Informare Gennaio 2017 | Roberto Saviano: «Speranza è laddove noi siamo coscienti di ciò...»

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INFORMARE è un periodico edito dal "Centro Studi Officina Volturno"

ANNO XV - NUMERO 165 - GENNAIO 2017

© Ph. Gabriele Arenare

MAGAZINE DI PROMOZIONE CULTURALE

ROBERTO

SAVIANO

«Speranza è laddove noi siamo coscienti di ciò che stiamo osservando e lo raccontiamo per trasformarlo» SPECIALE

Le mafie hanno colmato il vuoto della politica

CULTURA

CAM, la cultura e il cambiamento

SPORT

Un anno straordinario per Marek Hamsik

MUSICA

Fabio Serino, uno 'e miez 'a via



Redazionale di Fulvio Mele

Non siamo soliti autocelebrarci, ma a volte fermarsi e guardare indietro è importante per rendersi conto di quanta strada sia stata percorsa e apprezzare il cammino che si sta facendo. Dietro di noi ci sono 14 anni di storia, fatti di testimonianza di legalità, di impegno sociale, ambientale e anticamorra, anche quando raccontare la semplice verità in questi territori rappresentava un atto rivoluzionario. Abbiamo avuto anche qualche sconfitta, quando non siamo riusciti a fare luce su malapolitica e reati ambientali, ma non ci siamo arresi… anzi. Davanti non vediamo mete, ma tanti piccoli traguardi che vogliamo raggiungere. Viviamo di passioni, di sogni. Ci accorgiamo di quanto spesso risulti difficile credere che operiamo in una logica di puro volontariato, lontana dai partiti, senza fini di lucro. Perchè lo facciamo allora? Amiamo la nostra Terra, crediamo nel suo riscatto, perchè la viviamo, conosciamo l'immenso potenziale umano e culturale che offre e siamo convinti che solo valorizzandolo con una buona informazione il cambiamento è possibile. Siamo cresciuti molto in questi anni e oggi Informare - Officina Volturno consente ai propri giovani una formazione umana e professionale di altissimo livello. E non lo diciamo noi, bensì l'Ordine nazionale dei Giornalisti, nella persona di Ottavio Lucarelli, presidente dell’ODG della Campania, il quale ci ha definiti una realtà editoriale sana, illuminata e coraggiosa che ha ancora la forza di credere nell'informazione libera. Quest'anno ben dieci nostri giovani, tra cui il sottoscritto, sono diventati giornalisti pubblicisti. Tanti altri ragazzi hanno iniziato a scrivere con noi, con la volontà di ottenere dopo i due anni il medesimo riconoscimento dell'ordine dei giornalisti. Iniziamo così, con il nostro immancabile entusiasmo, questo 15° anno di storia, sempre con la voglia di migliorare e di innovarci, di parlare delle positività dei nostri territori, di raccontare storie e personaggi con il giusto spirito critico, approfondendo ogni tematica e spingere i nostri lettori alla riflessione. Insomma, abbiamo voglia di INFORMARE!

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LE MAFIE HANNO COLMATO IL VUOTO DELLA POLITICA di Vincenzo Musacchio | giurista e direttore scientifico della Scuola di Legalità “Don Peppe Diana” di Roma e del Molise

Dopo molti anni di esperienza, di studio e di ricerche sulla criminalità organizzata posso affermare, senza timore di smentite, che non esiste angolo d’Italia immune dalla penetrazione delle mafie. So che il mio giudizio può apparire temerario, ma, purtroppo, è così. Una fiumana di scandali di natura economica, politica e imprenditoriale, negli ultimi venti anni, ha connotazioni mafiose. La criminalità organizzata pervade il nostro sistema istituzionale a ogni livello, soprattutto locale. Il controllo di uno specifico territorio consente alle cosche non solo di favorire il proprio giro d’affari illegali, ma anche e soprattutto di condizionare il giro delle attività economiche legali, come il turismo, il commercio, l’impresa, la sanità, l’edilizia, gli appalti e le sovvenzioni pubbliche. Condizionare, direttamente o indirettamente, un’amministrazione locale è uno strumento importante per stabilire la supremazia su quel territorio che è funzionale a molte altre attività, legali e illegali, che accrescono il giro d’affari delle organizzazioni malavitose. I Comuni, le Provincie e le Regioni, d’altra parte, sono le istituzioni più radicate nel tessuto socio-economico. Sono profondamente convinto, inoltre, che l’intreccio fra mafia e politica sia cresciuto nel tempo di pari passo con l’avanzamento del processo d’emancipazione

degli enti locali dallo Stato centrale. La mafia ha compreso in anticipo le evoluzioni della società del terzo millennio e ha fatto il salto di qualità, abbandonando la tradizionale dipendenza rispetto ai pubblici poteri per passare a un ruolo politico attivo e predominante. Nell’ultimo ventennio, la politica non è più stata capace di riorganizzarsi, d’ordinare gli elementi di crisi strutturale, di proporre soluzioni concrete alle sfide poste da un mondo che cambia e questa sua incapacità ha creato un vuoto. Così, lo spazio di potere concesso è stato progressivamente occupato dall’unico organismo produttivo del nostro Paese: la criminalità organizzata. Le mafie in Italia hanno saputo sostituirsi allo Stato nei settori della sicurezza dei cittadini, nel campo dei servizi pubblici locali, nelle politiche del lavoro e persino nella disaffezione politica crescente. Dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, finita l’epoca delle stragi e delle guerre tra cosche, si pensava di aver ridimensionato i fenomeni mafiosi, invece, la criminalità organizzata ha intensificato i rapporti col mondo politico ed economico legale. Le mafie sono entrate con ruoli di primo piano nella finanza e, a vario titolo, in molti settori produttivi tramite l’imprenditoria privata (gestione dei rifiuti, sanità, commercio). Ciò ha consentito alla criminalità

d’espandere il proprio giro d’affari e di riciclare le immense quantità di denaro illecito mediante investimenti legali (turismo, ristorazione, attività produttive, commerciali e pubblici esercizi). Sul piano politico, il controllo del territorio è stato garantito non più dal “terrore”, bensì dalla corruzione, finanziando candidati a tutti i livelli del governo locale, creando e consolidando in tal modo quei rapporti organici con la politica necessari per mantenere la supremazia su un dato territorio (non più mafie al servizio della politica ma politica al servizio delle mafie). La domanda più ovvia, a questo punto, è perché non si è riusciti a contrastare efficacemente le mafie, prima che assumessero il controllo di un’ampia fetta delle nostre istituzioni pubbliche? Probabilmente perché non abbiamo mai voluto farlo: abbiamo preferito la convivenza allo scontro frontale. Se così è, dobbiamo rassegnarci a convivere col contropotere mafioso giacché lo Stato pare non voglia lo scontro frontale e finale. Falcone diceva che la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Per ora non sembra così, anzi, senza un’adeguata azione di contrasto (preventiva e repressiva), la criminalità organizzata molto presto diventerà l’amministratore unico della nostra Nazione.


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#UnPopolo InCammino

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Per la giustizia sociale contro le camorre di Fulvio Mele | Foto di Carmine Colurcio

Per il diritto allo studio, per il lavoro ai giovani, per la sicurezza sociale… e per dire basta ad ogni forma di violenza, alle camorre e ai loro intrecci con l’economia e la politica e per chiedere verità e giustizia per tutte le vittime innocenti di criminalità Questo l’intento della marcia, promossa dall’associazione #UnPopoloInCammino, che da Piazza Dante è arrivata fin sotto la Prefettura in Piazza Plebiscito, in una soleggiata mattinata di metà dicembre. Una grandissima affluenza di studenti, associazioni e organizzazioni sociali, per rafforzare il sano circuito della legalità facendo rete e unendo le proprie voci per reclamare insieme la giustizia sociale, un ideale tanto decantato dalla classe dirigente ma mai realmente portato avanti con convinzione. Anche noi come redazione di Informare e associazione Officina Volturno, abbiamo prontamente raccolto l’invito sostenendo un’iniziativa che ben si accorda con i valori e gli ideali per i quali l’associazione si batte da ormai 15 anni. Settanta omicidi in poco più di un anno, un dato che mostrano quanto la camorra continui ad opprimere i nostri territori. Bisogna marciare per il cambiamento, per la memoria di Luigi, Ciro, Maikol, Genny, al-

cuni dei nomi delle tante vittime innocenti di criminalità, affinché le loro vite non siano finite invano, ma siano linfa vitale per resistere e spingere la cittadinanza e la politica verso una presa di coscienza che trovi un riscontro pratico nella società. «Noi sacerdoti siamo decisi a camminare con questo nostro popolo “scartato” - dice padre Alex Zanotelli, missionario comboniano presente alla manifestazione e che oggi si batte in particolare per la Sanità, che aggiunge - è la nostra missione in questo Rione, in questa Napoli malamente, che ha tanta voglia di vivere». Presente anche il sindaco di Napoli Luigi De Magistris che si è detto entusiasta per la pre-

senza di così tanti giovani che invocano il riscatto della propria città, e Ivo Poggiani, consigliere alla Terza municipalità San Carlo all’Arena, il quale sottolinea quelle che dovrebbero essere le priorità: «Senza investimenti seri nelle politiche sociali che generazioni ci aspettiamo tra 10 anni?» Una Napoli, dunque, che non accetta più supinamente la violenza di questi assassini, che non vuole arrendersi e che chiede di costruire dal basso politiche sane per la città e per il Mezzogiorno intero. E lo fa scendendo in piazza con i giovani e le associazioni impegnate sui territori, e la Chiesa, insieme all’amministrazione comunale, dimostra di essere in prima linea.

Informare con il sindaco di Napoli Luigi De Magistris

INTIMIDAZIONI CRIMINALI

ALL’OFFICINA GELSOMINA VERDE DI SCAMPIA Ciro Corona: «Resistiamo» di Fulvio Mele | fulviomele20@gamil.com

Cinque proiettili. Cinque. Il capodanno a Scampia inizia per un presidio di legalità come l’Officina delle Culture Gelsomina Verde con un vero e proprio atto intimidatorio. Le motivazioni sono ancora da chiarire e Ciro Corona, Presidente dell’Associazione Resistenza, che opera all’interno della struttura con altre realtà associative del quartiere, prova a non sbilanciarsi sull’accaduto: «La mattina del primo gennaio abbiamo trovato nel cortile della struttura cinque proiettili, di cui alcuni esplosi e altri inesplosi. Dopo uno smarrimento iniziale, abbiamo riflettuto sul fatto che qualcuno li abbia portati qui di proposito, dato che è improbabile che siano stati sparati da abitazioni limitrofe, trovandoci ad una distanza considerevole da esse. Il motivo per cui questo è successo è an-

cora incerto. Al momento leghiamo l’accaduto al fatto che nell’ultime settimane è iniziata una trattativa col Comune per il prolungamento del comodato d’uso della struttura, in quanto una fondazione si è recentemente proposta di finanziare i lavori per la ristrutturazione di un’ala della scuola e della palestra». Probabilmente, qualcuno è rimasto molto infastidito dalla possibile proroga gratuita dell’affidamento della struttura e del conseguente persistere di un presidio di legalità e di economia sociale sul territorio. «Ai proiettili noi rispondiamo con la cultura dice Ciro - ed è stato così organizzato un evento il 6 gennaio: una tombolata tipica della nostra tradizione, dal nome “Se la paura fa 90 la dignità fa 180”, intesa come sottoscrizione per l'acquisto dell'impianto di videosorveglianza per la struttura. In questo luogo ormai operano in modo sinergico quattordici realtà associative e da qui non ce ne andremo a prescindere». L’ultima iniziativa di carattere culturale ed economico che ha messo a regime la rete di attività produttive dell’Officina Gelsomina Verde, favorendo l’inserimento lavorativo dei detenuti, è quella relativa alla vendita della Cassa del

Mezzogiorno e del Bottino del Sud. Un grande successo che Ciro commenta così: «Sono state vendute 220 Casse e 550 Bottini: un risultato che va oltre le aspettative iniziali, considerando che siamo partiti semplicemente per lanciare un messaggio socio-culturale. Pensavamo di vendere solo 20 bottini e 10 casse, per cui ci riteniamo pienamente soddisfatti».

Ciro Corona


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DAL MEDIOEVO AL NOVECENTO A Napoli 100 opere che raccontano l'arte italiana di Savio De Marco | saldem4@gmail.com C’era a Napoli una basilica, nel bel mezzo dei decumani, che custodiva un magnifico segreto. Al suo interno nascondeva una pietra che, secondo il popolo napoletano, poteva guarire gli ammalati e donare stupefacenti poteri a chi ne entrava in possesso. La “pietra santa”, cosi’ venne chiamata, era un tesoro nascosto all’interno della basilica di S. Maria Maggiore, la chiesa con il campanile più antico di Napoli, che nel tempo acquistò il nome del reperto che custodiva. La “pietra santa” sparì ma il nome e la leggenda hanno attraversato i secoli, rendendo la basilica meta di turisti e appassionati. Dopo un breve periodo di chiusura, dovuto alla restaurazione architettonica e alla costruzione di un percorso archeologico sotterraneo, oggi la basilica è riaperta e ospita una delle istallazioni artistiche più interessanti della nostra nazione. I “Tesori Nascosti” sono una raccolta di più di 100 opere originali che raccontano la storia dell’arte italiana dal medioevo al ‘900. I Tesori sono “Nascosti” perchè provengono tutti da collezioni private, per cui non sono esposti in alcuna galleria ed in nessun mu-

seo. L’esclusiva esposizione è stata curata dal prof. Vittorio Sgarbi, nome illustre della critica italiana, e vede al suo interno Camaino, Gemito e Caravaggio tra le firme più celebri. Come accade spesso negli ultimi anni, la tradizione incontra la più moderna innovazione: gli spettatori, tramite il download di un’apposita applicazione, potranno essere guidati nella mostra dalla voce dello stesso Vittorio Sgarbi, il quale ha messo a disposizione degli utenti tutte le sue spiegazioni e i suoi chiarimenti. Le visite a tema, spettacolarizzate e animate, invece, saranno offerte dall’associazione culturale ViviQuartiere Napoli, ente ventennale attivo nella valorizzazione del patrimonio artistico-culturale della nostra città, già presente nel complesso monumentale della pietrasanta per passate collaborazioni. Finita la mostra “Tesori Nascosti” la basilica della pietra santa non tornerà a spegnersi, già è pronto un progetto triennale di esposizioni che faranno il giro d’Italia e d’Europa, che si aggiungeranno alletante iniziative artistico/culturali che stanno portando alla ribalta la nostra meravigliosa città, facendola uscire dalla condizione di “tesoro nascosto”.

Memoria e cultura per tutelare Napoli e i suoi giovani di Martina Giugliano | martina.giugliano@libero.it Uno sguardo verso il futuro tenendo sempre ben saldo il ricordo alla memoria è quello che con impegno e dedizione cerca di fare dal 2009 la Fondazione Valenzi al fine di promuovere iniziative volte ad accrescere la consapevolezza del patrimonio culturale, artistico, storico e ambientale presente sul territorio. Un’istituzione nata affinchè la memoria di un uomo politico, Maurizio Valenzi, già sindaco di Napoli, diventi un esempio da perseguire nel tempo. La Fondazione Valenzi nasce non per esser un’organizzazione commemorativa ma dalla volontà di calare memoria e giusti valori all’interno della società odierna. A tal proposito abbiamo intervistato Lucia Valenzi, figlia di Maurizio e presidentessa della Fondazione. Quant’è importante valorizzare la cultura per creare una società che guardi al futuro in maniera sana e legale? «È un aspetto importantissimo al fine di garantire a tutti ma soprattutto ai giovani una società migliore. Per far sì che ciò accada bisogna porre in essere una strategia di sviluppo che veda, da una parte, la valorizzazione di ciò che di bello il nostro territorio ha da offrire e, dall’altra, un cambiamento socio economico generale e non piccoli cambiamenti che da soli non servono a migliorare la nostra bella città». Il mondo delle associazioni non è semplice. Ci sono state situazioni spiacevoli o personalità equivoche con cui siete entrati in contatto? «Trovare fondi per i progetti non è sempre semplice e in merito ad un progetto sorto nel 2011 ebbi purtroppo contatti con un’asso-

ciazione che si è poi rivelata poco limpida. Il presidente della Onlus “Un’ala di riserva” di Pozzuoli, Alfonso De Martino, e sua moglie Rosa Carnevale, vennero arrestati per truffa, peculato ed appropriazione indebita in relazione all’uso dei pocket money, ovvero ticket erogati dalla Regione e riconosciuti ai soli immigrati maggiorenni del valore di 2,5 euro cadauno, erogati in base ai giorni di presenza nelle strutture di accoglienza. L’immigrato ha l’obbligo di firmare la ricevuta di questi blocchetti e da quel momento in poi ne diventa l’unico responsabile. I ticket però venivano acquistati ad un prezzo inferiore dalle associazioni e ai migranti venivano concessi soldi contanti. Fortunatamente, indipendentemente dai fatti di cronaca che investì il De Martino successivamente al nostro incontro, subito capii che questi non era una persona credibile e per questo mi rifiutai di contrattare con lui; rifiuto che mi è costato anche una denuncia dallo stesso». Quali sono i progetti che la fondazione ha in serbo per il 2017? «Saranno aperte fino al 6 febbraio le iscrizioni al corso di formazione per docenti: “Didattica della Shoah: una pluralità di approcci”. Obiettivo della Fondazione è sicuramente promuovere iniziative contro ogni forma di emarginazione e di razzismo ed iniziative a tutela di minori e adulti svantaggiati a causa di particolari condizioni fisiche, psichiche e socio-economiche come, ad esempio, “Bell e buon”, progetto sorto già nel 2011, che consiste nell’attivazione di laboratori di espressività e didattico-educativi rivolta a minori che presentino problemi di integrazione, disadattamento scolastico e situazioni di svantaggio familiare e sociale, alle quali, da sola, la scuola non può far fronte».


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MOTORI E SOLIDARIETÀ Accendiamo la passione per il territorio di Annamaria La Penna | annamarialapenna@gmail.com

Sempre più frequente è la promozione dei territori attraverso passioni diverse, spesso con manifestazioni accorate ed entusiaste, rievocative, celebrative, partecipate. E se, nell'immaginario collettivo, promuovere un territorio equivale all’attivazione di tutte quelle strategie di identificazione territoriale che mette in luce gli aspetti positivi attraverso cultura, tradizioni, prodotti locali, paesaggio, architettura, storia, cucina e tanto altro, allora Castel Volturno lo ha fatto. Approfittando del raduno automobilistico di bellezze a due e quattro ruote, anteguerra o postmoderne, antiche, veterane, classiche, storiche o di interesse storico o collezionistico, organizzato dal CAMAS (Club Auto e Moto Antichi Sanniti) si è voluto dare risalto ad altre bellezze locali in un sano connubio tra territorio e storia locale, passione per i veicoli d’epoca, solidarietà sociale. L’occasione l’ha creata il raduno di Natale che dal Matese è giunto al Litorale, nella città di Castel Volturno, in un viaggio ideale che, a partire dal recupero del passato accompagni il turista ideale in luoghi bellissimi anche se bistrattati, tristemente noti solo per negatività

e non per le straordinarie bellezze che, invece, sono state oggetto di una mostra internazionale di fotografia, visitabile gratuitamente, per l'antica Domiziana attraversata, per il clima ed altre bellezze locali. Non è mancato, come spesso accade durante le festività natalizie, anche il

sostegno a progetti sociali di promozione del territorio (a cura della Proloco Volturnum Castri Maris) e di solidarietà sociale per il riscatto di fasce deboli impegnate su beni confiscati alla camorra (diffusione del Bottino prodotto dall’Associazione Gelsomina Verde di Scam-

Lo stand di Informare per la promozione del Bottino del Sud durante il raduno

pia). Lo scopo di questi eventi, come avviene nel resto della provincia di Caserta, è creare l'occasione per attirare persone, invitarle a conoscere le auto e moto d'epoca. «Non è solo per gli addetti ai lavori. Sono tantissime le persone che si avvicinano alle auto per vederle, toccarle e conoscerne la scheda tecnica e, attraverso questo tipo di eventi, si crea l'occasione per attivare turismo. Siamo convinti che la nostra terra sia un serbatoio enorme di potenzialità artistico-culturali, paesaggistico ed ambientale capace di attirare quel turismo che vuole assistere ad eventi e manifestazioni del genere visitando luoghi poco noti o di difficile accesso, borghi d'altri tempi, siti archeologici ed altro ancora» dichiara uno degli organizzatori. Promuovere i vari marchi italiani e stranieri, tutelare e salvaguardarne il patrimonio storico, è un modo diverso di far conoscere la storia. E Castel Volturno questa storia sta provando a proporla, in nuove forme e vesti, grazie anche alla collaborazione di alcune associazioni che fattivamente collaborano con esperienza e professionalità per il bene comune.


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MAURIZIO E I SUOI “BASTARDI”

CINEMA, MUSICA E TEATRO

In uscita la serie TV “I bastardi di Pizzofalcone”

Rocco Papaleo e Giovanni Esposito si raccontano

di Savio De Marco | saldem4@gmail.com

di Caterina Piantieri | kate.piantieri@virgilio.it

Lo tenete presente Maurizio De Giovanni? Certo, lo scrittore di gialli (e non solo) che sta contribuendo con i suoi libri a rendere la nostra città un posto migliore, dimostrando che a Napoli ci sono ancora storie da raccontare e che queste possono appassionare tutto il mondo. Lo tenete presente? Bene, proprio lui negli ultimi periodi è stato impegnatissimo nella presentazione del libro “Pane” appartenente al ciclo dei “Bastardi di Pizzofalcone” (ciclo di storie che si accompagna all’altro ciclo, famosissimo, del commissario Ricciardi). Il luogo è uno dei quartieri più antichi di Napoli, Pizzofalcone, probabilmente uno dei primi insediamenti storici, e la trama balla tra il giallo e il poliziesco. Al centro vi èun commissariato dove sta succedendo il finimondo, quattro agenti sono stati allontanati per il traffico di droga e per questo devono essere rimpiazzati. In soccorso del commissariato arrivano gli scarti degli uffici contigui, elementi che non hanno nulla da perdere e per questo affrontano i casi che gli capitano con aggressività e passione. Su tutti risalta il brillante ispettore Giuseppe Lojacono, siciliano allontanato dalla sua terra. Lo tenete presente? No? Fa niente, tra poco potrete dargli un volto ed una voce.

Saranno quelli di Alessandro Gassman, protagonista della serie Tv tratta proprio dal ciclo di romanzi. Da mesi assistevamo a camion della RAI che giravano per la città e adesso siamo curiosi di vedere cosa ne esce. La prima televisiva andrà in onda il 9 gennaio alle ore 21.00 su Rai 1, e saremo felici di vedere un cast completamente napoletano, ricordiamo Tosca D’Aquino e Massimiliano Gallo, vivere le avventure concepite dallo scrittore napoletano nella città di cui tanto è innamorato (e tifoso). All’orizzonte dovrebbe arrivare anche l’approdo in tv del Commissario Ricciardi, di cui da tempo si vocifera. Speriamo che arrivi presto, intanto godiamoci i Bastardi e aspettiamo l’uscita del prossimo libro di De Giovanni, atteso per la primavera 2017.

Maurizio De Giovanni

Rocco Papaleo e Giovanni Esposito, sono stati recentemente ospitati dalla piccola ma meravigliosa libreria Spartaco di Santa Maria Capua Vetere. I due attori si sono seduti davanti alla folla con una naturalezza e una confidenza che hanno trasformato l'incontro in confronto creativo e solidale. Quando è stato chiesto di descrivere la magia della performance, Papaleo ed Esposito sono stati molto discordanti. Il primo ha voluto sottolineare la differenza fra la ricchezza di un momento teatrale, ancor più se anche musicale, rispetto a quello semplice e implosivo che la macchina da presa cattura: essendo lui scalpitante, ritiene il set un qualcosa di troppo riduttivo, che lo porta inesorabilmente a scoppiare internamente dell’eccesso di energia che lui stesso é. Con fare un po' malinconico, che lui ha definito goccia essenziale della teatralità e comicità per eccellenza, si è allora ben contrapposto all’entusiasta suo collega. Giovanni Esposito, infatti, non ha potuto che tessere l'elogio del set cinematografico, definendolo magico per davvero ed educativo, per la possibilità di poter imparare a vivere nelle scarpe di tantissimi personaggi diversi e per il grande

lavoro che c'è dietro ogni azione; pecca del teatro sarebbe, sempre secondo l'attore, il partire “a freddo” ad ogni spettacolo, l'adattamento delle scene ad ogni teatro diverso o anche il semplice contatto diretto con le persone, la paura di guardare un mare di spettatori e coglierne l’insoddisfazione. Arrivati nella nostra provincia per l’apertura del sipario sul loro nuovo spettacolo di teatro canzone, Buena Onda, per i due è stato difficile non finire a parlare metaforicamente del tutto. Papaleo, molto naturalmente, ha affermato «É semplice immaginare lo spettacolo come una crociera, vissuta da un gruppo di intrattenitori, un comandante, e con l’intervallo fra momenti pubblici e privati degli stessi. Il problema fondamentale e non semplice é proprio quello dell’intrattenere, se questo debba essere semplice, fine a se stesso, o pieno di emozioni anche controverse». Ha concluso, poi, dicendo: «Sono sicuro che tutto, nella vita, con emozioni piene abbia più impatto. Senza un briciolo di dolore caricato, io non potrei apprezzare nemmeno la più spiccata delle comicità e questo in ogni campo. Il nostro spettacolo non è altro che il vivere una crociera esistenziale».

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Editoriale di Tommaso Morlando

Iniziamo questo nuovo anno dedicando la prima pagina ad un personaggio straordinario e allo stesso tempo molto controverso per dichiarazioni forti e che creano non pochi contrasti: Roberto Saviano. Da anni seguiamo Saviano e nei suoi confronti abbiamo conservato sempre grande rispetto e gratitudine per ciò che ha rappresentato il suo libro “Gomorra”, il quale ha acceso una luce sul clan dei casalesi e sul sistema camorristico in generale, dando una svolta significativa all’impegno dello Stato verso un clan, forse sottovalutato. Non è possibile dimenticare ciò che i media nazionali hanno riconosciuto a Saviano: le trasmissioni televisive e i suoi monologhi hanno avuto un riscontro straordinario, dando ad uno scrittore, seppur bravo e giovanissimo, un ruolo di oracolo della legalità. Saviano è una persona molto intelligente, dotato di un’eloquenza straordinaria; in questo ruolo si è impersonato al massimo, forse in buona fede e magari anche senza volerlo, ma questa corona d’alloro sulla testa gliel’hanno messa in tanti e spesso sono gli stessi che adesso gliela tolgono. La solita Italia. Quando ultimamente Saviano ha affermato che la camorra non è stata ancora sconfitta, che ci sono troppi disoccupati, che Napoli non è rinata, scatenando le giuste reazioni del sindaco De Magistris e del PM Maresca, ha sbagliato. Sia chiaro, la battaglia ancora non è stata vinta, i morti per strada ci sono ancora, la disoccupazione anche, ma non vedere un cambiamento in atto che è oggettivo e visibile non è coerente. La polemica con il sindaco di Napoli sembra pretestuosa e fuori luogo; il sindaco non è responsabile dell’ordine pubblico, quindi quelle accuse vanno indirizzate allo Stato centrale ed in questo caso avrebbe trovato solo condivisione. Gli scrivo da Castel Volturno, dove da quindici anni portiamo avanti la nostra azione di testimonianza di legalità attraverso la nostra associazione e non ringrazierò mai abbastanza per ciò che Saviano ha fatto con il suo libro. Ma anche nel nostro caso è poco informato… nonostante il nostro territorio sia utilizzato come set cinematografico ideale per le fiction, tra le quali la sua “Gomorra”, quasi sempre a costo zero per produzioni che incassano milioni di euro, lasciando unicamente l’elemosina al territorio che infanga. Da noi il clan dei casalesi è stato sconfitto (non certo la camorra): sono nate tante associazioni di impegno civico ed il pizzo non si paga. La gente denuncia i reati e l’omertà inizia a scomparire. Tuttavia, lo Stato ancora non ha vinto, e come ha affermato il magistrato Ardituro: “lo Stato centrale, che per troppi anni è stato assente, adesso deve risarcire questi territori con investimenti diretti e creando lavoro”, (diversamente sarà stato inutile, ndr). Saviano resta uno scrittore, che racconta le sue storie, attraverso atti giudiziari e tanta fantasia e per questo è diventato un personaggio internazionale e deve continuare un filone che lo ha reso famoso e credo anche molto ricco. Sbaglia chi gli riconosce un ruolo di garante della legalità. Molti hanno scritto: “l’ha detto Saviano”, senza capire che era semplicemente solo la sua verità. Saviano potrebbe fare tanto ancora per i nostri territori, principalmente ritornando tra la SUA gente, vivere la realtà e confrontarsi con chi amministra i territori ed ha responsabilità. Innalzandosi sul piedistallo fa solo del male e offusca quel buono che con tanta fatica sta emergendo, principalmente grazie ad una società civile non più supina. Ritengo giusto che nulla va nascosto, occorre parlare ogni giorno del cancro camorristico e denunciare corruzione e mala politica che ancora è fortemente radicata, ma è indispensabile far emergere anche le positività, altrimenti si uccide anche la speranza. Con grande stima ed immutato affetto, chiediamo a Roberto di mettersi nuovamente a disposizione dei nostri territori, di viverli, conoscerli, sostenerli, creare gruppi d’impegno sociale e culturale che ancora mancano e scrivere un libro che parli di RINASCITA.

Inaugurata una sa

ROBER

«Se le strade non sono sporc

La natura politicamente scorretta del Contemporary Art Museum di Casoria stravolge logiche museali che rendono il CAM una filiera di produzione culturale in cui si fa ricerca, didattica e consumo di un’arte attuale e non convenzionale. CAM come CAMorra, sintesi ossimorica tra creatività e ignoranza criminale, schiacciata dal peso della cultura. È nelle province e nelle periferie che si alimenta il riscatto di una città, e lo si può ottenere con le scelte giuste, a volte coraggiose, proprio come la creazione di questo esempio in cui convivono i valori dell’arte e di un popolo che prova a prendere le dovute distanze da realtà criminose. Controcorrente è anche la scelta di intitolare una sala del museo ad un vivo. E quando Roberto Saviano ha saputo che quel vivo era lui non nega di aver fatto i dovuti scongiuri: «È un’emozione strana venire a sapere che c’era una sala di un museo col mio nome; di solito lo si fa ai morti – afferma lo scrittore napoletano sotto scorta presente all’inaugurazione organizzata dal CAM - questo è un vero e proprio colpo di genio perché, in una terra così spesso associata alla morte, al sangue, alla terra dei fuochi e al dolore, si inizia a dedicare finalmente uno spazio ai vivi. In questo museo c’è un tripudio di vita, capacità e competenze che ci porta a star qui non solo perché il CAM rappresenta un presidio morale. Mi emoziona molto anche perché non è una bellezza che nega quello che c’è intorno. Da queste opere e da queste sale non sentirete mai venire fuori qualcosa che sappia di omertà: queste opere ti sbattono il muso contro le contraddizioni, quindi non vogliono farti evadere dalla ferita del reale. Mi sembra un miracolo tutto questo. Questa bellezza ti dà la possibilità di vedere la realtà con nuove diottrie e quindi la possibilità di trasformarla. E questo è fatto con le sole forze di tanti volontari. Qui ci si ribella per la trascuratezza istituzionale. Quindi, provo tanta emozione e gratitudine per essere un tassello di questo progetto e pensare che questa terra sia colma di speranza. Dov’è la speranza? Nel negare che abbiamo problemi? Nel sentirci feriti se raccontiamo quello che sta succedendo? Speranza è laddove noi siamo coscienti di ciò che stiamo osservando e lo raccontiamo per


SPECIALE

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di Fabio Corsaro | Foto di Gabriele Arenare

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ala del CAM di Casoria allo scrittore napoletano

RTO SAVIANO

che di sangue non vuol dire che la camorra sia stata vinta» trasformarlo». Osservare. Raccontare. Trasformare. Le chiavi del successo di Roberto Saviano stanno nell’intersecare la cronaca ad una scorrevole narrazione che prova ad affondare nelle coscienze dei lettori perché, come afferma Saviano, «non bisogna dimenticare le ferite sotto la coltre di benessere». E l’attenzione sui simulacri di una camorra già vinta l’abbiamo voluta accendere noi intervistando lo stesso Saviano. Roberto, non credi che oggi sia troppo diffusa la convinzione per la quale la camorra sia stata vinta solo perché alcuni clan, come quello dei casalesi, sono stati decapitati? «Sì, poi in realtà quando si parla di decapitazione di clan non si capisce mai bene davvero se tagliata la testa ne spuntino altre tre. Si passa sul piano comunicativo a voler vedere liquidata la cosa: cioè abbiamo arrestato, risolto e quindi andiamo avanti. Sono operazioni di comunicazione non reali perché nella realtà tutto questo rimane: meno capitali politici sono più capitali che loro vincono. Si associa la presenza della criminalità organizzata alle faide: quindi nel momento in cui non c’è sangue d’improvviso svanisce la criminalità organizzata e non si vede l’ora di poter dire abbiamo risolto». La tua più assidua presenza nei nostri territori va intesa come una notizia positiva? «Forse si lo sai!? Nel senso che ci sto pensando con la tua domanda».

da sx: P. Fuccio (Sindaco di Casoria), R. Saviano e A. Manfredi (Direttore del CAM)

CAM, LA CULTURA E IL CAMBIAMENTO

Manfredi: «Dedicare una sala a Saviano è un atto di speranza»

Il Contemporary Art Museum (CAM) di Casoria nasce nel 2005 su iniziativa di Antonio Manfredi che oggi ne dirige le attività. È una realtà multimediale che vanta circa 1.000 opere di pittura, scultura, fotografia e video, con importanti installazioni di artisti internazionali ed è oggi un punto di riferimento culturale per la città. Nonostante tutto, Manfredi è stato vittima di atti intimidatori perché il ruolo della cultura in un territorio di frontiera è per alcuni un’invadenza inaccettabile. Nel museo, tra le tante esposizioni ce n’è una riguardante la camorra che colpisce per le sue immagini e rappresentazioni, crude, vere, senza filtri ed estremamente attuali e che sono raccolte nella “Sala Roberto Saviano”. Perché dedicare una sala del CAM a Roberto Saviano? «Penso che questo sia una possibilità di riscatto sociale e viene da un museo di provincia, che da 12 anni combatte contro le illegalità. Questo è un inizio importante per far rendere conto alla gente che un museo deve essere un occhio sulla città e attraverso l’arte e la cultura si possono cambiare le sorti di questi paesi». Con questo format museale politicamente scorretto cosa volete trasmettere? «Quello che è interessante è che noi dedichiamo una sala ad un vivo e non ad un morto e questo è un augurio ed è un atto di speranza. Noi cerchiamo di dare arte contemporanea e diffondere cultura. Cerchiamo di dare un input per cercare di cambiare le cose: un pungolo verso la politica, verso l’eventuale cattiva amministrazione e nella speranza di poter risolvere insieme qualche problema. E l’arte può contribuire al cambiamento».

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SPECIALE di Fabio Corsaro | Foto di Gabriele Arenare

SE LE FORZE DEL BENE SI DIVIDONO È UN ASSIST ALLA CAMORRA

Roberto Saviano divide, spacca la città. Non esistono vie di mezzo e compromessi tra chi gli punta il dito contro e chi, invece, considera i suoi libri un'occasione per alimentare il cambiamento di una società. Si sta delineando una terra di confine dalle cui sponde non ci si intende sporgere per cercare punti di incontro. Raccontare la camorra a Napoli significa essere miope al cambiamento che la città sta vivendo o consapevole dell’influenza delle realtà criminali nei quartieri napoletani? La risposta, in realtà, non dovrebbe essere univoca; per Saviano «quello che non funziona intorno a te lo puoi trasformare solo raccontandolo, non negandolo né tantomeno minimizzandolo». C’è chi parla invece di infangamento e “sputtanapoli”, relativamente agli scritti, agli articoli, ai libri e alla produzione della serie tv “Gomorra” con cui Saviano campa ma con i quali non ha la pretesa di essere totalizzante. «È come se un pezzo di paese si sentisse in colpa pensando che le cose non siano solo così come sono raccontate nei miei libri. Questo è ovvio – afferma Saviano - ma in una parte della città ci sono ancora le stese e si spa-

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ra con armi da guerra. È in nome delle meraviglie della nostra terra che si nutre la volontà di raccontare l’ombra e la contraddizione. C’è una specie di riflesso condizionato quando si parla di Napoli: Curzio Malaparte, ad esempio, scrisse un libro bellissimo sulla Napoli del secondo dopoguerra: “La pelle” di cui fu vietata la vendita. Addirittura il Comune fece un decreto per cui i librai non dovevano esporre questo libro. Persino Edoardo veniva accusato di guardare solo la Napoli dello scempio e della povertà». Tuttavia, lo scrittore napoletano gioca spesso sul bello che non racconta, provocando e accendendo ulteriormente la polemica creatasi intorno al suo personaggio. Che libri ed opere d’arte stimolino un dibattito culturale è sempre positivo ma nel caso di Roberto Saviano si stanno trasformando confronti produttivi in polemica spicciola. Si contesta più il contenuto dei suoi libri per il taglio che è stato loro conferito e meno sulle questioni per le quali entrano in merito. Basterebbe pensare che è tutta questione di metodo. La camorra la combatti coi libri e nei tribunali, con la cultura ed una sana società civile.

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Saviano è unicamente uno scrittore, un intellettuale, uno studioso che si vuole, e forse gli conviene, recintare in questo limbo tra realtà e narrazione criminale. La produzione della serie televisiva Gomorra ha marcato ulteriormente quella linea di confine che ha indotto Saviano a esprimersi in merito: «Spesso mi chiedono dove sia la luce e la speranza in questa serie. Innanzitutto nel talento straordinario degli attori. Togliere la luce e il bene, non mettere il giudice o il giornalista, è una scelta artistica, non etica, perché costringe lo spettatore a porsi dal punto di vista dei criminali, stare dentro la testa di quel personaggio, capire quanto di lui c’è dentro di te e quanto di te in lui, riscontrando dinamiche di potere che si avvertono in ufficio, in famiglia, dinamiche umane che dentro il crime assumono una posizione più radicale. Non ti identifichi: anzi, quando tu inizi a tifare per uno di loro ad un certo punto fa un gesto talmente schifoso che perdi l’empatia». Saviano smentisce la possibilità di bistrattare Napoli, per lui si tratta esclusivamente di arte e spettacolo: «Il mondo non pensa che Gomorra possa far implodere Napoli o l’Italia ma immediatamente si percepisce che è una realtà che si trova in Messico, in Argentina, negli USA, ovunque ci hanno proposto remake. Abbiamo reso la nostra terra un racconto universale, fatto di meccanismi, facce, violenza e la potenza nasce quando tu decidi di misurarti con te stesso. Noi facciamo vedere come funziona una piazza di spaccio: come si crea, come si montano i pali, come si contano e dividono i soldi, come si frulla la roba. Tu quando fai vedere i meccanismi vedi la schifezza, vedi da vicino che la morte fa schifo e il modo infame in cui vive questa gente: case orrende, ansia perenne e pochi soldi». Conoscere è l'inizio per capire e trasformare ma le parti di questa sempre più marcata linea di confine sono troppo distanti nonostante il fine ultimo sia lo stesso per tutti: un controsenso, un vero e proprio paradosso, se si immagina la rete di forze che si creerebbe se si agisse in sintonia e si polemizzasse un po' di meno.

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INFERNATOIO

Mostra fotografica di Giovanni D'Angelo di Grazia Martin | martin.grazia@hotmail.it Presso l'archivio dell’ex ospedale psichiatrico di Santa Maria Maddalena ad Aversa, dal 16 dicembre 2016 al 6 gennaio 2017 è visibile Infernatoio, la mostra fotografica di Giovanni D'Angelo. Eravamo alla sua esposizione e ne abbiamo approfittato per porgli qualche domanda: Perché la Maddalena e perché Infernatoio? «La Maddalena perché è stata un luogo di alienazione e sofferenza, ma anche un luogo dinamico che ha influenzato fortemente la vita della città. È un luogo dove si è tentato e si tenta anche oggi, di fare qualcosa. Qui, in maniera giusta o sbagliata, ci si è mossi per curare la malattia mentale e ci si muove, attualmente, per promuovere una giusta riqualificazione che strappi dall’abbandono e restituisca alla collettività questo importantissimo pezzo di storia. La Maddalena versa, già da vent’anni, in un abbandono voluto, colpevole, frutto del disinteresse collettivo, del non voler vedere. Ecco perché ho scelto di cominciare proprio qui il mio percorso. Questa mostra è la prima tappa di un lavoro molto più ampio: Il silenzio degl’occhi. Tale lavoro è costantemente aperto e in itinere. Spero che altre persone vogliano occuparsi di questo tema aggiungendo alla fotografia altri linguaggi per dar vita ad un’opera complessiva che contenga in sé diversi modi di vedere. Ogni foto ha un suono specifico che traduce acusticamente quello che si vede nella fotografia: quindi sono già state messe insieme due linguaggi. Infernatoio è una parola composta: ho messo insieme due parole inferno e mattatoio. L’ex manicomio è stato un inferno per le anime e un mattatoio per i corpi. All’epoca si fingeva di non vedere ciò che accadeva all’interno di queste mura, ma fuori tutti sapevano».

Perché gli occhi chiusi? «Attraverso Il silenzio degli occhi provo a parlare di quello che non riusciamo o non vogliamo vedere. La soluzione per affrontare tale tematica mi è arrivata dai bambini. I bambini quando hanno paura chiudono gl’occhi, in questo modo pensano di non vedere la cosa che li spaventa e, allo stesso tempo, sperano che la cosa brutta non possa vedere loro; chiudendo gli occhi i bambini si sentono al sicuro. Gli adulti, qualche volta ragionano nella stessa maniera dei bambini. Per le foto che vediamo è stato chiesto ai soggetti immortalati di chiudere gl’occhi, ma in realtà, queste persone, nella loro quotidianità non li chiudono mai. Nelle mie foto ho immortalato personaggi noti come Ettore di Lorenzo, Mariella Nava, Alessandra Clemente, Isaia Sales, ma anche persone non famose. Tutti quelli che vediamo qui denunciano quotidianamente, attraverso la loro vita, la loro arte, il loro lavoro, ciò che non è giusto e che passa inosservato». C’è una soluzione a queste costante disinteresse collettivo? «La forma in cui è stato pensato l’allestimento è una soluzione, una via d’uscita: le foto sono divise da dei pannelli che non permettono di vederle tutte insieme. Bisogna allontanarsi per avere una visione complessiva, ma allontanandosi non si vedono i dettagli, bisogna di nuovo avvicinarsi per vedere i dettagli. Questo continuo cambio, questa continuo cambio del punto di vista, è la soluzione. Non si vedono le cose così, passandoci davanti e andando oltre. Per vedere bisogna provare, sperimentare, farsi una prospettiva e metterla continuamente in discussione».

SE MAGRITTE SPIEGASS

Al Musèe Magritte il saboteur tranquille c

di Giovanni Imperatrice Tre anni fa, salendo le scale sudice della vela azzurra vidi per la prima volta con i miei occhi quello che gli altri raccontavano di questa realtà. Realtà, nulla di surrogato, nessuna serie tv, nessun libro, nessun suggerimento mediatico; solo una bambina bionda in mutandine sul ballatoio di un quartiere popolare con il viso sporco e le crocs viola ai piedi che ignorandomi con una mano faceva volare una bambola disegnata su un cartone verso il cielo scoperto da un finestrone senza vetri. All'età di quattordici anni Renè Magritte, pittore belga degli inizi del novecento, scoprì che la madre si era suicidata in un fiume. Al momento dell'estrazione della donna dal fiume Renè era presente e vide solo il nudo corpo della madre e il volto coperto dalla gonna che era salita fino alla gola. Magritte dovette riscrivere la realtà, trasformarla partendo dalla crudeltà con cui si presentava ai suoi occhi, un tacito accordo con quanto accadeva intorno a lui (e al suo interno) attraverso la pittura. Divenne il principale esponente del surrealismo, corrente pittorica che esaltava la dicotomia tra sogno e inconscio; quello che vogliamo e quello che vogliamo nascondere. Tra Scampia e Magritte ci sono millesettecento chilometri, storie diverse ma per entrambi la sensazione è che la realtà che li circonda può essere spietata, inconsapevolmente distruttiva; di fronte ad essa ci si può ritirare, mostrare violen-


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Castel Volturno da aMARE Concorso fotografico internazionale di Alessandro Ciambrone | alessandro.ciambrone@gmail.com

SE LE VELE (DI SCAMPIA)

che ha rivoluzionato il concetto di realtà

e | giovanni.impe@libero.it za per equiparare la rabbia o ci si può reinventare, guardare la quotidianità con occhi nuovi non piegandosi. Il sogno più ricorrente nelle opere di Magritte, esposte al Musèe Magritte di Bruxelles, è la capacità di trasformare la realtà, non fuggirne, un tacito accordo di resistenza verso il destino che cade a peso morto su persone, quartieri, città, famiglie, desideri. Osservare il mondo con occhi diversi. Nè “L'uomo del mare” viene raffigurato un corpo senza forme nè lineamenti che da uno sfondo tetro e regolare sembra voler squarciare la tela tirando giù una leva che lo porterà in altri posti, in altre dimensioni, non sarà più così amorfo e regolare ma quello che riesce ad immaginare. L'opera più famosa del pittore è un uomo borghese ben vestito, nella sua normalità, trasformato in un personaggio trasgressivo e libero. Magritte sembra urlare 'siate quello che desiderate', abbattete ogni forma di pregiudizio, se è il caso abbattete anche la realtà che vi circonda: il vostro lavoro, la vostra casa, la gente che vi guarda male per il vostro aspetto, il vostro quartiere. Reinventate. Solo in questo modo possiamo accettare gli spari nel quartiere, la vicinanza tra un tossico e una bambina su un ballatoio, la malapolitica, l'abbandono. Bisogna andare oltre la visuale per vedere bene il panorama o forse bisogna guardare con occhi diversi, così insegna Magritte, così ci spiega le vele.

Straordinario successo per la competizione internazionale di fotografia che ha l’obiettivo di valorizzare le risorse architettoniche, storiche, culturali, naturali e paesaggistiche di Castel Volturno. Sono arrivate 120 fotografie all’ufficio protocollo del Comune di cui 63 in concorso, e il resto fuori competizione, da parte di 20 bravissimi e riconosciuti fotografi campani. L’Oasi dei Variconi, protetta dalla Convenzione internazionale di Ramsar, i 27 chilometri di macchia mediterranea protetta, il Borgo antico di San Castrese, l’Eco-parco del Mediterraneo, il Borgo Domitio, le vasche d’acqua d’Ischitella, il Lago Patria e la Torre Saracena, sono alcuni dei soggetti fotografici che hanno caratterizzato la mostra fotografica, inaugurata il 17 dicembre nell’Aula Consiliare del Palazzo di Città. Numerosi i commenti positivi anche sui social network, dove sono state pubblicate e condivise le foto da numerosi residenti ed estimatori del Litorale. L’evento è stato organizzato dal Centro Unesco di Caserta, con il sostegno economico dell’Associazione Voltour, che ha garantito il montepremi di 1000 euro per i fotografi, e il patrocinio morale del Comune, della Chiesa di Santa Maria del Mare, di Bio.For.Polis (finanziato da Fondazione con il Sud) e di Informare - Officina Volturno. La giuria internazionale, composta dai rappresentanti degli enti organizzatori, e da riconosciuti esperti nell’ambito della fotografia, dell’arte, del paesaggio e dell’architettura, ha valutato le foto attraverso un trasparente processo meritocratico. La premiazione è fissata per il 6 gennaio alle ore 10.30 al Cinema Bristol di Pinetamare. In quell’occasione l’Associazione Voltour proietterà due video promozionali per valorizzare l’intero territorio e per rilanciarlo sullo scenario

turistico internazionale attraverso dei pacchetti vacanze e delle convenzioni con le strutture turistico-ricettive del territorio. I video mettono in evidenza tutte le possibilità che offre il territorio in termini di strutture ludiche, commerciali e turistiche. Castel Volturno non è una realtà isolata ma inquadrata in un sistema culturale e turistico regionale che annovera sei siti del Patrimonio Mondiale Unesco (Reggia di Caserta, centri storici di Napoli e Benevento, sito archeologico pompeiano, costiera amalfitana e cilento). Da Castel Volturno è possibile, attraverso i porti di Pozzuoli e di Napoli, raggiungere le isole di Capri, Ischia e Procida, famose in tutto il mondo. Le foto e i video mettono in evidenza la bellezza di luoghi che non hanno bisogno di photoshop per mostrare tutto il loro incanto. Ancora una volta un progetto di rinascita culturale del territorio a dimostrazione che la forza delle idee e l’amore per Castel Volturno, non muoiono mai, trovano sempre nuovi linguaggi d’espressione. Nella capacità di fare sistema si affermano tutte le grandi imprese e la nostra Città, anche se in ritardo, lo sta comprendendo realisticamente. Interviene Tommaso Morlando: «Noi come periodico Informare ed associazione Officina Volturno, sosteniamo questa iniziativa , come tutte quelle finalizzate al bene comune e alla crescita sociale, da tempo abbiamo scelto di promuovere le positività dei nostri territori, ma senza nascondere le difficoltà esistenti che pur ci sono, restiamo convinti che attraverso la cultura, l’impegno civico dei cittadini e esulando da personalismi e protagonismi fuori luogo, continueremo ad essere disponibili alla collaborazione e al confronto costruttivo con chi è impegnato alla rinascita del territorio».

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FABIO SERINO

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Uno 'e miez 'a via di Vincenzo Russo Traetto | vyncenzorusso@gmail.com

Il titolo non è quello che avete malignamente inteso. Non è quello che avete pensato. Un brutto ceffo che si aggira per le strade e le piazze pubbliche a dettare regole senza autorità giuridica e morale o a sottrarre ‘o bene a chi campa onestamente. Il fatto è che a Napoli, in via Scarlatti, la strada che attraversa tutto il cuore del quartiere collinare del Vomero si incontra a mezz’aria la nota di un vibrato di chitarra e poi subito dopo, mentre già pensi ad altro, ti arriva un “ti ti ri titti ri” di una voce melodiosa e sussurrata che ti vuole dire «vien’a ccà, quatte passe e me truove proprio mmiez’a via, cchiuù a là..». “Buongiorno tirità” ti viene da dire. É ‘na voce e ‘na chitarra. Non ci sono dubbi. Non è un impressione. Ti son entrate in testa. E lo sfizio ti viene. Segui il profumo della voce come seguiresti quello pastoso delle sfogliatelle ricce da Pintauro in via Roma o il profumo di basilico caldo della pizza da Mattozzi. E camminando camminando, zigzagando tra avventori di bar e negozi di spose, facendo dribbling e tunnel facili ai passanti contromano troppo distratti dalle curve che disegnano con la lingua sulle palle di gelato con cono, te lo trovi assiepato in una comitiva di persone che si ciondolano alle canzoni accompagnate solo dalla chitarra. Un repertorio variegato da Pino Daniele a Nino D’Angelo, da Massimo Ranieri ad Enzo Avitabile, da Eduardo De Crescenzo a Sergio Bruni. Quello che colpisce è il silenzio del pubblico, un silenzio di attenzione, la comitiva non vuole distrarsi, si accompagnano le note con i movimenti del capo. Qualcuno porta il tempo battendo le mani, ma piano al punto che sembra che faccia finta di batterle, si mima il gesto. Un avventore si precipita dalla bancarella di pesce e si improvvisa presentatore. “Signore e signori, Fabio Serino!”, una guardata gli fa capire “si, però nun t’allargà e facce sentì”. Miez’a via? Un artista di strada? Le parole sono importanti. Hanno un significato ed una storia. E qui a Napoli è la storia della “posteg-

Fabio Serino gia” ed è una tradizione musicale. Grande. Un complesso musicale ma anche un solo musicista, come è frequente oggi, che si accompagna con chitarra (allerosa) o mandolino (trillande o perette) ed esegue un repertorio di musica e canzoni popolari in un luogo pubblico (strade, piazze) o aperto al pubblico (ristorante, bar) che si chiama per l’appunto puosto. Mi colpisce la somiglianza con il post di facebook che è uno spazio in cui uno si ferma e dice agli altri qualcosa o fa ascoltare qualcosa detta o cantata o recitata da altri. Fabio Serino, uno ‘e miez’a via, è nobilmente un posteggiatore e si collega alla grande e millenaria tradizione napoletana perché bisogna ricordare che i napoletani cantano sempre, comunque ed ovunque. In pace ed in guerra, sulle navi e sui treni, nei teatri e ‘miez ‘a via. Ferdinando II di Svevia, nel 1221, fu “costretto” ad adottare un'ordinanza che disciplinava le attività canore dei suonatori ambulanti che esibendosi fino a tarda notte disturbavano il sonno: la prima disciplina sull’inquinamento acustico è partenopea. Non vi sono in questo filone artisti di secondo piano che non accedevano ai teatri. Tutt’altro. Basta pen-

sare ad uno come Enrico Caruso. A volte è una specializzazione, altre volte una gavetta. Tonino Apicella, uno degli ultimi grandi, parla di due elementi fondamentali: capacità di improvvisazione ed analisi psicologica degli spettatori. Il pubblico della posteggia non compra il biglietto per sentirti cantare, ti incontra per caso e se non sei bravo va via subito senza erogare il contributo volontario mettere ‘e bane (i soldi) nel rasto (piattello) quando shcancia ‘a chetta (passa la questua). I musicisti hanno un linguaggio loro chiamato parlesia, parlare senza farsi capire. La voce non è potente, è un filo proprio come quella di Giuseppe Di Francesco detto ‘o zingariello il posteggiatore che a fine ottocento scompigliò Richard Wagner - padre del romanticismo musicale tedesco - al punto che lo portò in Germania ma lo dovette cacciare qualche anno dopo perché gli ingravidava tutte le cameriere cantando con un filo di voce Era de maggio. Ma è pieno di spunti vocali toccando le sonorità di Pino Daniele senza imitarlo, è un “cantare alla pinodaniele” come una volta si intendeva “cantare alla sergiobruni”. É un modulo interpretativo, autentico. Perché dopo poco si sente anche qualche girata alla Caetano

Veloso, ma è una finta perché vi è tutta la scuola della “bossanova ‘a sonagliera” di Claudio Mattone come è riuscita a rappresentarla Eduardo De Crescenzo nell’album DE CRESCENZO del 1983. Ricordate che questo è l’album fondante del musical SCUGNIZZI con ‘A città ‘e pullecenella. Fabio Serino è un interprete vero, in un accenno crea passione ed appassionati. Come posso dire? … feeling? A voi piacerebbe che io dicessi questa parola feeling. Una parola americana come Uazz'a’uan’ammerican. Invece no. Non la dico. Nel mediterraneo vi è una parola araba più precisa: tarab che deriva dal verbo “tariba” che significa “essere commosso da gioia o da dolore”, “provare emozioni di piacere o di tristezza”, “andare in estasi, essere incantato, turbato, agitato, scosso”. Tarab è quando l’interpretazione dell’artista rapisce l’ascoltatore, lo porta in una trance emotiva, il cantante (o il musicista) celebra lo sposalizio tra la melodia musicale ed il respiro della poesia, chi ascolta si incanta fino ad un'ebbrezza, che seppur lucida, lo porta lontano dalla terraferma pure si staje mmiez’a via, in via Scarlatti a Napoli. La prima Amministrazione De Magistris, tra il 2011 e il 2012, ha voluto incentivare l’arte per strada, ricollegandosi alla tradizione del puosto, promuovendo ed agevolando gli spettacoli di una categoria ben più ampia dei posteggiatori composta da giocolieri, mimi, danzatori, saltimbanchi, madonnari, ritrattisti, writer, body artist, breakdancer, ballerini. Quindi spettacoli all’aperto gratuiti dove il rasto (piattello) è consentito esclusivamente alla fine dell’esibizione. Ma perché il Sindaco dopo quasi 800 anni toglie la costrizione dell’Imperatore Federico II? Perché “Puó dí che strade 'e Napule cheste só': nu palcoscenico, puó' dí cha gente 'e Napule chesto vò': nu palcoscenico... Só' scene comiche, só' scene tragiche, mentre se recita siente 'e cantá: "Napule, Napule, Napule, Na'... Acqua fresca...chi sa véve!” cantava Sergio Bruni che di tarab…


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Derive

La finzione di un romanzo per raccontare la verità della clandestinità di Grazia Della Cioppa | gracydc@hotmail.com

Pascal Manoukian A dicembre il reporter francese Pascal Manoukian ha scelto Napoli e la libreria Iocisto per presentare il suo primo romanzo Derive pubblicato in Italia da "66tha2nd". Pascal Manoukian è stato corrispondente in molte zone di guerra e ha descritto i conflitti più importanti che hanno scosso il mondo tra il 1975 e il 1995. Perché abbia scelto di intraprendere il mestiere di reporter e cineoperatore ce lo spiegano in parte le sue origini armene: «Sono cresciuto con mia nonna che non ci ha mai nascosto la verità sul genocidio degli Armeni e, anzi, mi ha sempre detto che troppi non conoscevano la terribile storia di questo popolo e chi la conosceva non avrebbe mai dovuto smettere di raccontarla. Ben presto mi sono reso conto che è proprio quando non esistono testimonianze come fotografie, video o articoli - non ce ne furono per l’Armenia - che è più semplice dimenticare l’orrore e far finta che non sia mai accaduto». Così per venti lunghi anni Manoukian ha mostrato al mondo tutte le atrocità della guerra credendo nel potere della verità di cambiare

le cose. Ma un giorno d’inverno del 1993 tutto è cambiato: un soldato bosniaco di 16 anni che stava fotografando veniva ucciso davanti ai suoi occhi. Si è chiesto quanta responsabilità avesse, quale fosse il suo ruolo in quel tragico evento e cessò di essere reporter di guerra. Si chiese se non fosse la finzione a volte ad essere più efficace della realtà per la quale si pagava un prezzo troppo alto quando si rischiava la vita. «Mia moglie lavora nel cinema, e da anni ci scontriamo su cosa sia più potente oggi se la realtà o la finzione. Quando ho finito di scrivere Derive, ho capito che aveva ragione lei, poiché proprio dei personaggi inventati, in un film o in un romanzo, hanno la capacità di coinvolgerci davvero, di entrare nella nostra realtà e cambiare il nostro punto di vista». É il caso dei quattro migranti in viaggio per una vita migliore in Francia che impariamo a conoscere nel suo romanzo e che forse non avremmo mai incontrato nella realtà. C'è Virgil il moldavo, che cerca lavoro per far sopravvivere la sua famiglia in patria. C'è Chanchal dal

Bangladesh, a cui è stato affidato il compito di mantenere genitori, fratelli e sorelle a Dacca vendendo rose e sognando di diventare lavapiatti. E ci sono Assan e sua figlia adolescente Iman, unici sopravvissuti di tutta la famiglia nella guerra civile che devasta Mogadiscio in Somalia. Il loro incontro avviene in una cittadina francese, Villeneuve-le-Roi, dove le loro speranze, la sofferenze e le difficoltà a vivere da illegali si incrociano casualmente. Quella che nasce fra queste quattro persone, pur non essendo affinità elettiva, è amicizia. È un legame capace di superare le differenze culturali e religiose. È solidarietà. Ed è forse proprio questa profonda comprensione tra razze, culture e lingue così diverse, l’unica finzione che lo scrittore si concede. Manoukian utilizza una scrittura visuale per descrivere i suoi protagonisti riuscendo a trasportarci nei paesi da cui provengono. Conosciamo la durezza del Comunismo attraverso Virgil che rappresenta la roccia, l’appiglio per tutti. L’orgoglio dell’Africa con Assan che nonostante l’inferno della guerra civile sa che il suo è il paese più bello del mondo e lo riconosce nei quadri di Rembrandt, e poi ancora il fatalismo indiano attraverso la rassegnazione di Chanchal che da quando è nato ha capito che la sua vita non gli apparterrà mai completamente. Vivremo con loro, con questa sgangherata banda di eroi, dormiremo nei boschi, man geremo scoiattoli, ci nasconderemo dal resto della società e proveremo tristezza e nostalgia per la casa che abbiamo dovuto lasciare. Ma soprattutto proveremo gratitudine perché nell’inferno che vivono i clandestini ci sarà chi

prova a cambiare le cose aprendo la sua porta e il suo cuore. Eppure Derive è un romanzo tutt’altro che buonista. Anzi, ci colpirà al petto, forte, molte volte. Ci lascerà l’amaro dopo averci illusi proprio come succede a chi arriva da così lontano trovandosi davanti un muro di mattoni e indifferenza. Dopo però sarà difficile non guardarci intorno e cercare i loro occhi, provando ad indovinare la loro storia. Alcuni di noi proveranno a trovare soluzioni, non si può non pensare a Jacques Derrida e alla sua proposta delle città rifugio, luoghi dell’ospitalità, che non è un’etica tra le altre ma la nostra stessa cultura. Perché anche fra mille anni gli uomini avranno in comune qualcosa che trascende razza, religione, colore delle pelle e qualunque altra differenza: i sentimenti. Quelli non cambieranno mai. Non siamo macchine. Siamo capaci di empatia. E arrivano storie come questa a ricordarcelo. Nonostante tutto.

Copertina del libro "Derive"


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MARIO LAPORTA

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Una vita da fotoreporter di Gabriele Arenare e Carmine Colurcio

Mario Laporta è fotoreporter da circa 32 anni e collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le fotografie paesi di frontiera e storie di guerra, lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters. Attualmente è fotografo e coordinatore per il sud Italia per Agence France Presse, Senior Photographer della Agenzia Controluce e dal 2007 docente di Fotogiornalismo presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli. Lo abbiamo incontrato per sapere di più sulla sua carriera e sul mondo del fotogiornalismo. Parlaci di come nasce la tua passione e come ti sei avvicinato al fotogiornalismo. «Ho cominciato circa 43 anni fa, perché mio zio che si occupava di fotografia cerimonialista e iniziai a lavorare con lui. Sentivo che la passione per la fotografia cresceva sempre più, fino a decidere di lasciare gli studi intrapresi a giurisprudenza per dedicarmi totalmente ad una professione che amavo. Essendo cresciuto durante gli anni della guerra del Vietnam e restando affascinato dai grandi fotoreporter di quel periodo, come Don McCullin, ai quali mi sono sempre ispirato, decisi di intraprendere la carriera, non facile, di fotogiornalista. Nel lontano '84 notai che su “Il Mattino” di Napoli uscivano sempre le stesse foto della Formula 1, così proposi all’allora caporedattore dell’inserto “Sport Sud” Domenico Ferrara di farmi accreditare per le prove che si tenevano ad Imola pagandomi da solo tutte le spese. Arrivato lì iniziai a “rubarmi” le pose degli altri fotogiorna-

listi. Le mie foto piacquero molto e così iniziai a fare il fotoreporter della Formula 1 per vari anni». Raccontaci di momenti emozionanti e tappe fondamentali della tua carriera. «Tra le esperienze più importanti ricordo il periodo di ricerca personale in Nicaragua e quello in cui ho lavorato per “Il Mattino” in Medio Oriente come fotografo freelance dal 90 al 93. In seguito ho collaborato con l’agenzia Reuters, dal 1993 al 2003, per la quale ho fotografato la guerra servo-bosniaca e successivamente le crisi albanesi. Nel febbraio 2002 sono stato mandato in Afghanistan e l’anno successivo in Iraq. Sicuramente l’esperienza più emozionante avvenne quando andai a Berlino nel 1989. Mi feci ospitare da una mia amica che abitava lì per fare un reportage riguardante Berlino Est e Ovest. Così mi trovai lì quel famoso 9 Novembre 1989 e fui il primo fotogiornalista italiano a scattare la caduta del muro. Purtroppo l’agenzia, per la quale all’epoca lavoravo, non capì l’importanza della notizia tanto che non vollero ricevere le mie foto via aereo, ma aspettare che tornassi dalla Germania. Deluso e furioso al mio ritorno non riuscii a vendere nessuna foto. Tuttavia fu un’esperienza che mi formò professionalmente e oggi espongo con orgoglio quelle foto in mostre o in gallerie private». Come funziona un’agenzia fotogiornalistica? «Un’agenzia è una multinazionale dell’informazione e le quattro più importanti al mondo sono Reuters,

Mario Laporta Agence France Press, Associated Press e Gatty Image. Ognuna contano circa 350 fotografi staff, ossia stipendiati, stringer con garanzia, coloro che lavorano per dei determinati giorni, e stringer senza garanzia, cioè i referenti territoriali. Quando succede un avvenimento si stila una lista di fotografi che devono intervenire in base all’esperienza e all’addestramento effettuati da quest’ultimi. All’interno dell’agenzia tutti quanti devo saper fare tutto dalla fotografia di reportage di guerra a fotografare una partita di calcio, bisogna essere molto mobili. Una volta entrato in un’agenzia lavori a squadra e ognuno deve ricoprire una certa zona di intervento». Reputi che il fotogiornalismo sia morto? «A differenza di quello che dicono in molti il fotogiornalismo non è morto. Ripeto una frase di un caro collega, "non è morto il fotogiornalismo è morta l’editoria fotogiornalistica" almeno in Italia. All’estero il fotogiornalismo è la prima fonte di fotografia, quando il "Time" prova a fare la copertina con l’Iphone dei lettori riceve una valanga di lettere di protesta da parte degli stessi lettori, dicendogli che loro compravano il giornale

perché all’interno c’erano fotografie stupende. Ad esempio in Italia non abbiamo questa cultura di scrivere ai giornali per fare critiche costruttive. Questo perché la nostra editoria non ha abituato il lettore ad essere parte del giornale, ma solo a subirlo». Come definisci un bravo fotogiornalista? «Innanzitutto è un curioso e un testimone. Oggi definirei molti fotogiornalisti come “artisti”, perché quando in una fotografia si effettuano operazioni di modifiche aggiungendo o togliendo dei particolari si sfora nel campo della fotografia artistica. Credo che la fotografia è tale perché racconta la realtà che si sta osservando. Bisogna distinguere tra i fotografi che fanno fotografie e quelli che producono semplicemente immagini. Oggi con il web siamo bombardati da centinaia di immagini al giorno, ma tendiamo a soffermarci, come per magia, solo su quelle foto particolari, che possiedono contenuti e messaggi veri. Questo è ciò che riesce a fare un bravo fotogiornalista: comunicare attraverso le proprie foto».


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SWAMI E LO SFRATTO DI 14 FAMIGLIE NEL GIUGLIANESE di Francesco Cacciapuoti | francescocacciapuoti95@gmail.com

Swami è una bambina cresciuta in una casa disordinata e piena di scatoloni, dove ha mosso i primi passi e fatto i primi bagnetti. Tutto normale fin qui, prima che venissero staccate tutte le utenze e interrotte le sue prime dormite e poppate notturne. I genitori sono stati costretti a lasciare la casa e restare senza fissa dimora Già così piccola e senza una culla dove dormire, Swami non ha più un luogo da poter riconoscere come casa. La sua storia è da ricondurre a ben 14 famiglie di Giugliano, sfrattate perchè la palazzina che abitavano era abusiva e pendeva su di essa una Re.S.A del 2009. Non semplici famiglie, ma persone che soffrono la crisi di questo territorio, la disoccupazione ed i disservizi diffusi e alle quali viene sottratto perfino il loro unico diritto certo, dove potersi aggrappare con speranza: il diritto alla casa. Il palazzo in via Signorelle doveva essere abbattuto per la mancata accettazione delle domande di condono edilizio. Per mesi i residenti della palazzina hanno dichiarato di non saper dell'abuso perpetrato dal proprietario che, nell'ultimo periodo, continuava a riscuotere gli affitti degli inquilini ignari. Per quelle 14 famiglie si è consumato un dramma, che ha sotterrato insieme alle macerie del

palazzo abbattutto le loro speranze e le loro certezze senza mai riscuotere l'attenzione dell'amministrazione comunale che aveva stanziato 500.000 mila euro per l'abbattimento dell'edificio. Dopo quasi tre mesi di distanza abbiamo raggiunto una tra le tante mamme di queste famiglie, Giovanna Attruia, che ci ha concesso un'intervista: Dopo lo sgombero dove avere trovato alloggio? «La sera stessa dello sgombero la metà delle famiglie dello stabile è andata a dormire in albergo, altre sono ritornate nelle abitazioni dei loro genitori e ancora oggi sono in appoggio dalle famiglie. Io sono una

di quelle!». Durante lo sgombero vi siete sentiti trattati da cittadini di Serie B? «Gli esecutori hanno fatto il loro lavoro dandoci la possibilità di prendere le ultime cose, poi verso le 13, con l'intervento del magistrato ci hanno sbattuto fuori creando caos. Molti di loro hanno lasciato mobilio tra le macerie, perché non hanno dato più tempo di poter continuare a prelevare i nostri ultimi oggetti». Siete stati contattati dal Sindaco o da qualche personalità delle istituzioni? «Da quel giorno nessuno ci ha più contattati». Ad oggi vi sentite traditi dalla politica e dalle istituzioni? «Da quel giorno siamo molto provati e indignati. Non essere considerati ci ha portato malessere poiché molti di noi eravamo onesti cittadini che pagavano le tasse puntualmente. Ci siamo sentiti traditi e truffati da tutti, compreso il sindaco che ha lasciato a noi il conto salato». Cosa le manca di più e cosa ha lasciato in quel luogo che oggi ospita solo detriti? «Una tristezza, mi mancano gli affetti, le amicizie che avevo maturato e cresciuto, gli interessi nutriti e coltivati. Mi manca la mia casa, luogo di oltre 13 anni di sacrifici».

UNA BIBLIOTECA NELL'EX VILLA ZAGARIA di Francesco Cacciapuoti Continua la battaglia, dopo la consegna di oltre 500 firme, che vede il movimento Polis e Legambiente circolo Arianova di Giugliano affiancarsi per creare una biblioteca comunale presso l'ex villa confiscata alla camorra in via Madonna del Pantano a Varcaturo. Questa struttura è stata dichiarata "essenziale" da Legambiente, soprattutto perchè "sulla fascia costiera della città di Giugliano non sono presenti spazi che possono essere dedicati allo studio, all'apprendimento e all'aggregazione" e per tale motivo il circolo di Giugliano ha lanciato questa sfida: "la creazione di un luogo che non è frequentato solo dagli studenti ma che appartiene alla cittadinanza tutta, ed è per tale ragione che noi ci battiamo con forza". Oltretutto, "siamo fermamente convinti che tali strutture dovrebbero esistere in ogni quartiere. Ogni grande città, e Giugliano è la terza più grande in Campania, dovrebbe dotare i suoi quartieri di una biblioteca; che possa essere anche succursale di quella di Giugliano, in un territorio come quello di Varcaturo all'interno di un polmone verde come quello della ex villa Zagaria confiscata alla Camorra". Intanto, dal protocollo delle firme, il raggiungimento dell'obiettivo è ancora lungo, e richiede una serie di passaggi istituzionali dove sarà fondamentale "ribadire la nostra contrarietà", affermano gli esponenti del movimento Polis, "all'abbattimento della struttura, all'amminitrazione comunale e a tutti i consigli della III commissione, poiché verrebbe svilito il concetto di lotta alla criminalità se la stessa struttura non verrà ricovertita in luogo di riscatto sociale. E la nostra idea di ricovertire quel luogo di malaffare in luogo di studio sarebbe il messaggio più forte da poter dare all'intera comunità: la cultura come strumento di lotta contro la camorra. Di certo parleremo con gli assessori e con tutti coloro che hanno davvero a cuore il bene dei tanti studenti e giovani di Varcaturo, che cercano un luogo di aggregazione d'interessi e cercheremo anche di spostare la discussione della stessa petizione in consiglio comunale il prima possibile".


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VOMERO-ARENELLA

VOCE ALL'ASSOCIAZIONE ANTIRACKET di Fulvio Mele | fulviomele20@gmail.com Il territorio Vomero-Arenella, è un’area ad altissima densità commerciale, in cui il rischio di una presenza criminale, che possa bloccare la crescita del quartiere, è sempre alto. L’“Associazione Antiracket Vomero-Arenella Maurizio Estate”, presidio territoriale della FAI (Federazione Antiracket Italiana), opera con impegno e circospezione proprio per far fronte a questa minaccia. Maurizio Estate, di cui l’associazione porta il nome, è il giovane 22enne che nel maggio '93, mentre lavorava in un autolavaggio di Chiaia, intervenne per sventare un tentativo di furto ai danni di un passante, un atto di solidarietà che la camorra non gli perdonò, uccidendolo poche ore dopo l’accaduto. Abbiamo incontrato Davide Estate, nipote di Maurizio e presidente dell'associazione, il quale porta avanti concretamente l'esempio di suo zio, quello di cittadino che non si volta dall'altra parte e che è pronto a battersi per il prossimo. In cosa consiste l’operato dell’Associazione FAI Antiracket Vomero-Arenella Maurizio Estate? «Due anni fa abbiamo dato vita a questa realtà associativa, in cui commercianti e imprenditori sensibili uniscono le proprie forze per creare reciproco sostegno e soprattutto non lasciare soli quei colleghi che vivono il dramma dell’estorsione, per non abbandonarli all’inconsapevolezza degli strumenti a disposizione per difendersi. Ci preoccupiamo anche di accompagnare gli imprenditori che decidono di denunciare in ogni fase del processo, costituendoci parte civile per dare supporto soprattutto fisico, oltre che morale e legale». Che tipo di iniziative concrete portate avanti sul territorio? «Pur non avendo una sede territoriale, in quanto la nostra sede si trova al corso Umberto I°, cerchiamo soprattutto di far sentire la nostra presenza ai commercianti e informare la comunità attraverso banchetti di sensibilizzazione, sportelli antiracket o marce di solidarietà. Organizziamo incontri nelle scuole affinché nelle nuove generazioni ci sia la cultura della denuncia, portando la testimonianza di coloro che grazie all’antiracket sono riusciti a ribellarsi al pizzo. Recentemente abbiamo sostenuto la campagna “Pago chi non paga” per promuovere il

QUANDO IL FUTURO

di Mara Parretta | m Davide Estate consumo critico, anche all’interno delle scuole, e a cui hanno aderito attività del quartiere e consumatori». Quali sono le principali difficoltà e quali invece i risultati più importanti raggiunti? «Ci sono voluti 10 anni per creare questa associazione. Sia per paura che per ignoranza si tendeva a sottovalutare il pericolo del racket e nonostante tante battaglie siano state vinte, il commerciante ha ancora tanta diffidenza a rivolgersi a noi. Avendo un ottimo rapporto con forze dell’ordine e istituzioni ed essendo un riferimento che sia garanzia di discrezionalità, riusciamo comunque a guadagnarci spesso la fiducia del commerciante. Pur partecipando a molte iniziative, cerchiamo di lavorare senza far troppo rumore. Attualmente gli imprenditori sono più sereni perché si sentono protetti, non abbandonati, sanno di essere all’interno di una rete forte e compatta. É grazie a realtà del genere che oggi è più facile denunciare e ribellarsi alla perversa logica del racket». Qual è l’obiettivo che volete raggiungere come associazione attraverso il vostro impegno? «Io sono un’idealista: spero che le eccellenze possano restare e credere in questa Terra e poter esprimere tutte le nostre potenzialità in modo libero. Il racket è una realtà palpabile di controllo della criminalità su ogni quartiere, che blocca l’economia, perchè l’imprenditore non è libero di rifornirsi da chi vuole o di assumere chi vuole. La strada è ancora lunga, ma c’è una forte voglia di riscatto, di autodeterminazione. Oggi siamo forse nel cuore del cammino, a metà strada e non vogliamo fermarci, ma continuare a camminare».

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Per i giovani il futuro è sinonimo di incertezza, di indecisione. Molto spesso, anche quando si è all’università, si fatica a trovare la propria autentica dedizione e riconoscere cosa si vorrebbe fare e diventare da “grandi”. Giovani Campani nel Mondo (GCM) è un’associazione culturale formata da un gruppo di studenti universitari campani nata proprio per venire incontro ai giovani e per aiutarli a trovare, in base alle proprie inclinazioni, la via giusta da seguire. Attraverso la partecipazione a progetti internazionali l’associazione punta a proiettare in questioni mondiali gli studenti universitari. Per conoscere gli obiettivi e le attività abbiamo intervistato il Presidente dell’associazione Costantino Diana. Come è nata l’associazione? «L’associazione è nata in seguito ad una mia esperienza. Sono partito insieme ad un team di ragazzi della facoltà di giurisprudenza della Federico II formato dall’associazione di livello nazionale “Associazione Diplomatici” che è stata la prima a partecipare al NMUN a New York e nelle altre città del mondo. Al mio ritorno è nata l’idea di realizzare un team che appartenesse alla Federico II e partecipasse direttamente al NMUN. Quindi siamo andati a parlare con il Rettore, abbiamo formato uno staff e siamo partiti per la prima volta nel 2012 con un team di studenti della Federico II». Cos'è il NMUN? Quali sono gli obiettivi? «Il National Model United Nations è la più grande simulazione ufficiale del funzionamento degli organi e delle commissioni delle Nazioni Unite. Consiste nell’incontro di più di 5.000 studenti provenienti da collage e università dei Paesi membri delle Nazioni Unite che si riuniscono ogni anno nella sede dell’ONU a New York per discutere dei problemi globali correnti. L’obiettivo fondamentale del progetto è quello di far vi-

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SEDE Via Roma, 39/41 - Giugliano in C. (NA) Tel: 081.895.34.70 FILIALE Via Ripuaria, 213 - Varcaturo (NA) Tel: 081.839.25.48 E-mail: allegretti.varcaturo@email.it

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NON SPAVENTA PIÚ

maraparretta@libero.it vere agli studenti esperienze che nelle università normalmente vengono sottovalutate. Infatti, in questa competizione lo studente deve prima di tutto assumersi la responsabilità di rappresentare uno Stato membro delle Nazioni Unite, dopodiché gli viene affidato una mission e viene inserito in un team. Lo studente deve cercare di diventare leader attraverso la contrattazione e deve mostrare abilità nel sostenere gli interessi e le aspettative politiche dello Stato che rappresenta. Attraverso questa simulazione lo studente che non ha mai vissuto esperienze del genere capisce come deve fare per parlare in pubblico, come deve negoziare, vendere, comunicare efficacemente, essere diplomatico o semplicemente risolvere quesiti». Quali sono stati gli esiti delle partecipazioni? «Nel corso del tempo siamo sicuramente cresciuti e abbiamo imparato le strategie da adottare nell’ambito di questa simulazione. Nell’ultimo incontro, quello di marzo 2016 abbiamo ricevuto 3 awards. Ad ottobre infatti, mese in cui comincia ogni anno la promozione del progetto, siamo stati premiati anche dal sindaco De Magistris». Quanto è importante per la formazione degli studenti partecipare a progetti internazionali? «É fondamentale perché da queste esperienze si chiariscono le idee riguardo il futuro, si riconoscono le proprie inclinazioni, i propri punti di forza, la passione da coltivare e il lavoro da intraprendere. Ovviamente l’associazione opera anche per cercare di migliorare la Campania e i nostri paesi perché andare all’estero e confrontarsi con gli altri studenti comporta una crescita personale non indifferente che applicata nelle nostre realtà permette la crescita e il miglioramento dei nostri territori».

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ESEMPIO DI SINERGIA TRA MAGISTRATI E AVVOCATI di Fabio Russo avv.fabiorusso1975@libero.it

Il LA.P.E.C. (Laboratorio Permanente Esame e Controesame) è un’associazione culturale che si è costituita a Siracusa, nell’anno 2008, presso il prestigioso Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali. Ha come scopo lo studio e l’approfondimento delle problematiche giuridiche connesse all’esame incrociato nel processo penale. Il legislatore ha scelto la cross examination quale metodo di formazione della prova orale, perché ritenuta lo strumento più idoneo ad assicurare il principio del contraddittorio e l’accertamento della “verità processuale”. A vent’anni dall’ introduzione del “nuovo rito”, le regole dell’esame incrociato vengono spesso eluse dalla deformazione della prassi. Il L.A.P.E.C., attraverso l’organizzazione di convegni, seminari e corsi di specializzazione, si prefigge di monitorare e rivedere criticamente le prassi diffuse in giurisprudenza in ordine per contribuire al miglioramento delle tecniche dell’esame incrociato. «Ad oggi, le sedi territoriali sono circa una trentina, compresa la sede di Napoli - riferisce l’Avv. Giovanni Carlino, componente del direttivo partenopeo e suo tesoriere - Napoli è una sede difficile per ciò che concerne il rapporto tra avvocati e magistrati. C’è moltissima diffidenza da parte della magistratura, anche a causa dei ben noti comportamenti di colleghi che sono giunti sulle cronache giudiziarie non certo per meriti professionali. Nonostante ciò, alcuni magistrati ci hanno dato fiducia e collaborano con noi per la realizzazione degli scopi che l'associazione si è prefissata». Chi compone il direttivo del Lapec Napoli? «La sede di Napoli si compone del presidente,

Avv. Roberto Rapalo, della segretaria, Avv. Claudia Simeoli, e del sottoscritto. Soci fondatori sono gli avvocati Adriana Cordella, Concetta Monaco, Marina Ciniglia, Elvira Svariati, Domenico Ciruzzi, oltre ai tre componenti del direttivo». Ci parli del recente Congresso Nazionale. «La sede territoriale di Napoli ha ospitato il 21/22 ottobre scorsi il convegno/congresso nazionale, che ha riscosso un enorme successo. Il titolo è stato: "il futuro del processo penale, tra deontologia e linee guida"». Nella giornata di Venerdì 21 Ottobre è stata messa in scena una rappresentazione teatrale, che ha illustrato le prassi devianti del procedimento penale, nonchè la violazione di regole deontologiche, con testo scritto dall'Avv. Claudia Simeoli e dal Dott. Pirro Balatto. La regia e direzione scenica è stata del dott. Marco Puglia, (Magistrato di Sorveglianza a S. Maria Capua Vetere, ndr) che oltre a recitare, ha diretto in modo esemplare coloro i quali si sono prestati alla commedia. Tra i partecipanti, oltre al sottoscritto, gli avvocati Adriana Cordella, Danilo Riccio, Vincenzo Dostuni, Concetta Monaco, Raffaele Monaco, Gemma Barbella, Claudia Simeoli, Claudia Delle Cave, Marina Ciniglia, Simona Lai, Roberta Capobianco, Diego Pedicini, Amedeo Morrone. Ha partecipato anche il dott. Giuseppe Cimmarotta, PM presso il Tribunale di Napoli, ed inoltre il Presidente della Corte d'Appello di Napoli, Giuseppe De Carolis di Prossedi, ha fatto una comparsata richiesta al momento. Successivamente sono stati presentati i protocolli processuali, frutto di una commissione centrale che ha elaborato i lavori delle sedi territoriali.


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FUORILUOGO E LILT Per una buona causa

di Savio De Marco | saldem4@gmail.com

Superate le 100.000 visite di Alessia Giocondo | alessia.giocondo@gmail.com Progettato dagli ingegneri Fabio Iasevoli ed Aldo Mazzarella e commissionato da Italstage s.r.l., NÁLBERO, con i suoi 45 metri di altezza, è l’albero di Natale più alto del mondo. Situato sul lungomare partenopeo, sarà aperto tutti i giorni fino al prossimo 8 marzo. Per la sua realizzazione non è stato erogato alcun fondo pubblico, ma è stata resa possibile grazie al finanziamento di fondi privati e sponsor. Diversi sono stati i punti di vista degli addetti ai lavori e dei dipendenti che ogni giorno operano presso la struttura; un ragazzo ci spiega: «Secondo me non offre nulla di produttivo. Le persone entrano, fanno un giro per i negozi ma quasi nessuno compra o si interessa. Non penso che sia stato organizzato bene, noi dello staff non abbiamo un parcheggio, fa freddo e c’è acqua che perde dal tetto». Altri dipendenti invece, e soprattutto i ragazzi liceali impegnati nell’alternanza scuola-lavoro che accolgono gli ospiti all’entrata, sembrano entusiasti soprattutto per l’enorme affluenza che si registra ogni giorno. «É una struttura che porterà beneficio alla città: ad esempio noi rappresentiamo del personale che grazie a Nalbero ha trovato un impiego. Inoltre la realizzazione a costo zero non ha tolto nulla ad altre iniziative ed attività sociali. Arrivano qui turisti da tutto il mondo, oltre a tanti napoletani. La tipologia di visitatori è molto diversificata, vengono famiglie, gruppi di scolaresche ed anche moltissimi giovani». Cosa, secondo voi, sarebbe potuto essere migliorato? «Probabilmente con un po’ di tempo in più Nalbero poteva essere reso più accogliente dal punto di vista estetico, dal momento che molti ne criticano l’aspetto, troppo spoglio soprattutto di mattina

quando i led non sono accesi. A mio avviso lo trovo molto bello anche di giorno, grazie alla terrazza che offre un panorama spettacolare, mentre di sera acquista valore dall’esterno per la sua suggestiva illuminazione». Una ragazza della provincia di Napoli lamenta l’apparente insufficienza di cultura: «Non credo sia ciò di cui ha bisogno Napoli. Non la valorizza culturalmente e non ha nulla di natalizio, non ci sono mostre né un riferimento alla bellezza immensa della storia e della cultura della città». Una donna che vive fuori Napoli, tornata per le feste natalizie, ci dice: «Prima di andare via volevo visitare quest’albero. Napoli di per sè durante il periodo natalizio attira molti turisti, grazie all’albero penso ne attiri molti di più. É una struttura moderna che ben si inserisce nell’urbanistica della città e penso che contribuisca positivamente dal punto di vista economico, culturale e sociale». De gustibus non disputandum est! Al di là dei vari pareri, possiamo dire che Napoli è viva più che mai e lo stereotipo che la vuole vedere come una città statica e in ritardo inizia a cadere. Ne è una prova la grandissima affluenza di turisti che ha fatto parlare di Napoli come “capitale mondiale del turismo”. Napoli sta dimostrando con i fatti di saper stare al passo con i tempi e di essere sempre più un’attrattiva per investimenti di privati che credono nella rilevante risorsa economica che la città offre, valorizzandola, innovandola e arricchendola. Ed è proprio questo crescente fervore socioeconomico che fa ben sperare per il pieno riscatto della nostra città dall’immenso potenziale ancora inespresso, quel riscatto che le permetterebbe di conquistare il suo giusto posto nel mondo.

La "malattia del secolo": è questo il nome con cui tutti, impauriti, chiamiamo indifferentemente ogni forma di cancro, a prescindere dalla persona e dal posto in cui colpisce. Ciascuno di noi può raccontare aneddoti ed esperienze vissute personalmente o da altri, fino a formare un quadro completo di quello che appare come un male incurabile, a cui non vi è scampo. Però, c'è chi non ci sta. Al proliferare della malattia è accompagnato l'aumento delle associazioni che cercano di supportare, psicologicamente e clinicamente, i pazienti che vertono in condizioni di disagio, dovute anche alle istituzioni che, come altre volte, non tardano a mostrare la loro assenza. Tra queste associazioni grande importanza riveste la Lilt. La Lega Italiana Lotta al Tumore è una delle più longeve associazioni riconosciute in questo campo, con una storia che risale al 1922 e che arriva fino ai giorni nostri, e che ha acquisito anche il patronato del Presidente della Repubblica. A non soccombere, insieme alla Lilt, è un gruppo di giovani musicisti napoletani che, colpiti dalla tematica, hanno deciso di dedicare un'intera serata alla lotta contro i tumori organizzando una serata-evento atta alla sensibilizzazione, accompagnata da una raccolta fondi per l'associazione. Marco Scarfiglieri, cantante, autore e chitarrista dei FuoriLuogo ha avuto la forza di concretizzare il suo dolore, strettamente legato alla tematica, creando un momento di condivisione e informazione, sperando di offrire un aiuto concreto a chi, quotidianamente, lotta affinché il numero dei dolori diminuisca. La

location scelta è stata il "Giardino Liberato" del quartiere Materdei, una realtà sociale molto attiva della zona. Uno spazio per tutti, un'associazione pronta ad aiutare chi ne ha bisogno è un gruppo di giovani impegnati: gli ingredienti per un evento di spessore ci sono tutti. Dopo la presentazione della realtà associativa è partita la musica, tutta nuova e carica di passione, dei FuoriLuogo, intervallata da monologhi inediti offerti dalla compagnia Pazzianne & Redenne, improntati sulla tematica del rapporto tra il malato e la malattia, tra il malato e la burocrazia e, infine, tra la famiglia e il malato stesso. «Su questo argomento le opinioni possono essere tante e tutte giuste - ha spiegato il dott. Mabilia, medico associato della Lilt - la cosa importante è tenere sempre presente le persone che, in fase di difficoltà, hanno bisogno di chi si prenda cura di loro. Noi cerchiamo di essere presenti laddove non c'è nessuno. Queste carenze non sono giustificabili, soprattutto nella nostra regione perché le associazioni non devono sostituirsi alla sanità. Molte persone potrebbero essere salvate se la loro diagnosi fosse fatta in anticipo: per esempio, grazie al pap test, che serve a prevenire il tumore dell'utero, la percentuale di donne che muoiono di questo male è diminuito dal 90% al 3%. Noi speriamo che i programmi di prevenzione e informazione diventino il pane quotidiano delle istituzioni come la scuola». L'aiuto, quello vero, concreto, può arrivare con qualunque mezzo, anche con una serata di musica e teatro. L'aiuto non è mai FuoriLuogo.


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FAVOLE SERICHE

Leucio. Oltre a promuovere mostre ed esposizioni di oggettistica di produzione artigianale ed abiti, realizzati con materiali pregiati, quali le sete di San Leucio. di Antonio De Falco | toniunico@libero.it L’Associazione, inoltre, produce e mette in scena spettacoli teatrali in Arte e impresa, cultura e pragmatismo laboratoriale, innovazione e tradizione: questi gli ele- costume ed offre servizi vari per a promozione menti che caratterizzano l’Associazione “Favole turistica e culturale del territorio». Seriche” sita in San Leucio di Caserta e della L'Associazione Favole Seriche è anche quale è presidente la signora Pina Raucci, specializzata in suggestive rievocazioche con sacrificio e abnegazione è oramai vera e ni storiche. Quali sono le produzioni di propria ambasciatrice della seta leuciana. L'ab- maggiore successo? biamo incontrata nel suo laboratorio artigianale «Sicuramente “Maria Carolina” e “Sarà chiaimmerso nel verde dei Colli Tifatini nel quale mato ‘o Re” entrambi di Salvatore Macri. In viene creata manualmente la magica produzione circa 10 anni di attività Favole Seriche ha acserica leuciana attraverso un accurato lavoro di quisito la capacità di sviluppare ed organizzare ricerca storica, di disegno e di realizzazione dei spettacoli ambientati nel ‘700, al fine di promuovere la cultura del Real Sito di San Leucio e costumi. Qual è l’attività specifica di Favole Seri- delle tradizioni seriche risalenti a quel periodo. A tal fine ci siamo avvalsi del supporto di diretche? «L'Associazione Favole Seriche, attraverso un tori artistici di fama nazionale quali Paolo Toprogramma di iniziative, promuove le tradizio- disco e Michele Pagano e di artisti con specifiche ni e l’artigianato campano e del Real Sito di San competenze maturate grazie a studi accademici

L’arte della seta

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e consistenti in esperienze di recitazione». Cosa sono i Tabloid Vivant di Favole Seriche? «Sono spettacoli itineranti che rappresentano scene di vita quotidiana con musica e danza, cortei storici: il salotto del the, una partita a carte fra dame e gentiluomini, la vestizione della Regina o il girotondo dei bambini sono alcuni esempi di vita vissuta che fanno magicamente rivivere oggi il mondo del secolo XVIII».

MONUMENTI CAMPANI E IL VOLTURNO IN MINIATURA di Rosario Maisto | rosariomaisto@virgilio.it

In Campania ci sono monumenti eccezionali a cui, talvolta, non diamo peso ed importanza. Tuttavia, basta allontanarci dalla nostra Regione per capire che quello che abbiamo è prezioso ed ha un valore non solo storico monumentale ma anche di risorse Ambientali, da valorizzare. Un esempio fra tutti, l'ho riscontrato visitando il Parco tematico di Italia in miniatura a Rimini, capolavoro realizzato e fondato da Ivo Rambaldi, imprenditore dell’epoca che ha sviluppato il tutto traendo ispirazione da un viaggio all’estero. I lavori per la sua realizzazione iniziarono alla fine del 1967 e dopo tre anni ed una spesa di 300.000.000 di Lire italiane, il 4 luglio 1970, Italia in miniatura apriva al pubblico esponendo le prime 50 miniature. Oggi, l'area centrale del parco ospita oltre 270 riproduzioni in scala di

monumenti, chiese, palazzi e piazze italiane, meticolosamente riprodotte e rappresentanti tutte le regioni italiane. Le miniature sono circondate da paesaggi di colline, fiumi, laghi, mari e ferrovie elettriche funzionanti, fra oltre 5000 veri alberi in miniatura, che rispecchiano la flora italiana. Nel Parco, in ambito Campano ci sono pezzi di storia unici; in scala 1:100, troviamo fantastiche riproduzioni architettoniche costruite con un'accuratezza nei dettagli che solo la maestria di grandi artisti e tecnici potevano realizzare. A Caserta troviamo il grande simbolo della Reggia di Caserta, voluta da Carlo III di Borbone, e destinata ad emulare Versailles, immensa opera su una pianta rettangolare unica nel suo genere che, nella realtà, copre un’area di oltre 51.000mq, è alta 42m e lunga 250m sul fronte ed altri 202m lateralmente fino ad allungarsi verso il maestoso Parco. A Napoli non poteva mancare la riproduzione del Duomo di San Gennaro, luogo di grande fede del popolo napoletano; Piazza Plebiscito, una delle principali piazze monumentali di Na-

poli, circondata dalla lunga facciata del palazzo reale la cui costruzione risale al 1600, di stile neoclassico che riproduce in proporzioni ridotte lo stile del Pantheon di Roma; Castel dell’Ovo, che fa parte di un giro fortificato a difesa della città partenopea, costruito su uno scoglio roccioso e collegato alla terraferma da uno stretto pontile troncabile; Castel Nuovo, detto impropriamente Maschio Angioino poiché di origine Angioina, ricostruito sotto Alfonso I D’Aragona, compatta mole trapezoidale, rafforzata agli angoli da poderose torri cilindriche merlate. Ma non sono le sole bellezze in miniatura. C’è anche una strepitosa natura con le sue risorse. Tra queste, il fiume Volturno, che nasce in Molise ed attraversa la provincia di Caserta sfociando nel Tirreno, a Castel Volturno, precisamente, città che sorge sulla sua sponda sinistra. Principale fiume del Mezzogiorno d'Italia con lunghezza di circa 175 km ed un bacino idrografico di 5.550 kmq le cui acque sono impiegate per la pesca, la nautica e la produzione di energia elettrica.

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IL DIRITTO DI FAMIGLIA E

IL DOPPIO COGNOME La consulta si pronuncia a favore delle madri di Barbara Giardiello | barbaragiardiello05@gmail.com

Quanto sovente si abusa dialetticamente della raggiunta parità tra uomo e donna? E di uguaglianza nel diritto di famiglia? Il 19 maggio 1975 con la legge n. 151 viene introdotta la riforma del diritto di famiglia che, “sul principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi” sancito dall’art.29 della Costituzione, estende alla moglie i diritti sino ad allora riconosciuti esclusivamente al marito. Prima della riforma del 1975 la legislazione ordinaria applicava le norme del Codice Civile del 1942, fondate su uno status familiae gerarchico all’interno del quale la moglie incarnava un ruolo sottomesso al marito, capo indiscusso. Sconfessata la condizione di subordinazione, la moglie ha visto riconosciuti diritti di pari dignità nell’educazione dei figli, nella gestione della famiglia e del patrimonio. Alla patria potestà è subentrata la potestà genitoriale, modificata poi in responsabilità genitoriale con Decreto legislativo 28 dicembre 2013 n. 154. In 40 anni l’evoluzione sociale e il mutamento delle relazioni umane hanno esatto un adeguamento del diritto a nuove fisionomie di famiglia, attraverso battaglie per l’abbattimento di pregiudizi che contrastano diritti banali, come il mancato riconoscimento del diritto di trasferire il cognome materno ai figli. In numerose occasioni si è disquisito sul tema. Il 26 settembre 2014 è stato trasmesso in Senato il DDL S.1628 “Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli”, approvato dalla Camera, che su accordo dei genitori prevede: art.1 - I genitori coniugati, all’atto della dichiarazione di nascita del figlio, possono attribuirgli, secondo la loro volontà, il cognome del padre

o quello della madre ovvero quelli di entrambi nell’ordine concordato. In caso di mancato accordo tra i genitori, al figlio sono attribuiti i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico. I figli degli stessi genitori coniugati, nati successivamente, portano lo stesso cognome attribuito al primo figlio. Il figlio al quale è stato attribuito il cognome di entrambi i genitori può trasmetterne al proprio figlio soltanto uno, a sua scelta. art.2 - La stessa regola varrà per il figlio nato fuori dal matrimonio che venga riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori. Se il riconoscimento è fatto da un solo genitore, il figlio ne assume il cognome. Quando il riconoscimento del secondo genitore avviene successivamente, il cognome di questo si aggiunge al cognome del primo genitore. A tale fine sono necessari il consenso del genitore che ha effettuato per primo il riconoscimento e quello del minore che abbia compiuto i 14 anni di età. Le disposizioni si applicano anche quando la paternità o la maternità del secondo genitore è dichiarata giudizialmente. Il testo dispone anche che entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, che non ha efficacia retroattiva, venga emanato un apposito regolamento attuativo. Nella sentenza 61/2006 la Corte Costituzionale, trattando una richiesta avanzata da due genitori, dichiarò inammissibile la questione, che ribaltò al legislatore nella soluzione normativa, ma pose in evidenza la necessità di recepire “le nuove esigenze di tutela della persona, sottolineandosi il diritto alla identità personale del quale il nome costituisce il primo, e più immediato, elemento caratterizzante”…“nella duplice

direzione del diritto della madre di trasmettere il proprio cognome al figlio e di quello del figlio di acquisire segni di identificazione rispetto ad entrambi i genitori”. Il 13 dicembre 2007 è stato firmato il Trattato di Lisbona che vieta ogni discriminazione basata sul sesso e il 7 gennaio 2014 la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia di “violare il divieto di discriminazione tra uomo e donna”, a causa della normativa che impedisce la trasmissione del cognome materno. Lo scorso 8 novembre la sentenza della Consulta ha invece sancito un’importante vittoria per tutte le donne e le madri, accogliendo il ricorso presentato dalla Corte d’appello di Genova sul caso di una coppia italo-brasiliana e dichiarando illegittima l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa volontà dei genitori. La coppia non contesta solo il diritto alla parità genitoriale, ma pure all’uguaglianza anagrafica del loro piccolo, che in Brasile ha il doppio cognome non riconosciuto in Italia. Per capire le motivazioni della Corte Costituzionale si attende il deposito della sentenza, la cui estensione è affidata al giudice Giuliano Amato, ma spetterà poi al Parlamento rendere legge un disegno che giace nel cassetto del Senato da più di 2 anni. Naturalmente non basterà, occorrerà che la struttura mentale degli italiani, fortemente ancorata a principi patriarcali, progressivamente maturi, adeguandosi a nuovi modelli di parità in una società che appare tristemente trincerata in un processo involutivo paralizzante per la crescita sociale e i rapporti interpersonali, nell’adeguamento alle culture più avanzate.



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DAI METALLI ALLA CULTURA:

“LA LIBRERIA DEL RICICLO” di Teresa Lanna | amoreperlarte82@gmail.com “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”. Questo celebre verso dell’Inferno dantesco, ben si presta a riassumere l’intento che ha animato Michele Gentile, libraio salernitano: incentivare i giovani alla riscoperta della cultura attraverso il riciclo di metalli in cambio di libri. Signor Michele, ci parli della sua libreria. Perché “Ex Libris café”? «Apro la libreria poco dopo aver conseguito il diploma di maturità, nel 1985. All'inizio era una cartolibreria con libri di vario genere e scolastici. Fin da subito, mi accorgo che la strada sarebbe stata irta di spine, un pò per la scarsa propensione alla lettura e un po' per la bassa densità di popolazione. Il mio, infatti, è un paese di appena 5000 anime. Nel 2000 decido di realizzare il mio ideale di libreria, una sorta di libreria-caffè. La chiamo “Ex Libris café”. Da allora ho sperimentato varie idee, fatto tante presentazioni e promosso molteplici iniziative, soprattutto con i bambini. Proprio con le scuole primarie e medie, infatti, inizia fin da subito una fitta collaborazione». Com’è nato il progetto della “Libreria del Riciclo”e in cosa consiste? «Sono partito con il "Libro sospeso" rifacendomi al celebre “caffè sospeso” napoletano. Il progetto è nato dalla consapevolezza, maturata nel corso del tempo, che se la gente non entra in libreria, dev'essere la libreria ad incontare la gente. Così, insieme a Giuseppe Curcio e alle Autolinee Curcio di Polla, realizzo prima "Bookbus-Librosospeso" e poi "Viaggi con l'Autore", che riscuotono immediatamente l'interesse dei media e che continuano tuttora. Sostenitore, da sempre, dell'economia circolare, cerco un modo per applicarlo ai libri, avvalen-

domi della collaborazione di Antonio Coppola, titolare della piattaforma di raccolta Metalfer di Polla, che ritira rifiuti in metallo di qualsiasi tipo. Realizzo, così, "Non rifiutiamoci", riscontrando, immediatamente, l'interesse delle scuole ed in particolar modo degli istituti di scuola primaria e media inferiore di Polla e Sala Consilina, entrambi ubicati nella provincia di Salerno. In pochi giorni i ragazzi raccolgono tutte le lattine vuote dei bar di Sala e Polla, ricevendo, in cambio, l'equivalente in libri. Trattandosi di piccole quantità, l'alluminio viene portato in libreria e da qui trasportato nelle Metalfer, dove viene pesato e valutato in base alle quotazioni di mercato. Per ora il progetto riguarda solo l'alluminio, ma spero coinvolga presto anche gli altri metalli». Quali sono le scuole che hanno aderito all’iniziativa? «Per il momento, sono solo tre: l’Istituto “Santa Teresa del Bambino Gesù”, la Scuola Media statale “E. De Amicis” di Polla, e l’Istituto Comprensivo "Camera" di Sala Consilina. Dopo aver notato l'entusiasmo dei ragazzi credo sia il momento di fare sul serio, creando una vera rete di librerie del riciclo, realizzando, così, un connubio tra rispetto per l'ambiente e diffusione del libro che, a mio giudizio, è assolutamente possibile. Basta volerlo. Pensate che occorrono 10 kg di alluminio per avere un libro del valore di 6-7 euro, 10 kg di ottone per avere un libro di ultima recensione e 10 kg di rame per ricevere un vocabolario medio. É un'iniziativa-modello, che mira non solo a dare un forte contributo alla diffusione dei libri, ma soprattutto a suscitare la consapevolezza che il rispetto per l'ambiente è un compito che ciascuno di noi è chiamato ad assolvere».

ANNAMAR

L'artista dei seg

di Girolama Mina e A Anna Maria Zoppi rappresenta un’eccellenza non solo a Casal di Principe dove è nata e tuttora vive ma nel panorama artistico internazionale. Le sue opere sono apprezzate anche all’estero dove “la casalese” ha più volte partecipato a diverse mostre ottendendone lodevoli riconoscimenti e portando sempre con sè l’orgoglio delle sue radici perchè in tutti questi anni lei non si è mai stancata di cogliere il bello di un paese “particolare” come è Casal di Principe. Mentre molti suoi compaesani esportavano ben altre cose, la Zoppi esportava l’Arte e la bellezza, ed “a forza di pennellate” continua a portare avanti l’orgoglio di essere “casalese”. Nel mese di settembre del 2015, nel Santuario della Madonna di Briano, in provincia di Caserta, Anna Maria Zoppi ha curato la prima edizione della Mostra Internazionale di pittura e scultura, nell’ambito della rassegna “Settembre al Santuario” che ha avuto per titolo “Chiamati a seminare bellezza”, dichiarandosi entusiasta e felice della mostra, che ha visto la partecipazione di artisti regionali, nazionali e internazionali, tutti uniti dalla passione per l’arte e l’amore per la propria terra. La mostra ha annoverato come ospiti d’onore, artisti internazionali come Joelle Milazzo, “L’artista del viola”, da Kingersheim, Francia; Mon Lluch, “L’artista di Catalunya”, da Barcellona, Spagna; Rosa Maria Luna Briceño, “L’artista dei cavalli”, da Ica, Perù; Dominique Bourgois, “L’artista del futuro”, da Mulhouse, Francia. In quella occasione Anna Maria Zoppi ha voluto porgere un ringraziamento particolare al Rettore del Santuario Mons. Paolo Dell’Aversana, che si è sempre dimostrato interessato e disponibile ad aprire un luogo di culto ad iniziative culturali e sociali e la ventesima edizione del “Settembre al Santuario” è stata la dimostrazione che cultura e tradizione possono essere un binomio solidale. Le bellissime opere dell’“Artista casalese” Anna


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ANTICHITÁ

RIA ZOPPI

gni e dei sogni

Antonino Calopresti Maria ZOPPI, quest’anno, nella prima settimana di Dicembre, hanno avuto l’opportunità di essere esposte a Roma nella suggestiva Galleria d’arte di Stefano SIMMI, nei pressi di Piazza Navona. Si è trattato di una mostra collettiva intitolata “5 Artisti in cammino” organizzata dall’Associazione Culturale “A Zeta” ed alla quale hanno esposto le proprie opere anche artisti come : Nicola Gasbarro, Roberto Leone, Mon Luch e Stefano Visco. L’inaugurazione della mostra è stata affidata al Critico D’Arte Prof. Arch. Ermanno Di Sandro. Ma chi è Anna Maria Zoppi? Una donna solare, sorridente, talentuosa, dotata di molta sensibilità e con una grande vena artistica che porta con sé dalla nascita. Sposata, madre di quattro figli, gli spunti per dipingere li prende dalle situazioni della vita che la circondano. Le sue creazioni artistiche seguono il suo animo, tanto da estraniarsi quando dipinge, soprattutto si sente libera. Esprime la sua arte come megafono dello spirito e della sua straordinaria interiorità. Emerge comunque una donna determinata, dove in un territorio pieno di pregiudizi è riuscita, grazie all’amore paterno, a dedicarsi all’arte e fare arte, e nelle sue opere emerge forte il riscatto sociale e culturale di tutte le donne “casalesi” che vogliono rappresentare la bellezza e le professionalità del loro territorio. Ha sofferto della cosiddetta crisi della “tela bianca, rimanendo ferma per circa dieci anni. Ha ripreso a dipingere così per caso e seguendo quello che succede nella vita di tutti i giorni, è rimasta molto colpita dal terremoto, tant’è che il nome Amatrice lo ha abbinato a una donna su cui ha realizzato delle creazioni pittoriche. Alla specifica domanda del sogno nel cassetto la stessa risponde: «avere più tempo per dipingere usando l’aforismo - vorrei vivere su un’isola deserta».

SCIPPA

Il mestiere dell'antiquario di Melissa De Pasquale melissadepasquale@libero.it Mario Scippa nel suo laboratorio Questo mese abbiamo incontrato l’architetto Mario Scippa, esperto antiquario e gestore della galleria d'arte e di antiquariato Antichità Scippa sita a Napoli, che ci ha fatto percorrere un interessante viaggio alla scoperta di un antico mestiere ricco di storia e di segreti. Come si è avvicinato all’arte dell’antiquariato? «Veri antiquari non si diventa, si nasce! Nel senso che è un mestiere che si tramanda per generazioni. Io e mio fratello Gennaro siamo la terza generazione a portare avanti Antichità Scippa. Nessuna scuola, accademia o libro può dare ciò che dà l'esperienza e la conoscenza tramandata da padre in figlio». Di cosa si occupa nello specifico un antiquario? «La sua abilità è rintracciare e proporre bellezza. Amo l'antiquario come quello di una volta, una personalità che dal passato cerca oggetti di arte e di uso comune che esprimono bellezza. Il vero antiquario compra per se stesso, non segue le mode e non pensa mai alla potenziale clientela». Da Antichità Scippa nasce poi anche il vostro salotto letterario. «È l'incontro tra il mondo degli oggetti e il mondo delle idee. Ho cercato di rendere vivo il tempo morto che è l'attesa del cliente in galleria e ho pensato di ospitare nella mia galleria eventi culturali, dove poter avere un libero confronto tra scrittori, poeti, fotografi e artisti in genere. Diciamo che ho riproposto in chiave moderna ciò che spontaneamente si svolgeva nelle vecchie botteghe antiquarie a Napoli facendo appunto salotto». Lei tiene personalmente delle lezioni di

antiquariato. Qual è l'obiettivo di questo corso? «In questo ciclo di lezioni, che riprenderanno proprio a gennaio, si vogliono leggere i linguaggi che si sono succeduti nei secoli nel mondo della realizzazione degli oggetti di uso comune. Le lezioni sono rivolte a chiunque abbia interesse per il mondo dell'antico e per gli amanti delle arti e sarà possibile approfondire il mondo dell'antiquariato da un punto di vista diverso da quello accademico». Lei è presente da anni anche sul web: da facebook a youtube, quanto conta oggi essere on-line? «A livello comunicativo viviamo oggi in una fase di transizione e il modo di comunicare tra le persone si sta completamente trasformando. Con l'avvento del web si sono trasformati i linguaggi per comunicare idee, offerte commerciali, riflessioni, relazioni umane. Oggi essere presenti in rete per la nostra attività è come una naturale evoluzione di quell’antico concetto di salotto che si svolgeva nella bottega dell'antiquario». Oggi è possibile pensare di proseguire con questi mestieri e tradizioni o sono, secondo lei, destinati a scomparire nel tempo? «Le rispondo con quello che era il punto di vista del mio maestro: “al mondo c'è sempre metà mondo che vende e metà che compra e sempre ci sarà, l'antiquario si trova al centro di questo movimento di oggetti”. Ciò ci fa capire che questo è un mestiere che non potrà mai finire, si evolve come si evolvono le civiltà, ma ci sarà sempre un’attenzione al passato».


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I CLOWN ARRIVANO IN CORSIA L'operato della Fondazione sorrisi di Vincenzo Lo Cascio | info@vincenzolocascio.com Il buonumore influisce davvero tanto sul nostro organismo, tanto da rendere la guarigione molto più rapida delle solite aspettative. Girovagare per le corsie di molte delle strutture ospedaliere della Campania, indossando un naso rosso ed un camice bianco, può sembrare pura follia, ed invece no. La Clownterapia è una vera e propria pratica medica, da molti conosciuta attraverso il film Patch Adams. In Campania opera nel settore da anni la Fondazione Sorrisi Onlus presieduta da Davide dell’Aquila alias Clown Spiringuacchio, fondata nel 2010, che ha realizzato in poco tempo una rete di servizi a favore delle categorie più vulnerabili, in questo caso dei bambini. I volontari della fondazione sono sparsi ovunque, ed operano dove c’è più bisogno. Sorridere è importante, specialmente se sei un bambino costretto a trascorrere giornate intere in una camera d’ospedale. La presenza dei Clown rende molto più semplice il ricovero ospedaliero dei più piccoli, aiutando cosi a trasformare la permanenza in un’esperienza piacevole. I bambini hanno tante storie diverse e quadri clinici spesso complicati. Il sorriso aiuta a ritrovare calma e serenità in situazioni difficili non solo per i bambini , ma anche per i genitori. Per i genitori vedere il proprio figlio sorridere rappresenta il conforto necessario per affrontare la situazione in modo diverso, molto più tranquillo e tenere le preoccupazioni del caso lontane dalla realtà che in quel momento circonda i propri figli. I clown sono volontari, ragazzi qualsiasi, che scelgono di dedicare il proprio tempo libero a chi vive situazioni difficili. Volontari che hanno l’unico scopo di strappare un sorriso ad un bambino malato. Esperienze che riempiono l’animo di gioia ed proprio questo che da la forza di sacrificare il proprio tempo libero per questa nobile causa. Questo lo sa bene Michele, meglio conosciuto come Clown Cico - «...fare qualcosa di buono è importante. Ognuno di noi ha la possibilità di donare qualcosa in modo diverso e io ho sentito di farlo con la Clownterapia. Quando torno a casa dopo aver visitato una struttura ospedaliera mi rendo conto che i genitori sono le persone che hanno più bisogno in quei momenti, e ci

chiedono di stare più tempo. I bambini riescono a distrarsi molto più facilmente, mentre i genitori soffrono molto di più lasciandoci i bambini anche solo il tempo necessario di mangiare qualcosa o fumare una sigaretta. Quando un genitore ti ringrazia vuol dire che davvero hai fatto qualcosa di buono. Ti senti una persona diversa. Se tutti facessimo un pò di volontariato il mondo sarebbe diverso». La Fondazione Sorrisi Onlus è presente in oltre 50 strutture ospedaliere ed i volontari visitano, periodicamente, ogni singola struttura. Il volontario prima di intraprendere questo cammino frequenta dei corsi di formazioni necessari per affrontare la terapia del sorriso in modo adeguato e coordinato con l’attività medica in corso. La Clownterapia è ormai una pratica affermata nel mondo della medicina e sono milioni le strutture ospedaliere in tutto il mondo che decidono di aderire ed avallare questa pratica. Integrare le cure tradizionali, tipiche dell’ambiente sanitario, con il gioco ed il sorriso è qualcosa di straordinario che va ben oltre la solita retorica e la rigidità che contraddistingue l’ambiente medico. Così tra nasi rossi, giochi e scherzetti da clown, i piccoli pazienti ne traggono benessere fisico, emotivo e psicologico trasformando momenti di disagio in momenti di gioia e armonia.

ARTETERAPIA

COS'È, COME E DOVE SI SVOLGE La parola alla psicologa Tiziana Teperino di Teresa Lanna | amoreperlarte82@gmail.com

Arteterapia: una parola così semplice, eppure, al contempo, un campo così complesso, misconosciuto, che regala ampi benefici a chi ne fa esperienza. Abbiamo avuto modo di approfondire questa disciplina grazie alla Dott.ssa Tiziana Teperino, psicologa napoletana. Cos'è l’arteterapia? «Spesso mi fanno questa domanda e non ti nascondo che ho sempre una certa difficoltà a trovare le parole giuste per spiegarlo. L’arteterapia è un'esperienza, che consiste nel conoscersi e raccontarsi, in maniera unica e libera da giudizi e schemi, attraverso il linguaggio artistico (musica, fotografia, pittura, danza). Mi preme anche sottolineare cosa NON è arteterapia. Innanzitutto non lo è colorare un album acquistato in edicola. Può essere rilassante e divertente, ma perchè si possa parlare di arteterapia è necessario essere guidati da una persona adeguatamente preparata (ndr: esistono corsi specifici che rilasciano il diploma di arteterapeuta ed è una professione regolamentata da norme europee). E qui mi collego al secondo punto: arteterapia NON è ricreazione, dare colori e fogli a delle persone e lasciarle disegnare per qualche ora. Si può parlare di attività ricreativa, che sicuramente ha un grande valore espressivo, ma che implica la preparazione di un setting adeguato, l’individuazione di obiettivi da raggiungere con determinate modalità e la restituzione di quanto emerso». Quando ti sei avvicinata per la prima volta a questo percorso? «É stato un incontro casuale, circa otto anni fa. Ho iniziato per curiosità, seguendo un corso sulle tecniche di fototerapia e fotografia terapeutica e ho proseguito poi con il tirocinio an-


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L’ARMONIA DEL SOMA Il Metodo Dello Buono di Flavia Trombetta | flaviajaja@virgilio.it

nuale post lauream presso un’associazione che si occupa appunto di arteterapia, fino a prendere la decisione di iscrivermi ad un corso di formazione e di fare di questa passione il mio lavoro. Nel mezzo ci sono stati tanti workshop, seminari e incontri preziosi per la mia formazione». Come si svolge? «L’arteterapia può essere praticata in incontri di gruppo o durante consulenze individuali. Non c’è uno schema prestabilito, si può partire da situazioni ed emozioni che portano i partecipanti, oppure proporre una tematica specifica. Indispensabile per iniziare è stabilire una relazione di fiducia tra il conduttore e i partecipanti e tra le varie persone presenti. Quel che accade in un laboratorio è reso possibile dal sentirsi in un ambiente protetto, dove l’altro non è giudicato, bensì accolto e rispettato. Il fulcro del lavoro è ovviamente il processo creativo che si attiva grazie alle esperienze proposte e che permette di trasformare, cioè di dare una forma nuova e visibile ai vissuti, così da poterli elaborare per acquisire nuove consapevolezze». È aperto a tutti? «Certo. Non ci sono limiti d’età e non è necessario avere particolari abilità per praticare l’arteterapia. Spesso viene utilizzata in contesti riabilitativi, con pazienti psichiatrici o con disabilità fisiche e cognitive. Se però allarghiamo il concetto di benessere e lo consideriamo non solo come assenza di malattia, ma soprattutto come uno stato di equilibrio e di armonia tra ciò che siamo, pensiamo e facciamo, allora ci rendiamo conto che avere uno spazio ed un tempo per ascoltarci è un nutrimento che arricchisce tutti».

«Una postura non corretta causa invalidità, sofferenze, dolori e, più in generale, regressione della qualità della vita. Tuttavia, va subito detto che l’allineamento posturale “ideale” del corpo non è possibile sotto tutti gli aspetti, ma è l’obiettivo verso cui vanno comunque indirizzati gli sforzi. Il corpo possiede tutte le potenzialità per una postura appropriata e tende naturalmente a raggiungerla, ma quando la postura non è corretta assume un atteggiamento di difesa innaturale, spesso causa, come già detto, di dolore ed invalidità». Queste sono le parole di Giuseppe Dello Buono, dottore in fisioterapia. Formatosi negli stili del massaggio occidentale e dei trattamenti integrati della medicina cinese, ha conseguito il diploma triennale di massofisioterapista, di tecnico di armonizzazione posturale, di naturologo, di terapista della riabilitazione e di massaggiatore estetico. Ha ampliato le sue conoscenze ed esperienze frequentando numerosi master nella riabilitazione, nelle tecniche in massoterapia, nel massaggio sportivo e massaggio cinese (tuina) diventando un riferimento nell’ambito della riabilitazione medica ed estetica. La terapia con il metodo Dello Buono, ossia il metodo da lui ideato, varia in base alle particolari problematiche che il terapista si trova a dover trattare. In generale, e dove possibile, la sua applicazione deve sempre estendersi a tutto il corpo in modo da portarlo in equilibrio e fare sì che il terapeuta riesca a far percepire meglio i vari equilibri-squilibri di tutto il soma. Il motivo principale per cui il metodo Dello Buono rappresenta la scelta d’elezione nella cura di numerose patologie muscolo - scheletriche, risiede nell’abilità manuale di trattare qualunque tessuto del corpo umano in qualsiasi condizione, ottimizzando i tempi di guarigione. La manualità viene eseguita con pressioni leggere, ma che nello stesso tempo abbiano la forza di trasmettere in profondità la tecnica che si sta eseguendo in quel momento. Questo aspetto è indispensabile per garantire l’efficacia del trattamento. Il metodo Della Buono viene diffuso in Italia e

all’estero attraverso corsi certificati Cidesco tenuti direttamente dal suo fondatore. É incredibile come, con l’utilizzo delle sole mani, un corpo possa riattivarsi ed iniziare a funzionare al massimo. Spesso coloro che soffrono di mal di schiena non si rivolgono subito a fisioterapisti come il dott. Dello Buono, ma tendono ad accettare l’idea di dover acquistare busti ortopedici o plantari, per risolvere o per meglio dire “alleviare” queste sofferenze. In realtà questi sussidi ortopedici tendono a “bloccare” il corpo e non a correggerlo. Come viene spiegato nel Metodo Della Buono, il terapista, durante il trattamento, mette in atto tutte le procedure idonee al ripristino di una corretta postura. Si tratta di una fase delicatissima che richiede una profonda conoscenza della meccanica del corpo, compresa la sua risposta agli stress e agli sforzi cui viene quotidianamente sottoposto.


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POOMMAROBOT e il suo inventore:

GAETANO SAURIO

IL CROCIFISSO COL CAPO CHINO

di Mirko Zito | mirk.zito@gmail.com

di Rossella Bicco | rossellabicco@live.it Ancora una volta ci troviamo a parlare di innovazione e eccellenza in un territorio spesso discusso solo per questioni negative. Questo è il caso del dott. Gaetano Saurio e della sua invenzione: la Poommarobot, un robot costruito con una pentola spesso utilizzata per cucinare il sugo di pomodoro e dalle enormi possibilità applicative. Come ti è venuta l’idea per la tua Poommarobot? «Nasca da una tesi di laurea, da un’idea che doveva essere semplice e invece è cresciuta sempre di più. Dovevo creare una piccola piattaforma robotica da utilizzare nei laboratori di ricerca dell’università per uso didattico e di ricerca appunto. L’esordio è stato estremamente tecnico, in itinere, quando dovevo trovare il contenitore per i componenti è nata questa cosa goliardica perché mentre mi trovavo in un centro commerciale mi trovai di fronte ad uno scaffale con queste pentole da cucina e capii che era esattamente quello che cercavo: leggero e riciclabile». Da quali parti è costituita? «Principalmente è formata da due cervelli, uno è il cellulare e l’altro si trova all’interno della pentola, poi la pentola stessa, dei sensori posizionati esternamente che acquisiscono informazioni dall’ambiente, delle ruote, un “collo” che permette di girare la “testa” (il cellulare) e una cassa speaker». Quali sono i suoi principali utilizzi? «Poommarobot ha svariati utilizzi. Una delle cose che risolve in maniera più immediata è la telepresenza, cioè, ad esempio, mentre io mi trovo a lavoro ho un avatar a casa che controlla ed interagisce con le persone che si trovano lì. Quindi parliamo di videosorveglianza e telepresenza. Oltre a questo, altri usi possono essere quelli di segretario intelligente, intratte-

nitore per i bambini, stereo portatile. Insomma assolve ad una quantità enorme di possibilità». Dall’inizio della Poommarobot a oggi siete stati presenti a molte fiere dell’innovazione e anche in TV a “I fatti vostri” di Giancarlo Magalli fino ad arrivare al “Maker Faire”. Parlaci di questa ultima esperienza. «Sono tornato quest’anno al “Maker Faire” che si è tenuta a Roma, di cui io sono sostenite dalla sua prima edizione, con una versione ridotta del robot, dal punto di vista della dimensione, poiché c’è l’idea di miniaturizzarlo. C’è stata una risposta d’interesse persino superiore a quella dell’anno scorso tanto che Poommarobot ha vinto questo premio, il “Maker of merit”, che è un premio di merito ai 25 migliori progetti presentati, su quasi mille». Cosa ci riservate per il futuro? «In questo momento ci troviamo di fronte ad un bivio: da un lato c’è il personaggio che si è creato, quindi ci sono molte potenzialità ad esempio nel mondo della scuola con la possibilità di usare il robot per la didattica per i bambini o dal punto di vista dell’intrattenimento; mentre dall’altro c’è l’idea di creare una start up e di rivolgersi a diverse categorie di possibile utilizzo». Poommarobot è un’importante progetto nato in Campania e portato al di fuori dell’Italia, con un aspetto buffo e una miriade di possibili applicazioni. Il dott. Gaetano Saurio è riuscito a partire da un piccolo progetto per arrivare a qualcosa di totalmente inaspettato. Gli facciamo i nostri migliori auguri e vi invitiamo a cercare maggiori informazioni ai seguenti indirizzi: www.poommarobot.com www.facebook.com/poommarobot

Napoli è colma di tradizioni, segreti, storie, testimonianze o, come direbbe veracemente un napoletano, di “fatti” e il miracolo del Crocifisso col capo chino, che si trova nella Chiesa di Santa Maria del Carmine, a Piazza Mercato, è uno di questi. Questa storia risale proprio al 26 dicembre ma di 558 anni fa. Nel secolo XV era in atto la lotta tra Angioini e Aragonesi per il dominio di Napoli. Già dominava in Napoli Renato D’Angiò, il quale aveva collocato le sue artiglierie sul campanile del Carmine, trasformandolo in vera fortezza quando, Alfonso D’Aragona assediò la città. Il 17 ottobre 1439 il comandante dell’esercito Pietro di Castiglia fratello di Alfonso D’Aragona fece dar fuoco a una grossa bombardata detta la “Messinese”, la cui enorme palla di pietra, sfondata l’abside della Chiesa, andò a colpire il capo del Crocifisso ligneo che, per evitare il colpo, abbassò la testa sulla spalla destra, senza subire alcuna frattura e perdendo soltanto la corona di spine. La notizia del miracolo si diffuse rapidamente destando grande commozione. Alfonso ordinò al fratello di sospendere il bombardamento ma egli continuò dando di nuovo l’ordine di azionare la “Messinese”, ebbene, un colpo partito dal campanile del Carmine, dalla bombarda chiamata la “Pazza” lo decapitò togliendogli così la vita. Quando Re Alfonso il 2 giugno 1442 entrò trionfalmente in città, il suo primo pensiero fu di recarsi al Carmine per venerare il prodigioso Crocifisso e verificato quanto narrato volle restaurare il Crocifisso e donargli un sontuoso tabernacolo intagliato. Terminato dopo la morte del Re, il tabernacolo accolse il miracoloso Crocifisso il 26 dicembre 1459. Da quel momento la festa si celebra il 26 dicembre di ogni anno, sempre con grande partecipazione di fedeli che accorrono per vedere il miracoloso Crocefisso esposto soltanto 8 giorni l’anno al pubblico (dal 26 dicembre al 2 gennaio).



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Musica italiana all’estero di Valeria Vitale | valeriavitale18@gmail.com

La sensibilità di un artista di Monaco innamorato di Napoli di Giovanni Imperatrice | giovanni.impe@libero.it É approdato a Napoli circa due anni fa e ha saputo restringere in musica tutta la passione per una città sconosciuta e misteriosa. Grazie al prezioso contributo della Voolcano Harmonix, un’etichetta discografica napoletana che valorizza abstract e musica d’atmosfera. Stiamo parlando di un giovane ragazzo di Monaco di Baviera che è riuscito a mettere tutti d’accordo nell’underground musicale napoletano con i suoi principi musicali fatti di estrema pace e benessere civico grazie anche ad un lavoro particolare che lo ha portato ad un’estrema sensibilità verso il prossimo. Abbiamo chiesto a Tom: come definisci la tua musica? «La mia musica viene naturale. Anche se mi piace lavorare su progetti concettuali, la maggior parte del tempo produco senza pensare al risultato finale. Ecco perché non posso piazzarmi in nessun genere musicale. Per me è importante imprimere “il suono di Tom” in ogni progetto su cui sto lavorando. Quando qualcuno dice - ti ho riconosciuto in questa o quella canzone - lo prendo come un complimento». Oltre la musica qual è il tuo lavoro? «Ho studiato tutta la vita per insegnare ai bambini con handicap ed è questa una delle mie fonti di ispirazione. Lavoro part-time in una scuola di pomeriggio e spesso inizio a fare musica ascoltando quello che sento in quei posti. Lavoro anche come fotografo freelance ed ho fondato un collettivo artistico all'inizio di questo anno in cui creo tutti i tipi di cose, come le coperture in vinile, video e diversi progetti musicali». Cosa hai provato nel produrre il tuo ultimo album “All Over again” e che signi-

ficato ha rispetto alla figura della città di Napoli? «Come sempre ho cercato di fare dei passi in avanti musicalmente. Ho provato a dare un tocco unico con il modo in cui ho tagliato campioni vocali. Inoltre ho cercato di mantenere un ampio spettro di sentimenti che ho consegnato alle diverse tracce. Napoli è stata la casa più accogliente che io abbia mai conosciuto, All over again significa rifare tutto da capo ed è quello che sta succedendo a Napoli. Il significato personale di questo album riguarda quei momenti della vita in cui bisogna abbattere tutto e ricominciare, proprio come si fa nelle scuole dove insegno e aiuto i bambini. Quando sono arrivato sono stato accolto a braccia aperte dalla Voolcano record Harmonix e mi sono sentito subito a casa. Ho sicuramente trovato dei buoni amici e macchie di pizza dappertutto».

Si dice che le mode cambino, che l’arte si evolva e la musica non faccia eccezione: vari filoni musicali si susseguono nel tempo, nuovi modi di fare musica si impongono ai gusti del pubblico e sui mercati discografici internazionali. La melodia italiana e la musica napoletana in particolare, però, escono da questi schemi e sebbene il tempo passi, vantano un pubblico sempre numeroso e appassionato. In tutta l’Europa (e non solo) gli artisti italiani sono richiesti, amati, seguiti. Informare, proiettandosi con positività verso il nuovo anno, propone una testimonianza significativa di tutto questo, incontrando il musicista Carlo Russo, e partendo quindi dal territorio di Castel Volturno, dove l’artista risiede, per affrontare un discorso che si espande all’Europa intera. Inauguriamo il 2017 parlando di musica del e dal territorio, che varca i confini nazionali. «Sono conosciuto più all'estero che qui - esordisce Carlo Russo - da 10 anni vivo e suono in giro, il primo concerto in Russia è stato appunto nel 2006. Sono un cosmopolita, nato a Napoli, residente a Castel Volturno con metà famiglia milanese». Dell'esperienza in Russia, Ucraina e dintorni, racconta che c'è un pubblico fantastico, che si fa amare, che ama la musica profondamente, che non fa distinzioni tra artisti più o meno famosi. «É la bellezza del popolo russo - spiega - lì non c'è il giovanilismo né la fama a tutti i costi, anche ragazze di 18 anni si sono interessate alla mia musica, hanno comprato il disco. C'è una mentalità aperta che consente alle persone di ascoltare gli artisti senza alcun tipo di pregiudizio. È gratificante suonare in un’atmosfera del genere, e riempire i teatri, alla stregua di artisti italiani molto amati anche all’estero come Pupo, Albano, Celentano, Fogli». Carlo Russo si definisce un musicista rock, influenzato dai mostri sacri di questo genere, come Beatles, Rolling Stones, Led Zeppelin, ma molte sue canzoni le definisce pop/rock, dai testi plurilingue: «Scrivo in italiano, ma anche un po' in russo, inglese, qualcosa in spagnolo, e prossimamente napoletano». Si, perché dalle basi rock dalle quali parte, Carlo


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CARLO RUSSO da Castel Volturno all’est Europeo

sta approcciandosi ora alla canzone partenopea, che ama molto e sulla quale dice: «È amatissima e richiestissima in Russia, in Ucraina e finanche in Cina. Ho così deciso di incidere il mio primo disco in lingua napoletana, che uscirà probabilmente tra Febbraio e Marzo». Degli album passati ci racconta: «Quelli ufficiali sono 3: il primo, Sturm und Drang, peraltro ristampato quest’anno. Poi ci sono stati “Aspettando l’arcobaleno”, con il titolo anche trasposto in russo, e “Hypnotic trance meditation”, disco sperimentale di 16 brani, senza testi». Gli chiediamo qualcosa dei progetti futuri, oltre l'uscita dell'album in lingua napoletana: «Sarei felice di portare questo prossimo disco in tour in città come Kiev, Mosca e San Pietroburgo. Sarebbe una consacrazione per me in quei Paesi, verso cui nutro grande gratitudine. Ritornerò lì a Maggio, per 5 mesi». Auguriamo a Carlo Russo di riuscire in questo intento, e di rappresentare dunque ancora di più e meglio la musica italiana all'estero.

Carlo Russo

La Sonepar guarda al futuro di Mara Parretta | maraparretta@libero.it Per illustrare l’organizzazione nazionale della nuova struttura acquisti la Sonepar Italia, primo distributore di materiale elettrico in Italia, ha tenuto lo scorso mese presso l’hotel Vanvitelli di Caserta un importante convegno. All’evento erano presenti oltre 130 agenzie di rappresentanza e filiali di fornitori partner del materiale elettrico. Alla presenza del Responsabile nazionale dello sviluppo relazioni fornitori Marco Zambelli e del direttore della divisione Sud Giovanni Mazza, è stata mostrata la nuova struttura acquisti che prevede dei buyer unici, quindi nazionali, nelle varie linee di prodotto e delle figure locali che si occuperanno delle relazioni con i fornitori e che avranno il compito di salvaguardare e valorizzare la territorialità e la relazione con i partner del mercato elettrico. La nuova struttura sarà operativa dal 1° gennaio 2017 e la volontà dell’azienda è stata quella di condividere le proprie scelte organizzative con i partner che giorno dopo giorno sul territorio garantiscono il successo. Zambelli e Mazza hanno dichiarato che questa mostra è stata fondamentale per la valorizzazione della territorialità in quanto le agenzie di rappresentanza dei fornitori sono indispensabili per il mercato del business nel campo del materiale elettrico. Mazza ha inoltre affermato: «Questo permetterà all’azienda di essere sempre all’avanguardia e di operare in maniera sempre più efficiente velocizzando la percezione della volontà e dei bisogni dei clienti e cercando di soddisfarli sempre meglio con la propria offerta commerciale». Sonepar Italia è un’azienda unica a livello nazionale ma si presenta suddivisa in tre divisioni. Quella SUD comprende Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia; è presieduta da Giovanni Mazza e conta di ben 24 punti vendita. In merito, abbiamo intervistato il Responabile marketing della divisione sud Giuseppe La-

macchia. Come è strutturata in Campania l’azienda? «In Campania e Basilicata sono presenti 12 punti vendita. A Casoria vi è la sede principale mentre le restanti sono situate a Salerno, Casagiove, Avellino e Benevento e Potenza, quindi in tutti i capoluoghi di provincia e poi al di là di quest’ultimi anche a Nola, a Napoli, Castellammare di Stabia e Aversa». Cercate di dedicarvi ad altri mercati specialistici senza limitarvi esclusivamente al vostro core business? «Assolutamente sì. La Sonepar possiede una struttura formata da punti e reti vendita con vari responsabili e l’area manager che seguono il business e il mercato della distribuzione generalista affiancata da mercati specialistici che riflettono i maggiori trend in atto come l’automazione industriale, l’illuminazione e il comparto cavi. Abbiamo effettuato una collaborazione con la Federico II per portare avanti le attività formative nei confronti dei clienti e ci siamo anche aperti e dedicati al web con le vendite online che ricoprono il 10% del totale del fatturato del 2016. Per questo nei nostri prossimi progetti rientrano sia l’incremento delle vendite online e sia il miglioramento dei mercati specialistici». Quanto è cambiata la struttura del mercato con il subentrare delle vendite online? «Sicuramente è aumentata la competizione e la concorrenza perché attraverso il web il cliente riesce ad informarsi e a comparare notizie, prezzi e disponibilità autonomamente contribuendo a far smuovere e incrementare le vendite anche nei mercati di regioni in cui non sono presenti nostre filiali come Marche e Molise. Fortunatamente le vendite online per noi sono un punto di forza».


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Marek Hamsik Un anno straordinario per MH17 di Fabio Corsaro | Foto di Antonio Ocone Nello specchio del calciatore si riflette spesso l’immagine di un uomo infatuato della sua ricchezza milionaria, lontano (magari comprensibilmente) dalla comune quotidianità che rende loro idoli di massa ed esempi di una vita irraggiungibile. Il calcio è stato sempre uno sport manipolato dal potere economico delle società, ma con gli investimenti e l'apertura a mondi ricchissimi come quello arabo e cinese, il valore distintivo di “bandiera”, già ampiamente in forte declino, perde ulteriormente la sua importanza. Si rinuncia al blasone di una squadra per vedere impazzire i propri conti correnti. È pur vero che è il mercato a dettare le cifre dell'economia di un settore, in questo caso l’industria calcistica, ma sta di fatto, e per fortuna, che ancora in pochissimi non mettono in vendita i propri sentimenti. Di Riva, Maldini, Del Piero, Totti e Zanetti ne vedremo sempre meno, e a questo ci siamo rassegnati. Tra questi colossi del calcio mondiale si ritaglia senza dubbio uno spazio di rilievo Marek Hamsik, capitano del Napoli, nonché professionista ed uomo esemplare. La sua umanità e disponibilità la conoscono bene i cittadini di Pinetamare, una frazione di Castel Volturno, dove ha deciso di vivere, affezionandosi ad un popolo di cui è parte attiva per la rivalutazione e riqualificazione del territorio. Ne sono degli esempi la creazione di un campo di calcetto principalmente dedicato ai bambini della zona e le continue collaborazioni con l'associazione “I Love Pinetamare” di cui è membro. Le dimostrazioni del suo attaccamento a questa terra sono quotidiane. Ultimo di tanti piccoli gesti è stata la partecipazione al tuffo augurale nelle acque del litorale, organizzato ormai da cinque anni ogni Vigilia di Natale a Pinetamare. Marek è un cittadino qualunque che ha rinunciato al golfo più bello del mondo o alle colline di Posillipo per radicarsi tra le complessità di Castel Volturno. Vivere a Pinetamare, per lui, non è mai stata solo questione di comodità, trovandosi a poche centinaia di metri dal centro di allenamento del

Napoli; Marek crede fortemente in questo territorio, è attaccato a questa lingua di terra difficile ma dal potenziale meraviglioso. E la nascita di Melissa, sua terza figlia, alla Clinica Pineta Grande è un momento che iscrive Castel Volturno all'anagrafe della piccola Melissa e nel patrimonio genetico della famiglia Hamsik. Siamo di fronte anche ad un calciatore fortemente attaccato alla maglia, un esempio di bandiera che nel calcio è ormai in via d’estinzione, capace di rimanere sordo alle tante sirene che hanno provato a tentarlo negli anni nella speranza di portarlo via da Napoli. Cosa si aspetta, allora, per conferirgli la doppia cittadinanza onoraria e renderlo napoletano e castellano a tutti gli effetti?


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IL RECUPERO DEI CREDITI Per le piccole e medie imprese di Antonio Luise | antonio.luise@avvocatismcv.it Il recupero dei crediti è un’attività critica e particolarmente delicata per le imprese, spesso decisiva per la loro stessa sopravvivenza, tanto da spingere gli imprenditori stessi a dover compiere un preventivo ed efficace “filtro” sulla scelta del contraente per ridurre al minimo il rischio di ritrovarsi con crediti inesigibili. Prima della nascita del rapporto commerciale, sarà opportuno pertanto acquisire informazioni certe sulla stabilità e sulla reputazione economica del proprio partner e dei suoi soci ed amministratori. In via preliminare è opportuna per le imprese la redazione di contratti che garantiscano una certa facilità di accesso, in caso di insolvenza, alle

procedure di legge per il recupero dei crediti, senza ritardo ed in maniera tempestiva, escludendo inutili clausole arbitrali che si aggiungono a quelle esistenti per legge circa la media-conciliazione, spesso pregiudizievoli per i creditori anche se muniti di titolo esecutivo. Assume molta importanza, quindi, la fase stragiudiziale di recupero del credito, da strutturare ed ottimizzare al fine di ridurne i costi ed ottenere il risultato. Tutto ciò, andrà esperito già dall’interno dell’azienda creditrice, tramite efficaci ed incisivi solleciti ad urgenza “graduata” e mediante l’intervento di un legale il quale, a seguito dell’esaurimento di una prima fase bonaria, faccia sentire al debitore il peso della

sconvenienza, in termini di oneri e spese a suo carico, di un’azione giudiziaria. Le soluzioni da proporre sono molteplici: piani di rientro, riconoscimento del debito (ottima carta da giocarsi in sede giudiziale), piani a saldo e stralcio. In caso di fallimento, immediato ricorso all’azione di legge, anche per scongiurare pretestuose e dilatorie opposizioni da parte del debitore. Tale ultimo - estremo - tentativo, andrà esperito solo previa seria ed attenta analisi di solvibilità del debitore, la cui insolvenza totale potrebbe portare l’imprenditore a valutare la messa a “perdita” del credito evitando costi inutili e beneficiandone in termini di bilancio.

ROTTAMAZIONE DEI RUOLI Una mano tesa ai contribuenti in difficoltà di Giuseppe Scialla | g.scialla72@gmail.com

La Legge n. 225/2016 ha convertito il D.L. n. 193/2016 che prevede la nuova disciplina per la definizione agevolata dei carichi tributari e patrimoniali affidati agli agenti della riscossione. In sede di conversione in legge, il legislatore ha apportato numerose modifiche, tutte tese ad estendere la platea dei beneficiari e a consentire una maggiore comodità di pagamento. Nel dettaglio, la cd. “ROTTAMAZIONE DEI RUOLI” consente di pagare i debiti nei confronti dei concessionari della riscossione con un sostanzioso abbattimento degli importi. Quali debiti? Tutti quelli affidati agli Agenti della riscossione (es. EQUITALIA) dal 2000 al 2016 ad eccezione di: 1) le risorse proprie tradizionali previste dall'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, e l'imposta sul valore

aggiunto riscossa all'importazione; 2) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato; 3) i crediti derivanti da condanne della Corte dei conti; 4) le multe, le ammende e le sanzioni pecuniarie dovute a seguito di sentenze penali di condanna; 5) le altre sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti dagli enti previdenziali. In cosa consiste l'agevolazione? In pratica, per chi aderirà alla definizione agevolata, non saranno più dovuti gli importi relativi alle sole SANZIONI ed INTERESSI DI MORA (sono escluse le sanzioni amministrative per violazione del codice della strada per le quali è previsto l’abbattimento dei soli interessi di mora). Se pensiamo alle principali imposte come, ad esempio, l’IRPEF, l’IRES, l’IVA o l’IRAP la san-

AVVOCATO Antonio Luise esperto in: Diritto di famiglia Recupero crediti Consulenza contrattuale per privati ed imprese Infortunistica stradale Difesa del consumatore Per info 333-6338402

zione, a seconda della violazione commessa, può avere un importo che oscilla tra il 30% (omessi versamenti) e il 240% (dichiarazioni infedeli). È, pertanto, evidente il vantaggio di ricorrere a questa procedura se si hanno debiti erariali iscritti a ruolo. Come pagare Il pagamento può essere effettuato in un’unica soluzione o fino ad un massimo di 5 rate da Luglio 2017 a Settembre 2018. Tributi locali La definizione agevolata interesserà anche i tributi dovuti agli Enti Locali. Per esempio, l’ICI e l’IMU prevedono una sanzione per omesso versamento pari al 30% che potrà essere interamente abbattuta se il Comune a cui è dovuta deciderà di avvalersi di questa facoltà. Nel caso del Comune di Castel Volturno, che ha deciso di concedere questa possibilità ai propri contribuenti, entro il 31/01/2017 verrà approvato il relativo regolamento per l’applicazione della rottamazione dei propri ruoli.

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UN AUGURIO ALLA NEOLAUREATA

Lina Quadrano di La Redazione

LA NOTTE DEGLI OSCAR di Antonio Luise | antonio.luise@avvocatismcv.it

Il mese scorso una giovane di Castel Volturno Lina Quadrano ha conseguito la laurea in Infermieristica presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata con sede a Sora. Ha esposto la propria tesi in “Gestione infermieristica del paziente con trauma cranico”. La redazione di Informare e l’Associazione Centro Studi Officina Volturno, felici ed orgogliosi dell’importante traguardo raggiunto, si congratulano e porgono i più sinceri auguri a lei, i genitori Antonio e Maria e a tutta la sua famiglia per questo importante risultato raggiunto, agurandole di intraprendere un brillante percorso professionale.

Lina Quadrano

Data storica quella del 18 Dicembre per gli appassionati di basket dell'intera Campania, che hanno visto con i propri occhi il commosso e sentito ritorno di Oscar Schmidt al Palamaggiò, in occasione di una visita a Caserta. Durante il suo discorso, c’era anche chi piangeva, a testimonianza del ricordo che questo grande uomo ha lasciato nel cuore di tutti i casertani. Purtroppo il campione brasiliano non è stato l'unico al quale il 18 dicembre è stato steso il tappeto rosso, alla luce della magra figura sul campo da parte della squadra di casa, scarica nella testa e nelle gambe e vittima di una comprensibile perdita di fiato, tanto da concedere a Pesaro un’impensabile e facile vittoria. L’incredibile avvio di campionato ha esaltato la piazza, che ora inizia a preoccuparsi a seguito dell’ennesima sconfitta che le fa perdere purtroppo l’imbattibilità casalinga, in un mese di dicembre trascorso tra gioie e dolori. Il bicchiere, però, va senza dubbio visto mezzo pieno. Pertanto, in merito alle statuette di cui al titolo, proviamo a conferire in ogni caso le premiazioni della Academy per questo mese di dicembre, categoria per categoria. Miglior Film: nemmeno a dirlo, il ritorno di O' Rey, Mao Santa, ‘o Camion, il giocatore che segna e piange, il giocatore che mentre segna già pensa al canestro successivo (geniali definizioni di Bogdan Tanjevic, Miglior Regia di tutti i tempi, anch’egli graditissima presenza a sorpresa della cerimonia). L’uomo da 50.000 punti in carriera, record assoluto di tutti i tempi, inserito con gran merito nella celeberrima Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, ha tenuto banco prima durante e dopo la partita. Palazzo relativamente pieno, data la giornata bianconera che ha costretto anche gli abbonati ad acquistare il biglietto, la cerimonia di accoglienza e premiazione è stata toccante proprio grazie alle parole del campione brasiliano, oramai abituato a toccare le corde giuste anche grazie al suo nuovo mestiere di rappresentante del governo brasiliano per lo sport e di motivatore

per squadre sportive, aziende, professionisti. Il tumore al cervello non ne ha scalfito assolutamente l’intelligenza e l’entusiasmo, tanto da lasciarsi andare a rivelazioni sulle vere motivazioni e sui reali artefici del suo allontanamento da Caserta, nonostante un accordo contrattuale in essere. Insomma, tutt’altro che un lieto fine ed un legittimo sfogo, a parere di chi scrive, da parte sua. Miglior attore: senza dubbio Edgar Sosa. Trenta punti di media nell'ultimo mese e tanti assist, cui però sono corrisposte le peggiori prestazioni della squadra. Coincidenza? Miglior attore non protagonista: Mitchell Watt. Lungo atipico, gran bel giocatore di numeri e sostanza che potrebbe rendere ancora di più ed al quale l'allenatore dovrebbe riservare più fiato utilizzando meglio la panchina, inspiegabilmente trascurata durante i momenti topici della partita. Migliori effetti speciali: Raphiael Putney: nessuno lo conosceva ed a primo impatto è sembrato il sosia di Snoop Dogg. Esile e spaesato, 206 cm per 84 kg, si sposta anche se entra vento dal tunnel di ingresso del Palamaggiò. In campo però è una potenza, veloce ed esplosivo, spacca le partite nel bene e nel male. Deve imparare a gestirsi, devono imparare a gestirlo. Miglior esordiente: senza dubbio Marco Giuri. Sempre più affidabile, merita più campo e più fiducia, visto che Sosa è una guardia adattata al ruolo di play. Migliori costumi: le nuove maglie della Juvecaserta, finalmente liberate dall'assurda presenza del logo della fantomatica società rappresentata da fantomatici soggetti promittenti fantomatici bonifici (mai ricevuti). Si va avanti da soli, come sempre, con la speranza di un approdo alle Final Eight di Coppa Italia a Rimini, si cui ad agosto nessuno avrebbe scommesso, specie giornalisti ed addetti ai lavori. In conclusione, il solito invito: venite al Palamaggiò. È come quando al cinema danno un film del vostro regista o attore preferito: ne vale sempre la pena.




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