Copertina di Antonello Dell'Omo
Periodico edito dal "Centro Studi Officina Volturno"
ANNO XIX - NUMERO 218 - GIUGNO 2021
SCANSIONAMI
Giugno 2021
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Editoriale
di Antonio Casaccio
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l profitto cancella la memoria. Che l’Italia abbia difficoltà ad imparare dai suoi errori è un fatto notorio per chi vive quotidianamente le contraddizioni di questo Paese, particolarmente al Sud. Un paradosso che si eleva all’ennesima potenza quando si parla di soldi, di tanti soldi…facciamo 12 milioni di euro. Sì, perché è proprio questo il business stimato dai Carabinieri forestali per un’indagine che ci costringe ad aprire molte ferite. Parliamo delle oltre 150mila tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, idrocarburi ed altre sostanze inquinanti che sono stati sversati in diversi terreni agricoli; l’ennesimo affronto da parte di un business scellerato alla Salute pubblica. Ma arriviamo alla memoria. I fanghi in questione sono stati sversati in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna e la stampa nazionale, a differenza di quanto avvenuto nel Mezzogiorno, ha accolto questa vera e propria bomba che si sgancia sul Nord con l’ennesimo imbarazzante silenzio. Nessun termine coniato ad hoc, non un commento dai big media nazionali. Allora forse tocca, a chi ha subìto e pianto per l’avvelenamento delle proprie terre, ricordare quanto il business malato dei rifiuti provochi ferite che i dati non possono mostrare con la dovuta intensità. Ancora oggi, il Registro Tumori di Caserta segnala una valore significativamente maggiore per l’incidenza di leucemia nei maschi del comune di Casal di Principe, terra devastata dagli eco-criminali della camorra. Un dato
freddo che nasconde il dolore di una mortalità infantile considerata innaturale dai più grandi oncologi nazionali. Qui le persone continuano ad ammalarsi e morire di tumore. Oggi queste pagine di storia che continuiamo a scrivere col sangue vengono gettate nella spazzatura del silenzio mediatico e dall’indifferenza di chi venderebbe madre e figli per denaro e potere. Dal 2002 il lavoro di Informare si è concentrato nella costante denuncia dei crimini ambientali nel comune di Castel Volturno e limitrofi; un forte sentimento di partecipazione e un rigore morale necessario hanno fatto sì che sul territorio nascesse una sensibilità ambientale che si sarebbe trasformata in monitoraggio cittadino a difesa del territorio. I nostri fratelli settentrionali hanno ora nuove responsabilità di denuncia che passano da una costante attenzione per i propri comuni; il silenzio ha spesso compromesso la nostra terra e chi ha scelto di girarsi dall’altra parte è solo stato complice di un sistema che ha sparso morte incontrollata. Se la memoria ci insegna qualcosa è che il silenzio non paga e il nostro disinteresse è profitto per l’interesse di altri. Restare sui territori è ancora la prerogativa del nostro magazine ed è proprio in virtù di questa volontà che siamo orgogliosi di annunciare che da questo mese Informare avrà un supplemento di 16 pagine, molte delle quali dedicate esclusivamente a Castel Volturno. Approfondimenti, valorizzazione delle nostre eccellenze e realtà sociali diventano protagoniste di un magazine ancora più ricco. In questa realtà idealizzata dove i tuttologi esprimono giudizi sulla qualunque con brevi storie, occuparsi della propria terra con attenzione e memoria storica diviene un atto di resistenza, oltre che paradossalmente visionario.
ANNO XIX - NUMERO 218 - GIUGNO 2021 Periodico mensile fondato nel 2002 Registrato al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n° 678 Edito dal Centro Studi Officina Volturno Presidente Tommaso Morlando
Sede Operativa Piazza delle Feste, 19 Pinetamare - 81030 - Castel Volturno (CE)
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E-mail: redazione@informareonline.com IBAN: IT 83 V030 6974 8731 0000 0001 835 Direttore Responsabile
Hanno collaborato
Antonio Casaccio
Angelo Morlando Angelo Velardi Anna Copertino Antonio Casaccio Benedetta Calise Chiara Del Prete Chiara Gatti Clara Gesmundo Fabio Di Nunno Fernanda Esposito Francesco Cimmino Giorgia Scognamiglio Giovanni Iodice Giuseppe Spada Iolanda Caserta Joel Folda Lorenzo La Bella Lucrezia Varrella Ludovica Palumbo Luisa Del Prete Marika Fazzari Mina Grasso Nunzia Gargiulo Pasquale Di Sauro Rossella Schender Roberto Nicolucci Roberto Sorrentini Silvia De Martino Simone Cerciello Teresa Coscia
Caporedattore
Carmelina D'Aniello Vicedirettore
Luisa Del Prete Caporedattore web
Donato Di Stasio Rapporti Istituzionali
Antonio Di Lauro Responsabile scientifico
Angelo Morlando Responsabile legale
Fabio Russo Graphic Communications
Giancarlo Palmese Web master
Nicola Ponticelli
© 2021. È vietata la riproduzione (anche
SPECIALE FUKUSHIMA
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La nostra opinione sui documenti ufficiali
"Mio nonno è Michelangelo", molto più di una libreria
POLITICA
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SUPERBONUS 110%. L’imponente misura che va verso un’Italia green
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Gennaro Esposito: il cibo è un racconto e merita equilibrio
David di Donatello 2021: Cinema pandemico
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ascoltaci su Spotify! 36
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SPORT Circolo Canottieri Nesis: Alessandro Savarese e Davide Vivo, oro al meeting nazionale
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pubblicitari realizzati all'interno del magazine.
Stampa: Teraprint srl - www.teraprint.it Chiuso il: 31.05.2021 - Tiratura: 5.000 copie
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NOVITÀ PER CASTEL VOLTURNO
CINEMA
FUMETTO La storia di Napoli a fumetti Terza Puntata
Palmese GRAPHIC
CUCINA
ATTUALITÀ Tra cultura e pandemia: intervista al Prorettore Maffei
parziale) di testi, grafica, foto, immagini e spazi
CULTURA
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a questo mese Informare amplia il suo magazine di ben 16 pagine!
Ogni mese i lettori potranno sfogliare ben 11 pagine dedicate interamente a Castel Volturno, alla valorizzazione delle sue eccellenze (culturali e sociali), oltre che per denunciare ciò che non funziona. Approfondimenti e tante interviste sulle novità del comune castellano vi aspettano nelle ultime 11 pagine del magazine. Se vuoi portare alla nostra attenzione notizie sul territorio di Castel Volturno, invia una mail a redazione@informareonline.com
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COPERTINA
fukushima: la verità
Intervista esclusiva all'Ambasciatore giapponese Hiroshi OE di Antonio Casaccio e Angelo Morlando
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o scorso maggio, i big media italiani tuonavano contro una notizia a primo impatto sconvolgente: il Giappone ha deciso il rilascio in mare dell’acqua contaminata conservata nella centrale nucleare di Fukushima-1 Daiichi, dove in seguito allo tsunami dell’11 marzo 2011 si è avuto il peggiore incidente nucleare dopo Cernobyl. Davanti a questa titolazione tanti gruppi ambientalisti hanno fatto sentire la propria voce, pensando che potesse trattarsi di un attacco frontale all’ambiente marino. Chi segue il lavoro di Informare sa che da anni conduciamo inchieste giornalistiche contro i crimini ambientali, particolarmente per ciò che concerne le ecomafie, e di certo non potevamo restare inermi davanti ad una tale notizia. Così abbiamo approfondito, studiato e deciso di contattare l’Ambasciata giapponese in Italia per dei chiarimenti. Nel giro di poche settimane abbiamo ricevuto la conferma per un’intervista esclusiva all’Ambasciatore giapponese in Italia Hiroshi OE, un’occasione per far luce sulla questione e per approfondire temi interessanti come i prodotti provenienti dai territori vicini a Fukushima. Prima di passare all’intervista, teniamo a ringraziare l’Ambasciata giapponese per l’estrema disponibilità e per la cordiale accoglienza. Di seguito il testo integrale dell’intervista. La stampa italiana e internazionale ha riportato la notizia che le acque di raffreddamento della centrale nucleare di Fukushima saranno rilasciate in mare. Si parla di circa 1,25 milioni di tonnellate di liquido. La società Tepco (Tokyo Electric Power Company) che gestisce l’impianto garantisce che non vi saranno pericoli. Il premier giapponese Yoshihide Suga, avrebbe dichiarato che è 4
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« Il governo Giapponese ha deciso il
riversamento dell'acqua "trattata". L'importante è riversare l'acqua in modo sicuro rispettando le regole internazionali
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oramai una decisione inevitabile. I paesi stranieri confinanti, Cina, Corea del Sud e Taiwan, avrebbero espresso forti preoccupazioni su ciò che dovrebbe accadere. Di cosa parliamo in verità? «Il problema è che se ne parla basandosi su un’idea senza evidenze scientifiche appropriate. Di conseguenza, le popolazioni colpite subiscono i danni di immagine causati dalle informazioni scorrette riguardanti il loro territorio. Vorrei che si comprendessero bene gli scenari della questione. Innanzitutto, bisogna chiarire che il 13 aprile il governo giapponese ha deciso il riversamento dell’acqua “trattata” invece che dell’acqua “contaminata”. Bisognerebbe altresì capire che nelle centrali nucleari di tutto il mondo, non solo del Giappone, si generano le scorie radioattive, che vengono scaricate nell’oceano o nell’atmosfera, dopo essere state adeguatamente trattate soddisfacendo gli standard normativi di ogni Paese, e rispettan-
do le regole internazionali. So che in Italia tutti i reattori sono stati sospesi e il lavoro di smantellamento è in corso, ma nemmeno il vostro Paese è escluso dalla questione dello smaltimento delle scorie radioattive, dato che ha avuto diverse centrali sul proprio territorio che contenevano questo tipo di prodotti. L’importante è riversare l’acqua in modo sicuro rispettando le regole internazionali e tenendo conto dell’impatto sull’ambiente circostante. Il Giappone ha costantemente valutato metodi di smaltimento per 10 anni dopo l’incidente». Quali sono le effettive caratteristiche del liquido o dei liquidi immagazzinati? Viene a contatto con elementi nucleari? «Attualmente nei serbatoi sono custodite l’acqua piovana e le acque sotterranee che erano affluite nei reattori dell’incidente entrando in contatto con i materiali altamente radioattivi, e che sono passate nelle apparecchiature di rimozione. Il livello
di radioattività di queste acque nei serbatoi è stato abbassato in modo da non influire sull’ambiente circostante. Le acque non vengono scaricate così come sono, ma vengono purificate affinché soddisfino gli standard normativi e poi diluite notevolmente, almeno più di 100 volte prima di essere scaricate.». Quali sono le effettive quantità da scaricare e in quanto tempo? «Il 13 aprile il governo giapponese ha deciso il riversamento dell’“acqua trattata” della centrale nucleare di Fukushima Daiichi nell’oceano, ma questo è un processo che avrà inizio tra circa due anni. I tempi per riversare interamente l’acqua trattata non sono stati decisi precisamente e sono variabili dai 30 ai 40 anni. A febbraio di questo anno, la quantità totale dell’acqua trattata era stimata in 1,25 milioni di tonnellate e l’acqua aumenta di 50 o 60 mila tonnellate all’anno. Tra gli elementi, si è discusso molto sul trizio, che non può essere rimosso con le apparecchiature standard di rimozione. In Giappone questo elemento viene diluito fino a un quarantesimo dello standard nazionale (che corrisponde al livello di un settimo della linea guida dell’OMS per l’acqua potabile)». Quali interlocuzioni ha avuto il governo giapponese prima di questa scelta? «Prima di questa importante decisione, il governo giapponese è stato in continua comunicazione con l’Agenzia per l’Energia Nucleare (AEN) e con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). Ha accettato la missione di revisione dell’AIEA 16 volte e ha pubblicato i risultati. L’AIEA e l’AEN hanno rilasciato le dichiarazioni che riconoscono la decisione come un passo molto importante per lo smantellamento. Continueremo a collaborare con queste due agenzie per assicurare
costantemente un attento monitoraggio.». Ci spiega il tema riguardante i prodotti che vengono dalle aree di Fukushima? Sono più pericolosi degli altri? «Le aree colpite soffrono di una reputazione negativa (ndr "reputazione negativa" intesa come "danno di immagine"). Ad esempio, l’UE non ha ancora rimosso le restrizioni alle importazioni dei prodotti agricoli giapponesi dopo l’incidente. Anche tra i giapponesi, ci sono alcune persone che si astengono da acquistare i prodotti provenienti da “Fukushima” nonostante non ci siano evidenze scientifiche. Per questo, il prezzo dei prodotti di Fukushima è inferiore del 30% rispetto a quelli di altre regioni. Questo è il danno causato dalla reputazione negativa. I prodotti di Fukushima, invece, sono molto più esaminati e personalmente credo siano maggiormente sicuri degli altri prodotti. I prodotti di Fukushima sono distribuiti ai ristoranti, che non specificano la provenienza dei prodotti. Tuttavia, a causa della pandemia dal Covid-19, i ristoranti sono stati chiusi o gli orari di apertura sono ridotti. Questo ha comportato una diminuzione della domanda per i prodotti di Fukushima rendendo la situazione più difficile che mai. Il presidente dell’Organizzazione dei Pescatori Giapponesi ha già incontrato il Premier per esprimere opposizione allo scarico dell’acqua trattata, in quanto preoccupato che lo scarico nell’oceano dell’acqua trattata aumentasse maggiormente la reputazione negativa». Rispetto ad una veloce ed effi-
cace organizzazione sui test anti-covid, la campagna vaccinale in Giappone sembra partire in ritardo. Quali sono le difficoltà che sta riscontrando il Giappone nella campagna di immunizzazione? E come il governo giapponese vorrà risolvere questo stallo? «Purtroppo la percentuale dei vaccinati in Giappone è la più bassa tra i paesi OCSE. Le cause sono molteplici: poiché in Giappone non ci sono tanti contagi e morti come in Italia, è probabile che i giapponesi non fossero ben consapevoli dell’urgenza della vaccinazione. Se il nostro Paese avesse subìto danni come l’Italia, la popolazione sarebbe stata più consapevole della necessità di vaccinarsi dalle fasi più precedenti. Un’altra causa di questo rallentamento risiede nella preoccupazione dei giapponesi per gli effetti collaterali del vaccino, la quale era maggiore della necessità del vaccino stesso. Devo dire che adesso stiamo accelerando, ma siamo ancora in ritardo rispetto ai Paesi UE». Approverete altri vaccini oltre Pfizer? «Il governo giapponese ha approvato anche Moderna e Astrazeneca il 21 maggio, però il Giappone, a sua volta, aveva un suo iter di approvazione ed eravamo in ritardo di alcuni mesi rispetto agli altri Paesi. Il nostro popolo è prudente e cauto, ad esempio prima di iniziare la campagna vaccinale abbiamo fatto ripetutamente delle simulazioni di quanto potrebbe verificarsi nel caso in cui ci sia l’urgenza di portare in ospedale dei pazienti che manifestino effetti collaterali». Ma presto si arriverà ad un’acce-
Da sx Angelo Morlando, Hiroshi OE e Antonio Casaccio
lerazione, giusto? «Il Giappone rispetta l’eguaglianza. Pensavo che la campagna di immunizzazione partisse da grandi centri come Tokyo o Osaka, in cui il contagio si è diffuso, ma il governo giapponese ha deciso di intraprendere la campagna dopo che i vaccini sono stati distribuiti a tutto il Paese, inclusi i piccoli comuni. Per questo la campagna è iniziata in ritardo. È un atteggiamento tipico giapponese: l’inizio è lento, ma poi gradualmente diventerà veloce. La vaccinazione agli operatori sanitari sta avanzando e ora inizieremo con gli anziani. Mi aspetto che acceleri prima o poi». Quale caratteristica ha maggiormente apprezzato dell’Italia durante questo primo anno trascorso nel nostro Paese? «Sono rimasto impressionato da una cosa riguardante il Covid-19. Quando sono aumentati i casi l’anno scorso, il vostro Paese ha affrontato questa tragedia con forza unendo tutta la popolazione. Nel marzo dell’anno scorso
l’Italia aveva carenza di medici e operatori sanitari, così ha pubblicato un bando per richiamare i medici andati in pensione; sono stato sorpreso nel sentire che sono state presentate 20 volte più domande di quelle previste. Mi ha inoltre commosso la volontà di tutti i medici che hanno partecipato anche rischiando di contagiarsi maggiormente e in modo più grave. C’è sicuramente un atteggiamento differente nei confronti del nuovo coronavirus tra gli italiani e i giapponesi. Un interessante sondaggio chiedeva se il contagio da covid-19 fosse imputabile alla propria responsabilità, e il numero dei giapponesi che ha risposto che era colpa propria, era superiore a quello degli italiani. Questo pensiero è alla base del comportamento cauto dei giapponesi. Di conseguenza, il contagio non si è diffuso tanto quanto in Italia. D’altro canto però il pensiero ha generato una discriminazione contro le persone contagiate in Giappone. La valutazione dei differenti atteggiamenti tra i due Paesi è pertanto difficile, tuttavia la campagna vaccinale sta procedendo in Italia e spero che non aumentino i contagi come accaduto a seguito delle vacanze estive dell’anno scorso. Un altro aspetto affascinante degli italiani riguarda la loro affettuosità e socievolezza, qualità che non si possono trovare in altri paesi. Vivendo in Italia, sento l’affettuosità degli italiani». Prima di chiudere l’intervista volevamo esprimerle profondo apprezzamento per il concerto organizzato dall’Ambasciata giapponese in Italia a dieci anni dal terremoto di Fukushima… «È stato un concerto per far trasmettere il nostro pensiero alle aree colpite, dopo 10 anni dal terremoto». Giugno 2021
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SPECIALE FUKUSHIMA
di Angelo Morlando
La nostra opinione sui documenti ufficiali
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Abbiamo già strappato un ulteriore invito all’ambasciatore giapponese per il prossimo settembre, in modo da aggiornavi e informarvi nel tempo più breve possibile
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remessa. Abbiamo confrontato più fonti giornalistiche e poi abbiamo acquisito i documenti ufficiali, sia dal sito ufficiale del governo del Giappone, sia del sito ufficiale della società Tepco (Tokyo Electric Power Company conosciuta meglio come Tōden) che gestisce la centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Alla data del presente articolo abbiamo basato la nostra opinione sui seguenti documenti che riteniamo attinenti all’argomento: 1) Nome file: “be_alps.pdf” – Titolo tradotto: “Politica di base sulla gestione dell’acqua trattata con metodologia ALPS presso la centrale nucleare di Fukushima Daiichi della Tokyo Electric Power Company Holdings” – Autore: Il Consiglio interministeriale del governo del Giappone per le questioni relative alle acque contaminate, alle acque trattate e allo smantellamento - data: 13 aprile 2021. 2) Nome file: “210416e0101.pdf” – Titolo tradotto: “L’azione di TEPCO Holdings in risposta alla Politica del governo sulla gestione delle acque trattate con metodologia ALPS – allegato 1” – Autore: TEPCO - data: 16 aprile 2021. 3) Nome file: “210416e0102.pdf” – Titolo tradotto: “L’azione di TEPCO Holdings in risposta alla Po6
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litica del governo sulla gestione delle acque trattate con metodologia ALPS – allegato 2” – Autore: TEPCO - data: 16 aprile 2021 - ultima correzione: 19 aprile 2021. Il termine “ALPS” è l’acronimo di “Advanced Liquid Processing System”, cioè “Sistema avanzato di trattamento dei liquidi”. Il termine “NPS” è l’acronimo di “Nuclear Power Station”, cioè “Centrale Nucleare”. Sintesi del documento ufficiale: quale è la politica del Governo giapponese? Realizzare sia la ricostruzione che lo smantellamento “Negli anni successivi all’incidente alla centrale, le aree dove è stato revocato l’ordine di evacuazione si stanno progressivamente allargando. Anche nelle aree originariamente designate come zone di difficile recupero subito dopo l’incidente, si osservano i primi segni di ricostruzione. Gli sforzi delle persone delle aree colpite stanno iniziando a dare i loro frutti, poiché la quantità di esportazioni di prodotti agricoli di Fukushima nell’esercizio 2019 si è ripresa, raggiungendo livelli record e superando quella prima dell’incidente. D’altra parte, restano le
conseguenze negative dei danni d’immagine che colpiscono soprattutto i settori dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca e del turismo. Il governo del Giappone continuerà a farsi carico di dare priorità alla rivitalizzazione e alla ricostruzione dal disastro nucleare in modo costante e graduale”. “Al fine di ottenere sia la ricostruzione che lo smantellamento, la TEPCO ha compiuto continui sforzi di smantellamento sistematico per ridurre i rischi associati ai materiali radioattivi, per proteggere la gente del posto, i lavoratori e l’ambiente circostante”. “Nel processo di disattivazione la TEPCO rispetta le leggi e i regolamenti correlati, la legge sulla regolamentazione dei reattori e adotta anche misure per ridurre i rischi associati al materiale radioattivo al minimo, in base al principio ALARA1 (principio del minimo rischio possibile) raccomandato dalla Commissione internazionale per la protezione radiologica (ICRP)”. Nota 1 - Il principio ALARA (As Low As Reasonably Achieizable) è il principio raccomandato dall’ICRP, che ogni dose di esposizione dovrebbe essere mantenuta il più ragionevolmente bassa possibile,
considerando i fattori sociali ed economici. “Sono state prese misure per ridurre la quantità di acqua contaminata utilizzando approcci multistrato inclusa la costruzione e funzionamento dei sotto-drenaggi2 e dei muri impermeabili lato terra (muri di terreno ghiacciato). L’acqua viene immagazzinata nei serbatoi solo dopo che i materiali radioattivi sono stati rimossi al massimo utilizzando il sistema avanzato di rimozione multi-nuclidi (ALPS) e altri sistemi in sequenza“. “In futuro, inizieranno le attività di disattivazione essenziali e più impegnative, come la rimozione dei combustibili dalle piscine di combustibile esaurito delle unità 1 e 2 e il recupero dei detriti di combustibile. La situazione attuale in cui i serbatoi e le loro tubazioni occupano aree sempre più ampie del sito, può diventare un collo di bottiglia critico nei futuri lavori di smantellamento, a meno che la loro collocazione non venga rivista”. “La sola esistenza dei serbatoi è causa di impatti negativi sull’immagine dell’area e il rischio di perdite e altri rischi dovuti al deterioramento o a un ulteriore di-
sastro possono aumentare se si perpetua la conservazione a lungo termine. Ad esempio, il terremoto verificatosi nell’offshore della prefettura di Fukushima il 13 febbraio 2021 (intensità sismica massima di 6,0 superiore sulla scala giapponese) ha causato uno spostamento nella posizione di alcuni serbatoi nel sito e sono state adottate misure come la sostituzione di alcune tubazioni. Sebbene il terremoto non abbia causato alcun impatto al di fuori del sito poiché non si sono verificati né il collasso dei serbatoi né perdite su larga scala, c’è stato un certo disagio tra i cittadini a causa di un certo grado di insufficienza riguardo al modo in cui le informazioni sono state fornite ai residenti locali e ai media”. “Il 16 marzo 2021, l’Autorità di regolamentazione nucleare (NRA) ha divulgato il riepilogo degli incidenti di perdita parziale della funzione dell’attrezzatura di protezione del materiale nucleare presso la centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa della TEPCO. Alla luce del verificarsi di tali incidenti e delle critiche causate dopo la fornitura insufficiente di informazioni dopo i recenti terremoti, il governo e la TEPCO dovrebbero accettare sinceramente che c’è una crescente preoccupazione che viene loro rivolta più che mai”. Lo studio dell’acqua già immagazzinata “Per più di sei anni, la gestione dell’acqua immagazzinata nei serbatoi è stata studiata in modo completo dagli esperti della Tritiated Water Task Force e del Sottocomitato per la gestione delle acque trattate con sistema ALPS… Il rapporto pubblicato nel febbraio 2020, ha valutato le cinque opzioni che sono state considerate tecnicamente fattibili: iniezione nella geosfera, scarico in mare, rilascio di vapore, rilascio di idrogeno e sepoltura sotterranea… Il rapporto ha valutato anche un’opzione di conservazione a lungo termine. Il rapporto ha concluso che lo spazio aggiuntivo per l’installazione di più serbatoi di quanti attualmente già previsti, è limitato… Si è anche concluso che espandere le dimensioni dei serbatoi avrebbe scarsi vantaggi, in quanto il guadagno marginale di capacità rispetto alla superficie è limitato, inoltre sarebbe necessario un periodo più lungo per l’installazione e l’ispezione delle eventuali perdite. Il rapporto ha concluso che lo stoccaggio all’esterno del sito di Fukushima Daiichi NPS non sarebbe fattibi-
le… e che l’area del sito esistente di Fukushima Daiichi NPS deve essere utilizzata al fine di procedere alla disattivazione in modo sicuro e costante”. “Il rapporto ha raccomandato come migliore il trattamento dell’acqua con dispositivi come il sistema ALPS in modo che i materiali radioattivi diversi dal trizio4 soddisfino sicuramente gli standard normativi per la sicurezza5. Nella relazione… lo scarico in mare è il metodo di attuazione più affidabile”. Nota 4 - Il trizio è un materiale radioattivo relativo all’idrogeno (radioisotopo) che emette radiazioni deboli. Il trizio esiste in natura nell’acqua piovana, nell’acqua di mare, nell’acqua del rubinetto e in altri materiali. È difficile rimuovere il trizio attraverso le ALPS. Il trizio viene scaricato dagli impianti nucleari in ogni paese operativo. Sebbene ci siano alcune strutture da cui la quantità annuale di trizio viene scaricata supera la quantità totale di trizio immagazzinata nell’NPS di Fukushima Daiichi, nessun esempio di impatto attribuibile al trizio è stato comunemente visto tra gli impianti nucleari. Nota 5 - Per i materiali radioattivi diversi dal trizio, la concentrazione sarà inferiore agli standard normativi per lo scarico di rifiuti radioattivi liquidi nell’ambiente previsti nell’ordinanza basata sulla legge sul regolamento sui reattori, prima della diluizione. “L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) ha riconosciuto la conclusione del rapporto come “basata su basi scientifiche e tecniche””. Descrizione generale del trattamento dell’acqua trattata con tecnologia ALPS “L’AIEA ha dichiarato che gli scarichi controllati in mare sono “abitualmente utilizzati dalle centrali nucleari e dagli impianti per il ciclo del combustibile, sia in Giappone che nel mondo” ed è “tecnicamente fattibile e consentirebbe il raggiungimento dell’obiettivo temporale” (il rapporto citato è stato pubblicato nell’aprile 2020. Abbiamo verificato il documento AIEA e le dichiarazioni ufficiali. che risultano veritiere). Direttive per la diluizione degli scarichi nell’oceano “TEPCO deve rispettare gli standard normativi stipulati nel Reactors Regulation Act che è stato stabilito sulla base delle raccomandazioni dell’ICRP per garantire la sicurezza dei cittadini e dell’ambiente circostante dal trizio e da altri radionuclidi”. “Il governo richiede che TEPCO
risponda rapidamente con un risarcimento6 che fornirà una rete di sicurezza in caso di danni all’immagine”. Nota 6 - TEPCO implementerà come parte del risarcimento per l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi. “Il Giappone, in qualità di membro responsabile della comunità internazionale, ha fornito in modo proattivo informazioni ai paesi di interesse e alla comunità internazionale, comprese le organizzazioni internazionali, in modo altamente trasparente, fornendo informazioni correlate all’AIEA”. Descrizione specifica della diluizione dello scarico nell’oceano delle acque trattate dal sistema ALPS “L’acqua nei serbatoi dovrebbe essere controllata come materiale radioattivo. Il governo richiede che TEPCO proceda con i preparativi concreti come la costruzione di strutture per lo scarico e altri lavori, per avviare lo scarico delle acque trattate dal sistema ALPS in mare, tra circa due anni”. Lo scarico in mare dell’acqua trattata viene effettuato dopo aver diluito sufficientemente la stessa… gli standard normativi per la sicurezza, saranno confermati e divulgati, impegnandosi con terze parti esperti che hanno esperienza nell’analisi dei materiali radioattivi. La concentrazione media di trizio dovrebbe essere la stessa dell’obiettivo operativo, cioè inferiore a 1.500 Bq / litro-acqua7. Per raggiungere la concentrazione obiettivo di trizio, prima dello scarico in mare, l’acqua trattata dal sistema ALPS deve essere sufficientemente diluita (più di 100 volte8) con acqua di mare. Anche i materiali radioattivi diversi dal trizio verranno diluiti in modo significativo9.” Nota 7 – Il valore di 1.500 Bq/l è circa 1/40 del valore standard normativo per il trizio e circa 1/7 delle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per il valore della qualità dell’acqua potabile. Nota 8 - La concentrazione di trizio nell’acqua immagazzinata nei serbatoi è compresa tra circa 0,15 milioni di Bq/l e 2,5 milioni di Bq/l (media pesata 0,73 Bq/l). Per ottenere la concentrazione di trizio di 1.500 Bq/l, l’acqua trattata sarà diluita tra 100 e 1.700 volte (media pesata di 500 volte). Nota 9 - Diluendo l’acqua trattata ALPS, più di 100 volte, la somma dei rapporti per il trizio diverso sarà inferiore a 0,01. “La quantità totale annua di trizio da scaricare sarà a un livello
inferiore al valore obiettivo operativo10 per lo scarico di trizio dell’NPS di Fukushima Daiichi prima dell’incidente (22 trilioni di Bq/anno)”. Nota 10 - Valore obiettivo al momento del funzionamento che è fissato per ciascuna centrale nucleare ed è notevolmente inferiore allo standard normativo. “Oltre a queste misure, il governo e la TEPCO rafforzeranno e miglioreranno il monitoraggio prima e dopo lo scarico mediante il monitoraggio nelle zone di pesca, nelle spiagge balneabili e in altre aree”. “Lo scarico in mare sarà condotto in piccola quantità nella fase iniziale, confermando gli impatti sull’ambiente circostante”. “Tenendo conto delle preoccupazioni nazionali e internazionali circa il potenziale impatto sull’ambiente dello scarico in mare, il governo e la TEPCO hanno condotto già una valutazione degli impatti11”. Nota 11 - Il risultato della valutazione è stato ottenuto utilizzando il metodo del Comitato scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle radiazioni atomiche (UNSCEAR) che garantisce un impatto associato allo scarico dell’acqua trattata estremamente basso rispetto all’impatto delle radiazioni naturali esistenti in Giappone e pari a 2,1mSv/anno.
C
onclusioni. La posizione del governo giapponese è chiara: non è possibile aumentare ancora l’area di accumulo delle acque decontaminate, anche perché sussiste ancora un forte rischio di nuovi terremoti e/o tsunami. La soluzione attualmente individuata è quella della diluizione delle acque già trattate con acqua di mare, disperdendole nell’oceano antistante le coste giapponesi, ma con una programmazione attenta e un monitoraggio continuo. I tempi sono ancora lunghi (almeno due anni prima di iniziare una prima fase sperimentale fortemente monitorata) ma abbiamo già strappato un ulteriore invito all’ambasciatore giapponese per il prossimo settembre, in modo da aggiornavi e informarvi nel tempo più breve possibile. Abbiamo approfondito anche altre fonti, ma al momento, le abbiamo ritenute tutte poco affidabili, perché citano documenti ormai superati o addirittura non documentate. La questione è molto seria e va affrontata in unico modo a noi possibile: con le regole affidabili e credibili del giornalismo scientifico. Giugno 2021
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MILANO
NAPOLI
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NEW YORK
L EGALITÀ
di Giorgia Scognamiglio
Acerra nella morsa dei rifiuti… e degli impianti
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Una zona di sacrificio condita e ripiena che si prospetta rimanere tale ancora a lungo
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essuna mappa, nessuna traccia sul terreno. È bastato scavare qualche fossa qua e là per trovare tutt’altro che un tesoro: guaine, calcinacci, plastiche, amianto, fanghi di depurazione. L’anima nera del territorio di Acerra riaffiora ogni qual volta una ruspa addenta, scava e solleva. Le scorie sono state riportate alla luce più volte lungo le strade principali della zona industriale ASI. Il sospetto di una bomba ecologica fa rumore, forse troppo poco, laddove già trent’anni prima, la polizia di Stato sequestrò una discarica di veleni - mai bonificata - che percorreva per 2 km il tratto di fognatura tra l’ex-Montefibre e il depuratore di Caivano. Siamo ad Acerra, nel secondo comune per grandezza e densità abitativa della Regione Campania, un tempo tra le zone più fertili della regione e oggi fulcro della Terra dei fuochi. A pochi chilometri dal centro abitato, non appena il paesaggio si fa rurale, sorge la zona industriale, realizzata tra il 2002 e il 2007 per ospitare un’ottantina di aziende. Negli stessi anni, iniziava il processo a carico dei fratelli Pellini, particolarmente a loro agio nell’area industriale, di cui avevano da subito scoperto le potenzialità per lo smaltimento illecito dei rifiuti, grazie anche al sostegno di esponenti della pubblica amministrazione e membri delle forze dell’ordine. Nell’area industriale si trova gran parte degli impianti
per il trattamento e lo stoccaggio dei rifiuti situati sul territorio acerrano. Il comune ne ospita attualmente 14, tra impianti di stoccaggio, recupero materia, messa in riserva e autodemolizione. Per rendere l’idea della pressione ambientale esercitata sul comune, è inevitabile prendere in considerazione alcuni numeri. In tutta la Campania, secondo i dati Ispra, si producono ogni anno circa 2.500.000 t di rifiuti urbani. Di questi, il 53% viene riciclato, mentre gran parte dei rifiuti restanti (ciò che non viene mandato all’estero) viene spedita direttamente al maxi-inceneritore di Acerra, tra i più grandi di Europa, che lavora a pieno ritmo dal 2009 e incenerisce non meno di 700.000 t/a di scarti, producendo circa 150.000 t di ceneri e scorie da smaltire senza tracciabilità certa. Le scorie prodotte dall’inceneritore fanno parte dei rifiuti speciali (industriali, artigianali, agricoli o derivanti dal trattamento di rifiuti urbani e delle acque reflue). In tutta la Campania ne vengono prodotti 6.800.000 t non pericolosi e circa 300.000 t pericolosi, che dovrebbero essere trattati nei vari impianti (mal) distribuiti sul territorio regionale.
Complessivamente, gli impianti situati ad Acerra sono in grado di trattare 3.843.230 tonnellate l’anno (t/a) di rifiuti - di cui oltre 370 mila t di rifiuti speciali pericolosi. Se si guarda poi ai dati sui siti potenzialmente contaminati dell’Arpac - che si contraddistinguono per la pericolosità e quantità degli inquinanti presenti – vengono fuori altri impianti (autorizzati e non), adesso inattivi, ma in attesa di essere bonificati, alcuni dei quali appartenenti proprio alle aziende di smaltimento dei fratelli Pellini. Complessivamente ne sono 60 tra impianti di trattamento e stoccaggio, attività produttive, discariche abusive e spandimento di rifiuti sul suolo, andando a coprire una superficie di oltre 1.637.555 mq, gran parte all’interno e/o nei dintorni dell’ASI. Non sarà certo una coincidenza se nell’ambito della classificazione dei terreni agricoli dell’Arpac, realizzata dopo lo scandalo “Terra dei fuochi”, ad Acerra sono ben 67.944 i mq di terreno agricolo con divieto di produzioni agroalimentari e silvo-pastorali sui 300.847 totali individuati in Campania, (il 23%). Un quadro inquietante che rende Acerra un perfetto esempio di
“ingiustizia ambientale”, ovvero di iniqua distribuzione degli oneri e dei rischi, soprattutto nella consapevolezza dei danni in termini di impatto sanitario. Nonostante i moniti dell’Istituto Superiore di Sanità riguardo l’esigenza di bonificare i suoli, delle bonifiche non si vede ombra, ma in fondo, meglio prendersi del tempo se serve a evitare che anche dei lavori di bonifica si occupino le imprese sbagliate. Non solo, sono in dirittura d’arrivo ad Acerra due progetti, per i quali i comitati ambientalisti hanno potuto fare ben poco: l’ampliamento dell’inceneritore e la localizzazione di un nuovo impianto nella zona ASI per la produzione di biometano. Se è vero, come dicono, che in Campania non ci sono abbastanza impianti a causa dell’effetto NIMBY (“Not In My Back Yard”: non nel mio cortile), quindi delle proteste popolari, è anche vero che inspiegabilmente nel territorio di Acerra il dissenso della popolazione non ha avuto alcun effetto sul processo decisionale che l’ha trasformata nel più grande polo regionale dei rifiuti. Una “zona di sacrificio”, condita e ripiena, che si prospetta rimanere tale ancora a lungo. Giugno 2021
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P OLITICA
di Antonio Casaccio
SUPERBONUS 110% L'imponente misura che va verso un'Italia green
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uperbonus, per tanti una possibilità concreta, ma per alcuni cittadini questa parola risulta ancora misteriosa e le accuse sono sempre le stesse: “troppa burocrazia”, “sotto c’è l’inganno”, “impossibile che lo Stato mi rifaccia casa gratis”. Insomma, questa misura paga un deficit comunicativo non indifferente, ma bisogna approfondire oltre gli slogan per comprendere la potente natura di questa legge che ha smosso il mercato delle costruzioni in Italia, superando addirittura i livelli pre-covid. Il Superbonus 110%, introdotto dal “Decreto Rilancio”, è una misura di incentivazione che si suddivide in due tipologie di interventi: il Super Ecobonus che agevola i lavori di efficientamento energetico; il Super Sismabonus che incentiva quelli di adeguamento antisismico. L’incentivo consiste in una detrazione del 110% dalle spese sostenute e in Italia sono tanti i professionisti a lavoro su questo imponente incentivo. Questa breve introduzione non riuscirà a sciogliere i nodi di coloro che guardano con diffidenza a tale provvedimento, per questo abbiamo coinvolto il senatore Agostino Santillo (M5S), ingegnere e soprattutto esperto del Superbonus, intervenuto a Giugliano durante una conferenza specifica sulla misura, a cui ha preso parte la senatrice Mariolina Castellone e il deputato Salvatore Micillo. Senatore Santillo, cos’è davvero il Superbonus? «Una cosa dev’essere chiara: non è assolutamente vero che in Italia i cittadini possono “rifarsi casa” a costo zero. Non bisogna perdere di vista il reale motivo per cui è stato pensato il Superbonus: il riconoscimento in un determinato periodo temporale, dal luglio 2020 al 30 giugno 2022, di determinate spese per il miglioramento antisismico e per l’efficientamento energetico, con il potenziamento di almeno due classi energetiche. La prima questione formale da comprendere è che il Superbonus fa riferimento
Da sx Salvatore Micillo, Mariolina Castellone e Agostino Santillo
alla spesa sostenibile, non all’intero intervento realizzato. Quindi, non è importante chiudere i lavori entro il termine x, ma effettuare la spesa entro quella specifica data. Il Movimento ha proposto con forza questa misura perché dopo questa pesante crisi economica, sociale e sanitaria, c’era bisogno di mettere in campo un intervento che toccasse il mercato edilizio. Dobbiamo pensare che questa misura ha un indotto pari a 4, quindi per ogni euro speso il tessuto economico-territoriale riceve un beneficio di 4 euro; questo perché abbiamo un patrimonio urbanistico-edilizio davvero storicizzato e non solo, utilizziamo anche materiale antiquato come il tufo. Dare la possibilità ai cittadini di realizzare lavori importanti a costo zero significa andare nella direzione giusta per un rilancio reale». Parliamo degli interventi da poter realizzare.
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Quali sono e cosa intendiamo per interventi “trainanti e trainati”? «Gli interventi “trainanti” sono quelli principali che ci permettono poi di effettuare gli interventi “trainati”. Semplicemente: se facciamo l’efficientamento energetico bisogna effettuare o l’isolamento termico o la sostituzione dell’impianto di riscaldamento centralizzato, tra questi interventi “trainanti” c’è anche l’adeguamento antisismico. Se realizziamo uno di questi lavori, anche per gli interventi “trainati” (sostituzione degli infissi, colonnina di ricarica, pannello fotovoltaico ecc.) è riconosciuto il Superbonus 110%. Ovviamente ci sono dei massimali, i quali si sommano se faccio interventi “trainanti” di efficientamento energetico e miglioramento antisismico; all’interno dei massimali sono inclusi IVA e spese tecniche».
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Agostino Santillo
Qual è stato l’obbiettivo del legislatore? «Il Superbonus non è un contributo, ma una detrazione fiscale. L’obbiettivo principale del legislatore era quello di riconoscere, a fronte dei lavori fatti, il 110%, ovvero il 10% in più del costo sostenuto dei lavori sotto forma di detrazione fiscale in 5 anni». Chi vi può accedere? «Questa misura ha insito un forte sentimento di giustizia sociale: al Superbonus 110% si può accedere indipendentemente dal reddito della persona, anche chi ha Isee pari a 0 può accedere». Quindi anche colui che abita in un condominio e non ha una pronta disponibilità di denaro può usufruire del Superbonus 110%? «Se abita in un condominio e quest’ultimo riesce a trovare un general contractor, o piuttosto una banca o posta o assicurazione o un grande imprenditore, che si occupa dei lavori acquisendo il credito d’imposta con detrazione fiscale al 110%, allora quel cittadino si troverà lavori effettuati a costo zero». In quali modalità può avvenire l’acquisizione del credito d’imposta? «Posso trovare un’impresa che fa lo sconto fattura: esegue i lavori, emette fattura con uno sconto del 100% e successivamente sarà la stessa impresa a vedersi riconosciuto nei confronti dello Stato il 110% dei lavori effettuati sotto forma di credito d’imposta. Quindi la mia detrazione fiscale si trasforma in credito d’imposta per l’impresa. Diversamente da questa soluzione, posso trovare un operatore economico (banca, posta etc.) che paga i miei lavori e che si vedrà riconosciuto il 110% in 5 anni. L’esempio che utilizzo speso per rendere maggiormente comprensibile la questione: il marito che compra il credito d’imposta per i lavori fatti in casa dalla moglie, ovviamente quando sono in regime di divisione dei beni». Quali i benefici per chi approfitta del Superbonus? «I benefici sono due: fare i lavori a costo zero e un peso minore della bolletta energetica. Se un cittadino ha efficientato energicamente il proprio fabbricato ha ovviamente una riduzione di spesa delle bollette. Abbiamo, inoltre, un beneficio generalizzato per l’ambiente perché se le nostre bollette sono meno care significa che stiamo consumando meno fonti fossili e
primarie. E poi c’è la questione riguardante il miglioramento sismico. L’Italia è tra le aree con maggior rischio sismico al mondo, pensate che il terremoto costa al nostro Paese ben 3,4 miliardi di euro all’anno da 20 anni a questa parte; anche quando il terremoto non c’è noi paghiamo un costo elevatissimo, con questa misura potremmo risparmiare in 20 anni ben 70 miliardi di euro». Insomma…un’occasione importante «A questa misura sono destinati ben 18 miliardi e vedo che molti cantieri stanno partendo in tutta Italia. I condomini sono partiti in ritardo a causa di problematiche spesso banali, anche solo per il verbale d’assemblea condominiale o perché un condomino ha una veranda “troppo grande”. L’occasione è importante, pensate che è una misura riconosciuta e apprezzata anche dall’Associazione dei proprietari immobiliari di tutta Europa. Artigiani e imprese europee vorrebbero nei loro paesi questa misura, che purtroppo non stanno concedendo». Con Il Decreto Legge n.59 dello scorso 6 maggio ci sono stati alcuni cambiamenti. Quali? «Abbiamo migliorato alcuni meccanismi, oggi la proroga è riconosciuta al 30 giugno 2022 per gli edifici unifamiliari; al 31 dicembre 2022 per gli edifici plurifamiliari (da 2 a 4 abitazioni) e per i condomini, indipendentemente dallo stato di avanzamento lavori; al 30 giugno 2023 per gli IACP (Istituto Autonomo Case Popolari), se questi ultimi hanno fatto entro quel termine il 60% dei lavori è riconosciuto il Superbonus fino al 31 dicembre 2023. Insomma: ci siamo già al 2023. Il nostro obbiettivo ora è garantire a tutti come termine il 31 dicembre 2023» Purtroppo le amministrazioni comunali non sono sempre efficienti ed anche un accesso agli atti diventa un’odissea. Cosa risponde? «I titoli che occorrevano, a livello comunale, per fare un lavoro di manutenzione straordinaria della facciata, o di abbattimento e ricostruzione di un fabbricato, sono gli stessi che servono per il Superbonus. Purtroppo i nostri territori scontano anni in cui la pianificazione territoriale ha tardato a dare gli strumenti necessari ai cittadini per costruire la casa dei propri sogni, così tanti hanno sopperito a questa mancanza anticipando la pianificazione. Molti l’hanno fatto in maniera esagerata ed abusiva, lì c’è poco da fare, ma è chiaro che chi ha chiesto una sanatoria deve assolutamente ottenere una risposta dal comune. Se il comune non rilascia le sanatoria è una sua responsabilità, non del Superbonus! Questo dev’essere uno stimolo per il comune ad accelerare le pratiche in sanatoria. In questa direzione abbiamo destinato risorse alle amministrazioni comunali per l’intercettazione di personale dedito a dare risposte ai cittadini». I dubbi dei tecnici si focalizzano soprattutto sull’eventuale responsabilità civile o penale derivante da abusi non dichiarati dal cliente… «Per i tecnici che asseverano le difformità dei condomini è importante aggiungere: non si rileva la difformità urbanistica all’interno della proprietà del condomino se il tecnico sta asseverando il 110% come intervento trainante sulle parti comuni. Cosa significa? In pratica se sono chiamato come tecnico e l’edificio è conforme urbanisticamente, ma
c’è una persona che sulla parte comune ha un abuso, il tecnico non è responsabile dell’abuso della singola unità abitativa sulla parte privata». Cosa migliorare nel futuro? «Vogliamo semplificare. Si dice “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”, ma col Decreto Semplificazioni dovrebbe essere riconosciuto il provvedimento della CILA (Comunicazione di inizio lavori asseverata) per ogni tipo di intervento del Superbonus, anche per abbattimento e ricostruzione. Tendo a precisare che entro 30 giorni il Genio civile è obbligato a darci risposta con l’autorizzazione sismica, sono orgoglioso di ciò perché questo è possibile grazie ad un mio emendamento. Vogliamo ampliare il Superbonus ad interventi di riuso, recupero e riciclo delle acque, agli interventi di bonifica dall’amianto così come alla diagnostica sismica, energetica e finalmente il riconoscimento per l’amministratore di condominio di una percentuale in funzione del posto di lavoro». Il Superbonus è una misura che ci sarà in eterno? «Noi vorremmo immolarci anche fino al 31 dicembre 2025, però dev’essere chiaro che prima o poi questa misura finirà. Per le casse dello Stato non è possibile sostenere per sempre questa misura. Dobbiamo approfittare di questa grande occasione che sta portando risultati unici in Europa e nel mondo: in Italia il mercato delle costruzioni è tornato addirittura a livello superiori del periodo pre-covid». La misura è ambiziosa, ma la documentazione necessaria è folta… «Il Superbonus si ottiene facilmente, ma la procedura è motivatamente complessa. Lo Stato sta dando soldi non sotto forma di contribuzione, ma con il meccanismo della detrazione fiscale che diventa credito d’imposta cedibile e, attenzione, “n volte” cedibile. Lo Stato si fide del cittadino e gli offre questa possibilità di detrazione, ma ognuno deve dimostrare che realmente hai eseguito quei lavori». Qual è il suo consiglio per chi decide di accedere al Superbonus? «Il Superbonus, dopo l’ex Cassa per il Mezzogiorno, è uno strumento attraverso cui lo Stato sta riempiendo di denaro pubblico il Paese, questo necessita un patto chiaro. Non si può pensare di camuffare anche piccoli abusi, non è accettabile e a queste persone chiedo di farsi da parte. Per tutti gli altri consiglio di affidarsi ad esperti di fiducia e conoscitori della procedura».
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A TTUALITÀ
Raffaele Cecoro: «Caserta dev’essere protagonista del Superbonus»
ordine degli architetti pianificatori paesaggisti conservatori della provincia di caserta
di Antonio Casaccio
Il presidente dell’Ordine degli Architetti di Caserta interviene sulla nuova misura
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l Superbonus 110% è una misura che ha inevitabilmente impattato su determinate categorie professionali, tra le prime di sicuro quella degli architetti. Il Nord sembra restare avanti per numero di cantieri aperti, ma già tanti professionisti del Mezzogiorno sono a lavoro per sfruttare l’occasione della detrazione al 110% per lavori di efficientamento energetico e non solo. A tal proposito desta particolare interesse la situazione della provincia di Caserta e non potevamo ottenere un feedback più approfondito che dal presidente dell’Ordine degli Architetti di Caserta, Raffaele Cecoro. Qual è il giudizio che la vostra categoria professionale riserva per il Superbonus 110%? «Il giudizio complessivo sull'iniziativa non può essere che positivo, è senza dubbio il più importante intervento nel settore edile negli ultimi decenni. Purtroppo ci sono molte cose ancora da affinare, la norma e le ambiguità interpretative sono ancora troppe. Detto questo è innegabile che il DL 77/2020 rappresenti oggi un volano per l'intero comparto edile». Come ha impattato in termini occupazionali sulla vostra categoria? «L'impatto in termini occupazionali è evidente, ad oggi un'elevata percentuale dei colleghi è impegnata in attività legate al Superbonus, sia direttamente con progetti di efficientamento energetico/adeguamento sismico sia indirettamente perché alle prese con sanatorie legate a difformità o abusi edilizi presenti. Il grosso del lavoro non si è ancora concretizzato per via della forte burocratizzazione con cui ci confrontiamo quotidianamente, ma si stima che entro la fine dell'anno il 70% dei progetti possa concretizzarsi in lavori edili. In sintesi posso affermare che il Superbonus ha portato una boccata di ossigeno, in un periodo di forte flessione, per tutti i professionisti del
settore tecnico». Cos’è migliorato dopo l’interlocuzione del Governo con i vari ordini professionali? «Guardi penso che ad oggi solo una minima parte delle proposte fatte dagli Ordini professionali territoriali e nazionali sia stata presa in considerazione dal Governo. In Italia purtroppo tra la politica ed il mondo professionale esiste un muro difficilmente superabile. Gli ordini professionali potrebbero dare una mano per trasformare “un'occasione persa” in un qualcosa di davvero “funzionale” e “funzionante”». A suo parere cosa ci sarebbe ancora da migliorare nella misura contenuta nella legge 77/2020? «Di cose da migliorare ce n’è sarebbero molte. Prima di tutto bisogna agire su un generale snellimento dell'iter autorizzativo previsto attraverso una semplificazione intelligente, inoltre è indispensabile una proroga a lungo termine oltre che una revisione del Superbonus sotto diversi aspetti, sarebbe inoltre interessante creare un credito agevolato per permettere a tutti di usufruire della misura. La proroga dovrebbe essere estesa almeno al 2025, semplificando ed allargando l’accesso al Superbonus e definendo la platea degli interventi in maniera sistematica, ma meno netta.
Sarebbe interessante la costituzione di un fondo di garanzia per il credito a tasso agevolato a famiglie e imprese che realizzano gli interventi, cosa tra l'altro già fatta in altre nazioni». Crede che l’area casertana riuscirà ad essere protagonista dei benefici di questa misura? «I presupposti ci sono tutti, il nodo centrale è capire che il Superbonus è un'occasione per mettere in sicurezza, riqualificare ed efficientare il nostro patrimonio edilizio e non vederlo come un business in cui infilarsi per lucrare in maniera spropositata. Purtroppo devo dire che mi giungono segnalazioni di vario genere che non mi rendono tranquillo. In alcuni casi si è disposti a tutto per un buon profitto, confido nei controlli a tappeto. Sono comunque convinto che la nostra provincia possa essere protagonista, siamo una terra in cui le capacità imprenditoriali e degli artigiani del settore edile sono sempre state un fiore all'occhiello». Il Superbonus rappresenta davvero un’occasione da non perdere oppure non riuscirà a favorire occupazione, crescita e decoro? «È assolutamente un'occasione da non perdere e che già oggi sta producendo occupazione e crescita economica, i cantieri partiti con questa misura aumentano in maniera esponenziale man mano che passano i mesi, ma bisogna evidenziare che rispetto alle aspettative iniziali siamo molto indietro. Il Superbonus deve essere un’occasione vera per ridurre consumi energetici, emissioni e al contempo le disuguaglianze sociali, rendendolo uno strumento di facile utilizzo soprattutto da parte delle fasce di popolazione più povere e disagiate, per alimentare un circuito virtuoso che aiuti a qualificare il mercato e a sostenere il futuro green delle costruzioni, per alimentare buona occupazione, stabile, di qualità, altamente professionalizzata».
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A TTUALITÀ
di Luisa Del Prete
Tra cultura e pandemia: la risposta delle Università italiane Intervista al Pro Rettore Luigi Maffei dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
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Italia è la penultima nazione in Europa, ultima la Romania, per numero di laureati: questo il dato allarmante che risulta dall’analisi di dati territoriali. Un tasso sempre più elevato di abbandono precoce degli studi e un fortissimo svantaggio per le donne e per chi vive nel Mezzogiorno e che diventa più grave se si pensa che meno del 50% dei neodiplomati, in alcune regioni italiane, è iscritto al primo anno di Università. La popolazione residente nel Sud Italia è meno istruita rispetto a quella nel Centro-Nord: poco più della metà degli adulti ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore e nemmeno uno su sei ha raggiunto un titolo di laurea (al Centro oltre i due terzi è almeno diplomato e quasi uno su quattro ha conseguito la laurea). Una situazione che, confrontata con altri paesi europei come, ad esempio, il Lussemburgo con una percentuale di laureati che supera il 56%, fa riflettere e soprattutto fa capire quanto l’Università, in Italia, sia ancora un qualcosa di “nicchia”. Per non parlare del dato della “fuga dei giovani” che decidono di andare in nazioni diverse per motivi di studio in quanto vedono nell’andare all’estero, una
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più grande opportunità di crescita sia culturale che professionale. Inoltre, da un anno a questa parte, data la situazione pandemica, le Università italiane sono entrate in un periodo di forti cambiamenti. Cambiamenti dettati soprattutto dal fatto che molte Università italiane non erano pronte alla nuova modalità alla quale ci si è dovuti adattare ovvero quella telematica. Lezioni, esami, ricevimenti, confronti tra studenti che dagli studi dei professori o le aule di una sede universitaria, sono state trasferite su varie piattaforme che prima erano sconosciute, o quasi, alla maggior parte degli studenti che frequentavano un’Università in presenza. Modalità alla quale non è stato semplice adattarsi e che ancora oggi crea disagio (assenza di connessione stabile, dispositivi tecnologici non adeguati etc…) nelle azioni che sono diventate quotidiane come il
seguire lezioni o il sostenere degli esami tramite piattaforme online. Per questo abbiamo intervistato il Pro Rettore all’Innovazione Informatica e Tecnologica dell’Ateneo dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, Luigi Maffei, in merito ai cambiamenti e alle nuove modalità che sono state abbracciate dall’Università in presenza a causa della crisi pandemica. Qual è stato l’impatto con il lockdown di marzo 2020? «L’Università della Campania ha subito attivato la piattaforma informatica per riuscire a trasferire tutte le attività in presenza su questa piattaforma, cosa che hanno fatto anche tutte le altre Università. Ovviamente si è trattato di un si-
stema legato strettamente a ciò che accadeva in quel momento storico e quindi anche con bassa esperienza iniziale sia dei docenti che degli stessi studenti, però in un tempo molto rapido siamo riusciti a metterci in linea. La risposta è stata ottima, considerando la rapidità». Quali sono state le sinergie impiegate per adattarsi alle nuove modalità? «L’ateneo ha delle strutture organizzative molto precise: ci sono vari delegati (alla didattica, all’informatica etc..), presidenti di corsi di laurea, direttori di dipartimenti, rappresentanti degli studenti, prorettori e rettore. E l’organizzazione è riuscita grazie alla ricerca, da parte di queste figure e avvenuta in meno di due settimane, di piattaforme che abbiamo adoperato per garantire il miglior tipo di didattica agli studenti e che ancora oggi continuiamo a cercare per dare un livello sempre più alto». Pro e contro di questo uso di mezzi telematici? «La domanda è difficile, ma bisogna fare una premessa: noi siamo Università
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Il contatto umano è indispensabile e bisogna riprenderlo subito perché non è possibile immaginare un'Università organizzata sempre in questo modo
in presenza, quindi il contatto umano è indispensabile e bisogna riprenderlo subito perché non è possibile immaginare un’Università organizzata sempre in questo modo. Perché poi non sarebbe neanche un’Università telematica che invece funziona sempre in questo modo ed ha un altro tipo di organizzazione. Dunque, queste lezioni in diretta sono state fatte per coprire questa difficoltà legata al Covid. Uno dei fattori positivi è che sicuramente, per alcuni corsi di laurea, c’è la necessità di interfacciarsi con l’esterno, con altre realtà e con docenti che sono in Italia o dall’altra parte del mondo. Questa è un’opportunità perché queste persone, senza difficoltà, possono essere contattate ed invitate in riunioni telematiche per arricchire il contenuto dei diversi corsi ed è sicuramente una cosa che resterà anche dopo. Un altro fattore positivo, alla quale si sta già lavorando anche prima del Covid ma che adesso diventerà di gran lunga più applicabile, è quello di avere la possibilità per chi non può partecipare ad alcune
Il Prorettore Luigi Maffei
lezioni per diversi motivi, nell’ambito delle ore che si può assentare dal corso, di avere a disposizione dei mezzi informatici in cui queste lezioni, in maniera sincrona o asincrona, possono essere impartite. Quindi questa sarà una piccola rivoluzione della didattica post-Covid». Come hanno risposto gli studenti? «Gli studenti hanno risposto molto bene, anche perché è una generazione di giovani “nata” con la tecnologia per cui sono stati bravissimi. Ci sono stati dei problemi logistici da sottolineare poiché non tutti erano attrezzati con apparecchiature idonee o avevano accesso ad una rete stabile. All’inizio c’è stata una ricerca per una soluzione migliore, ma non abbiamo avuto particolari segnalazioni sotto questo aspetto e quando è successo, siamo intervenuti in maniera precisa». C’è stato un incremento o una diminuzione del numero di iscritti per l’anno accademico 2020/2021? «C’è stato sicuramente un incremento in quelle facoltà che perdevano un po’ di studenti legati alla mobilità nazionale. Sul fenomeno della diminuzione
legata a fattori economici, l’Università ha messo azioni in campo per cercare di evitarlo. Il bilancio è stato abbastanza positivo per l’Università. Bisogna mantenere il trend e vedere che cosa succede. Non si è avuta alcuna diminuzione, né si sono avvantaggiate le Università telematiche che hanno proprio un altro target ed un’altra organizzazione». Qual è stato il piano per la riapertura e quanto è stato possibile seguirlo? «Per quanto riguarda le riaperture, noi riapriamo il 27 maggio in presenza e verranno seguire tutte le norme e le distanze. Oltre che per le lezioni, che termineranno a breve, è stata data un’organizzazione fondamentale per quelle che saranno le attività principali della sessione estiva: esami e sedute di laurea. L’esame online è difficile da sostenere, sia per lo studente che per il docente, ed è proprio la sintesi di tutto il lavoro e c’è una necessità di avere una presenza. Per quanto riguarda le riaperture del primo piano, ad inizio dello scorso semestre di quest’anno accademico, non è stata facile la gestione. Metà delle persone erano in aula e metà online: una cosa semplice da dire, ma nel concreto
non lo era. Non è facile sia per quelli in aula che per quelli lontani che si sentono un po’ esclusi, anche se tutte le aule sono state attrezzate con i microfoni ambientali per cui il docente si può muovere, varie telecamere. La mia visione però non è questa, bisogna arrivare ad altre forme, aumentando la presenza in Università con numeri più piccoli ed il docente, magari, ripete più volte il corso nell’arco della settimana a gruppi diversi. Bisogna rivedere l’organizzazione. Infatti, per il prossimo semestre, ci si sta organizzando in modo tale da evitare quanto più possibile la gestione su entrambi i fronti in contemporanea». Come avete vissuto il rapporto con le istituzioni e i vari decreti? «Non solo il settore dell’Università, bensì tutti i settori si sono ritrovati a dover cambiare organizzazione non per divertimento, ma perché le situazioni cambiavano velocemente ed il Governo centrale dava indicazioni contrastanti rispetto a quelle precedenti. Non ci sono state difficoltà, anche perché le indicazioni erano precise; forse l’unica di queste è quella di portare queste tecnologie come strumento e nello stesso tempo convincere tutti che è, appunto, uno “strumento”. Nel senso che non vorrei che l’Università avesse perso, attraverso questo anno e più di distacco, questa forza che invece aveva prima: la presenza, gli studenti, la voglia di venire in sede e così via. Questo deve rinascere soprattutto nel corpo docenti, in tutti gli amministrativi, che devono comprendere che tutte le forme di “smart working” saranno, poi, una temporaneità. E, ovviamente, negli studenti anche se credo che, in quel caso, sarà più semplice perché si avverte questa voglia di voler ritornare».
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A TTUALITÀ
di Luisa Del Prete
La cultura classica in declino La Howard University cancella la facoltà di studi classici
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a Howard University di Washington DC, autentica Università americana storicamente nera e aperta a tutti senza distinzione di sesso, religione e razza, chiude la facoltà di studi classici. Il college, nel corso degli anni, è stato frequentato dalla vicepresidente degli Stati Uniti d’America, Kamala Harris, da Toni Morrison, la prima afroamericana a vincere il premio Nobel per la letteratura nel 1993, e da Thurgood Marshall, primo afroamericano a diventare Giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America. L’Università, in un comunicato, afferma: «La Howard University ha deciso di chiudere il Dipartimento dei Classici come parte dei suoi sforzi di prioritarizzazione e sta attualmente negoziando con la facoltà e con altre unità del college su come meglio riposizionare e riutilizzare i nostri programmi e il personale. Queste discussioni si sono svolte in un clima cordiale, e la facoltà rimane fiduciosa che il dipartimento possa essere mantenuto intatto a un certo livello, con la sua facoltà e i suoi programmi». Una disposizione che accende gli animi dei più grandi studiosi contemporanei, come ad esempio l’intervento del filosofo Cornel West e di Jeremy Tate al Washington Post, i quali tuonano contro questa decisione dicendo che è un grave errore cancellare questo scambio culturale per i crimini dell’Occidente che, a quanto pare nella cultura afroamericana, sono diventati così centrali che è diventato difficile vedere quel che di buono l’Occidente ha da offrire. Affermano che questa è una “catastrofe spirituale”: trascurare o disprezzare i classici è un segno di declino morale e ristrettezza intellettuale di vedute. Ricordano come i classici siano alla radice della formazione di eroi della lotta per i diritti civili dei neri, da Frederick Douglass che leggeva di nascosto Cicerone e Omero a Martin Luther King che da ragazzino in seminario si innamorò dei classici greci e 16
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I classici ci insegnano a prestare attenzione alle cose che contano e a distoglierla da ciò che è superficiale
nella sua “Lettera dal carcere di Birmingham”, testo sacro dell’antirazzismo, cita per tre volte Socrate. La lunga marcia delle grandi Università americane verso l’abolizione degli studi classici greci e latini, è iniziata negli anni Ottanta e fu definita dal filosofo conservatore Allan Bloom come “la chiusura della mente americana” in quanto, in nome del politically correct, si sta eliminando una cultura che è fondata da grandi pensatori e creatori di dialogo, e che invece vengono classificati, dalle opere di Omero a quelle di Platone, da Catullo a Cicerone, come pericolosi “dead white ma-
les” (uomini bianchi morti) teorici della “supremazia bianca” sulle altre razze. Tutto ciò viene visto dall’Europa con sconforto, mentre gli accademici americani tendono a pronunciarsi poco o ad astenersi per non essere accusati di collaborazionismo con quelli che vengono visti come antichi suprematisti bianchi, fautori di schiavitù e patriarcato. Proprio per questo motivo, da cancellare al più presto dai vari curricula accademici, venendo rimpiazzati da autori esplicitamente antirazzisti. A schierarsi a favore dell’abolizione dei classici in altri atenei USA, è lo storico Dan-el Padilla Peralta, professore associato di classici all’Università Princeton che ricerca ed insegna “la Repubblica Romana e il primo Impero”, nonché la ricezione classica nelle culture americane e latinoamericane contemporanee.
Egli, considerato uno dei migliori classicisti della nuova generazione, spera che questo campo muoia al più presto e che greci e romani siano abbattuti dai loro piedistalli anche a costo di distruggere la disciplina, affermando di non voler avere più niente a che fare per com’è stata finora insegnata. Dalla letteratura al cinema, dall’eliminazione delle statue di Cristoforo Colombo alla cancellazione degli studi classici: una vera e propria tabula rasa della cultura occidentale, volendo forzatamente eliminare quelle che sono le origini di una cultura, identificando i fautori del pensiero come i classici greci e latini, come invece dei suprematisti bianchi. I classici ci insegnano a vivere in modo più intenso, più critico, più compassionevole; a imparare a prestare attenzione alle cose che contano e distogliere la nostra attenzione da ciò che è superficiale.
L EGALITÀ
di Antonio Casaccio
LO SPORTELLO DI SOLIDARIETÀ È UNA SOLUZIONE CONCRETA La Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane e il suo impegno nell’assistenza alle vittime del giogo mafioso
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a memoria è impegno. Abbiamo l’impegno di ricordare ogni vittima delle mafie, continuando ad essere testimoni di un messaggio di legalità che deve partire dai territori distrutti dalla criminalità organizzata. Per questo il 16 maggio, la FAI (Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane), Istituzioni e cittadini si sono ritrovati a Baia Verde per ricordare Domenico Noviello, imprenditore di Castel Volturno ucciso da 22 proiettili della camorra casalese. Il ricordo di quel è ben impresso nella memoria dei figli di Domenico, p r o p r i o Massimiliano Da sx: il Com. Patrizio La Spada, questore Antonio Borrelli, Noviello, oggi Tano Grasso e Luigi Ferrucci presidente FAI Castel Volturno, ha ricordato: «La rabbia è tanta e ti Una iniziativa resa possibile dagli investimenti fai mille domande. del PON Sicurezza e dal sostegno del Ministero Ti chiedi il perché dell’Interno e del Commissario antiracket Mimma e Massimiliano Noviello di quella morte che continua tutt'ora adeguandosi ai tempi: assurda, cosa dal mese di maggio 2020 è operativo anche aveva fatto mio lo "Sportello di Solidarietà Online", un nuovo padre per meritare una morte così violenta? In di Solidarietà, attivato servizio che consente di essere ascoltati subito FEDERAZIONE seguito venni a sapere che vennero esplosi oltre per la regione in videoconferenza, eliminando tempi e costi DELLE ASSOCIAZIONI ventidue colpi d’arma da fuoco per uccidere un Campania. di spostamenti. In tal modo la FAI intende ANTIRACKET E ANTIUSURA ITALIANE singolo individuo. Lo “Sportello di essere vicino ed ascoltare utenti in difficoltà da Quando vidi quel corpo avevo due opzioni: Solidarietà” vuole tutte le parti del Paese, in modo da valutare le chiudermi in me stesso o cercare di offrire alle vittime migliori strategie e iniziative al fine di aiutare trasformare il mio dolore in forza e questa d’estorsione e d’usura una nuova possibilità di chi si sente senza speranza. rabbia in impegno, quello che fanno la maggior assistenza. Le leggi n.44/99 e n.108/96 assicurano agli parte delle vittime di mafia. Tano Grasso mi Le associazioni antiracket dalla loro nascita operatori che denunciano il risarcimento degli diede l’opportunità di dare una mano e un hanno incoraggiato le vittime a denunciare eventuali danni subiti in conseguenza della aiuto a chi si trova in difficoltà, quell’aiuto che assicurando loro una tutela soprattutto in sede resistenza ai reati e alla collaborazione con le tanto avremmo voluto ricevere all’epoca. Prima giudiziaria e in riferimento ai problemi della forze dell’ordine e l’autorità giudiziaria. eravamo solo dei familiari di vittime, oggi come sicurezza personale. Nel corso degli anni si Il provvedimento risarcitorio (mutuo per presidente della FAI di Castel Volturno abbiamo è ben compreso che questo intervento non è le vittime d’usura e elargizione per quelle iniziato un percorso. Da pochi imprenditori più sufficiente per assicurare a chi denuncia d’estorsione) interviene però solo sugli abbiamo iniziato a dare testimonianze e a sia una inalterata qualità della vita sia la aspetti strettamente economici della vita creare alleanze». redditività dell’azienda: l’ottenimento di questi dell’imprenditore e dell’azienda. Ed è questo il vero spirito che fa la differenza risultati è una condizione indispensabile per Molto spesso, purtroppo, il sostegno contro il pizzo e l’usura; la scelta di coraggio incoraggiare altri imprenditori a denunciare economico non è sufficiente a favorire il pieno nell’impegnarsi a offrire sostegno e assistenza a loro volta e, quindi, a rendere più incisiva recupero dell’azienda o il reinserimento della per coloro che quotidianamente sono soffocati la lotta a racket e usura. In particolare, alle vittima nell’attività legale. Per queste ragioni dalla criminalità. Lo ribadisce lo stesso Luigi vittime d’usura e ai soggetti sovra indebitati, lo Sportello di Solidarietà può rappresentare Ferrucci, presidente nazionale FAI, che perché l’aiuto sia credibile, occorre offrire una decisiva risposta a favore dei bisogni delle ribadisce quanto nella sua esperienza sia stato ulteriori servizi per la soluzione dei gravi vittime, sostenendole anche dal punto di vista importante non essere da solo, ma sostenuto problemi economici e finanziari, per affrontare psicologico e nella gestione delle problematiche da Tano Grasso e dal movimento antiracket. le situazioni di crisi delle loro piccole aziende, aziendali connesse agli eventi subiti. Oggi le cose sono cambiate e gli imprenditori per sostenere relazioni sociali e familiari a volte minacciati possono scegliere di non isolarsi compromesse, e così via. Quindi, se sei un operatore economico e sei e stare in silenzio, ma di richiedere un aiuto A partire dal tentativo di dare una risposta sotto minaccia mafiosa non esitare a contattare professionale fondato sull’esperienza di chi a queste esigenze lo Sportello rappresenta la FAI al numero 081 551 95 55 o alla mail ha riconquistato la propria libertà contro le un salto di qualità nelle strategie d’aiuto segreteria@antiracket.it. mafie. Infatti, gli operatori economici possono sperimentate dal movimento antiracket e Fissa un incontro con i professionisti della FAI contare sull’impegno della FAI e dello Sportello antiusura in oltre trenta anni di attività. per non restare solo: insieme possiamo!
FAI
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E STERI
di Arab_ita
«LA MIA INFANZIA IN PALESTINA»
La docente universitaria Souzan Fatayer racconta il suo passato e l’attuale scenario
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Eravamo diventati le vittime di coloro che hanno subìto il nazismo
Souzan Fatayer
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n seguito alla recente escalation di violenza nella striscia di Gaza, l’atavica questione israelo-palestinese ha richiamato a sé l’attenzione dei media. Durante gli ultimi giorni di Ramadan, la notifica di sfratto ricevuta da 28 famiglie palestinesi residenti nel quartiere di Sheykh Jarrah e le conseguenti mobilitazioni, hanno riaperto una ferita mai rimarginata. Si potrebbe far risalire l’origine del conflitto al 1948, anno della “nakba”, in cui vi fu l’espulsione del popolo palestinese dalla propria terra. Negli anni seguenti, la Lega Araba tentò, militarmente e diplomaticamente, di costituire uno stato palestinese autonomo. A nulla valsero gli sforzi per trovare una soluzione bipartisan e, ad oggi, dopo 74 anni da quell’infausto evento, il popolo palestinese continua a essere privato dei propri diritti fondamentali. Alla luce degli attuali eventi, la docente italo-palestinese Souzan Fatayer ci dà testimonianza della propria infanzia a Nablus, illustrando in che modo si è arrivati fino alla situazione odierna. Quali sono i suoi ricordi di infanzia in Palestina? «Non ho mai vissuto un’infanzia libera, ma solo l’occupazione israeliana. Ricordo che nel ‘76 i palestinesi manifestarono pacificamente contro l’occupazione che li soffocava, ma nonostante ciò, i militari aprirono il fuoco sulla 18
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folla e inseguirono i ragazzi con i loro bulldozer. In quell’occasione, la prima vittima fu la giovane Lina Al-Nabulsi e, da quel momento, gli israeliani non hanno mai smesso di uccidere. Ricordo che una volta i soldati fecero scendere mio padre e lo costrinsero a cancellare una scritta sul muro contro gli israeliani. Lo misero a terra, con le mani dietro la schiena e gli schiacciavano la testa sull’asfalto coi loro anfibi. Potrei raccontare tanti altri episodi ben peggiori, ma purtroppo questa è l’occupazione e può capirla solo chi l’ha vissuta. Io stessa non capivo l’Olocausto finché non visitai i campi di concentramento e in quel momento scoppiai a piangere, comprenden-
do che eravamo diventati le vittime di coloro che hanno subito il nazismo». Dopo il ‘48 l’ONU ha cercato di spartire il territorio attraverso varie risoluzioni. Cosa non ha funzionato? «Israele è l’unico paese al mondo a non aver mai rispettato alcuna risoluzione dell’ONU, tanto che oggi controlla il 75% di tutto il territorio, lasciando ai palestinesi solo due aree scollegate tra loro. L’unico difetto che riconosco nella nostra politica d’amministrazione è stato quello di aver creduto in un processo di pace che non è stato mai davvero realizzato. Secondo il diritto internazionale, quando un paese occupa militarmente un altro, ne deve provve-
dere ai bisogni, ma sappiamo tutti come Israele ci neghi persino le risorse primarie e limiti gli spostamenti. A Gaza, in particolare, questa situazione è amplificata, tanto che a niente e nessuno è permesso accedervi: nemmeno in periodo di pandemia sono stati forniti medicinali e vaccini alla popolazione. La Striscia di Gaza, non a caso, è definita la “più grande prigione a cielo aperto” del mondo». Come ha proseguito, una volta in Italia, la sua lotta per sostenere la causa palestinese? Le è facile ritornare in patria? «Attualmente, i media internazionali appoggiano la politica sionista perché l’economia è tutta nelle loro mani e, inoltre, giustificano le loro azioni attraverso la strumentalizzazione della Shoah. Io cerco di aiutare il mio popolo, soprattutto i bambini, nelle cure mediche alle quali non avrebbero accesso in patria. Infatti, insieme alla comunità palestinese della Campania, abbiamo assistito circa 300 bambini; ora, per esempio, abbiamo in cura un ragazzo di Gaza che è molto preoccupato per la sua famiglia, minacciata dalle bombe israeliane. Nonostante possegga anche il passaporto giordano, mi risulta molto difficile entrare in Palestina: una volta ad Amman devo affrontare un duro viaggio prima di arrivare al confine. Lì sono costretta a sostare a lungo mentre i soldati mi perquisiscono minuziosamente. Se non ci fossero i checkpoint, da Amman a Nablus impiegherei circa un’ora, mentre invece a Gaza non mi è permesso entrare». Pensa che la gioventù di oggi abbia maggior consapevolezza dell’occupazione sionista? «Innanzitutto, i giovani palestinesi sono i rappresentanti di una generazione coraggiosa, capace di restare in patria difendendo i propri diritti. La gioventù occidentale, invece, mi ha sorpresa molto con la sua voglia di sostenere la causa del mio popolo. È a loro che affido la mia speranza per il futuro».
S TORIA
di Giuseppe Spada
BOBO CRAXI
La storia la scrivono i vincitori e non è sempre la verità
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raxi, probabilmente, è il nome più carismatico (e per tanti versi importante) della Prima Repubblica. È banale dire che per comprendere il presente e gestire il futuro è fondamentale conoscere il passato e, chiunque abbia un minimo di conoscenza della nostra storia, sa chi è Bettino Craxi. Soprattutto è consapevole del peso che quest’ultimo ha avuto sulla politica del nostro paese, sui rapporti internazionali intrattenuti tutt’oggi dall’Italia e sulla concezione economica che i cittadini hanno nei confronti del governo. Per scavare più in profondità, però, era necessario conferire non solo con una persona che avesse competenza per quel che riguarda la cosa pubblica, non solo con qualcuno che quegli anni li ha vissuti, ma con chi incarna questi due aspetti e, soprattutto, Bettino Craxi l’ha conosciuto: suo figlio Vittorio Michele (Bobo) Craxi. Dal suo punto di vista esistono similitudini nei difetti della politica di ieri e in quella di oggi? «Io non sono una di quelle persone che pensa ci sia un prima e un dopo della politica. La politica democratica, a seconda delle stagioni, può essere esercitata in maniera diversa, ma sullo sfondo rimane continua. Quello che non c’è più nella società italiana, ormai da trent’anni, è un sistema di partiti che rappresenti le istanze dei nostri cittadini e che sia un sistema che risponda a idee di fondo, a programmi coerenti, a valori dominanti. Questa mancanza di coerenza della politica, purtroppo, è ciò che la rende fragile e indigesta agli occhi dei cittadini». Suo padre diceva: “La storia sarà riscritta bene in tutti i suoi aspetti, capitoli, personaggi e in tutti i suoi falsi eroi”. Lei crede che la storia sia stata riscritta bene e soprattutto crede che questi falsi eroi siano caduti? «La storia, come spesso accade, viene scritta dai vincitori. Ora però, dopo trent’anni, stiamo assistendo ad un inizio di revisionismo storico che tiene conto non solo della posizione dei vinti ma anche delle menzogne e delle propagande che hanno messo in giro i vincitori. I falsi eroi sono caduti? Beh, alcuni sono sotto terra e pace all’anima loro, altri si aggirano come dei fantasmi disperati. Penso alla brutta fine che sta facendo Davigo, che in fin dei conti si è rivelato per quello che è. Se la distribuzione dei verbali alle redazioni dei giornali e gli interrogatori erano il metodo Mani Pulite capisci che eravamo di fronte a un gruppo di impostori e non di uomini di Giustizia». Perché suo padre è stato, per lei e per molti, il perfetto capro espiatorio di un’intera classe politica corrotta, cosa c’era di differente in lui?
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Quello che non c’è più nella società italiana, ormai da trent’anni, è un sistema di partiti che rappresenti le istanze dei nostri cittadini e che sia un sistema che risponda a programmi coerenti
«Era di sicuro una figura dominante e possedeva una statura che altri non avevano. La D.C. in quel periodo era lacerata profondamente e non esprimeva alcuna leadership per non parlare del partito democratico della sinistra (eredi del P.C.I.) e altri partiti che avevano leader a mio parere discutibili. È chiaro dunque che quella di mio padre era una figura che si stagliava sulle altre, come può essere oggi la Merkel in Germania. Il limite più grande era che ad un grande consenso personale non corrispondeva un consenso in direzione del partito, c’era una forbice negativa fra i voti che il partito socialista riceveva e il gradimento che la leadership di mio padre aveva nel paese. Un sistema elettorale diverso, probabilmente, gli avrebbe dato molta più forza politica». Cosa possono ereditare le generazioni odierne dalla figura di Bettino Craxi? «Fossi un giovane comincerei a capire e comprendere che la filosofia politica del socialismo
riformista tipica della stagione di Bettino Craxi, era a sua volta figlia di un pensiero presente nella storia della cultura socialista italiana che era quella Turatiana; ovvero sia il gradualismo riformista opposto al massimalismo rivoluzionario. Questa dimensione riadattata del socialismo, nell’epoca in cui l’Italia usciva dalla lunga stagione degli anni di piombo, ha determinato una felice coincidenza tra la volontà di riscatto del socialismo riformista e la necessità di modernizzazione del paese. Va dunque studiata una dimensione del socialismo patriottico, il rilancio dell’identità nazionale, il protagonismo del nostro paese nella politica estera e soprattutto la forte impronta moderna di una classe dirigente, che aveva un po’ messo in soffitta tutto l’armamentario ammuffito del vocabolario astruso del cattolicesimo democratico». Si dice spesso che suo padre sia stato l’ultimo, vero, politico italiano. Crede che il nostro periodo storico possa nuovamente formare grandi statisti? «La produzione di statisti non si è sicuramente esaurita. Le grandi personalità, però, maturano meglio nei periodi delle lotte politiche. Prima la capacità politica sbocciava nella scalata graduale che ogni uomo di stato faceva per arrivare ad occupare i posti che occupava, oggi questo non è possibile. Ora abbiamo leader che diventano tali nel giro di qualche stagione. Il problema poi, è che la velocità non è una caratteristica solo dell’ascesa di queste figure, ma anche della discesa. Pertanto oggi i politici sono meteore. Parlando poi di generazioni politiche più recenti, non possiamo negare che figure come Berlusconi e Dalema non siano stati leader politici di una certa tempra, quindi ci sono state di sicuro figure post Prima Repubblica di grande rilievo. Lo stesso Romano Prodi, per quanto non si possa considerare un leader politico, è stato a mio parere un validissimo uomo di stato». Se lei dovesse dare un consiglio ad un ragazzo o ad una ragazza che intendono intraprendere la carriera politica cosa si sentirebbe di raccomandargli? «Sai oggi il rischio del carrierismo è dietro l’angolo, pertanto, io non consiglierei la “carriera” politica in quanto tale. Consiglierei piuttosto l’attività politica e il perenne interesse nei confronti della cosa pubblica e di tutto ciò che accade intorno a noi. Questo con la speranza di poter cambiare in meglio ciò che ci circonda. A prescindere da tutto io consiglio di occuparsi sempre di temi e problemi della società e non genericamente della politica, il politicismo alla fine diventa anche un po’ stucchevole, diventa solo lotta per il potere fine a se stesso». Giugno 2021
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C ULTURA
IL DELITTO PAGA
Il restauro dell’affresco di porta San Gennaro a Napoli di Mattia Preti (1657) di Roberto Nicolucci
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uò un affresco, anzi una serie di affreschi, che decoravano e in parte ancora decorano le Porte di una città, scaturire da un delitto, da un omicidio addirittura? E mica finisce qui. À la fin de la pièce l’omicida ci guadagna anche una bella sommetta! L’omicida in questione è il celebre pittore seicentesco Mattia Preti, padre del miglior tenebrismo, il Cavalier Calabrese, pittore “corposo e tonante, veristico e apocalittico”, secondo la celebre definizione di Roberto Longhi. Non è qui il caso di richiamare tutta la vicenda artistica del Preti. Ne parliamo perché il 19 maggio 2021 si è concluso il restauro dell’unico affresco rimasto dei sette che furono commissionati al Preti dal Consiglio degli Eletti nel 1657 per le Sette Porte (“Tebe dalla Sette porte chi la edificò?” direbbe Brecht) della città. Il restauro, partito nel settembre del 2019, è stato possibile grazie alla sinergia tra settore pubblico e privato: Associazione Restauratori Napoletani, un gruppo di imprenditori raccolti nell’Associazione Friends of Naples, l’Associazione Costruttori Edili Napoli e il FAI della Campania. Il restauro è stato condotto dalla Sovrintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio del Comune di Napoli nella persona di Laura Giusti, storico dell’arte e di Barbara Balbi, restauratrice. Alla cerimonia erano presenti il Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris e il Sovrintendente Luigi Rocca. Un bel parterre per il frutto di un delitto. E sì! Perché a stare al racconto di Bernardo De Dominici, fonte primaria settecentesca con le sue Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, giunto in città da Roma alla fine del 1656, ignaro del divieto di ingresso per impedire il riprendersi dell’epidemia di peste che aveva devastato la città, aveva ucciso una guardia che aveva cercato di fermarlo. Arrestato, la sua fama lo salvò dalla condanna a morte; il Consiglio Collaterale propose di far dipingere gratis sopra le porte della città le immagini dell’Immacolata Concezione, di San Gennaro e
di altri Santi protettori. Il Vicerè, Don García de Avellaneda y Haro decise così di commutare la pena, decretando che Excellens in arte non debet mori. E così veniamo al nostro affresco, figlio di un delitto non punito. Nella parte superiore vi è l’Immacolata Concezione in gloria con il Bambino mentre ai lati San Gennaro offre il suo sangue per chiedere la grazia per il suo popolo e dall’altro troviamo San Francesco Saverio. In basso è mirabilmente rappresentata la Peste, una donna enorme coperta di piaghe e stracci. Si astenne giudiziosamente il Preti dal dare a questa figura quella bellezza e grazia, “che dar solea alle altre sue, e facela ad arte di enorme e gigantesca grandezza, e situata malamente con poca acconcia attitudine, imperciocchè quando mai fu bella e leggiadra la peste?”. Ma De Dominici ci descrive altresì le figure in basso, che nell’affresco restaurato sono le più danneggiate. Sono coloro che portano i cadaveri a seppellire (non a caso la Porta si apre verso il Rione Sanità in cui si trova il famoso Cimitero delle Fontanelle, gigantesco ossario formato proprio dai resti degli appestati e ora luogo di curiosità turistica ma un tempo luogo di culto per i napoletani). Tra questi colpisce la figura di una donna che trascina un cadavere tenen-
dosi una benda sul naso e sulla bocca. Ecco, hanno detto i napoletani, c’era la mascherina anche
allora: “San Gennà nun è cagnat nient”! (San Gennaro non è cambiato niente). Giugno 2021
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A MBIENTE
di Fabio Di Nunno
GAIOLA: UN MODELLO PER LE AREE MARINE PROTETTE
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l Parco Sommerso di Gaiola, luogo simbolo della costa partenopea, carico di storia e suggestioni, una volta versava in uno stato di degrado e abbandono. La storia di questo piccolo tratto di costa affonda le sue radici lontano nel tempo, quando fu scelto dal cavaliere romano Publio Vedio Pollione per erigere la sua sontuosa villa marittima, divenuta alla sua morte dominio imperiale e ulteriormente ingrandita ed arricchita. L’area, caratterizzata da un mare pescoso e un paesaggio di rara bellezza, era da cornice alla magnifica villa d’otium di età imperiale chiamata Pausilypon, cioè «luogo dove svaniscono gli affanni». In epoca moderna le sorti del luogo sono state legate alle vicende di un’altra villa, quella costruita sull’isola maggiore nell’800, appartenuta a personaggi illustri quali Paul Getty e Maurice Sandoz. Negli anni ‘80 la villa fu acquisita ad un’asta fallimentare dalla Regione Campania, ma ci fu un lento declino dell’intera area per circa 30 anni. Nel 2002 venne istituita l’area marina protetta, gestita dalla Soprintendenza Archeologica di Napoli. Poco dopo nacque il Centro Studi Interdisciplinari Gaiola, una onlus di giovani ricercatori nel campo della biologia marina, archeologia e scienze naturali, che iniziò un’intensa e
appassionata opera di recupero e valorizzazione dell’area. Il Parco Sommerso di Gaiola, assieme al Coordinamento Tutela Mare che raccoglie 18 associazioni del golfo impegnate nella tutela dell’ambiente marino, ha lanciato il progetto #arrestalereste, per raccogliere quante più informazioni possibili sulla distribuzione di questa tipologia di rifiuto marino nel Golfo di Napoli: le reste, appunto, retini in materiale plastico (polipropilene), usati negli impianti per l’allevamento dei mitili (cozze). La Gaiola è anche un esempio di fruizione in sicurezza e dignità di un bene comune. Infatti, durante la scorsa estate, la spiaggia
normalmente assediata da caos, sovraffollamento esasperato e rifiuti, è stata oggetto di un progetto di fruizione sostenibile, grazie all’intesa tra Ente gestore del parco, Comune ed Autorità portuale, che ha permesso anche di liberare la spiaggia da relitti di barche depositate da tempo immemore e dare più spazio ai bagnanti. Gli accessi contingentati, su prenotazione, hanno permesso di goderla meglio e con le giuste distanze, di gestire i fenomeni di inquinamento, di risolvere problematiche legate alla sicurezza e vivibilità (normalmente i soccorritori del 118 dovevano farsi spazio tra folle di bagnanti senza poter fruire di corsie di emergenza) e, non di meno, di restituire il giusto posto ad una natura rigogliosa. Il CSI Gaiola, Ente gestore del Parco, ha illustrato a Informare
le difficoltà di gestione di questo spazio. «In questo periodo la Gaiola, come tante oasi naturali, parchi archeologici e luoghi della cultura sarebbe nel pieno delle attività didattiche, ospitando centinaia di studenti e scuole che in questi luoghi vengono a riscoprire le bellezze del territorio. Con il Covid-19 tutto è cambiato. Tra chiusure prolungate, blocco della attività didattiche e assenza di visitatori, questi luoghi sono caduti in un silente oblio. È importante sapere che molti siti culturali e naturali italiani, per assolvere al fondamentale compito di tutela e conservazione, basano la propria sussistenza sull’autofinanziamento derivante dalle attività divulgative quali visite guidate, attività didattiche, ecc. Le difficoltà scaturite dalla pandemia hanno toccato tutti i settori della società, eppure si è sentito parlare quotidianamente di ristoratori ed altre categorie danneggiate, mai si è posta l’attenzione sui tanti luoghi della cultura cosiddetti minori sparsi nel Paese che, senza polemiche, con spirito di responsabilità, hanno pedissequamente osservato le disposizioni governative restando chiusi per interminabili mesi. Molti di questi siti, come il Parco della Gaiola, hanno alle spalle onlus e cooperative sociali che, attraverso percorsi di recupero dal basso, hanno dato nuova luce a siti una volta dimenticati e spesso oltraggiati».
Rega Parrucchieri
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T ERRITORIO
di Francesco Cimmino
Il Castello di Maddaloni è in pericolo, ma non importa a nessuno! “
So di essere a casa, tornando da un lungo viaggio al Sud, quando il mio sguardo incrocia il profilo delle mie montagne, con le sue torri
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he Maddaloni sia una città complessa e ricchissima di storia ormai lo sanno anche le pietre. Ma che i protagonisti di quella Storia - con la S maiuscola, che studiavamo a scuola! – sono passati anche per questa città, forse, non è cosa nota. Infatti fu Ruggero il Normanno, il primo Re di Sicilia, ormai mille anni fa, a tramutare un piccolo borgo longobardo in una splendida città. Lo stesso Ruggero che ha disseminato la Sicilia di beni architettonici oggi Patrimonio UNESCO. Ma oggi a regnare su Maddaloni è solamente lo stato di incuria e abbandono dei suoi numerosi monumenti. Tra questi, uno in particolare richiama l’attenzione, non solo dei cittadini maddalonesi, ma anche dei comuni limitrofi: il suo meraviglioso Castello con le due torri cilindriche, che sovrastano la città e ne delineano lo skyline. Sì perché Maddaloni, come New York, può vantare una silhouette estremamente riconoscibile. «So di essere a casa, tornando da un lungo viaggio al Sud, quando il mio sguardo incrocia il profilo delle mie montagne, con le sue torri». (1) Guerre, trasformazioni e cambi di proprietà hanno portato il com-
plesso nelle mani della famiglia De Sivo ad inizio Ottocento, che ne fecero del castello una dimora importante all’interno del sistema borbonico, come luogo di delizie, feste e battute di caccia. Ma la successiva occupazione garibaldina prima, e l’occupazione delle truppe alleate durante la seconda guerra mondiale poi, hanno avviato una lunga stagione di degrado ancora aperta, che ha visto il monumento venire spogliato della gran parte dei suoi elementi: manca persino lo scalone principale che nel mastio conduceva ai piani superiori. Ma non è tutto. Lo sfruttamento del sito, durante lo scorso secolo, è stato incessante. Viene aperta una cava calcarea che raggiunge le fondamenta della torre Artus, uno spettacolo agghiacciante che con le leggi attuali tuona come un abominio e difatti è un crimine contro l’ambiente, il paesaggio e la storia. Metri e metri cubi di materiale venduto a privati fino agli inizi degli anni ‘90. E come se non
bastasse, viene costruito un impianto idrico pubblico cento anni fa tra le mura del castello e solo da poco dichiarato abusivo e rimosso. Insomma, un bene da sfruttare, ma non come lo intendiamo noi, educati al culto dell’arte, della storia e della natura. Ma per fortuna un piccolo spiraglio di luce lo si intravede. Il castello è oggi una meta ambita da chi fa trekking e ama scoprire luoghi insoliti immersi nel verde, nonostante sia di proprietà privata e a rischio crollo. È in arrivo un finanziamento di 200mila euro per mettere in sicurezza il sentiero che, lambendo il confine della cinta muraria della fortezza, dal centro della città
porta al Santuario di San Michele Arcangelo. Un buon risultato che fa ben sperare. Che magnifico esempio sarebbe la rinascita di un luogo tanto trascurato per l’intero territorio. E a tal proposito un gruppo di cittadini del comitato “Il castello di Maddaloni ai maddalonesi” propone che il complesso monumentale diventi di proprietà pubblica. Essi asseriscono che un privato non può avere la stessa forza economica di un Ente pubblico per la messa in sicurezza di un sito per il quale sono necessari diversi milioni di euro. Questa Architettura ha un valore oltre che storico, anche ambientale, come il Real Sito della Lanciolla di cui parlammo tempo fa, o la Reggia di Carditello. La gestione di quest’ultima ci sta insegnando tanto sul recupero dei beni, iniziato però solo dopo la tragica morte del suo custode volontario, il pastore Tommaso Cestrone. Dunque, c’è da chiedersi, di cosa abbiamo bisogno per i nostri luoghi del cuore? Altri martiri? Forza allora, siamo in cerca di eroi. Fatevi avanti. (1) Estratto della Tesi di Laurea in Architettura di Francesco Cimmino "L’immagine pubblica della Conurbazione Casertana nella percezione dei suoi abitanti. Un’applicazione a partire dalle teorie di Kevin Lynch", dall'intervista a Pasquale C. di Maddaloni.
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Informare on the Road a cura di Anna Copertino
manzoni è morto Stefano Cortese edito dalla Homo Scrivens Stefano Turati, gentiluomo napoletano figlio dell'avvocato Roberto, amico di Alessandro Manzoni, osserva gli eventi del suo tempo con gli occhi del patriota scettico e del giovane ardimentoso. Ben presto decide di arruolarsi con l'intento di uccidere il rivale in amore di Francesco Falcone, tenente dei lancieri di Ferdinando di Borbone. Dal 1839 al 1873, il romanzo attraversa l'epopea e la caduta del Regno delle Due Sicilie: dalla nascita della prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici, alla rivoluzione del '48; dai moti di Carlo Pisacane all'impresa dei Mille, fino all'avvento a Napoli dei garibaldini, nel settembre del 1860.
a suon di parole Due racconti e tredici canzoni più una di Luigi Compagnone
Piero Antonio Toma e Lino Blandizzi Guida Editore Un giornalista Piero Antonio Toma e un cantautore Lino Blandizzi. Dal loro incontro è nato “A suon di parole”, un libro e non solo, due racconti autobiografici e tredici canzoni scritte insieme, un paroliere e un compositore più una di Luigi Compagnone. Il libro contiene un cd-audio dove si possono ascoltare i tredici brani interpretati da Blandizzi. I due autori, ognuno per conto proprio, ci raccontano come tra avventure e disavventure hanno realizzato questo lavoro di musica e parole. Le canzoni sono dedicate a temi di attualità.
Nulla sarà come prima?
Prefazione Piero Antonio Toma Guida Editore Una tavola rotonda. Sì, questo libro è una tavola rotonda. Un po’ come fece Re Artù riunendovi intorno i suoi 25 cavalieri. Qui a dar manforte ce ne sono una quarantina o giù di lì. Il nemico di Artù si chiamava Mordred, il nostro si chiama Covid-19 ed è molto più pericoloso sia per essere invisibile sia per essersi impossessato di quasi il mondo intero. Questo libro ne è una derivata. Ideato all’indomani dei primi eccessi pandemici del marzo 2020, ha subìto uno stop-and-go in sintonia con l’alternarsi della pandemia.
siamo fiori dello stesso giardino Maria Bruna Ferrara edito da Fiori d'Asia Editrice Raccolta di racconti bilingue italo-cinese, tradotti da giovani traduttrici italiane e non. A seguito dell'approvazione del decreto legge del 9 marzo che sanciva il lockdown in Italia, Maria Bruna Ferrara, una traduttrice, interprete e sinologa napoletana decise di lanciare il progetto "Siamo fiori dello stesso giardino" e indire il concorso di traduzione attraverso i social per consentire a giovani esperti in lingua cinese di avere la possibilità di esprimere le proprie competenze attraverso questo progetto. Progetto che vuole essere un volano alla promozione e all’integrazione dello scambio culturale tra la Cina e l’Italia.
la vendetta del boss
L'omicidio di Giuseppe Salvia Antonio Mattone Guida Editore Il saggio romanzato ripercorre la storia di Giuseppe Salvia, il vicedirettore del carcere di Poggioreale ucciso nel 1981 dalla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo perché cercava di contrastare il suo potere all’interno del penitenziario. Il volume contiene anche una descrizione della vita nel carcere di quegli anni, con un collegamento ad alcuni avvenimenti che accaddero in quel periodo, come il rapimento di Ciro Cirillo.
tutti matti per gli esposito Pino Imperatore Salanni Editore Tonino Esposito ci prova, a seguire le orme del padre, defunto boss del rione Sanità, e a diventare un criminale come si deve. Ma per quella vita ci vuole stoffa, e lui quella stoffa proprio non ce l’ha. Goffo, ingenuo, nullafacente e perseguitato dalla sfortuna, sembra incapace di combinarne una buona. Canzonato dalla moglie, dai quattro figli, dai suoceri, dalla domestica ucraina e persino da due iguane e da un coniglietto, è la pecora nera della famiglia e il delinquente più maldestro nella storia della camorra.
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isaia.it
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Baku, Capri, Chicago, Cyprus, Dnepropetrovsk, Ekaterinburg, Hong Kong, Kazan, Kiev, Limassol, London, Los Angeles, Milan, Moscow, New Delhi, New York, Nizhny Novgorod, Rome, San Francisco, St Moritz,Tokyo, Ulaan Baatar 26 | Giugno 2021
NAPULE È PINO DANIELE È LA VOCE DI NAPOLI, INTRISA DI POESIA E DI CONTRASTI, DI EVOCAZIONE E MODERNITÀ Cantautore, musicista e compositore, Pino Daniele, chitarrista di formazione blues, tra gli anni Settanta e Ottanta si è imposto tra le figure più incisive e innovative del panorama musicale italiano. Quella di Pino Daniele è una sintesi tra elementi musicali e linguistici molto diversi, interpretati con una visione creativa estremamente personale. La sua incessante esplorazione, che attraversa i più svariati e differenti generi musicali, dal rock al jazz, dall’amatissimo blues, da Elvis Presley e George Benson fino alla radice locale di Roberto Murolo, ha originato un nuovo stile. Fu lui stesso a denominarlo “tarumbò”, una miscela di blues e tarantella, un libero sincretismo culturale che non conosce frontiere o limitazioni concettuali. Note struggenti e lievi, una texture complessa ed elementare che racconta emozioni e passioni, l’amore e l’ironia anche corrosiva, la gioia, il ricordo e il dolore. Pino Daniele attraversa l’elegia e una delicatezza che si stempera nel cielo e nel mare del Golfo, ma sa anche affrontare temi di denuncia e polemiche vibranti. Una voce dal timbro unico e inconfondibile, Pino Daniele, che appartiene a tutti noi e accumuna generazioni intere senza mai datarsi, eternamente giovane e significante. Isaia, brand da sempre attento a ogni istanza legata al solco culturale e sociale partenopeo, ha intrapreso una collaborazione con la Onlus Pino Daniele Forever, costituita dalla moglie del cantautore, Fabiola Sciabbarrasi. “Le cose belle - afferma Fabiola - accadono sempre per caso ma mai a caso, ne sono convinta. Niente poteva racchiudere meglio un messaggio di amore per Napoli e per chi ama Pino. Realizzare questo progetto insieme ad ISAIA è la congiunzione perfetta, abbiamo da subito riconosciuto l’obiettivo comune”. Si tratta di una serie di t-shirt che recano impressi passi salienti tratti dai testi di alcune iconiche canzoni scritte da Pino Daniele. Parole e refrain che ognuno di noi conosce, legati a momenti speciali della nostra vita, a memorie, sentimenti e immagini indelebili. Napoli protagonista, naturalmente, o deus ex-machina anche quando aleggia in un solo accordo, nella fugacità chiaroscurale d’un arpeggio di chitarra. Gli utili ricavati della vendita delle t-shirt limited edition Isaia, verranno devoluti al progetto promosso dalla Onlus Pino Daniele Forever che prevede la realizzazione di una sala d’incisione a Napoli destinata a giovani musicisti locali e camp di scrittura di autori talentuosi. Un banco di prova aperto a tutti, un luogo che possa garantire a quanti non ne abbiano la possibilità di registrare gratuitamente i propri provini o brani compiuti e di estendere le proprie competenze autorali sotto la guida di editori di prestigio. L’accesso a un mondo che per molti è spesso difficile da penetrare e che può significare varco di crescita artistica, proiezione professionale, affermazione e riscatto. Napoli, per tradizione e ancor oggi, è uno straordinario humus di musica, che spazia tra generi e contaminazioni, tra sonorità e ambiti i più disparati e lontani. La musica, come il teatro, è una forma espressiva diffusa nell’intero tessuto urbano partenopeo ad ogni livello, quasi compenetrata nella maniera di esprimersi della città, tra voto, abbandono ed esorcismo, un ponte sospeso tra bellezza, speranza e ribellione. “Pino Daniele a Napoli è paragonabile a un’immagine sacra - confida Gianluca Isaia, CEO del marchio di Casalnuovo -. Personalmente sono cresciuto con le sue canzoni che ho ascoltato con le musicassette prima, poi con i CD ed oggi con Spotify o iTunes. Songs meravigliosi che tuttora aumentano il mio orgoglio di essere napoletano. È per me un grande onore partecipare a questo progetto fortemente voluto da Fabiola e sarà un piacere enorme vederlo realizzato, speriamo presto”.
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A MBIENTE
di Ludovica Palumbo
Un’oasi del WWF a…
Napoli!
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l WWF (World Wide Fund for Nature) è la più grande organizzazione mondiale per la conservazione della natura. Esso viene fondato nel 1961 su iniziativa di Julian Huxley il quale adottò come logo il noto panda gigante. La particolarità della scelta del logo sta proprio nell’idea del pittore Peter Scott di riuscire a creare un logo che fosse d’impatto nella stampa in bianco e nero. In Italia nasce nel 1996 e persegue il motto: ‘’costruire un mondo in cui l’uomo possa vivere in armonia con la natura”. Abbiamo incontrato una delle collaboratrici della sede di Napoli Ornella Capezzuto che, rispondendo ad alcune domande, ci ha permesso di avere una visione chiara e completa del ruolo svolto dalla sede partenopea del WWF. Abbiamo già anticipato a grandi linee l’origine del WWF a Napoli, ma sa dirmi qualcosa in più riguardo il ruolo specifico dell’associazione? «Il WWF Napoli, sostiene le Campagne promosse dal WWF Italia a livello nazionale e localmente si interessa delle problematiche di un territorio complesso quale quello della Città Metropolitana di Napoli. Il Programma prevede attività di diffusione e sensibilizzazione con particolare attenzione al Cambiamento Climatico, per la tutela e la conservazione della natura e della
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biodiversità, per la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse della Terra, per la promozione delle energie alternative, per la lotta all’inquinamento e per una maggiore vivibilità delle aree urbane. L’Associazione, per lo sviluppo del suo programma, adotta i metodi della partecipazione attraverso un proficuo e continuo coinvolgimento dei Cittadini e delle Associazioni che ne condividono le finalità». Il ruolo dei giovani sembra essere fondamentale, soprattutto se consideriamo che i ragazzi di oggi saranno gli uomini del domani. «La funzione dei giovani è fondamentale nell’associazione e purtroppo, rispetto al passato, la loro presenza ha subito un momento di calo che però recentemente vede un nuovo interesse e coinvolgimento. Questo probabilmente dipende anche da qualche difficoltà nell’inserirsi in una grande realtà come quella del WWF. Iniziative
coinvolgenti sono state realizzate per la tutela dei litorali e del mare, in particolare con il progetto “Plastic Free” e per la riduzione della plastica monouso. Altra bella iniziativa per la cura del verde in città, il monitoraggio della situazione dei Parchi cittadini sulla scia della pubblicazione fatta nel 2018: ‘’Guida ai Parchi e ai Giardini di Napoli”. All’interno della campagna per la Mobilità sostenibile, sono state organizzate passeggiate pedonali per scoprire le scale di Napoli». Immagino che la pandemia abbia rallentato molto il vostro lavoro, sbaglio? «Assolutamente. Purtroppo la pandemia ha rallentato e modificato le nostre attività per più di un anno, specialmente quelle sul campo. Molte attività si sono svolte via web, coinvolgendo i volontari e gli studenti nella preparazione di eventi come “Earth Hour” con la creazione di video dedicati alla salvaguardia della terra dal
cambiamento climatico. Nel periodo del lockdown, attraverso i mezzi di comunicazione, il WWF Napoli ha comunque lanciato diversi allarmi per l’aumento dell’uso della plastica, per il cattivo uso delle mascherine e degli altri materiali necessari nel periodo. Quali sono i progetti del WWF Napoli per il futuro? «I progetti per il futuro sono puntati essenzialmente a mitigare il cambiamento climatico, per dare il via a un movimento inarrestabile per la tutela dell’ambiente e per contribuire a garantire un impegno internazionale per fermare e invertire la perdita di biodiversità. Essenziale è decarbonizzare le economie del mondo, fermare l’uso dei combustibili fossili, ridurre il consumo di suolo, ridurre ogni forma di inquinamento. Ma anche singolarmente i cittadini possono dare un contributo in questa grande battaglia, modificando il proprio stile di vita che è stato fino ad ora poco attento a quanto sprechiamo: per esempio riducendo i consumi energetici all’interno delle case, riducendo gli sprechi alimentari, consumando meno carne, usando prodotti stagionali e possibilmente a km 0, evitando l’uso di prodotti usa e getta, quelli con eccessivo imballaggio, facendo una buona raccolta differenziata, usando meno l’auto a favore dei mezzi pubblici».
C ULTURA
di Giuseppe Spada
Centro Musei delle Scienze Naturali e Fisiche Tra le più grandi risorse culturali della regione
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uello che il Centro Musei delle Scienze Naturali e Fisiche può offrirvi, oltre alla possibilità di approfondire il vostro sapere, è lo stupore. In nessun altro luogo in Campania, e probabilmente in Italia, troverete una così eterogenea e vasta quantità di reperti. I musei si dividono in cinque specifiche aree di competenza: mineralogia, zoologia, fisica, antropologia e paleontologia (quest’ultimo dislocato a Largo San Marcellino). Insomma, un’esperienza che non potete davvero perdervi per un costo alla portata di tutti e gratuito per gli studenti. A raccontarci meglio questo prodigio tutto napoletano il direttore dei musei: il professor Piergiulio Cappelletti. Qual è l’aspetto più affascinante del ruolo che le hanno affidato? «È di certo una responsabilità legata alla tradizione di un’università prestigiosa come la Federico II che ha, su mandato del rettore Manfredi, deciso di affidarmi la direzione del centro musei e con esso gli oltre 300.000 reperti che fanno parte della collezione». Oggi i ragazzi tendono a percorrere una costante corsa all’oro lavorativo, pertanto sono predisposti a scegliere percorsi universitari meglio retribuiti nel futuro. Cosa possono dare le scienze naturali ai giovani? «Oggi le discipline scientifiche sono più che mai necessarie. Nel periodo che stiamo vivendo la mancanza di cultura scientifica emerge chiaramente nelle reazioni comuni presenti sulla stampa e sui media in generale. Avere a disposizione dei centri museali che spiegano l’evoluzione del percorso scientifico è qualcosa di fondamentale e impagabile. Prendiamo per esempio le scienze geologiche; in un paese come l’Italia (che dovrebbe essere all’avanguardia dal punto di vista della ricerca in questo ambito) tale materia, in questo momento, sta segnando un po’ il passo. Lo stesso dicasi per la fisica e l’antropologia, sono discipline estremamente importanti ai fini della nostra cultura. Questi percorsi poi, al contrario di ciò che si pensa, possono condur-
te proprio sull’impiego di questo materiale. Nel museo di antropologia, il più piccolo dei cinque, c’è moltissimo materiale legato agli studi di Cipriani sulle razze. Seppur tali studi si sono rivelati del tutto fallaci e privi di fondamento possiedono comunque un importantissimo valore storico. Infine, il museo di paleontologia possiede alcuni dei reperti più iconici, tra cui l’allosauro del periodo Giurassico montato in sospensione e lo Scipionyx samniticus, soprannominato “Ciro” e ritrovato nella nostra regione. Ciro, grazie alle sue
re a diverse posizioni lavorative, allo stesso livello delle carriere in abito economico, ingegneristico o del diritto». Quali sono le fasce d’età che visitano con più affluenza i musei e quali sono i motivi che li spingono ad occuparne le sale? «Il centro musei appartiene a quella che è la categoria dei musei universitari. Pertanto si rivolgono ad una fascia che è quella dell’età scolare. L’affluenza comincia dalla scuola elementare (ora un po’ meno a causa della pandemia) che ci viene a visitare, non solo da Napoli e provincia, ma anche da fuori regione. Le scolaresche appartenenti alla scuola dell’obbligo venivano nei musei per trovare un riscontro fisico a quelle che erano le nozioni scientifiche e fisiche apprese in aula. A questo vengono abbinati lavori laboratoriali che rendono ancora più importanti questi percorsi». Nella Mastodontica collezione dei musei, quali sono secondo lei i pezzi più rappresentativi in nostro possesso? «Farei un torto a qualcuno se dovessi affermare che un museo è più importante dell’altro, ovviamente ognuno di essi ha qualcosa di particolare. Quello di mineralogia, che è il più antico d’Italia e uno
dei più antichi d’Europa (1801), ha una collezione di minerali fantastica, disposta secondo quella che è la classificazione delle sostanze minerali e ci sono degli esemplari che sicuramente colpiscono. Basti pensare ad alcuni pezzi contenuti nella collezione “Grandi Cristalli”, uno su tutti la coppia di cristalli di quarzo del Madagascar, donata al museo da un reale di Borbone. Se ci spostiamo nell’ala di zoologia abbiamo la famosa Balena di Taranto, unico esemplare di balena boreale catturata nel mediterraneo e di recente acquisizione un esemplare di “Macrocheira kaempferi”, una specie enorme di granchio che vive solo nelle profondità dei mari giapponesi e che ci è stato donato dall’allora principe ereditario, poi divenuto imperatore del Giappone. Nel museo di fisica ci sono un’innumerevole quantità di strumenti che hanno segnato la storia della materia, tra tutti la lente di Torricelli che ha consentito lo sviluppo di una serie di deduzioni scientifiche basa-
modalità uniche di conservazione, ha consentito di effettuare studi anche su quelli che erano i tessuti molli dell’animale». A quali difficoltà si va in contro considerando l’enorme lavoro che c’è dietro la manutenzione e le utenze degli oltre 300.000 reperti? «Oltre che ai reperti non vanno dimenticate le sale che li ospitano. Queste ultime, essendo edifici d’epoca, hanno bisogno di una manutenzione anche di tipo strutturale piuttosto importante. Grazie alla sensibilità che la Federico II e agli altri organi competenti dimostrano, è possibile mantenere in buono stato i nostri beni. Certo la situazione è pur sempre migliorabile, di recente abbiamo sostituito l’illuminazione all’interno delle teche del museo di mineralogia e abbiamo ampliato alcuni spazi. È solo grazie alla passione dei funzionari e di tutto l’ateneo che si riesce a far fronte ad un impegno estremamente gravoso, ma molto coinvolgente». Giugno 2021
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di Fernanda Esposito
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dove prima si vendeva droga ora si spacciano libri... e che libri
commessa vinta quella della piccola casa editrice indipendente Marotta&Cafiero, che tanto piccola non è più. Distribuiti da Mondadori, rappresentano una voce fuori dal coro nel panorama editoriale a cui siamo abituati a pensare. Sono davvero speciali: attenti al sociale e all’ambiente, si occupano di legalità e raccontano il sud del mondo, con uno sguardo particolare al Mediterraneo. Abbiamo intervistato Fabio Marino membro del team redazionale, che ci racconta questa bella storia di editoria terrona ed innovativa. Quando e come nasce il progetto editoriale di Marotta & Cafiero? «La Marotta & Cafiero è frutto dell’ingegno della famiglia Marotta intorno agli anni ‘60. Il primo passaggio di consegne avviene da Alberto Marotta al figlio Tommaso negli anni ‘80, che l’ha portata avanti con la moglie, Anna Cafiero, da qui il nome dell’impresa. Accade poi che Tommaso decide di trasferirsi in Francia, ma non voleva chiudere la storica attività. Ispirato dal giovane Rosario Esposito La Rossa, che aveva da poco pubblicato un libro con loro dal titolo “Al di là della neve”, Tommaso Marotta decide di affidarla proprio a lui che la gestisce, ormai, da dieci anni». La sfida comincia, dunque, nel 2010, ma cosa ha spinto Rosario a farsi carico di un impegno così forte? Si diventa editori per vocazione, per scelta o per necessità? «La motivazione è legata al libro che scrisse e che fu pubblicato proprio negli anni in cui Saviano pubblicava il suo best seller, ma a differenza di Gomorra, Rosario è andato al di là dei luoghi comuni, descrivendo una Scampia come non è mai stata raccontata. Non solo camorra e piazze di spaccio, ma il racconto delle persone che vivono il quartiere diversamente da ciò che si crede. Il libro è stato dedicato alla memoria di suo cugino disabile Antonio Landieri, vittima innocente di camorra che ha perso la vita, non potendo scappare, du-
STUDIO LEGALE RUSSO
rante una sparatoria tra clan rivali». Un nobile gesto ma anche un azzardo trasferire la casa editrice dalla Napoli bene in periferia. «Editori ed intellettuali non credevano nel progetto di Rosario. C’era una diffusa diffidenza proprio perché Scampia rappresenta un luogo molto chiacchierato nel bene e nel male. La sua scommessa è stata proprio quella di non fermarsi solo alle parole, ma dimostrare con i fatti che una realtà editoriale potesse nascere e prosperare anche in questo quartiere di periferia». La pubblicazione a inizio maggio, dell’ultimo saggio contro le armi “Gun” di Stephen King, è solo l’ultimo di una serie di successi editoriali, che dimostrano la vostra tenacia e lungimiranza. Quanti e quali tipi di libri pubblicate? «Da dieci anni a questa parte abbiamo pubblicato più di cento libri di un certo rilievo, non solo King, basti pensare a scrittori del calibro di Antonio Skarmeta, Daniel Pennac o il premio Nobel Gunter Grass (collana Le Mosche Bian-
che). All’inizio pubblicavamo storie di riscatto del nostro territorio, poi proprio per non rimanere incastrati in una logica provinciale, abbiamo cominciato a pubblicare libri di narrativa civile straniera, proveniente soprattutto dal sud del mondo, storie di cui nel circuito ufficiale non c’è traccia. Libri pungenti e fastidiosi, che hanno l’effetto di un pugno nello stomaco come quelli della collana LE ZANZARE. Storie dal mondo con uno storytelling comune: libri d'inchiesta, scomodi e controcorrente». Rappresentate un vero tsunami dal punto di vista culturale e questo vi fa onore. Progetti in vista? «Abbiamo comprato un torchio per la stampa per allestire un Museo del libro, che racconterà la storia dell’editoria. Uno spazio dove insegneremo le tecniche di stampa ai ragazzi, per coinvolgerli nella produzione e formarli ad un possibile mestiere. Un’occasione per trasferire le nostre competenze ai giovani e contribuire ad un cambio di mentalità. Diamo loro un’opportunità concreta per restare e non abbandonare Scampia».
Avv. Fabio Russo Penalista - Foro di S. Maria C. V.
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C ULTURA
di Simone Cerciello
Mio Nonno è Michelangelo, molto più di una libreria Maria Carmela Polsi racconta i sentimenti che animano questo spazio di cultura
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ata nel 2016 a Pomigliano d’Arco, la libreria “Mio Nonno è Michelangelo” è attualmente una vera e propria oasi verde per chi si volesse regalare qualche ora di spensieratezza, immergendosi nelle parole e le carezze di un buon libro. Ma non stiamo parlando di una semplice libreria, quanto piuttosto di una bella favola che Maria Carmela Polisi, la titolare, ha deciso di raccontarci, proprio come fa con i suoi bambini. L’origine di questo nome? «Il nome nasce da un evento molto personale: il mio papà era Michelangelo ed è morto prima che nascessero tutti i suoi nipoti. Lo desiderava tanto e non ha avuto l’onore di sentirsi chiamare “nonno”. Così ho chiamato la libreria “Mio Nonno è Michelangelo” e adesso le famiglie, i bambini e i grandi “vanno da Nonno Michelangelo”». Come è nato questo progetto e qual è la sua mission? «Fu un evento abbastanza fortuito, perché ho sempre lavorato come archeologa, poi sono nati i miei bambini e la vita che facevo non era più possibile, ero perennemente fuori, sui cantieri e quindi non mi era permesso di essere “mamma” come volevo. Ho iniziato a guardare al mondo dei miei figli e ho visto che c’era una letteratura meravigliosa di cui non sapevo assolutamente nulla. Dopo tre anni di studio è nata la libreria». Ci potrebbe raccontare le iniziative in merito alla vicenda Zaki e contro il fascismo? «La storia di Zaki mi ha colpito particolarmente perché continuiamo a parlare di nazismo, fascismo e di soprusi di ogni genere, ma in realtà l’opinione pubblica non ne parla. Zaki è con me in vetrina, ogni giorno, in modo che chiunque lo veda possa chiedersi, e chiedermi, chi sia quel ragazzo. Il fascismo è un altro dramma della nostra società, che in questo periodo storico
pare essere quasi sottovalutato, se non dimenticato, e quindi dobbiamo continuare a dirci che è una cosa assolutamente negativa, e che non dovremmo mai più tornare a ragionare su fascismi e nazismi di ogni genere. La raccolta firme a sostegno della proposta di legge antifascista Stazzema, avviata anche presso la libreria, era proprio a sostegno della Costituzione, affinché tutti gli elementi legati al fascismo e al nazismo siano totalmente cancellati». Il suo “furgoncino” sta diventando un’icona nella zona, di cosa si tratta? «Il mio “furgoncino libreria” è una cosa a cui tengo particolarmente, perché grazie a quel
minuscolo trabiccolo (come lo chiama qualcuno) riesco ad arrivare in tanti luoghi, dove la lettura proprio non c’entra. Col furgoncino arrivo, alzo il portellone dietro, e i bambini possono entrare e ammirare quella bellezza, poi mi siedo con loro e leggiamo libri. Questa è la funzione del “furgoncino libreria”, andare in giro a portare la bellezza della lettura». In cosa consistono i suoi eventi di lettura? «Ci sono diversi gruppi: il primo è quello legato alle donne incinte, poi c’è il gruppo lettura 0-6 anni, quello 6-12 anni, fino ad arrivare agli adulti. In libreria si viene per leggere, ma non nel senso triste e noioso del termine, ma nel modo più gioioso e divertente». Qual è l’episodio che l’ha maggiormente emozionata? «Una signora stava passeggiando davanti alla libreria ed era evidente che non aveva il coraggio di entrare. Dopo un po’ mi disse che avrebbe voluto portare il suo bambino per “migliorarlo”. Mi ha colpito particolarmente questo episodio, perché una mamma che si spinge fin qui, consapevole delle sue difficoltà, e vuole che il suo bambino si migliori, è proprio il senso di questo posto. Altri momenti intensi li ho vissuti durante la pandemia perché sono andata a consegnare i libri direttamente a casa di tantissimi bambini, e lì ho visto un tipo di infanzia di cui avevo sempre sentito parlare e mai conosciuto. Spesso sono tornata a casa emotivamente distrutta, ancora oggi mi domando perché il mondo non si occupi realmente di bambini…». Cos’è per lei un libro? «In realtà il libro è l’incontro con qualcuno che ti fa innamorare di ciò che di cui lui si è innamorato, il libro è una trasmissione di bellezza. Qualcuno che ci dice: “Guarda che questa cosa è meravigliosa, ci sono delle parole che ti fanno proprio aprire la mente”».
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A RTE
di Giuseppe Spada
Arte narrata, arte colorata Intervista all'artista genovese Francesco Musante
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L'ispirazione si prende dappertutto: chi dipinge prende ispirazione persino quando sogna
L’
arte, come è ben noto, è sempre soggettiva. Seguendo questo dogma è ovvio presupporre che quasi nessun artista può piacere a tutti, quasi. Non posso certo dire che il Maestro Francesco Musante piaccia a tutti, ma posso assicurarvi che chiunque abbia la fortuna di trovarsi davanti a una sua opera si fermerà. Forse lo farà per curiosità, forse perché tutti quei colori e quei personaggi lo divertono e lo fanno tornare un po’ bambino o più semplicemente perché comprende la grandezza dell’opera che sta ammirando. Le sue opere trasmettono una parvenza di felicità e allegria, c’è uno spettro più ampio di emozioni nella profondità delle sue opere? «Senz’altro nei dipinti ognuno racconta la propria vita. Quindi ci può essere una parvenza di felicità sia per i soggetti che per i colori che sono molto allegri e ironici, ma io posso vederci di sicuro dei lati della mia vita meno gioiosi. Tutto sta allo spettatore: chi guarda un quadro interpreta con le proprie esperienze di vita, il pittore non può raccontare il dipinto. Dire “questo dipinto vuol dire questo” preclude un sacco di strade d’interpretazione da parte di chi guarda». Le sue opere raccontano delle vere e proprie storie, racconti che ovviamente hanno dei personaggi. Chi sono questi personaggi e come nascono? «Questi personaggi sono nati da una metamorfosi di lavori partiti circa cinquant’anni fa con altre immagini e altre figure. Sono personaggi del quale non
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saprei spiegare la natura ma, chiaramente, è stata una scelta lenta e progressiva. Quello che volevo raggiungere era dipingere e allo stesso tempo divertirmi e pertanto rendere piacevole quello che faccio. Non è sempre è facile, per tanti miei colleghi non lo è, soprattutto per coloro che dipingono in modo drammatico. Ogni dipinto, pur somigliandosi l’uno con l’altro grazie ai personaggi che sono sempre gli stessi (l’Omino con la tuba, la Donnina, gli Elefanti, gli Alberi, le Case, il Mare), hanno tutti una storia diversa, un po’ come lo scrittore, che pur utilizzando le stesse lettere, la stessa lingua e le stesse parole cambia ogni volta la storia». Oltre alle sue esperienze di vita c’è qualche altro fattore che accende la sua ispirazione? «L’ispirazione si prende dappertutto: da un libro, da una poesia, da un incontro o da un paesaggio. Chi dipinge o chi in generale fa un lavoro simile al mio prende ispirazione 24 ore al giorno, persino quando sogna. Può persino capitare di dimenticare le proprie idee e di ritrovarle
dopo anni. Tanti dicono “dipingo quando ho l’ispirazione” e questo è un percorso che va bene per i dilettanti e non per chi fa questo lavoro da professionista. Io non dipingo tre volte l’anno e poi per il resto non faccio nulla, se mi metto di mattina davanti alla tela bianca comincia a uscire subito fuori qualcosa». Nei suoi quadri la mole di dettagli che si possono osservare è enorme. Questi dettagli sono presenti sin da subito nella sua visione dell’opera o nascono man mano durante il lavoro? «Io parto sempre dal disegno a matita e in quel momento lascio la mia fantasia libera di viaggiare senza limiti, quando comincio non so mai cosa verrà fuori. È un po’ come cominciare con una parola per poi dirne un’altra e un’altra ancora sino a formulare un discorso. Ogni mia opera comincia con un solo dettaglio, che può essere rappresentato da un personaggio, un albero, una casa ecc. Una volta disegnato, poi, posso passare alla parte più tecnica che è quella della pittura. Quando poi lavoro su
commissione, ad esempio per le aziende, pur avendo carta bianca devo comunque attenermi a un tema; per esempio, per la Vaillant che faceva caldaie, ho fatto un’opera con qualcosa che ricordasse il fuoco e i prodotti in generale». Che importanza hanno i colori all’interno delle sue opere? «I miei colori attirano molto, soprattutto i bambini, anche piccolissimi. Il colore che uso è anch’esso frutto di una metamorfosi pittorica. Io non ero partito con quel blu notte e con il resto della tavolozza che uso di solito. In un periodo dove la maggior parte dell’arte contemporanea è fatta di minimalismo e di monocromatismo, io sono felice di usare i colori. Di sicuro c’è una parte di spettatori che non ama i miei colori, anche perché, parlando commercialmente i miei quadri sono anche difficili da collocare. Una tela bianca sta benissimo in una casa, non chiede particolari doti di design. Io però resto dell’idea che un quadro vada acquistato non per essere arredamento ma per la semplice soddisfazione di poterlo guardare».
A RTE
di Mina Grasso
There is No Time to Enjoy the Sun La mostra presentata dalla Galleria Morra Greco
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n occasione della ripresa delle attività museali e degli spazi espositivi di mostra, nel corso del mese di maggio 2021 e fino al 30 giugno 2021, la Galleria Morra Greco, nel quartiere dell’Anticaglia a Napoli, presenta al pubblico la mostra “There is No Time to Enjoy the Sun” realizzata nel contesto di Progetto XXI, con la curatela di Federico Del Vecchio. La mostra rappresenta la prima tappa di un più ampio progetto espositivo che sfocia nel “Sistema Campania per l’arte contemporanea”, e che si propone di dare spazio alle voci dell’arte contemporanea del territorio campano, esponendo in una collettiva i lavori di 19 artisti ed artiste campane. La Galleria Morra Greco svolge la sua attività dal 2003 negli spazi del cinquecentesco Palazzo Caracciolo di Avellino e a seguito dell’acquisizione nel tempo di tutti i piani dell’edificio e dei lavori di ristrutturazione del 2015 ha riaperto al pubblico nel 2019 raggiungendo circa 2.000 mq di spazio espositivo distribuito su cinque livelli, presentando un ricco programma di residenze d’artista e di mostre site specific e di performance, ma anche di forte dialogo con il territorio, attraverso esposizioni nei luoghi antistanti il palazzo e spesso con laboratori didattici e di formazione. La teoria di George Bataille (1897-1962), scrittore, antropologo e filosofo francese, detta le regole di questa mostra collettiva, portando le sue regole dal mondo dell’Economia a quello dell’Arte, poiché come spiega nei suoi scritti Bataille: “il sole irradia sulla Terra più energia di quanta in realtà il nostro pianeta possa assorbirne, producendo un’eccedenza - energia esuberante o eccedente, che si colloca al limite dell’esplosione - che si traduce da una
parte nell’effervescenza della vita e nell’altra nella distruzione, se non viene limitato”. L’Arte entra in gioco proprio su questa energia cosmica e diventa elemento catalizzatore di visioni. È interessante osservare - secondo Bataille come si riesca ad acquisire consapevolezza e con questa decidere come utilizzare il sovrappiù cioè “parte maledetta” dell’energia. La città di Napoli – al centro di questo concetto narrativo - dai suoi vicoli, spinge l’oscurità e si muove verso il sole e dunque, verso il cosmo per costruire spazi di valenza cosmica oltre i confini del quotidiano, dove si legge il presente e si costruisce il futuro. Il percorso espositivo di mostra appare quasi come un montaggio cinematografico per gli improvvisi scarti visivi, la collettiva di artisti ed artiste campane, generazione degli anni ‘80 e ’90, propone un insieme di 71 opere d’arte. Si tratta del mondo dell’arte della Generazione Y, quelli che chiamiamo Millennials, che segue alla generazione X, e la mostra parte da una riflessione sul territorio campano nel periodo emergenziale, della vita e dell’arte, collocandosi in una visione europea con lo scopo di creare una economia artistica autosufficiente. Gli artisti in mostra nella collettiva di Morra Greco sono: Alessandro Bava, 1988, Veronica Bisesti, 1991, Andrea Bolognino, 1991, Diego Cibelli, 1987, Effe Minelli, 1988, Claudio Coltorti, 1989, Carmela De Falco, 1994, Antonio Della Guardia, 1990, Giulio Delve’, 1984, Theo Drebbel, 1990, Maurizio Esposito, 1982,Giorgia Garzilli, 1992, Renato Grieco, 1991, Rebecca Moccia, 1992, Raffaela Naldi Rossano, 1990, Paolo Puddu, 1986, Roberto Pugliese, 1982, Camilla Salvatore, 1993, Ambra Viviani, 1993.
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C UCINA
di Lucrezia Varrella
gennaro esposito Il cibo è un racconto e merita equilibrio
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n rapporto con il cibo quasi viscerale, che inizia dall’infanzia, un legame privilegiato con i sapori del territorio e una tecnica ricercata e studiata per onorare la qualità e la salubrità dei prodotti. Gennaro Esposito, Chef e Patron del bistellato ristorante Torre del Saracino, a Vico Equense, pensa la sacralità della tradizione gastronomica campana con lo sguardo sempre attento alle offerte del presente, creando una mistione perfetta tra semplicità, cultura e buon cibo. Come si è avvicinato alla cucina e al cibo? «È stata una serie di coincidenze che mi ha portato nel mondo della gastronomia, anzi, della pasticceria all’inizio. Il mio primo lavoro, infatti, è stato aiutare mio zio in pasticceria: ero piccolo, ma a quei tempi era normale cominciare presto. Quell’estate, avevo appena 9 anni, la mattina arrivavo prima per sistemare il laboratorio e poi ho iniziato a consegnare dolci, a fare il caffè, fino alle vere mansioni di pasticceria. Arrivato alle superiori, scelsi l’alberghiero, che per i più era un ripiego, ma per me no. Lì è stato come ricominciare da capo, perché non c'era più mio zio, il linguaggio e gli atteggiamenti erano altri, c'era un rigore diverso nelle cucine, soprattutto rispetto ad oggi. Ora gli chef hanno un livello culturale abbastanza elevato e quindi un approccio completamente diverso da quello di trent'anni fa. Non è stato facile, ma le difficoltà, la gavetta, il cominciare presto ad avere forti responsabilità sono stati un’importante lezione, che ha lasciato il segno». Fino all’apertura di Torre del Saracino. «Sì, e anche qui è stata una combinazione: c'era un circolo velico a Seiano, che si sciolse, e noi lì iniziammo a creare il ristorante, all'inizio molto semplice e con una cucina lineare, che portava avanti le tradizioni del tempo. Poi, complici la curiosità, i viaggi, gli stage, è nata la cucina di Torre del Saracino, una cucina personale e indissolubilmente legata alle carat-
teristiche della cucina mediterranea, piena di ricordi». Che ruolo hanno questi ricordi sul suo modo di cucinare e di scegliere i cibi? «I piatti nascono da esperienze personali, da sogni e punti di vista, che vuoi condividere con i clienti. Io sono cresciuto in una famiglia in cui il cibo è sempre stato un argomento serio. Mia madre era una bracciante agricola e abbiamo sempre avuto un orto di famiglia, dove poter coltivare e anche allevare animali da cortile, quindi ci vivevo con i nostri sapori, con queste cose; la mattina prima di andare a scuola si passava ad innaffiare la verdura, mi ricordo questo rapporto diretto con le cose che maturavano, che crescevano e raccoglierle, assaggiarne il sapore, sono sensazioni che ti porti dentro. Molto ho imparato anche da mia madre, che io definisco una cuoca semplice, in grado di preparare con quattro ingredienti dei piatti saporiti e concreti. Tutto questo mi ha donato dei ricordi che amo
@cantieripanaro www.cantieripanaro.it e-mail: canapasrl@virgilio.it Tel./Fax 0823 18 31 089 - Cell. 347 844 13 55 Via dei Martiri - 81030 Castel Volturno (CE) 36
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mettere nei piatti, perché è un piacere per me, ma sono sicuro anche per gli altri: raccontarsi in cucina è molto importante». La cultura, l'ambiente, il territorio influiscono molto sul modo di mangiare. Crede che la Campania sia un luogo di nascita privilegiato per un cuoco? «Questa è una cosa che dico spesso, noi siamo estremamente fortunati ad essere cuochi in questo territorio. Da tantissimi anni sto in cucina e pur avendo investigato molto su luoghi e prodotti, scopro sempre cose nuove proprio qui. Quando vado all'estero e mi mancano le cose più semplici, torno sempre alla consapevolezza che la nostra è una grande terra, di cultura e di sapienza, ma anche di cibo, perché abbiamo accesso alla diversità, all’artigianato gastronomico, risorse per noi essenziali». Negli ultimi anni è esplosa la moda del food sui social: il cibo si fotografa, si condivide, si espone. Cosa ne pensa di questo fenomeno così prorompente? «Lo guardo e lo accetto democraticamente. È chiaro che il cibo è un'altra cosa: ha dentro di sé delle informazioni, un significato, un fascino che difficilmente viene raccontato in questo modo. Le immagini oggi sono il mezzo principale, ma spesso mirano solo a colpire e così si commettono errori e mancanze di rispetto verso il cibo. C’è un modo per mangiare e c'è un modo per preparare il cibo. Esistono regole che riguardano la qualità della vita, che non vanno sovvertite. Vedo pizze e panini in cui convivono decine di ingredienti, pesce carne uova formaggi, quasi una specie di pornografia del cibo, il racconto di un eccesso fine a sé stesso, scorretto sia dal punto di vista del sapore che da quello nutrizionale. Le persone devono rendersi più edotte sulla qualità del cibo, imparare a fare meglio la spesa, sapere come intercettare la qualità e soprattutto capire che non sempre il buono costa di più. È fondamentale mettere ordine ed equilibrio nel cibo».
OFFICINA AUTORIZZATA
C UCINA
Il valore della qualità La passione di Livia Iaccarino del Don Alfonso 1890
di Pasquale Di Sauro
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accarino è una bandiera che sventola nel cielo di Sant’Agata sui Due Golfi. Nel ristorante-feudo Don Alfonso 1890, Livia e Alfonso insieme ai loro figli Mario ed Ernesto portano avanti una tradizione scritta nel codice genetico di famiglia. Una storia di religiosa passione per il cibo e la natura premiata con stelle Michelin e con la riconoscenza di chi, conoscendoli, decide di prenderli d’esempio. A raccontare è Livia, saggia ed elegante nella sua semplicità, come il cibo e i valori che promuove, da sempre al servizio della qualità. Don Alfonso 1890, cosa trova chi viene a trovarvi? «Vogliamo che i nostri ospiti facciano un percorso interiore. Qui ci sono persone che vogliono dare tutto. Il nostro staff sposa la causa Don Alfonso offrendo il calore di una famiglia. Se vogliono sedersi subito a tavola, va bene. Ma se hanno tempo, comincia la visita alla nostra casa». Lei e Alfonso coppia inossidabile, il cibo è stato il vostro cupido? «Il cibo è la nostra cometa. Siamo cresciuti insieme, le nostre famiglie vedevano le nozze come un disastro. Eravamo giovanissimi, ci prendevano per pazzi. Folle era anche la nostra idea di fare ristorazione. Ci dicevano che il sogno era bello ma saremmo stati una goccia in un oceano. Ma io sposai Alfonso e la sua causa. Bisognava dedicare tutto il tempo a quella goccia». Poi cos'è successo? «Alfonso prese in mano le redini dell’attività di famiglia, l’albergo Iaccarino. Per dieci anni l’abbiamo gestito, ma l’orgoglio di appartenenza alla nostra terra si fece sentire. I ristoranti della Costiera a quei tempi seguivano le mode, non si cucinava più un piatto di pasta “vero”, era simbolo di povertà. Decidemmo dunque di aprire nel ‘73 il Don Alfonso battendoci per la nostra idea: ridare dignità al cibo del nostro territorio. Inizialmente
il ristorante era per gli “amici”, nell‘83 rinunciavamo completamente all’hotel per dedicarci alla nostra passione». Il Don Alfonso, non solo “ristorante”... «Ci occupavamo dell’albergo. Avevamo i nostri fornitori orgogliosi di portarci carciofi giganti ma qualcosa non quadrava. Erano prodotti con dentro la chimica. Impressionati continuammo le verifiche, anche perché cercavamo un grande olio. Un amico ci regalò una bottiglia tranquillizzandoci sulla qualità. Scoprimmo che l’olio si separava! Era scadente. Così, presi una decisione». Quale decisione? «Mia madre possedeva un terreno, chiesi di darmelo così da poterci coltivare. Dopo i ristoratori volevamo fare anche i contadini. L’obiettivo era un grande olio. Ci costò anni di fatica, bisognava dare vita a degli ulivi morti, ma che soddisfazione».
Ristorante e azienda agricola. Coltivare i prodotti e servirli, cosa significa? «Sapere cosa porti in tavola. C’era un terreno a Punta Campanella, decidemmo di comprarlo ma servivano soldi. Vendemmo una villa che avevamo ereditato dalla divisione dell’albergo, era la nostra futura casa. In quei quattro ettari doveva nascere l’anima del Don Alfonso. Per l’azienda agricola biologica che stavamo creando lasciammo il nome della tenuta di mia madre “Le Peracciole”». Perché la chimica è bandita dai vostri terreni? «Quel terreno era pieno di diserbanti che non fanno crescere più nulla. Per recuperarlo iniziammo con dodici mucche e il loro letame “nobile”. Ci sono voluti anni per dare nuova vita. La chimica ti dà risultati immediati alterando il ciclo naturale, prodotti più grandi ma non naturali». Il vostro incontro con Ancel Keys, lo scopritore della Dieta Mediterranea «Un giorno arriva Gore Vidal in compagnia di due amici Ancel e Margaret Keys. Si siedono di fronte al vetro della cucina. Ricordo gli occhi di Ancel brillare nel vedere Alfonso preparare tutti i prodotti mediterranei che in quegli anni erano simbolo di povertà. Entrò in cucina a parlare con noi del cibo della vita, non è andato più via. Ci raccontò della sua intenzione di trasferirsi a Pioppi per le ricerche sulla Dieta Mediterranea. Quell’incontro ci fece capire che non dovevamo mollare». I consigli per la spesa e la dritta ai futuri ristoratori? «Non comprate prodotti fuori stagione. La natura ci regala ciò che serve per ogni tempo. Approvvigionatevi delle cose buone che vedete coi vostri occhi anche se costa una gita fuori porta. A futuri ristoratori il consiglio è di vedere il costo della spesa come un investimento. Cercate la qualità, rispettate la natura, è sempre lei che comanda». Intervista integrale su www.informareonline.it
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di Anna Copertino
«LA REALTÀ È LA PROTAGONISTA DELLE MIE STORIE» Pino Imperatore racconta le nuove sfide da affrontare
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n nome e un cognome che da anni sono familiari a chi divora libri, in particolare ai lettori che amano il genere umoristico: Pino Imperatore. Chi può meglio rappresentare il genere, se non un docente di scrittura umoristica? Un narratore che è anche giornalista e che, con l’amico Edgardo Bellini, ha fondato a Napoli il Laboratorio di scrittura umoristica “Achille Campanile”. Un autore nato per caso a Milano da genitori partenopei, ma che prontamente fu portato a vivere a Napoli. Ancor prima che scrittore, nasci giornalista, e hai vissuto come dolore personale l’omicidio di Giancarlo Siani avvenuto nel 1985. Quest’anno, nel 35esimo anniversario dalla morte di Giancarlo, l’Ordine dei Giornalisti ha consegnato ai suoi familiari il tesserino da giornalista professionista. Cosa pensi avrebbe “detto” Giancarlo oggi della nostra città? Quanto il suo assassinio ha influito sulla tua scrittura, che è sì definita di genere umoristico, ma è intrisa di grande impegno civile? «Giancarlo avrebbe semplicemente seguito la sua vocazione e passione, che consisteva nel raccontare in modo impeccabile il bene e il male di Napoli, gli eventi belli e quelli brutti, denunciando le storture della città e mettendo in luce, allo stesso tempo, gli aspetti positivi della realtà partenopea. Lo avrebbe fatto, ne sono convinto, come lo ha fatto in vita: senza fronzoli, andando al cuore dei problemi, con l’asciuttezza e l’incisività delle sue parole. Giancarlo il giornalismo – quello vero, non quello costruito a tavolino – ce l’aveva nel sangue. Da lui ho imparato a non avere paura. La narrazione di un universo sociale complesso come quello napoletano deve essere scevra da
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condizionamenti e timori. Se poi la si costruisce con il sorriso sulle labbra e nella penna, meglio ancora». Il secondo romanzo degli Esposito reca una dedica importante: “Alle vittime innocenti della criminalità”. Mentre lo scrivevi, nel 2012, si verificarono gli omicidi di due giovani estranei alla criminalità, Andrea Nollino di 42 anni e Pasquale Romano di 30 anni. Cosa hai provato? Quanta rabbia e indignazione? «Tanta, tantissima. La camorra fa schifo. In tutti i sensi, in tutti i suoi comportamenti. E fa schifo mille volte di più quando uccide persone innocenti».
Nell’antologia “Un giorno per la memoria” hai voluto ricordare Pasquale Romano. Hai dato voce a Lino, come affettuosamente lo chiamavano in famiglia. Un racconto di grande emozione, ma che è anche un grido di denuncia. Raccontaci il tuo Lino. «Nel testo, intitolato “Ai miei assassini”, ho immaginato che Lino scriva dall’aldilà una lettera alle persone che l’hanno ammazzato. Una lettera arrabbiata, forte, ma priva di rancore: “Per voi provo soltanto pena. Credete di essere forti, potenti. Vi atteggiate a grandi uomini e vi vantate della vostra spavalderia e della vostra arroganza. In realtà siete dei vigliacchi che si muovono fra le ombre. Siete ciechi più dei ciechi. Tentate di farvi rispettare con la legge della ferocia, ma non meritate alcun rispetto. Voi non rappresentate niente”. Una lettera che si conclude con queste parole: “Siete dei cadaveri ambulanti. Siete polvere, polvere, polvere. Siete il nulla del nulla”. Sono felice che il racconto, insieme a tutti gli altri pubblicati nell’antologia, sia stato apprezzato da tanti lettori e in particolare dai ragazzi, ai quali io dedico da anni una grande attenzione. Lino era uno di loro: aveva speranze, sogni, entusiasmi, un futuro luminoso davanti a sé. Il suo martirio sia da monito per quanti stupidamente credono che sia meglio puntare un’arma che donare sorrisi». Con “Bentornati in casa Esposito” ci hai lasciati con il fiato sospeso e con una punta di amaro in bocca. La domanda nasce spontanea: a quando il terzo romanzo degli Esposito? «Lo sto scrivendo proprio in questo periodo, con l’auspicio che venga pubblicato in concomitanza con l’uscita del film. È giusto che le due opere viaggino insieme; poi sarò io, nella duplice veste di padre legittimo del libro e di padre putativo del film, a prenderle per mano e a portarle in giro per il mondo».
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F OTOGRAFIA
di Benedetta Calise
NAPLES SENSE OF PLACE di Alex Trusty
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Quello che ti colpisce di questo luogo è l’umanità, la generosità, l’ottimismo e la spensieratezza dei napoletani, l’attaccamento a questa città che non vogliono lasciare mai e dove vogliono sempre tornare”. Alessandro Fidato, con il suo pseudonimo di Alex Trusty, fotografo appassionato ed entusiasta, ha da poco concluso la sua mostra fotografica “NAPLES SENSE OF PLACE” al Pan, palazzo delle Arti di Napoli. Lui nella vita fa il manager ma è sempre stato appassionato di fotografia in bianco e nero. Alex nasce a Roma ma, per il suo progetto, sceglie di immortalare Napoli e le sue bellezze a 360 gradi. Questo perché, ai suoi occhi, è una città che dà il vero “Sense of Place”: il senso del luogo, caratteristica di quei luoghi con una forte identità, una vera anima, per certi versi un luogo sacro, che li rende speciali ed unici. La mostra è stata un vero successo, a tal punto che presto potremo vederla esposta in un altro affascinante edificio partenopeo. Alex, come si è appassionato al mondo della fotografia? «La mia passione per la fotografia è nata quando ero solo un bambino. All’interno della camera oscura, mio padre, appassionato di fotografie e in particolare ritratti, sviluppava le sue foto e io, intanto, lo osservavo con curiosità. Ricordo con il sorriso le luci particolari e l’odore acidulo che caratterizza la camera oscura da cui è iniziato tutto. Da ragazzo, poi, ho coltivato il mio interesse intraprendendo dei corsi di fotografia, sempre più avanzati, per poi fare dei workshop con altri fotografi, fino a quando sono arrivato alla mia prima mostra al Pan». Lei è originario di Roma, perché ha scelto di immortalare Napoli per il suo progetto? «Io sono un fotografo romano ma nella mia vita ho vissuto anche negli Stati Uniti, a Milano, e
poi per 8 anni a Napoli. Napoli è un luogo affascinante e d’ispirazione per un fotografo, poiché citando il famoso architetto Gio Ponti: “Dio è stato molto generoso con Napoli: la collina ed il mare, e ancora il Vesuvio e le isole”. Questo per dire che è una città baciata dalla bellezza. Inoltre è anche ricca di panorami meravigliosi, che io ho immortalato in molte delle mie fotografie. Il così detto landscape, ovvero una specializzazione della fotografia, accompagnata anche dalla cityscape, altrettanto magnifica, cioè i paesaggi urbani, le stradine, i palazzi, i quartieri. Poi fondamentale, alla base di tutto, l’archeologia e la storia antichissime e straordinarie che fanno da colonna portante della città di Napoli». Come si sviluppa il processo artistico di un fo-
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tografo come lei? «La prima regola per un fotografo, è portare sempre con sé la propria macchina fotografica, in modo tale da essere sempre pronto a scattare non appena è ispirato. L’attenzione può essere richiamata da un edificio, da un vicolo, da un paesaggio, una persona, un'ombra, un raggio di luce. Successivamente, man mano, matura un’idea nella mente e nasce un progetto, basato su tale idea; così si dà il via alla ricerca e agli scatti. Per la creazione di un progetto, i soggetti scelti possono essere immortalati decine e decine di volte, da diverse angolazioni, a diversi orari del giorno, finché non si scatta esattamente la fotografia che rispecchia a pieno la tua idea e che farà parte della tua mostra. Inoltre, la fotografia è continua ricerca. Quando 5 anni fa ho deciso di creare Naples sense of place, ogni momento libero uscivo per le strade di Napoli e andavo alla ricerca dei soggetti giusti, tenendo ben in mente la mia idea. Poi, dopo migliaia di fotografie, ho scelto i 44 scatti esposti che rispecchiavano perfettamente la mia idea e rappresentavano al meglio il senso del mio progetto». Alex, cosa vuole trasmettere con i suoi scatti? «La fotografia è la mia avventura! Io cammino per le strade della città, mi fermo, percepisco delle sensazioni, provo delle emozioni e le trasformo in scatti. Io amo la fotografia e amo che le persone guardino con i miei occhi, attraverso le mie fotografie. Il motivo principale per cui scatto in bianco e nero è perché sono daltonico. Il mio obiettivo è proprio permettere alle persone di guardare la mia realtà attraverso i miei occhi che, per l’appunto, apprezzano molto di più le tonalità di grigio. Infine io amo comunicare con il mondo e per questo mi piace “scambiare gli occhi” con altri fotografi come me, confrontando i nostri scatti».
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C INEMA
di Lorenzo La Bella
David di Donatello 2021
Cinema pandemico
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n lettore assiduo potrà ricordare che l’anno scorso i toni del mio pezzo sui David erano stati molto speranzosi. Parlavo di cinecomic come “5 è il numero perfetto”, colossal come “Il Primo Re”, “Il Traditore”, “Martin Eden” e “Pinocchio”, cinema di minoranze come “La dea fortuna” e “Bangla”. Quest’anno è stato un po’ diverso. I film più quotati di questa tornata, “Hammamet” di Gianni Amelio, “Tolo Tolo” di Checco Zalone, “Favolacce” dei Fratelli d’Innocenzo, o “Figli” di Giuseppe Bonito, sono tutti precedenti alla pandemia, e non regalano, per così dire, grandissime sorprese. “Hammamet” appare come il tentativo di ricreare la magia de “Il Traditore” con il suo camaleontico Favino: è una lettura intima di uno dei più importanti trampolieri della Prima Repubblica, ma non arriva ai livelli di “Loro” di Sorrentino. “Tolo Tolo” continua la svolta di Checco Zalone verso temi sociali, ed è stato un ottimo campione di incassi. “Favolacce” è stato molto divisivo sia nella critica che nel pubblico, e prospetta una carriera interessante ai d’Innocenzo. “Figli” ci viene, con sorpresa, da una delle penne di “Boris”, e contiene la nuova ottima interpretazione di un altro camaleonte, Valerio Mastandrea. No, le sorprese sono venute dai film usciti durante il periodo pandemico. Film coraggiosi come “Non odiare”, che con un
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sorprendente Alessandro Gassman attacca la rinascita fascista e antisemita che sta vivendo in Italia e al contempo esamina il paradosso nietzscheiano del combattere i mostri. Film coraggiosi come “Miss Marx”, che ci porta la storia di Eleanor Marx, la figlia di Karl Marx, una delle figure più importanti del femminismo e del comunismo britannico. “La vita davanti a sé”, una storia di amicizia intergenerazionale e intersezionale che ci regala l’inaspettato e trionfale ritorno di Sofia Loren, a cui va il David per Miglior attrice protagonista. Ma uno dei più coraggiosi, sia in senso di tematiche che di operazione commerciale, è stato il
film vincitore di questa tornata. “Volevo Nascondermi” di Giorgio Diritti, ha fatto incetta di David. Miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior autore della fotografia, miglior acconciatore, miglior suono. La storia di Antonio Ligabue, il Van Gogh italiano del primo Novecen-
to. Qui spadrona un altro attore camaleontico ancora, forse quello definitivo della sua generazione, Elio Germano. Un film che non ha ottenuto grande successo al botteghino, ma uno dei più meritevoli di essere visti, perché recupera una storia davvero poco conosciuta.
T EATRO
di Giovanni Iodice
Il teatro come palestra di vita Un tuffo nella vita dell'attrice Alessia Lamoglia
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a conosciamo come Marinella de “I bastardi di Pizzofalcone”, la serie televisiva, giunta alla terza stagione. È Alessia Lamoglia stessa, talent della “PM5” di Peppe Mastrocinque, giovane attrice napoletana che si sta affermando nel panorama artistico italiano a raccontare il suo avvicinamento al mondo attoriale, il rapporto con la città di Napoli ed il personaggio interpretato nella serie televisiva. Quanto ha influito Napoli sulla tua personalità artistica? «Ha influito quasi del tutto, se non del tutto. Essere napoletani è meraviglioso; ricordo che mia madre mi cibava fin da piccolina delle commedie di Eduardo, dei film di Troisi, della Loren. Napoli la porti dentro come se fosse una sorta di bagaglio interiore non solo artistico, ma anche umano. Sono molto legata a Napoli, alle mie radici in generale: faccio anche molto fatica a distaccarmene, ma devo. Mi sono sempre ritenuta una cittadina del mondo. Il lavoro mi ha portato spesso a distaccarmi da queste bellezze, ma la porto dentro». Sei ancorata a Napoli, ma fai da spola con Roma. «Il mio cammino è sempre stato un andirivieni tra Napoli e Roma, città di adozione, in cui ho vissuto gli ultimi due anni e che mi ha accolta. Nel momento in cui sono arrivata a Roma, il lavoro mi ha riportata a Napoli. Non ci sono parole per descrivere questa città: è quasi come una maledizione, in senso positivo; ne resti legata, la porti con te, dentro, in giro per il mondo. Cerchi sempre di ritrovarla in una increspatura, in un odore, rumore, colore, è sempre con te». La tua carriera artistica è fatta di partecipazione in fiction di genere quasi sempre poliziesco. Perché? «In realtà, non l’avevo notato, me l’hai appena fatto notare. Mi ha spesso accompagnato
questo genere; io non sono per i generi, però, quanto per le storie, mi affascinano. Se dovessi scegliere un ambito che mi stuzzicherebbe, in questo momento indicherei un film d’epoca: ho sempre pensato che la storia del passato sia monito per il presente e dica molto di più del nostro presente e futuro». Esordisci in teatro, banco di prova per un attore. Ci racconti di questa esperienza? «Il mio primo amore è stato proprio il teatro: mia zia era attrice, la seguivo con la mia famiglia. È come se fossi stata inglobata da questa magia. La vita, poi, conduce in altre direzioni. La danza mi ha aiutato a mantenere questo rapporto così come il canto fino a quando, all’età di circa 15/16 anni, ho deciso di riaffac-
ciarmi al teatro ed è stato come una rinascita, come ritornare all’inizio: il teatro è stata ed è una palestra. Non è scontato indicarlo come una palestra di vita, lo è davvero, sia da un punto di vista artistico, che emotivo, umano. È una palestra perché ci si allena ad essere specchio di sè stessi e a trovare nell’altro lo specchio di sè stessi. È come riconoscersi negli occhi degli altri, è molto costruttivo. Bisognerebbe inserirlo in maniera consistente non solo a parole anche nelle scuole». Il successo arriva con la fiction “I bastardi di Pizzofalcone”. Cosa rappresenta per te il personaggio di Marinella? «È stata una esperienza importante in termini di durata. Per la prima volta ho provato cosa vuol dire costruire un personaggio. Ci siamo prese la mano io e Marinella, abbiamo vissuto assieme, anche perché abbiamo quasi gli stessi anni. È il personaggio cui sono più legata. Ad ogni personaggio doni una parte di te, lei ha molto di me e viceversa; i suoi turbamenti adolescenziali sono stati anche i miei, li ho ripescati. È come se fosse una sorella per me». Ti sei formata, artisticamente parlando, nel corso degli anni. Si può avere successo senza formazione? «Ho iniziato con la fiction “Capri” grazie anche alla frequenza, seppur di due mesi, di una scuola di recitazione, consigliatami da Peppe Mastrocinque, mio agente attuale, rappresentante della PM5 Talent. Abbiamo ritrovato l’unione professionale. Esiste un’attitudine innata, un fuoco che ti brucia e che esce in maniera inconsapevole. Sono fermamente convinta che il fuoco bisogna coltivarlo, alimentarlo, allenarlo. Non bisogna credere che si sia arrivati in un punto, siamo in continuo divenire. Non bisogna mai far morire quella creatività che ci spinge nella vita, nell’arte, nel lavoro».
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L IBRI
di Luisa Del Prete
"salutami tuo fratello" La nuova sfida del rocker emiliano. L’intervista al cantautore Marco Ligabue
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alutami tuo fratello” è il libro d’esordio di Marco Ligabue. Una nuova sfida per il cantautore, fratello di Luciano Ligabue, che con questo libro ha voluto raccontare una vita che va al di là dei soliti stereotipi del “fratello di”, ma che anzi è ricca di energia, tenacia, voglia di fare e soprattutto tanto talento. L’intervista al rocker emiliano, nella quale racconta non solo del nuovo libro, ma dà una visione completa di una carriera ricca di emozioni e continue nuove esperienze. “Salutami tuo fratello” è il tuo libro d’esordio, anche se la carriera nel mondo della musica va avanti da un bel po’. Com’è nata l’idea di
questo libro? «Anche se scrivo canzoni, pensavo che un libro fosse un’impresa titanica. Però circa un anno e mezzo fa, un mio amico giornalista di Pescara, Paolo Di Vincenzo, mi ha spinto nell’iniziare a scrivere questo libro. Allora ho provato timidamente a scrivere i primi capitoli. Un capitolo dopo l’altro per vedere come mi approcciavo, ma ci prendevo gusto man mano perché era un’esperienza che mi stava dando tanto, essendo molto diversa dalle canzoni, e quindi così a trentatré capitoli ho detto: “Stop, abbiamo il libro: Salutami tuo fratello”». Il titolo del libro: “Salutami tuo fratello”. Perché? «In primis per ironizzarci sopra perché è una delle frasi che più mi sono sentito dire nella mia vita; qualcuno me lo diceva in piazza da piccoli a Correggio, parenti ed amici, poi dal ’90 quando Luciano è partito con “Balliamo sul mondo” e si è fatto conoscere in tutta Italia, da lì è diventata una nazione intera che me lo ripeteva continuamente. Quindi diciamo che è una frase che fa parte della mia vita e quindi c’ho voluto scherzare sopra, ma anche raccontare che mentre la gente mi salutava perché ero “il fratello di”, io ho cercato di affrontare tutte le mie sfide, la mia vita, il mio percorso personale e artistico, i miei amori, la mia vita privata».
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Un percorso artistico che inizia nei primi anni ’90, dal 2001 al 2012, per poi arrivare al 2013 con l’inizio della tua carriera da solista. Come mai questa decisione? «L’aver compiuto 40 anni ed aver fatto tanti anni di band, mi hanno fatto assumere una consapevolezza diversa. Fino a quel momento l’idea di cantare non la volevo neanche valutare; avendo un fratello così famoso mi sembrava di andare a far la stessa cosa e di andarmi ad imbucare in un vicolo cieco fatto solo di pregiudizi e di paragoni col fratello e di persone che pensavano che non sarei mai stato come lui. Insomma, tutta una serie di paure che non volevo neanche affrontare. Poi passati dieci anni bellissimi con i Rio, i 40 anni, sono diventato papà, mi sono arrivate tante canzoni nuove e diverse che non erano più da contesto di una band, probabilmente mi hanno fatto prendere questa svolta e c’ho messo un po’ a prenderci le misure perché fare il cantautore è un’altra cosa, però devo dire che è stata una delle scelte più giuste che io abbia mai fatto». Tanta energia, ma soprattutto una grande simpatia. Qual è la forza motrice di ciò? «E’ la vena rock’n’roll. Quando nasci in questa terra con due genitori che hanno il rock’n’roll dentro probabilmente ti trasmettono una cosa
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Qualità e cortesia al servizio dei nostri clienti
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dentro, nel sangue. Quindi sicuramente la terra ed i genitori sono stati fondamentali, ma c’è s t a t o un episodio drammatico che per me è stato cruciale perché sono cambiato in tanti miei modi di pensare ovvero quando sono andato ad Auschwitz in Polonia. Lì mi è arrivata una botta perché quando vai lì sul posto, tocchi con mano, vedi con i tuoi occhi un orrore che ti sembra inimmaginabile. Io ho cercato di farla mia e nel treno di ritorno, ho consapevolizzato che ogni giorno ci facciamo mille problemi per veramente cose inutili e pensando al dramma che hanno passato certe persone, mi è arrivata proprio una leggerezza, un sorriso ancora più esplicito grazie proprio all’aver vissuto di persona questo dramma». Guardando indietro a quel che è stata la tua carriera, c’è qualcosa che rimpiangi? C’è invece qualcosa che auspichi per il futuro? «Se c’è una cosa invece che mi auguro è quella di avere sempre l’energia e la voglia di creare perché penso che quella sia la molla vera che ci fa andare avanti. Ho un sogno vero, forse irrealizzabile, è quello di fare un concerto all’arena di Verona perché è il posto più bello del mondo».
Fare il cantautore:
una necessità più che un mestiere L’intervista all’artista Lino Blandizzi.
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di Anna Copertino
ino Blandizzi è un cantautore napoletano, classe ‘69. Nella sua carriera, iniziata nel 1991, colleziona collaborazioni con artisti come: Sergio Bruni, Dirk Hamilton, James Senese, Gigi De Rienzo, Antonio Onorato, Adriano Pennino, Joe Amoruso e collabora con scrittori come Maurizio de Giovanni. Perché si decide di fare il mestiere di musicista/cantautore, anche in una realtà così difficile qual è quella napoletana? «Nascere a Napoli è una fortuna, è una città eclettica, creativa, stimolante per ogni forma d’arte è una città che suona anche nel silenzio più totale. Più che un mestiere è una necessità, quella scintilla che ti fa sentire che non puoi vivere senza, con la consapevolezza di una strada molto difficile senza alcuna garanzia, soprattutto economica. L’importante è stato soprattutto fare musica». Una carriera di tutto rispetto: tantissime collaborazioni con nomi importanti del panorama nazionale ed internazionale. Quest’anno festeggerà 30 anni di carriera, ma anche tanti nuovi progetti, vero?
«È un viaggio fantastico, nonostante il percorso pieno di ostacoli e il precario equilibrio. Il mio essere riservato, un pò introverso, e non presenzialista, non paga in popolarità, ma non mi ha mai fermato, la mia storia, per fortuna, è ricca di tanto lavoro e soddisfazione. Mi sono sentito sempre libero di fare nella mia musica quello che desideravo, ho sempre guardato avanti, cambiando il mio sound, spaziando tra generi di musica diversi». Avete scritto “A suon di parole”, un romanzo autobiografico, a quattro mani; mentre le canzoni del cd - in allegato al libro - che hanno diversi temi di contenuto sociale, come sono nate? Prima la musica o prima il testo? «Siamo sempre partiti dalla proposta della scrittura. L’ispirazione fluisce spontanea. Piero Antonio mi sottoponeva qualche idea di testo ed io a mia volta scrivevo una bozza di musica, e poi confrontandoci suggerivamo spunti e alternative fino a completare il brano. A volte le canzoni sono nate di getto, altre sono state sofferte». Si avverte un lavoro fatto con estrema sensi-
bilità e cura dei temi trattati, brani di spessore, dalla musica e all’interpretazione di Blandizzi, ai testi di Toma. Vi ritenete soddisfatti di ciò che siete riusciti a realizzare? «Assolutamente si. Con Toma è stata una straordinaria avventura musicale e non solo. Ho sempre scritto solo canzoni, il libro è organizzato in un modo diverso, non mi ero mai cimentato in una storia lunga. Il risultato è sorprendente, visto le due competenze totalmente diverse, sia pur di corti circuiti è stata una felice complicità umana e artistica. Sono molto soddisfatto, soprattutto di interpretare brani dove i testi vivono immagini forti, trattando temi importanti come l’immigrazione, la tutela dei beni artistici, o l’inquinamento dell’ecosistema, come il brano dedicato a Greta Thunberg. Un lavoro ben fatto, grazie anche alla partecipazione di eccellenti musicisti».
La forza delle voci che fanno cambiare idea L’intervista al giornalista Piero Antonio Toma di Anna Copertino
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iero Antonio Toma è un giornalista, scrittore ed editore italiano. Ha collaborato a numerosi quotidiani da Il Mattino al Corriere della Sera, alla Gazzetta del Mezzogiorno, a Il Sole 24 ORE, dove è rimasto per una ventina d'anni. Attualmente collabora con La Repubblica ed è stato fondatore e direttore di numerosi periodici. Un ragazzo classe ‘35, che da Tuglie di strada ne ha fatta. Quanta tenacia, passione e studio occorrono per realizzare i propri sogni? «Intanto me ne hai attribuiti un paio in più, sono nato il giorno delle Idi di marzo (giorno
quanto mai…nefasto) del ‘35. Per la verità ufficialmente sono nato…due volte, la seconda cinque giorni dopo. Per quanto concerne la domanda diventa semplice risponderti così: la vita, almeno per me, è una continua sfida con me stesso. Il quale me stesso è un rompiballe che non immagini quanto. Non è mai soddisfatto e ne vuole sempre una nuova. Ma in tutto questo percorso, ed è forse la caratteristica che la sfida mi impone, è la fretta. Credo che la fretta sia insieme un grande pungolo ma anche un grosso limite». Perché si decide di fare il mestiere di giornalista? «All’inizio cercavo di denunciare la perifericità del mio paese contigua con una drammatica diseguaglianza sociale. Come? Narrandone le vicende sui giornali. Ho esordito da corrispondente di alcuni quotidiani locali e nazionali. Ero piuttosto giovane, sì e no 16 o 17 anni. Spero di aver fatto la mia parte. Per la verità in quel periodo di libri ne circolavano pochi. Io ho frequentato i primi quattro anni delle Elementari senza un libro, ma solo quaderni e quaderni per
scriverci di tutto e di più. Soltanto alla quinta arrivò il “Cuore” di De Amicis. Ecco perché all’inizio della mia adolescenza m’era venuto l’ùzzolo di fare il bibliotecario. Ma dov’erano da quelle parti le biblioteche? E poi certi gridi di dolore del mio paese ebbero la meglio per farmi cambiare idea». Avete scritto “A suon di parole”, un romanzo individualmente autobiografico, a quattro mani; mentre le canzoni del cd - in allegato al libro - che hanno diversi temi di contenuto sociale, come sono nate? Prima la musica o prima il testo? «Le 13 canzoni contenute nel cd sono nate prima da ingredienti di cronaca e di società che hanno ampio respiro e tutte rispondono al principio dell’“etica attiva”. Ed ecco il giornalista tornare a galla. Siamo partiti dall’acqua, come patrimonio da non sperperare e la cui penuria purtroppo miete tante vittime nei paesi del terzo mondo. E poi via via abbiamo toccato i temi della migrazione e dell’emigrazione di tanti nostri giovani costretti a recarsi all’estero per ragioni di studio e di lavoro». Giugno 2021
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di Silvia De Martino
Una seconda opportunità per i minori di Nisida L’operato della ONLUS "Monelli tra i fornelli"
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pesso il contesto in cui si nasce e si cresce fa la differenza nel percorso di formazione di un individuo. Non sempre si è così “fortunati” da essere inseriti già dalla nascita in una realtà sociale agiata, in cui sono forniti mezzi e strumenti per costruirsi autonomamente la propria strada. A volte la vita può essere più complessa ed insidiosa. Ci sono numerose circostanze in cui sin da ragazzo si viene posti dinanzi a delle sfide e la mancanza del supporto o dei consigli giusti possono portare a compiere la scelta sbagliata e ad imboccare la strada della delinquenza. Finire in un carcere minorile, però, non deve essere considerata come una destinazione ultima, ma come un punto di partenza grazie al quale chiudere con il passato e dirigersi verso opportunità migliori. Nell’Istituto penale minorile di Nisida vi sono diverse ONLUS che si impegnano in questa direzione, al fine di abbattere la delinquenza sulla base dell’insegnamento dei principi di lavoro, rispetto e solidarietà. Monelli tra i fornelli è una di queste ed ha come scopo quello di formare i giovani nell’ambito della ristorazione. «Siamo un’associazione giovane nata alla fine del 2015 da tre docenti del settore alberghiero, uno di sala, uno di cucina e uno di pasticceria». Così ci spiega Luca Pipolo, rap-
presentante dell’organizzazione. «Partiamo da corsi di formazione e portiamo poi i ragazzi in veri e propri contesti lavorativi. A parte questa parentesi ormai troppo lunga della pandemia, ci sono diverse strutture che appoggiano il nostro progetto, come Villa Marinella a via Tasso, Fondazione Banco di Napoli a via dei Tribunali e Tenuta Cigliano sulla collina degli Astroni». La situazione emergenziale da Covid-19 ha senza dubbio rallentato l’azione di Monelli tra i fornelli per l’impossibilità di portare i giovani in esterna e per l’annullamento degli eventi calendarizzati sull’isola. Il lavoro dell’organizzazione si svolge coinvolgendo i ragazzi dell’Istituto in tutte le fasi, dalla pulizia e sanificazione degli ambienti, alla preparazione vera e propria fino a quanto concerne il servizio al pubblico. «Noi insegniamo un mestiere, il ragazzo entra in una cucina ed inizia ad acquisire una concezione di come si sta in un ambiente lavorativo, del rispetto del gruppo
e del creare in gruppo. Il corso di formazione è fondamentale per appropriarsi delle nozioni di base, ma i momenti centrali sono le uscite in esterna che comportano una gratificazione diversa nonché un compenso economico. Attualmente abbiamo due ragazzi che hanno iniziato un tirocinio di sei mesi pagato». Grazie a Ciro Ferrantino – cofondatore della ONLUS – viene insegnata ai minori anche l’arte della pasticceria con un progetto che funziona tutto l’anno e, in particolar modo, a Natale e Pasqua con la produzione rispettivamente di panettoni e colombe artigianali. Il carcere minorile di Nisida si presenta come un ambiente di rieducazione, all’interno del quale vi sono più di un progetto di coinvolgimento dei ragazzi rinchiusi. «Noi siamo una delle tante associazioni che agiscono qui: c’è la ceramica, l’arte presepiale, il teatro, le attività cinofile, la pizzeria. Nel momento in cui entri in un contesto sociale del genere dove la gente è pronta a darti non una,
ma tante altre opportunità, a seguirti, a formarti, ad insegnarti un lavoro, deve anche scattare una molla nell’individuo per riscattarsi». Il percorso di riabilitazione è, infatti, un meccanismo a due fattori: c’è bisogno della volontà del singolo ad abbandonare delle abitudini sbagliate e a intraprendere un percorso di onestà, rispetto e collaborazione. «Salvarli significa che il ragazzo deve fare una cosa difficilissima, ovvero rinnegare le proprie origini e la propria famiglia ed è lo step più complicato. Nonostante ciò ci sono dei risultati: abbiamo dei giovani che in questi 5 anni hanno trovato soddisfazione in percorsi diversi e adesso stanno lavorando. Noi possiamo fare fino al 50%, il resto deve partire dalla loro volontà». Il progetto di rieducazione portato avanti sull’isola di Nisida è un bene per l’intera società. L’obiettivo è, infatti, quello di evitare che il ragazzo ricada nelle vecchie abitudini, riducendo così il numero di atti a delinquere. «Ritengo che chiunque sia un fortunato, come me – conclude Luca Pipolo – debba fare qualcosa per il bene collettivo: è un dovere morale». Così, queste ONLUS agiscono nell’Istituto insegnando a credere nella possibilità di costruire qualcosa di bello con le proprie mani, per essere in grado di avere una seconda vita fuori dal carcere e lontano dalla criminalità.
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Via domiziana, 819 - 81030 Castel Volturno (CE)
D ESIGN
di Fernanda Esposito
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A TU PER TU CON UNA VISIONARIA DAL CUORE VERDE
e non avete il pollice verde, un garden designer è quello che ci vuole. Questa chiacchierata con Sonia mi ha aperto gli occhi su un mondo talvolta sottovalutato. Founder dello studio di Plant Design greenandgrey.it , Santella progetta il verde fuori e dentro casa. Vive a Roma, si è specializzata a Stoccolma e scrive per il web magazine Living del Corriere della Sera. Insegna progettazione a Milano, ama la fotografia ed ha al suo attivo diversi libri dedicati ai giardini. Le tue esperienze maturano tra l’Italia e la Svezia, che tu hai interpretato mettendo in dialogo le idee non solo estetiche ma anche culturali e concettuali dei due Paesi. Come definiresti il tuo lavoro più tradizionale o contemporaneo? «Decisamente contemporaneo, ma guardo al passato quando serve. Considero il giardino un’estensione della casa, un luogo da vivere come spazio estetico ma anche funzionale, da godersi anche fuori stagione. Un buon progetto del verde ci aiuta a scoprire una nuova dimensione del giardino, cioè anche quella autunnale, perché ci fa venire voglia di uscire fuori anche quando l’estate è finita. Inserire le piante giuste vuol dire dare allo spazio una struttura e un’estetica che vive tutto l’anno. Questo avvicina le persone ad un concetto di natura più vero e sostenibile». Ti definiresti interprete del luogo che curi oppure gli dai una nuova identità? «Dipende da ciò che trovo. Tendo a valorizzare ciò che già esiste, a volte si tratta di ridistribuire i volumi. Amo svuotare gli spazi per enfatizzare quello che veramente è essenziale per rendere un luogo bello. Mi riferisco alla bellezza anche imperfetta della natura e soprattutto ai materiali, come il legno naturale, oppure dei vasi molto materici che dialogano molto bene con il verde. Tutto questo tradotto nei giardini diventa molto affasci-
nante». Il tuo concetto di design? Qual è la tua filosofia? «La mia filosofia è quella di valorizzare la bellezza imperfetta, un concetto molto nordico e giapponese, per non farci sopraffare dalle cose banali. Si lavora dapprima con gli arbusti per disegnare la cornice permanente del giardino, poi si inseriscono i dettagli, come le fioriture stagionali per dare un colpo di colore». Come interpreti desideri e aspirazioni sul tema del green dentro casa? «Il verde in casa è importante e va considerato come parte dell’arredo. Bisognerebbe usare specie botaniche dalle foglie grandi, alte e scenografiche, per non dare al verde un ruolo marginale. Anche la scelta del vaso è molto importante». Le piante arredano, disintossicano e aumentano la qualità della vita… ll futuro sarà dominato dall’Healthy Living e dall’architettura botanica. Spiegaci perché l’approccio green è oggi più che mai una necessità. «Le piante creano bellezza e le persone che vivono a contatto con il verde, anche in casa, apprezzano di più la natura che sta fuori. Ogni pianta che portiamo in casa ci può dar vita ad un processo di miglioramento dello spazio, cercheremo di più la bellezza e di circondarci da cose che ci rappresentano. Aggiungere senso estetico agli spazi dell’abitare migliora la qualità della vita». La parola d’ordine oggi è sostenibilità e il rapporto con la natura è decisivo per dare concretezza a questo concetto. Dal punto di vista culturale siamo pronti a gestire questo rapporto? «Sì siamo pronti, ma l’approccio con un esperto può farci fare rapidi progressi in avanti, soprattutto per quanto riguarda governare e valorizzare i nostri spazi indoor e outdoor». Qual è l’idea di green oggi come oggi? Soprat-
Sonia Santella
tutto dei giovani? «Credo che i giovani di oggi siano molto sensibili dal punto di vista ambientale. Sono interessati al green e pronti a sperimentare, poiché capaci di vivere i cambiamenti con disinvoltura». A quale progetto sei più affezionata e su cosa stai lavorando al momento? «Sono affezionata a tutti i miei progetti, piccoli e grandi, perché ogni volta sai di dare il massimo. La soddisfazione sta nel vedere i proprietari entusiasti di abbracciare una nuova filosofia del verde. Adesso sto ultimando tre grandi giardini romani e lavoro a un nuovo libro dedicato proprio a come arredare casa con le piante da interni. Molto grafico, con illustrazioni, divertente e di facile comprensione. Stay tuned».
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Musicoterapia e Autismo La mission del Centro ISO per aiutare bambini e giovani
di Chiara Gatti
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l Centro Iso Riabilitativo per l’età evolutiva di Pomigliano d’Arco nasce dalla passione e dedizione del musicoterapeuta clinico comportamentale Dott. Domenico Manna, che nel corso della sua attività ha maturato l’idea di fondare un progetto socio-sanitario rivolto a bambini e adolescenti con disturbi pervasivi dell’età evolutiva. L’abbiamo intervistato per comprendere la funzione del Centro e i servizi che offre. Com’è nato il Centro Iso e di cosa si occupa? «Il Centro Iso nasce dall’idea che ho maturato in seguito agli studi di musicoterapia e alla specializzazione sulle patologie di bambini con autismo. In questi anni sono giunto alla consapevolezza di voler trasformare la mia voglia di aiutare i bambini con questa patologia in una vera e propria missione. Questa mia aspirazione si sta concretizzando pian piano ed è in via di realizzazione attraverso un centro dove poter accogliere i ragazzi: il Centro Iso, un’associazione che promuove l’inclusione sociale e la pratica musicale sia tra bambini e adolescenti che adulti. Abbiamo introdotto e applicato una forma alternativa di terapia che differisce da quella comunemente adottata nei centri classici, si chiama: SDR una terapia globale che va ad abbracciare l’emotività dei bambini, sviluppandone l’attenzione, aumentando l’umore e l’autostima e che coinvolge le famiglie nell’apprendere le tecniche terapeutiche da ripetere a casa». Che impatto ha la musicoterapia sui bambini autistici? «Musicoterapia e autismo sono legati a doppio filo, perché la terapia attraverso la musica può essere di grande aiuto per i bambini autistici. Questo tipo di trattamento consente di mantenere il morale alto, sviluppa il linguaggio e la memoria. Attraverso i suoni, il ritmo, siamo in
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grado di stimolare entrambi gli emisferi occupandoci dello sviluppo della memoria a breve termine. Se durante una seduta facciamo leggere una parola al bambino infatti quest’ultima sarà velocemente dimenticata, se invece gli somministriamo ciò che vogliamo che apprenda attraverso canzoni e suoni, il bambino riuscirà ad assorbire meglio ciò che gli viene insegnato, imparerà con maggiore entusiasmo e mantenendo alto il coinvolgimento». Quali sono le difficoltà maggiori a cui andate in contro e quali invece le soddisfazioni? «Il Centro si occupa della cura di circa 90 pazienti che vanno dai 18 mesi ai 26 anni. Ogni bambino autistico non è uguale ad un altro, ognuno ha un proprio profilo comportamentale e soffre di problematiche differenti. I bambini autistici sono soggetti che hanno difficoltà ad intraprendere relazioni sociali e manifestano poco interesse nello stabilire contatti con il mondo esterno, io li considero bambini
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“unici” non speciali. Senza alcun dubbio per affrontare questo tipo di mestiere è necessario essere mossi da grande passione e dedizione. I sacrifici vengono poi ripagati nelle piccole cose, nell’ascoltare la prima vocale e infine la prima parola di un bambino che inizialmente non parlava. Questi piccoli grandi progressi ci stimolano ogni giorno a ripartire più motivati ed entusiasti di prima nell’aiutare i nostri ragazzi». La situazione covid che impatto ha avuto sul Centro? Come avete gestito la chiusura forzata? «I primi mesi della pandemia il Centro è dovuto rimanere chiuso e mi sono adoperato con la mia equipe in un progetto che potesse coinvolgere sia i bambini che le famiglie. Ci siamo collegati attraverso le piattaforme tutti i pomeriggi, organizzando degli incontri con l’obiettivo di assicurarci un collegamento sia umano che sociale. Ciò ha consentito che rimanessero sempre attivi e partecipi durante la giornata attraverso lo strumento del gioco e mantenendo un contatto con noi, anche se dietro uno schermo. Certamente alcuni purtroppo sono regrediti mentre altri hanno avuto un riscontro positivo, complice anche l’aiuto costante della famiglia». Che progetti ha in serbo il Centro? «Proprio in questo periodo ci stiamo mobilitando per ottenere un immobile più grande, quello di adesso non ci consente di inserire molti bambini e prossimamente avremo l’incontro definitivo col comune. Il nostro obiettivo è quello di includere tutti coloro che necessitano delle terapie e con una nuova struttura andremo ad aiutare i ragazzi dai 18 anni in su. Molto spesso dopo la maggiore età lo Stato dimentica i bambini autistici ed il nostro progetto è quello di insegnare a questi ragazzi un mestiere per poterli poi inserire nel mondo del lavoro, nessuno deve essere dimenticato o lasciato a sé stesso».
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Bambusa
M EDICINA
di Antonio Casaccio
protesi all’anca: la più alta percentuale di successi della chirurgia Intervista al dott. Gennaro Fiorentino, eccellenza castellana
L’
intervento di protesi all’anca è uno degli interventi con la più alta percentuale di successi e pazienti soddisfatti. Il primo impianto di protesi all’anca è stato descritto nel lontano 1891. Ma è dal 1960 che i miglioramenti nella tecnica chirurgica e nelle tecnologie degli impianti hanno avuto un grande impatto positivo su questo tipo di chirurgia; in Italia oggi più di 100.000 pazienti all’anno si sottopongono a questo tipo di intervento con un aumento annuo del 5%. Ne abbiamo parlato con il dott. Gennaro Fiorentino, Direttore del Reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo, originario di Castel Volturno. Il dott. Fiorentino è un professionista di primissimo livello, con esperienze internazionali e grande spirito di dedizione. Dottor Fiorentino, quali sono le cause di dolore all’anca per cui è indicato l’intervento di protesi? «Le cause più comuni di dolore cronico all’anca che genera disabilità e disturbi funzionali tali da dover ricorrere a un impianto protesico, sono: l’artrosi, vale a dire l’usura dell’articolazione tipica dell’età avanzata; l’artrite reumatoide, malattia autoimmunitaria del sangue che colpisce le articolazioni; l’artrosi post-traumatica, vale a dire l’usura dell’articolazione che ha subito una frattura (questa si può verificare anche nei giovani); l’osteonecrosi e gli esiti delle deformità dell’infanzia come il morbo di Perthes o l’epifisiolisi». In cosa consiste l’intervento di protesi all’anca?
«Nell’intervento di protesi, l’osso e la cartilagine danneggiati dell’anca vengono sostituiti con delle componenti protesiche artificiali, quella che io chiamo “un’anca nuova”. La protesi all’anca si compone di 4 elementi: uno stelo protesico di titanio che entra a pressione nel femore; una coppa sempre di titanio che viene impiantata sempre a pressione nell’osso del bacino; un inserto generalmente di plastica o ceramica e una testina, anch’essa generalmente di ceramica». A quali tipi di pazienti è rivolta questa chirurgia?
«Non esiste un’età o un peso che controindichi in maniera assoluta questa chirurgia. Bisogna però considerare che una protesi all’anca si usura e quindi ha una durata limitata,in media di 15/25 anni. Pertanto una persona giovane dovrà mettere in conto la possibilità, nell’arco della sua vita, di sottoporsi a un intervento di sostituzione dell’impianto (la cosiddetta revisione). Nel caso di persone obese è molto importante che calino di peso prima dell’intervento di protesi per ridurre il rischio di complicanze e allungare la longevità dell’impianto. Esistono poi patologie che aumentano i rischi chirurgici come il diabete, pregresse malattie tromboemboliche ed altre da valutare caso per caso». Cosa comporta il ricovero per l’intervento di protesi all’anca?
settimane guida già l’auto». Quali sono le moderne tecniche che hanno reso la guarigione da questo intervento molto più veloce? «Sicuramente le tecniche definite Mini-Invasive cioè quelle tecniche chirurgiche che apportano meno danni possibili dovuti alla chirurgia stessa. In chirurgia protesica la Mini-Invasività può consistere nell’utilizzo di protesi di piccole dimensioni, nel risparmio di osso da sottrarre durante l’intervento o nell’accesso chirurgico più rispettoso dei tessuti. Personalmente da più di 10 anni eseguo quella che viene chiamata protesi all’anca con accesso anteriore diretto mini invasivo. Questa è una tecnica chirurgica su cui si iniziò a pensare nel 1985, ma solo da circa 15 anni è stata perfezionata fino ad essere oggi una tecnica di routine e sicura. Io ho appreso questa tecnica da uno dei
«Generalmente qualche giorno prima dell’intervento si esegue un “prericovero”, vale a dire che la persona candidata all’operazione esegue esami, eventuali visite specialistiche e la visita anestesiologica per essere certi che non esistano malattie che controindichino l’intervento. Con le moderne tecniche chirurgiche oggi il post-operatorio si è notevolmente abbreviato. Mentre anni fa il ricovero per una protesi all’anca poteva durare anche 1 mese, oggi dopo 4/5 giorni il paziente può rientrare a casa in completa sicurezza. Si entra in ospedale il giorno prima e già il giorno stesso dell’intervento o al massimo il giorno dopo, il paziente viene messo in piedi a camminare con 2 stampelle. Dopo qualche giorno di riabilitazione che verrà erogata direttamente al ricovero, in genere in terza o quarta giornata il paziente sarà già in grado di salire e scendere le scale e di provvedere autonomamente a tutti i suoi fabbisogni personali. La dimissione è prevista in 4/5 giornata. A domicilio il paziente si farà seguire da un fisioterapista 2 volte a settimana per non più di 1 mese; poi sarà utile fare esercizi con attrezzi per un eventuale ritorno allo sport. Un paziente che si è sottoposto a protesi all’anca con le moderne procedure spesso dopo 3
chirurghi che l’hanno messa a punto, il professor Erik DeWitte un talentuoso chirurgo belga che mi ha accolto nel suo gruppo ad Aalst (una cittadina situata nelle Fiandre orientali), per insegnarmela più di 10 anni fa. Non sono molti i chirurghi in Italia che propongono questa tecnica perché è molto complessa,ha una lunghissima curva di apprendimento e ha bisogno, oltre che di un bravissimo maestro, anche di molta casistica per padroneggiarla e renderla sicura per il paziente. Da allora ho al mio attivo più di 800 impianti eseguiti con questa innovativa tecnica chirurgica». Questo intervento è anche estetico? «Esiste una variante a questa tecnica che si chiama tecnica “Bikini” che prevede di posizionare il taglio chirurgico esattamente nella piega inguinale. Il termine “Bikini” coniato dal Chirurgo Svizzero che per primo ha descritto la tecnica, anche se apparentemente poco professionale descrive bene il suo scopo. Rispettando infatti le normali linee della pelle la cicatrice già dopo pochi mesi è pressoché invisibile e comunque è possibile nasconderla sotto lo slip. È una tecnica che può essere proposta alle donne giovani o meno giovani che oltre al risultato funzionale richiedono anche quello estetico». Giugno 2021
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DoDo for Tēnaka: un progetto di riforestazione di mangrovie
Astra Days: il futuro è adesso
I giovani casertani dicono sì al vaccino: un piccolo gesto, un grande traguardo di Teresa Coscia
di Nancy Gargiulo
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na collezione dedita al coinvolgimento del pubblico e all’aumento della consapevolezza sulla sostenibilità degli oceani: il braccialetto Granelli nasce da un progetto per la ricostruzione dell’ecosistema marino in Malesia. Il brand di gioielli, pioniere della sostenibilità, DoDo e l’azienda sociale Tēnaka scommettono sul Blue Carbon radunando 20 scienziati, volontari e comunità locali attorno a un’unica parola maori. Sabina Belli, ceo di DoDo afferma «Restituire è il filo conduttore che ci guida nel costante progetto di sostegno ad attività per la salvaguardia della natura». L’incontro con la ricercatrice dei cambiamenti climatici e ambasciatrice in Francia di Sostainable Ocean Alliance Anne-Sophie -Roux ha così determinato la realizzazione di uno straordinario progetto. Sottolinea Roux: «Sempre più a consumatori fanno pressioni sui Brand perché vadano oltre la sostenibilità e svolgano un ruolo attivo di ricostruzione della pianta». Da qui, l’obiettivo di Tēnaka (parola Maiori che significa lavorare in sinergia, insieme): l’azienda nasce con l’obiettivo di ricostruire ecosistemi strategici per contrastare il cambiamento climatico e garantire la conservazione della biodiversità. Fondamentale, a tal proposito è il ruolo dell’oceano nella mitigazione del mutamento climatico: le foreste di mangrovie costituiscono il principale pozzo di carbonio del mare e, a parità di superficie, assorbono 10 volte più di una foresta terrestre. Dopo il primo step insieme a DoDo, lo scorso giugno, Tēnaka, entrata in contatto con Kering, ha realizzato con il brand un primo progetto di rigenerazione di 1000 mq di barriera corallina a Tyoman, in Malesia. Oggi il progetto si chiama
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ono stati i più penalizzati, dimenticati e, in qualche modo, colpevolizzati per le spaventose impennate della curva dei contagi ad ogni minima riapertura, additati come menefreghisti irresponsabili, pronti a mettere a repentaglio la propria vita e quella dei propri cari per una serata fuori con gli amici. Eppure gli Astra Days, un vero e proprio simbolo di rinascita, la luce in fondo a un tunnel di privazioni e solitudine, hanno mostrato al mondo intero il volto di una gioventù diversa. Una gioventù attenta, sensibile, responsabile, che con un occhio al futuro e un’immensa e cieca fiducia nella scienza ha scelto di scendere in campo in prima linea, spianando la strada al ritorno alla normalità tanto agognata. Sono state le Asl di Marcianise e Caserta a fare da apripista a un’iniziativa che, dopo le prime incertezze, si è rivelata una scelta vincente, arrivando a vantare un boom di somministrazioni da capogiro, con oltre ottomila dosi in appena un giorno. Iniziativa accolta con entusiasmo soprattutto da ragazzi nella fascia dei 20-30 anni che, con la loro voglia di ritornare a vivere e a viaggiare, lasciano sperare in una svolta definitiva e finalmente alle porte. «Vaccinarsi è un diritto e un dovere – ci racconta Martina – un piccolo gesto che, se compiuto da ognuno, potrebbe aiutarci a venir fuori da una situazione
Blu Forest e ha come obiettivo la riforestazione con 3000 mangrovie di 2 ettari di costa malese nello Stato di Sabah. Pertanto, in occasione della Giornata della Terra 2021, DoDo ha annunciato la sua nuova iniziativa creando il bracciale Granelli DoDo for Tēnaka in plastica riciclata, recuperata nel Mediterraneo. Si tratta di un progetto Blu Forest basato sull’idea Blue Carbon (il carbonio rimosso dagli ecosistemi marini e costieri) che fa ancora poco parte del dibattito globale. Il bracciale entrerà poi stabilmente nella collezione Granelli nella versione argento e plastica riciclata nei toni del blu, disponibile da giugno. Chi lo acquista riceverà un codice con cui connettersi alla piattaforma tecnologica per seguire l’evoluzione del progetto.
Avv. Dario Desiderio
Avv. Andrea Spina
avv.dariodesiderio@gmail.com
spina.andrea@libero.it
cell.: +39 388 345 48 91
cell.: +39 349 288 06 88
Tributario - Lavoro - Civile
Piazza delle Feste 81030 - Castel Volturno (CE) 48
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Previdenza - Lavoro - Civile
surreale, diventata pressoché insostenibile. Se sono qui oggi, non è di certo soltanto per me: è per i miei nonni, che voglio ritornare ad abbracciare presto senza temere che quell’abbraccio sia fatale, per mia sorella, perché possa tornare a scuola senza rischiare ogni volta di star male a causa della mascherina, è per i miei genitori. E poi, in fondo, è anche per me: non vedo l’ora di ritornare a scoprire il mondo!». È stato proprio questo lo spirito che si respirava fra i piccoli gruppetti debitamente distanziati durante questi giorni che, probabilmente, avranno il potere di cambiarci – o ri-cambiarci – la vita, una felicità mista a speranza che neanche i trascurabilissimi effetti collaterali, che ogni vaccino che si rispetti comporta, è riuscito ad attutire. «Ho avuto qualche effetto collaterale non proprio leggerissimo: un po' di febbre, qualche dolore e un po' di spossatezza durata per qualche giorno ma, in fondo, cosa importa?», chiede Domenico retoricamente, con una domanda che tutti i ragazzi avrebbero voluto porre a chi continua a nascondersi dietro il becero terrorismo psicologico che ha attraversato il mondo intero, rallentando il ritmo incalzante con cui la prima fase della somministrazione era partita. «Per tutte le persone che hanno perso la vita, che hanno dovuto dire addio ai propri cari senza poterli neanche salutare, per tutte le famiglie distrutte e sconquassate dalla perdita di un caro, o magari del lavoro, sopportare un po' di febbre è il minimo che tutti dovremmo fare per tornare presto alla normalità». Cosa diresti ai ragazzi e agli adulti che, ancora oggi, rifiutano il vaccino per convinzioni assurde e paure infondate? «Che sono, appunto, convinzioni assurde e paure infondate. Che credono alle ipotesi degli effetti che una dose di vaccino potrebbe avere su di loro – lasciandosi terrificare da ipotesi, appunto – senza considerare gli effetti che di fatto il virus ha avuto su tutte le persone che lo hanno contratto, diventando fatale per molte, moltissime persone. Vaccinatevi ragazzi, fatelo subito: ne usciremo presto se ce la mettiamo tutta, insieme». Percepire l’entusiasmo di ragazzi giovanissimi, nonostante da tempo siano stati privati di tutto quello che dovrebbe rendere bella la gioventù è un’emozione che non ha prezzo. In fondo, se questi sono i valori dei cittadini del futuro, direi proprio che ci aspetta un futuro radioso. Un futuro da costruire da adesso. #IoMiVaccino.
F OTOGRAFIA
ATTRAVERSO L’OBIETTIVO DI LORENZA DE MARCO di Chiara Del Prete
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nizia da assistente fotografa, approccia come autodidatta per poi realizzare shooting di moda e scatti da copertina. Lorenza De Marco è la promettente fotografa che, supportata dal suo team, studia ed analizza i miglior concept da immortalare. Tra i volti noti dei suoi scatti c’è l’ingegnere sui tacchi a spillo Mark Bryan e l’influencer napoletana Valeria Angione. Qual è la parte più divertente del tuo lavoro? «La libertà, gli editoriali di moda che ho realizzato sono lavori personali quindi sono molto libera. Scelgo personalmente i modelli e li propongo al mio team. Collaboro con la make-up artist Fabiana Finaldi e le stylist Valeria Iodice e Rossella Ogliarulo, insieme ragioniamo su cosa vogliamo ottenere. Gran parte dei progetti che più mi hanno resa fiera sono frutto di un importante confronto di visioni estetiche tra di noi». Come nasce il progetto dietro un editoriale di moda? «Può nascere da un’idea personale altrimenti capita che sia contattata da modelle o aspiranti modelle che vogliono collaborare. Lavoriamo sulla valorizzazione del soggetto e sugli elementi finalizzati alla realizzazione, si fa un vero e proprio studio». Come cambia la cura al dettaglio in questo tipo di editoriale? «La cura al dettaglio è sempre finalizzata a realizzare un’immagine con significato. Varia da shooting a shooting, io non mi soffermo tanto sull’aspetto tecnico della fotografia. È più un seguire le sensazioni, mi sento libera di assecondare le suggestioni che una location o una persona mi trasmette». Da fotografa come valorizzi i tuoi soggetti? «Io non credo che ogni modello possa star bene ovunque quindi va pensato lo scenario e lo styling in base alla figura. Poi mi lascio trasportare e ciò capita anche a chi è di fronte l’o-
biettivo: sul set i modelli acquistano quella self confidence che gli consente di essere spontanei. Il feeling che si crea con il soggetto aiuta a realizzare foto più reali. Certo, nelle foto di moda poco viene lasciato al caso, sono immagini impostate e dettagliate ma c’è sempre spazio per le emozioni». Scattare Mark Bryan è stata una bella esperienza? «Durante le vacanze di Natale ho avuto la fortuna di scattare Mark Bryan. Era a Napoli per lavoro, abbiamo pensato di chiedergli se gli andasse di fare due scatti. Ci siamo dati appuntamento all’alba pur di non perdere l’occasione. L’ho fotografato in giro per Napoli e lui ha camminato per il centro storico con tacchi altissimi. È stato super contento del risultato finale e lo ero anch’io. Il suo è un messaggio di inclusività: un uomo in pose non femminili, super mascolino che porta abiti da donna e si sente sé stesso. Mark Bryan è esattamente questo e nelle mie foto traspare il suo essere». Post-produrre le immagini è il segreto dietro il successo dei social? «Sì, penso che nel mondo degli influencer ci sia parecchia post-produzione e ciò porta a degli standard inarrivabili. Anche le pose non sono mai rilassate o naturali. C’è una forte costruzione, idealmente sarebbe meglio valorizzare la normalità. Per fortuna stanno nascendo parecchi profili che cercano di scardinare queste illusioni dettate dai social, non è reale quello che si vede online».
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Il confinante comune di Giugliano risulta al massimo livello di rischio ambientale
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el dicembre 2020 è stato pubblicato il Rapporto Finale, a seguito di “Accordo di collaborazione scientifica tra Istituto Superiore di Sanità e Procura della Repubblica di Napoli Nord (prot.n.1104 del 23 giugno 2016)” inerente allo “Studio sull’impatto sanitario degli smaltimenti controllati ed abusivi di rifiuti nei 38 comuni del circondario della Procura della Repubblica di Napoli Nord”. A causa dei perimetri di competenza, Castel Volturno non rientra tra i 38 comuni oggetto di studio, ma qualche approfondimento possiamo sicuramente farlo sulla base di una notevole mole di dati messi a disposizione. La preoccupazione maggiore è costituita dal confinante comune di Giugliano in Campania, a cui è stata assegnata la classe 4 di rischio, cioè la peggiore possibile. Il primo dato impressionante è che questo livello di rischio riguarda il 40% della superficie del comune e circa il 46% della popolazione; in sintesi, 1 abitante su 2 di Giugliano vive in un’area ad altissimo rischio ambientale. Il report si conclude con un’affermazione per noi castellani importantissima: “Alla luce di quanto esposto, si propone di estendere il presente studio a tutti i comuni delle Province di Napoli e Caserta…” NOI TUTTI CI CHIEDIAMO: QUANDO? Riteniamo di avere almeno il diritto ad un minimo di dati affidabili. Sicuramente la messa in sicurezza della discarica So.Ge.Ri. (ormai alle fasi conclusive) costituisce un enorme tassello positivo per la riqualificazione ambientale (è giusto ricordare il ruolo della nostra associazione nell’ambito dell’iter approvativo del progetto); i più estesi piani di caratterizzazione della Campania, sono stati proprio eseguiti a Castel Volturno (tutta la superficie dei laghetti oltre tutta l’area del realizzando porto di Pinetamare) e non ci sono state evidenze degne di nota (ovvero le montagne di rifiuti radioattivi non sono mai state rinvenute). La popolazione residente è quan-
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Pagheremo ancora per anni i danni causati al nostro territorio
to mai attiva (dispiace sarcasticamente far notare che senza l’invasione dei cosiddetti turisti del periodo pasquale, il territorio era particolarmente pulito e non sono stati individuati sacchetti di immondizia volanti dalle auto in uscita dal nostro territorio) ma resta sempre il fatto che pagheremo ancora per anni (i tempi degli effetti dei diversi tumori sono medio-lunghi) i danni causati al nostro territorio e anche quelli provenienti dai territori limitrofi. Ad esempio, è ora che tutti i comuni chiedano con forza lo stato di eliminazione delle ecoballe, il cui iter è assolutamente poco pubblicizzato. Anche in questo caso, è giusto ricordare che il sito delle ecoballe di Taverna del Re insiste nel territorio di Villa Literno, ma che è molto più vicino alle zone residenziali di Ischitella di Castel Volturno. Non entriamo nei dettagli dei dati, ma riteniamo fondamentale riportare una sintesi concreta, seria e affidabile delle “considerazioni conclusive” del report istituzionale: “Il territorio dei 38 comuni del Circondario della Procura della Repubblica di Napoli Nord, con una superficie totale di 426 km2, è
interessato dalla presenza di 2.767 siti di smaltimento controllato o abusivo di rifiuti, anche pericolosi, in 653 dei quali risultano anche avere avuto luogo combustioni illegali. Si tratta palesemente di una elevatissima densità di sorgenti di emissioni e rilasci di composti chimici pericolosi per la salute umana, e questo motiva l’esigenza di interventi di bonifica ambientale e di un piano di sorveglianza epidemiologica della popolazione residente”; “Considerando gli indicatori di salute, nell’area in esame, e nella maggior parte dei singoli comuni, si osservano in entrambi i generi eccessi di mortalità (periodo 2008-2015) e di incidenza (20082012) per tutti i tumori, prendendo come popolazione di riferimento, rispettivamente, la popolazione residente nella Regione Campania (i dati della mortalità e dell’ospedalizzazione per causa sono disponibili per tutti i comuni italiani) e la popolazione residente nelle aree dell’Italia Meridionale servite da Registri Tumori accreditati dall’Associazione Italiana Registri Tumori, AIRTUM”; “Fra i tumori per i quali esiste nella letteratura scientifica una evidenza di associazione con l’esposizione a siti di smaltimento incontrollato di rifiuti pericolosi definibile almeno come “limitata” (Fazzo et al., 2017) nell’intera area si osservano eccessi statisticamente significativi di mortalità per i tumori del fegato e della vescica in entrambi i generi, e per i tumori della mammella nelle donne. Eccessi significativi di incidenza si osservano inoltre in entrambi i generi per i tumori di fegato e ve-
scica, nella popolazione maschile per i tumori della mammella e nella popolazione femminile per i linfomi non Hodgkin. Eccessi significativi di mortalità e incidenza si osservano in entrambi i generi per il tumore del polmone, e questi ultimi vanno segnalati anche in relazione alla presenza di siti di combustione incontrollata di rifiuti, al riscontro della circolazione nel territorio di sostanze volatili emesse da diverse sorgenti e delle elevate concentrazioni aerodisperse di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) misurate in alcuni contesti”. “Questo risultato evidenzia un possibile ruolo causale e/o concausale dei siti di rifiuti nell’insorgenza di queste malattie. In particolare: la mortalità per tumore della mammella è significativamente maggiore nei comuni inclusi nella terza e quarta classe dell’indicatore di esposizione a rifiuti (livello di rischio da rifiuti maggiore) rispetto ai comuni della prima classe… l’ospedalizzazione per asma nella popolazione generale è significativamente più elevata nella terza e quarta classe dell’indicatore comunale di esposizione a rifiuti… la prevalenza dei nati pretermine è significativamente più elevata nei comuni della seconda, terza e quarta classe dell’indicatore, rispetto alla prima… la prevalenza di Malformazioni Congenite (MC), nel loro complesso, è significativamente più elevata nei comuni della Classe 4 dell’indicatore IRC (più impattati da rifiuti), rispetto alla prima. Nei comuni della classe 4 di IRC è maggiore anche la prevalenza delle MC dell’apparato urinario nella popolazione della classe di età tra 0 e 19 anni, l’incidenza di leucemie aumenta significativamente passando dai comuni della Classe 1 alle classi successive di IRC, dei comuni maggiormente impattati dai rifiuti, con l’incidenza maggiore nei comuni della Classe 4 di IRC (il più alto valore di indicatore di rischio da rifiuti). Stesso andamento si osserva nei ricoveri per asma nella popolazione della medesima classe di età 0-19 anni”. Giugno 2021
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SPECIALE CASTEL VOLTURNO
di Angelo Morlando
Castel Volturno paga sempre un prezzo troppo alto!
di Giuseppe Spada
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Il nuovo Parco urbano di Pinetamare
a mesi i cittadini di Pinetamare assistono con curiosità alla costruzione di un nuovo intrigante progetto
di riqualificazione del centro: il parco urbano. Una realtà ormai conclusa, sita all’inizio del lungomare, che vanta una considere-
vole estensione. Nella villa sorge il lungo porticato ligneo, costeggiato da ampie aree di prato e un piccolo anfiteatro a gradoni. Il direttore dei lavori è l’ing. Ferdinando Bosone Consulente della Società Mirabella Pinetamare Srl , che abbiamo intervistato per entrare nel dettaglio di questa nuova opera. A che punto siamo con la costruzione del parco urbano? «Il parco urbano in sostanza è
SPECIALE CASTEL VOLTURNO
completato, salvo alcuni piccoli dettagli dettati più dalla magnanimità del dott. Francesco Coppola che non da obblighi contrattuali. Esempio: l’erba o le piante che sono state installate non rientravano negli obblighi contrattuali
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dei Coppola, era contemplata la sola installazione della macchia mediterranea costituita dalla piantumazione di 260 piante donate, tra l’altro, dalla Regione Campania su richiesta Ente Riserve Volturno Licola Falciano “Foce del Volturno – Costa di Licola” e “Lago di Falciano”. Il parco si estende su circa 15mila metri quadrati, dove c’è stato un intervento di riqualificazione di un’area che prima era totalmente degradata e invasa da sterpaglie e immondizia». Questo parco fa parte delle ultime opere della transazione? «Sì, rientra nelle opere contemplate dell’atto transattivo stipulato tra lo Stato e i Coppola dal 30 giugno del 2005. Il progetto è molto avveniristico, alcune zone sono destinate ad attività comunitarie, come l’arena, con circa 150 posti a sedere. Legata ad essa c’è un piccolo edificio a supporto degli artisti costituito da bagni, spogliatoi ed altri servizi. Inoltre, all’interno del parco è stato realizzato un fabbricato destinato a bagni pubblici anche per disabili. E’ stato realizzato anche un edificio nella zona ristoro in cui sarà presente un bar con annesso laboratorio per le preparazioni gastronomiche adeguato alla vigente normativa in materia di sicurezza alimentare anche se il progetto iniziale non lo prevedeva. Il parco oltre ad essere recin-
di Marika Fazzari
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Rendering della passeggiata rialzata in via del Mare
una manutenzione continua. Per tale scopo ho personalmente preparato un manuale contenente il piano di manutenzione redatto in circa 470 pagine. Questo manuale dovrà essere adoperato da chi diventerà il gestore dell’opera allo scopo di mantenerne inalterate le caratteristiche di qualità e di sicurezza e di estetica. Oltre alla cura delle piante che andranno potate e innaffiate costantemente, è contemplata anche la manutenzione delle strutture in
legno che vanno periodicamente ridipinte unitamente a tutte le altre utenze». C’è in atto qualche idea per la gestione del problema parcheggi o ulteriori progetto in procinto di partire? «Relativamente al problema dei parcheggi, il dott. Francesco Coppola, animato dalla volontà di rinascita e dal ben radicato attaccamento al territorio, ha, da sempre, dato la piena disponibilità di aree, di sua proprietà, allo scopo di gestire al meglio la problematica.
Per quel che riguarda Via del Mare è tutto pronto, dobbiamo solo partire. Abbiamo già approvvigionato la tubazione per la realizzazione della condotta fognaria che si collegherà poi al sistema fognario generale del Villaggio. Ma si tratta solo di una condotta per le acque bianche in quanto quella per le acque nere è già da tempo realizzata e collegata». Ci sarà un intervento per impedire che la sabbia invada le strade? «L’innalzamento del piano pedonale di 45 cm rispetto al piano carrabile unitamente alla spalliera, con annessa recinzione, della seduta lungo tutto il tracciato dell’intervento sono state ideate anche per risolvere questa problematica, realizzando, in tal senso, una barriera di circa 1,6 metri con l’intento di offrire una protezione ulteriore al trasporto della sabbia che dal lato mare viene trasportata sulla carreggiata».
ripartiamo dalla cultura
Castel Volturno non tardano ad arrivare le numerose iniziative che promuovono la diffusione della cultura e dello stare insieme. Per questo motivo, nei mesi estivi (da giugno a settembre) verrà presentata un’esperienza, già organizzata negli anni precedenti. Stiamo parlando della Rassegna estiva “Letture di Gusto”. Questa nuova idea rappresenta nello stesso tempo una fiera, una festa, ma soprattutto un luogo di scambio, accoglienza e coesione sociale. Il progetto nasce dalla proposta da parte dell’APS “Le piazze del Sapere - Aislo Campania” che intende riproporre la realtà domitiana come protagonista della rete tra le attività che incentivano la ripresa delle relazioni sociali, soprattutto nella fase di fuoriuscita dall’emergenza sanitaria durante il periodo delle vacanze estive. Gli eventi in programma si svolgeranno principalmente nel magico e naturale scenario sulla spiaggia del Lido Luise a Baia Verde, ma anche in altri luoghi simbolo come il bar di Pinetamare “Crazy Horse” e il Centro Fernandes; in queste
location le persone, oltre a divertirsi, avranno la possibilità di visitare gli stand espositivi dei libri e partecipare alle degustazioni dei prodotti tipici, in quanto uno degli argomenti centrali della manifestazione sarà la Dieta Mediterranea. La scelta di tale tematica ha come obiettivo quello di stimolare i partecipanti a riflettere sulle questioni dell’educazione all’alimentazione sana e al consumo consapevole delle nuove forme di distribuzione dei prodotti locali come,per esempio, la Canapa Sativa e la Mozzarella DOP. Molto interessante sarà anche lo spazio espositivo riservato ad alcune figure professionali: editori, librai, artisti, proprietari di Aziende agricole, esperti in enogastronomia e artigiani, saranno ospiti del meraviglioso percorso culturale aperto a tutti. Per quanto riguarda il Bookcrossing, sullo chalet del Lido e nella saletta letteraria verrà offerta la possibilità di prestare e scambiare libri, avendo a disposizione anche una piccola biblioteca fornita di letture adatte ad ogni età. In collaborazione con altre associazioni atti-
ve sul territorio, come Campania Felix, e istituzioni (Comune di Castel Volturno e Regione Campania) si vogliono invitare tutti i cittadini ad impegnarsi concretamente in un percorso che vuole porre al centro dei propri valori quello della “qualità della vita” delle persone. Il nostro territorio, grazie a questa rassegna, simboleggerà un luogo vissuto e partecipato da persone di tutte le generazioni e culture diverse che creano, nel loro insieme, un ponte di solidarietà e unione. La presentazione delle attività e degli incontri, che si terranno durante il corso dell’estate 2021, si svolgerà il giorno 5/6 con la speciale partecipazione del sindaco di Castel Volturno e della Regione Campania. Approfondire, conoscere, scambiare e raccontare sono solo alcune delle parole chiave utili per accedere a quella che sarà un’esperienza formativa a tutto tondo. Qui si riparte della cultura e dalla forte voglia di condividere. Giugno 2021
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SPECIALE CASTEL VOLTURNO
tato gode anche di un ottimo impianto illumino-tecnico. Saranno, inoltre, installate delle panchine “da meditazione” oltre ad elementi di arredo urbano e giochi per bambini. All’esterno del parco è presente anche un’area parcheggio con 76 posti auto disponibili». Quest’area sarà affidata al comune? «La Mirabella Mare S.p.A. sta realizzando quest’opera, come detto, per il demanio, al quale la consegnerà a breve ed il Demanio, a sua volta, provvederà contestualmente al suo trasferimento al Comune. Pertanto, il destinatario dell’opera sarà il Comune, come è giusto che sia, in quanto opera pubblica destinata alla fruizione esclusiva dei cittadini». Un domani, quindi, verrà pubblicato un bando per il bar, il ristorante e le altre utenze? «Questa sarà una condizione essenziale, non si può abbandonare un’opera così senza contemplare
"I Love Pinetamare" Decoro urbano e colori per un restyling di Castel Volturno
di Rossella Schender
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ossi dall’intento di restituire a un territorio ciò che aveva donato loro durante il corso della vita, i membri fondatori dell’associazione I love Pinetamare scelgono, nel dicembre 2012, di impegnarsi per la salvaguardia e il miglioramento delle condizioni sociali e sanitarie dei cittadini della località castellana oltre che della tutela, del recupero e della valorizzazione dell’ambiente. La rete di comunicazione con le altre realtà associative di Castel Volturno permette l’intervento sul territorio di squadre di volontari che hanno come fine ultimo quello di curarsi del patrimonio ambientale posseduto. Di questo ne abbiamo parlato con Marco Eboli, presidente dell’associazione I love Pinetamare. Quali sono state le prime azioni dell’associazione sul territorio di
Pinetamare? «La prima azione sul territorio fu quella di restituire un impianto di illuminazione al centro del Villaggio Coppola, la situazione era disastrosa, i lampioni cadenti e la strada buia. Per noi era inaccettabile vedere il territorio che amia-
mo tanto in quelle condizioni. Successivamente, con gli introiti della partecipazione all’August Fest, abbiamo realizzato un’insegna visibile dalla domitiana. Questo posto non aveva più un’identità e ci siamo impegnati affinché gli venisse restituita. Tutte
queste opere sono state autofinanziate dall’associazione grazie alla quota annuale degli associati e, da quando siamo stati riconosciuti nelle associazioni della Campania, abbiamo avuto anche la possibilità di richiedere il 5x1000 che oggi è la nostra principale fonte di reddito. Un grande aiuto arrivava anche dall’ex capitano del Napoli, Marek Hamšik, che donava all’associazione il 5x1000 dandoci la possibilità di poter realizzare delle opere importanti nel corso degli anni». Oggi quali sono i vostri obiettivi? «Il decoro urbano è stato l’aspetto che ha mosso le nostre coscienze, in quanto è il primo segno visibile per il contrasto all’abbandono e degrado di un territorio, per questo ci siamo nuovamente impegnati per la caratterizzazione delle aiuole e delle rotonde con uno stile che punta lo sguardo verso
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senza di forze dell’ordine, non si può lasciare un territorio abbandonato a sé stesso senza il controllo della Polizia Municipale. Bisogna essere presenti affinché chi viene dall’esterno non si senta libero di trattare il territorio in malo modo». Dovremmo essere prossimi all’apertura del parco urbano, cosa
strazione? «Abbiamo sempre avuto un dialogo continuo. Il rapporto di interlocuzione è sempre stato vigile, critico e costruttivo. Nel corso degli anni son stati fatti tanti sacrifici per vedere dei risultati e io pretendo che i passi in avanti fatti non si trasformino in retromarce per la noncuranza di chi arriva da fuori. Ognuno deve fare la sua parte se si vuol dare una spinta al territorio. Vorremmo che ci fosse più pre-
SPECIALE CASTEL VOLTURNO
quello catalano. Castel Volturno e Pinetamare hanno bisogno di colore che, in fin dei conti, è quello che dovrebbe avere una località che ha come scopo quello di attirare turisti. Ovviamente vogliamo abbellire tutte le zone di Pinetamare e non solo quella centrale ma, iniziare dal centro, ci ha permesso di avere subito un feedback positivo. Il lavoro di restyling dovrebbe terminare entro giugno». Com’è il rapporto con l’ammini-
puoi dirci? «Stiamo dialogando con il sindaco e con i vigili per capire come funzionerà. Impossibile pensare che si possa solo aprire e poi lasciare che il resto lo faccia la coscienza del cittadino. Per un corretto funzionamento abbiamo bisogno di regole, di vigilanza e di una forte organizzazione. Insistiamo da tempo affinché ci sia un impianto di videosorveglianza, ma il comune non ha mai provveduto».
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di Clara Gesmundo
il litorale domitio DIVENTA “PLASTIC FREE” LESS PLASTIC
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SPECIALE CASTEL VOLTURNO
ositività. Positività e determinazione, questo il connubio perfetto per arrivare a realizzare i propri obiettivi. Ne sa qualcosa Mariangela Russo, referente per Castel Volturno della campagna “Plastic Free” che il 23 maggio ha avviato una importante iniziativa sul territorio casertano. Il traguardo da raggiungere: ripulire in tre ore, 5 km del Litorale Domitio. Insieme a lei ci siamo tuffati all’interno di un vero e proprio mondo “ripulito”. Il 23 maggio a Castel Volturno, nasce una vera e propria “sfida”. Così è stata definita la raccolta che ha ripulito in 3 ore cinque km del Litorale Domitio. Da chi nasce l’idea e come è stata organizzata tale iniziativa? «Plastic Free è impegnata da circa un anno sul territorio di Castel Volturno con raccolte che riscuotono un successo sempre più importante. Proprio quando stavo organizzando un nuovo evento ai Regi Lagni, sono stata contattata da Lello Ferrillo (titolare del Flava Beach) e, insieme a Renato Venezia (referente regionale dell’associazione), abbiamo deciso di lanciare questa sfida, innanzitutto a noi stessi. Una “battaglia” che affrontata con il sorriso e la determinazione che ci contraddistinguono. Abbiamo avuto il supporto di Radio Marte e di alcuni artisti del panorama musicale partenopeo; non meno importante è stata la presenza di Mariafelicia Carraturo, campionessa mondiale di apnea in assetto variabile con monopinna». Per riqualificare il territorio inoltre, ci spiega Mariangela, saranno organizzate numerose raccolte successive e la prossima data è
già fissata per metà giugno. Come hanno potuto i cittadini prendere parte all’evento? «L’evento è aperto a tutti, possono partecipare persone di ogni età, anche i bambini. Per prendere parte alle raccolte è possibile effettuare l’iscrizione gratuita sul sito www.plasticfreeonlus.it . Ad ogni partecipante verrà regalata la maglia ufficiale di Plastic Free». Mariangela ci spiega: «Da quando abbiamo iniziato a raccogliere plastica sulle spiagge di Castel Volturno c’è stato un graduale aumento delle adesioni da parte dei cittadini locali, di conseguenza ci aspettavamo e speravamo in una grande partecipazione, fortunatamente i volontari erano circa 450 tra cui tanti cittadini del posto, alcuni ormai abituali, per altri era la prima raccolta». Quando le chiediamo se l’obiettivo fissato fosse stato raggiunto, lei afferma: «Abbiamo un nuovo record in Campania: 450 presenze e oltre 700 sacchi pieni di plastica, polistirolo, vetro e tanto altro». I volontari hanno lasciato la spiaggia poco più tardi delle 12, dopo aver scattato le foto di rito e registrato
il loro slogan “Plastic Free, Plastic Free, spiagge pulite”; I referenti sono rimasti fino alle ore 20:00 per radunare tutto il loro “bottino” in un unico punto di raccolta, per facilitare poi la rimozione da parte del Comune. Cosa vi dà la motivazione per tenere duro e portare avanti questa splendida iniziativa? «Siamo nati nell’epoca del consumismo e del monouso; abituati a produrre tanti rifiuti, un po’ meno a riflettere sull’impatto che uno scorretto smaltimento di questi ultimi possa avere sull’ambiente e sulla salute. Sono proprio l’amore per la natura, la necessità di tutelare noi stessi e la consapevolezza di non avere un pianeta di riserva, che ci danno la grinta e la determinazione per continuare a rimuovere la plastica dall’ambiente. Cerchiamo di rendere partecipe e sensibilizzare sul tema un maggior numero di persone. Plastic Free è impegnata anche nel coinvolgimento degli studenti, dalle scuole elementari fino a quelle superiori con programmi formativi e con azioni concrete per comprendere l’importanza del benessere del pianeta. Riciclare è solo parte della soluzione, per far fronte al problema è necessario limitare la produzione di rifiuti; noi siamo scesi in campo per ridurre la quantità di plastica presente nell’ambiente, ma la principale battaglia è quella che bisogna attuare è contro l’inciviltà». È fondamentale che ci sia collaborazione da parte di tutti coloro che fanno parte di un territorio che visibilmente ha bisogno dell’aiuto e della solidarietà di chi ci abita. Regola numero uno: alienare l’indifferenza per far spazio alla cooperazione!
EUTANASIA
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di Giuseppe Spada
A Castel Volturno la petizione per acquisire un diritto
ei sicuro di essere libero? No, non lo sei. Non hai pieno controllo della tua vita, o meglio, ce l’hai finché la tua esistenza non subisce un brusco colpo come una malattia degenerativa e beh, se questo colpo lo hai ricevuto dalla nascita, probabilmente, non sarai mai libero. L’eutanasia è uno dei temi più discussi degli ultimi anni, ma chiedersi nel 2021 se un individuo abbia o meno il diritto di porre fine alla propria vita è impensabile. Se una persona, la cui vita è ostacolata da condizioni di estremo disagio, riesce a portare avanti le proprie giornate con determinazione è di sicuro una persona da lodare. Se al contrario, però, un uomo o una donna non riescono a sostenere il gravoso peso che il destino gli ha messo sulle spalle non abbiamo assolutamente
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alcun diritto di giudicare e/o pregiudicare le loro scelte. In paesi europei come Olanda, Lussemburgo, Belgio e di recente anche la Spagna, l’eutanasia è entrata a far parte degli inalienabili diritti umani. L’Italia, purtroppo, sotto questo fronte rimane ancora arretrata, ma non tutto è perduto. Dal 1 luglio fino al 31 settembre si terrà la raccolta firme necessaria all’attuazione del referendum per l’eutanasia legale. Le firme necessarie sono 500.000, dunque bisogna aspettare il prossimo mese per dare il proprio contributo ma c’è un’eccezione: se sei un avvocato, un cancelliere, un notaio, un parlamentare, un sindaco, un assessore, un consigliere comunale, un consigliere regionale, o un dipendete comunale puoi già dare il tuo contributo iscrivendoti al
sito “Referendum Eutanasia Legale Liberi fino alla fine”, in questo modo potrai autenticare le firme. A Castel Volturno, uno dei primi che ha aderito a questa magnifica iniziativa è stato Nicola Oliva, un consigliere comunale dell’opposizione che ai microfoni di Informare ha dichiarato: «Io mi sono impegnato perché tutto questo coincide con quella che è la mia idea sull’argomento. Credo che chiunque debba avere la possibilità di scegliere, in quelle che sono le eventualità che lo consentono, di vivere o non vivere. In quanto consigliere comunale ho avuto la possibilità di diventare un autenticatore e l’ho colta. Abbiamo un obbiettivo: 500.000 firme, e non sono poche, pertanto l’aiuto di tutti è indispensabile».
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i dispiace che tanti abbiano pensato avessimo semplicemente chiuso. Siamo stati più attivi che mai! Ci siamo dovuti adattare, ma tutto quello che avevamo lo abbiamo messo a disposizione». La voce positiva, gioiosa e immancabilmente determinata, è quella di Gisele, una delle figlie dei due fondatori del Centro Laila, che da oltre 35 anni aiuta il territorio, soprattutto quando esso si esprime negli occhi dei bambini, dei più fragili, dei dimenticati. L’abbiamo incontrata per la forte amicizia che ci lega e per sapere come avevano e stanno affrontando questo periodo così difficile per tutti. La loro è una struttura residenziale che ospita e segue tanti minori figli di immigrati, in difficoltà economiche, ma non solo. Una realtà che aiuta il prossimo, ma che ha dovuto inevitabilmente fare i conti con la pandemia. «Prima facevamo delle attività residenziali e semiresidenziali presso la struttura, poi abbiamo dovuto trasformare la nostra azione, potenziando l’assistenza domiciliare, data l’impossibilità per lunghi periodi di accogliere in sede i bambini». Sin dai primi giorni di lockdown, il Centro Laila ha percepito che andava preservato l’obiettivo che dà vita alla sua attività, che bisognava subito correre ai ripari. «Quando ci è arrivata la comu-
nicazione che l’indomani non avremmo potuto svolgere le nostre attività, ci siamo subito adoperati per preparare pacchi alimentari per tutti i nuclei familiari che assistiamo e in più un pacco di prodotti di cancelleria e di uso scolastico per i bambini». Dalla voce di Gisele si percepisce la fatica di quei momenti, le difficoltà, ma anche e soprattutto la grande positività di chi evidentemente ha una marcia in più. Gli operatori del centro si sono adoperati anche per seguire i bambini per la DAD, fornendo dispositivi elettronici lì dove mancavano, e per dare supporto alle famiglie. Il Centro poteva “limitarsi” a questo, poteva continuare a seguire la propria vocazione nelle modalità concessegli. Ma la vera vocazione di questo Centro è la cura del prossimo, qualunque sia la difficoltà che vive, chiunque esso sia, e questa pandemia, purtroppo, ha creato tante nuove povertà,
tante nuove difficoltà per famiglie e persone che riuscivano ad andare avanti per il rotto della cuffia. «Abbiamo rafforzato la distribuzione alimentare, collaborando con il Comune e con la Protezione Civile locale, fornendo alimenti per le persone che si trovavano in disagio economico sul territorio di Castel Volturno, ma anche di Mondragone, Cancello ed Arnone». La pandemia ha colpito, ha rallentato, ma non ha immobilizzato l’attività del Centro Laila. È cambiata la forma, in base alle nuove esigenze, ma il bene prodotto è stato per certi versi addirittura maggiore. «Ad oggi il Centro Laila non ha ancora ripreso le sue attività al 100%. Il nostro augurio è che per settembre riprenda l’accoglienza anche dei bambini più piccoli perché per adesso abbiamo dato priorità ai bambini in fascia scolastica. Per ora era la cosa più ur-
gente». Concludendo la nostra chiacchierata, abbiamo chiesto a Gisele come i bambini hanno vissuto questa situazione così particolare e difficile. «I bambini insegnano tanto a noi adulti. Sono molto più forti di noi ed hanno uno spirito di adattamento incredibile. Li abbiamo sentiti tutti i giorni, li seguivamo per la scuola, li bombardavamo di informazioni riguardanti la prevenzione per il Covid e i comportamenti da assumere. Fortunatamente, ci hanno seguito molto e hanno compreso il problema. È ovvio che la loro sofferenza è stata non poter giocare come erano abituati a fare insieme a tutti gli altri, non poter partecipare alle attività del Centro». È mancata loro la parte più bella del Centro: la condivisione, l’allegria, la gioia dello stare insieme. «Quando siamo andati a prenderli per la prima volta e gli abbiamo annunciato che avrebbero potuto giocare all’aperto, hanno fatto salti di gioia. Ne avevano proprio bisogno». E probabilmente è ciò di cui ha bisogno ognuno di noi: ricaricarsi di gioia vedendo l’allegria dello stare insieme dei più piccoli. Grazie anche a chi, come il Centro Laila, non ha mai smesso di prendersi cura di loro.
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SPECIALE CASTEL VOLTURNO
di Angelo Velardi
Il Centro Laila e la vocazione del prendersi cura dei più piccoli anche in piena pandemia
di Clara Gesmundo
L’UNDER 19 DELLA JUNIOR PORTA A CASA LA VITTORIA!
L
a Junior Domitia continua il campionato riguardante l’Under 19. A tal proposito abbiamo scoperto qualcosa in più su questa categoria, grazie al direttore sportivo Andrea Carrasco. Un periodo difficile per lo sport in generale, in particolare la categoria Under 19 della Junior Domitia che è stata ferma per un lasso di tempo causa Covid. Che emozione è stata poter ritornare in campo? «Purtroppo nell’ultimo anno e mezzo ci siamo ritrovati tutti catapultati in una vita quasi “surreale”. Tantissime categorie di lavoratori si trovano in ginocchio e noi eravamo tra questi fino alla stagione scorsa. Quest’anno fortunatamente siamo riusciti a ripartire possiamo quindi ritenerci ampiamente fortunati; il poter tornare in campo a fare quello che amiamo è stata un’emozione indescrivibile. La categoria Under 19 è stata la più colpita dalla pandemia, siamo stati fino agli ultimi giorni prima dell’inizio del campionato sulle spine, dati ben tre rinvii precedenti che ci avevano fatto
perdere un po› le speranze, ma fortunatamente, anche se con ritardo, siamo riusciti a ripartire anche con il settore giovanile». Domenica grande vittoria per la squadra. Analizzando il match, quali sono state le azioni vincenti? «Sì, domenica i ragazzi hanno disputato una gara perfetta; data la distanza di circa 550km, abbiamo deciso di partire il giorno prima e riposare in albergo per prepararci al meglio a questa sfida, e devo dire che i pronostici non sono stati disattesi. È arrivata un’ottima vittoria contro una grande squadra come il Futsal Pontedera; ne è valsa la qualificazione agli ottavi
di scudetto della categoria. Posso dire che tutti i ragazzi hanno interpretato al meglio quello che il mister richiedeva. Abbiamo reagito con grande personalità e alla fine abbiamo messo il turbo per portare a casa il 2-7 in nostro favore. Questa rappresenta una storica qualificazione per la nostra società». Poi continua «Da direttore dell’Under 19 posso ritenermi ampiamente soddisfatto di quello che è stato fatto fino ad ora dai miei ragazzi; sono seguiti in maniera impeccabile da Mister Alessandro Vitale e dal suo collaboratore Francesco Di Somma, il loro lavoro ha fatto crescere a dismisura il livello di preparazione della squadra e i risultati lo confermano. Domenica ci aspettano gli ottavi di scudetto contro la Fortitudo Pomezia, un’altra grande formazione che ospiteremo con piacere al Paladomitia. Un ringraziamento al Presidente della squadra Lauritano che dimostra giorno dopo giorno un amore incommensurabile per questi colori, per questo territorio e noi non possiamo far altro che ringraziarlo».
Il Tam Tam Basket dice sì al rientro in campo! SPECIALE CASTEL VOLTURNO
di Clara Gesmudo
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vviamente attuando le dovute precauzioni, il team sportivo è entusiasta di tornare ad allenarsi. Le parole del coach Massimo Antonelli sono chiare: tanto da recuperare, ma felici di poter iniziare! «Le notizie positive sul rallentamento dell’epidemia ci hanno incoraggiato a riprendere, seppur parzialmente, gli allenamenti all’aperto con i ragazzi» – inizia a raccontarci il coach – «Abbiamo notato che la sosta non ha portato loro nessun beneficio, li abbiamo trovati tutti bisognosi di attività motoria e desiderosi di giocare. Alcuni si sono presentati in sovrappeso in modo molto evidente. Questo stop forzato che ha creato sedentarietà ha danneggiato maggiormente i miei ragazzi perché oltre a non fare gli allenamenti a loro sono venute meno quelle lunghe camminate per andare a scuola, quindi poche calorie bruciate tanto che adesso hanno quasi tutti qualche chilo in più da smaltire». I ragazzi di Tam Tam hanno ricominciato a scendere in campo? «Abbiamo iniziato proponendo solo 2 allenamenti settimanali perché vogliamo riabituarli
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gradualmente allo sforzo fisico e, a tal proposito, dedicheremo una prima parte dell’allenamento proprio alla preparazione fisica e la seconda parte alla tecnica e al gioco. Naturalmente allenarsi all’aperto, in riva al mare, risulta bello e romantico, ma va a cozzare con la concentrazione dei ragazzi. Non tutti hanno la capacità di isolarsi e non farsi prendere da distrazioni». Cosa riserva il futuro imminente al vostro
team? «Tam Tam deve rafforzare la parte organizzativa che in questo momento è fondamentale. Dobbiamo programmare e gestire i prossimi anni di attività e nell’immediato dobbiamo trovare fondi per aggiustare e attrezzare la nuova palestra in modo da poter accogliere nuovi ragazzi. Abbiamo in programma di inserire gradatamente figli di italiani, di creare una squadra formata interamente da ragazze, un’altra di Baskin, uno sport molto inclusivo, 3 squadre giovanili e un centro MINIBASKET, avvicinando bimbi dagli 8 anni in poi. Un progetto ambizioso che ci chiede impegno, tanta responsabilità, e tanti nuovi amici che possano supportarci in questa meravigliosa avventura». Una grande società, il Tam Tam, che diviene un modello sia sotto il punto di vista sportivo che sociale, ma soprattutto umano. Contribuire alla crescita del team significherebbe appoggiare quelle persone che hanno creduto in primis nei ragazzi, a cui regalano la grande dote della speranza e dell’amore verso un’attività come il basket e, in secondo luogo, nel territorio ormai fin troppo macchiato e sottovalutato di Castel Volturno.
di Silvia De Martino
Circolo canottieri Nesis: una realtà da scoprire
Alessandro Savarese e Davide Vivo oro al meeting nazionale
Da sx Davide Vivo, Massimiliano Sibillo e Alessandro Savarese
diventare un punto di riferimento per la fascia costiera e per il territorio, aumentando la nostra notorietà e il numero di iscritti. È importante per noi che i ragazzi del luogo sappiano di avere questa possibilità sul loro lago». Ma l’attività sul territorio non è l’unica forza del circolo Nesis: l’impegno e la dedizione li hanno portati anche a formare giovani campioni del settore. È il caso di Alessandro Savarese e Davide Vivo, che con il Reale Yacht Club Canottieri Savoia hanno vinto l’oro all’Otto nell’ultimo meeting nazionale. «Abbiamo dovuto fare una scelta a livello societario per far fare ai nostri ragazzi un salto di qualità: sapevamo di non avere la possibilità di portarli avanti e abbiamo quindi deciso di dargli questa opportunità con il Savoia. Al circolo canottieri Nesis siamo come una famiglia e la cosa principale per noi è far crescere i nostri atleti, quindi, prendere una decisione differente per puro egoismo, sarebbe stato inammissibile». Così i due giovani under16 hanno avuto l’occasione di mettere in mostra il proprio talento a livello nazionale, riuscendo a pieno nella
missione. Davide Vivo ci spiega come si è stata strutturata la competizione: «Era divisa in qualifica e finale: nella prima siamo arrivati secondi, mentre nella seconda abbiamo dato il massimo portando a casa il risultato». «Difficile spiegare a parole le emozioni provate, sono state uniche» – continua Alessandro Savarese – «La soddisfazione più grande è sapere che dietro a questi risultati ci sono enormi sacrifici. Il canottaggio richiede tempo, dedizione e sforzo fisico: ci alleniamo tutti i giorni per tre o quattro ore, anche di sabato e di domenica mattina». Nonostante l’entusiasmo per il loro attuale percorso nel Savoia e per i progetti futuri che i due ragazzi puntano a concretizzare con questo circolo, resta nel loro cuore l’esperienza fatta e la formazione ricevuta al Nesis. «Posso definire Massimiliano come un secondo padre, si è creato un rapporto che va al di là dello sport», ci spiega Alessandro. «Il circolo canottieri Nesis è stata la nostra casa», conclude Davide. Ci auguriamo che questi due ragazzi possano realizzare i loro sogni e raggiungere, con costanza ed impegno, i maggiori traguardi in questo sport, non dimenticando gli insegnamenti ricevuti: derivare da ogni esperienza sportiva una crescita personale, senza lasciarsi travolgere unicamente dai risultati.
SPECIALE CASTEL VOLTURNO
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l circolo canottieri Nesis sorge a Lago Patria, frazione di Giugliano, sulle sponde dell’omonimo lago. Si tratta di una realtà che punta alla valorizzazione del luogo in cui si trova e ad un lavoro capillare sul territorio, coinvolgendo i concittadini e diffonden- d o uno sport poco noto come il canottaggio. «Siamo nativi di Bagnoli, da cui deriva il nome Nesis in riferimento a Nisida, e siamo arrivati a Lago Patria nel 2014» – così ci spiega Massimiliano Sibillo, uno dei soci fondatori – «tre anni e mezzo fa abbiamo sistemato questo capannone e fatto tanti sacrifici. Oggi possiamo vantare una palestra attrezzata e un discreto numero di imbarcazioni». Essendo un’associazione polisportiva dilettantistica, la Nesis può proporre diverse attività, quali canottaggio, canoa e dragon boat. «La nostra formazione si basa sull’educazione allo sport, i risultati sono secondari: puntiamo a forgiarli nel carattere, nella mente e nel corpo. Per noi viene prima l’uomo e poi l’atleta. Se diventano campioni io sono la persona più felice del mondo, ma se non lo diventano hanno comunque fatto un percorso e sapranno affrontare in modo migliore la vita del domani». Dal primo al quattro luglio saranno presenti a Varese per il Festival dei Giovani, una kermesse che racchiude circa 2000 atleti da tutta Italia, ideata all’insegna del divertimento dei ragazzi al di là del risultato sportivo. La polisportiva, inoltre, mira a promuovere una partecipazione attiva alla vita del lago, portando avanti un percorso con le scuole locali e con la base NATO di Giugliano. «Il nostro sogno è
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di Roberto Sorrentini
"Noi andiamo oltre il pregiudizio"
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SPECIALE CASTEL VOLTURNO
l 17 maggio scorso, in occasione della giornata mondiale contro l'omolesbofobia, la bifobia e la transfobia, abbiamo avuto il piacere di incontrare Laura Matrone, personaggio di spicco che Castel Volturno ha il piacere di ospitare. Laura, nata a Napoli nel 1972, ha recentemente festeggiato il suo 49esimo compleanno offrendosi come presentatrice dell'evento di beneficenza "Maggio in musica", tenutosi sabato 15 alla "Sala Teatro" della Chiesa Santa Maria del Mare, zona Pinetamare. Prima a far esibire due ballerine brasiliane, in un ambiente così vicino a un luogo di culto. Tra le tante curiosità, ha partecipato al programma Mediaset “Avanti un altro”, arrivando al gioco finale con un montepremi imponente, ma sfortunatamente cadendo sulle ultime domande. Laura ti andrebbe di dirci qualcosa sul tuo conto? «Sono orgogliosa di essere una donna transessuale a seguito di un intervento nel 2002, sono stata argomento di 10 tesi di laurea e stanno per scrivere un libro sulla mia storia intitolato "Oltre lo sguardo" che diventerà anche una serie TV. Sono maestra d'arte, dipingo su qualunque superficie e mi sono specializzata in ceramica, sono anche una restauratrice. Canto e recito, sono una trasformista nonché fotomodella. Inoltre faccio la presentatrice, conduco ben 5 format televisivi». Che tipo di programmi sono? «Il più importante, che prende anche il mio nome, è "A casa di Laura", arrivato ormai alla sesta edizione. È un programma a 360°, affrontiamo tematiche di qualunque ambito, medico, politico, sportivo, artistico, etc. Un altro a cui sono molto legata è "Chi è di scena", dove dedichiamo un'intera puntata a un'artista che parlerà della sua vita. Presento programmi di ogni tipo, anche uno dedicato agli animali. Tutti questi format sono stati ideati da Pino Ricci,
direttore artistico e vicepresidente della mia associazione». Di che associazione si tratta? Opera anche sul territorio di Castel Volturno? «Ho lavorato 10 anni come operatrice nel sociale, ho stipulato protocolli d'intesa con tantissime associazioni. Grazie a me è nata la prima associazione transessuale a Napoli. Divenni anche vice presidentessa di una seconda associazione, per le vittime transessuali, ma per varie sfumature personali mi sono allontanate e ho dato a "Associazione Culturale Mediterraneamente" che si occupa di organizzare eventi e progetti per disabili, bisognosi ed extracomunitari. Credo in questo territorio anche se è stato il primo a ferirmi, c'è gente che se mi vede vorrebbe stendermi il tappeto rosso, ma
è la stessa che anni fa mi attaccava. Ciò non mi ha fermato, ma ha aumentato il mio desiderio di fare la differenza anche in questa zona. Ovviamente non lavoro unicamente sul territorio di Castel Volturno, fortunatamente sono sempre stata una persona che ha relazionato a livello nazionale, e non solo, con tanti altri enti. Ho la capacità di poter lavorare ovunque a livello associativo. Abbiamo tanti progetti in cantiere, alcuni anche per questa estate». Come possiamo noi giovani dar voce alle nostre idee? Abbiamo la possibilità di far sentire la nostra voce? «Voi ragazzi siete il futuro, abbiamo bisogno di giovani che propongano idee, che dicano la loro: basta dinosauri! L'evento di sabato (riferimento a "Maggio in musica") è ciò che vuole il popolo, teatro, spettacolo, un modo per passare il sabato, abbiamo un auditorium, sfruttiamolo. Il comitato cittadino "Città Domitia", di cui sono vicepresidentessa, è stato fondato proprio per colmare le falde organizzative della giunta. Se i ragazzi vogliono dire la loro è importante che entrino a far parte di associazioni che hanno a cuore la nostra zona». Ho letto sul web che sei una sportiva, hai vinto premi a livello internazionale come campionessa di arti marziali. Cosa pensi di chi dice che i transessuali non dovrebbero partecipare per “vantaggi fisici”? «Si, sono cintura nera secondo dan, ho trionfato in 7 competizioni nazionali, 11 europee e 2 mondiali. Ho anche insegnato alla Nato. Penso che ci sia anche in questo caso una cattiva informazione perché nell’ideale collettivo si associa la figura di un transessuale con quella di una costituzione fisica massiccia, ma non è affatto corretto». Ti prodighi molto per gli altri, anche con webinar con le scuole, vuoi lasciarci con una frase d’impatto che possa far riflettere i lettori? «Noi andiamo oltre il pregiudizio!».
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a cittadini di Castel Volturno spesso ci è capitato di notare come qui si continui a restare un passo indietro rispetto ai comuni limitrofi. Questa situazione non solo è demotivante per le varie imprese della zona, ma anche per i cittadini che pur di usufruire di un qualsiasi servizio sentono la necessità di spostarsi. Con la quarantena i ristoratori hanno dovuto predisporre un servizio di consegna a casa, ma anche da questo punto di vista ci sono state limitazioni. Oggi una luce sembra finalmente illuminare il nostro paese. Sei ragazzi cresciuti nel litorale hanno deciso di portare nella nostra zona il primo servizio di delivery: Kisto. Abbiamo avuto l’occasione di ospitare nella nostra redazione due di loro: Giuseppe Bianchi e Antonio Romaniello. Come nasce Kisto? «L’idea nasce da un sabato sera e da una pizza in ritardo. Il problema è che siamo uno dei pochi paesi a non avere un servizio delivery che possa garantire immediatezza e scelta di orario. La nostra idea era portare un servizio che potesse essere d’aiuto non solo alle persone da casa, ma alle attività stesse per ottimizzare». I vari servizi di ristorazione della zona si sono mostrati propensi a collaborare con voi? «Ci hanno accolto tutti molto bene. Abbiamo deciso di non presentarci da tutti, facendo una selezione per evitare di non riuscire a gestire il tutto. Ci sono stati dei “no”, ma il progetto è sempre stato valorizzato. Si tratta di un’idea
innovativa, necessaria allo sviluppo economico e tecnologico di Castel Volturno. Sembra una cosa banalissima, ma qui purtroppo non lo è. È una condizione che viviamo tutti i giorni ma nessuno ha avuto il coraggio di fare questo passo. Ai colossi del delivery non interessa un’utenza così bassa e credo che solo che noi del territorio possiamo capire il vero potenziale della zona». Questo purtroppo è un territorio difficile per i rider. Ci sono stati ragazzi che hanno mostrato paura nel dover girare di notte? «Stiamo cercando di limitare questo problema riducendo al minimo il giro di contanti. Cercheremo di far girare i nostri rider in un orario ristretto per assicurare ai ragazzi nessun rischio. I loro contratti gli forniscono dei diritti nuovi, un’inquadratura giusta e un’assicurazione INAIL. Dopotutto, sono la nostra faccia e coloro che si presentano al
Antonio Romaniello e Giuseppe Bianchi
cliente». Come ha reagito Castel Volturno a questo nuovo servizio? «Molte famiglie hanno accolto con entusiasmo l’iniziativa. Spesso ci è stato detto “finalmente anche Castel Volturno diventa un paese come tutti gli altri!”. Sembra che un atto eroico, ma questo è il presente per molti territori. Qualcuno ci ha additato come troppo coraggiosi. Aprire una società di delivery tra dei colossi non sarebbe stato così redditizio, ma farlo dove non esiste può essere un grande sviluppo. Io credo che qui le cose stiano cambiando, negli ultimi tempi hanno ripreso la situazione in mano con dei piccoli lavori. Nei prossimi mesi vorremmo impegnarci anche nel sociale, cercando di rivalutare la zona dalle più piccole cose. Vorremmo collaborare con delle associazioni del litorale, aiutandoli, ed utilizzare alcuni dei nostri compensi per il decoro urbano, lavori sulle strade, beneficenza e così via. Speriamo di arrivare col tempo a progetti più grandi. È molto importante e ci teniamo particolarmente». Come sperate cresca questo progetto da qui ad un anno? «Cercheremo di fare il possibile per rendere il progetto una realtà concreta. Per noi è un mondo nuovo, stiamo ancora studiando. Cercheremo di avere quasi tutti i locali della zona come partners: ormai ordinare da casa è diventata la normalità. L’idea è quella di iniziare qui, ma sicuramente c’è l’intento di espanderci oltre Castel Volturno». Che cosa direste ad un giovane castellano che vorrebbe fare impresa su questo territorio? «Credi in quello che fai: la voglia e la passione di fare una cosa che ami ti porta avanti, in un modo o nell’altro. In questo modo si riescono a superare anche le difficoltà. La paura è relativa. Può andar bene o male, ma almeno non avrai il rimpianto di non averci provato».
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SPECIALE CASTEL VOLTURNO
di Iolanda Caserta
Kisto: il primo delivery di Castel Volturno
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Società Gestione Riscossione Tributi
Siamo oltre 25 sedi in Italia La SO.GE.R.T. S.p.A. opera in diversi comuni sul territorio nazionale. Informati sul sito www.sogertspa.it su come raggiungere la sede a te più vicina e su quali sono gli orari di sportello. La SO.GE.R.T. S.p.A. gestisce il servizio di tesoreria per i Comuni ed i Consorzi e la riscossione e l‘accertamento dei tributi degli enti locali. Da sempre al servizio delle amministrazioni comunali e dei contribuenti, grazie alla vasta esperienza maturata in anni di attività e al suo servizio informatico.
Tel: 0823 766004 | E-mail: sogert.presidente@libero.it Orari: Lun-Ven dalle 9:00 alle 13:00 Via Regina Margherita, 20 - 81030 - Castel Volturno (CE) Giugno 2021
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