ROBERTO FICO: "NO AI MURI"

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Periodico edito dal "Centro Studi Officina Volturno"

ANNO XIX - NUMERO 223 - NOVEMBRE 2021

GRATUITO

Copertina di Antonello Dell'Omo © | Ph. Gabriele Arenare ©

SCANSIONAMI

Novembre 2021

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Editoriale

di Antonio Casaccio

ANNO XIX - NUMERO 223 - NOVEMBRE 2021 Periodico mensile fondato nel 2002 Registrato al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n° 678 Edito dal Centro Studi Officina Volturno Presidente Tommaso Morlando

NON SOLO UN PREMIO

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l Premio d’Eccellenza Città di Castel Volturno non è stata solo una cerimonia. Il parterre istituzionale e governativo ha lanciato messaggi essenziali per la ripartenza di questo territorio, il tutto celebrando coloro che quotidianamente spendono il loro tempo per salvaguardare il posto in cui viviamo. Realtà sociali e volontari sono vere e proprie perle di Castel Volturno, monito di una cittadinanza attiva capace di superare anche i limiti di una malagestione amministrativa negli anni. Abbiamo portato all’attenzione di quel parterre istituzionale le reali problematiche che affliggono il litorale domitio e, in questo editoriale, mi preme ricordare una delle più urgenti: l’abbattimento di migliaia di capi bufalini che sta portando allo sfascio della filiera della mozzarella di bufala. Inutile ribadire il peso economico della filiera, che garantisce un indotto essenziale per aziende e famiglie; piuttosto è il momento di far comprendere che, così facendo, il nostro territorio non avrà più una bufala. Può sembrare un argomento irrilevante, ma pensiamo a come sarebbe Napoli senza il Vesuvio. Ecco, Castel Volturno è il centro del mondo per la mozzarella, grazie ad una bufala mediterranea che trova in questo territorio i nutrienti perfetti per un prodotto di eccellenza e bontà assoluta. Perdere tutto questo è inac-

cettabile, soprattutto se lo si sta facendo per bufale non infette da brucellosi e tubercolosi (malattie per le quali è prevista l’eradicazione). Abbiamo dedicato un intero speciale, numerosi approfondimenti e la copertina del numero di Settembre su questo tema e invito il lettore ad informarsi adeguatamente per comprendere la gravità della situazione. Nel corso della cerimonia del Premio abbiamo voluto omaggiare il Comandante di Brigata dell’Arma dei Carabinieri, Donato Monaco, di un quadro estremamente evocativo del Maestro Alessandro Ciambrone. Il logo del comune e le bufale, una volta orgoglio e forse tra poco solo un vago ricordo. La speranza è quella di continuare a far luce sulla questione e arrivare ad un rilevamento certo di brucellosi e tubercolosi, senza che a farne le spese siano anche capi del tutto sani, destinati al macello dietro l’ordine di un “abbattimento totale”. Restiamo positivamente colpiti dall’interesse del Comandante Monaco e del Sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulé, presente alla consegna della tela. Che sia uno sprono a mantenere alta l’attenzione rendendo la difesa della filiera della mozzarella di bufala una priorità per il territorio di Castel Volturno.

Sede Operativa Piazza delle Feste, 19 Pinetamare - 81030 - Castel Volturno (CE)

Tel: 0823 18 31 649

E-mail: redazione@informareonline.com IBAN: IT 83 V030 6974 8731 0000 0001 835 Direttore Responsabile

Antonio Casaccio Vicedirettore

Luisa Del Prete Caporedattore

Hanno collaborato Alessandra Criscuolo Angelo Morlando Anna Copertino Antonio Casaccio Benedetta Calise Chiara Del Prete Clara Gesmundo Fabio De Rienzo Fabio Di Nunno

Donato Di Stasio Rapporti Istituzionali

Antonio Di Lauro

Fabio Russo Fernanda Esposito Francesco Cimmino Gianrenzo Orbassano Giorgia Scognamiglio Ilaria Ainora

Responsabile scientifico

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Angelo Morlando

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Fabio Russo

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Graphic Communications

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Nicola Ponticelli

Il direttore Antronio Casaccio consegna il quadro dell'artista Alessandro Ciambrone al Gen. Donato Monaco

Simone Cerciello Valeria Marchese Vittoria Serino

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COPERTINA

«CASTEL VOLTURNO DEVE TORNARE NELL’AGENDA DI GOVERNO»

Il Presidente della Camera Roberto Fico dà come priorità la rinascita del litorale domitio di Simone Cerciello

Il presidente Roberto Fico e la Redazione di Informare

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l 23 ottobre 2021 non è una data come tutte le altre, o almeno non per noi di Magazine Informare – Associazione Officina Volturno. In questa giornata si è svolta la I° edizione del Premio d’Eccellenza “Città di Castel Volturno”, un evento nato con l’obbiettivo di premiare tutte quelle associazioni e personalità che da tempo si battono per il benessere e la salvaguardia del litorale domitio. Una giornata nel segno della ripartenza, una giornata nel segno della speranza…perché Castel Volturno merita molto più di tutto quello che ha subìto nel corso di questi anni e finalmente sembrano esserci le giuste sinergie per partire alla grande. Ma il 23 ottobre 2021 non verrà ricordato solo per questo, ma molto molto di più. Rappresenta infatti il giorno del riconoscimento e della legittimazione dell’operato ormai ventennale di Tommaso Morlando per il territorio e dell’impegno che la redazione di Magazine Informare mette in campo giorno per giorno al fianco dei cittadini, nel segno dell’informazione, ma soprattutto della legalità. 4

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In fase di organizzazione del premio, abbiamo provato, speranzosi che il nostro impegno suscitasse l’attenzione e l’interesse delle istituzioni, a richiedere il patrocinio al nostro Presidente della Camera, Roberto Fico. Spesso il mondo della politica viene visto come un corpo estraneo rispetto a quello che è il reale tessuto sociale, ma fortunatamente non sempre è così...Consci del fatto che sarebbe stato quasi impossibile ottenere il patrocinio, abbiamo riposto questo tentativo nel cassetto, nella speranza che prima o poi si sarebbe potuto avverare, un po’ come facciamo con i sogni. Quelle cose irrealizzabili, ma a cui ogni tanto piace pensare. I sogni nascono per rimanere irrealizzabili, altrimenti non sarebbero tali. Eppure, certe volte, quel cassetto lo riapriamo, e quel che vi ritroviamo supera di gran lunga le nostre

aspettative. Nei giorni che sono seguiti, infatti, in redazione è arrivata una comunicazione, e in un secondo l’attività frenetica che normalmente ci contraddistingue, si è congelata…Non solo la nostra richiesta è stata accettata, ma addirittura ci hanno comunicato che quel giorno il presidente sarebbe venuto prima di persona in redazione per conoscerci. Non ci potevamo credere! La terza carica dello Stato aveva risposto all’appello di un magazine gratuito scritto da giovani giornalisti campani. La mattina del 23 ottobre 2021 resterà per sempre nel cuore di tutti noi collaboratori del


Il presidente Roberto Fico e Antonio Casaccio

Magazine, l’arrivo delle auto blindate, l’organizzazione, la tensione che ha preceduto il suo arrivo, sembrava di essere in un film…eppure non stavamo sognando. Lo abbiamo già detto, la politica troppe volte si è dimostrata distante dalla realtà che normalmente viviamo, ma sedere al tavolo con il Presidente della Camera, circondato da giovani quasi increduli, leggere nei suoi occhi l’interesse a scoprire il nostro mondo, è un qualcosa di inspiegabile; in quel momento lo Stato c'è stato dandoci una pacca sulla spalla esclamando: “Siamo con voi!”. La consegna di un’onorificenza del Presidente della Camera dei Deputati, le lacrime di commozione dei presenti in redazione, la sua proposta di immortalare quel momento con tutti i ragazzi, e soprattutto le parole che risuonano nelle nostre menti ancora oggi. come ieri, e probabilmente per sempre, sono come benzina in un motore che non ha nessuna intenzione di fermarsi: «È una realtà bellissima, soprattutto per quel che riguarda voi giovani, che avete così tanta voglia e passione di informare e lottare per ciò che è giusto, per ciò che è sano, per ciò che è legale per questo territorio che, tengo a ricordare, è il nostro territorio. Tutto questo è davvero stupefacente e in qualche modo miracoloso. Da parte mia c’è tutta la massima vicinanza e supporto reale. Qui c’è tanta attività e tanto fermento. Pertanto, un passo alla volta, ci riprenderemo tutto quello che davvero ci appartiene, in particolare a voi giovani». Finito l’incontro ci siamo spostati tutti presso la sede dell’evento, lì dove poi proprio Roberto Fico ha tenuto il primo intervento. Ecco che ci risiamo, e la commozione si impadronisce di nuovo dei presenti, quando proprio il presidente ci cita e ringrazia nelle prime battute del suo intervento: «Bisogna avere la capacità di reagire con tante attività concrete alle criticità presenti sul territorio, ne sono anzitutto esempio l’Associazione Centro studi Officina Volturno e il periodico Informare Magazine: che da due decenni assicurano un’informazione costante sulla realtà locale, promuovono iniziative culturali e la cittadinanza attiva». Il discorso è poi continuato, andando ad af-

ca tra le comunità, lo sviluppo economico ed il rispetto dell’ambiente. La seconda consiste nella promozione dello sviluppo economico e sociale del territorio in senso sostenibile esaltandone le potenzialità. Credo che il litorale Domizio sia una delle zone che potrà trarre maggior beneficio da una transizione ecologica equilibrata, che passa anzitutto per la bonifica e il risanamento dell’ambiente, a cominciare dal mare, dalle spiagge, dalle pinete, dalle discariche abusive. E poi per la promozione di attività sostenibili di carattere turistico, culturale e produttivo. Le risorse del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza, opportunamente utilizzate, potranno certamente concorrere a questi obiettivi. Non si può pensare di costruire i muri, i muri si superano sempre. Dobbiamo riuscire ad accogliere i migranti per fare in modo che ci sia una vera integrazione. Spero che le forze politiche in Parlamento possano inserire il tema dello Ius soli o dello Ius culturae nella loro agenda». Assordante l’applauso che ha fatto seguito al suo discorso: lo Stato era lì e Castel Volturno stava rispondendo con forza e speranza. E non possiamo che confidare nelle parole del Presidente della Camera Il presidente Roberto Fico e Tommaso Morlando rilasciate a “Il Mattino”: «Castel Volturno deve tornare frontare quelle che sono le criticità presenti sul nell’agenda di Governo per diversi capitoli, da nostro territorio, manifestando quella che è la quello sociale a quello ambientale, dalla sicuvolontà di inserire Castel Volturno nell’agenda rezza agli investimenti strutturali. politica: Il Commissario di crisi per l’area, introdotto dal «Il litorale domizio, che conosco bene essendo Governo nel 2006, dovrebbe tornare in moto napoletano, rappresenta uno dei casi più così come devono essere rifinanziati i progetti lampanti di contrasto tra le notevoli bellezze al palo. Perché il litorale domitio è oggettivanaturalistiche e storiche e le grandi potenzialità mente in credito nei confronti dello Stato» turistiche, da un lato, ed una condizione di Il 23 ottobre 2021, è questo il giorno in cui Caforte degrado sociale e ambientale, dall'altro. stel Volturno ha scelto di impegnarsi per rinaQuesto è territorio ricco di problemi: dalla scere. presenza pervasiva della criminalità organizzata ai flussi migratori non gestiti secondo i canali legali e da politiche di integrazione adeguata. Dal traffico di stupefacenti allo sfruttamento della prostituzione, passando per la tratta di esseri umani, per il caporalato, l’abusivismo edilizio e la presenza di molti individui in condizione di fragilità e povertà economica e educativa. La soluzione di questi problemi richiede una combinazione di politiche pubbliche, una collaborazione costante tra istituzioni locali e nazionali e il confronto e la cooperazione con attività associative. A questo scopo, sono fermamente convinto che occorra agire in tre direzioni: la prima consiste naturalmente nella prosecuzione dell’azione di prevenzione e contrasto dell’illegalità da parte delle forze dell’ordine e della magistratura. Devono essere ristabilite pienamente in queste aree condizioni di legalità e sicurezza senza le L'onoreficenza consegnata al direttore Antonio Casaccio e al presidente Tommaso Morlando quali non sono possibili la convivenza pacifiNovembre 2021

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A TTUALITA'

di Gianrenzo Orbassano

«CON IL SUPERBONUS CASTEL VOLTURNO ESEMPIO PER L’ITALIA» Augusto Raggi, Head Enel X Italia al Premio Città di Castel Volturno

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na giornata all’insegna delle migliori eccellenze del nostro territorio quella di Sabato 23 Ottobre a Castel Volturno. Nella cornice dell’Auditorium Don Peppe Diana, alla Scuola Forestale dei Carabinieri, la prima edizione del Premio d’Eccellenza “Città di Castel Volturno” ha registrato un grande successo. Il Premio, che quest’anno è stato dedicato alla memoria di Gino Strada, è organizzato dal Centro Studi Officina Volturno nato nel 2002 dall’idea del fondatore Tommaso Morlando e dal Magazine Informare diretto da Antonio Casaccio. Numerose le personalità illustri presenti all’evento. Da segnalare la preziosa presenza alla manifestazione del Presidente della Camera Roberto Fico che ha espresso parole di vicinanza a tutta la comunità, spiegando che manifestazioni come questa aiutano a valorizzare, appunto, le migliori eccellenze che operano nel territorio. Tra i premiati della prima edizione del Premio, figura il Responsabile di Enel X Italia, il dottor Augusto Raggi. Invitato a salire sul palco durante la manifestazione dal direttore di Magazine Informare Antonio Casaccio e premiato dal Capo di Gabinetto del Ministro dell’Interno Bruno Frattasi, Augusto Raggi ha spiegato la grande opera di rivoluzione in atto nel territorio di Castel Volturno grazie all’attività di Enel X, azienda con radici molto solide nel settore dell’energia rinnovabile, della sostenibilità e della digitalizzazione che ha deciso di investire in questo territorio. Una notizia straordinaria per i castellani, che vedono il gigante dell’energia scommettere su un territorio fino ad oggi costantemente mortificato, in cui nidificava un’imprenditoria malsana. La mission di Enel X nel recupero di Pinetamare è assolutamente ammirevole, grazie ad investimenti che restituiranno ai citta6

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dini un senso della bellezza ormai disperso nei tanti scheletri di edifici abbandonati sparsi per il territorio. Il suo intervento ha sottolineato come il progetto di “elettrificazione dei consumi” grazie al Superbonus abbia avuto un effetto benefico per le centinaia di edifici di Pinetamare, località di Castel Volturno, una volta nota per le torri ecomostro: «Il Premio non è solo di Enel X, ma di tutto il territorio. Specialmente quello di Castel Volturno con i suoi cittadini che hanno scelto un tema di riqualificazione energetica degli immobili, hanno scelto il Superbonus per poter riqualificare anche la loro qualità di vita attraverso soluzioni di efficienza energetica grazie alle rinnovabili, hanno scelto il tema della mobilità elettrica. Tutti questi aspetti così concreti sono

stati realizzabili anche attraverso l’intervento delle istituzioni. Ecco perché desidero ringraziare il Presidente della Camera Roberto Fico intervenuto oggi a questo evento». Il Responsabile di Enel X ha poi elogiato la presenza delle Istituzioni in questo territorio anche grazie allo strumento del Superbonus energetico, incentivo che migliorerà la vita quotidiana dei cittadini: «Grazie al Superbonus, abbiamo capito che esiste uno strumento potente per migliorare la vita dei cittadini. Desidero quindi sottolineare che, in questo caso, il valore aggiunto sono proprio gli imprenditori e le imprese di questo territorio. Il Premio poi è di tutte le persone che lavorano dietro le quinte di Enel X. Persone che cercano di confezionare quei prodotti e servizi che portano poi tre elementi fondamentali per attuare questa rivoluzione. Il primo elemento è la convenienza dell’offerta del Superbonus, il secondo è la Customer Experience, ovvero l’esperienza di vivere l’esperienza della propria casa. Al tempo, in questo territorio, si contavano numerosi appartamenti con la scritta “Vendesi”. Ad oggi questi immobili non sono più in vendita e hanno perfino quadruplicato il loro valore». Questo significa inevitabilmente

A sx il prefetto Bruno Frattasi, a dx Augusto Raggi Head Enel X

una rivoluzione per l’intero territorio e se a confermarlo è direttamente Augusto Raggi, allora possiamo davvero essere piacevolmente colpiti da questa notizia. Non è da dimenticare che il territorio di Castel Volturno ha un enorme potenziale, sia da un punto di vista ambientale che da un punto di vista delle risorse umane presenti e attive sul territorio. «Il terzo elemento è quello della sostenibilità: Castel Volturno è un territorio meraviglioso dal punto vista ambientale. La scelta di efficientare in maniera intelligente la riqualificazione degli immobili, porta un chiaro segnale concreto di sostenibilità. Quello che sta succedendo a Castel Volturno deve essere d’esempio per tutto il Paese, perché gli strumenti ci sono e sono funzionanti». Parole che il direttore di Magazine Informare Antonio Casaccio ha sottoscritto, descrivendo come questi progetti inficino positivamente anche sul tema della rivalutazione sociale ed estetica di Castel Volturno, un panorama che in passato ha appunto lasciato in eredità edifici e palazzi abbandonati. Chiosa Augusto Raggi: «L’esempio è contagioso. Se si realizza qualcosa del genere a Castel Volturno, sono sicuro che tante altre realtà prenderanno spunto da questa iniziativa». E qui il dottor Raggi lancia una visione applicativa del Superbonus finalizzata al recupero di territori storicamente degradati. Pensiamo alla potenza di tale strumento se venisse reso ancor più vicino a quelle terre, e in Campania ne abbiamo tante, che hanno patito anni di malagestione politica e imprenditoriale. Oggi il Superbonus può essere davvero uno spiraglio di luce concreto e, incredibilmente, tutto partirà proprio dall’esempio Castel Volturno. Non ci resta che augurare il meglio ad Enel X e riporre fiducia nella determinazione del dott. Augusto Raggi.


A TTUALITA'

di Antonio Casaccio

«LA REGIONE INVESTE SOLO DA SALERNO AD ACCIAROLI» La denuncia di Ezio Stellato, rappresentante balneari in Parlamento

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zio Stellato, esperto in materia tributaria e fiscale, rappresenta gli interessi dei balneari alla Camera dei Deputati, per conto della S.I.B. (Sindacato Unitario Balneari). Il dottor Stellato raccoglie le istanze dei balneari nei vari territori per formalizzare proposte da portare all’attenzione delle varie commissioni parlamentari. Lo abbiamo incontrato per conoscere le novità, nazionali e regionali, riguardanti i balneari. Dall’intervista emerge un chiaro attacco verso una visione salernocentrica sul quale starebbe proseguendo la Regione Campania. Ci riserviamo di approfondire ogni questione toccata dal dottor Stellato, particolarmente per le accuse alle Istituzioni menzionate. Di cosa ti occupi e su cosa si sta concentrando il tuo lavoro in difesa dei balneari? «La mia attività è nel settore tributario, sono cultore in materia di diritto tributario all’Università Luigi Vanvitelli, e rappresento i balneari presso la Camera dei Deputati. I balneari hanno tassazioni mostruose e pagano concessioni che non hanno mai avuto una vera determinazione nella realtà. Io sono il fautore, insieme ai balneari, della programmazione statale di questa concessione, la famosa Bolkestein, che è un po’ complessa da applicare perché in Italia dobbiamo interfacciarsi con diversi enti. Quello che si vuole fare, è snellire questa attività fondamentale. Bisogna, inoltre, implementare l’idea della riviera invece di spiagge sconnesse che non godono di importanti benefici. Particolarmente per il territorio di Castel Volturno, ritengo ci sia la necessità di entrare ed incidere nel Masterplan». Quali sono le notizie su questo fronte? «De Luca vuole investire esclusivamente da Salerno ad Acciaroli». Dai balneari che istanze raccogli in risposta a tale azione regionale? «Dai balneari ricevo maggiormente grida di

Ezio Stellato

aiuto! Il problema è che oggi in Regione abbiamo una voce unica che è quella di stanziare fondi esclusivamente da Salerno ad Acciaroli. Non c’è una voce reale, forte e politica, che dica di investire qui. La Regione Campania è praticamente salernocentrica, le altre città sono scomparse. Napoli sta avendo risorse solo grazie a Procida, per attività indirette». Sappiamo che nei nostri territori ad incidere sull’economia dei balneari è anche l’ambiente… «Tutto è legato all’ambiente, i balneari cercano tutti i giorni di lottare con il coltello tra i denti. Tutti gli imprenditori hanno creato i propri broadcast come attività di promozione per le proprie attività, al fine di implementare il turismo e far girare immagini positive delle proprie aree». Il nuovo sindaco di Napoli Gaetano Manfredi in che modo può incidere?

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«È un uomo d’istituzione e politico, non il magistrato di turno o la scelta civica, ma un collegamento diretto con l’attuale Governo e quindi un asse diverso. È un tecnico prestato alla politica, ma una volta entrato ti devi dare alla politica, diversamente il tuo tecnicismo può scontrarsi con altri tecnicismi. Manfredi un giorno voleva che sul lungomare passassero le macchine mentre il giorno seguente ha cambiato idea, dopo le potreste. Quello che ti posso dire è che in questo territorio occorre un po’ di pubblicità politica per attirare dei capitali, le grandi catene, creare una decontribuzione. Una ZES praticamente». Il tuo ruolo in Parlamento in cosa consiste? «Io sono il Trait d’union tra l’istanza ufficiale e il dialogo della politica, in rappresentanza del sindacato dei balneari. L’obiettivo è quello di sensibilizzare i gruppi politici». E curi attività di lobbying... «Alla fine il lobbying è un’attività istituzionale a tutti gli effetti. Solo in Italia, grazie ai 5stelle (ironico n.d.r.), è scomparsa la parola “Registro delle lobby”». Questa “paura” deriva da una gestione malsana del privato? «È solo un problema nostro, perché abbiamo un privato marcio, ma non dobbiamo focalizzarci solo su quello, facendo di tutta l’erba un fascio. La stessa Procura di Santa Maria Capua Vetere sta creando disagi enormi, bloccando intere attività. È proprio il territorio ad esser devastato, i soggetti sono vessati continuamente e questo influenza le scelte imprenditoriali». Esiste un’attività di lobbying sana? «L’attività è tutta sana, siamo noi che non abbiamo la cultura per accettarla. Per parlare col politico non servono le conoscenze, ma esistono gli uffici. La differenza tra me e un cittadino, è che io gli so fornire la bozza o i disegni legge da portare, mi sono specializzato in questo tipo di attività».

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L AVORO

di Clara Gesmundo

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ffriamo a tanti ragazzi la possibilità di avere un futuro» sono queste le parole con cui inizia l’intervista il capitano Rosario Trapanese, direttore generale e cofondatore dell’IMAT (Italian Maritime Accademy Technologies). L’accademia, che si trova nel centro di Pinetamare, si occupa principalmente dell’addestramento in campo marittimo. L’idea di creare una struttura del genere è nata agli inizi degli anni novanta: «La mia formazione, il mio addestramento è avvenuto tra Nord Europa e Stati Uniti, dopo aver studiato in Italia per il diploma nautico. La carriera di bordo mi ha portato, per tredici anni, in giro per il mondo. Questo ha fatto sì che la mia mentalità cambiasse: una lunga esperienza che mi ha lasciato professionalità e competenze diventate le parole d’ordine nel mio lavoro. Nel 2006, grazie al gruppo armatoriale CA. FI.MA. di Napoli (Famiglia Cafiero e Mattioli) che ha creduto da subito nel progetto, diventa realtà la mia idea di creare anche in Italia un polo di eccellenza nella formazione marittima». Per realizzare gli obiettivi preposti, si puntò da subito alle nuove tecnologie applicate alla formazione, filosofia ancora oggi perseguita.

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italian maritime academy technologies: una realtà di pinetamare

L’ultimo arrivato in casa IMAT è uno dei più evoluti simulatori di navigazione al mondo. «Una tecnologia all’avanguardia» – ci spiega Trapanese- «che ci permette di essere dieci anni avanti rispetto alla tecnologia utilizzata dai centri di addestramento europei e trent’anni avanti rispetto a quella utilizzata in Italia». Questo ha permesso all’IMAT di lavorare con ufficiali che provengono da 88 paesi differenti. Ragazzi che hanno il desiderio di formarsi lasciano il loro paese di provenienza come l’Argentina, la Spagna, il Montenegro o la Francia, e vengono qui a Pinetamare, questa è una dimostrazione dell’importanza di questa istituzione.Perché stabilirsi a Castel Volturno? «Qui abbiamo trovato gli spazi necessari ad un grande centro di formazione, un territorio con le caratteristiche che hanno consentito di realizzare anche i cam-

pi di addestramento esterni alla sede. Grandi edifici come questo dove siamo che nelle altre zone partenopee trovi difficilmente». Oltre a piscine con caratteristiche particolari, a piattaforme galleggianti per l’addestramento con le scialuppe di salvataggio, IMAT possiede due strutture per i corsi antincendio al chiuso che rispettano al 100% l’ambiente. Sono infatti riusciti a ricreare un sistema che racchiude tutela dell’ambiente, un’immagine di prestigio a livello internazionale e legalità. «L’immagine di Castel Volturno è in tutto il mondo anche grazie al fatto che noi gestiamo 2000 navi» - continua il direttore- «Abbiamo accordi con le più grandi e prestigiose compagnie di navi da crociera per la formazione dei marittimi e degli ufficiali. La maggior parte dello shipping italiano è stato dislocato su Pinetamare. Ma il mio sogno era che questo territorio diventasse il principale polo per lo shipping a livello nazionale e internazionale». In cosa si formano i ragazzi che

vengono a studiare qui? «Partiamo dal fatto che l’IMAT è una società privata che svolge un servizio pubblico essenziale, noi da soli assorbiamo circa l’80% del fabbisogno nazionale in questo settore. Se ci fermassimo domattina, dopo un mese il 30% delle navi si fermerebbe, poiché non ci sarebbero ricambi di equipaggi. I nostri addestramenti formano figure che vanno dal mozzo al comandante, ufficiali di macchina compresi». All’interno della formazione di sicurezza rientrano anche delle parti pratiche che sono: l’antincendio con fuoco vero, la sopravvivenza in mare, e l’addestramento per i mezzi di salvataggio. L’IMAT possiede due piattaforme galleggianti per tali esercitazioni, queste ultime vengono controllate periodicamente per evitare rischi ai ragazzi. La società addestra in un anno circa 25.000 persone che, oltre a formarsi, inevitabilmente portano benessere all’economia di Pinetamare e dintorni. Ci pare di capire che se l’IMAT lavorasse ancor di più di come fa adesso, porterebbe sicuramente più lavoro e stabilità, purtroppo però, spesso tanti progetti non prendono vita a causa di lunghe trafile burocratiche da dover affrontare. «Investire nel personale e negli impianti innesca una crescita progressiva dell’azienda, a maggior ragione se parliamo del settore marittimo che probabilmente non si fermerà mai, puntare in alto, è questo l’obiettivo!»


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G IUSTIZIA

di Fabio Russo

RIFORMA CARTABIA

IL POMO DELLA DISCORDIA Analisi della nuova riforma della Giustizia, con i pareri del Procuratore Armando Bosso e dell’Avv. Felice Belluomo

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ualunque riforma degli assetti istituzionali precostituiti porta con sé conflitti e dispute dottrinali. La riforma della giustizia negli ultimi anni ha rappresentato il pomo della discordia politica che ha generato tante prese di posizioni preconcette. Anche la nuova maggioranza targata Draghi ha dovuto fare i conti con i diversi orientamenti in tema di giustizia, tanto che la nuova riforma Cartabia non ha accontentato tutti e, probabilmente, non ha risolto i veri nodi che contraddistinguono Il nostro sistema. La verità è sempre nel mezzo verrebbe da dire. Perché le norme introdotte nel sistema soddisfano o meno a seconda della prospettiva, ed a seconda della posizione di colui che le giudica. Gli avvocati - non tutti a dire il vero - dal loro lato accolgono con favore l'introduzione del meccanismo dell'improcedibilità in appello e in Cassazione, in quanto da sempre contrari all'idea del cosiddetto imputato a vita. La magistratura, e anche l'opinione pubblica, diversamente interpretano quella norma come un diverso modo di dichiarare la prescrizione dei reati, anche gravi, con la conseguente impunità di chi li avrebbe commessi. La riforma Cartabia introduce una sorta di prescrizione processuale, l’improcedibilità dell’azione penale, qualora i processi d’Appello e di Cassazione non si concludano rispettivamente nei termini di due e di un anno. L’improcedibilità avrà tempi diversi di applicazione: per i primi 3 anni, cioè fino al 31 dicembre 2024, i termini saranno più lunghi per tutti i processi (3 anni in appello, un anno e mezzo in Cassazione), con possibilità di proroga fino a 4 anni in appello (3+1 proroga) e fino a 2 anni in Cassazione (un anno e 6 mesi + 6 mesi di proroga) per tutti i processi in via ordinaria. Evidente appare nei motivi ispiratori la volontà di ridurre sempre di più l'area del penalmente rilevante, nonché la possibilità di scontare la pena in carcere, se non al cospetto di gravissime condotte, ampliando l'applicazione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi. Ancora una volta emerge l'incapacità di gestire il sistema carcerario italiano e rendere effettiva l'esecuzione di una pena. Il legislatore italiano cerca di ridurre le possibilità di un passaggio carcerario perché di fatto appare incapace di riorganizzare il sistema stesso con nuovi istituti, con l'assunzione di nuovo personale della polizia penitenziaria, con la creazione di percorsi e servizi che rendano il carcere realmente un viatico per la risocializzazione del reo, costituzionalmente prevista. Passando in rapida e sintetica rassegna le di10

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sposizioni della riforma, si apprezza la volontà di ampliare l’ambito applicativo del concordato sui motivi in appello, tramite l’eliminazione di tutte le preclusioni nell’accesso a tale istituto, oppure la previsione che i giudici debbano fissare e comunicare alle parti il calendario organizzativo delle udienze. Ugualmente apprezzabile la previsione che in caso di patteggiamento l’accordo tra imputato e PM si estenda alle pene accessorie e alla confisca facoltativa. Non convince, invece, la modifica della disciplina delle notificazioni all’imputato, prevedendo che solo la prima notificazione, ove egli prenda conoscenza del procedimento a suo carico, e quelle relative alla citazione a giudizio in primo grado e in sede di impugnazione, dovranno essere effettuate di persona all’imputato. La fretta di ridurre i tempi processuali, in questo caso, rischia di mortificare i diritti degli imputati. Ugualmente poco chiara, e forse foriera di qualche disguido, la possibilità di applicare un'ulteriore riduzione di 1/6 in caso di scelta del rito abbreviato. Ci si domanda, in particolare, chi dovrà applicarlo, il giudice di merito o quello dell'esecuzione? Come saranno gestiti i fascicoli in attesa della scelta dell'imputato? I decreti attuativi, si spera, daranno risposta ai tanti interrogativi posti. Nel frattempo riceviamo le opinioni di operatori del settore che, da prospettive diverse, ci consentono di arricchire il confronto sui temi della riforma: il dottor. Armando Bosso, Sostituto Procuratore presso la Procura di Santa Maria Capua Vetere e l'Avv. Felice Belluomo presidente della camera penale di Napoli Nord

il parere del Dott. armando Bosso «Non sempre ciò che viene dopo è progresso”, scriveva Alessandro Manzoni in un saggio pubblicato nel 1830 dedicato al romanzo storico. Ed è proprio dall’attualissimo monito manzoniano che partirei nel commentare in sintesi il testo della riforma Cartabia; riforma preannunciata dai più come la panacea di tutti i mali del processo penale e che, tuttavia, presenta a conti fatti non poche criticità. Luci e ombre, ma a prevalere sono le seconde. Una prima riflessione: è indubitabile che lo spirito che pure astrattamente ha ispirato il Parlamento nell’approvazione del testo normativo in questione, non possa non essere valutato con favore dagli operatori del diritto. La salvaguardia della ragionevole durata del processo e l’esigenza di garantire l’efficienza del processo penale rappresentano infatti due (nobili) pilastri su cui poggia l’impianto della riforma. E,

tuttavia, il pur condivisibile spirito della legge rischia di diventare sterile proclama se la sua affermazione non è poi accompagnata dall’adozione di provvedimenti realmente utili e razionali. Con ciò non intendo certo censurare in toto l’impianto della normativa, che anzi - a mio giudizio - presenta alcuni profili degni di condivisione trasversale. Penso, soltanto a titolo ad esempio, alla scelta del Parlamento di semplificare le procedure di notifica, così come di valorizzare in ottica deflattiva i procedimenti speciali (incentivando ad esempio il ricorso da parte dell’imputato al rito abbreviato). O, ancora, alla scelta di delegare il Governo all’adozione di provvedimenti finalizzati a potenziare la procedibilità a querela e l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto (che stenta a decollare in alcuni Tribunali e Uffici di Procura). Penso inoltre alla volontà di dare impulso alla digitalizzazione del processo penale (in virtù di quanto sperimentato durante la fase della pandemia), delegando il governo a prevedere la possibilità della registrazione audiovisiva per documentare l’interrogatorio o l’assunzione di informazioni, così come di individuare i casi in cui, con il consenso delle parti, la partecipazione all’atto del procedimento o all’udienza possa avvenire a distanza. Sebbene l’oralità del processo vada infatti salvaguardata, costituendo un irrinunciabile pilastro del nostro sistema processuale, è tuttavia indubitabile che in alcuni casi il dibattimento potrebbe viaggiare più speditamente qualora si consentisse l’escussione del testimone in videoconferenza (penso all’escussione dei testi di PG chiamati a deporre sul contenuto di vecchie annotazioni di servizio). E, tuttavia, per diversi altri aspetti la riforma rappresenta un’occasione persa. Soltanto a titolo d’esempio: è sotto gli occhi di tutti il dramma che vivono nei Tribunali penali i Giudici Monocratici, sommersi da ruoli ipertrofici, ingolfati da procedimenti iscritti per reati bagatellari (spesso di natura contravvenzionale), destinati per lo più a prescriversi. Ecco, quindi, che a mio giudizio bene avrebbe fatto il legislatore ad avviare un serio programma di depenalizzazione; e ciò non soltanto al fine di deflazionare il carico di lavoro dei magistrati, ma prima ancora al fine di garantire una tutela effettiva alle vittime. E arriviamo alle criticità più evidenti che presenta il testo normativo in commento. Anzitutto, non poche perplessità pone a mio avviso quanto stabilito dalla legge nella parte in cui si delega il Governo a “prevedere che gli uffici del pubblico ministero (…) nell’ambito dei criteri generali indicati con legge del Parlamento, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare


primis. È facile immaginare che l’improcedibilità introdotta dalla riforma in commento non finirà per velocizzare i processi, salvaguardandone la ragionevole durata, ma semmai agirà come una “ghigliottina” in Appello, producendo quale effetto principale quello di contribuire all’aumento della proposizione di impugnazioni strumentali, con conseguente ulteriore aggravio per Marta Cartabia, Ministra della Giustizia gli uffici giudiziari, a discapito dell’esile notizie di reato da trattare con precedenza genza di rispondere al bisogno di tutela delle rispetto alle altre, tenendo conto anche del nupersone offese (specie in assenza della previmero degli affari da trattare e dell’utilizzo effisione di necessari contrappesi come l’aboliziociente delle risorse disponibili (…)”. La riforma ne del divieto di reformatio in peius). Come già in buona sostanza finisce per demandare in tal sostenuto da diversi colleghi e autori, la spemodo ai Procuratori della Repubblica (attraverditezza e l’efficienza dei processi penali non so la predisposizione dei programmi organizpotrà che essere garantita soltanto mediante zativi) il compito di stabilire quali reati dovranl’introduzione di provvedimenti normativi realno essere perseguiti in via prioritaria e quali mente utili e adeguati a supportare in concreto no: ciò contribuirà a delineare quella che alcuni il lavoro dei magistrati. E certamente in tal senautori hanno già definito una giustizia penale so ritenere che il nuovo ufficio per il processo “a geografia variabile”. Passando velocemente in sarà in grado di risollevare le sorti dei Tribunali rassegna le ulteriori novità introdotte dalla legitaliani rappresenta una pia illusione, in assenge in commento, colpisce ancora l’inserimenza di un preliminare, serio rafforzamento degli to della fattispecie di cui all’art. 387 bis cp (che organici della magistratura e del personale di sanziona chi violi le misure cautelari dell’alloncancelleria. Insomma, in definitiva, si poteva tanamento dalla casa familiare e del divieto di fare di più, ma prima ancora si poteva fare (ceravvicinamento alla persona offesa) nel catalogo tamente) meglio». dei reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. E tuttavia, il difetto di coordinamento di tale disposizione con le norme del codice di procedura penale che disciplinano le condizioni di applicabilità delle misure cautelari personali, imporrà al magistrato di turno «È una riforma costituzionalmente orientata e di disporre l’immediata liberazione dell’arrestanon poteva essere diversamente vista l’autoreto. Si tratta di un clamoroso paradosso (o forse volezza del Ministro già Presidente della Corte di un pericoloso slogan) inidoneo - in assenza Costituzionale. dell’adozione di necessari correttivi - a garanLa logica che sembra ispirare la riforma è quella tire una tutela effettiva alle vittime vulnerabidi avere un processo entro tempi brevi nell’inli. Ma è indubitabile che il vero punctum doteresse di ogni cittadino, valorizzando la prelens dell’impianto normativo sia rappresentato sunzione di innocenza ultimamente sovvertita dall’introduzione dell’istituto della improcedida una presunzione di colpevolezza e rilancianbilità, quello che - secondo Nicola Gratteri do un modello rieducativo della pena troppe rappresenta il peccato originale della riforma volte confusa e frapposta, negli ultimi anni, ad Cartabia. In buona sostanza, al fine di evitare una univoca visione carcerocentrica con finache dopo la pronuncia di primo grado il prolità punitiva. cesso penda sine die presso le Corti d’Appello, Per quanto riguarda l'istituto della prescriziola riforma introduce una causa di improcedibine, con la riforma Cartabia viene confermato il lità del giudizio (rinunciabile dall’imputato, ecblocco della stessa dopo la sentenza di primo cettuata e prorogabile in alcuni casi peculiari), grado sia in caso di condanna che in caso di asin virtù della quale la mancata definizione del soluzione ma si stabilisce una durata massima giudizio di appello entro il termine di due anni di 2 anni per i processi di Appello ed di 1 anno e del giudizio di Cassazione entro un anno imper quello di Cassazione con l’ulteriore possiporrà l’emissione di una sentenza di non doversi bilità di proroga di 1 anno in appello e di 6 mesi procedere. Invero, è di tutta evidenza che la fisin Cassazione per processi complessi relativi a sazione di un limite astratto alla durata del proreati più gravi essendo sempre esclusi i reati cesso, è destinata a scontrarsi inevitabilmente imprescrittibili cioè quelli puniti con la pena con le strutturali criticità organizzative degli dell’ergastolo. Come è stato osservato anche uffici giudiziari e con il drammatico problema da autorevole dottrina, più che di prescriziodei carichi di lavoro di alcune Corti d’Appello in

il parere dell' AVV. Felice Belluomo

ne sostanziale viene istituita una prescrizione processuale, una sorta cioè di improcedibilità dell’azione penale. Plaudo alla necessità di ribadire la scansione dei tempi certi di un processo penale che invece la prescrizione “Bonafede” aveva proiettato in una dimensione infinita e senza tempo. Qualche perplessità potrebbe sorgere per la commistione degli istituti, io personalmente sarei stato per un ritorno tout court ad una prescrizione sostanziale come causa estintiva del reato. Finalmente si affronta il tema della obbligatorietà della azione penale previsto dall’art.102 della Costituzione. Dico finalmente perché per troppi anni è stato lo scudo, il feticcio per fronteggiare ogni ipotesi non dico di cambiamento ma di confronto da parte di una certa Magistratura sia sul tema della separazione delle carriere sia sulle inefficienze del sistema Giustizia dimenticando che è stata una delle norme più violate o disapplicate. Sono favorevole, pertanto, affinché vi siano dei criteri generali di priorità che vengano indicati con legge dal Parlamento più che essere rimessi ai singoli uffici di procura e soprattutto che l’iscrizione nel registro degli indagati non determini effetti pregiudizievoli sul piano civile ed amministrativo, quasi a voler ribadire il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. La logica della riforma è evidentemente quella di diminuire il numero dei processi ed i tempi di quelli che si celebreranno con un potenziamento di alcuni istituti quale quello della particolare tenuità del fatto (art.131 bis c.p.p.) e della messa alla prova (art.168 bis c.p.p) con reati puniti fino ad una pena di anni 6, con il potenziamento dei riti alternativi aumentandone la portata negoziale sia per il patteggiamento sia per il rito abbreviato (con una riduzione di 1/6 ulteriore in caso di mancata proposizione della impugnazione dell’imputato). Si aumentano le ipotesi di reato a citazione diretta, residuando l’udienza preliminare ai soli reati di particolare gravità. Metodologicamente quest’ultima scelta legislativa prende atto del fallimento della udienza preliminare. Il Governo si impegna a riformare organicamente la Legge delle c.d pene detentive brevi (L.689/81) prevedendo l’applicazione di pene sostitutive del lavoro di pubblica utilità e di alcune misure alternative alla detenzione già nella fase di cognizione e non rimesse alla sola competenza in fase esecutiva del Tribunale di Sorveglianza. Un processo penale improntato ad una giustizia riparativa nel rispetto della direttiva europea (2012/29 UE) con l’elaborazione di programmi risarcitori su base volontaria e con il consenso informato della persona offesa. Un modello sanzionatorio teso a valorizzare cioè il dettato costituzionale dell’art. 27 Cost. in cui si deve sempre tendere alla rieducazione del condannato anche attraverso percorsi risocializzanti con le vittime del reato. Attenzione però, come ho detto anche in occasione del Congresso Nazionale Forense, stiamo attenti con occhio critico a non prendere tutto per buono. Noi avvocati dobbiamo essere sentinelle vigili. Se la riforma Bonafede era il virus, come ha detto qualcuno, e la riforma Cartabia è il vaccino, noi dovremmo essere la terza dose. Quindi sentinelle vigili rispetto al tema delle garanzie». Novembre 2021

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M AFIE

di Fabio De Rienzo

Giovani affascinati dai baby boss Così la camorra mangia Napoli e Provincia

«L

a mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.» - lo diceva il magistrato Giovanni Falcone eppure, nonostante l’indiscutibile verità legata alle affermazioni del giudice ammazzato nella strage di Capaci, quella fine sembra ancora essere molto lontana, e le mafie continuano a proliferare controllando la vita sociale, economica e politica di tutto lo Stivale. Sono ancora davanti agli occhi di tuti le immagini della rapina avvenuta la sera del 9 ottobre, nella pizzeria "Un posto al sole" di Casavatore, al confine col quartiere Secondigliano nel napoletano, dove due uomini dal volto coperto, dopo aver fatto irruzione armati di un fucile a pompa e di un kalashnikov, hanno tenuto sotto scacco i clienti del locale non avendo alcuna remora a puntare una della armi al volto di un uomo (presente a pochi centimetri il figlio, un bambino) per farsi consegnare un Rolex. Delle armi da guerra, che da sole potrebbero “costare” un paio di decenni dietro le sbarre, sembrano essere un arsenale spropositato per portare via un paio di orologi e qualche gioiello, tant’è che al vaglio degli investigatori l’ipotesi più accreditata sembra essere quella di una missione di morte (non andata a buon fine) travestita da rapina. Ad Afragola, invece, i commercianti continuano a subire le incessanti pressioni del racket. Nella serata del 12 ottobre alcuni sconosciuti, in perfetto modus operandi camorristico, hanno fatto esplodere un potente ordigno piazzato nei pressi del negozio Eni Energy, al corso Vittorio Emanuele, provocando ingenti danni non solo al negozio

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sosta linfa dalla popolazione imprenditoriale e dei piccoli commercianti, e seminando morte, terrore e sangue con le loro guerre intestine. Uno scenario molto simile quello degli anni ‘80 quando la NCO di Cutolo tentava di costruire un nuovo sistema criminale in Campania e veniva contrastata dalla Nuova Famiglia. Quel che ora preoccupa maggiormente (o per lo meno così dovrebbe essere) è che i clan hanno già da tempo compiuto il salto dai rioni, dai vicoli al Globo. Sono almeno 20 vent’anni che la camorra si è organizzata ed è evoluta in un sistema criminale imprenditoriale che riesce ad infilare i propri tentacoli ben oltre i confini delle proprie aree di appartenenza, ma oggi, grazie al web e alla crescita esponenziale dell’utilizzo dei social network, le conquiste non sono più soltanto geografiche ed economiche ma anche mentali, sociali e culturali. Sui social (e non solo) aumentano gli adepti, i simpatizzanti e i cultori di camorristi e criminali. È il caso ad esempio di Emanuele Sibillo, Fotogramma dalla rapina di Casavatore Es17, che fu baby boss di Forcella che, nonostante quel che resta del preso di mira, ma anche ad un altro esercizio clan da lui messo su, dopo lo smantellamento commerciale adiacente e anche all’ingresso di dello stesso e la rimozione della cappella votiva un portone. a lui dedicata, continua ad essere venerato ed Mentre sull’Area Nord di Napoli si vagliano ipoomaggiato con video, immagini e frasi straptesi, nella periferia orientale della città è certa palacrime. Situazione non dissimile accade nei la guerra tra clan. A Ponticelli infatti è in corso confronti dei “Barbudos”, i giovanissimi camoruna faida tra a i De Micco e i De Luca Bossa risti che dal Rione Sanità, una volta scacciati dai per il controllo del racket. Lo scontro tra i due rivali, si sono insediati a Ponticelli, contribuenclan si era fatto già sentire pesantemente la do alle guerre per il controllo dell’Area Nord. I scorsa estate con la strategia delle bombe, una Barbudos con i social hanno costruito la loro delle quali aveva ferito una mamma e suo figlio “forza” facendo propaganda ed imponendo la 14enne (non legati ai clan). Ora la situazione è loro “immagine”, la loro supremazia ed il loro diventata ancora più delicata con l’uccisione stile di vita. Le barbe lunghe e folte in pieno stile del 23enne Carmine D'Onofrio in un agguato lo Mujaheddin, che ricorre anche nel modus opescorso 5 ottobre mentre era in strada assieme randi degli agguati, e lo stile di vita e lo sfoggio alla propria compagnia incinta. D’Onofrio era di danaro e sfarzo, scimmiottando la mentalità il figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, da narcos messicani, sono diventati un modello a sua volta fratello di Antonio De Luca Bossa, che molti giovani hanno cominciato a seguire. detto "Tonino 'o sicco", elemento di vertice La camorra è uscita dai bassi e dalle case podell'omonimo clan di camorra operante a Ponpolari ed è entrata nella testa delle persone. O ticelli, e uno dei più pericolosi personaggi della si interviene sradicando la cultura camorristica camorra napoletana. Il fenomeno camorristico, oppure si attende, sperando, che una volta ragquindi, non solo sembra essere ben lontano dal giunto il picco massimo della propria esistenza, volgere al capolinea ma continua ad investire il fenomeno della camorra cominci a scemare violentemente il territorio controllandone ed raggiungendo il minimo storico per poi sparire. indirizzandone l’economia, succhiando senza Ma quanto ancora ci vorrà?


M AFIE

“Più gentili e solidali” di Vittoria Serino

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o scorso mese di settembre è stata presentata la relazione al Parlamento della Direzione investigativa antimafia (DIA), relativa al semestre luglio-dicembre 2020. Nel documento si evidenzia innanzitutto la metamorfosi evolutiva delle dinamiche operative della criminalità organizzate, le quali non si avvalgono più dei tradizionali sistemi di violenza, ricatto ed omertà, bensì ricorrono al metodo “solidaristico”. Nel report della DIA è infatti emerso che le ingenti risorse liquide illecitamente acquisite vengono “offerte” per “aiutare” privati e aziende in difficoltà al fine di rilevare o asservire le imprese in crisi finanziaria, ottenendo così il duplice effetto di incrementare, indirettamente, il consenso sociale e, contestualmente, ipertrofizzare l’ostacolo granitico al diffondersi della cultura della legalità. Un’infiltrazione criminale efficacemente descritta nel documento come “silente”. La rinnovata strategia mafiosa si rivela poi particolarmente utile per il riciclaggio e per l’infiltrazione nei pubblici appalti. Più chiaramente il fenomeno della “silente infiltrazione” del sistema imprenditoriale, peraltro effetto collaterale del perdurare dell’emergenza sanitaria da COVID-19 e delle connesse severe misure rese necessarie per contenere l’espandersi del contagio, è stato in tali termini spiegato dal Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho: «La modernizzazione delle mafie si completa nel reinvestire capitali in soggetti economici deboli; in quei soggetti che non trovano più un accesso al credito bancario per la crisi. Le mafie non hanno bisogno di firmare atti, non hanno bisogno di documenti; al contrario occultano comportamenti illeciti con lo schermo di soggetti solo apparentemente sani, entrando così nel mercato dell’economia legale. Questo è veramente preoccupante. A tutto questo si risponde con le segnalazioni dal territorio, dalle stesse associazioni di categoria, con la segnalazione delle transa-

Il nuovo volto della criminalità organizzata nel report della DIA

zioni sospette». In effetti, da sempre, la storia criminale della camorra è stata caratterizzata da un “andamento carsico” (Sales, 1988): «sembra scomparire nei periodi di forte repressione, per riapparire, più forte e determinata nelle fasi di debolezza delle istituzioni e di crisi economica. La visibilità dell’organizzazione sembra essere un indicatore negativo dello stato di sviluppo di un sistema sociale». Ed è vero che negli studi di indagine del fenomeno del crimine organizzato costantemente emerge una corrispondenza positiva fra la permeabilità criminale e il manifestarsi di crisi economico-finanziarie nazionali e internazionali. In realtà, si tratta di un circolo vizioso poiché, come ancora osservato dal Procuratore De Raho, il flusso è biunivoco, cioè sono anche le mafie a ingenerare l’arretratezza socio-economica, tanto che «quando le mafie hanno cominciato a prendere il sopravvento e manovrare elementi della società e dell’economia, una parte del Paese si è fermata e si è arretrata». Ora il rischio è che queste mafie infiltrino e contaminino anche l’altra parte. Per quel che attiene specificamente la camorra, appare in linea con i risultati della ricerca la capacità delle consorterie criminali campane di strumentalizzare a proprio vantaggio le gravi situa-

zioni di disagio. Le prestazioni previdenziali verso famiglie e imprese in crisi costituiscono infatti, per i clan, un’occasione di potenziamento del proprio controllo del territorio. Ma connesso alla crisi finanziaria è anche il rischio ulteriore, denunciato dal Procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Melillo, che la multiforme dimensione imprenditoriale delle principali organizzazioni camorristiche renda la crisi sanitaria ed economica un’opportunità per la diversificazione dei propri affari, in particolare nei nuovi settori economici strettamente connessi con il fenomeno pandemico, ma soprattutto un veicolo fisiologico per l’accesso ai finanziamenti pubblici stanziati per consentire il sostegno proprio a quelle stesse imprese in difficoltà. I clan campani pur essendo connotati in genere da una forte “interpenetrazione” con il tessuto sociale in cui si inquadrano, sono particolarmente abili a rimodulare di volta in volta gli oscillanti rapporti di conflittualità, non belligeranza e alleanza in funzione di contingenti strategie volte a massimizzare i propri profitti fino ad arrivare, per i sodalizi più evoluti, alla costituzione di veri e propri cartelli e holding criminali. Di qui anche il contenimento, in linea di massima, del numero degli omicidi di matrice camorristica il più delle volte ormai paradossal-

mente ascrivibili proprio a politiche di “prevenzione” e/o logiche di epurazione interna, finalizzate a preservare gli equilibri complessivi e a controllare ogni spinta centrifuga. Segno evidente della creativa teatralità criminale sono i numerosi altarini e murales che più che forme folcloristiche di devozione verso figure emblematiche degli ambienti del crimine, rappresentano veri e propri atti di sfida contro lo Stato. Continua, infine, a trovare riscontro su più fronti l’ingerenza delle consorterie criminali nel mondo politico-amministrativo dell’intera Regione. Sono passati più di trent’anni da quando si scriveva a proposito delle organizzazioni criminali: «Certo è che, secondo gli investigatori, Gionta, con l’apertura del negozio, cercava di inserirsi in maniera diretta e massiccia nel commercio. Probabilmente dietro le quinte il boss della N.F. controlla ancora altri negozi nei quali non compare direttamente ma con dei prestanome» (“Osservatorio sulla Camorra” n. 4, 1985 - La camorra a Torre Annunziata). Con queste parole un aspirante e arguto giornalista, Giancarlo Siani, già tenacemente rivelava le strategie del metodo mafioso, con la speranza di accendere forse un potente motore, quello del cambiamento.

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D IRITTI

di Pasquale Scialla

UN PROGETTO DA SALVARE

Il centro LGBTQ+ del Mediterraneo a Castel Volturno

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el 2018 le principali testate giornalistiche nazionali accolsero con entusiasmo la nascita a Castel Volturno del primo progetto di housing destinato a persone appartenenti alla comunità LGBTQ+. Tuttavia, l’iniziativa dell’Arcigay di Caserta non è stata mai realmente avviata e la struttura versa ancora in condizioni precarie. A tal proposito Bernardo Diana, responsabile dell’associazione, ci ha illustrato il quadro della situazione Quando vi è stato assegnato questo bene confiscato? «Partecipammo all’avviso pubblico del Comune di Castel Volturno sotto l’amministrazione Dimitri Russo, che promosse la riqualificazione del Parco Faber, composto da 15 locali confiscate. L’Arcigay di Caserta propose un progetto di housing sociale per persone LGBTQ+ in difficoltà abitativa ed economica, e ricevemmo il locale il 6/12/2018». Qual è la causa della precarietà di queste unità abitative? «Questi immobili confiscati sono stati gestiti prima dal Tribunale, poi dall’Amministrazione Nazionale dei Beni Confiscati e, infine, dal Comune di Castel Volturno. Da ciò ne consegue l’abbandono trentennale di questi locali, i quali richiedono dei lavori di manutenzione dai costi elevati. Quando ci fu assegnato il progetto, in maniera ingenua, affermammo di poter provvedere alla ristrutturazione attraverso fondazioni bancarie e bandi, come “Giovani per i beni pubblici”, “Fondazioni per il Sud”, oltre al Bonus 110%. Inoltre, più volte ho fatto presente che tutti i beni assegnati nel Parco Faber sono inutilizzabili, poiché i costi di ristrutturazione sono inaccessibili per fondazioni del terzo settore». Quali attività sono state organizzate nella villa? «Nel 2019 abbiamo organizzato dei campi estivi, sia autonomamente che con Libera, mentre

l’ultimo progetto è stato il Festival dell’Impegno Civile lo scorso anno, per sollecitare l’apertura dei beni confiscati. Durante la pandemia, invece, abbiamo avuto dei problemi idraulici che causarono l’allagamento del piano inferiore dell’immobile. Prima del danno idraulico potevamo ancora far fronte ai lavori di ristrutturazione ma, ad oggi, sono necessari circa 200-300mila euro, una cifra insostenibile dall’ArciGay, che vanta un patrimonio di soli 10mila euro». Avete provato a far fronte a tali problematiche con il Comune? «Nel frattempo c’è stato il cambio di amministrazione con l’ingresso del sindaco Luigi Petrella, più volte invitato al Parco Faber per trovare eventuali soluzioni, ma che ha sempre

Supermercato F.lli Quadrano

declinato. A questo punto, chiedemmo all’Ufficio Beni Confiscati del Comune di tenere in considerazione la nostra struttura per il Bando della Regione Campania, ma il Comune ci rispose che non era interessato ad utilizzare questi bandi per locali già assegnati. Sono deluso dal fatto che non riusciamo a creare un dialogo costruttivo con l’amministrazione comunale». La città di Castel Volturno partecipa attivamente alle vostre proposte? Quanti ragazzi avete ospitato? «Nessun castellano si è mai interessato al nostro progetto o alla struttura, infatti non contiamo nessun iscritto di questa città. Nel 2018 ospitammo sei persone, ma non qui, bensì in una struttura alberghiera a nostre spese. Durante gli anni, invece, abbiamo avuto richieste da tutt’Italia per il nostro progetto di housing ma, data la condizione della struttura, le abbiamo dovute declinare. Ovviamente, mi sembra chiaro che il progetto di accoglienza non partirà a breve e non sappiamo quantificare se e quando». Quali sono i vostri progetti futuri? «L’Arcigay ha predisposto l’utilizzo dell’immobile al Servizio Civile a gennaio del 2022, ma che non potrà svolgersi se la struttura è inagibile. Più volte abbiamo chiesto al Comune di svolgere dei sopralluoghi per verificare l’agibilità del luogo, ma non abbiamo mai ricevuto risposta. Inoltre, è di oggi la notizia che abbiamo vinto il bando Creative Living Lab da 50mila euro, con cui realizzeremo un cineforum galleggiante sul lago Allocca composto da 10 barchette e un maxischermo sul balcone del Centro. Ad oggi, stiamo tentando di raccogliere fondi e organizzare attività per tenere in vita questo luogo, ci stiamo provando davvero. Ma se dovessimo continuare a vedere continui rifiuti, saremo costretti a consegnare le chiavi».

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A TTUALITÀ

di Giorgia Scognamiglio

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Dalla Nigeria a Castel Volturno:

non si ferma la tratta delle donne

ungo i 49 km della Domitiana il tempo trascorre in maniera bizzarra, con le macchine che sfrecciano veloci e le attese infinite, lungo i marciapiedi, di un esercito anonimo di corpi. Ognuno con una sua storia, ma tutti figli di una piaga sociale di proporzioni globali. In uno spazio che lo Stato ancora non riesce a controllare e che è tutto il contrario di quello che avrebbe potuto e dovuto essere. Qui, la commistione tra mafia locale (quella dei casalesi) e mafia nigeriana ha messo in piedi l’hub principale della tratta delle donne, con la stessa velocità con cui il territorio si è riempito di rifiuti e di cemento abusivo. Un traffico che va avanti da anni, ininterrotto e incontrastato. Blessing Okoedion conosce bene meccanismi complessi e perversi della tratta. Vive a Caserta e cinque anni fa ha scelto di diventare una mediatrice culturale. Nata in un villaggio nella regione di Edo in Nigeria, è arrivata in Italia dopo essere stata adescata a Benin City, dove portava avanti un’attività di riparazione e vendita di computer. Con la promessa di un buon lavoro in Spagna, si è ritrovata a Castel Volturno. «Appena arrivata mi hanno detto che avrei dovuto pagare un debito di 65 mila euro, e che per farlo dovevo prostituirmi. Dopo tanti sacrifici, invece di lavorare e prendere uno stipendio, sarei dovuta finire per strada». Le testimonianze sono tutte simili tra loro: l’adescamento, il viaggio verso le coste libiche, la traversata del Mediterraneo sui “barconi”, fino all’approdo sulla Domitiana, con la rivelazione dell’inganno e il ricatto. «Tutto ciò che sapevo di quelle ragazze è che avevano viaggiato in Europa per prostituirsi. Abbiamo sempre dato la colpa a loro, credendo volessero fare soldi nel modo più semplice e rapido possibile. In realtà bisogna distinguere la tratta dalla prostituzione, cosa che molti non fanno: la maggior parte delle donne sulla strada sono lì perché vengono ingannate e sfruttate».

Le vittime sono prevalentemente nigeriane. Molte sono solo bambine. L’origine del legame con la Nigeria lo si può ritrovare nell’86, «quando è iniziata la migrazione delle donne nigeriane per lavoro nelle campagne di pomodoro. Poi dalla raccolta del pomodoro si è passati in fretta alla vendita del corpo». Da non trascurare, neppure «la violenza sulle donne in Nigeria e certe pratiche culturali che le rendono vulnerabili, povere, e quindi più facili vittime dei trafficanti». Ma la questione della tratta non può essere racchiusa in una nazionalità o in un territorio. «È un fenomeno globale, in grado di attraversare tutto, l’età, la geografia, la cultura». Soprattutto è un fenomeno sommerso, invisibile, perché troppo poco denunciato dalle vittime. Spesso la paura di ritorsioni fisiche, legali o spirituali le intrappola nel silenzio. Specialmente quando di mezzo c’è la tecnica dei riti vudù, utilizzati dagli sfruttatori per vincolare le vittime alla schiavitù e evitare ribellioni. Sono tante le associazioni sul territorio che tentano ogni giorno di togliere dalla strada le donne vittime di tratta, restituendogli libertà, speranza e dignità. Ma la tratta «va affrontata politicamente, non possono occuparsene solo le associazioni». Anche perché passano le stagioni, passano le epidemie, le strade invecchiano, ma la tratta delle schiave del sesso è sempre lì, che si evolve e si fortifica. Infatti, intercettare le ra-

gazze è sempre più complicato. «La pandemia ha cambiato profondamente il fenomeno della tratta, che si è spostato dalla strada nelle case chiuse: appartamenti privati in cui è davvero difficile accedervi. Questo non solo ha rinchiuso ancora di più le vittime nell’invisibilità, ma ha aumentato lo sfruttamento della prostituzione, perché è più facile farlo di nascosto». Le notizie circolano poco, quello che accade nella provincia casertana è ormai parte di una normalità che tutti, almeno in parte, conoscono, ma preferiscono non vedere. I cittadini, che si limitano a lanciare dal finestrino uno sguardo fugace o un’espressione di disprezzo. Le istituzioni, che da anni faticano (ma nemmeno troppo) a trovare una risposta efficace. «Serve educare e sensibilizzare la popolazione. Far conoscere il fenomeno il più possibile, ma anche educare al rispetto dell’altro, a considerare l’altra persona come un essere umano».

Blessing Okoedion

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A TTUALITÀ

di Pasquale Scialla

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Monica Rispoli

efficienza e sostenibilità alla guida dello stabilimento Coca-Cola di Marcianise

allo scorso giugno lo stabilimento Coca-Cola di Marcianise, uno dei centri industriali più importanti del meridione, è diretto da Monica Rispoli. Laureata in Ingegneria, dopo varie esperienze lavorative, è riuscita a raggiungere i vertici dell’azienda in giovane età. Il suo è un esempio concreto di quanto il gender gap, nonostante sia un fenomeno ancora da combattere, si stia riducendo progressivamente. Da qualche mese la sua vita è legata ad uno dei più importanti stabilimenti del centro-sud. Qual è stato il suo apporto al progetto? «Lo Stabilimento di Marcianise è uno stabilimento che produce, già da molti anni, grazie a un team di professionisti consolidati. In questi primi quattro mesi abbiamo raggiunto risultati importanti di produzione, senza dimenticarci della sostenibilità del nostro territorio». Parlare di gender equality è sempre fondamentale, soprattutto quando donne del suo calibro raggiungono ruoli dirigenziali così importanti. Le aziende italiane si stanno evolvendo per abbattere queste barriere? «Il gender gap è un tema ancora molto attuale in Italia ma, da qualche anno, le aziende hanno fatto dei passi in avanti. Nel caso di Coca-Cola HBC Italia, ad oggi, il 44% di donne nella nostra azienda ricoprono posizioni di top management rispetto alla media italiana del 17%, il 36% di donne ricoprono posizioni di middle management, rispetto alla media italiana del 29% e vogliamo raggiungere il 50% di donne in posizioni manageriali entro il 2025. Nel mio caso, sono onorata di essere la prima donna a guidare uno stabilimento di Coca-Cola HBC Italia. La tematica, però, si complica perché il

STUDIO LEGALE RUSSO

vinate da comportamenti incivili, la loro adesione è la prova di quanto la sostenibilità sia realmente un valore aziendale in cui crediamo». La Coca-Cola di Marcianise come si sta muovendo per garantire dei metodi più ecosostenibili? «Negli ultimi anni a Marcianise sono stati investiti oltre 50 milioni di euro in innovazione con impatto sulla sostenibilità. Dalla riduzione della materia prima negli imballaggi primari e secondari, tra cui le recenti introduzioni di KeelClip™ - l’innovativa confezione in carta 100% riciclabile – e le prime bottiglie con il 100% di plastica riciclata (rPET), Monica Rispoli all’ottimizzazione dei flussi logistici, con un risparmio pari a 34,5 tonnellagap sembra diventare ancora più grande quante di CO2, fino alla gestione consapevole delle do si parla di STEM, ovvero di carriere in ambiti risorse, con il -10% di acqua utilizzata per protecnico-scientifici. Anche per questo abbiamo durre le bevande negli ultimi 10 anni. Queste voluto fortemente supportare progetti come sono solo alcune delle iniziative che hanno reso “Girls in Stem”, insieme a Junior Achievement, questo stabilimento un esempio di innovazione perché ci permettono di combattere gli stereindustriale e sostenibilità ambientale. Contiotipi di genere che allontanano le ragazze da nueremo ad investire in sostenibilità e lavoriaquesti percorsi di studio e dalle competenze mo per la definizione di strategie globali, come richieste per svolgere ruoli di questo tipo». Net Zero By 40, il nostro nuovo programma con Negli ultimi giorni ha sospeso i lavori per un cui ci impegniamo a raggiungere zero emisgiorno per ripulire le spiagge del litorale dosioni nette entro il 2040». mizio. Gli operai come hanno reagito alla proMarcianise si trova nel cuore nevralgico della posta? Terra dei Fuochi. Organizzerete altre iniziati«Da anni, come azienda, stiamo investendo ve per sensibilizzare sulla situazione del terper rendere sempre più concreto il concetritorio? to di economia circolare lavorando su tutti gli «Sicuramente sì! Ci sentiamo parte di questa aspetti del business. Bloccare la produzione terra essendo qui da ormai tantissimi anni, e è stato un gesto simbolico per sottolineare vogliamo fare la nostra parte supportando proquanto questa tema ci stia realmente a cuore. getti, prima di tutto ambientali, ma non solo. Sono molto contenta che cento colleghi abbiaPer farle qualche esempio, da anni supportiano desiderato prendere parte alla giornata di mo la palestra “Star Judo Club”, un presidio fonvolontariato aziendale per pulire le spiagge rodamentale per i giovani di Scampia».

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T ERRITORIO

di Nicola Iannotta

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Un cammino che incoraggia alla vita

nei passi di Michele, la speranza di 9000 persone

enacia, passione e tanta voglia di sentirsi in vita. Di questi tesori Michele riempie all’alba, quando il sole restituisce colore alle sue meraviglie, il suo zaino da trekking, prima di cominciare un nuovo cammino che lo porterà chissà dove. Dopo aver vissuto un’adolescenza complicata da una malattia corrosiva, Michele ha deciso di farsi pellegrino e di ringraziare la possibilità di una rifioritura (ottenuta dopo un trapianto di reni) esplorando, scoprendo e facendosi divulgatore delle bellezze paesaggistiche del nostro territorio. Michele e il gruppo Trekking Castel Morrone, di cui è guida insieme ad Emilia Genzano, fanno parte dell’associazione Casa Betania Anspi. L’associazione nasce dall’amore per l’avventura e per il territorio casertano e si propone di curare e valorizzare i percorsi naturalistici dei famosi colli Tifatini. Michele ed Emilia hanno concluso da poco un percorso che li ha portati in giro per l’Italia, da Imer (TN) fino a Faicchio (BN), ben 1250 km percorsi a piedi. Con il loro viaggio, i due si erano prefissati un duplice obiettivo: seguire e far conoscere i passi di una Beata, Serafina Clotilde Micheli, e sensibilizzare i pazienti in procinto di ricevere un trapianto (così come lo era stato Michele) ad affrontare la sfida con maggior leggerezza, senza paura, ma guardando alla gioia di ritornare presto a vivere. Tagliare il traguardo è stato faticoso e impegnativo: una vittoria simbolica non soltanto per

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le due guide ma anche per tutti coloro che hanno seguito e sostenuto ogni loro spostamento. Nei giorni del pellegrinaggio messaggi di solidarietà, affetto e orgoglio per l’iniziativa hanno arricchito i post pubblicati sulla pagina ufficiale del gruppo trekking. Tutta la stampa nazionale ha seguito e raccontato la storia di Michele ed Emilia. Al rientro una festa organizzata in loro onore ha fatto emergere tutto l’affetto della comunità. Ma tempo di riposare non ce n’è. La passione chiama ed è più forte. Per questo, all’indomani del suo rientro, Michele decide di intraprendere un nuovo cammino, pronto per vivere nuove esperienze. Michele, come hai trascorso questi mesi in viaggio e cosa hanno significato per te? «Non è stato per nulla facile sia per la fatica fisica che quella mentale. Questi due mesi sono stati trascorsi con gioia (l'Italia è un paese stupendo da visitare in ogni suo angolo), apprensione e timore di non farcela. Ma questa volta non camminavo solo per me, ma camminavo soprattutto per gli altri. Il mese di agosto è sconsigliato per intraprendere cammini così lunghi, sia in alta montagna dove i temporali sono all'ordine del giorno, sia in pianura dove il caldo diventa torrido. Ma portare nello zaino la speranza di 9000 persone in attesa di un trapianto fa sì che le motivazioni siano talmente grandi che tutto il resto passa in secondo piano».

Hai avuto modo di parlare con i pazienti destinati al trapianto? «Ho avuto modo di parlare non solo coi pazienti, ma anche con quelle famiglie dei donatori che purtroppo non ci sono più. A loro va il ringraziamento più grande: i veri eroi sono loro insieme alla sapienza e alla competenza dei dottori. È grazie a queste persone se si può ritornare in vita. Ho avuto modo di parlare con tante persone e tutte mi hanno incoraggiato a non fermarmi: sia chi è in attesa, sia chi ha donato. Ho sentito la responsabilità di essere forte e andare avanti per tutti loro, perché in me i pazienti vedevano un modello di resistenza, forza e speranza; mentre le famiglie dei donatori, un riflesso dei loro cari». Quale messaggio credi di aver trasmesso? «Il messaggio consisteva nell’intraprendere il viaggio e passare per l'ospedale di Novara, luogo simbolico dove ho ricevuto la vita, e tornare a casa, a Castel Morrone in provincia di Caserta, a piedi, dopo aver percorso 1250 km per dimostrare che donare gli organi è un ritorno alla vita». Perché hai deciso di rimetterti subito in viaggio? «L’ho fatto perché ricorre l'anno del Giubileo Lauretano e a Loreto era stata organizzata la Santa Messa dedicata proprio ai trapiantati. E così da Assisi mi sono diretto a Loreto perché alla fin dei conti il fulcro di tutto è e resta la Fede. “Io sono la strada” dice Gesù, ed io ho fatto del cammino, il mio inno alla vita. Il Vangelo ci insegna che bisogna camminare verso sé stessi, verso Dio e verso l'annuncio. Spero di essere riuscito a servire il Signore nei migliori dei modi». C’è un episodio significativo di questi mesi di viaggio che ti va di raccontarci? «L'intero cammino Lauretano è stato quello più significativo, perché non è un semplice cammino. Il cammino Lauretano è il cammino. Qui le testimonianze delle persone non sono di costumi, usanze e tradizioni. Qui le testimonianze sono forti e parlano di terremoti, di distruzioni, di persone che hanno perso ogni cosa e nonostante tutto insegnano che la vita deve andare avanti e dalle macerie si ricostruisce per ritornare più forti di prima».


T ERRITORIO

di Francesco Cimmino

L’Appia a piedi, con lo sguardo di Giulio Ielardi

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ercorrere a piedi l’intero tracciato della via Appia, zaino in spalla e fotocamera alla mano. Questo, in estrema sintesi, il piano del progetto fotografico che Giulio Ielardi ha affrontato. Un’idea scaturita dalla lettura di Paolo Rumiz (Appia, 2016, Feltrinelli) e Riccardo Carnovalini, il più grande camminatore italiano. 630 chilometri, 29 tappe, uno zaino da 50+10 litri, un paio di scarpe da trekking urbano. Un sogno chiamato Appia. Giulio è partito da casa sua, nel centro di Roma per arrivare a Brindisi. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente, non appena terminato il viaggio, per farci raccontare la sua esperienza. Giulio, qual è stata l’emozione che hai provato non appena hai terminato il viaggio? «L’emozione è stata grandissima; il viaggio è stato di gran lunga superiore alle mie aspettative, da tutti i punti di vista. Arrivare a Brindisi per vedere quella colonna che avevo già visto, ma mai così, è stata proprio un’emozione forte. Poi mi sono tuffato nell’Adriatico, mentre usciva il sole dopo una giornata grigia. Questo è stato il segno che il viaggio lo dovevo fare ed è stato bellissimo». Lungo il percorso, che cosa ti ha sorpreso di più? «Sicuramente la disponibilità e la generosità degli italiani. Lo stile di vita che stiamo praticando ci allontana un po’ della realtà. Poi mi ha sorpreso condividere il viaggio con chi mi ha accompagnato, non

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Giulio Ielardi

ho camminato quasi mai da solo, ma spesso con amici. Ci porteremo dentro tutti questa parte d’Italia». Giulio, hai incontrato difficoltà lungo il cammino? «No! Ovvio che io sono un camminatore allenato, ho il GPS, mi so orientare ed adattare. Non è ancora un viaggio per tutti. L’Appia non è pronta. Qualche tappa è più faticosa delle altre, per i dislivelli o la lunghezza, abbiamo avuto il maltempo, ma era tutto messo in conto. Quest’itinerario è alla portata di persone mediamente allenate; attraversando molti centri abitati si incontrano quasi sempre persone». Sei riuscito a trovare la traccia

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originale dell’Appia? «Era una gioia trovare l’Appia Antica; ho camminato per giornate intere, per non dire settimane, senza nemmeno vederla. L’Appia deve tornare visibile ed essere sentita più nostra perché è ancora capace di dettare una linea». Pubblicherai un libro: dunque, cosa ci racconteranno le tue fotografie? «Prevedo settimane di studio del materiale prodotto per arrivare a comporre il libro che sarà pronto tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022. Ci saranno dei testi ad accompagnare le fotografie, che vogliono rappresentare il dialogo a cui ho assistito tra ciò che c’è dell’Appia e l’Italia contempora-

nea. Non sarà un libro di cartoline e nemmeno di denuncia, non ci saranno foto degli orrori in cemento che ho visto, né dei monumenti superstiti. Il mio lavoro vuole rappresentare una fotografia attuale del territorio che l’Appia attraversa; sarà uno spaccato del mezzogiorno italiano». Immaginiamo quindi che l’Appia possa essere una potenzialità per il nostro Sud Italia «Assolutamente sì. Può diventare il più importante percorso di trekking di lunga durata che c’è in Italia come il famoso cammino di Santiago. In Italia abbiamo alcuni sentieri, come il sentiero Italia o le vie francigene; l’Appia ha tutte le carte in regola per potere evocativo, per monumentalità, per saperi e sapori, per diventare il numero uno anche a livello internazionale. Durante il mio viaggio sono stato intervistato da Nina Strochlic, giornalista americana del National Geographic; ha in serbo un grande servizio sull’Appia Antica. Questo è uno dei segnali che dovrebbe farci capire che il mondo ci osserva e guarda alla nostra storia. Dobbiamo convincercene tutti: è arrivato il momento di metterci al lavoro». Partner del progetto sono: Parco archeologico dell’Appia Antica; Parco naturale regionale dell’Appia Antica; Parco dei Castelli Romani; Associazione Italia Nostra; rivista di turismo Itinerari e luoghi; Radio Francigena; Compagnia dei Cammini; FIAF - Federazione italiana associazioni fotografiche.

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A TTUALITÀ

Un viaggio su un treno storico degli anni ’30:

di Iole Caserta

ecco il progetto “Reggia Express”

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elle ultime settimane si è sentito molto parlare del progetto riguardante i treni storici sulla tratta Napoli – Caserta. Ricominciare a viaggiare su treni degli anni ’30 dopo due anni di fermo ha catturato la curiosità di molti, e ovviamente anche la nostra. Dopo il grande successo del primo treno partito, abbiamo chiesto al Commissario di ACaMIR, Giuseppe Grimaldi, di dirci qualcosa in più riguardo il progetto “Reggia Express”. Questa interessante iniziativa è stata, infatti, promossa dalla Regione Campania e attuata da ACaMIR (Agenzia Campana Mobilità Infrastrutture e reti) e Fondazione FS (Ferrovie dello Stato) con l’obiettivo di riscoprire le bellezze del territorio attraverso il turismo ferroviario. Come e quando nasce il progetto "Reggia Express"? «Fondazione FS preserva, valorizza e promuove il Patrimonio storico delle Ferrovie dello Stato e con il “Reggia Express” ha voluto creare ogni terza domenica del mese un collegamento turistico speciale tra Napoli e la Reggia di Caserta. Il rinnovo nel 2021 della Convenzione con la Reggia di Caserta ha come obiettivo lo sviluppo di un turismo lento, sostenibile e di prossimità in una Regione, la Campania. Questa è ormai meta di punta per il turismo nazionale ed internazionale, con un successo di cui beneficiano i vari siti museali. Da anni

Giuseppe Grimaldi

risulta essere incrementato da un’offerta culturale realizzata anche attraverso un mezzo di veicolazione particolare quale è il “Reggia Express”». Quali sono state le difficoltà ri-

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scontrate lungo il percorso? «L’offerta dei treni storici in Campania in questi due anni ha risentito in maniera significativa, come del resto tutti i settori, dell'evento pandemico. L’assenza di programmazione dell’offerta commerciale del “Reggia Express” ha avuto sicuramente un effetto negativo sulla promozione degli eventi». Il 17 ottobre c'è stata la prima partenza. Che tipo di risposta si è avuta dai viaggiatori? «C’è stato un grande successo della riapertura della stagione dei treni storici in Campania: il primo treno è andato SOLD OUT. A bordo del Treno Storico del 17 ottobre sulla tratta Napoli C.le – Caserta erano presenti 220 viaggiatori (cioè il 100% dei posti a sedere disponibili)». In futuro ci sarà modo di viaggiare su una carrozza degli anni '30 anche per altre zone della Campania? «Il programma 2021 prevede corse tutti i fine settimana con vetture degli anni ‘20 con partenza da Napoli e destinazione Caserta Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, i principali siti Archeologici, Reggia di Caserta. Per orari prezzi e informazioni vi indirizziamo sempre al sito fondazionefs.it».


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STRUZIONE

di Valeria Marchese

Borse di studio universitarie

Il consigliere regionale Luigi Cirillo risponde alle domande degli studenti

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uigi Cirillo, consigliere regionale del M5S attivo nel campo del diritto allo studio universitario, rilascia un'intervista in merito alla questione delle borse di studio in Campania: destinatari, problematiche, politiche future. Attualmente che tipologie di borse di studio sono disponibili per gli studenti delle Università campane e a chi sono indirizzate? «Attualmente, grazie anche alle battaglie che a livello regionale e a livello nazionale portiamo avanti da anni come Movimento 5 Stelle, siamo riusciti a far salire notevolmente il numero dei potenziali beneficiari di borse di studio nelle università della Campania. Quest’anno sono stati ben 28.333 gli studenti che hanno otte-

nuto la borsa di studio. Di questi, oltre 19mila grazie alle risorse dei fondi europei della misura Por/Poc. Si calcolano circa 5mila unità in più rispetto all’anno precedente. A beneficiarne sono gli studenti meritevoli sulla base di criteri che vanno dai crediti maturati al numero di esami conseguiti. Parametri che vanno rapportati a Isee e Patrimoniale, tenuto conto che le borse di studio sono un sostentamento allo studio». Nonostante ultimamente stiamo assistendo ad un tentativo da parte della regione di potenziare il suo sistema di erogazione delle borse di studio, questo continua ad occupare posti marginali nelle classifiche nazionali. Da cosa dipendono gli investimenti che la Regione adopera nei confronti delle borse di studio e perché questi risultano essere, in Campania, inferiori rispetto al sistema di assistenza che ricorre invece in Lombardia o in Emilia Romagna? «Non c’è stata, negli anni scorsi, un'adeguata sensibilità politica nell’affrontare un tema che deve, invece, essere prioritario. Perché prioritario è il diritto allo studio da garantire a tutti. Da quando abbiamo messo la questione al centro dei lavori del Consiglio regionale, creando anche una collaborazione fitta e costante con l’Adisurc, qualcosa in questi anni si è finalmente iniziato a muovere. La classe dirigente del futuro si forma creando le basi perché tutti i giovani talenti della nostra regione possano avere le stesse possibilità di crescere e studiare. Una filosofia che siamo riusciti a imporre anche in Campania».

Quali sono le realtà che lei sostiene siano maggiormente attive sul territorio in questo settore (ad esempio ADISURC o altri)? «L’unico ente che si occupa di Borse di Studio in Campania è l’Adisurc, che va assolutamente potenziato. Per anni abbiamo avuto una sola dipendente incaricata dell’elaborazione di tutte le richieste. Questo ha comportato sistematici ritardi, anche di anni, nel pagamento delle borse di studio a chi ne aveva conseguito il diritto. L’effetto, inevitabile, è stato l’incremento di un tasso di migrazione verso le università del Nord, dove i servizi sono efficienti e puntuali. Un gap che vogliamo colmare definitivamente». Le fratture di investimenti e pagamenti però non riguardano solamente regioni diverse, notiamo infatti che anche all'interno della Campania sono presenti dislivelli di finanziamenti e tempistiche (ad esempio tra UNISOB e UNINA), da cosa sono determinate? «Il problema delle tempistiche diverse tra diverse Università è da addebitare a sistematici ritardi nella trasmissione degli atti. Si dovrebbero creare procedure più snelle, che non appesantiscano il lavoro delle segreterie, già oberate, facendo anche rete tra singole Università e gli uffici dell'Adisurc». In che direzione si sta muovendo la politica in questo settore? «Da quando ho portato la questione al centro dei lavori del Consiglio regionale, sono riuscito a sensibilizzare sul tema anche nelle altre forze politiche, che hanno supportato e supportano di volta in volta le mie battaglie. E in questi ultimi tempi siamo riusciti a creare un ottimo dialogo e una proficua collaborazione con la stessa giunta regionale e con il presidente De Luca, che ci ha sempre ascoltato e grazie al cui impegno stiamo lavorando al superamento definitivo di tutte le lacune che negli anni scorsi hanno comportato ritardi e disservizi a spese del diritto allo studio».

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S TORIE

di Nicola Iannotta

Pasqualino: il sorriso di una stella

Presentazione fissata per Aprile e Mertens gli garantisce sostegno

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Pasqualino Esposito e Dries Mertens

pesso la vita ci mette di fronte problemi grandi, talmente grandi che ci si sente sovrastati e si preferirebbe scomparire o essere vinti una volta e per tutte, così da farla finita con questo gioco spietato. Qualcuno si arrende, perché dopo tanti e dannati sforzi non è riuscito a vedere alcuna progressione. Qualcun altro, invece, chissà dove e chissà come, resiste, e stringe i denti con una forza tale che la mandibola comincia a far male, e dopo aver raccolto i propri pensieri, sorride, come colui che sa di aver trovato la strategia giusta per poter vincere. Pasqualino Esposito è fra coloro che nella vita ha dimostrato davvero di essere forte, più forte di tutti. Pasqualino non svela la sua età, ma si potrebbe intuire per sommi capi guardando il suo viso accuratamente rasato, e ascoltando i suoi pensieri maturi: elementi che ci portano a comprendere di aver davanti una persona adulta. Pasqualino Esposito convive fin dalla nascita con una malattia molto rara: l’osteogenesi imperfetta. Questa malattia comprende un gruppo eterogeneo di malattie genetiche caratterizzate da un aumento della fragilità scheletrica, una diminuzione della massa ossea e una suscettibilità alle fratture ossee di gravità variabile. Una malattia che ha disturbato la sua crescita fisica e lo obbliga a vivere disteso su un lettino. Ma Pasqualino non si arrende, cerca il modo di vivere comunque una vita piena, e sorride. Ha fatto sua una frase dello scrittore Chris Bradford, trasformandola in un proprio motto: “Disabilità non significa inabilità. Significa

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re per andare avanti col sorriso. Pasqualino ha sempre affrontato le difficoltà con grande tenacia e voglia di vivere. Come ci dice anche Cinzia: «Ogni difficoltà per lui è stata una sfida, un combattimento da affrontare a testa alta con la volontà di vincere, dimostrando in questo un vero spirito da guerriero. Pasqualino non si arrende e dimostra una capacità di resistenza che pochi hanno». Ma Pasqualino vuole ringraziare coloro che gli sono stati vicino, che non lo hanno mai abbandonato e che hanno dimostrato di tenere a lui. Primo fra tutti Alberto Barbera, direttore del Festival del Cinema di Venezia, grazie al quale Pasqualino ha potuto realizzare il suo sogno di sfilare sul Red Carpet e conoscere i tantissimi attori che ha amato e apprezzato sul grande schermo. Pasqualino, infatti, è un grandissimo appassionato di cinema; ci ha raccontato di come è nata questa passione, delle grigie giornate da lui vissute, quando il suo tempo era tutto occupato dalle visite in ospedale e dalle cure da fare a casa. Così, il cinema è stato ciò che lo ha salvato da quel grigiore, facendogli sentire le emozioni di una storia d’amore, la forza di un dramma o riuscendogli a strappare una risata con una commedia. Pasqualino ha trascorso le sue giornate con i personaggi dei film, li ha conosciuti e li ha fatti amici. Così, ha desiderato fortemente poter incontrarli e mostrare loro il suo affetto. E Alberto Barbera ha realizzato questo suo sogno, Pasqualino Esposito e Alberto Barbera permettendogli di attraversare il Red Carpet, ogni anno, da quando semplicemente adattabilità”. E, ogni giorno, lo ha conosciuto e ha preso a cuore la sua stoPasqualino si impegna per diffondere questo ria. Pasqualino, durante l’intervista, ha sottolimessaggio di forza fra coloro che hanno perneato più volte la sua stima nei confronti della so la speranza di vivere a causa di una brutta splendida persona quale è Barbera, auguranmalattia. dosi di poterlo rincontrare nei prossimi anni a Pasqualino ha deciso di scrivere un libro per Venezia. diffondere il suo messaggio e per far conoscere Pasqualino ci ha poi parlato della sua passione la sua storia. per il Napoli e per “Ciro” Mertens, di cui è un Nel libro “Pasqualino, il sorriso di una stella”, grandissimo fan. Grazie alla sinergia tra Magascritto insieme a Cinzia Ravallese, docente e zine Informare e SSC Napoli, ha conosciuto la giornalista, ci viene raccontata la storia dell’aupunta degli azzurri coronando così un altro suo tore: dalla scoperta della malattia al modo in grande sogno. Ci ha detto che del giocatore lo cui Pasqualino ha dovuto affrontare mille ostahanno colpito fin da subito la simpatia e il cacoli a causa dei suoi problemi. Pasqualino parla lore con il quale è stato accolto: «Mertens si è anche della difficoltà di riuscire ad esprimere i comportato come un amico e mi ha promesso suoi sentimenti in amore: innamorato da semche sarà presente alla presentazione del libro pre di una ragazza di nome Carla, non è mai che si terrà ad aprile al Grand Hotel Angiolieri riuscito a confessarsi a causa delle sue condidi Seiano». Conclude dicendo che spera di pozioni. ter rivedere gli altri suoi cari amici, Tommaso Una vita trascorsa fra il dolore provocato dal Morlando e Nicola Lombardo, i quali sono invimale e dalla solitudine e la forza di dover lottatati allo stesso evento.


D IRITTI

di Rossella Schender

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Black & White l’associazione che fa da ponte per i cittadini del mondo

Integrazione e inclusione gli elementi fondamentali della missione

el 2021 parlare di razzismo dovrebbe essere ormai solo un’attività ai fini di accrescimento culturale, tra i banchi di scuola e non, per mettere a conoscenza le nuove generazioni degli errori e degli orrori commessi da chi il mondo lo abitava prima di noi. Eppure non è così. Oggi, nel 2021, il fenomeno del razzismo si diffonde a macchia d’olio alimentato dai media e dai politici i quali hanno appreso l’efficacia di una cultura dell’odio su una cittadinanza poco acculturata e svuotata di ogni briciolo di umanità. Il risultato di queste propagande dell’odio è stato lo sbavare rabbia e urlare indignazione verso chi di colpe ne ha ben poche. Incattiviti e a tratti molto pericolosi, i figli della cultura dell’odio hanno permesso non solo alla criminalità di inghiottire interi territori ma, soprattutto, di lavorare non più con l’obiettivo di costruire e migliorare ma con quello di distruggere e svilire. In un bacino strabordante di criminalità come quello del territorio di Castel Volturno anni fa, precisamente nel 2001, venivano poste le basi per il cambiamento. Postasi come il mezzo per arrivare a un fine l’associazione Black & White, gestita dai Missionari Comboniani, ha sempre avuto chiari i propri obiettivi: integrazione e inclusione gli elementi fondamentali della loro missione. Attualmente concentrata nella zona di Destra

Volturno e Pescopagano, la comunità africana trova un vero e proprio rifugio nella sede operativa di Via Po dove i Missionari si preoccupano di seguire donne, uomini e bambini cercando di costruire un ponte che possa favorire l’integrazione tra italiani e stranieri oltre che prendersi cura, sotto più punti di vista, di quelli che risultano essere gli emarginati. Con una particolare attenzione verso i bambini l’associazione ha dato vita a un centro educativo che lavora per far riconoscere a tutti, a prescindere dalle origini, il diritto all’educazione, all’istruzione, alla salute e, in generale, al vivere dignitosamente. L’iniziativa ha negli anni ampliato i suoi orizzonti permettendo anche ai giovani adulti di entrare a far parte di una comunità e ricevere, qualora ce ne fosse il bisogno, tutto l’aiuto possibile. Padre Daniele e Padre Sergio ci hanno accolto e raccontato quanto, con i diversi progetti portati avanti dall’associazione, sia stato possibile aiutare la comunità da tempo emarginata e sfruttata. Noto a tutti è il fenomeno del Caporalato, piaga dolorosa dei nostri territori, che vede non solo la manodopera dei migranti sfruttata ma, soprattutto, la loro mortificazione da parte di chi è solo alla ricerca di un capro espiatorio. Ma non solo, la comunità straniera è vista sul territorio come quella forza lavoro

provvisoria e temporanea che, al termine della giornata di lavoro, deve sparire dagli spazi della vita sociale. Questo atteggiamento repulsivo ha favorito la creazione di ghetti e dunque di intere zone abitate solo da stranieri nelle quali sono in vigore sistemi e leggi a parte che rimarcano solo l’incapacità dello Stato italiano di affrontare il problema della totale assenza dei diritti dei migranti. Padre Daniele ha sottolineato come questo non faccia altro che rimandare a un fenomeno di schiavitù che però si è evoluto nel tempo. L’associazione Black & White si sta impegnando sul territorio anche per restituire una dignità lavorativa alle numerose donne giunte a Castel Volturno. Il progetto di sartoria sociale “Action Women” è infatti uno spazio dedicato alla creatività in cui il bisogno di creare legami sociali la fa da padrone. L’impegno creativo di queste donne ha dato loro la possibilità di intraprendere un cammino imprenditoriale producendo la fascia turbante skaf, prodotto di punta del progetto, che unisce la varietà e vivacità dei colori e delle stampe africane alla bellezza di tessuti come seta, velluto e cotone; la produzione di questi prodotti non solo ha contribuito al rafforzamento del legame tra le Ladies coinvolte, ma è anche un meraviglioso progetto lavorativo che ha donato loro indipendenza oltre che porre tutti dinnanzi all’evidenza che l’unione di culture, elementi e personalità di diverse provenienze genera del bene. La formazione scolastica dei più giovani e la coltivazione di passioni, che possono diventare un vero e proprio lavoro, sono solo la punta dell’iceberg dell’impegno sociale dell’associazione e dei suoi volontari. Raccontare di queste splendide realtà presenti sul territorio di Castel Volturno è un vero e proprio appello alla sensibilità di tutti: aiutiamoci e smettiamola di etichettarci o rinchiuderci in queste categorie legate alla provenienza. In fin dei conti siamo tutti cittadini del mondo.

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A RTE

di Roberto Nicolucci

Il sileno ebbro di Jusepe de ribera

Un olio su tela che sembra quasi una lettura anticipata del dionisismo nietzschiano

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ggi abbiamo deciso di brindare, signori, alla nostra e alla vostra salute. È importante celebrarci, ci rende simili agli dei. Innalziamo le coppe (ecco abbiamo di colpo perso tutti i nostri lettori, astemi o sinceramente morigerati!). Per la verità la storia dell’arte, l’arte stessa, avrebbero perso molti argomenti e molti capolavori se a prevalere fosse stata, sciaguratamente, la Virtù. Sin dal principio la letteratura sarebbe stata azzoppata. Che ne sarebbe stato di Pindaro o Alceo, di Mimnermo senza il rosso greco? Noi dunque celebriamo il vizio, la sregolatezza, l’eccesso, direbbe Nietzsche, il dionisicaco, la

vita senza regole, l’impulso a farci tutt’uno con l’istinto vitale, vera essenza imperscrutabile di questa valle di lacrime (Lacryma Christi del Vesuvio ovviamente, falanghina in purezza!). E di tutto il vino del mondo sembra pieno il Satiro ubriaco di Ribera, oggi al Museo di Capodimonte di Napoli. Il dipinto di ispirazione mitologica pagana sembra quasi una lettura anticipata del dionisismo nietzschiano, un capovolgimento del mondo vero così come concepito fino al Rinascimento: un Sileno obeso, quasi nudo, mal rasato si stende in oscena, languida posa su un drappeggio, come grottesca paranoia di una Venere rinascimentale. La sensazione di una grande (letteralmente poi-

ché la tela misura ben 185cm X 229) parodia, un’irriverente, quasi carnascialesca, eversione della misura e della continenza, è accentuata dal cartiglio in basso con la scritta "Josephus de Ribera, Hispanus, valentino et adcademicus Romanus faciebat Partenope 1626". Il cartiglio è strappato dal morso di un serpente, simbolo dell’invidia. Ma il centro della narrazione, la figura di Sileno, è controversa. Perché il compagno di Dioniso e non Dioniso stesso? Forse perché spesso l’immagine è associata al Sileno ebbro della Coppa Farnese di Annibale Carracci. Sileno potrebbe essere il Satiro atletico, simbolo di saggezza che versa il vino, il Dio Pan in persona oppure alle spalle di Dioniso, mentre un’asina irridente sembra anch’essa ebbra e due personaggi guardano fuori dal quadro, quasi ad invitarci a considerare il tutto uno scherzo sofisticato. Uno scherzo molto sofisticato, se per un attimo volgiamo il nostro sguardo in alto a destra. Qui vi è un volto diverso, che osserva la scena con uno sguardo forse perplesso: è Apollo, l’altra faccia di Dioniso: dall’alto scorge l’abisso della vita inebriante, l’abisso della luce guarda l’abisso dell’oscurità, in esso si riflette e riconosce, nonostante l’istinto animale si guardano, mettono in scena l’irrequieta, eterna oscillazione dell’esistenza, il riconoscere l’altro in noi stessi, il fondo oscuro da cui emerge Dio. Forse il committente del quadro, probabilmente un esponente della bassa nobiltà napoletana, Giovanni Francesco Salernitano, barone di Frosolone, era un gaudente, amante del vino e anche dotato di autoironia in quanto si ipotizza che il Sileno-Dioniso sia proprio lui. Sembra, in quel gesto con la cappa alzata, di ascoltare la voce del grande Eduardo De Filippo: “e allora bevo, e questo sorso di vino vince la partita con l’eternità”.

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T EATRO

di Luisa del Prete

UN TEATRO PER TUTTI Arriva al Teatro Bellini un’intera stagione dedicata ai più piccoli

Il "Teatro per bambini" può essere un nuovo modo di comunicare con l'infanzia

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n’intera stagione dedicata ai piccoli e piccolissimi, numerosi spettacoli per una fascia d’età che molto spesso risulta dimenticata, o quasi, dai teatri. Ed è così che nasce la stagione “Kids” al Teatro Bellini di Napoli ed a raccontarla sono proprio i curatori di questa stagione ovvero Sebastiano Coticelli e Simona Di Maio della Compagnia “Il Teatro nel Baule”. Avvicinare i bambini al teatro è una cosa così necessaria, ma di cui non ci rendevamo conto di aver bisogno. Com’è nato questo progetto? «Era da anni che volevamo creare un progetto per famiglie e per bambini. In questo caso è nato per volontà nostra, ma soprattutto con l’aiuto ed il sostegno di Daniele e Gabriele Russo del Teatro Bellini di mettere in scena questo nuovo settore: un’intera stagione “for kids”. E questo ci ha permesso di rendere il “Teatro per bambini” non più un qualcosa di Serie B, ma un qualcosa di radicato, di molto profondo, che crea anche un nuovo modo di fare spettacolo, di comunicare e di dialogare con l’infanzia. Il progetto nasce quest’anno con il Bellini però noi frequentiamo questa fascia “kids” da oltre dieci anni. Una cosa a cui teniamo molto è che non si dica che i bambini sono “il pubblico del domani” perché i bambini sono il pubblico d’oggi, con

le loro complessità, le loro gioie, i loro sogni e ciò che vivono i bambini è legato strettamente a ciò che vivono gli adulti. Si va ad immergerci in un presente molto forte». Una stagione che era già stata presentata lo scorso anno ma che purtroppo, causa covid, è riuscita a portare in scena soltanto uno spettacolo. Quest’intera stagione dedicata ai bambini che tipo di riscontro ha avuto e, soprattutto, come vi sentite in merito a questa sfida futura? «L’anno scorso abbiamo fatto solo uno spettacolo: era un nostro debutto ed andò benissimo perché riuscimmo a riempire la sala, nel limite ovviamente delle normative covid. Quindi quella di quest’anno è realmente una sfida e ci sentiamo molto positivi. Riteniamo che è un settore davvero poco curato al Cen-

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tro storico quindi siamo ottimisti. Andiamo ad aprire un varco anche per i piccolissimi di fascia 1-3 anni; la nostra idea è che sia un teatro per tutti. Parlare di infanzia e di famiglie significa entrare in contatto con un processo ed i numeri cominciano già a farsi sentire perché stiamo ricevendo molte mail di richiesta per spettacoli e per laboratori. Sentiamo un grande fermento però la cosa più importante è far bene il nostro lavoro, perché sentiamo la necessità di farlo proprio per la società del nostro pubblico. La seconda cosa importante è tenere sempre conto non dell’evento, ma del processo. Miriamo ad una progettualità, partendo dall’oggi e presentando una stagione al Bellini, portando spettacoli di qualità e pensando a fare bene nel futuro».

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contatto con questo Teatro perché ti impone di ricordarti un dialogo con il pubblico. I virtuosismi non te li puoi tanto permettere o se te li puoi permettere deve essere un gioco che richiama la giusta attenzione ed è un bellissimo allenamento che ti fa concentrare sul destinatario». Un breve sguardo alla stagione che presenterete: l’età è molto varia, dai 0 anni a salire. Qual è l’obiettivo e c’è uno spettacolo a cui tenete particolarmente e che porterete in scena? «Abbiamo presentato la stagione fino a dicembre ed a novembre uscirà la seconda parte. Teniamo tantissimo a tutti gli spettacoli e volutamente non abbiamo inserito nostre produzioni, forse solo una su sedici spettacoli in sce-

Dei bambini che sono abituati ai tempi veloci, alla tecnologia ed alla rapidità della navigazione online fin da subito. Quanto è importante avvicinarli al teatro e, dunque, ad un qualcosa che detta tempi lenti e gli permette di rallentare e riflettere nel loro modo di stare? «Entrare a teatro ci dà la sensazione di respirare e, allo stesso tempo, richiama all’attenzione con il silenzio. Dopodiché parte il gioco e il saper “stare” ed il sapersi meravigliare sarà anche compito nostro nel riuscire a creare l’ambiente giusto, al di là del luogo. Il mezzo è il messaggio. È molto diverso quando c’è un’esperienza del genere: si spengono le luci, sei in un teatro e lì parte un mistero. C’è tutto un rito importantissimo che si basa sul pre-spettacolo e che crea la magia dell’attesa verso ciò che sta per accadere sul palco. Ed i bambini sono molto intelligenti e sono capaci di gestirsi perché sanno che in quel momento è qualcosa di diverso. Poi, ovviamente, il tutto sta anche nella bravura di chi è in scena nel dare il ritmo giusto e tenere alta l’attenzione». Soffermandoci, dunque, sui bambini come spettatori: è un pubblico più o meno esigente di quello degli adulti? «Assolutamente sì. È molto più difficile come pubblico perché è molto più sincero e non ha la costruzione che possiamo avere noi adulti. Preparare uno spettacolo per bambini è mol-

to complesso perché devi essere consapevole della serie di esigenze che hanno i bambini che sono quelle dello stupore e della meraviglia. Infatti, anche il mondo degli attori e registi del “Teatro ragazzi” è diverso dal “Teatro classico” perché ha sì delle linee comuni, ma ha anche delle sue specificità. Noi vediamo quanto è importante per loro (gli stessi attori, drammaturghi e registi) stare a

na perché crediamo che il panorama del Teatro ragazzi in Italia sia davvero molto interessante. Numerosi gli spettacoli da Cenerentola a Spot, che è uno spettacolo proprio per i piccolissimi, fino ai concerti di Natale. Ma non solo spettacoli, anche free exploration, laboratori e tanto altro e non solo in Sala Grande, ma invaderemo tutti gli spazi del Teatro Bellini. Sarà una vera e propria magia».

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S TORIA

di Fabio Di Nunno

L’ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI STORICI Uno dei più importanti istituti al mondo per la formazione e la ricerca nelle discipline storiche, celebra i suoi 75 anni

presenti in altre biblioteche napoletane; una particolare cura fu posta nell’acquisizione dei periodici, scegliendo testate assenti a Napoli, talvolta addirittura in tutta Italia, dando molto spazio ai periodici stranieri, senza trascurare tuttavia le principali riviste italiane, costituendo un fondo di eccezionale valore per l’epoca in cui fu iniziato, e che, via via accresciuto, conserva tuttora una grande importanza. L’Istituto italiano per gli studi storici fa anche parte del Polo digitale degli istituti culturali di Napoli, nato dalla collaborazione tra la Cappella del Tesoro di San Gennaro, la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, l’Istituto Italiano per gli Studi Storici, il Pio Monte della Misericordia e la Società Napoletana di Storia Patria. Gli enti coinvolti hanno destinato ad un progetto

L’

Istituto italiano per gli studi storici, fondato nel 1946, fu voluto da Benedetto Croce con il proposito di avviare i giovani «all'approfondimento della storia nei suoi rapporti sostanziali con le scienze filosofiche della logica, dell'etica, del diritto, dell'economia e della politica, dell'arte e della religione, le quali sole definiscono e dimostrano quegli umani ideali e fini e valori, dei quali lo storico è chiamato a intendere e narrare la storia». Lo stesso Croce, nel 1934, rivelò: «Avevo vagheggiato pei miei ultimi anni, se non una totale rinunzia, una diminuzione della mia fatica di ricercatore, critico e scrittore, e di circondarmi di giovani ai quali avrei comunicato le mie esperienze di studioso e, per così dire, i piccoli segreti del mestiere, dato a loro indirizzo per la formazione scientifica nelle cose della filosofia, della storia e della letteratura, e cercato di far loro intendere e sentire il legame che queste hanno con la disposizione morale e religiosa dello spirito; sempre seguendo l’impulso che ci porta a volere i nostri figli migliori di noi, o almeno non impacciati dagli impacci dai quali noi con difficoltà ci siamo liberati». L’Istituto italiano per gli studi storici fu dunque concepito da Croce come Istituto “per” e non “di” studi storici secondo l’intenzione di trasmettere ai giovani studiosi una metodologia di ricerca attenta sempre alla dimensione storica e concreta delle questioni, anche le più speculativamente ostiche. «Anime scosse e inebriate per virtù di idee»: così Croce immaginava gli studiosi accolti nella scuola installata accanto alla sua monumentale biblioteca, nella storica sede di palazzo Filomarino, meraviglioso edificio nel centro storico di

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Napoli. La Biblioteca dell’Istituto italiano per gli studi storici (dichiarata di eccezionale interesse ai sensi della Legge 1.6.1939 n. 1089, con decreto del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali del 30.5.1997) conta attualmente 135.000 volumi, con 350 periodici correnti e un accrescimento annuo di circa 1000 volumi. La Biblioteca dell’Istituto nacque a integrazione e continuazione della biblioteca di Benedetto Croce, eretta nel 1956 in Fondazione, affinché gli allievi avessero a disposizione i testi necessari alle loro ricerche e sale di lettura attrezzate per la consultazione di opere generali. Gli indirizzi di accrescimento della Biblioteca hanno riguardato genericamente l’intera gamma delle discipline umanistiche, con un’attenzione a evitare repliche di fondi e collezioni

condiviso i fondi europei assegnati a ciascuno di essi dalla Regione Campania per la “Digitalizzazione e messa in rete di archivi e biblioteche pubblici e privati” (Bando Regione Campania – POR-FESR 2007-2013), creando una piattaforma comune per la catalogazione, la digitalizzazione e la fruizione dei beni librari, archivistici e museali che costituiscono il ricco patrimonio culturale delle cinque prestigiose istituzioni. Ogni anno, l’Istituto italiano per gli studi storici mette a disposizione delle borse di studio per laureati italiani e stranieri; organizza corsi, seminari e conferenze; cura la pubblicazione di sei collane editoriali. Sono circa 1.400 i borsisti che hanno frequentato l'Istituto italiano per gli studi storici, molti divenuti poi studiosi insigni e maestri di intere generazioni nelle università italiane e straniere.


libraio e archivistico. Quanto è difficile occuparsi dell’Istituto italiano per gli studi storici oggigiorno? «Occuparsi dell’istituto è indubbiamente molto impegnativo: è una realtà che muta costantemente e che necessariamente deve restare

Nel 2017 hanno avuto inizio anche le attività dell’Associazione degli ex allievi dell’Istituto italiano per gli studi storici, costituita nel settembre 2016 su iniziativa di un gruppo di ex borsisti ed attualmente presieduta da Lucio d’Alessandro, Rettore dell’Università degli Studi "Suor Orsola Benincasa". L’Associazione degli ex allievi dell’Istituto italiano per gli studi storici è il tassello ulteriore del progetto crociano per la formazione di una classe dirigente intesa come classe intelligente attenta al tessuto civile di un’intera città, regione e nazione. Essa si propone di risvegliare e mantenere vivo fra gli ex allievi il senso di appartenenza a un’istituzione culturale unica nel suo genere in Italia, mettendo in relazione generazioni e percorsi di diversa provenienza anagrafica, geografica, intellettuale e professionale e creando una rete di risorse che, intorno all’Istituto, possa consolidarsi e rinnovarsi. Con il suo operato, l’Associazione degli ex allievi dell’Istituto italiano per gli studi storici intende riconfermare la rilevante funzione che l’Istituto continua a svolgere nella città di Napoli e nel contesto nazionale, europeo e internazionale. Se prima l’affermazione professionale dei borsisti avveniva essenzialmente in campo accademico, negli ultimi decenni la maggioranza è impegnata nella ricerca e nel lavoro anche in altri ambiti, come quello aziendale o della libera professione, nella politica e nelle istituzioni, in Italia ed all’estero. L’inaugurazione dell’anno accademico 2021/2022 è prevista il 20 novembre, come da tradizione, data della scomparsa di Benedetto Croce. La prolusione è affidata a Lucio d’Alessandro, che affronterà il tema della memoria e del futuro della Scuola, argomento significativo in considerazione degli ultimi due anni nel corso dei quali la scuola è stata terribilmente toccata nel suo esistere dalla pandemia di Covid-19.

L'Intervista Abbiamo incontrato Marta Herling, Segretario generale dell’Istituto italiano per gli studi storici, figlia dello scrittore polacco Gustav Herling e di Lidia Croce, figlia di Benedetto Croce, per una conversazione sulle attività dell’istituto, gli studi storici e la valorizzazione del patrimonio

di fuori del mondo accademico. La borsa di studio che forniamo è fondamentale per permettere ai nostri borsisti di ottenere una formazione libera, fatta di interessi molteplici, di scambi interculturali tra le discipline. Riteniamo che prima di costruire una persona adatta al mondo del lavoro si debba formare un’attitudine alla cultura e, proprio grazie al percorso formativo interdisciplinare che offre l’Istituto, un giovane può arricchire il proprio bagaglio culturale». Come si tutelano i documenti e i libri presenti in archivi e biblioteche importanti come quella dell’Istituto? «La nostra biblioteca si arricchisce di volumi giorno dopo giorno, ma necessita anche di interventi strutturali ordinari e speciali, come per esempio opere di manutenzione all’edificio. I fondi “ordinari” sono supportati da bandi e progetti cui la biblioteca partecipa: in particolare, cerchiamo di restare al passo con le nuove tecnologie, fornendo nuovi strumenti all’avanguardia per supportare i nostri ricercatori. I bandi sono regionali e nazionali, ma un grande apporto è fornito dai fondi europei. Le risorse straordinarie aiutano notevolmente, permettendo un’apertura del nostro patrimonio storico ad una platea molto più vasta. Marta Herling Naturalmente, gran parte dei fondi sono destinati alla manutenzione degli al passo con i tempi. La situazione a cui dobarchivi e dei nostri libri antichi: ci affidiamo a biamo andare incontro è complessa e riguarda esperti presenti da decenni sul territorio navari settori: non solo dal punto di vista interpoletano per restaurare i nostri manoscritti. no, ossia nella gestione dell’istituto stesso, ma Si parla di rilegatori, restauratori, veri e propri anche per altri fattori come la gestione di fiartigiani specializzati, che con la loro sapiente nanziamenti e la concorrenza presente sul termano restituiscono una seconda vita ai nostri ritorio. Non possiamo assolutamente adagiarci tesori». e l’impegno profuso è ogni giorno maggiore. La pandemia di Covid-19 ha cambiato l’Istituto L’istituto comunque riesce a sopperire alle sue e la modalità di fare ricerca... spese grazie anche a dei finanziamenti pubblici, «L’Istituto ha fatto fronte alla sospensione delle tramite la partecipazione a diversi bandi». attività e, poi, al distanziamento sociale impoQuanti giovani sono interessati alla ricerca sto dalle autorità statali, grazie alla dotazione storica oggi? di strumenti tecnologici necessari a tradurre «L’interesse per la storia è oggi ancora vivo. l’impossibilità della presenza e l’utilizzo di piatI nostri ricercatori sono davvero tanti: taforme e social media per le lezioni e le conquest’anno il numero di coloro che hanno fatto ferenze. Anche l’accesso alla biblioteca, ovviadomanda per una delle nostre borse di studio mente, ne ha risentito, ma grazie all’impegno sono stati 143, dato altissimo. forte delle bibliotecarie è stato possibile fornire La maggior parte sono dottori di ricerca, proai borsisti testi in formato digitale o mettere a venienti da tutta Italia, molti da paesi europei disposizione da remoto le banche dati dell’Istied extra europei; quest’anno anche dagli Stati tuto. Anche per il pubblico esterno è stato atUniti e dalla Russia, fatto che ci colpisce piativato un sistema di prenotazione online degli cevolmente, a dimostrazione di un allargamenutenti con cui si riserva il posto e, essendo tutto dei confini e degli orizzonti dell’istituto. La to il patrimonio libraio catalogato nel sistema formazione resa all’interno dell’Istituto è altisbibliotecario nazionale, si può fare richiesta dei sima, nonostante oggi viviamo una forte crisi volumi in anticipo. Il sistema di prenotazione del settore umanistico, poiché si tende a sotresterà attivo anche dopo la fine dell’emertovalutare a discapito del settore scientifico genza sanitaria, dato che abbiamo appurato la formazione classica, ritenendo quest’ultima un’accelerazione dei tempi di consultazione ed meno redditizia». una maggiore facilità di fruizione dei volumi. Qual è il profilo tipico di un borsista presso Nel nuovo anno accademico 2021/2022 speril’Istituto? menteremo un sistema misto di presenza fisi«Il profilo del borsista è un giovane laureato, o ca con la possibilità di un collegamento online. con dottorato di ricerca, che vuole approfonCiononostante, l’Istituto è da vivere, le leziodire le sue conoscenze. Naturalmente, deve ni sono da frequentare in presenza, il borsista godere di una borsa di studio affinché possa deve venire qui, a Napoli, essendo tutto ciò una perseguire il suo obiettivo, ossia effettuare una parte della formazione che l’Istituto elargisce, pubblicazione. La nostra formazione è finalizformazione che, lo ricordo, è formazione delzata la maggior parte delle volte ad esprimersi la persona nel suo complesso. Ecco, l’Istituto principalmente nel mondo universitario, anche guarda al futuro ma continua la tradizione nei se molti dei nostri ricercatori trovano lavoro al suoi aspetti fondanti». Novembre 2021

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Speciale

Teatro San Carlo

OTELLO Dal 21 novembre al 14 dicembre 2021 Speciale a cura di Angelo Morlando

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arà un evento di livello internazionale che vedrà la regia di Mario Martone, le scene di Margherita Palli, i costumi di Ortensia De Francesco e le luci di Pasquale Mari. Direttore d’Orchestra, il maestro Michele Mariotti e un cast di cantanti d’eccezione: Jonas Kaufmann, Yusif Eyvazov, Maria Agresta, Igor Golovatenko e Alessandro Liberatore, tra i nomi più noti e apprezzati dai melomani. Per la sintesi storica dell’opera si cita Wikipedia: “Otello è un'opera di Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito, tratto dall'omonima tragedia di Shakespeare. È la penultima opera di Verdi. La prima ebbe luogo a Milano il 5 febbraio 1887 nell'ambito della stagione di Carnevale e Quaresima del Teatro alla Scala. L'azione si svolge in una città di mare nell'isola di Cipro alla fine del XV secolo.

Atto I L'esterno del castello.

In una sera durante un tempestoso temporale. Gli ufficiali, i soldati e il popolo di Cipro assistono atterriti al difficile attracco della nave di Otello, il generale dell'Armata Veneta. Appena messo piede a terra, il Moro proclama la sua vittoria contro il nemico musulmano:

«Esultate! L'orgoglio musulmano sepolto è in mar; nostra e del ciel è gloria! Dopo l'armi lo vinse l'uragano!» (Otello, Atto I) L'alfiere Iago – che nutre per Otello un odio profondo, avendo questi nominato Cassio luogotenente al posto dello stesso Iago – trae in disparte Roderigo, un gentiluomo veneziano innamorato di Desdemona e gli confida il proprio odio per il Moro, facendogli poi credere che anche Cassio nutre una passione per la donna. Dunque la rovina del luogotenente conviene ad entrambi. Roderigo abbocca e provoca Cassio, già spinto a bere fino all'ubriachezza dal perfido Iago. I due si battono e l'ex governatore di Cipro, Montano, si interpone per fermarli venendo ferito. Il clamore della zuffa fa accorrere Otello che punisce Cassio degradandolo. Sopraggiunge Desdemona. Il Moro ordina a tutti di allontanarsi e rievoca con lei i ricordi tumultuosi della sua vita e la nascita del loro amore. Una dolce notte li attende.

Atto II Una sala terrena del castello.

Iago continua a tessere la sua tela: consiglia Cassio di rivolgersi a Desdemona, affinché interceda per lui presso il marito, e insinua a poco a poco in Otello il dubbio che fra il bell'ufficiale e la sua sposa sia nata una tresca. Ignara

di tutto, Desdemona si rivolge ad Otello perorando con calore la causa di Cassio e inavvertitamente lascia cadere il prezioso fazzoletto che lo sposo le aveva donato come pegno d'amore. Iago lo raccoglie sottraendolo alla moglie Emilia, ancella di Desdemona. Quindi narra ad Otello di aver udito Cassio rivolgere in sogno parole d'amore a Desdemona e afferma di aver visto il fazzoletto di lei nelle mani dell'affascinante ufficiale. Al colmo dell'ira e della gelosia, il Moro giura di vendicarsi.

Atto III La grande sala del castello.

Un araldo annuncia l'arrivo imminente della galea che reca a Cipro gli ambasciatori di Venezia. Otello incontra Desdemona, che ingenuamente torna a perorare la causa di Cassio, e le chiede di fasciargli la fronte col fazzoletto. L'imbarazzo della sposa, che si accorge di averlo perduto e non può esaudire la sua richiesta, e l'insistenza con cui ella torna a parlargli di Cassio, fanno esplodere la furia di Otello che, incurante delle lacrime della sposa, la insulta e la scaccia. Iago nel frattempo ha predisposto un colloquio con Cassio, allo scopo di fornire ad Otello una prova, all'apparenza inconfutabile, del tradimento. Il Moro assiste nascosto all'incontro dei due ufficiali e, pur non comprendendo tutte le pa-

foto gentilmente concesse dal Teatro San Carlo ph. Victor Santiago (Michele Mariotti) / Gregor Hohenberg Sony Music (Jonas Kaufmann) / Massimo Accarino (Maria Agresta)/ Marco Ghidelli (Mario Martone)

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role, crede di capirne il senso: ode Cassio pronunciare il nome di Desdemona, lo vede sorridere compiaciuto e scorge nelle sue mani il fazzoletto della sposa, che Iago ha provveduto a far giungere nella dimora del giovane, ignaro di tutto. Mentre uno squillo di tromba e un colpo di cannone annunciano l'approdo della trireme veneziana, Otello, ormai certo dell'adulterio della moglie, decide con Iago come e quando ucciderla. La sala si riempie di dignitari, gentiluomini e dame. Desdemona, in preda a un profondo turbamento, presenzia alla cerimonia accompagnata da Emilia. L'Ambasciatore della Repubblica Veneta reca un messaggio del Doge: Otello è richiamato a Venezia, Cassio sarà il suo successore a Cipro. Lodovico invita Otello a confortare la sposa in lacrime, ma il Moro, che legge nel dolore della sposa la conferma del tradimento, perso ogni controllo, l'aggredisce brutalmente: «A terra!!!... e piangi!...». Poi ordina a tutti i presenti, stupefatti e inorriditi, di andarsene, maledice Desdemona e, in preda ad una terribile crisi convulsiva, cade a terra tramortito. Mentre di fuori si inneggia al «Leon di Venezia», Iago constata con feroce ironia: «Ecco il Leone!».

Atto IV La camera di Desdemona.

In preda a un triste presentimento, Desdemona si prepara per la notte assistita dalla fedele Emilia e intona un'antica canzone. Poi, prima di addormentarsi, recita un'Ave Maria. Otello entra da una porta segreta, si avvicina alla sposa e la bacia. Poi, quando Desdemona si sveglia, la invita a chiedere perdono al cielo per i suoi peccati poiché la sua morte è ormai vicina. La donna tenta disperatamente di difendersi ma viene soffocata dal marito con il suo cuscino. Emilia bussa alla porta ed entra appena in tempo per raccogliere le ultime parole della sua signora: «al mio signor mi raccomanda... muoio innocente...». Otello accusa Desdemona di tradirlo, ed Emilia gli rivela che Cassio ha ucciso Roderigo. Alle grida di Emilia - «Otello uccise Desdemona!» - accorrono tutti gli ospiti del castello. Iago fugge inseguito dai soldati, dopo che la moglie ha smascherato davanti a tutti l'inganno del fazzoletto. Ora tutto è chiaro: Otello si trafigge col pugnale sul corpo della moglie e muore baciandola un'ultima volta.

Opera in quattro atti di Giuseppe Verdi libretto di Arrigo Boito • • • • •

Direttore | Michele Mariotti Regia | Mario Martone Scene | Margherita Palli Costumi | Ortensia De Francesco Luci | Pasquale Mari

Otello | Jonas Kaufmann/Yusif Eyvazov Desdemona | Maria Agresta Iago | Igor Golovatenko Cassio | Alessandro Liberatore Rodrigo | Matteo Mezzaro Ludovico | Emanuele Cordaro Montano | Biagio Pizzuti Un araldo | Francesco Esposito Emilia | Manuela Custer Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo - Maestro del Coro | José Luis Basso Nuova produzione del Teatro di San Carlo in coproduzione con il Teatro Massimo di Palermo Durata: 3 ore circa, con intervallo

CONDOGLIANZE ALLA "FAMIGLIA DEL SAN CARLO" Dopo Salvatore Giannini scompare prematuramente anche Fabrizio Pisaneschi E’ un 2021 veramente difficile per la “famiglia del San Carlo”. Dopo la scomparsa di Salvatore Giannini, avvenuta a settembre, un’altra perdita colpisce al cuore il Teatro, con la scomparsa di Fabrizio Pisaneschi. Ci uniamo al dolore del San Carlo e porgiamo le nostre più sentite condoglianze alla famiglia Pisaneschi. Riportiamo di seguito il testo ufficiale del Tea-

tro San Carlo in memoria di Fabrizio: “È con grande dolore che diciamo addio all'amato Fabrizio Pisaneschi, nostro storico e devoto direttore di scena. Per tanti anni ha rappresentato il volto del Teatro per artisti ospiti e per il pubblico. È stato il fulcro determinante di tanti allestimenti di successo, in Italia e

in giro per il mondo. È stato soprattutto un amico del San Carlo, cui ha dedicato la sua intera vita e noi tutti ne sentiremo la mancanza. Ciao Fabrizio!”

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A RTE

di Iole Caserta

Luca Chiabolotti è Nope: ironia, cinismo e temi scomodi in disegno

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rasi, pensieri e parole non dette. Alla fine, i social network sono fatti anche di questo. Che siano effimeri o stupidi non importa granché, sicuramente in un momento preciso della nostra giornata sono in grado di darci qualcosa. Molto spesso è quel piccolo ragionamento che ci permette di sentirci a nostro agio ed essere compresi dalla persona che lo ha scritto. Una persona che poi neanche conosciamo. Luca Chiabolotti è uno di quelli che ci fa sentire esattamente così. Sulla sua pagina Instagram @nopelc, ha iniziato a condividere disegni e pensieri, riuscendo a ricavare un grande seguito. L’artista di Perugia è riuscito in solo qualche domanda a trasmetterci tutta la sua passione per il disegno, la scrittura e la musica. Com’è nata la tua passione per il disegno? Hai dei punti di riferimento e ispirazione? «Il disegno è sempre stato lì a tenermi compagnia sin da quando ero piccolo. Abitando in campagna con la città distante, la fantasia e la matita erano il mio passatempo preferito. Se mi ispiro a qualcuno? In realtà non proprio, anche se essendo un divoratore di Dylan Dog credo che qualcosa a Bruno Brindisi, o allo stesso Corrado Roi, l'ho involontariamente rubato». Qual è il messaggio che cerchi di trasmettere? «Il personaggio di Nope nasce con l'idea di trattare ogni tema, a volte anche scomodo, con ironia e cinismo. È un modo per far sentire meno sole le persone che provano determinate cose (come ansia, solitudine o scelte sbagliate). Spesso abbiamo paura di aprirci o di farci vedere nudi per quello che siamo, solo per paura di essere giudicati o per qualche stupido cliché che nel 2021 ha abbastanza stufato». Su Instagram hai molto seguito, come sei riuscito ad ottenere questo successo? «La verità? Non ne ho la minima idea. No, sul serio la cosa è esplosa da sé senza che io me ne accorgessi».

abbandonano la strada dell'arte poiché non abbastanza vantaggiosa. Cosa ti sentiresti di consigliargli? «Tu smetteresti di respirare? L'arte ti prende tutto e spesso ti ridà meno di quello che tu le hai dato, ma allo stesso tempo ti salva la vita. Anche se non riesci a farla a tempo pieno, non vuol dire che va lasciata, soprattutto se è una cosa che personalmente ti fa bene. Non serve guardare gli altri e fare paragoni con quello che tu in prima persona stai facendo. L'arte, se la ami, se la vivi, serve per prima cosa a te. Poi se arriva agli altri è un bene, ma deve essere in primis un salvagente e forma di ossigeno personale».

Luca Chiabolotti

Ricevi mai critiche? Come rispondi ai giudizi? «Per assurdo non ho mai ricevuto critiche o hating nei miei confronti, magari qualche idea diversa dalla mia su alcune cose. Però ho capito che parlando e rispettando il parere di entrambe le parti si arriva sempre ad una conclusione che può convivere insieme. Ovvio, questo vale se dall'altra parte c'è una persona pensante e non un ignorante». Molti ragazzi pieni di talento molto spesso

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? «Troppi, faccio e progetto troppe cose e spesso le lascio a metà. A parte questo, ora sto scrivendo un romanzo (la data della fine è ancora lontana), ma soprattutto sto scrivendo il primo album della mia band e lì sto mettendo tutto il mio tempo, sudore e ore di sonno».

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A RTE

di Angelo Morlando

Modalità: no HUMANS Mostra internazionale alla Andrea Nuovo Home Gallery di Napoli

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rima di tutto, la descrizione della mostra tenutasi nella "Andrea Nuovo Home Gallery" di Napoli, nelle parole dello stesso curatore, cioè Massimo Sgroi, critico d'arte contemporanea e scrittore che ha al suo attivo alcune delle più importanti collettive e personali realizzate in Italia negli ultimi 25 anni: “Quando la visione immaginifica del futuro si ribalta sul progetto a brevissimo termine, l’angoscia psichica dell’umano del terzo millennio prende il sopravvento sulla retorica della Bellezza. Più che salvare il mondo essa diventa estroflesso paesaggio del vuoto dell’anima sedimentando angosciosi strati della previsione della catastrofe, ciò che porterà il pianeta alla modalità No Humans. Paradossalmente in un mondo dominato dal web l’umano perde la capacità di pensare in termini collettivi isolandosi nel pensiero individuale nell’attesa del punto di non ritorno. La sublimazione del desiderio non si manifesta più in termini attrattivi o come assecondamento della pulsione erotica, essa diventa piuttosto distruttiva, violenta, aggressiva e prigioniera (vedi il problema pandemico, ad esempio) di regole precodificate da altri. E la coscienza etica diventa aggressione verso l’avversario. Nell’equivoco di fondo che si crea in una simile condizione sociale, l’ambiente, la problematica della protezione del nostro ecosistema diventa “altro da noi” quando, al contrario, è parte integrante della nostra stessa esistenza; come il bambino sopravvive grazie al sacco amniotico materno, allo stesso modo l’essere umano esiste in quanto simbionte dell’intero sistema che lo circonda. Come sosteneva Jean Baudrillard, già molto tempo fa: “Il peggio non è che siamo sommersi dai rifiuti della concentrazione industriale e urbana bensì che noi stessi siamo trasformati in residuati”. La specie umana, mirando all’immortalità virtuale (tecnica) sta perdendo la sua particolare immunità”. In tutto questo siamo tutti consumatori schizofrenici di merce, di status symbol pagati attraverso il caro prezzo della distruzione ambientale; il liberismo selvaggio si nutre di estetica, feticcio malata dalla ridondante necessità di creare nuovi simulacri di potere. Bisognerebbe smetterla di essere ologrammi di noi stessi sacrificati sull’altare di una scienza solo fintamente positiva e che prevede la visione reversibile della dicotomia causa/effetto. In tutto questo che senso ha ancora l’arte visuale? Ha, ancora, la potenza di svelare l’inganno o è, piuttosto, l’appiattimento formale sul corpo ibrido della visione estetica neoliberista? 36

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Andrea Nuovo Home Gallery di Napoli

Franco Silvestro looks for Patrick Jacobs

Cioè, per tornare al Delitto perfetto del filosofo francese: se la realtà è accelerata dalla tecnologia, che la spinge verso le sue più estreme e paradossali conseguenze, allora il pensiero deve essere più veloce e più paradossale della realtà stessa. Detto con le sue parole: “Bisogna prendere in trappola la realtà, bisogna essere più veloci di lei”. Ma l’arte, oggi (per lo meno nella sua parte di sistema) altro non è che l’estensione visuale e formale dell’immanente sistema finanziario; essa ne assume le forme producendo la merce feticcio (spesso copertura per il riciclaggio e la creazione di fondi neri) figlia barocca del cosiddetto “capitalismo perfetto” (di cui parla Karl Marx nel terzo libro del Capitale) ovvero quella che produce denaro senza generare né merce né cultura ma solo simulacri auto riproducenti. Nel mondo sottoposto alla oscura teosofia del denaro (ovvero fine a sé stessa) di questa forma di società globalizzata l’artista può essere ancora un detonatore di un accadere che rompa questa geometria dell’assioma teratologico del pianeta o, almeno, come sostiene Gerhard Richter, a consolare? La risposta è sì, a patto che essa viva e si produca al di fuori delle rigide regole del sistema. Sono le cosiddette “isole di libertà” in cui è ancora possibile essere radicali rispetto alla immanente egemonia economica culturale. L’arte riscrive i suoi segni, le sue

strutture linguistiche spesso in maniera inconsapevole ma, non per questo, meno potente. In questa mostra abbiamo piegato il codice linguistico e segnico, appunto, rendendolo funzionale al progetto che, come una Gestalt, va al di là della sommatoria delle singole opere. Il progetto che contiene, nelle scatole cinesi dell’evento l’una dentro l’altra, la narrazione, la funzione estetica percettiva visuale e la concettualità stessa delle opere; come un sistema strutturato come la codificazione onion del programma Tor (per usare l’onnipresente linguaggio cibernetico) lascia libero lo spettatore di scendere dentro le profondità installative della mostra stessa fino a percepire, da sé, la terribile condizione che mette il pianeta Terra nella modalità: No Humans. E, così la trasgressione paradigmatica dell’accumulo di memorie di Helene Pavlopoulou rappresenta l’attualizzazione del mito della Caverna di Platone; la metafora delle ombre di realtà rilegge la nostra memoria appiattendola sulla parete del virtuale. Come sulle pareti della caverna di Platone, l’opera della Pavlopoulou è solo la rappresentazione del reale; attraverso un cromatismo inverso l’artista greca sovrappone il reale al virtuale, la materia all’impalpabile. La dea Mnemosyne torna a ri-velare il suo volto cancellando, forse per sempre, l’assioma comune del ricordo come a significare che non esiste memoria se non c’è nessuno a ricordare. Ma se è vero che tutto ciò che è solido è destinato a svanire nell’aria, allora il corpo dell’umano, il volto, lo sguardo ed il pensiero stesso si trasformano in fantasmi evanescenti come nel lavoro di Federica Limongelli. Una sottrazione, attraverso la sua pittura elettronica, dell’accumulo di realtà che è il vero presupposto alla sparizione dell’umano. Umano che attraversa,


nella sua sostanza fantasmatica, i luoghi in cui la specie morente ha costruito la sua magnificenza; è il corpo che invade il paesaggio e non il contrario. Ed allora l’appartenenza fisica viene soppiantata dalla complessità multimedialica dei mondi elettronici attraverso i quali non abbiamo più identità, siamo, semplicemente e completamente extracorporei ed extraterritoriali. Güler Ates costruisce così i suoi eidola colorati, simulacri di una esistenza ormai persi nella struggente risposta di una uscita dal mondo. Nella mistica della visione contemporanea, l’esistenza stessa di un messaggio e di un codice che lo rappresenta implica l’esistenza stessa di un codificatore che altri non è che l’artista turca stessa. Güler Ates, partendo dalle architetture, finisce per essere costruttrice di mondi. Ed è da questa uscita dagli spazi che nasce il mondo pacificato nell’ambiente naturale di Suzanne Moxhay, laddove le tracce dell’umano vengono lentamente cancellate dal processo di sostituzione. Lo stesso riferimento ad una pittura arcadica dell’artista inglese, ne identifica la necessità paradossale che per abolire la schiavitù dell’umano dalle pulsioni teratologiche sia obbligatorio cancellare l’umanità stessa. E se è vero che la logica degli umani, nel suo spostarsi di continuo verso le alterità tecnologiche, ha assunto un atteggiamento distruttivo verso ciò che è memoria ed ambiente naturale, essa non può che presupporre una definitiva pacificazione attraverso la sua assenza. È questo il presupposto per garantire la sopravvivenza del pianeta laddove il gigantismo

lavoro gli elementi naturali non muoiono, si gonfiano, piuttosto, fino all’eccesso spiazzando le relazioni visive fra l’arte del reale e l’estensione che il digitale consente. Ciò che appare, alla fine, è una super realtà possibile in cui il grande programmatore finisce per essere la Natura stessa. Nell’opera di Bihorel tutti i media finiscono per essere funzionali ad un progetto surreale in cui la concezione omocentrica finisce sepolta sotto la cornice infranta del pensiero come forma definita. Natura che, all’estremo limite finisce per trasformarsi in un groviglio mutante di elementi astratti come nel lavoro di Simon Reilly. La forma trascende sé stessa, si aggroviglia cancellando completamente la premessa formale dell’umano, il ciclo diventa completo, la struttura si polverizza e nel farlo crea le condizioni per una nuova palingenesi figlia di un’entropia assoluta del pianeta. La funzione corporea si perde, quasi dissolvendosi, all’interno dell’elemento naturale proprio attraverso Fernando Camino looks for Barbara Nati

Jean Michel Bihorel e Barbara Nati

delle forme diventa tragitto surreale verso la definitiva riappropriazione del sé come avviene nelle opere di Barbara Nati. L’eccesso irreale delle forme naturali che seppelliscono sotto la sovrabbondanza di forme le poche tracce rimaste; è il compimento della teoria della sparizione dove l’umano non sparisce sotto un eccesso di realtà elettroniche ma, piuttosto, verso una realtà aumentata della stessa natura. Il media-landscape delle immagini della Nati si trasforma nel concetto heideggeriano dell’abitare il mondo laddove le tracce e non più la presenza ne rappresentano i simulacri del suo passaggio. Questa sintesi formale è, allora, premessa per il progetto di Jean Michel Bihorel; nel suo

i cromatismi che lo richiamano. E l’immaterialità della visione è l’elemento centrale della dissoluzione. Reilly diventa la necessaria premessa, allora, al lavoro di Patrick Jacobs; le installazioni dell’artista americano sono delle aperture verso i mondi dell’alterità, laddove forma estetica e struttura formale del paesaggio si trasformano in ricerca estetica dal valore metafisico. L’essere al centro di

questa nuova funzione estetica significa identificare il luogo, inteso come landscape dell’alterità, come detonatore dell’accadere artistico, rendendolo relazionale alla mutazione della visione. Reale e più del reale che, attraverso l’entropia del sistema natura, diventano ricerca di Bellezza, quella funzione estetica che a noi, imprigionati sulla superficie del pianeta, viene quasi sempre fisicamente negata ma che è possibile nel mondo del sogno. Perché, in fondo, noi siamo e restiamo dreamers. Nella condizione di consapevole ibridazione della natura l’umano, quindi, sceglie la presunzione di essere creatore egli stesso, manipolando la terra e gli esseri che ci vivono; questa follia degenerativa si rappresenta, simbolicamente, nel mulo, l’animale che l’uomo crea e che, senza l’intervento umano, non sopravviverà non potendosi, infatti, riprodurre. Il mulo diventa, allora, la metafora della nostra stessa esistenza ridelegando all’umano la scelta di far continuare a vivere il pianeta o di distruggerlo del tutto. Una assunzione di responsabilità prima che la natura stessa rifiuti definitivamente quello che lo scrittore americano Philip Dick definiva: “Fragile, bipede, senziente e parassita del pianeta Terra”.” Di seguito, invece, il colloquio senza barriere intercorso tra Angelo Morlando e Massimo Sgroi. “L’idea della mostra è nata mentre stavo guardando un documentario su Chernobyl. Da quanto riferitomi da studiosi della materia, l’area investita dall’incidente, molto più ampia di quella della centrale, è stata evacuata. Da quel momento è stato impossibile per gli esseri umani entrarvi. Ancora oggi non si può stare nell’area per più di mezz’ora. Paradossalmente, invece, gli animali sono rimasti e hanno subito molto di meno le radiazioni, perché il ricambio genetico degli animali è più veloce del nostro, sia perché mediamente vivono di meno, sia perché la selezione naturale è molto più forte. In sintesi, il mondo animale non umano, è sopravvissuto al disastro. Mancando il maggior predatore, cioè l’uomo, gli animali hanno preso possesso dell’intera area, attraendo all’interno anche i grandi predatori come lupi e orsi. La Natura, quindi, ha ripreso possesso dell’area ricreando un ecosistema come se non ci fossero gli esseri umani, MA… CON LE TRACCE LASCIATI DAGLI ESSERI UMANI (palazzi, strade, ponti, etc.). La mostra è molto politica, perché è chiaro che tra non molto il mondo comincerà a collassare per motivi ambientali e, quindi, attenzione, quello proposto nella mostra è uno dei mondi futuri possibili”.

Massimo Sgroi e Patrick Jacobs Novembre 2021

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S OCIALE

di Fernanda Esposito

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«L'amor che move il sole e l'altre stelle…»

Intervista a Luca Trapanese neo Assessore alle Politiche sociali della città di Napoli e papà di Alba

Luca Trapanese e sua figlia Alba

na bambina che aspettava solo di essere accolta. Un quarantenne single pronto a prenderla con sé. Quella di Luca Trapanese è la storia di un’adozione che ha commosso l’Italia intera e non solo, perché è il primo e ancora l’unico, omosessuale, cattolico, padre di una bambina down che ha adottato nel 2018. Ma chi è Luca Trapanese? Un uomo che dell’amore ha fatto il motore della sua vita. Classe 1977, si dedica al volontariato sin dall’adolescenza. Coordina progetti di sviluppo economico e sociale in India e in Africa. Ha fondato la onlus A Ruota Libera, punto di riferimento per le famiglie napoletane con persone disabili, ma anche comunità per ragazzi orfani e disabili, una scuola di recupero di antichi mestieri napoletani per giovani disagiati e una casa-famiglia per bambini con gravi patologie, unica in tutto il Sud Italia. Queste esperienze lo hanno reso un uomo e

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un padre speciale, un riconoscimento che si è trasformato in nomina come Assessore alle Politiche sociali voluto dal neo sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, lo scorso 22 ottobre. Una svolta per la città e per i cittadini che ripongono molte speranze in una persona come Luca. Gli chiediamo subito: se l’aspettava? «No, non lo sapevo affatto, me lo ha anticipato un’amica giornalista che avrei fatto parte della giunta Manfredi come tecnico». Ha accettato senza esitare? «Sì, perché anche questo lo ritengo un gesto d’amore. L’amore si può declinare in varie forme come la paternità, verso un’altra persona, l’amore verso la propria città, Napoli. Certo non sarà facile, è molto impegnativo e faticoso, bisogna pensare al bene del cittadino e non è tutto così scontato». Quali sono le prime tre cose che intende fare come Assessore? Quali le priorità sociali in una città come Napoli? «Penso sia indispensabile partire dal tessuto sociale, dal territorio. Ho ascoltato e continuerò ad ascoltare le persone, gli enti, le organizzazioni che si sono sostituite alle istituzioni fornendo, spesso, servizi migliori. Mi piacerebbe aprire un Registro degli affidi che a Napoli non esiste, con tutto quello che ne consegue, perché non siamo ancora preparati all’affido in Italia, soprattutto al Sud. In previsione del freddo vorremmo riattivare un dormitorio pubblico completamente ristrutturato con fondi europei nel centro di Napoli, e passare da 40 a 80 posti su 120 per via del Covid. Non da ultimo indagare la periferia e conoscere i parroci e le associazioni che lavorano in situazioni di degrado e che sono i veri eroi della nostra società, secondo me». Come gestisci il tuo nuovo ruolo in politica e il ruolo di genitore? «È tutta una questione di organizzazione. Alba va a scuola ed esce alle tre, quindi per una buo-

na parte della giornata siamo autonomi, poi naturalmente c’è una persona che mi aiuta. Io lavoro e quando torno a casa mi dedico ad Alba; poi c’è il week end, quello è sacro, dal venerdì alla domenica il tempo è tutto nostro. Poi è chiaro che è importante, anzi fondamentale, non la quantità ma la qualità del tempo che si dedica ai figli. Alba è una bambina piena di gioia. I figli sono felici se i genitori sono sereni. Si può crescere con un padre, con una mamma e un papà, due mamme o due papà senza problemi se si è sereni e consapevoli di essere dei genitori. Alba è una bambina che vive la sua quotidianità con grande serenità e felicità, per esempio, non c’è stato mai un giorno che lei abbia pianto portandola a scuola: mi abbraccia e mi dà un bacio che dura cinque minuti e poi se ne va per mano con la maestra. Alba sta bene poiché è circondata da tanta serenità». Dopo qualche anno qual è il bilancio della tua paternità: torneresti ad adottare un bambino disabile? «Assolutamente sì, senza alcun dubbio. La disabilità fa parte della mia vita e penso che ciò che ci spaventa può invece renderci felici. Bisogna rieducare alla diversità, alla disabilità. C’è troppa ignoranza in merito invece bisognerebbe interrogarsi almeno per capire di cosa hanno bisogno le persone disabili per avere un po' di pace o almeno di cosa hanno bisogno le famiglie troppo spesso lasciate da sole». L’undici novembre esce il tuo primo romanzo “Le nostre imperfezioni” edito da Salani. Qual è il messaggio in breve? «C’è molto di Luca in questo romanzo, molte esperienze forti. Ho ancora molto da raccontare. Il libro parla di omosessualità e amore, e disabilità: la vita è imperfetta non esiste la perfezione e la normalità; e nessuno può arrogarsi il diritto di stabilire cosa lo è o non lo è».


L IBRI

IL MIRACOLO DELLA SANTA PICCOLA ALLA BIENNALE DI VENEZIA di Gianrenzo Orbassano

Intervista allo scrittore Vincenzo Restivo, autore del libro “La Santa Piccola”

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uella della Santa Piccola è una storia di miracoli, nata dal cuore dello scrittore Vincenzo Restivo, docente di lingue e letterature straniere a Firenze. Nato a Caserta, ha all’attivo sette romanzi: narrativa dalle trame crude, sincerità difficili da accettare. Storie di profonda necessità, così come “La Santa Piccola” (Officina Milena, collana Milena Rainbow 2017). Una storia a cui si ispira il film della regista Silvia Brunelli, con la sceneggiatura di Francesca Scanu, prodotto dalla Rain Dogs Production. Ed ecco che il miracolo sbarca alla Biennale College Cinema di Venezia 2021. La Santa Piccola è uno spaccato delle palazzine popolari di Forcella, contagiato da una adolescenza vissuta in un mondo complesso. Le vite sono quelle di Mario, Lino, Assia e della piccola Annaluce, la «santa bambina». Esseri umani incastrati nella realtà di quell’ambiente. Tutti a loro modo coinvolti ed esposti alle criticità dell’esistenza. Leggendo il libro, mi hanno ricordato i personaggi di Fabrizio De André nella sua “Città Vecchia”. Cambiano le dinamiche, le presunte colpe, il teatro dove cantano il loro personalissimo dramma,

Vincenzo Restivo

ma non il loro destino. De André ci consigliava di non guardarli con pietà borghese, ma di provare a compatirli. Ad accettarli, finalmente. Con Vincenzo Restivo abbiamo percorso i passaggi che hanno trasformato questo libro in un film. L’Intervista parte da una premessa molto sentita da parte dell’autore: «Dei quotidiani hanno riportato che il mio libro “La Santa Piccola” è ispirato alla vicenda orribile di Fortuna Loffredo. Non è così. Ho avuto problemi in merito, mi sembrava giusto ribadire questo concetto». Nel tuo libro parli di miracoli, tocchi temi come l’omosessuali-

tà, la violenza e la prostituzione minorile. Come hai fatto ad incastrare le vite dei tuoi personaggi in questo contesto? «C’è un film di Antonio Capuano, “Pianese Nunzio, 14 anni a Maggio”. È la storia di un ragazzino di Napoli che ha una relazione con un prete. Questo film mi ha colpito per come è stato girato. Ogni personaggio, in modo omodiegetico, guarda la telecamera e si presenta in prima persona. Allo stesso modo ho voluto che i miei personaggi si presentassero come davanti ad una telecamera, raccontando il loro punto di vista. Leggendo il mio libro, avrai quindi diversi punti di vista della stessa storia. È stato un ottimo spunto per dare una direzione al racconto»

“La Santa Piccola” poi sbarca a Venezia. Come è successo? «Nel 2017, Marco Luca Cattaneo (produttore della Rain Dogs), mi propose di portare il libro sul grande schermo. Conobbi poi Silvia Brunelli, la futura regista del film. Fu così che decidemmo di intraprendere questo viaggio insieme. Partecipammo al concorso della Biennale di Venezia. Si è puntato in alto ed è andata bene! Nel film ci sono state delle modifiche al testo originale. Penso che il lavoro di sceneggiatura fatto da Francesca Scanu è stato meraviglioso. È stata rispettosa dell’anima, dei personaggi e dell’intenzionalità della storia stessa» Nel tuo libro si nota un linguaggio non politically correct. Il film ha conservato questo aspetto? «Assolutamente. Nella narrativa punto a rompere degli equilibri. La lingua serve anche a comunicare il dolore, l’instabilità. La linearità stanca, certe insofferenze puoi comunicarle solo attraverso il disequilibrio linguistico, mettendo da parte inutili armonizzazioni. Nel libro e nel film, i personaggi sono degli scugnizzi, si esprimono anche in dialetto, non possono avere un linguaggio forbito. C’è tutta l’anima del sottoproletario, la questione della Napoli degradata. Nel libro, il teatro del racconto è Forcella; nel film invece quello della Sanità. Proprio il Teatro della Sanità, in parte, si è occupato del casting degli attori del film».

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M USICA

di Ilaria Ainora

«La mia idea di libertà è un mondo con meno diseguaglianze e più felice»

Roberto Colella, frontman de La Maschera, tra musica e libertà ex presidente del Burkina Faso. A distanza di trent'anni dall'omicidio, perché scrivere un testo sulla sua storia e quale il monito che se ne ricava? «Ci sarebbero mille motivi per ricordare l’esempio di Sankara. Forse perché se ne parla troppo poco, forse perché è una storia volutamente cancellata dai suoi assassini… o forse perché, oggi più che mai, la Felicità andrebbe messa al centro delle priorità di ogni essere umano. È Roberto Colella tra le canzoni con la gestazione più lunga… ci ho messo quasi 6 mesi a rontman dei La Maschera, primo album scriverla. Andava puntata la ‘lente di ingrandida solista nel 2020. Roberto Colella, elemento’ nella giusta direzione e volevo venisse mento di punta nel panorama musicale fuori un’umanità che non fosse necessariamencampanano: magistrale interprete, voce che te ‘rivoluzione’, ‘comandante’ ecc. Mi interessa tocca le corde dell’anima di chi l’ascolta, penna il sentimento che potrebbe nascondersi dietro puntuale e incisiva. I suoi testi delineano l’imla sua storia». magine di un acuto e critico osservatore della Qual è "la tua idea di libertà"? La musica è uno società moderna, capace di trasmettere messtrumento per raggiungerla o, ai tempi d'oggi, saggi forti con poche semplici parole. Si lascia la stessa sconta pesanti restrizioni e fatica a intervistare e conoscere meglio, confermantrovare piena espressione? dosi, oltre che un impeccabile esecutore, una «Bella domanda, ma andrebbe scritto un tratmente di rara sensibilità. tato! La libertà è armonia. È collettività… ma Per iniziare, parlaci un po' di te. Quando hai anche star bene da soli. È amarsi. È svegliarcapito che potevi vivere di musica? Che emosi e fare una scelta. La mia idea di libertà è un zione hai provato? mondo con meno diseguaglianze e più felice. «Nel mio caso, potrei dire di averlo capito dopo Ma ci sono ancora troppe cose inaccettabili… averlo scelto. Vivere di musica ha bisogno di e la musica, per quanto sia per me libertà assocontinue conferme e di impegno costante e luta, vive difficoltà sotto tanti punti di vista. In profondo. Quando capita, mi emoziona pensapiù, l’Italia è un Paese sempre poco attento alla re alle persone incontrate e alle strade ancora sua storia e al suo futuro. Trovo agghiacciante da percorrere. Partire dalla periferia costruenil modo in cui siano stati abbandonati settori do mattoncino su mattoncino regala belle sodfondamentali per la nostra cultura quali musica disfazioni. Ma nun ce pensamm’, meglio non e teatro. Declassiamo a beni non necessari cose concedersi troppo ‘relax’ che c’è ancora tanto che invece dovrebbero essere sacrosante. Molda fare». tissimi altri paesi sono ripartiti a pieno regime Nei tuoi live fai ascoltare al pubblico una canmentre da noi ogni regola viene a mancare solo zone ispirata alla figura di Thomas Sankara, se parliamo di comizi e altre porcherie sotto gli

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occhi di tutti». Il legame con l'Africa è tangibile nell'album "ParcoSofia" dei “La Maschera”, di cui sei frontman. In "Te vengo a cercà" dici «Chesta è Napule e non è Africa»: cosa accomuna e cosa separa queste due realtà? «Ammetto che la parola Africa in questo caso possa essere dispersiva. L’Africa ha mille sfaccettature. Tra centro storico a Napoli e Castel Volturno ho avuto modo di conoscere ragazzi provenienti da diversi paesi del continente nero. ‘Te vengo a cercà’ ci portò in Senegal. Sono entrambi sud non solo nell’accezione geografica. Il sud si manifesta nell’approccio alla vita, nella capacità di adattamento, qualcosa che riconosci subito, nel bene e nel male. A separare le due realtà c’è ovviamente un dato di fatto: siamo molto più fortunati, anche se lo dimentichiamo spesso». Il tuo primo album si intitola "Isolamente", un gioco di parole rievocativo del recente passato di chiusura nelle mura domestiche. Eppure l'isolamento si colora di un'accezione positiva, legata all'inventiva e alla creazione artistica. Quale il confine, secondo te, tra l'"isola felice" dell'artista e la solitudine? «Quello che è stato accolto come primo disco da solista in realtà è stato il mio divertimento, la mia salvezza mentale durante la quarantena. Il titolo si regge proprio su questo gioco di parole: Isolamento, isola felice ma anche solitudine (Je sulamente). Il confine è sottilissimo. Ho vissuto il lockdown cercando di trarne l’esperienza migliore possibile per me stesso. Ho suonato, letto, scritto, praticamente ogni giorno, quasi ogni ora. Condividere sui social inventando rubriche o intrattenere con un programma radiofonico (Radiolella) mi ha permesso di evitare per un po’ il dramma della solitudine… anche se, sì, ci sono state giornate toste assaje. Il disco è stato un po’ la fotografia di un anno di intrattenimento fatto interamente in casa».

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L IBRI

di Anna Copertino

Una scrittrice americana col cuore napoletano L'autrice Heddi Goodrich si racconta ai microfoni di Informare

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eddi Goodrich è una scrittrice americana classe 71, laureatasi a Napoli, dove ha vissuto per qualche anno dopo aver completato gli studi. Oggi vive a Auckland in Nuova Zelanda. La Goodrich scrive in italiano ed il suo romanzo d’esordio, Perduti nei Quartieri Spagnoli, tradotto in tredici lingue è stato un grande successo internazionale. Il suo nuovo romanzo, L'americana, ha grande intensità e forza. Storie d’amore e di conoscenza, di voglia di scoprire il mondo e di capire, di sofferenza e di gioia di vivere. La sua è una lingua italiana luminosa, fresca, amata e reinventata da una scrittrice di incredibile talento. I personaggi sono ben delineati, in special modo dal punto di vista caratteriale. Imperdibile, per chi scrive della nostra terra, il topos del mare come luogo a cui affidare la propria anima, così come il rapporto madre-figlio. Perché Heddi Goodrich che è americana e vive in Nuova Zelanda sceglie di scrivere in lingua italiana? «Lo scrittore polacco Joseph Conrad diceva dell'inglese nel quale scriveva: "questa lingua che io non possiedo, ma che mi possiede." Mi ritrovo molto in queste parole. Quella di scrivere in italiano per me non è stata una scelta bensì un arrendermi a qualcosa, al destino forse, o alla mia vera essenza. L'unica scelta ragionata è stata quella di crescere i miei figli in una casa bilingue, ed è grazie al rapporto intimo con loro che mi sono riavvicinata a quella lingua che avevo appreso a partire dall'adolescenza a Castellammare di Stabia. Pensavo di averla dimenticata e invece era sempre lì, nel mio profondo, pronta a rinascere». Quanto ha influito vivere a Napoli nella vita personale e professionale di Heddi? «Ho vissuto nella provincia di Napoli durante i miei anni formativi, quindi l'ascendente di quei luoghi e di quella gente è incalcolabile; fanno

Heddi Goodrich

parte di me. Ma ha influito anche in modo concreto sulla mia vita: con la mia laurea dell'Orientale di Napoli ho seguito un percorso professionale legato all'insegnamento delle lingue e alla traduzione». Tante vite e anime ne “L'Americana”, ma Anita e Frida sono le protagoniste indiscusse del romanzo, chi sono queste due donne? «Anita e Frida, due donne che appartengono a generazioni e culture diverse, ma che cominciano ad assomigliarsi sempre di più (o magari

a fondersi l'una con l'altra): a indossare le stesse ciabatte, preparare gli stessi piatti, perfino il loro ciclo mestruale si sincronizza. Da sconosciute che non si erano mai viste in vita loro, pian piano diventano come una vera mamma e figlia, e ben presto non è più chiaro chi è la vera americana: la giovane statunitense riservata e "troppo integra" che arriva per uno scambio culturale, oppure Anita nata nella Gragnano del primo dopoguerra che è da sempre una donna libera, ribelle, aperta alle mille esperienze, e le mille ferite, della vita». Grande spazio ai luoghi, il monte Faito, Gragnano, Castellammare di Stabia, e tanti altri, quanto di ciò che racconta, conserva nel suo cuore? «Per me i luoghi naturali sono dei personaggi a sé, sono vivi come è vivo il nostro pianeta. E noi essere umani, che lo vogliamo o no, siamo continuamente influenzati dal mondo naturale: dalle maree e le montagne, dai tramonti e dai fiumi. I paesaggi naturalistici, ma anche quelli storici, rispecchiano i nostri paesaggi psicologici, non vedo distinzione. Quelli che descrivo nel romanzo sono quasi tutti luoghi che mi hanno lasciato un segno, che mi hanno cambiata in qualche modo (anche sconcertandomio spaventandomi), luoghi con cui ho un rapporto profondo ma non necessariamente sentimentale». A 35 anni dalla sua prima volta in Italia, a Napoli, cosa ha ritrovato immutato e cosa modificato? «A me sembra che quel processo di rivitalizzazione che era iniziato a Napoli negli anni novanta, quella stagione di speranza e voglia di rinascita, stia cominciando a dare frutti sul serio. È bello vedere i vicoli dei Quartieri Spagnoli, per esempio, pieni di locali e turisti. Ma la gente, per fortuna, la trovo uguale. Tornare a Napoli è sempre un abbraccio, un urlo, un'esagerazione».

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E NOLOGIA

di Maddalena Sorbino

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Il panettone dal sapore di-vino

d occidente della provincia di Benevento, al centro di una vallata accerchiata dal Monte Burrano, dal Monte Longano, dal Monte Aglio e infine dalla gola di Tagliola (nei pressi di Sant’Agata de’ Goti, per intenderci) sorge Durazzano. Si tratta di un paesino delizioso il cui nome deriva dal primitivo Oraczanum che, insieme al termine Durazzano, per la sua flessione aggettivale, sembra che siano nati da un antico possesso prediale. Questo comune vanta una posizione di prestigio nel campo vitivinicolo. I vini prodotti in questi luoghi sono noti per la singolarità e la particolarità delle caratteristiche organolettiche, merito anche dell’altitudine della provincia, posta a 286 metri sul livello del mare. Questo ha permesso ai produttori, nel tempo, di trovare la posizione ideale per i loro vigneti, così da ottenere uve idonee per elevati standard di produzione e richiesta. Molte, infatti, sono le dominazioni di origine dedicate al vino come il Benevento IGT, la Falanghina del Sannio DOC e il Sannio DOC. In particolare si produce un’ottima Falanghina,

madre e nettare eccezionale del nostro prodotto da forno dal sapore di vino: il panettone artigianale alla Falanghina di Nonna Rosa. Le prelibatezze di Nonna Rosa è un marchio che nasce nel 1969 grazie a due concetti di fondo con i quali si raggiunge l’eccellenza: la qualità e l’artigianalità. L’idea fantastica da cui nasce questo panettone è il voler offrire ai palati più disparati fragranze e sapori antichi ma al contempo nuovi: antichi grazie alle antiche ricette di Nonna Rosa, nuovi grazie a suo nipote Carmine, lo chef che permesso la continuazione di una così bella tradizione puntando ai prodotti freschi, naturali e genuini. Un modo per differenziarsi dalle produzioni industriali a favore del potere dell’artigianalità. Tutto ciò renderà il vostro (e nostro!) periodo natalizio ancora più esilarante e non potrete più fare a meno di questa pregevolezza. Pensate che il panettone alla Falanghina DOC del Sannio riposa e lievita per 24 ore, processo che permette di esaltare i sapori giusti, quelli che renderanno uno dei periodi dell’anno ancora più caratteristico.

E, se vi state chiedendo come accompagnare questo amabile e saporito manicaretto, la risposta è più semplice di quanto si possa pensare: ovviamente con la Falanghina. Che sia, però, decisamente quella del Sannio, magari invecchiata, oppure giovane se piace di più, andando un po’ contro le solite convenzioni dell’abbinamento cibo dolce – vino dolce, perché spesso è bene provare altro, sperimentando ignoti e inconsueti assaggi che possono dar vita dentro di noi a nuovi ricordi ed emozioni. Perché il potere del cibo, e del Natale, è anche questo.

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C INEMA

di Marianna Donadio

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"Red Rocket"

arriva alla Festa del Cinema di Roma

o chiamano il sogno americano perché devi essere addormentato per crederci". Lo diceva il comico George Carlin e sembra volerlo confermare il regista Sean Baker con la sua ultima sorprendente pellicola: "Red Rocket". Il film, presentato al Festival di Cannes e vincitore del Premio della Giuria e della Critica al Deauville Film Festival, è arrivato alla 16esima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione “Tutti ne parlano”, per la sua primissima proiezione in Italia. Divertente, emozionante e crudamente realistico, questo lungometraggio immortala l'America che si nasconde dietro le vetrine, usando come sfondo il Texas conservatore ai tempi della campagna elettorale trumpiana, dove il nazionalismo tossico e l'ormai deteriorata idea

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di American Dream si fanno sentire più forte che mai. Mikey "Saber" Davis, magistralmente interpretato da Simon Rex, è un ex pornoattore fallito che fa ritorno alla città di origine, in Texas, cercando ospitalità dalla moglie Lexi (Bree Elrod), che convive con la madre (Brenda Deiss). Una volta ottenuta la loro ospitalità, Mikey si impegna a tornare ad un'apparente normalità, recuperando il rapporto con la moglie e la suocera e aiutandole economicamente, lavorando come spacciatore. L'incontro con Strawberry (Suzanna Son), un'appariscente diciassettenne che lavora in un negozio di dolciumi, lo farà però tornare al suo vecchio stile di vita. La relazione che nasce tra i due, come tutti i rapporti umani stabiliti dal protagonista, nasconde alla base un mero scopo utilitaristico e approfittatore. Eppure è proprio così, approfittando dei suoi rapporti con famose pornostar, che Mikey era arrivato in alto, prima di rimanere vittima della sua stessa ambizione. Il mondo di Hollywood su cui aveva scommesso tanto lo ha infatti scaricato, dopo anni di lavoro, facendolo passare dagli alti di una vita di lusso ai bassi di una condizione di semi barbonismo, con un passato che non gli consente sbocchi lavorativi, se non lo spaccio. Il film non mostra alternative: nella scalata verso il successo, vista erroneamente come unica via di fuga

da una vita mediocre, è intrinseca una buona dose di crudeltà e di egoismo, che non mancano al nostro protagonista. Ma l'America continua ad arricchire le sue vetrine con i prodotti di questa ingiusta e crudele corsa verso la fama hollywoodiana, capace di seppellire i sogni e le potenzialità di una ragazzina, facendone una cinica, seppur ingenua, adulta. "Red Rocket" si rivela alla fine una riuscitissima combinazione di amaro umorismo e scene che colpiscono allo stomaco, il tutto sotto la guida di una regia meticolosa, che non lascia nulla al caso e che si avvalora spesso di uno zoom-crash tarantiniano. Imperdibile. Dopo "Tangerine" (2015) e "Un sogno chiamato Florida" (2017), Baker riconquista il grande schermo con quello che si annuncia un grande successo che lascerà spazio a numerosi dibattiti. Il film, prodotto dalla A24, sarà diffuso negli Stati Uniti solo il 3 dicembre. In Italia, dove verrà distribuito dalla Universal, la data di uscita non è ancora nota. Una cosa però è certa: ne sentiremo parlare.


C INEMA

di Lorenzo La Bella

Dune: Parte Uno Il Dormiente si è svegliato in un paio di spiegoni all’inizio, lasciando il resto del film libero da infodump per permetterci di ammirare il contrasto tra gli intrighi di palazzo dell’Impero e la brutale lotta per la sopravvivenza su Arrakis-Dune, il pianeta da cui proviene la spezia. La storia è molto semplice, in apparenza: il giovane Paul Atreides, figlio del reggente di Arrakis, si ritrova reso orfano e perseguitato dai perfidi cugini Harkonnen, i quali vogliono il pianeta per dominare i traffici di Spezia. Per vendicarsi si allea con

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i sono due film in questo 2021 che hanno distrutto ogni aspettativa nel migliore dei modi possibili, per me: The Suicide Squad di James Gunn e Dune di Denis Villeneuve. Del primo parlerò in un futuro articolo: il secondo l’ho appena visto per la seconda volta. È diretto da Denis Villeneuve, regista del Québec già famoso per capolavori come Enemy, Prisoners, Sicario, Arrival e Blade Runner 2049. Un regista minimalista dai set e la fotografia spogli e dalle inquadrature capaci di far sembrare i suoi soggetti giganteschi, che siano ambientazioni o personaggi. E proprio di un regista del genere vi era bisogno per adattare Dune, un mattone di oltre 500 pagine in cui l’Universo versa in un Impero Galattico feudale dove i computer sono umani in carne e ossa, ci si addestra a manipolare il proprio genoma con la forza del pensiero, e il traffico che fa guadagnare tutti è la Spezia, una droga che ti permette di navigare nell’iperspazio. Tutto questo, per fortuna, Villeneuve lo rilega

i nativi di Arrakis, i Fremen, integralisti religiosi, i quali vogliono indipendenza dall’impero e che credono che Paul possa essere il prescelto (Muad’dib) che li libererà, secondo una loro profezia. Peccato però che Paul sia un bastardo senza molti scrupoli né moralità che fa tutto questo perché è stato accidentalmente creato come messia (Kwisatz Haderach) negli esperimenti genetici dell’ordine monastico a cui appartiene sua madre, lo stesso ordine monastico che

ha impiantato la profezia nella cultura Fremen per manipolarli per i propri scopi, e che tutta la Jihad seguente (di cui si vedrà l’inizio in Dune: Parte Due) sia un colossale errore. Dune è quindi una profonda e complessa esplorazione di come il potere corrompa, dei danni che il fondamentalismo possa fare, e dei danni portati dall’imperialismo e dal colonialismo. Lo stesso Arrakis un tempo era un pianeta verde e lussureggiante, ma fu reso un deserto per facilitare le condizioni di estrazione della Spezia. Fate voi i vostri paragoni con il Medio Oriente e il petrolio. Erano questioni scottanti già nel 1965, quando uscì il libro. I Fremen, del resto, sono esplicitamente arabi, e l’Impero, per feudale che sia, ha la brutta abitudine di vestirsi in divise molto, molto fascistizzanti. Il film, come detto, è un adattamento molto fedele. Le poche cose tralasciate sono tralasciabili, nell’enorme e densissimo mondo di Dune, anche perché saranno importanti solo nella seconda parte. Timothée Chalamet ha la faccia perfetta per un futuro aizzapopoli freddo e vendicativo come il protagonista, e il film finisce proprio al momento giusto, lasciandoti contemporaneamente l’acquolina in bocca per la seconda parte e la soddisfazione di aver visto un’epoca moderna. Ed era ora. Dopo quasi sessant’anni e due tentativi andati se non male non proprio bene, finalmente Dune è stato adattato come la decenza comanda. Finalmente, il Dormiente si è svegliato.

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D ENUNCIA

di Nancy Gargiulo

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Stop ai test cosmetici sugli animali

impiego di test su animali per le verifiche di sicurezza da parte dell’industria cosmetica ha subito negli anni una costante e progressiva limitazione, ma, nonostante gli esperimenti siano stati vietati in Europa già a partire dal 2009, migliaia di animali soffrono ancora nei laboratori. L’11 marzo 2013 ha segnato infatti l’entrata in vigore del divieto di commercializzare i prodotti cosmetici contenenti ingredienti testati per particolari studi di tossicità (tossicità da uso ripetuto, tossicità riproduttiva e tossicocinetica) al di fuori dell’Europa comunitaria, l’Unione Europea ha decretato il bando totale della sperimentazione animale a scopi cosmetici. Fin dall’inizio degli anni ’90, dunque ben prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, l’industria cosmetica si è attivata per trovare metodi di analisi alternativi a quelli animali. Basti pensare che già nel 1992 Cosmetics Europe – The Personal Care Association (asso-

ciazione europea di riferimento per l’industria cosmetica) aveva creato una commissione sui metodi alternativi ai test animali (SCAAT). Lo scopo era, ed è ancora oggi, quello di coordinare gli sforzi che l’industria stava e sta dedicando allo sviluppo, alla creazione e alla validazione di metodi innovativi, capaci di valutare la sicurezza sia degli ingredienti sia dei prodotti finiti. Secondo l’ECHA (European Chemicals Agency) «In Europa utilizziamo in media almeno sette prodotti cosmetici differenti al giorno. Si va dai prodotti per l’igiene come sapone, shampoo, deodorante e dentifricio a prodotti di bellezza come profumi e trucco. I cosmetici contengono molte sostanze chimiche». The Body Shop e Dove, con il supporto di organizzazioni tra cui PETA (organizzazione no pro-

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fit a sostegno dei diritti degli animali), Cruelty Free Europe, HSI, Eurogroup for Animals ed ECEAE, si stanno impegnando per invitare i cittadini europei a mobilitarsi contro queste decisioni firmando una petizione, il cosiddetto “Diritto d’Iniziativa dei Cittadini Europei”, già disponibile online. «Oggi la sperimentazione animale non è più necessaria per garantire la sicurezza di tutti nell’ambito dei cosmetici, in particolare grazie a moderne alternative scientifiche, non animali e altrettanto rilevanti per l'uomo, già sviluppate e utilizzate da decenni dagli specialisti», affermano i due marchi in una nota congiunta. Per consentire al maggior numero possibile di persone di conoscere l’esistenza di questa petizione europea, The Body Shop e Dove hanno dato vita per le strade di Berlino, Parigi, Milano e Madrid ad una campagna di sensibilizzazione a grandezza naturale. Sono dunque apparsi murales per le strade di queste principali città che hanno come oggetto un disegno che richiama la sperimentazione sugli animali, accompagnato dalla scritta “l’Europa ci sostiene nel porre fine ai test sugli animali” e dall’hashtag #savecrueltyfreecosmetics. Una campagna di sensibilizzazione realizzata a stretto contatto con l'artista e attivista dei Pesi Bassi Nina Valkhoff. «È profondamente triste dover combattere ancora una volta una battaglia che i cittadini europei pensavano di aver già vinto, ma con un Diritto d’Iniziativa dei Cittadini Europei che abbia successo possiamo farci ascoltare dai leader, proteggere questi divieti fondamentali e garantire un'azione concertata per porre definitivamente fine alle sofferenze degli animali nei laboratori dell’UE», sperano i gruppi attivi nella protezione degli animali che stanno collaborando a fianco dei due marchi di cosmetici.

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M ODA

di Chiara Del Prete

Riciclare la lana si può!

Le metodologie di riciclo per una moda sostenibile

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ambio stagione, cambio d’indumenti. Messi da parte gli abiti leggeri, al loro posto sopraggiungono capispalla o tessuti caldi e morbidi come la lana, il velluto o il cachemire. Nel bel mezzo della riorganizzazione dell’armadio non manca occasione per fare decluttering ovvero eliminare capi ed accessori ormai vecchi, fuori moda e inutilizzati per far spazio a qualcosa di nuovo o necessario. Ma a ben guardare alcuni degli indumenti scartati possono essere anche rigenerati se caratterizzati da un determinato requisito: essere composti da materiali riciclabili. Il cotone, il cachemire, la lana ed anche il jeans sono composti da fibre tessili tali da consentire un nuovo ciclo vitale. Di fatto, rigenerare un tessuto significa proprio concedere una seconda possibilità ad un abito come ad uno scarto tessile. Si procede a riportare quel tessuto allo stato di fibra quindi per la seconda volta viene lavorato per essere un filato e tessuto per diventare un capo d’abbigliamento. Oltre che affascinante, la rigenerazione è un processo altamente sostenibile perché esclude la lavorazione continua di fibre vergini e la creazione di sempre nuovi filati, tessuti, abiti et similia. Scegliere abiti rigenerati poi, comporta sostegno alla salvaguardia dell’ambiente, massimizzazione del riutilizzo degli scarti, riduzione d’uso di acqua e rifiuti, ma anche miglioramento delle condizioni sociali e supporto all’economia circolare. Tanti lati positivi contrastati da un’unica nota a sfavore: infatti seppur di supporto al riciclo etico, le fibre non possono essere rigenerate all’infinito. Nell’atto di rigenerazione della lana, ad esempio, la fibra tende a restringersi tant’è che allo stato vergine è lunga, mentre allo stato rigenerato questa è corta. Il problema a monte di tutto il sistema è che si produce troppo e male, i tessuti investiti nel fast fashion sono quasi totalmente in fibre non rigenerabili e miste. Il mixare fibre è un atto utilizzato anche negli indumenti in lana, è sempre più raro trovare

etichette che garantiscano il 100% di un solo materiale. Per tal motivo, nel sistema della rigenerazione gran parte del tempo è dedicato allo smistamento delle fibre, letteralmente gli stracci vengono categorizzati per la consistenza ed il colore. Con la loro lavorazione si crea una nuova materia per ideare tessuti e si raddoppia il ciclo vitale complessivo di quelle stesse fibre rimandando il momento in cui diventeranno rifiuti. Con la rigenerazione si ottengono tessuti di ottima qualità e con un duplice e a volte anche triplice valore. Nella lana tre possono essere i processi da attuare: può avvenire meccanicamente quindi senza alcun intervento chimico ad alto impatto ambientale, si può prevedere un’inversione del sistema di utilizzo della lana stessa in cui il suo utilizzo potrebbe essere impiegato nelle imbottiture ed infine, è ipotizzabile ed attuabile il non intaccare il tessuto, ma reindirizzarlo ad altro uso modificando la forma. Si può quindi utilizzare uno stesso capo per un fine diverso

evitando la rigenerazione ove possibile. Queste metodologie di riciclo vengono adottate da fine Medioevo specialmente nella città di Prato, in Toscana, rinomata per la lavorazione della lana. In particolar modo nell’azienda Manteco giungono da tutto il mondo balle di maglie e abiti in lana che i tecnici separano accuratamente in base a colore e tipologia. Nulla diventa scarto neppure lo scarto stesso, questo viene di fatti recuperato in un reparto appositamente dedicato dove insieme a sfridi, cimose, prove di campionatura o tessitura in avanzo vengono lavorati per rinascere per nuovi usi. Questo concetto di riutilizzo e riproduzione è un ottimo sistema che varrebbe la pena attuare in più ambiti del settore moda. La stessa creatività impegnata a ideare sempre nuove linee di abbigliamento andrebbe convertita all’impegno del riciclo, della rigenerazione e del riuso per un mondo ancor più bello e ovviamente sostenibile.

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M ODA

Le “Poulaines”

di Nancy Gargiulo

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i chiamavano Poulaines le scarpe a punta che nel Medioevo divennero un vero e proprio fenomeno sociale. Sono, infatti, svariate le raffigurazioni di vita medievale in cui sono ritratti nobili dell’epoca con strane scarpe a punta. Nel Ducato di Borgogna, diventate famose nella prima metà del ‘300, erano conosciute con il nome di Poulaines, ossia “polacche” o “scarpe di Cracovia”. Si trattava di un vero e proprio status symbol e la sua lunghezza era direttamente proporzionale alla ricchezza e al prestigio di chi li indossava. Basti pensare che erano state rinvenute scarpe con punte fino a 15 cm. Una moda tutt’altr o che pratica se la si confronta con le attuali sneakers. Una tendenza del XV secolo che ha travolto l’Europa lasciando il segno sugli scheletri delle persone che vivevano all’epoca (epoca in cui le strade cittadine non erano di certo lastricate!). Ma da dove provengono? Le Poulaine ebbero origine nella

CERTIFICAZIONE AMBIENTALE UNI EN ISO 14001

la sneakers del Medioevo nobiltà polacca che iniziò ad usarle nella prima metà del ‘300 ispirandosi alle babbucce orientali. La scarpa era così poco pratica che indossarla denotava l’appartenenza ad una classe ricca, in quanto chi la portava di certo non svolgeva lavori fisici. Stravaganza ed opulenza caratterizzavano questi modelli, i cui esemplari più lussuosi, per ironia della sorte, realizzati in seta o in velluto non sono sopravvissuti, mentre sono rimaste migliaia delle più umili versioni in cuoio. Addirittura, alcuni modelli sono in metallo, incorporati nelle armature del tempo. Pertanto, parallelamente al fenomeno della sneaker culture, la popolarità delle Poulaine è determinata proprio dal fatto che si presentavano in svariati modelli, da quelli più grezzi a quelli preziosi e ricercati, affermandosi come mero simbolo di status sociale.

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S TORIA

di Mina Grasso

Il Rione Terra di Pozzuoli, città antica e sito museale

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n zona flegrea, a pochi chilometri da Napoli, la città di Pozzuoli rappresenta il centro abitato più grande e conta 2.500 anni di vita, offrendo un territorio ricco di storia e di monumenti dal passato illustre. Ricchissima di archeologia, la cittadina di Pozzuoli registra il suo prima centro abitato nel Rione Terra, edificato in epoca romana. Il borgo antico della città nasce su una collinetta posta a circa 30 metri sul livello del mare, in posizione protetta dagli attacchi nemici. Collocato su un promontorio di tufo, il Rione Terra vede la costruzione di un Duomo in epoca spagnola, costruito sui resti del Tempio di Marmo di età augustea, e su un edificio del 194 a.C. il c.d. Capitolium dedicato alla triade capitolina di Giove, Giunone e Minerva. Il nome Rione Terra deriva dall’usanza medievale e marinaresca di chiamare “Terra” il villaggio o la città, e questa collinetta abitata rappresentò per molto tempo un luogo strategico e di difesa, che però ben presto, a partire dagli anni ‘70, divenne una città disabitata per via della forte attività di bradisismo (tipico dell’area). Ma durante gli anni ’90 imponenti lavori di scavo archeologico consentirono di portare alla luce decumani e cardini, permisero il restauro dei resti romani e dei palazzi storici in superfice, e ben presto dettero la possibilità alla cittadinanza di Pozzuoli di ritornare a frequentare la Cattedrale. La prima parte del percorso archeologico visitabile venne inaugurata nel 2016. Poi tra chiusure e successivi scavi, più recentemente, nel corso dell’estate di quest’anno si è proceduto ad aprire al pubblico nuove aree. Il Rione Terra è attualmente visitabile con per-

corso archeologico sotterraneo, che si colloca sotto Palazzo Migliaresi, e che consente di camminare nei luoghi nei quali gli antichi romani vivevano e lavoravano. Dagli scavi sono emersi numerosi edifici che risalgono alle varie fasi della colonia. Il percorso parte dall’ingresso di Palazzo De Fraja- Frangipane con le vestigia romane, e muove verso il Decumano del 194 a.C. principale arteria della città durante l’epoca repubblicana su cui si aprono horrea e tabernae, ovvero magazzini e ristoranti dell’epoca antica, dove si consumavano pasti caldi, si assisteva a spettacoli oppure si giocava. Nel nuovo e suggestivo percorso di visita si passa per il Museo dell’Opera dove sono conservati reperti in ceramica che raccontano la vita quotidiana degli antichi abitanti del Rione, dall’età repubblicana romana al Medioevo, al

Rinascimento per giungere fino all’Età Moderna. Qui troviamo anche le decorazioni dei due templi romani, ovvero il Capitolium del II secolo a.C. e il Tempio di Marmo di età augustea di inizio I secolo d.C. Una volta usciti dal Museo dell’Opera si ammirano le fondamenta dell’attuale Cattedrale. Durante gli scavi, insieme all’arredo delle tabernae, costituito da vasellame ed anfore, sono state ritrovate anche sculture, per la maggior parte copie romane di originali greci del V secolo, attualmente esposte nel museo dei Campi Flegrei nel Castello di Baia. Ancora, nel percorso è possibile ammirare i resti di un impianto termale decorato con dei mosaici a tessere bianche e nere che riportarono delle creature marine “vere” e fantastiche: polpi e triglie nuotano insieme ad ippocampi e capricorni, una delle tante rappresentazioni del mare secondo l’immaginario classico. Proseguendo nel tour troviamo anche un pistrinum, ossia un forno, in cui si conservano cinque macine di pietra leucitica dove si produceva il pane, dalla macinazione del grano fino all’impasto ed alla cottura. Il percorso torna in superficie, per giungere su una terrazza che affaccia sul mare e sul golfo di Pozzuoli. Il Rione Terra è attualmente aperto al pubblico, e i biglietti sono acquistabili per fascia oraria.

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di Clara Gesmundo

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GLI AZZURRI IN NAZIONALE:

OCCHIO A FEDELE!

n traguardo inaspettato merita le parole del Presidente della Junior Domitia Luigi Lauritano, così non perdiamo occasione per porgergli qualche domanda. Partiamo subito da una novità importante: Fedele. Quale è stata la strada per arrivare in nazionale? «La strada del sacrificio che il ragazzo ha percorso in questi anni, passati spesso ad allenarsi senza giocare in prima squadra (anche per questioni di età). Poi da due anni a questa parte, il salto di qualità con Mr. Bernardo che lo ha educato tecnicamente e tatticamente rendendolo un giocatore completo inserito a pieno titolo nelle rotazioni della Serie B. La Nazionale è per la Junior Domitia una vetrina d’eccezione che ci premia per gli enormi sacrifici che si fanno per portare avanti questa realtà!» Soddisfazione per la squadra, pensi possa essere motivo d’orgoglio anche per il territorio? «La Junior Domitia con il suo lavoro mette i ragazzi nelle condizioni ideali di esprimersi, di capire che per raggiungere certi livelli è necessario fare grandi sacrifici ed ingoiare bocconi amari (come le mancate convocazioni dopo

settimane di duri allenamenti) e stare lontani da facili sirene. Per questo come Presidente sono felicissimo per aver raggiunto tramite Fedele la Nazionale. Credo debba essere motivo di orgoglio anche per il territorio perché a memoria non ricordo un nazionale in uno sport di squadra sull’intero litorale domitio. Tenuto conto che come Società siamo l’unica ad esprimere due squadre in campionati nazionali, portando in giro per l’Italia alto il nome di Castel Volturno». Sotto il punto di vista umano e sportivo cosa ti sei sentito di dire ad un giocatore così giovane che è cresciuto grazie alla Junior Domitia ed è arrivato a raggiungere questo traguardo?

«Fedele sa che può sempre contare su di me e su tutta la dirigenza della Junior Domitia. Lui come anche gli altri ragazzi, ovviamente essendo il più piccolo della squadra lo coccoliamo ed abbiamo gioito per il risultato raggiunto, sperando di non fermarsi a questo (fatti i dovuti scongiuri)». So che non ti piacciono i pronostici, ma come ti aspetti sarà questo campionato in cui la Junior ha già conseguito diverse vittorie? «L’obiettivo, avendo una squadra giovane, è sempre quello di raggiungere quanto prima la salvezza per mantenere la categoria. Mantenere la categoria significa anche dare continuità ad un rapporto privilegiato nei confronti degli sponsor come Bon Bon Oggettistica e la GG Team Wear, che quest’anno ci è molto vicino sia come sponsor tecnico che commerciale. Dal traguardo più recente, cioè la convocazione di Christian, bisogna subito prefissarsi un nuovo obiettivo ed abbiamo dirigenti che penseranno alla crescita tecnica e tattica dei ragazzi ed altri che penseranno alla crescita degli sponsor che vorranno affiancarci per portare la Junior Domitia su altri palcoscenici».

IL TAM TAM VOLA A MILANO! di Clara Gesmundo

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appuntamento con il Tam Tam torna puntuale, questa volta Massimo Antonelli e i ragazzi della squadra arrivano a Milano. Non vediamo l’ora di saperne di più e chiediamo subito al coach di raccontarci l’esperienza. «Il mese scorso abbiamo giocato 2 partite a Milano. Per i ragazzi, a detta loro, è stata una delle più belle esperienze della loro vita: per molti era la prima volta che viaggiavano in aereo. Ci ha ospitato la società Social Osa che ha pensato a tutto, abbiamo ricevuto un’accoglienza meravigliosa. Ci hanno fatto vivere esperienze con una intensità tale da rendere quei due giorni indimenticabili, non si è smentita l’operosità milanese». Prima tappa Piazza Duomo, tante le foto scattate davanti alla cattedrale milanese, davanti alla Scala poi una sosta da “Panino Giusto”! Il coach ci racconta che non vi era ragazzo che non facesse paragoni tra ciò che vedevano in quel momento e ciò che vivono quotidianamente. «Poi abbiamo giocato 2 partite con formazioni molto forti che abbiamo perso in modo netto» – continua Antonelli- «Comunque si sono rivelate utili per farci capire quanto dobbiamo alle-

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narci per azzerare il gap tecnico che ci separa dalle migliori squadre». Si è parlato anche del metodo utilizzato da lei: “imparare la tecnica a ritmo di musica”. Un metodo interessantissimo, da dove nasce ma soprattutto è efficace? «Music Basketball Method è, appunto, un metodo che utilizza la musica per insegnare e migliorare i fondamentali tecnici della pallacanestro. L’ho creato convinto che la musica sia

un fortissimo strumento di motivazione sulle persone. La mission del metodo è “SPEED UP YOUR GAME”: infatti migliora in breve tempo la velocizzazione dei gesti tecnici. Poi si prefigge di curare la velocizzazione delle scelte di gioco e la creatività degli atleti. Questi tre elementi, se ben allenati, garantiscono il miglioramento delle prestazioni degli atleti». Tam Tam è a Castel Volturno, nominato dalla Nike, e adesso è presente anche sulla home di “Europe Today”. Grande successo e soddisfazione per la squadra, pensi che sia dovuto ai valori che persegue la società? «È vero che c’è molta attenzione su di noi da parte dei media: l’articolo di Europa Today è l’ennesima testimonianza. Credo che Tam Tam abbia nella sua natura, nella sua essenza, qualcosa che attira a sé la curiosità ed i cuori della gente». Sono terminati i lavori per la “nuova casa di Tam Tam”? «Gli interventi di ristrutturazione della palestra sono a buon punto, mancano ancora dei lavori per l’impianto elettrico e dell’acqua e la posa del parquet che penso dia alla struttura quel tocco finale per creare un ambiente naturale, pulito, accogliente e di sicurezza per i nostri ragazzi».


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PORT

di Alessandra Criscuolo

Carlos Enrique Raposo Il più grande truffatore della storia del calcio

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uanto sono grandi i sogni di un ragazzino e fin dove ci si può spingere pur di realizzarli. Lo sa bene Carlos Raposo che fin da piccolo sognava di giocare tra i professionisti del calcio. Passerà alla storia come il più grande truffatore della storia del calcio proprio perché attraverso mille escamotage è sempre riuscito a firmare contratti con importanti club brasiliani, anche se in realtà non ha mai giocato! La sua storia si dipana in un periodo in cui le conoscenze e le amicizie contavano più delle statistiche, quando le informazioni non viaggiavano ancora alla velocità di Internet. Era disponibile a fare favori, probabilmente più abile nell’arte oratoria che in quella del pallone, organizzava feste e in alcuni casi propiziava incontri tra calciatori e ragazze nei locali dove era conosciutissimo. Insomma, faceva di tutto tranne che il calciatore. Veniva da un ambiente familiare difficile e povero, cercava un riscatto sociale, ma anche la fama: e chi più di un calciatore famoso avrebbe potuto averla? Soprannominato Kaiser, ha iniziato la sua rocambolesca carriera nelle giovanili del Botafogo per poi passare al Flamengo. Giocava come attaccante ma senza un sufficiente talento, eppure a sedici anni, durante una seduta di allenamento, riuscì a convincere il talent scout del Puebla e a firmare un contratto triennale. Tuttavia, nella squadra messicana non giocherà neanche un minuto, sapeva di non essere adatto a fare il professionista ma a lui interes-

sava solo la vita agiata dei famosi. Dopo una breve parentesi negli Stati Uniti, tesserato con gli El Paso Patriots, tornò in Brasile al Botafogo dove il suo obiettivo diventò nascondere agli allenatori la verità sulle sue inesistenti doti tecniche. La conoscenza con giocatori famosi come Romario, Careca ed Edmondo, gli aprì le porte del mondo patinato che ruotava intorno ad essi. Spesso veniva inserito come contropartita nei contratti che firmavano e questo gli permise di cambiare spesso squadra. Il soprannome Kaiser che gli venne attribuito ha origini fumose. Qualcuno lo fa risalire ad una vaga somiglianza fisica con il giocatore Franz Beckenbauer, lui raccontava che il suo modo di giocare assomigliasse a quello del giocatore tedesco. In realtà, molti sostengono che il suo fisico grassoccio ricordava la bottiglia rotonda della birra Kaiser.

La sua permanenza nel Botafogo verrà ricordata per gli innumerevoli infortuni che gli hanno sempre impedito di giocare. Quando veniva chiamato in campo, si metteva d’accordo con qualche compagno che lo colpiva duro. Non essendoci all’epoca la risonanza magnetica, il certificato di un amico dentista e il suo lamentare dolore non venivano messi in discussione ma lo tenevano lontano dal gioco. Una vita all’insegna del raggiro: esibiva falsi tesseramenti spesso

pubblicamente smentiti, alimentando la leggenda di una brillante ma sfortunata carriera. Con un telefono finto, simulava colloqui con presidenti di grandi club, firmava contratti di cui incassava gli anticipi e poi trovava il modo di andare via il prima possibile. Lui stesso ha ammesso i suoi stratagemmi e in un documentario sulla sua rocambolesca vita disse: “Non giocavo, non segnavo goal, non calciavo la palla. La mia è una storia di un anticalciatore”. Il suo peregrinare di club in club lo ha portato alla Fluminense e al Vasco de Gama dove la società, preoccupata per i continui infortuni, provò a farlo curare finanche dalla magia nera. Durante l’ingaggio con il Bangu, pur di non giocare scatenò una rissa con i tifosi per la presunta offesa ai suoi capelli lunghi con il risultato di un’espulsione prima ancora che la partita iniziasse. Riuscì a convincere della sua buona fede il presidente che, commosso, gli prolungò il contratto di sei mesi. Durante la sua carriera durata 26 anni, Raposo ha militato in almeno 16 squadre diverse con all’attivo una trentina di presenze. Per qualche tempo si sono perse le sue tracce, finché nel 2010 un documentario ha raccontato le sue imprese. Non ha rimpianti di quanto ha fatto e per quanto siano opinabili le sue parole fanno riflettere “Le squadre illudono un sacco di giocatori, qualcuno doveva pur vendicarli”.

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Movida violenta la latitanza dello Stato e la difficoltà degli Amministratori La Redazione

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ncora una volta i media hanno tristemente aperto le loro pagine di cronaca con nuove notizie che riguardano la movida violenta. Cos’è che manca alle zone dell’agro-aversano per poter tranquillamente condurre un fine settimana di festa senza drammi? In prima istanza, la risposta sembrerebbe scontata: la presenza delle istituzioni. Tuttavia, il senso di inciviltà è così radicato nella società, che per estirparlo occorrerebbe fondare tutto un altro Sistema di valori. Quest'ultima è un'operazione per cui occorrerebbero anni, se non decenni. Aversa, Giugliano e comuni limitrofi non sono gli unici palcoscenici di vicende -quasi- quotidiane di movida violenta. Per quanto riguarda l’assistenza di forze preposte ai controlli dei i “furbetti”, abbiamo sentito Raffaele Oliva, gestore di un locale sito in un punto strategico della movida aversana, Via Seggio - che ha dichiarato: «Gli ultimi episodi sono frutto di un mancato controllo da parte delle forze dell’ordine sul territorio, assenti lungo tutta l’estate. Tutti i weekend, i balordi che escono solo per creare problemi si sono sentiti liberi». L’avvocato aversano ha ben reso l’idea paragonando Aversa con Napoli centro, nelle zone dei baretti di San Pasquale: «Se mi addentro nelle zone della movida, c’è sempre un presidio delle forze dell’ordine. Un episodio singolare può sempre accadere, ma almeno c’è la presenza fisica dello Stato». Raffaele Oliva, in qualità di presidente dell’as-

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sociazione “Condominio del Seggio” e proprietario di ben tre locali ad Aversa ha accettato di rispondere ad alcune domande su tale fenomeno. Essendo del settore, quali crede siano le maggiori cause alla base della movida violenta che affligge molte città? «Credo che il problema maggiore della “malamovida” sia l’assenza di controlli delle istituzioni. Quando questi non ci sono o non sono costanti, succedono cose di questo tipo. L’unica soluzione è quella di effettuare controlli costanti fatti anche alle persone, non solo ai commercianti». È evidente che della movida violenta emerge solo qualche caso che viene sottoposto all'opinione pubblica tramite la stampa. Dal suo punto di vista, quanto è frequente come fenomeno sociale? «Credo che bisogna fare una distinzione tra due fenomeni: uno più grave ed uno meno grave. Per quelli più gravi, quindi fenomeni di violenza pura, sono molto rari. In un anno, nella zona del centro storico di Aversa, accade 4-5 volte che ci sia di mezzo un’arma o che qualcuno vada in ospedale. Per quel che riguarda il comportamento di alcuni esercenti è molto più frequente. Molti vendono alcol ai minorenni, non rispettano le regole comunali sulla chiusura e la diffusione di musica: ne approfittano, facendo ciò che gli pare, fino alle 5 del mattino, con casse esterne a mo’ di discoteca».

Sulle ordinanze comunali, invece… «In linea generale, sono d’accordo con le ordinanze del sindaco di Aversa, ma l’ultima emanata ha ridotto l’orario di lavoro fino all’1:00: assolutamente inutile. Mi sto muovendo con una petizione a riguardo. Le persone a quell’ora, soprattutto venerdì e sabato, sono ancora in giro; pertanto, questo causa una perdita di affluenza alla città di Aversa oppure un’aggregazione esponenziale nei locali non controllati cui non importa delle ordinanze. La Polizia Municipale è presente a Via Seggio, ma ci sono tanti altri locali per Aversa che non vengono controllati e non rispettano la chiusura. Da proprietario di 3 locali posso dire con certezza che la chiusura alle 02.00 è sufficiente: dopo quell’orario in giro c’è solo gente poco raccomandabile, che restano per gli schiamazzi notturni o per fare atti di vandalismo. Il lavoro ci è stato precluso per un anno ed il sindaco di Aversa non può emettere un’ordinanza del genere». Richiedere maggiore ausilio da parte delle forze dell’ordine è un diritto, oltre che un dovere. Così come lo è scardinare ciò che muove i ragazzi a compiere questi atti immorali nei confronti dei malcapitati. Ad incidere su questi comportamenti non vi è solo l’assunzione di alcool o altre sostanze che possono compromettere la lucidità dell’individuo, ma vi è anche l’idea di pavoneggiarsi dinanzi alla folla compiendo determinati atti e incidendo sulla salute, e spesso addirittura sulla vita, di altri individui. In ogni caso occorre un cambio di prospettiva, anche culturale, nella gestione dei momenti di spensieratezza e socialità sia nel pubblico che nelle istituzioni, che dovrebbero assicurare controlli certi e tempestivi in modo da evitare il ripetersi di questi momenti di violenza..


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