sua mente si riaffaccia la perspicacia. S’affeziona agli altri uccelli prigionieri, s’affeziona al cane, al gatto, perfino all’uomo. Presto riconosce tutti e li chiama per nome a uno a uno; presto dice “Buon giorno” quand’è giorno e “Buona sera” quand’è sera, stabilendo un esatto rapporto tra l’ora e il saluto. Quando vuole una cosa, non soltanto ripete la parola umana atta a indicarla, ma, per essere meglio compreso, gesticola con le ali e col corpo. Soddisfatto che sia, immancabilmente ringrazia. Finisce per innamorarsi della padrona se è maschio, del padrone se è femmina ed entrato così nel nostro consorzio, diventa collerico, intollerante, geloso, vendicativo, insomma umano. Da frugivoro che era, si trasforma in carnivoro e, simile alla scimmia fumatrice di sigarette, il pappagallo prigioniero finisce per ubriacarsi sconciamente. Anche così degenerato, resta una sentinella vigilante e avverte dell’avvicinarsi dell’estraneo, che tiene in sospetto e solo dopo averlo a lungo osservato, si decide a sopportarlo ed eventualmente accettarne l’amicizia. Divenuto amico, lo resta per sempre.

» illustrazione di Valérie Losa

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LA DOLCE FORZA.


Il Sole transita nel segno dello Sagittario dal 23 novembre al 22 dicembre Elemento: Fuoco - mobile Pianeta governante: Giove e Nettuno Relazioni con il corpo: fegato, arti inferiori Metallo: stagno Parole chiave: generosità, espansione, curiosità

» a cura di Elisabetta

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Mentre Marte conferma la sua azione rinvigorente per i nativi della seconda decade, Mercurio e Plutone sono ormai entrati in quadratura per i nativi di marzo. Attenti alla forza distruttiva delle vostre parole. Evitate di farvi ossessionare da un’idea.

Tra l’11 e il 12 dicembre, grazie a una magica Luna nel segno dei Gemelli e a Venere in Acquario, potrete fare un importante incontro sentimentale. Incremento della vita sociale e delle atmosfere mondane. Attenzione agli slanci e alle gelosie improvvise.

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Grazie alla congiunzione tra Mercurio e Plutone i nati nella prima decade potranno contare su di una incredibile forza di persuasione. Tutto quello che direte, verrà percepito dal vostro interlocutore, per “vero”. Momento positivo per le attività di ricerca.

L’ingresso di Venere nel segno dell’Acquario favorisce il sorgere di atteggiamenti trasgressivi nel vostro attuale stile di vita. Vi renderete però conto che qualcosa è davvero cambiato all’interno della vostra attuale relazione.

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I nati nella seconda decade devono stare attenti a non sviluppare all’interno del loro rapporto di coppia le tensioni favorite dal passaggio di Marte. Avvaletevi dell’ingresso di Venere in Acquario per rasserenare l’atmosfera con un viaggio.

Mentre Marte e Urano tendono a stimolare la vostra permanente ribellione verso qualsiasi forma di autorità, Venere fa il suo fortunato ingresso nel segno dell’Acquario. Grazie a questo transito la vostra vita sentimentale si tingerà di rosa.

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Mercurio, Plutone e Giove si trovano in opposizione. Questo aspetto tende a favorire l’azione persuasiva e di convincimento del vostro partner. State dunque attenti a non farvi sopraffare evitando di difendere le cause in cui non credete realmente.

Mercurio e Plutone in congiunzione. Sfruttate la forza di questo unico passaggio per approfondire una situazione e risolverla. State attenti a non assumere atteggiamenti di superiorità nei confronti del prossimo. Soluzione di un mistero.

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Momento vivace per la vostra vita affettiva. Mentre da un lato l’azione di Marte tende a rinvigorirvi, dall’altro, Venere in opposizione, stimola le vostre energie creative, lasciandole libere da ogni forma di autodisciplina. Flirts per i nati di luglio.

Fase positiva per la vostra vita affettiva favorita dal transito di Marte in Sagittario e dall’ingresso di Venere nel vostro segno. Grazie a questa configurazione astrale potrete ottenere un rapido recupero della vostra forma fisica, acquistando fascino.

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Grazie ai transiti di Mercurio e Plutone sarete in sintonia con gli aspetti più profondi della vostra intelligenza e del vostro “Io”. Vi sentirete pronti a scoprire quanto si nasconde dietro ogni manifestazione superficiale. Attenzione: calo energetico per i nati della seconda decade.

Cautela per i nati nella seconda decade indeboliti dal transito di Marte in Sagittario. Evitate di disperdervi in mille azioni e cercate di canalizzarvi su di un unico obiettivo: l’emancipazione della vostra vera essenza. Rompete con un passato che non vi è mai appartenuto!

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Marcata vitalità, energia fisica, visione ottimistica della realtà, fiducia negli altri, onestà intellettuale… sono certamente questi i tratti più positivi dei nati nel segno del Sagittario. Tali caratteristiche derivano soprattutto dall’influsso di Giove, il pianeta che governa il segno, materializzazione del supremo Zeus, il padre degli dei e unica divinità della mitologia greca il cui nome presenta una chiara e accertata origine indoeuropea (dal sanscrito Dyaus Pita). Ritenuto principio di vita e fonte assoluta di equità, quasi mai Giove si mostra crudele o aggressivo e quando punisce, come nel caso di Salmoneo o di Tantalo, egli esercita soltanto la sua prerogativa di giudice supremo e di persecutore dell’ingiustizia e della prevaricazione. Simbolo astrale benigno, dunque, capace di esprimere il senso di un profondo equilibrio interiore. Aspetti che spesso, quando gli ascendenti non li deviano troppo dalla loro strada, contrassegnano i nati in Sagittario, fiduciosi, assennati, attratti dalla giustizia e incapaci di strategie negative. Li ritroviamo infatti nelle attività a carattere umanitario e intellettuale ma possono essere anche grandi viaggiatori e artisti. Il lato negativo è rappresentato dalla tendenza all’idealizzazione e all’eccessiva astrazione mentale e filosofica che li induce talvolta a atteggiamenti ingenui e a una scarsa capacità di reazione di fronte agli eventi. Grandi conversatori – al pari dei Gemelli – amano la compagnia spesso abbinata ai piaceri della tavola.

“… corrien centauri, armati di saette”

Sagittario


L a bruttezza è violenza in-

flitta all’anima. Ecco il nucleo del pamphlet di Luigi Zoja, analista junghiano e autore di testi importanti come Il gesto di Ettore (Boringhieri, 2000). La bruttezza vìola non soltanto le leggi dell’estetica, denuncia Zoja, ma anche quelle dell’etica e del bisogno di giustizia che ne è al cuore. Gli uomini infatti sentono il bisogno di giustizia come intuitivo e spontaneo anche senza esservi stati educati (si pensi ai bambini che ne hanno un senso vivissimo). La ricerca di giustizia inoltre fa parte di una più generale ricerca del bene che nelle sue forme più antiche comprende anche la bellezza, secondo l’ideale della kalo-

Abbiamo letto per voi kagathía greca. Far scempio della bellezza è massima ingiustizia: ma è quel che accade oggi, allorché i “valori” dell’economia – risparmio, efficienza e funzionalità – hanno finito per stritolare quelli della bellezza e della giustizia. Nel mondo del profitto l’etica è promossa dal principio utilitaristico del miglior funzionamento secondo regole efficienti e non importa se questo va a scapito di giustizia e bellezza. Questo si constata nel fatto che oggi molti non sono nemmeno in grado di distinguere tra il concetto di bene (o sintesi di giustizia e bellezza) e quello di benessere (o godimento di beni di consumo). Tra questi ultimi, come negli

edifici pubblici e privati, regna in gran parte l’orrore dello scempio dell’ingiustizia e della bruttezza che si compiono indissolubilmente associati. La violenza viene facilmente anestetizzata, si potrebbe dire, perché ci siamo disancorati dalla bellezza. L’ingiustizia moderna suscita ripugnanza e paura sia esteticamente sia moralmente, e il terrorismo è orrorismo – come ha intuito Adriana Cavarero nel suo Orrorismo (Feltrinelli, 2007) –, la reazione irriflessa dei peli che si drizzano sulla pelle (dal latino horreo) di fronte a chi assiste all’affronto dell’ingiustizia promosso anche dall’assenza di conversazione con la bellezza.

Luigi Zoja Giustizia e Bellezza Bollati Boringhieri, 2007

» di Francesca Rigotti

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Âť illustrazione di Adriano Crivelli


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In quale numero di Ticinosette è apparsa l’immagine di cui forniamo qui il particolare? Al vincitore andrà in premio Da Quaresime lontane di Giovanni Orelli, Edizioni Casagrande, 2006.

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Schema realizzato dalla Società Editrice Corriere del Ticino

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Giochi

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Le soluzioni verranno pubblicate sul numero 52.

1. Noto batteriologo scozzese • 2. L’iniziatore della riforma Protestante • 3. Le funi di Tarzan • 4. Breve esempio • 5. Genere pittorico • 6. Una macchina del contadino • 7. Dittongo in poeta • 8. Sbarbate • 9. Raganella arborea • 14. Salvò la fauna • 17. Sbandierato, esibito con sfarzo • 18. Sfortuna • 21. Periodo preistorico • 24. Paladino • 26. L’autore dei “Versi ribelli” • 28. Diminutivo di Beatrice • 30. Concise, di poche parole • 34. Danza folcloristica • 35. Lo scheletro della nave • 37. È ottima anche quella salmonata • 39. Pura • 41. Armoniosi, dolci • 43. Il pronome che mi riguarda • 47. Prep. semplice • 51. Dittongo in paese.

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1. Istruttori sportivi • 10. La Miller verdiana • 11. Squadra Madrilena • 12. La somma degli anni • 13. Pari in piante • 15. Società Anonima • 16. Odio fanatico per tutto ciò che è straniero • 19. Il dio greco della guerra • 20. Stolto • 22. Negazione • 23. La bevanda che si filtra • 25. Osso del bacino • 26. Non si limita a un episodio • 27. Legno pregiato • 29. Si affianca spesso al quale • 31. Lo sono le vie... giuste • 32. Associazione Nazionale • 33. Lo è Turchina • 34. Innocui rettili • 36. A volte è la miglior difesa! • 38. Le iniz. di Cerusico • 40. Fu assediata durante la guerra dei Cent’anni • 42. In nessun tempo • 44. Gola centrale • 45. Lo paga il reo • 46. Ama Tristano • 48. Starnazza • 49. Nuovo Testamento • 50. Parte di pagamento • 52. Ungheria e Città del Vaticano • 53. Competizione • 54. Decollano e atterrano.

Epigoni A quale romanzo appartiene il seguente finale? La soluzione nel n. 51 Al vincitore andrà in premio “Santa Maria del Bigorio” di Fra R. Quadri e P.G. Pozzi, fotografie di E. Riva, Fontana Edizioni, 2008. Fatevi aiutare dal particolare del volto dell’autore e inviate la soluzione entro giovedì 11 dicembre a ticino7@cdt.ch oppure su cartolina postale a Ticinosette, Via Industria, 6933 Muzzano. “Poi il cantò morì, svanì lungo la terra lunare legata al domani e al sudore, al sesso e alla morte e alla dannazione; e loro tornarono verso la città sotto la luna, sentendo la polvere nelle scarpe”.

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La soluzione a L’avevate visto? si trova sul numero 43. Il vincitore è: T.M., Bellinzona.

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8CONF042-210x295 4produits IT:Mise en page 1

28/11/08

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Prezzi

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Offerta valida fino al 21 dicembre 2008

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