Periodico edito dal "Centro Studi Officina Volturno"
ANNO XVI - NUMERO 180 - APRILE 2018
© Ph. Carmine Colurcio
GRATUITO
+ LEGALITÀ Nino Di Matteo, la collusione politico-mafiosa
+ MEDICINA De Nicola, la prevenzione nel caso Davide Astori
+ AMBIENTE Paola Dama, la lotta contro il tumore
+ MUSICA Gianni Morandi, a Napoli per amore
GIANLUCA ISAIA Napule, sempe dint’o core Naples, always in the heart
una lunga storia di tradizione e bontĂ
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Editoriale di Angelo Morlando
ANNO XVI - NUMERO 180 - APRILE 2018 Periodico mensile fondato nel 2002
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DI LIBERA INFORMAZIONE SI MUORE
an è stato ucciso barbaramente insieme alla sua compagna Martina, in Slovacchia. Una vera e propria esecuzione. È stato ucciso per il suo lavoro: essere giornalista; è stato ucciso perché ha provato ad informare correttamente i propri concittadini. Jan è stato ricordato dai suoi colleghi della redazione di Aktuality come “una persona perbene, piena di passione per il proprio lavoro”. Jan è stato semplicemente se stesso e ha creduto in tutto ciò che faceva. È stato un collega che ha raccontato, con la dovuta professionalità, fatti inerenti alle infiltrazioni mafiose (in maggioranza calabresi) in molte parti del territorio slovacco. E lo ha raccontato in modo impeccabile, rispettando le regole, citando fonti e fatti riscontrabili. È stato talmente preciso che ha messo in grande difficoltà, anche dopo la sua morte, sia il capo della polizia Tibor Gaspar, sia il Ministro degli Interni Robert Kalinak, che hanno dichiarato, forse frettolosamente, che avrebbero richiesto informazioni all’Italia nel 2014, senza ricevere adeguate risposte. Jan, però, ha ricostruito documenti che risalgono addirittura al 2003 (11 anni prima) quando per uno dei presunti mafiosi calabresi era stata richiesta e ottenuta l’estradizione in Italia. Tutto documentato con
fonti attendibili: nomi di persone, di società, di fiancheggiatori slovacchi, collegamenti tra le imprese, legami di parentela tra mafiosi italiani e legami di parentela tra mafiosi italiani e cittadini slovacchi, etc. Studiare il lavoro fatto da Jan, e che stanno continuando i suoi colleghi della redazione di Aktuality, conferma la convinzione, personale e dell’intera redazione di Informare, che il rispetto delle regole e il reperimento di atti documentali riscontrabili è l’unica strada per proporre informazioni credibili, anche a costo della vita. Quanto accaduto in Slovacchia, conferma che di sana informazione si può morire. Verrebbe voglia di gridare: “Svegliati Slovacchia!”. Una sorta di invito ai cittadini slovacchi a seguire con maggior attenzione le vicende interne. Bisogna riconoscere però che un ottimo lavoro è già svolto, da anni, anche dai colleghi della redazione del quotidiano slovacco in lingua italiana che si chiama “Buongiorno Slovacchia”, grazie al quale ci sono giunte notizie tempestive agli eventi che hanno portato all’uccisione di Jan e dei successivi aggiornamenti sulle indagini in corso. In onore e memoria di Jan, riportiamo in lingua slovacca il messaggio della redazione di Aktuality che, di fatto, era un principio di vita dello stesso giornalista ucciso:
Non è possibile uccidere la verità. Noi continuiamo!
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«Ho scelto di raccontare le tante facce dei sentimenti»
LEGALITÀ
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Augusto Di Meo, testimone di ingustizia
ATTUALITÀ
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“Sognando il cambiamento”
AMBIENTE
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Gianni Morandi
«La morte di Astori è un insuccesso della medicina»
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Fanghi di depurazione: cosa manca per ricostruire la filiera dello smaltimento
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29 MUSICA Al MACRO di Roma un tributo ai Pink Floyd
31 FOOD La pizza di Gianfranco Iervolino, tra TV e i Tre Spicchi del Gambero Rosso
32 SOCIALE In sella contro l’autismo
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Direttore responsabile
Hanno collaborato
Fabio Corsaro
Alessia Giocondo Angela Di Micco Antonino Calopresti Antonio Casaccio Barbara Giardiello Chiara Arciprete Ciro Pipoli Emilio Pagliaro Fabiana Privitera Flavia Trombetta Giovanna Cirillo Girolama Iazzetta Luciano Goglia Mara Parretta Maria Grazia Scrima Paolo Chiariello Teresa Lanna Vincenzo Russo Traetto
Vicedirettore
Fulvio Mele Caporedattore
Savio De Marco Caposervizio
Annamaria La Penna Responsabile scientifico
Angelo Morlando Responsabile legale
Fabio Russo Grafica e impaginazione
Gabriele Arenare Carmine Colurcio Web master
LA NOSTRA MISSION
MUSICA
Alfonso De Nicola
Tel: 081 3356649 E-mail: redazione@informareonline.com IBAN: IT14R0101074870100000001835
Stampa: INKPRINT - Pozzuoli (NA) Chiuso il: 20.03.2018 - Tiratura: 5.000 copie
Una ricercatrice inarrendevole
MEDICINA
Sede Operativa Piazza delle Feste, 19 Pinetamare - 81030 - Castel Volturno (CE)
immagini e spazi pubblicitari realizzati all'interno del magazine.
Paola Dama
«La politica non ha mai affrontato il problema della lotta alla mafia»
Presidente Tommaso Morlando
© 2018. È vietata la riproduzione (anche parziale) di testi, grafica, foto,
AMBIENTE
Nino Di Matteo
Edito dal Centro Studi Officina Volturno
Vincenzo Lo Cascio
= Nemôžete zabiť pravdu. Budeme pokračovať! =
LEGALITÀ
Registrato al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n° 678
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iscatto sociale, rinascita del Sud, legalità e voglia di dare spazio ai giovani: in quanti ci credono davvero? Noi abbiamo deciso di farlo, andando controcorrente. Informare è una realtà editoriale libera e senza padroni, un magazine fondato nel 2002, insieme ad una forte attività associazionistica. Lo scopo è trasformare la mentalità “camorristica” in un concreto senso di cultura e legalità, promuovendo, innanzitutto, le vere eccellenze umane ed imprenditoriali dei nostri territori. La costruzione di un nuovo volto fatto di buone notizie, legalità e rispetto per l’ambiente, in contrapposizione al vestito di cronaca nera che da sempre ci soffoca. La nostra informazione è LIBERA, priva di finanziamenti pubblici, politici ed occulti, accompagnata da una linea editoriale a-partitica, e non a-politica. Chi crede in noi e condivide la nostra mission, lo fa mettendoci la faccia, in copertina e nei nostri contenuti. Questi sono i valori fondanti di una redazione composta da giovani professionisti e praticanti giornalisti.
L EGALITÀ
AUGUSTO DI MEO, TESTIMONE DI INGIUSTIZIA di Antonio Casaccio | antocas98@gmail.com
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l Ministero dell’Interno ha incredibilmente rigettato la richiesta di Augusto Di Meo, testimone oculare della morte di Don Peppe Diana avvenuta per volontà del clan dei casalesi, ad essere riconosciuto come vittima innocente della camorra. Nel più sentito sconforto per la notizia, abbiamo voluto dare ancora una volta la parola ad Augusto, unendoci alla sua denuncia. «Non si trattava di un riconoscimento ad Augusto Di Meo – ci dice - ma era un riconoscimento a questo territorio». Quel 19 marzo del 1994, Augusto era con Don Peppe e vide tutta la drammatica scena dell’omicidio. A quel punto, mise in atto un’azione che avrebbe cambiato completamente la sua vita: Augusto denuncia. Per alcuni questo gesto potrebbe non essere così significativo, ma denunciare nel ’94 a Casal di Principe significava rompere un silenzio fittissimo. In quegli anni, il clan aveva il completo controllo del territorio e, molto spesso, della popolazione. E se ancora non è stata compresa l’importanza di quel gesto, pensate che da lì si ebbe il congelamento dell’ala stragista del clan, ripresentatasi solo anni dopo sotto il comando di Giuseppe Setola. «Loro non considerano il danno che mi hanno fatto – afferma Augusto - sono stato delegittimato professionalmente, ho avuto diversi problemi di salute. Ho avuto la forza di denunciare grazie alla fede e agli insegnamenti ricevuti da don Diana. Non ho mai pensato a queste possibili conseguenze per me e per la mia famiglia che sono state veramente gravose, se contenstualizzate in quel periodo. Loro sono lo Stato, le Istituzioni. Già, perché proprio queste hanno assistito in silenzio ed inermi alle difficoltà che man mano ha dovu-
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INFORMARE
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to vivere Augusto. Non ha mai avuto un tutor istituzionale, non gli sono mai stati dati sussidi per le cure mediche, non gli è stato mai proposto un percorso psicologico che lo potesse aiutare a vivere meglio. E dopo tutto ciò, il Ministero dell’Interno ha rigettato la richiesta di Augusto Di Meo ad essere riconosciuto come vittima innocente della camorra. Proprio lui che ha dovuto affrontare enormi difficoltà economiche e seri problemi di salute; mai avrebbe immaginato di vivere in una condizione di tale stress. Proprio lui che è stato minacciato e che è andato a testimoniare da uomo solo, emarginato, ma estremamente libero. Ovviamente c’è da precisare che “vittima della camorra” non è solo chi muore per mano di essa, ma anche chi incorre in quelle feroci difficoltà sopracitate. La richiesta di riconoscimento, infatti, è stata rigettata per scadenza dei termini. «Questa richiesta andava fatta 3 mesi dopo la sentenza in Cassazione del processo sull’omicidio di Don Diana. Ma io non mi sono ripreso 24 anni dopo, come potevo fare un’istanza dopo tre mesi dalla fine del processo?». Dopo aver denunciato e messo in pericolo se stesso e la propria famiglia, Augusto Di Meo doveva ricordarsi di fare richiesta per un riconoscimento che gli spetterebbe di diritto. Ed è qui che lo Stato ha perso. Ha sprecato l’ennesima occasione per delegittimare il pensiero mafioso in territori difficili come Casal di Principe. Ha scelto il silenzio, gli impedimenti burocratici e ha preferito essere un coniglio bianco su sfondo bianco. Non è arrivato il sostegno istituzionale che emargina il senso di solitudine dei testimoni di giustizia. Ma il Ministero dell’Interno ci stupisce ulteriormente
AUGUSTO D
Testimone om
I MEO
icidio don Pepp
e Diana
leggendo la notifica del rigetto, nella quale Augusto ci fa notare un particolare esilarante. «Hanno scritto nella notifica che la famiglia di Don Diana è già stata risarcita. Ma cosa c’entro io con la famiglia di Don Diana?» Forse il Ministero non ha nemmeno ben colto che ciò che si trova a vivere Augusto non è in connessione causale con quello che succede alla famiglia di Don Diana. Lui ha testimoniato, ha denunciato ed ha fatto sì che dietro le sbarre ci fosse il vero esecutore materiale dell’omicidio. «Non mi sono mai sentito aiutato. Io rifarei tutto da capo, ma così le cose non funzionano. Mi sento scoraggiato per l’ennesima volta, ma confido in personalità coraggiose che mi hanno dimostrato nuovamente il loro sostegno, parlo ad esempio del Dott. Cafiero De Raho (procuratore nazionale antimafia, ndr). Io, però, non mi fermo. Continuo a lottare ed ho già presentato ricorso con l’avvocato Giovanni Zara». Le parole di Augusto fanno percepire realmente il valore della denuncia. Nella sua impensabile storia c’è molta
indignazione, come possiamo leggere anche nelle parole di Casa don Diana, la quale, per mezzo del suo presidente Valerio Taglione, ha voluto esprimerci il suo pensiero: «Dopo 24 anni pensavamo di poter scrivere la parola fine ad una storia che ha dell’incredibile fin dai primi accadimenti. Non riconoscere Augusto Di Meo vittima innocente della camorra vuol dire non solo rimarcare l’ingiusto destino di chi ha visto e non ha avuto timore, ma anche scoraggiare tutti coloro che potrebbero trovarsi in situazioni simili. Continueremo a lottare per Augusto in tutte le sedi opportune e necessarie, porteremo le 40mila firme raccolte con la sottoscrizione online al nuovo Ministro dell’Interno, sperando di poter incontrare la sensibilità ed il buon senso». Testimoni di un’ingiustizia che si consuma tra i palazzi e la burocrazia, sintomo di uno Stato ancora lontano dai suoi territori e da coloro che hanno dato la loro vita per quell’atto d’amore che Don Diana ha sempre evocato nelle parole: non tacerò.
Nino Di Matteo:
«La politica non ha mai affrontato il problema della lotta alla mafia» di Antonio Casaccio e Antonino Calopresti | Foto di Carmine Colurcio
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ntonino Di Matteo è uno dei magistrati più temuti dalla mafia. Totò Riina espresse la volontà di «fargli fare la fine di Giovanni Falcone» ma il PM ha sempre portato avanti quel processo sulla Trattativa Stato-Mafia durante il periodo stragista dei primi anni ’90. Un fiume in piena, Nino Di Matteo, che nel suo intervento presso Casa don Diana a Casal di Principe, lo scorso mese, ci dà differenti punti di riflessione su quella che è la nostra democrazia e sull’incidenza della mafia nel nostro tessuto sociale. «La politica italiana – afferma - non ha mai affrontato principalmente il problema della lotta alla mafia. La loro potenza è dovuta proprio al loro costante rapporto con gli apparati politici: lo stesso Riina confessò che Cosa Nostra senza la politica, sarebbe stata solo una banda di sciacalli rasa al suolo mediante poche azioni». Quello della Trattativa è un processo che volge al termine e che è stato caratterizzato da varie criticità e dalla difficoltà di dimostrare il reato di “minaccia in danno al corpo politico”. «Abbiamo portato avanti prima l’indagine e poi il processo, nel convincimento che ci sono tutti gli elementi per una condanna. Adesso aspetteremo la sentenza della Corte che, in ogni caso, rispetteremo. Ciò che ci preme dire è che, gra-
zie al nostro lavoro, sono venuti fuori tanti fatti e tante situazioni che credo abbiano una notevole importanza, quantomeno per comprendere cos’è realmente accaduto nel biennio stragista della mafia ’92-’93». Secondo lei, la trattativa si è, in un certo senso, estesa in altre regioni? In Campania abbiamo visto che la camorra è arrivata a piani istituzionali molto alti. «Ci sono atti giudiziari che parlano chiaro: la camorra ha nel suo DNA la ricerca continua del rapporto col potere politico. Ci sono stati momenti in cui questi rapporti si sono estrinsecati in vicende molto simili a quelle della trattativa tra Stato e Cosa Nostra del ’92; basti pensare al ruolo della camorra nel sequestro Cirillo. La camorra napoletana sa bene l’importanza del legame politico, dalla Regione alle amministrazioni comunali». Per lei è fattibile la creazione di un cartello? L’alleanza tra le mafie del nostro Paese è un fatto possibile? «Ci sono elementi seri per ritenere che determinate strategie, come ad esempio quella di attacco frontale allo Stato nel ’92-’93, siano state “partecipate”. Nel caso di quegli anni la strategia è stata principalmente opera di Cosa Nostra, ma è stata allargata anche ad altre mafie. In determinati mo-
Da sx: Valerio Taglione, Nino Di Matteo, Sandro Ruotolo e Renato Natale
NINO DI MA Magistrato
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menti, per strategie generali, la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra hanno avuto momenti di collegamento strategico». Dott. Di Matteo, lei ha mai maturato un senso di solitudine dovuto all’assenza dello Stato? «Ritengo che in tanti momenti, rispetto a tanti uomini delle istituzioni, ma anche a tanti cittadini che hanno collaborato con quest’ultime, lo Stato doveva e dovrebbe fare di più. Ci sono stati momenti in cui le istituzioni non hanno avuto la sensibilità di stringersi davanti agli uomini che hanno combattuto davvero la mafia. Io sono un uomo delle istituzioni e io devo credere in quest’ultime. Anche riguardo la trattativa, la colpa non dev’essere dell’intero apparato istituzionale, ma risiede in quei soggetti politici che non hanno tenuto fede nel giuramento che avevano prestato. Tutto ciò non deve portarci ad una sfiducia nella politica e nello Stato, dobbiamo cercare di cambiare in meglio queste patologie delle istituzioni. Non dobbiamo abbandonarci alla rassegnazione». Si è dibattuto molto sull’introduzione dell’agente provocatore. Cantone è contrario, altri sono favorevoli: qual è il suo pensiero in merito? «Sono favorevole all’introduzione dell’agente sotto copertura, il quale è già previsto per alcuni reati di mafia, traffico di armi e pedopornografia. Più volte ho sostenuto che questa possibilità deve estendersi anche ai casi di corruzione e per quelli contro la pubblica amministrazione».
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ambiare e Sognare. Tenete bene in mente questi due verbi, li ritroverete più avanti. Al Sud si declinano al futuro. Ed io li ho sentiti pronunciare da tantissimi giovani a Termini Imerese, a Rosarno, a Melfi, a Caivano, a Villa Literno. In campagna elettorale, nel corso di una inchiesta condotta in tutto il Paese per capire che cosa i giovani avrebbero voluto che accadesse in Italia col voto, avevo ascoltato moltissimi ragazzi, che votavano per la prima volta, ripetere, quasi fosse un mantra, una frase, sempre uguale: “vogliamo il cambiamento”. L’analisi dei flussi elettorali di queste ultime consultazioni evidenzia alcune novità importanti: i giovani, gli anziani pensionati, i poveri, gli operai, il ceto medio del Sud diventato sempre più povero tra i poveri nel decennio di più grave recessione economica, hanno votato in blocco il MoVimento 5 Stelle. A Melfi, fuori i cancelli di FCA, la Fiat, dopo il voto, gli operai, molti di loro giovanissimi, che prima votavano in massa il Partito Democratico, oggi rivendicano di aver dato il loro consenso a Luigi Di Maio. Perchè? Perchè il PD, nel 2013, aveva ottenuto i loro voti per il programma “Italia Bene Comune” e un istante dopo le elezioni, l’aveva tradito (voto e programma) con alleanze indigeste, leggi come la Fornero, Job’s Act, Buona Scuola e altre norme che erano esattamente quello che gli elettori consideravano ingiustizie da combattere. È qui, forse, che c’è stato il divorzio di milioni di elettori, molti giovanissimi, dal PD. È una generazione di giovani che ha punito i comportamenti omissivi e commissivi di una classe dirigente irresponsabile, talvolta incapace
ed inetta, qualche volta impastata con le mafie e la peggiore criminalità economica e predatoria dell’era repubblicana. Questi elettori che hanno votato in blocco il M5S, sono giovani stufi anche del racconto dei disastri ineluttabili, dei mille drammi irrisolvibili, delle mafie imbattibili, della politica corrotta irredimibile, della burocrazia postulatrice, pecultrice e dilapidatrice che ci ha strangolato, ridotto in miseria. Sono elettori che vogliono cambiare questo racconto, vorrebbero poter sognare di vivere e di realizzarsi a casa loro, non più scappare, emigrare altrove in cerca di lavoro per formare una famiglia e condurre una esistenza dignitosa. Forse è presto per dire che queste elezioni del 4 marzo segnano una netta rottura del sistema burocratico-istituzionale che ha mal governato il Sud in questi decenni. Certo è che la destrutturazione attraverso le urne di una classe dirigente che appare vieppiù familista e nepotista, clientelare, corrotta e a volte mafiosa è l’inizio di quel cambiamento che questi giovani del Sud chiedono per poter tornare a sognare un futuro normale. Al Sud, nel segreto delle urne, il voto ha detto tante cose per chi vuole capirle! Dei 12 milioni di voti incassati dalla coalizione di centrodestra, la Lega di Salvini, che in tutto il Paese ha totalizzato quasi 5milioni e 700mila voti, ha portato a casa solo al Sud quasi un milione di voti facendo eleggere 23 tra senatori e deputati. Il 4 marzo, nel meridione d’Italia, un milione di uomini e donne hanno votato sul simbolo del partito fondato da Umberto Bossi, dove campeggia l’effigie di Alberto da Giussano con lo spadone sguainato. Per quanto possa sembrare assurdo, un milione di
persone hanno messo la croce su Albert de Giussan (lo chiamano così i nordici), eroe inesistente, condottiero posticcio di una posticcia Lega Lombarda, e figlio di una posticcia Padania. La vittoria del M5S nel meridione d’Italia è stata invece schiacciante. Dei 10 milioni e 700 mila voti incassati da Aosta a Mazara del Vallo, i pentastellati, solo al Sud, ne hanno incamerati quasi 6 milioni. In Sicilia hanno vinto tutti i collegi uninominali, superato il 50 per cento dei consensi e mandato in tilt persino fior di costituzionalisti che ancora disputano su come fare laddove Di Maio ha più seggi vinti che candidati. Davanti a questa disfatta devastante per partiti come PD e di FI, la prima risposta dell’establishment è stata quella meno intelligente: hanno vinto i populisti, hanno vinto i grillini con la promessa del reddito di cittadinanza. Si sono inventati persino la storiella dei CAF presi d’assalto al Sud da masse di disoccupati che già chiedevano di scambiare il voto dato ai 5 Stelle con il reddito di cittadinanza promesso in campagna elettorale. Una falsa notizia finita in tutti i tg, sulle prime pagine dei giornali, sul web, avvalorando la solita canea di insulti insulsi, spregevoli pregiudizi e un generico razzismo. A botta calda, alcuni politici sconfitti, che dovrebbero analizzare seriamente quel che è accaduto, sembrano comicamente più propensi a chiedere un ricambio degli elettori, piuttosto che della classe dirigente. Insomma, invece di andarsene loro, vorrebbero cacciare gli elettori.
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M EDICINA
Alfonso De Nicola: «La morte di Astori è un insuccesso della medicina» di Antonio Casaccio | antocas98@gmail.com
L
a Società Sportiva Calcio Napoli si conferma, nell’ambito medico e sanitario, oltre che prettamente sportivo, un’eccellenza e un punto di riferimento in Italia e in Europa. Per l’ennesimo anno consecutivo, l’equipe medica guidata dal dott. Alfonso De Nicola viene riconosciuta come la migliore tra 22 top club europei. Secondo uno studio di Foorball Research Group, infatti, i traumi muscolari per i calciatori sono quasi nulli, registrando una media di infortuni gravi del 0,4% rispetto alla media del 0,9%. Ciò significa che quasi nessuno è venuto meno per mezzo di infortuni o patologie (Milik e Ghoulam a parte). Questi sono, insomma, risultati che non possono essere sottovalutati e rappresentano il valore aggiunto di una squadra. Ma che lavoro c’è dietro riconoscimento? Ne abbiamo parlato col dott. De Nicola, che ha
Davide Astori
re ex calciato a e Fiorentin Nazionale Italiana
espresso alcune considerazioni sia sul Napoli che sulla morte di Davide Astori, il capitano della Fiorentina venuto a mancare lo scorso 4 marzo durante il sonno. Dott. De Nicola, cosa significa per il Napoli ricevere questo riconoscimento impora tante? Medico dell li o p «Devo innanzitutSSC Na to dire che il lavoro non è solo mio, bensì dei medici che mi affiancano e dei fisioterapisti che lavorano con noi quotidianamente. Sono persone eccezionali, umili e che hanno elevato il livello culturale dell’equipe». Da cosa proviene lo stimolo? «Proviene dal presidente De Laurentiis, da mister Sarri e anche dal prof. Antonio Giordano. Con lui facciamo un progetto di ricerca fondamentale per la squadra. Questo potrebbe portarci a grandi risultati. Il prof. Giordano ci ha dato un’impostazione che abbiamo adottato anche nel settore giovanile». In cosa consiste quest’impostazione? «Il fulcro è tutto nella ricerca, nel capire perché accade un determinato fenomeno ed arrivare alla prevenzione. Ciò lo si fa tramite la ricerca: una raccolta dei dati e delle esperienze che vengono studiate per capire cosa può essere prevenuto» Ci siete sempre riusciti dott. De Nicola? Anche alla luce della morte di diversi professionisti nel corso degli anni. «Non sempre ci riusciamo. Una delle più grandi insoddisfazioni che abbiamo avuto è vedere proprio che, ogni tanto, qualche calciatore viene meno per motivi medico-sanitari» Come valuta allora la morte di Davide Astori?
dott. o Alfons ola De Nic
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«Non sappiamo di preciso i risultati dell’autopsia, ma una cosa è certa: un professionista è venuto a mancare. Fortunatamente succede meno in Italia, perché qui abbiamo normative rigorose. In ogni caso: anche la morte di Astori è un insuccesso della medicina» Anche se si tratta di morte naturale? «Sì, noi dobbiamo essere capaci di prevenire. In Campania siamo già stati capaci di prevenire patologie ben più gravi. Questa Regione è la prima ad aver cominciato a studiare le motivazioni di un aumento esponenziale del numuero di malati di cancro. Io ho cercato di riportare questo modello nel mondo del calcio». Come condensare in due parole questo insuccesso? «Dobbiamo studiare e capire perché succede. Dobbiamo fare prevenzione partendo dalle patologie più gravi».
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INFORMARE
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Antonio Marfella: «Non vince la medicina che cura ma quella che previene» di Antonio Casaccio e Girolama Iazzetta
Da sx: Antonio Marfella, Alfonso De Nicola, Massimiliano Quintiliani, Diamante Marotta e Giovanni Brancaccio
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ntonio Marfella, presidente di medici per l’ambiente ed oncologo del Pascale, è al centro di un accesissimo dibattito riguardo la scelta di farsi operare a Milano per il suo cancro alla prostata. La sua dichiarazione ha lasciato esterrefatti diversi cittadini e colleghi, tra cui il dott. Guido De Sena, coordinatore del GRIO (Gruppo robotico inter-ospedalieri). Abbiamo intervistato Marfella che ci ha svelato le tante verità di una questione che, forse, non è stata compresa nel profondo. Dottor Marfella, ad oggi, un cittadino campano sa che un prestigioso oncologo del Pascale ha deciso di farsi curare in una clinica milanese. «Ti fermo subito, perché è proprio questo il messaggio sbagliato. È un messaggio volutamente sbagliato. Io ho detto di essere l’ennesimo cittadino napoletano che si è ammalato di cancro. Quando ho fatto questa dichiarazione mi sono comportato da ammalato. Io sono comunque un medico e ho dimenticato in quel momento di avere un’etichetta, e proprio quest’ultima è stata fatta passare al centro della dichiarazione:
questo è scorretto. Ad ogni modo, io chiedo scusa. Un’altra cosa di cui nessuno ha scritto è che io andavo a farmi operare da un giovane chirurgo campano perché lui qui non trova posto e se lo trova non lo fanno lavorare». Ha detto di essere l’ultimo della Terra dei Fuochi. «Sì, sono l’ultimo. Io so perché mi è successo. Il motivo è che nel mio corpo c’è diossina e quest’ultima mi ha provocato la sindrome dismetabolica e ciò ha determinato il rischio di anticipo di una patologia. Noi in Campania abbiamo un’incidenza tumorale come la Lombardia. Ma non abbiamo le industrie che hanno loro. Il messaggio risiedeva proprio nella lotta all’inquinamento ambientale». Il dott. De Sena ha detto che lei legge male l’evidenza medica della sanità campana ed ha inoltre affermato che i nostri medici sono più specializzati alle operazioni robot-chirurgiche. Cosa gli risponde? «Siamo totalmente fuori strada. Inutile vedere chi ha il robot o il bottone nucleare più grosso. Il problema sta nel fatto che la bomba atomica non deve proprio scoppiare. Non conta
Studio la Fenice Dott. Antonio Panice Fisioterapista e Posturologo
«
Mi opererà un giovane chirurgo campano che nella nostra regione non ha trovato spazio dott. Antonio Marfella
L’oncologo del Pascale è al centro di un accesissimo dibattito riguardo la scelta di farsi operare a Milano per il suo cancro alla prostata
nulla questo. Ci stiamo ammalando uno su due, non esiste sanità italiana o americana che possa curare con i robot se ad ammalarci siamo tutti. Se un cittadino su due si ammalerà di tumore, non vi sarà sanità che possa sopravvivere. Quei robot non dovremmo proprio usarli. E come dice proprio il dottor De Sena: il sistema sanitario è già al collasso». Su quest’ultimo discorso lei si è molto battuto: una sanità che sembra essere sempre più malridotta e
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colpita, soprattutto in Campania. «Esattamente e il dott. De Sena ne deve prendere atto. Non io, ma il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, certifica che perdiamo fino a otto anni di vita nel napoletano per via di una cattiva organizzazione sanitaria. Se questa mala organizzazione comprende il fatto che vi siano o meno i robot, questo, a me malato, non interessa. Non vince la medicina che cura, vince la medicina che previene».
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I MATÈRTERA, PROGETTO MUSICALE ETNICO-POPOLARE
“SPARO PAROLE”, AL SERVIZIO DEGLI ARTISTI EMERGENTI
di Emilio Pagliaro | emiliopagliaro82@gmail.com
di Fabio Russo | avv.fabiorusso1975@libero.it
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a musica popolare, in questi ultimi anni, sta vivendo una netta crescita, merito anche dei gruppi emergenti che si affacciano a questo genere. I Matèrtera (in foto) si dedicano alla rivalutazione dei canti della tradizione mondragonese con particolare riguardo al territorio. Attraverso le loro note, cerchiamo di capire il messaggio che vogliono lasciare. Come nasce il gruppo musicale Matèrtera e cosa vuole esprimere con la sua musica? «Matèrtera nasce nel 2012 da un’idea di tre cugini, Antonia Nerone, Andrea Capuano ed Elia Pagliuca, che stanno portando avanti il lavoro del professore Andrea Nerone, papà di Antonia, il quale, sul finire degli anni ’70, raccolse testimonianze del canto contadino mondragonese direttamente dalle persone anziane dell’epoca, attirando l’attenzione di grandi musicisti della Nuova Compagnia di Canto Popolare come Peppe Barra (e sua madre Concetta), Roberto De Simone, Carlo D’Angiò, ma soprattutto Eugenio Bennato che lo invitò a prendere parte al suo nuovo gruppo musicale, i “Musicanova”. Oggi cerchiamo di esprimere una forma particolare di ritorno al passato: il nostro obiettivo è quello di rivelare il patrimonio etnomusicologico della nostra città, raccolto da quasi quarant’anni: brani, nenie,
canti di lavoro, di festa o religiosi del passato, attraverso cui cerchiamo di scoprire la chiave nascosta per interpretare il presente e pensare al futuro». Quali sono i punti di riferimento del gruppo e quali gli obiettivi che volete raggiungere? «I nostri riferimenti musicali provengono dal popolo. Ascoltiamo e rielaboriamo quelle registrazioni degli anni ’70 e il nostro compito è quello di riascoltare quelle voci e cercare di riproporre le strofe». A cosa state lavorando in questo periodo? «Nei prossimi mesi sono in programma delle collaborazioni con associazioni locali per l’organizzazione di alcuni concerti. Stiamo lavorando ad un nuovo disco che conterrà alcuni canti contadini della tradizione mondragonese e brani inediti scritti dallo stesso prof. Nerone ai tempi dei Musicanova. Non sappiamo ancora la data di uscita, ma possiamo dirvi che, probabilmente, per il finanziamento dell’opera ci avvarremo del crowdfounding online. Andrea Nerone è impegnato nella scrittura di un libro antologico che raccoglierà tutti i canti mondragonesi. Probabilmente, con l’uscita del libro, cureremo anche una raccolta delle registrazioni più belle degli anni ’70, affinché tutti possano ascoltare le affascinanti voci dei loro antichi concittadini».
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l mondo della musica non è soltanto ciò che appare tra le luci del palco, le immagini patinate delle riviste di settore, i videoclip. Dietro i riflettori si dipana l’universo sconfinato della produzione dei brani, dei diritti legali di distribuzione, della proprietà intellettuale delle opere. In quel luogo più burocratico, dove le note sfumano in pastoie legali e contratti, si muovono coloro che seguono il management degli artisti. Ed è proprio lì, dietro le quinte, che il giovane avvocato Giuseppe Della Mura (in foto) ha deciso di profondere il suo impegno professionale e la sua passione artistica, ricavandosi un settore di nicchia per operare in favore dei cantanti emergenti. «La mia attività – ci spiega Giuseppe è iniziata a 18 anni come speaker radiofonico. Ho lavorato prima a New Radio Network, poi a Radio Primarete (dove tuttora conduco un programma di musica ed intrattenimento) e poi una breve parentesi a Radio CRC Targato Italia dove ho avuto, nel 2015, l’occasione di essere inviato al Festival di Sanremo». Da semplice intrattenitore a producer il passo è breve. L’idea vincente è stata quella di unire il suo percorso lavorativo con l’amore per la musica. «Grazie alla radio ho maturato una grande passione per il mondo della musica ed ho iniziato a seguire il management di alcuni giovani artisti, occupandomi
degli aspetti burocratici che esistono nel settore musicale. Da qui l’idea di fondare un’associazione culturale: “Sparo Parole”, attraverso la quale, sotto forma di etichetta discografica, aiutiamo giovani artisti a produrre e pubblicare i loro brani. Attualmente abbiamo all’attivo due album, diversi singoli e videoclip. Ciò che facciamo, senza scopo di lucro, è mettere a disposizione la nostra esperienza, una rete di contatti (studi di registrazione, producer, fonici, arrangiatori, musicisti) e pubblicare, attraverso aziende specializzate, i brani online sulle principali piattaforme. Non è stato facile creare tutto questo anche perché, alla mia età (30 anni, ndr) questo ambiente ti mette di fronte a diverse difficoltà. Ma è stato proprio grazie alla mia preparazione giuridica e alla scelta di specializzarmi nel Diritto della Musica che ho avuto modo di poter affrontare con competenza sia gli aspetti prettamente artistici che burocratici. Attualmente assisto giovani e meno giovani nei loro rapporti con SIAE, sulla contrattualistica, sulla gestione dei loro guadagni, nei rapporti con le piattaforme digitali, con i produttori nella gestione dei contenuti musicali ed editoriali e su tutto ciò che rientra nell’ambito della tutela del diritto d’autore, che richiede una preparazione specifica e non usuale da trovare».
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Io Dalí
INCONTRO COL CAST DE
"IL MIO UOMO PERFETTO"
Il PAN dedica una mostra al celebre artista catalano
di Teresa Lanna | Foto di Gabriele Arenare
di Teresa Lanna | Foto di Maria Grazia Scrima
«N “I
l mio uomo perfetto” è il titolo del film diretto da Nilo Sciarrone e interpretato da Nancy Coppola, Eva Grimaldi, Francesco Testi e Antonio Palmese, giovane di Castel Volturno che ha fatto anche parte dell’associazione “Centro Studi Officina Volturno”. Antonietta (Nancy Coppola) è una ragazza determinata e autonoma che spera di trovare l’uomo dei suoi sogni. «La perfezione non esiste - afferma la cantante e attrice - La fortuna sta nel trovare una persona abbastanza intelligente da non macerarsi in sentimenti come la gelosia che, se portati all’eccesso, compromettono seriamente l’equilibrio della coppia. Io, in questo senso, con mio marito sono stata fortunata. In lui ho trovato un amico, un amante, un sostegno… Tutto». Federico (Antonio Palmese) è un giovane operaio affascinato dalla bella barista Antonietta. «Io credo che la vera perfezione consista nell’essere completamente se stessi - afferma Palmese - Mi sono trovato benissimo in questo film, perché il regista mi ha dato carta bianca nell’interpretare un ruolo che non ho fatto fatica a recitare, avendo trovato molti punti in comune tra me e il personaggio. È stato molto bello constatare quanto l’amore e la passione possano portare ciò in cui si crede a livelli alti, anche se si parte da piccole risorse. Questo set mi ha regalato tanto per il clima di spontaneità e cordialità creatosi fra tutti noi. Recitare per me è stato come ballare un tan-
Antonio Palmese go: seguire una coreografia, che in questo caso è la sceneggiatura, e fare piccoli passi, in modo graduale, insieme a tutto il gruppo». «Ci siamo rimboccati le maniche sin dall’inizio afferma il regista Sciarrone - coinvolgendo attori come Eva Grimaldi, Francesco Testi, Antonio Palmese, Maria Del Monte ed altri nomi illustri. È un film “love budget”, cioè fatto con amore e per amore; un sentimento che spesso si tende a complicare, ma che nella sua vera essenza è la cosa più semplice che possa esistere. Intorno ad esso, inevitabilmente, ruotano tutti gli altri argomenti», conclude. «Siamo di fronte ad una grande rinascita del Sud - afferma Eva Grimaldi - e io sono molto contenta di aver preso parte a questo film, girato con grande umiltà e sono disponibile a supportare qualsiasi progetto che possa nascere in questa splendida città. Vittorio Gassman una volta mi disse che quando non avessi sentito più le farfalle nello stomaco avrei dovuto cambiare lavoro. Ecco, finora le ho sempre sentite e le sento ancora. Forza Napoli!».
on smetto mai di lavorare e di riflettere: sono sempre in fermento». È quanto Salvador Dalí affermava di se stesso ed è senz’altro una delle frasi autoreferenziali che meglio descrive la straordinaria e poliedrica personalità dell’artista catalano, tra i più grandi e discussi del Novecento. Dopo una breve parentesi surrealista (fu escluso dal movimento a causa delle sue simpatie per i regimi di destra), declinò tutta la sua produzione artistica in modo individualista e provocatorio. «Non aver paura della perfezione: non la raggiungerai mai». È un assunto valido per chiunque. Detto da lui, però, ha una connotazione differente. Pochi artisti come Dalí riescono a far parlare di sé anche se non ci sono più. Dal 1 marzo al 10 giugno 2018 il Palazzo Arti di Napoli accoglie la mostra “Io Dalí” che, per la prima volta, analizza, attraverso dipinti, disegni, fotografie e riviste, il modo in cui il pittore ha esplorato le varie forme d’arte in modo sempre originale, senza mai ripetersi. I video che mostrano Dalí al lavoro o semplicemente mentre parla, contribuiscono ad evocare l’immagine onirica e surreale delle sue opere, così come i baffi più famosi della storia dell’arte, che hanno reso l’artista catalano un’icona indimenticabile e di fama mondiale. Figure antropomorfe si alternano allo stile classicheggiante che omaggia l’arte di tutti i tempi senza mai, però, compiacere questo o quell’artista. La mostra, curata da Laura Bartolomè e Lucia Moni, è stata fortemente voluta dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, e nasce in collaborazione con la Fundació Gala-Salvador Dalí. La direzione generale è di Alessandro Nicosia,
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M USICA STORIA, MUSICA E CULTURA DELLA CASINA POMPEIANA di Savio De Marco | Foto di Carmine Colurcio
presidente di C.O.R. (Creare Organizzare Realizzare) ed è supportata dal Ministero della Cultura spagnolo, con il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia e l’Istituto Cervantes. «Considero la televisione, il cinema, la stampa, il giornalismo alla stregua di grandi strumenti moderni di svilimento e di rincretinimento delle folle, ma adoro utilizzarli perché, dal punto di vista pratico, dopo ci sono più persone che corrono a Dalí e i quadri si vendono più cari. E allora, visto che esistono, sarebbe del tutto sciocco non approfittarne, tutto qua». Questo era Salvador Dalí: un artista che voleva stupire, e lo faceva in modo incredibilmente spudorato, semplicemente affermando se stesso, senza mai, probabilmente, riuscire a capire chi fosse realmente.
centro di ricerca e documentazione sulla canzone classica napoletana. È inaugurata nel 2011 per la Coppa America, senza vivere una reale continuità, ma venendo utilizzata solo per mostre e presentazioni. Il primo esperimento di apertura regolare del sito risale al 2015, con l’affido della casina pompeiana all’associazione “Sii turista della tua città”; progetto durato poco, per inconvergenza di idee tra comune ed associaizone. L’assessore alla cultura del comune di Napoli, Nino Daniele, continua la sua l mare da un battaglia per tenerla lato, la riviera di regolarmente aperChiaia dall’altro ta e, finalmente, nel e la villa comunamarzo 2016, prende le tutta intorno: la vita il centro di doCasina Pompeiana cumentazione della è una bomboniera canzone napoletaposata sul prato che na. La RAI, detentrice forse non tutti conodell’archivio, era restìa, scono. Come tutti i siti ma alla fine si riuscì a tropiù affascinanti della nostra vare l’accordo circa la sinnino Peppe Sanapoletano città, non è chiara la storia delcurezza dei file e dei diritti ta is n io Percuss la sua edificazione. All’interno della d’autore. Con l’inauguraziogià costruita villa comunale, in conne del punto d’ascolto è partito temporanea agli scavi di Pompei, sorse un progetto di affermazione di questo luogo, in nel 1870 il padiglione “Pompeiorama” con lo scocui la radice musicale napoletana incontra l’arte po di mettere in mostra i reperti che man mano contemporanea ed in nuovi generi musicali, porvenivano recuperati. Quello, probabilmente, è tando avanti una programmazione simile a quella il primo scheletro della casina. Da un’iscrizione di un cartellone teatrale. È vero che l’arte oggi che cita la “societa delle belle arti” possiamo imè cambiata, ma è indispensabile che questa getti maginare l’allocazione in questo sito di una sosempre un sguardo alle proprie radici. Così, nelcietà che si occupava di mostre ed allestimenti. la casina pompeiana, mentre la musica internaLa pianta era decisamente più piccola di come zionale suona in una stanza (recentemente con si mostra oggi. Cambia l’arte, così come cambia Peppe Sannino, per esempio) nell’altra Bovio, Di la società, e più di cento anni dopo, nel 2007, Giacomo e Viviani riposano con la consapevoè stato deciso di restaurarla per renderla un lezza di non poter essere dimenticati.
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Donne del terzo millennio di Angela Di Micco | dimiccoangela@gmail.com
"Is Europe an utopia?": opera di Amalia Vicente
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on è facile essere donna, in qualsiasi contesto e società si viva. Non è facile scrollarsi di dosso quella visione fallace secolare della donna, di sicuro diversificata a seconda delle culture, epoche e luoghi geografici, ma comunque sottomessa all’uomo. Le differenze percettive del ruolo della donna nella società sono molto diverse tra il mondo occidentale e quello islamico. Eppure, una particolare analogia tra le due culture nel rapporto uomo-donna, si può riscontrare nella partica della dote, ossia l’insieme dei beni conferiti dalla famiglia della sposa, o dalla sposa stessa, al marito. Questa consuetudine era diffusa nel Sud Italia fino a qualche anno fa mentre accade tutt’oggi in molti paesi islamici. Sidra (ci chiede di non utilizzare il suo vero nome), una studentessa pakistana di 19 anni che da 3 anni vive in Italia, ci racconta: «la donna non ha la stessa emancipazione di quella occidentale, non ha le stesse opportunità perché deve seguire le “tradizioni”, da rispettare anche quando si è lontane dal proprio Paese. Il velo, ad esempio, è un qualcosa su cui si dibatte spesso: indossarlo fa parte della nostra cultura. Mio padre è un conservatore e io rispetto il suo pensiero e scelgo di indossare il velo anche qui in Italia». Diversamente Hamida, una donna algerina che lavora presso un albergo in Italia, ci spiega che «la donna ha un ruolo importante, non solo come punto di riferimento per la famiglia, ma contribuisce anche economicamente al mantenimento di essa. Nel mio paese la donna ha le stesse libertà di quella occidentale. È molto forte, però la fedeltà verso il marito e la famiglia, anche se è pretta-
mente un dettame religioso. Differentemente da qualche anno fa, oggi la donna ha cambiato il suo modo di vivere e sfida i pregiudizi per porre un freno alla mentalità conservatrice della società». E allora, tutte in spiaggia col bikini. Lo scorso agosto, infatti, un gruppo di ragazze algerine ha dato vita alla “rivolta del bikini” scendendo in spiaggia non con il “burkini”, l’unico indumento consentito dalla religione islamica composto da pantaloni lunghi fino alle caviglie, una tunica larga e lunga e un velo sulla testa, ma con il più occidentale costume da bagno. Un atto per cercare di porre fine all’idea integralista del rispetto dei “valori islamici sulle spiagge”. Ma cosa accade in occidente? Come vive la donna nella nostra società e quali sono le grandi differenze con la cultura islamica? Lo chiedo a Patrizia Diomiaiuto, una ragazza poliedrica che rappresenta quella donna che vive nella piena libertà delle proprie decisioni, come la maggior parte delle donne occidentali. «Sono stati fatti passi da gigante dalle prime lotte, ma devo ammettere che la donna di oggi ha perso la sua raffinatezza, le sue fattezze. Nel contesto moderno, credo che la figura femminile abbia subito una involuzione. Le lotte avranno sì fatto migliorare la sua condizione sociale, culturale, ma la donna sta perdendo la sua morale. Inoltre, penso che i media ci forniscano un’immagine distorta del mondo musulmano, in totale chiusura verso l’esterno. Conosco molte persone che provengono da quelle aree e, come anche qui da noi, accade che ci siano alcune frange integraliste. Ma non è quella la cultura, le tradizioni. Le donne non sono quelle che i media
spesso ci raccontano». Il femminicidio è un altro grave problema che affligge la società contemporanea. Cronache di violenza fisica e psicologica sulle donne sono, purtroppo, all’ordine del giorno. «Nel mio lavoro – ci racconta Patrizia - ho subito violenze psicofisiche e stalking ma la scrittura mi ha aiutato tantissimo e mi ha permesso di conoscere ed aiutare, attraverso il colloquio, altre persone». Sidra, invece, è più restia a parlare di questo argomento e ci dice di non conoscere nessuna ragazza vittima di violenze. Nonostante molte donne di quei Paesi evitano di denunciare per non incorrere nell’onta del disonore, il medio-Oriente è anche portatore di grandi esempi rivoluzionari come quello di Malala Yousefza, premio Nobel per la pace nel 2014 a soli 16 anni, la cui storia ha incredibili vicissitudini per battersi per i diritti civili e il diritto all’istruzione delle ragazze nei paesi musulmani. Le esperienze di Sidra, Patrizia, Hamida, quelle che quotidianamente viviamo ci portano ad interrogarci sulla realtà che ci circonda, sul mondo, sui diritti delle donne. Quesiti che l’artista basca Amaia Vicente si è posta attraverso l’opera “Is Europe an utopia?” realizzata e portata al Ars Elettronica Festival 2016 di Linz (Austria) e fino al 31 Marzo in Piazzetta Durante a Frattamaggiore. La verità è che non è facile essere donna, nei paesi islamici come in quelli occidentali, dove si millanta l’uguaglianza tra i sessi. C’è bisogno di un ulteriore passo culturale, affinché la donna venga considerata anch’essa motore di una società in evoluzione.
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IL PESCE D’APRILE DELLA BIRRERIA E DEL MEIN KAMPF di Vincenzo Russo Traetto | vyncenzorusso@gmail.com
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l 1° aprile 1924 Adolf Hitler è condannato a cinque anni di prigione per il Putsch della Burgerbraukeller, ma vi rimase solo 9 mesi nei quali scrisse la sua opera ideologica: il “Mein Kampf”. Per la verità la gravità delle imputazioni - alto tradimento - avrebbero dovuto portarlo secondo il codice penale vigente all’epoca - alla pena di morte ma fu invece condannato a 5 anni non scontandone neanche uno intero. Questo ci porta a credere che il futuro fuhrer ed i magistrati fecero ai posteri (i posteri siamo noi) una burla, uno scherzo, un “cucù-tetè”, un pesce d’aprile, tanto è che fu arrestato proprio il 1° aprile. Sappiamo tutti che cos’è il pesce d’aprile? Un giorno dedicato a beffe e canzonature di amici, colleghi e familiari inventando commissioni impossibili, ricerche di oggetti chimerici, discussioni su animali inesistenti. Il segreto dello specifico scherzo del “pesce” è la disinvoltura di colui che fa lo scherzo, il tono ed il movimento che usa. Tutto deve essere buttato là. Credibile ed inaspettato e al termine dello svolgimento drammaturgico si apre il sipario “Pesce d’aprile!” ed il pubblico nascosto compare all’improvviso. Le reazioni di colui che lo ha subito sono diverse. In alcuni casi vi è sollievo, in altri una risata stizzosa (“mi hanno fatto fesso”), ma in altri ancora una esibita incazzatura: “Ma io ho tanto da fare e voi mi fate perdere tempo.”. Tranquillizzatevi non ha nulla da fare ed il tempo non lo perde. Ha capito che da giorni era l’obiettivo di un piano articolato che ha coinvolti vari soggetti. E gli danno fastidio non tanto le risate allo scoperto, ma quelle fatte alle sue spalle durante i preparativi. Commissioni, indicazioni e tranelli che cambiano da paese a paese: «Vammi a comprare la corda che tira il vento» (Portogallo), «Portami il rasoio per tosare le uova» (Belgio),
«Trovami là fuori la neve disseccata» (Germania), «La pietra per affilare i cappelli» (Andorra). A Napoli poi: «Chiedi al salumiere 10 tozzabancone e 20 grammi di minuocchi, non ti dimenticare di chiedere al vigile in piazza del gesù qual è il vicolo dove si trova la Chiesa di Santa Pereta Maggiore». Nel primo caso rischi la testa nello scontro con il banco dei salumi, nel secondo ti sarà spiegato che i “minuocchi” non sono altro che «O’ ca..o cu (con) l’uocchie (gli occhi)» e nel terzo caso il vigile ti spiegherà di che vicolo si tratta. Una burla era anche quella di Hitler nella notte tra l’8 ed il 9 novembre 1923. La Burgerbraukeller era una importante birreria di Monaco di proprietà della Lowenbrau, demolita solo nel 1979. Quella sera i 3 rappresentanti più importanti del governo e delle istituzioni bavaresi - un dettaglio: la Baviera voleva separarsi dalla Germania, cose che succedono ciclicamente in ogni parte del mondo - stavano parlando con circa 3.000 bavaresi. La birreria era molto grande, la gente numerosa, ma si sentivano molto bene le parole di Kahr, commissario di Stato per la regione, von Lossow, comandante dell’esercito - il Reichswehr - e von Seisser, capo della polizia locale. Ad un certo punto nel locale entra un piccoletto con i baffetti alla Charlotte - si chiama Adolf Hitler - spara quattro colpi di pistola per aria “Bang! Bang! Bang! Bang!” e va a sedersi sul palco insieme agli altri tre. «Attenzione la rivoluzione nazionale è cominciata. Abbiamo circondato il palazzo con seicento uomini armati di tutto punto. Il governo bavarese e del Reich sono stati rovesciati. Le caserme dell’esercito e della polizia sono occupate, gli uomini si sono schierati con noi e marciano sulla città con le nostre bandiere della svastica. Io ho assunto la direzione politica
del nuovo governo» proclama Adolf. Kahr spiffera nell’orecchio di von Lossow «Ma chi è?» che gli risponde a ciglia inarcate «La Reichswehr non si occupa di queste cose noi facciamo la guerra ai nemici della Baviera” ed allora lo chiede a von Seisser che grattandosi il capo replica più o meno la risposta del capo dell’esercito “La polizia bavarese ha ben altro da fare». Quelle parole confermarono che era tutta una burla. Come era possibile che “600-uomini-600” potessero intimorire “3.000-bavaresi-che-stavano-bevendobirra-da-almeno-2-ore”? Nel giro di qualche ora tutti tornarono a casa. I nazisti la mattina dopo - quasi con stizza perché non li avevano presi sul serio - marciarono nella città chiedendo la resa del governo. Una sparatoria di qualche minuto, che causò una ventina di morti, li dileguò. Hitler scappò gridando «Scherzavo! Stavo scherzando!». Qualche mese dopo - preso, processato e condannato - scrisse durante la breve detenzione uno dei libri più catastrofici della Storia dell’Umanità. Vedete gli scherzi del pesce d’aprile bisogna saperli architettare. In quei 9 mesi passati nel carcere di “Landsbergh am Lech” Hitler, invece, di scrivere il “Mein Kampf”, avrebbe potuto descrivere i mille itinerari per arrivare alla “Chiesa di Santa Pereta Maggiore”, al centro di Napoli, il terzo vicolo, scendi le scalette, stai attento al marciapiede basso, giri intorno al palazzo bianco e te la trovi proprio davanti.
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ISAIA: IL "MADE IN NAPLES" NEL MONDO di Savio De Marco | saldem4@gmail.com
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er noi è una missione portare la vera Napoli nel mondo. C’è tanto sacrificio alle spalle, ma quando c’è tanta passione questo non ti pesa: io amo ciò che faccio». La scintilla negli occhi di Gianluca Isaia prescinde l’originale giacca che indossa, oppure la bellissima stanza nella quale ci ospita. Convivono in lui un’esuberante veracità napoletana, che lui tiene a mostrare ed una concreta vena manageriale, fatta di ragionamenti trasversali e duttilità internazionale. Isaia non è solo il cognome di Gianluca, ma un’entusiasmante realtà.
I Quattro Palazzi, Casalnuovo e… Tokyo «L’azienda nasce con nonno ai Quattro Palazzi, in via Seggio del Popolo» ci racconta Gianluca, partendo dalla genesi di questa eccellenza sartoriale. «Mio nonno aveva un piccolo negozio dove vendeva tessuti ai sarti. Quando iniziò a fare sartoria su misura ed il commercio andò bene, si trasferì a Casalnuovo che era “città dei sarti”. Negli anni ‘50, su 14.000 abitanti circa 7.000 erano sarti, un vero e proprio distretto artigianale». La manodopera
specializzata, quella vera, è quella che ancora oggi contraddistinuge la cittadina in provincia di Napoli. I festoni delle feste patronali, le botteghe d’epoca, riportano tutte l’ago ed il filo, nel segno di una memoria che non vuole disperdersi. «A mio nonno sono subentrati mio padre e i suoi due fratelli. Io sono entrato nell’89, dopo la laurea in economia a Milano ed oggi porto avanti l’azienda con mia sorella e cinque cugini». Non si può frenare il mercato, la diversificazione sociale, come, fortunatamente, non si può frenare la crescita di un brand d’eccellenza. «Negli anni ‘90 il nostro mercato era soprattuto italiano, poi siamo arrivati in Giappone, USA e in tanti Paesi del mondo. Oggi, più del 90% del nostro commercio giunge dal mercato internazionale. Tutto ciò è stato possibile con la passione, accompagnata da una bravura tutta napoletana; noi specifichiamo sempre che non siamo made in Italy, ma made in Napoli». Tokyo, San Francisco, Milano, Capri, ma il quartier generale rimane sempre lì: Casalnuovo di Napoli. Non te lo aspetti che lì, a pochi passi dalla cumana, in una delle vie parallele al corso, ci sia uno stabilimento che conta circa 350 dipendenti; un quartier generale di artigianato e distribuzione internazionale, a cui vanno aggiunti i dipendenti degli store esteri. «Casalnuovo ci coccola, perché insieme a Napoli noi portiamo anche Casalnuovo nel mondo. Qui sono molto orgogliosi di questa
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realtà e abbiamo un ottimo rapporto con questo territorio. È una cittadina dove si sta bene». Lo scopo è lapalissiano: esportare napoletanità. Un patrimonio che non è fatto solo di storia, teatro e canzoni, ma di artigianato e commercio. Una cultura che risiede geneticamente nella manualità di quella sartoria che non si contraddistingue per la sua nazionalità, ma perché puramente “napoletana”. «Facciamo spesso stage per i giovani - ci spiega Gianluca Isaia - L’iniziativa più importante arriverà tramite la fondazione che abbiamo costituito ed avrà come primo progetto una scuola di sarti per giovani ragazzi che vogliono avvicinarsi a quest’arte. Il secondo costituirà corsi di lingua napoletana. Tutto nasce da un libro per cui ho posato come modello sulla gestualità partenopea: il ricavato andrà a questa fondazione dedicata ai miei nonni».
Proud, always Il corallo è il logo del brand Isaia. Può perdersi per le vie di Tokyo, oppure raffreddarsi per la brina dei vetri di Mosca, ma le sue radici affondano nel mare di Napoli, nelle gocce cadute dalla testa mozzata della gorgone Medusa dall’eroe mitico Perseo. Il corallo è un altro richiamo all’origine di Isaia, alla Magna Grecia che ancora si respira nella nostra città. «Di Napoli mi piace tutto, soprattutto la passione e la gioia di vivere, di cui abbondiamo. C’è tanto rimpianto per non avere la capacità di valorizzarla come si dovrebbe. Purtroppo abbiamo esportato il peggio, anche se questo rappresenta una minoranza». Il punto di vista manageriale, a volte, è ciò che ci manca; l’occhio di chi guarda in termini di utilità e di investimento, andando oltre la patina dorata che viene rappresentata. «Sono un forte sostenitore della nostra città e della Campania - ci spiega Gianluca - ma, purtroppo, non vedo un momento migliorativo. Noi abbiamo un negozio a Capri con tanti stranieri che passano, ma molti non conoscono la città di Napoli. A Napoli ci passano e scappano via verso la costiera o le isole. Hanno paura di girare per la nostra città. La micro criminalità può essere combattuta, soprattutto con maggiori presidi nei
La boutique di San Francisco
Gianluca Isaia nella boutique di Mosca
punti nevralgici come Molo Beverello». È strano, il turismo al momento sembra uno dei valori fondanti della nostra rinascita, ma lo spunto di riflessione fornitoci da Gianluca Isaia è molto interessante. «Napoli dovrebbe essere super ricca solo per il turismo. Tutti parlano di affluenza turistica, ma i veri turisti, quelli buoni, che spendono, non vengono. I turisti di cui tutti parlano sono quelli che a Napoli sarebbero venuti lo stesso». L’amore per una donna, per la famiglia o per la propria città è tale se le critiche non vengono nascoste come polvere sotto al tappeto anzi, è tale se si agisce perché queste si trasformino in risorse. È recente il lancio della campagna #ProudlyNapulitano da parte di Isaia, con la quale, con tono sarcastico ed autoironico, l’azienda napoletana ha giocato sugli insulti razzisti che da sempre ci vengono lanciati. «Cerco sempre di portare la Napoli positiva nel mondo e, soprattutto, sono tifoso del Napoli. Durante il mio periodo universitario ho visto più trasferte che partite in casa. Dei cori che leggete sulle magliette ne ho subiti una marea: inizialmente erano proprio brutti, perché uscivamo sconfitti, poi, con Maradona, tutto è diventato più bello, perché subivi i cori, però vincevi. Questi insulti mi sono rimasti dentro e sono diventati uno spunto per questa campagna che non riguarda solo il calcio, ma anche il sociale, contro i pregiudizi che ci sono. #Proudlynapulitano, perché noi comunichiamo in napoletano ed inglese, mai in italiano». Una rete che esporta, in maniera capillare, una napoletanità di mestiere, pulita, elegante ed autoironica. Posizionata in una fascia alta di mercato, diventa, così, un prodotto di lusso ricco di storia e cultura. Una realtà entusiasmante.
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A MBIENTE PAOLA DAMA, UNA RICERCATRICE INARRENDEVOLE di Barbara Giardiello | barbara.giardiello05@gmail.com
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aola Dama (in foto), dottore di ricerca in oncologia molecolare e farmacologia all’University of Chicago, dopo 20 mesi rilascia una nuova intervista ad Informare. Per il 2016 l’AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori) fotografa dati socialmente seri, seppure in lieve miglioramento grazie alla ricerca. In Italia ogni anno si contano più di 365.000 nuove diagnosi di tumore. Sono migliorate le percentuali di guarigione, con una sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi del 63% tra le donne e del 57% tra gli uomini. Ci spieghi la differenza tra l’incidenza e la mortalità nella statistica dei tumori? «Uno dei gravi casi di disinformazione scientifica è legato proprio all’uso errato degli indicatori usati in epidemiologia, fondamentali da comprendere. L’incidenza dei tumori è il numero di nuovi casi di tumore che si verificano in una data popolazione in un dato periodo ed esprime il rischio di ammalarsi, fornendo informazioni sulla presenza dei fattori di rischio, come l’inquinamento. La mortalità per tumore è il numero di decessi che sopravvengono in una data popolazione in un dato periodo e fornisce informazioni soprattutto sulla prognosi della malattia che ha portato alla morte». Sei la fondatrice della Task Force Pandora, un progetto che intende fare rigorosa chiarezza sulla questione della Terra dei Fuochi. A distanza di 4 anni, cosa contesti al metodo di divulgazione scientifica e all’attendibilità della ricerca in Campania? «La popolazione ha associato alla sgradevole e intollerabile presenza di rifiuti sul territorio il convincimento di un inquinamento massivo, da cui deriverebbe l’alta mortalità per patologia tumorale. Abbiamo ampiamente criticato la Regione Campania per non farsi garante della corretta informazione scientifica, lasciando che il messaggio assumesse i caratteri dell’allarmismo. Solo successivamente si è cercato di contenere questa deriva, ma la scarsa fiducia nelle istituzioni non è riuscita a contrapporsi ai vari demagoghi che si sono affiancati alle popolazioni sofferenti. La comunità medico-scientifica è stata assimilata alla classe politica e chi è al servizio della salute è vissuto come un nemico, in un plagio mediatico abilmente condotto da chi specula nei nostri con-
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PAOLA DAMA
Ricercatrice University of Chicago
fini. Sull’attendibilità della ricerca nello smentire le ‘bufale’ non ho niente da criticare se non che abbiamo dovuto spendere risorse economiche per ribadire ciò che già conoscevamo, sottraendole alla manutenzione e al potenziamento delle strutture di prevenzione e monitoraggio dello stato di salute delle popolazioni». Hai denunciato il grave danno causato da una analisi che nel 2013 stabiliva una presunta relazione tra i cavolfiori di un campo di Caivano e i tumori. La notizia allarmò l’opinione pubblica a causa della convincente logica che attribuisce alla contaminazione del terreno l’origine di alcuni tumori. In quel caso, però, il cavolo era semplicemente colpito da un fungo, l’Alternaria. Quanta speculazione e quanta ignoranza stanno distruggendo l’economia agricola in Campania? «Il comparto agro-alimentare campano ha subito danni ingentissimi da uno scellerato accanimento mediatico. Il presidente di Confagricoltura Mario Guidi stimò l’entità del danno in una perdita di circa 100 milioni di euro. Il problema rimane il medesimo, la mancanza di fiducia verso la classe politico-istituzionale e, a mio avviso, la mancanza di aggregazione delle realtà agricole sul nostro territorio». Hai scritto una lettera rivolta al Presidente della Repubblica in cui esprimi il tuo “invito a un atto di responsabilità”. Il tuo dissenso verso le politiche del M5S e la tua disapprovazione verso la dichiarata nomina del Generale Sergio Costa
come Ministro dell’Ambiente sono pubblici. Vuoi chiarirci le tue ragioni? «Ho sempre combattuto le speculazioni ed in questi anni ho richiamato tutti i politici ad un atto di responsabilità verso un territorio devastato dal degrado sociale, culturale e ambientale. Non ho tollerato di nuovo una propaganda elettorale basata su allarmismo e populismo, soprattutto alla luce di dati noti. Abbiamo una chiara conoscenza del territorio per tutte le matrici, avendo poi individuato le criticità, abbiamo i dati della Rete Regionale dei Tumori, abbiamo avuto le smentite sui campi agricoli poi dissequestrati e ancora si urla alla pericolosità di rifiuti interrati, frutta e verdura avvelenati e malati di tumore. Questo è vergognoso, Costa avrebbe dovuto dichiarare apertamente le sue responsabilità per quanto erroneamente accaduto perché c’è ancora chi silenziosamente sta pagando i danni della bolgia mediatica. Non è un attacco ad un partito in favore di un altro, mi inquieta che le persone non cambino opinione di fronte alle evidenze, significa che non siamo massa critica, non siamo indipendenti nei pensieri e non valutiamo, dando peso ai sentimenti e non alla ragione». Mi soffermo su quest’ultima riflessione che focalizza perfettamente una struttura sociale insoddisfatta e proiettata al cambiamento, ma poco consapevole e ponderante. La pancia, che la nostra politica cosi abilmente seduce, è avida di risposte, ma le illusioni e gli inganni non saziano.
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FANGHI DI DEPURAZIONE: COSA MANCA PER RICOSTRUIRE LA FILIERA DELLO SMALTIMENTO
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opo la denuncia fatta dai colleghi di Fanpage.it si ritiene necessario, in coerenza con la nostra linea editoriale, intervenire sulla filiera dello smaltimento dei fanghi di depurazione, di cui poco si conoscono “cause ed effetti”. Di tale problematica non si vuole trovare una soluzione definitiva e programmatica, ma continuare nella confusione più totale; si sa che nella confusione e mancanza di regole precise, si annidano la corruzione e i rischi di disastro ambientale. La “Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati” è stata istituita con
la Legge n. 1/2014 e tra i propri compiti vi è quello di redigere una relazione sulle attività svolte che, di fatto, costituisce un utile aggiornamento sullo stato dei fatti in un settore molto delicato. La relazione conclusiva delle attività della Commissione, avente come relatrice l’on. Chiara Braga, è stata approvata nella recente seduta del 28 febbraio 2018. Dopo aver studiato le 219 pagine della relazione, riportiamo di seguito gli argomenti più importanti e di maggior interesse per il nostro territorio accertati dalla Commissione. La Redazione
Cosa accerta la Commissione • • •
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È stata verificata “sul campo” dell’applicabilità della legge 68/2015 che pone la tutela dell’ambiente rilevante dal punto di vista costituzionale Circa 1,3 milioni di abitanti in Campania (22% circa) non è servita da impianti di depurazione Circa 13% della popolazione campana non è allacciata alla pubblica fognatura Gli impianti di depurazione regionale di Foce Regi Lagni, Acerra, Marcianise e Napoli Nord non rispettano i limiti imposti dalla legge per lo scarico in corpo idrico superficiale Negli impianti di depurazione non avviene un trattamento di stabilizzazione dei fanghi che determina due criticità: 1. Scarsa qualità dei fanghi prodotti, in termini di contenuto di materia organica e putrescibilità, oltre che di microrganismi patogeni 2. Maggior costi di gestione complessivi del depuratore dovuti alla necessità di individuare siti di discarica in possesso di specifici requisiti ed autorizzazioni, tali da poter accettare fanghi con caratteristiche chimico-fisiche di scarsissima qualità Gli impianti sono destinati al trattamento di acque reflue di tipo urbano, ma il refluo in ingresso, con frequenza significativa, ha, invece, caratteristiche assimilabili a quella di reflui di provenienza industriale Assenza di normativa regionale per gli scarichi provenienti da agglomerati urbani con meno di 2000 A.E. (abitanti equivalenti, ndr).
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Polizia di Stato
Sequestro di un depuratore non a norma
Cosa NON accerta la Commissione •
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Un progetto “centralizzato” di impianti di depurazione per più aree ASI (Aree di Sviluppo Industriale) è fallimentare. Le singole aree ASI devono essere a impatto zero. La tracciabilità della qualità dei fanghi è ancora scarsa e devono essere previsti controlli più rigorosi. Non possiamo spendere milioni di euro all’anno per smaltire acqua sporca e NON fanghi. Cosa dicono i controlli ARPAC (Agenzia Regionale della Protezione Ambientale della Campania) e NOE (Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri)? Non sarebbe il caso di aumentare i controlli o mettere delle telecamere sulla linea fanghi degli impianti di depurazione? È necessario ripercorrere la filiera dello smaltimento dei fanghi fino alle discariche finali. I cinque impianti campani denominati PS3 producono circa 300.000 metri cubi di “fanghi” all’anno. Per un’altezza media di 1 metro (volendo essere ottimisti) vuol dire occupare ogni anno una superficie di circa 300.000 metri quadrati di discarica (circa 40 campi di calcio). Bisognerebbe organizzare più missioni presso le discariche finali e verificare se esistono tali superfici. di Angelo Morlando | angelo.morlando@libero.it
Dove stanno finendo le 350mila tonnellate di fanghi di depurazione, con altissimo carico tossico, prodotte ogni anno nella nostra regione da impianti chimici mai messi a norma nonostante i cospicui finanziamenti disponibili? Probabilmente nei Regi Lagni o addirittura in mare, nelle acque dei litorali Flegreo e Domizio. Si parla prevalentemente di inceneritori, raccolta differenziata, ecoballe, incendi e MAI dei fanghi. Sollecitiamo i vertici della Regione a disinnescare questa vera e propria “bomba ecologica”.
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Vincenzo D’Anna Presidente Ordine Nazionale Biologi
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CAMBIAMENTI CLIMATICI Cosa sta accadendo alla Terra? di Fabio Corsaro | Foto di Ciro Pipoli
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eve al Sud è un ossimoro diventato realtà. Ad imbiancare le città del Meridione nel pieno dell’inverno è stato Burian, quel vento russo di aria gelida che ha creato fascino e disagi in tutta Italia. Vedere tanta neve al Sud fa un po’ strano, soprattutto se vivi nei pressi della costa mediterranea o tirrenica. Tutto molto bello, ma sicuramente non si tratta di una situazione climaticamente normale. La Terra sta cambiando, la stiamo surriscaldando, ma da cosa dipendono realmente le condizioni climatiche del nostro pianeta? Proviamo a capirlo grazie alle spiegazioni forniteci dal geologo Franco Ortolani, nonché neo senatore della Repubblica che ha ottenuto alle elezioni dello scorso 4 marzo oltre centootto mila voti nel cuore di Napoli, pari al 53,16% delle preferenze, in forza al Movimento 5 Stelle: «I cambiamenti climatici dipendono in primis da altitudine, latitudine e dalla distribuzione delle grandi masse d’acqua marina. Il “motore” naturale di tutto l’assetto ambientale è ovviamente il sole che, con i suoi spostamenti, ogni anno determina l’alternarsi delle stagioni. In relazione alle condizioni naturali interviene l’attività antropica, nonché gli interventi fatti dall’uomo, che modifica in continuazione parti della superficie del suolo, ricoprendola e impermeabilizzandola con vari manufatti, trasformando la copertura vegetale e immettendo in atmosfera consistenti volumi di sostanze gassose anche climalteranti. Alle fasce climatico-ambientali,
nonché quelle zone della superfice terrestre estese in senso latitudinale che presentano delle caratteristiche climatiche piuttosto simili, corrisponde una ben definita e delimitata circolazione atmosferica. Questi hanno subito spostamenti verso Nord e verso Sud in relazione al succedersi dei periodi freddi (glaciazioni) e caldi (interglaciazioni) verificatisi nelle ultime centinaia di migliaia di anni. Tali spostamenti hanno lasciato tracce indelebili “scritte nei sedimenti e nella morfologia” che caratterizzano il territorio. Ad esempio, sedimenti glaciali si trovano a latitudini dove oggi non esistono i ghiacciai e suoli tipici di aree umide si trovano in zone oggi desertiche. I dati geoarcheologici integrati dai dati archeologici e storici evidenziano che le variazioni climatico ambientali si sono verificate con una ciclicità circa millenaria. È evidente l’importanza che riveste lo studio multidisciplinare degli archivi naturali geoarcheologici per ricostruire pragmaticamente i cambiamenti ambientali del passato al fine di prevedere i prossimi cambiamenti della superficie del suolo del futuro. Fino al 1800, in assenza di perturbazioni antropogeniche della composizione dell’atmosfera, il Sole è stato l’attore indiscusso del cambiamento climatico e conseguentemente ambientale. Successivamente, l’uomo industrioso ed industriale ha iniziato ad immettere in atmosfera volumi crescenti di inquinanti climalteranti,
mentre già la temperatura era in continua risalita. Ecco che nel 1900 si ha il massimo di impatto antropogenico sull’atmosfera: l’uomo ha dato il massimo di inquinamento, mentre l’attività solare ha continuato ad aumentare tra qualche alto e basso. Di chi è, quindi, la colpa del riscaldamento globale? Dell’uomo? Della Natura? O di tutte e due? Dell’inquinamento atmosferico è certamente responsabile l’uomo! Mille anni fa ci fu una evoluzione climatica che causò il noto periodo del caldo medievale tra il 1100 e 1270 circa. A tali condizioni non siamo ancora giunti, ma sembra che ci stiamo avviando per riavere situazioni simili a quelle di 1000 anni fa. Ad oggi, eliminare le attività climalteranti non fermerebbe il cambiamento climatico-ambientale, ma diminuirebbe l’inquinamento atmosferico e sarebbe già un primo grande passo avanti. Bisogna prepararsi per sopportare le nuove condizioni ambientali che
progressivamente si stanno instaurando, come accadde 1000 anni fa, e che saranno molto significative soprattutto nelle fasce di transizione tra condizioni climatico-ambientali differenti. E occhio alle migrazioni, non solo della temperatura e delle precipitazioni, ma anche quelle biologiche che imporranno una nuova biodiversità naturale. Occhio alle produzioni agricole tradizionali che sostengono gran parte dell’economia agricola: nuovi ospiti imporranno “lotte all’ultimo colpo” per la sopravvivenza biologica. E occhio a rispolverare le essenze vegetali autoctone antiche sopravvissute alle diverse condizioni climatico ambientali che si sono succedute nelle ultime migliaia di anni. Una lotta senza quartiere è iniziata, per la sopravvivenza e per la conquista biologica di nuove aree. Invasioni e migrazioni biologiche globali sono ormai in atto. Rendiamoci conto della vastità dei conflitti biologici naturali e regoliamoci al più presto. E prepariamoci ad una nuova biodiversità naturale».
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“D’amore d’autore Tour” «Ho scelto di raccontare le tante facce dei sentimenti» di Chiara Arciprete | Foto di Fabiana Privitera
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l cantante emiliano Gianni Morandi, reduce dal successo live “Capitani Coraggiosi” insieme al cantautore e collega Claudio Baglioni, scalda i motori per un trionfale tour nei maggiori palazzetti del nostro Paese, che prende il nome dal nuovo progetto discografico dal titolo “D’Amore D’Autore”, il 40° album di inediti che certifica una moderna miscela di melodia ed energia. In questo ultimo disco pieno di ritmo, ottimista, molto diverso dai precedenti, Morandi ha coinvolto grandi autori della musica italiana come Elisa, Ivano Fossati, Levante, Luciano Ligabue, Ermal Meta, Tommaso Paradiso, Giuliano Sangiorgi, Paolo Simoni e Fiorella Mannoia, che hanno scritto i testi delle canzoni in cui risalta in primo piano l’amore in tutte le sue declinazioni. Un disco che ha contagiato tutto il pubblico che dal vivo trova la sua espressione migliore. La musica dell’artista italiano più stimato ha calcato il palcoscenico del Palapartenope di Napoli, portando in scena le canzoni che hanno segnato la sua leggendaria carriera artistica. Un live imperdibile di oltre due ore la cui musica è stata al centro del grande show avvolgendo, canzone dopo canzone, gli spettato-
ri in un grande abbraccio musicale e creando una reale interazione tra palco e platea. Uno show unico il cui file rouge è unicamente l’amore, che resta identico da generazioni a generazioni; ciò che cambia è il modo per renderlo manifesto. L’artista, infatti, riesce a incastonare realtà e parole in preziosi gioielli emozionali. Morandi si è dimostrato un artista poliedrico ed innovativo, grazie a una continua evoluzione musicale che gli ha permesso di unire più generazioni di ascolti, raggiungendo una enorme popolarità. Negli ultimi anni, l’autore bolognese è diventato particolarmente social, postando ogni giorno immagini di vita quotidiana: dalla colazione al bar, alla corsetta mattutina, alle mille battute sulle sue enorme mani. Il tutto corredato da didascalie che hanno spesso scatenato commenti inizialmente sarcastici e ora compiaciuti da parte degli utenti. Lui risponde sempre con ironia e sagacia raggiungendo livelli di engagement altissimi con i suoi seguaci. Il “Gianni Morandi Tour 2018 d’Amore d’autore” si è aperto sulle note dei nuovi brani cariche di mescolanze maniacalmente studiate per equili-
Gianni Morandi
enope al Palapart di Napoli
brarle tra loro. Sul palco riesce a tirar fuori tutta l’energia e la grinta che ha dentro, trascinando il pubblico in un susseguirsi di emozioni. Quaranta i brani in cui “l’eterno ragazzo”, che da sempre va ai “Cento all’ora”, ha accompagnato i suoi fan in uno splendido viaggio attraverso il tempo: dai grandi e intramontabili successi del passato che hanno composto la colonna sonora di tutti noi, come “Grazie perché”, “Occhi di ragazza”, “Scende la pioggia, “Uno su mille ce la fa, fino ad arrivare ai brani più attuali come “Volare” con Fabio Rovazzi,“U-
na vita che ti sogno”, presentato a Sanremo 2018 con l’autore Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti, e “Dobbiamo fare luce”. Morandi ha impreziosito la serata omaggiando l’amico di sempre, Lucio Dalla, evocato con “Vita”, singolo che portarono insieme al successo. Con l’inaspettato brano “Te voglio bene assai” ha concluso lo strepitoso spettacolo nel cuore di Napoli, ringraziando il suo pubblico partenopeo presente per l’affetto che gli ha riservato. Il gran finale è previsto all’Arena di Verona il 22 aprile.
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OLTRE IL MURO DEL SUONO Al MACRO di Roma un tributo ai Pink Floyd per celebrare i 50 anni di carriera Servizio a cura di Carmine Colurcio | carmine.colurcio@gmail.com
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pproda a Roma, precisamente al Museo d’Arte Contemporanea (MACRO), “The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains”, una delle mostre più incredibili dedicate alla musica della band rock londinese, raccontata attraverso 350 oggetti tra testi, strumenti, foto e disegni. L’esposizione è stata organizzata con la supervisione di Nick Mason, batterista e cofondatore dei Pink Floyd, per celebrare gli oltre 50 anni di carriera della band. Per ogni area della mostra c’è una traccia che viene trasmessa nelle radio-cuffie, una botta di adrenalina per tutti gli amanti della loro musica, attraverso la quale si riescono a rivivere i periodi psichedelici degli anni ’60. Nella mostra, tutto muta repentinamente: veniamo catapultati nella fantastica dimensione dei primissimi Pink Floyd “underground”. Poi parte la musica in sottofondo e le luci colorate si intrecciano accarezzandoci il volto. Il lungo corridoio racconta delle prime sperimentazioni musicali e della ricerca, quasi maniacale, nel riuscire a creare sonorità con qualsiasi cosa, talvolta anche utilizzando semplici oggetti domestici. Da qui inizia la storia dei quattro ragazzi londinesi uniti
dalla stessa passione, ossia quello di riuscire a creare qualcosa di straordinario attraverso il genio e la follia. In tal senso, il primo leader Syd Barrett ne era l’emblema, colui che in poco tempo ha lasciato l’impronta decisiva che successivamente ha determinato in maniera importante tutto il prosieguo della carriera di questa band. Dopo tre anni, Syd, colpito da schizofrenia, causata dall’uso massiccio di sostanze stupefacenti, fu costretto ad abbandonare il progetto lasciando spazio a David Gilmour, il quale seppe cogliere sin da subito lo spirito dei Pink Floyd dando vita, insieme a Roger Waters, Nick Mason e Richard Wright, a sperimentazioni musicali mai sentite prima. Da questo momento in poi ci fu un’esplosione in termini di successi. Fra tutti l’ottavo album “The Dark Side of the Moon”, dedicato alle tematiche di alienazione e disagio mentale, di cui furono vendute ben 50 milioni di copie, restando per 3 anni nelle classifiche internazionali di musica rock. Di lì a poco vennero
pubblicati “Wish You Were Here”, un vero e proprio tributo a Syd Barrett, e il doppio album “The Wall” nel 1979. In questo periodo storico prende forma l’architettura iconografica dei Pink Floyd: Thorgerson e Powell, titolari dello studio “Hipgnosis”, specializzato nella realizzazione di copertine per album musicali, danno vita al famoso prisma della copertina “The Dark Side of the Moon”, a l’uomo d’affari in fiamme in “Wish You Where Here”, al maiale volante sulla centrale elettrica di “Animals” e alle teste metalliche dell’album “The Division Bell”. Oltre ad essere una mostra, è un’esperienza audiovisiva avanguardistica unica nel suo genere, che permette a chi la vive di capire com’è stato possibile scrivere pagine di storia partendo dalle piccole cose e soprattutto dà la possibilità a chi è meno giovane di poter rivivere appieno un periodo in cui la musica ha vissuto uno dei momenti di massimo splendore.
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F OOD LA PIZZA DI GIANFRANCO IERVOLINO, TRA TV E I TRE SPICCHI DEL GAMBERO ROSSO di Antonino Calopresti | calopresti.antonino@libero.it
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ianfranco Iervolino, è un pizzaiolo napoletano multi premiato e un volto noto della televisione italiana, spesso in onda su Rai 2 nel programma “Detto Fatto” condotto da Caterina Balivo. Iervolino, il cui vero nome è Francesco, ma per un gioco della madre che voleva rispettare i nomi dei nonni è stato sempre chiamato Gianfranco, cresce all’istituto alberghiero di Vico Equense sotto la guida di professori come Andrea Cannavacciuolo (papà del famoso chef Antonino), Barbaro e Coppola. Le prime esperienze di lavoro si susseguono tra Capri, Roma, Scalea, paesi del vesuviano e opportunità che arrivano anche dall’estero. Tornato dall’Inghilterra, dirige il “Sale e Pepe” di Pompei e, solo successivamente, gli viene proposta l’apertura di una pizzeria insieme alla sua fidanzata, oggi attuale moglie. E fu così che, nonostante questo ramo della ristorazione non gli appartenesse, dopo numerosi tentativi e sperimentazioni, scoppia l’amore per la pizza. Comincia a studiare le farine e i modi di lavorazione fino a diventare docente di pizza e ricerca alla “Città del Gusto del Gambero Rosso”, docente degli impasti presso l’Università delle Scienze Gastronomiche a Pollenzo, in provincia di Cuneo, e docente di pizza gourmet alla scuola per professionisti di Maddaloni “Dolce e Salato”. Tra le sue pizze d’autore, si annovera la “Pizza Concept”, in cui si parte da un concetto cerebrale che avvolge mentalmente il cliente attraverso l’utilizzo di specifici ingredienti: grazie a questa innovazione è stato uno dei primi chef a fare la pizza diversamente napoletana. Abbiamo incontrato Gianfranco nel nuovo locale di Pomigliano D’Arco, in provincia di Napoli, dove promuove prodotti autoctoni e di qualità: il 450°, così chiamato perché la cottura della pizza avviene alla suddetta temperatura.
«Quando inizio a lavorare per me è come se si aprisse un sipario» Gianfranco Iervolino
«La qualità oggi si paga, ma i produttori ne stanno abusando – esordisce lo chef Iervolino - questo è un concetto importante che va evidenziato, perché oggi i produttori ci debbono dare la possibilità non di guadagnare più soldi, ma di spendere di meno riuscendo ad accontentare il cliente». Per quanto concerne la pizza napoletana «oggi è importante ricordare che la pizza napoletana si fa con lo “schiaffo”. Facendo poi un impasto a 24-30 ore abbiamo una fermentazione alcolica molto
bassa e quindi facciamo si che gli amidi si scompongano e il cliente mangi una pizza leggerissima che gli permette di arrivare a casa ed essere digerita. Inoltre, il mio menù prevede l’abbinamento per ogni pizza di un vino, frutto di un lavoro durato circa due mesi». E cosa può significare per uno chef e un pizzaiolo approdare alla televisione pubblica? «È un’arma a doppio taglio. Molti clienti – continua Gianfranco - vengono qui per vedermi da vicino, ma il mio interesse è che vengano perché io sono un Tre Spicchi del Gambero Rosso, oltre ad essere detentore di tanti altri premi. Quando inizio a lavorare per me è come se si aprisse un sipario. Io sono un uomo di spettacolo e quando leggo il menù alla clientela faccio capire la mia persona, trasmettendo le mie emozioni e le mie vibrazioni».
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Come in una bolla
IN SELLA CONTRO L’AUTISMO di Savio De Marco | saldem4@gmail.com
U
n buco nero. Così si presenta l’autismo a chi tenta di avvicinarsi allo studio, oppure alla semplice ricerca legata a questa patologia. Non se ne conoscono le cause, anche se da anni gli esperti monitorano quali possono essere gli elementi genetici, ambientali e neurologici che possono portare all’autismo. Non esiste una cura, sarebbe utopico, ma esistono tanti aiuti che possono portare la persona affetta da questa malattia a migliorarsi e, soprattutto, ad integrarsi nella società. Esistono associazioni, cooperative, in rete dal nord al sud dello stivale, che combattono con le famiglie per una causa comune: aiutare. Una di queste è l’A.N.I.R.E. (Associazione Nazionale Italiana di Riabilitazione Equestre) che approccia le persone affette da autismo attraverso un modo molto originale. «La nostra trentennale esperienza nel campo della riabilitazione considera l’autismo come una difficoltà in cui convivono diversi disturbi che vanno dallo spettro autistico, ai disturbi pervasivi dello sviluppo, psico fisici», ci ha spiegato Danièle Nicolas Citterio, presidente dell’A.N.I.R.E. «La errata sensazione tattile dello schema corporeo comporta un’estrema difficoltà a percepire il concetto spaziotemporale, e, senza questi, non si ha la normale evoluzione fisica e psichica». Questo è un punto teorico imprescindibile da cui partire nel momento in cui si parla di integrazione e riabilitazione dell’autistico, in un secondo livello, poi, ogni ente sceglie il modo più originale per aiutarlo ed interagire. «Il nostro operatore speciale è il cavallo. Nel soggetto autistico interveniamo attraverso protocolli terapeutici unici, ma personalizzati e adeguati al grado di difficoltà del paziente. Questa prima fase è indispensabile al prosieguo di un percorso terapeutico
per un progetto di vita che, attraverso le nostre equipe multidisciplinari, e con l’aiuto del “dottor” cavallo si concretizza con la riappropiazione dello schema corporeo e delle proprie capacità intellettive e motorie, senza per questo “gridare al miracolo”». Originale, creativo e, soprattutto, efficace, il metodo A.N.I.R.E risulta essere, ad oggi, una vera e propria terapia di riabilitazione. L’incontro tra il soggetto autistico ed il cavallo, con l’aiuto dei tutor, rappresenta una terapia psico-fisica all’avanguardia che porta grandi risultati. Fondamentale è il ruolo dell’operatore, che deve essere accuratamente preparato verso il paziente. «La scuola nazionale per operatori in M.R.G.C. (metodo di riabilitazione globale a cavallo) di Milano è ad oggi l’unica sede di formazione Nazionale e Internazionale; possiamo ben dire che oggi in Italia si contano circa 180 centri affiliati ANIRE, gestiti dai nostri operatori» ci ha raccontato la dott.ssa Citterio. «La nostra metodica è oggi riconosciuta anche dalle Linee Guida Nazionale sugli interventi assistiti con gli animali, tanto da considerarci l’unica, tra le tante, a poter essere collocata tra le terapie di riabilitazione». Fondamentale risulta essere l’espansione delle tecniche di riabilitazioni nuove e funzionali, soprattutto nei punti in cui la sanità nazionale vacilla e c’è bisogno di una spinta sociale concreta e, soprattutto, specializzata. «Oggi possiamo affermare che quasi tutte le regioni del nord, in testa la Lombardia, sembrano aver recepito le potenzialità di tale metodica con l’apporto di un regime sanitario. Al Sud, invece, il tutto langue nonostante la presenza di valenti ricercatori nel campo». Mai perdere la speranza nella ricerca, ma queste sono le esperienze che rendono l’attesa sicuramente meno dura.
Questa è una storia di vita comune, di forza, domande e speranze future. È una storia basata su un forte altruismo verso chi, come tanti, è affetto da autismo. Pensiamo a un bambino e diamogli un nome. Chiamiamolo Steve, come un supereroe. Perché Steve è speciale, non è come gli altri. Combatte un nemico grande come giganti. Ha tanto coraggio, lotta e non molla, mentre vive rinchiuso in una sorta di bolla. Una bolla da cui non riesce ad uscire, che trasforma il suo senso di percepire. Che rallenta reazioni e gesti del viso rendendo difficile anche un sorriso o indicare un oggetto con un semplice dito, come se dal suo corpo fosse tradito. Che reprime il rapporto che ha verso gli altri, perché un supereroe non lo trovi tra i tanti. Che inibisce il suo modo di comunicare, di dire qualcosa e riuscire a parlare. Che lo porta a un distacco dalla realtà, da quello che vive e da ciò che accadrà. Che può allontanarlo dalle persone quando qualcuno lo chiama per nome. Che gli provoca dentro una sorta di rabbia da cui viene colpito e che spesso lo cambia. Che gli crea problemi anche nel camminare. È una prova difficile da superare. Ma, nella sua bolla, Steve non si arrende, come luci che al buio non saranno mai spente. È più forte di ciò che la vita gli ha tolto, di un destino che spesso sa agire nel torto e un futuro lontano dal proprio volere, sfruttando ogni volta il suo superpotere. Quello di chi, con amore e tenacia, prova ad opporsi, in ogni cosa che faccia, a una bolla che attacca i suoi giorni e il presente, sperando che un giorno esploda per sempre.
Luciano Goglia
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P. IVA 04009610611 E-mail: mpportieratoerecepsion@gmail.com Tel. 0823 1502096 / 081 5097679 Team Manager: Franco Leone - Cell. 333 2376040 E-mail: francoleonempportierato@gmail.com Sede Legale: Via Darsena, 81 - 81030 - Castel Volturno (CE) Sede Operativa: Viale Rosemary, 18 - 81030 - Castel Volturno (CE)
L IBRI
I “BAMBINI SPECIALI E SIMPATICI” DI MICHELE PISANO
“SUNNY DAYS”, VIVERE IN UN OPG
“LA PIAZZOLA DELLA CHIESA” DI EUGENIO LANNA
di Flavia Trombetta | flaviajaja@virgilio.it
di Giovanna Cirillo | giocirix@gmail.com
di Teresa Lanna | amoreperlarte82@gmail.com
“B
ambini Speciali e Simpatici” è un’associazione fondata ad Orta di Atella da Michele Pisano con lo scopo di aiutare tanti bambini affetti da disabilità o autismo. Pisano si è fatto promotore di molte attività con il coinvolgimento di questi bambini. «La nascita della associazione – ci racconta Michele - è stata accolta con grande entusiasmo: le persone stanno dando peso a questa problematica, che da troppo tempo esigeva interventi. Abbiamo iniziato facendo beneficenza al policlinico Santobono di Napoli e nell’ospedale San Paolo di Fuorigrotta, supportando anche i genitori dei bambini in difficoltà. Proviamo a sensibilizzare sempre più persone su questo tema per far comprendere che la diversità non è contagiosa, l’ignoranza sì. Sono felice che molti bambini mi ritengano un papà speciale o quantomeno una figura di riferimento». L’associazione ha avviato una serie di progetti con degli specialisti, tra i quali la danza terapia, la musico terapia, l’ippoterapia e giochi di manipolazione per quei bambini che hanno difficoltà motorie con le mani. Nel frattempo, con l’ANIEP (Associazione Nazionale per la promozione e la difesa dei diritti delle persone disabili) è nata una collaborazione associazione-scuola, per la quale alcune collaboratrici di Pisano faranno assistenza ai bambini in alcune scuole. Con il coinvolgimento, invece, del produttore Umberto di Napoli e il regista Quintilio Illiano e della loro compagnia teatrale “Anime Note”, a maggio andrà in scena uno spettacolo, “Scugnizzi”, in cui questi bambini speciali avranno una loro parte. Infine, un progetto sul quale Michele Pisano sta investendo è quello relativo allo sport: «Ci auguriamo che i nostri bambini possano fare sport e si divertano partecipando ad un mini campionato, ad esempio di calcetto, con altre associazioni di bambini diversamente abili, sperando che lo sport possa adempiere alla sua funzione educativa e ludica anche per questi bambini Speciali e Simpatici».
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unny Days. Le ore hanno i minuti contati” è un libro nato dalla collaborazione tra Stefano Ciannella, fotografo, e Adolfo Ferraro, psichiatra di professione e direttore per diversi anni dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG) di Aversa. Si tratta di una raccolta di quaranta fotografie scattate tra le mura dell’OPG che raccontano la storia di una persona che vive dolorosamente il proprio rapporto con la malattia mentale. Le foto scattate rappresentano delle mani che chiedono aiuto o che, inevitabilmente, comunicano qualcosa. La scelta di questa parte del corpo va ricondotta all’idea che la mano rappresenti la forma meno identitaria, ma molto funzionale all’identificazione. «Ero già in pensione quando un pomeriggio mi telefona Stefano - spiega Adolfo Ferraro - e mi racconta di aver trascorso dei mesi nel manicomio giudiziario e di aver fotografato solo le mani di internati, psichiatri, infermieri, magistrati e assistenti sociali. È in quel momento che ho deciso di dover descrivere una storia tragica dove non c’è colpevole ma dove tutto entra in un meccanismo nel quale non esiste più né bene né male, dove la normalità è il delirio». Sunny days vuole rappresentare quel raggio di sole e quel tentativo di vedere la bellezza che mai si nasconde se tu sei in grado di cercarla, di vederla e di riconoscerla. «Sunny days è quella luce che entrava tra le sbarre di questo luogo disperato mentre assistevo ai colloqui tra pazienti e psichiatri. Benché sei mesi nell’OPG siano stati terribili da un punto di vista psicologico - racconta Stefano Ciannella - queste visite mi hanno enormemente arricchito e mi fanno ancora di più pensare che sia un argomento e una materia di cui essere portatori sani. Sono entrato in un mondo incredibile che però mi era familiare perché la follia nel modo meno stereotipato, in qualche modo, alberga nell’animo dell’artista e nell’animo di tutte le persone che vivono la curiosità in maniera autentica ed innocente».
“L
a piazzola della Chiesa” è una raccolta di cinque racconti, ambientati nei primi decenni successivi al secondo dopoguerra, che l’autore, Eugenio Lanna, narra con l’intento di lasciare una memoria storica del proprio paese d’origine: Francolise. I personaggi sono lo specchio dell’umanità intera, coi suoi vizi e le sue virtù. “Stagionali”, “La nipote della priora”, “Guardiani”, “Gisella” e “Alik”: questi i cinque racconti, in cui, a nomi di fantasia, corrispondono persone realmente esistite e che ora non ci sono più, ma che continueranno a vivere attraverso uno scritto estratto da un lavoro di stesura durato ben dieci anni.La chiesa menzionata nel titolo fa riferimento alla Chiesa di Maria Ss.ma delle Grazie, comunemente denominata “Chiesa Vecchia”, sita in San Andrea del Pizzone, frazione del comune di Francolise, in provincia di Caserta. Questo il compendio ai racconti, fornito dal prof. Lanna: «La piazzola di una vecchia chiesa nella vicina periferia di un paese è il fugace sfondo di alcuni episodi di vita nei primi decenni successivi alla seconda guerra mondiale. Un gruppo di ragazzi, nell’ansia di un rapido riscatto da una condizione di congenita precarietà, conosce la durezza dei rapporti sociali e la naturale fragilità. Una fanciulla, in un ruolo di apostolato laico, prova a dare un proprio contributo appassionato alla forma di istruzione religiosa in una parrocchia della Chiesa preconciliare ma viene fermata con inopinata severità. Giovani allevatori, sempre a contatto col loro bestiame, nutrono, nei loro apparenti rapporti solidali, profondi sentimenti contrastanti. Una donna, tra alcune operatrici agricole, sfida la comune morale, accettando una ambigua relazione con il padrone dell’azienda. Un uomo chiamato Alik, tornato nel paese d’origine dall’America negli anni trenta, dopo una lunga permanenza, con un fisico seriamente menomato, ispira, tra i suoi compaesani, le più varie fantasie». A metà aprile 2018 è prevista la presentazione ufficiale.
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F OTOGRAFIA
DAI VARICONI A PERSANO: LE OASI CAMPANE ATTRAVERSO GLI SCATTI DI FERNANDO ALFIERI di Annamaria La Penna | annamarialapenna@gmail.com
L’
arte è bellezza e spazia oltre il tempo per toccare chi è pronto ad emozionarsi. L’arte fotografica rappresenta lo spettacolo della vita e della natura in una forma visiva che unisce ispirazione, studio e tecnica e dove queste ultime portano ad affinare la stessa ispirazione.
L’ARTISTA Fernando Alfieri, classe ‘71, giornalista e fotografo in ogni cellula della propria esistenza, ci racconta come abbia scoperto la felicità avendo tra le mani una macchina fotografica. Sensazione ancora viva dopo 32 anni dal primo scatto. «Attraverso le mie fotografie desidero che altri vedano la mia visione della realtà, quella che vorrei potesse rimanere fissata con caratteristiche specifiche e riconoscibili a tutti, proprio come avviene per le opere di Sebastiao Salgado, Steve McCurry, Luca Bracali ed altri grandi. È un sogno che, vedendo una mia foto, si possa dire “è uno scatto di Alfieri”». Nasce dal fotoreportage, ma nel corso della sua carriera ha formato il suo occhio assecondando, curioso, la propensione per alcuni generi fotografici. Per lui un fotografo è colui che vede cose che gli altri non vedono e cerca continuamente di diversificare le sue esperienze in vari generi. La fotografia naturalistica gli ha permesso di raccontare, con maggior trasporto e passione, la vita e ciò che accade sul pianeta, dall’alba al tramonto, elogiandone la bellezza. È molto attratto anche dalla fotografia di scena, dal teatro alla danza, avendo avuto la possibilità di fotografare numerosi spettacoli, oltreché cimentarsi in una serie di ritratti in mostra al PAN (Palazzo delle Arti di Napoli). Può capitare certamente che ci siano dei momenti più o meno ispirati, ma se è la passione a muovere ogni scatto e spinge alla ricerca del progetto emozionante, qualunque cosa accada Alfieri non smette, non si ferma, non è mai superficiale. Ogni foto è sempre espressione viva
del suo mondo, vissuta a 360°, ricercata e studiata. Diversi lavori lo hanno visto protagonista in mostre personali, concorsi fotografici, docenze, ritratti esclusivi, esposizioni e divulgazione della fotografia campana, mostrandosi sempre attento conoscitore della natura umana e naturalistica tanto da essere chiamato in moltissime occasioni a rappresentare il meglio della fotografia in campo nazionale ed internazionale.
LE OASI Tra i diversi lavori, ci interessa in particolare quello che ha svolto sulle due oasi campane dei Variconi e di Persano, zone umide di importanza internazionale incluse nella Convenzione di Ramsar, trattato intergovernativo nato per la conservazione e la gestione degli ecosistemi naturali. Lì ha catturato la natura ed il suo abitat curando tecniche ed attrezzature, esercitando pazienza e cogliendo l’attimo con la giusta luce. Spazi vuoti, acque e piante hanno colmato l’attesa degli uccelli catturati con obiettivi spinti fino a 500/600/800mm, cosa per nulla facile rispettando tempi di sicurezza, mosso fotografico, aumento degli ISO e tanti altri parametri che gli amanti della fotografia ben conoscono.
L’Oasi dei Variconi, sulla riva sinistra del fiume Volturno, è una riserva in zona palustre poco distante dal centro storico di Castel Volturno e considerata cuore del Mediterraneo, ponte ideale per le migliaia di uccelli che migrano da e verso il continente africano, almeno due volte l’anno. Ben si presta al birdwatching e alla spettacolare possibilità di cogliere in volo diverse specie di uccelli che si muovono contemporaneamente oppure la sosta dei fenicotteri rosa in migrazione. L’Oasi di Persano è un’area di protezione nella riserva naturale della regione Foce Sele Tanagro conosciuta per la presenza della lontra, splendido e raro mammifero terrestre a rischio in Italia. È il luogo dove trascorrere una giornata completamente immersi nella natura, cogliere spunti fotografici rari ed interessanti come, ad esempio, la danza degli Svassi. Non meno emozionante è la possibilità di fissare splendidi panorami oppure fare macro fotografie di insetti. Entrambe le Oasi offrono spunti per la realizzazione di alcune splendide immagini come quelle che è possibile vedere in questa pagina e che è guidata dal motto sempre presente al nostro artista: «l’arte é arte solo se emoziona; se non emoziona, c’è qualcosa che non va».
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M EDICINA
IL CANCRO SPIEGATO AGLI STUDENTI di Girolama Iazzetta e Antonio Casaccio
I
mmaginate un professore che si trova un ragazzo dal primo al quinto anno e poi non lo vede più. «Ci sto ancora una schifezza racconta Giovanni Brancaccio rivolgendosi alla platea di alunni del Liceo “F. Quercia” di Marcianise - quell’aula dove vado ad insegnare ogni giorno, la 5G, è vuota. Piansi insieme a loro quando sapemmo della malattia. Quando morì Giuseppe scrissi sulla mia bacheca “faremo qualcosa per te”». Dopo di lui è toccato a Raffaele, 16 anni, ammalarsi e morire di leucemia. Ed è per mantener fede a questa promessa che il professor Brancaccio, insieme ad uno dei massimi esperti della ricerca oncologica, Antonio Giordano, che ha messo a disposizione i suoi ricercatori, hanno creato il Polo Scientifico Giovan Giacomo Giordano, una rete di scuole promotrici della Salute con lo scopo di formare una classe scientifica indipendente dalle logiche criminali che hanno portato al fallimento di un’intera generazione fatta di medici, professori, genitori, uomini e donne che non hanno saputo vigilare ed opporsi per garantire ai propri figli il diritto alla vita. Nell’ambito di questo progetto di Alternanza Scuola “Ricerca”, questi giovani “Ambasciatori della Salute” hanno incontrato Iris Forte, giovane ricercatrice, e i giornalisti di Informare Mina Iazzetta ed Antonio Casaccio, sottoponendosi tutti al quesito “Cos’è il cancro?”. Il cancro è una malattia che può avere origine genetica, ma può anche essere causata da stili di vita sbagliati o dagli insulti che abbiamo fatto al nostro ambiente ed in questi casi i mandanti di tante morti hanno dei nomi ben precisi. Sugli stili di vita, Mina Iazzetta testimonia la sua esperienza: «Le scelte che fate oggi influiranno il vostro futuro. Ho avuto un tumore alla mammella. Mi rivolgo alle ragazze, fate prevenzione. C’è un alto tasso di mortalità fra le giovani donne, quelle che non rientrano negli screening. Si muore ancora di cancro al seno. Andate a scovarlo prima
Da sx: Mina Iazzetta, Iris Forte, Antonio Casaccio Giovanni Brancaccio e nel video Antonio Giordano che sia lui a trovare voi. Mi sono difesa attraverso la mia alimentazione perché nel momento in cui scelgo un alimento non mi sto solo nutrendo ma sto anche combattendo il mio tumore. Anche le cellule tumorali hanno bisogno di nutrirsi come quelle sane per cui ho iniziato a scegliere tutti quegli alimenti che tendessero ad affamarle. Ho iniziato a mangiare cereali integrali, verdure di stagione, ho imparato a leggere le etichette. L’alimentazione è stata importante per superare l’emergenza ma sono lucida e so che il mio tumore ha dei colpevoli». Le fa eco Antonio Casaccio, compagno di classe di Giuseppe: «Sarebbe da vigliacchi dire che molte di queste patologie non sono dovute allo smaltimento illegale illecito fatto per mano della camorra nei nostri territori. Ho intervistato ultimamente il Presidente dell’Ordine dei Biologi e mi sono sentito dire che la Terra dei fuochi non esiste. Il mio obiettivo è quello di spiegarvi che la
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verità è tutt’altra e che qui si muore. La gente si ammala anche a causa degli smaltimenti illeciti di rifiuti tossici. Questa è la verità sacrosanta». La ricercatrice Iris Forte si è soffermata sulle proprietà antitumorali dei pomodori San Marzano e Corbarino, il cui estratto si è rilevato capace di rallentare il ciclo cellulare su tre linee cellulari di pazienti affetti da tumore gastrico. «Abbiamo impiegato 3 anni per questa ricerca mentre in America ci avremmo messo sei mesi. Questa lentezza è causata da una eccessiva burocrazia che, anche per l’acquisto di un reagente, ci obbliga a delle procedure assurde. Questo è anche uno dei motivi alla base della fuga dei cervelli dall’Italia, considerato anche il fatto che il ricercatore in Italia molto spesso non viene pagato, quasi sempre». Il momento più emozionante è avvenuto a microfono spento quando uno degli allievi si è diretto verso Giovanni Brancaccio e gli ha detto «Professore, la sua promessa da oggi è anche la mia».
S OCIALE
UN NUOVO CENTRO DI ONCOFERTILITÀ A MARCIANISE
IL VOLONTARIATO, L’OSSERVAZIONE E IL BILINGUISMO
di Alessia Giocondo | alessia.giocondo@gmail.com
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ncofertilità: preservazione della fertilità in pazienti oncologici. In Italia, circa novemila persone dall’età compresa tra i 19 e i 39 anni si ammalano di tumore e, di conseguenza, si sottopongono a trattamenti chemioterapici, terapie radianti e interventi chirurgici che possono limitare la loro capacità riproduttiva. La tematica assume maggiore importanza soprattutto se si pensa che l’età della prima gravidanza di una donna, per motivi socio-economici, è collocata tra i 30-40 anni, in cui già si assiste a una perdita progressiva del potenziale di fertilità. Accade che si abbia la diagnosi ancor prima di diventare genitori. Il tumore al seno è tra quelli che maggiormente colpiscono la donna, mentre tra i maschi prevalgono tumore al testicolo e linfomi. Sono entrambi tumori a elevato tasso di guaribilità ed è pertanto fondamentale garantire a questi pazienti l’opportunità di procreazione negli anni a venire. Nel 2016, con il Decreto Regione Campania n°89, fu istituita la Rete Oncologica, ai fini di individuare i Centri Provinciali di Oncofertilità che abbiano tutti i requisiti organizzativi, tecnologici, di qualità e sicurezza. In provincia di Caserta fu scelto per tale iniziativa il presidio ospedaliero di Marcianise,
che già offriva l’Unità Operativa di Fisiopatologia della Riproduzione per lo studio delle coppie infertili, coordinata dal dott. Bruno Ferraro. A partire da tale circostanza era stato necessario un team multidisciplinare che fornisse alle coppie non solo un appropriato percorso di cura, grazie alla professionalità di urologi, biologi e ginecologi, ma anche ascolto e assistenza con l’impiego di psicologi e assistenti sociali. Il Centro di Oncofertilità di Marcianise è stato approvato a febbraio e sarà presto attivo. È un’attività di cooperazione tra le varie strutture adibite al medesimo scopo. Posti all’interno di una rete organizzativa dei centri, situati all’interno di una struttura pubblica, ogni centro fa riferimento all’altro: dal momento in cui al paziente viene diagnosticata una neoplasia, l’oncologo sarà in grado di metterlo direttamente in contatto con il centro pubblico di riferimento. Dare luce a una nuova vita quando è in pericolo la propria può risultare una mossa coraggiosa, a tratti azzardata. È stato a lungo sottovalutato il desiderio di avere un figlio anche per chi ha un cancro, anche per chi ha tutta la voglia di non lasciarsi cadere. Il tempismo diventa fondamentale: da qui l’importanza della prevenzione resa possibile con controlli annuali.
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Bramauto
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ascosto in una di quelle stradine del centro storico che, attraversandole, lasciano percepire la vera anima partenopea, si trova il Centro di educativa territoriale delle Suore di Carità dell’Assunzione di Napoli, parte dell’Associazione San Camillo ONLUS. Le Suore danno sostegno alle famiglie napoletane, agli immigrati che cercano di integrarsi nel nostro Paese e offrono doposcuola e attività pomeridiane per bambini. A sostenere le suore c’è una grande squadra di volontari che, tra i numerosi volti, comprende anche gli studenti di Mediazione Linguistica dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Un binomio pressoché insolito. Oltre ad essere un’esperienza dal grande valore umano, questi ragazzi si stanno misurando per la prima volta con il loro lavoro del futuro: quello del mediatore culturale. Professionista della comunicazione, è colui che “media” tra due culture e lingue diverse, impiegato soprattutto presso tribunali e ospedali, colui che instaura un ponte ai fini della reciproca intesa. Arriva il momento in cui qualsiasi studente di Mediazione, o di Linguistica, inizi a guardarsi intorno e a “captare” i vari fenomeni del linguaggio da lui studiati. Uno tra tanti è quello che rappresenta al meglio la situazione italiana attuale: il bilinguismo endogeno a bassa distanza strutturale
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con dilalia. “Bilinguismo” perché in Italia i parlanti utilizzano due varietà di lingua: l’italiano e i dialetti, poste a “bassa distanza strutturale” perché sono entrambe lingue romanze, di pari dignità, la cui matrice comune è il latino. “Endogeno” perché, come ci dice la storia, l’italiano non nasce per imposizione di una lingua dall’esterno, bensì sono stati i parlanti del 1300 a scegliere quali parole dovessero far parte della lingua ufficiale italiana. La “dilalia” è l’aspetto che maggiormente interessa l’attività dei mediatori: è una commistione di lingua che avviene soprattutto nelle conversazioni informali, nata dalla libera (e spesso inconsapevole) scelta di utilizzare l’italiano o il dialetto per comunicare. Tra gli studenti interessati all’iniziativa delle suore, c’è chi abita nelle varie province della Campania, o chi è addirittura siciliano o ucraino. All’interno del contesto napoletano hanno potuto osservare come il dialetto si trasformi in una vera e propria attitudine, sia da parte dei più piccoli, sia degli adulti. Il dialetto viene utilizzato come scudo, per sottolineare un atteggiamento di coinvolgimento o di presa di distanza rispetto al proprio interlocutore. Più frequenti sono i casi in cui il passaggio da una varietà all’altra avvenga con atteggiamento ludico. Per i più piccoli, invece, è un modo per “sentirsi grandi”.
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• Pizzeria Bellavista - Via Vittorio Emanuele, 20 - Francolise
• Caseificio Ponte a Mare - Via Domitiana, Km 34,070
• Edicola Laurenza - Viale della Vittoria, 17 - Marcianise
• Ecoparco del Mediterraneo - Via Fiumitello, 2
• Caffè Brasilena - Viale della Libertà, 36 - Lusciano
• Clinica Pineta Grande - Via Domitiana km 30
• Antica Cantina Sepe - Via Vergini, 55 - Rione Sanità
• Edicola di Luigi Pisa - Via degli Scipioni, 8 • Casa Infante - Via Toledo, 258 - Via Chiaia, 189 - P.zza degli Artisti, 4/5 - Piazza Vanvitelli - Via Benedetto Croce, 47 - Via Carducci, 39 - Via Torino, 48 Milano • Leopoldo dal 1940 - P.zza degli Artisti, 6/7 - Via Chiaia, 258/259 - Via Scarlatti, 82 - Via Tribunali, 49 - P.zza Carità Via Toledo, 371/372
• Edicola Edicolè - Via degli Oleandri, 59 Località Pinetamare
• Laboratorio Fioravante - Corso Umberto I, 157 - San Cipriano d’Aversa
• Farmacia Coppola - Via Nuova, 55
• Bar Taormina - Via G. Rodari, 28 - Sant’Arpino
• Caseificio Luise - Via Domitiana, Km 30,500
• Hi-Tech World - Via I Dietro Corte, 45 - Teverola
• Farmacia Ischitella - Via Domitiana, 634
• Mare Bleu - Viale dei Mille, 90
• Cartò System - Via delle Repubbliche Marinare, 329
• Gambero Blu - Via Domitiana, 506
• Cartolibreria “Da Vinci” - Via Cavone Gallinelle - Villa Literno
Mondragone
NAPOLI
PROVINCIA DI NAPOLI
• Pasticceria Lisita - Via Domiziana, 270 • Antica Distilleria Petrone - Via Giardino, 49 • St Justin - Via Appia Antica, 39
• Pizzeria Sorbillo - Via Tribunali, 32 - Via Parthenope, 1 • Rari Nates Napoli - Via Scogliera Santa Lucia, 1
• Caffè Nannì - Via Florimo, 6
• Isaia Napoli - Via Roma, 44 - Casalnuovo di Napoli • Centro Venus - C.so Umberto I, 439 - Casalnuovo di Napoli • Tabaccheria Flaminio - Piazza Umberto I, 1 - Casandrino • Cantina - Enoteca IV Miglio - Via Cesare Pavese,19 - Quarto
• Fashion Hair Renato Marotta - Via V. Emanuele 136
• Libreria IOCISTO - Via Cimarosa, 20
• Comune di Mondragone - Viale Margherita
• PAN Palazzo Arti Napoli - Via dei Mille, 60
• Tabacchi Avenia - Via Giardino
• Teatro Augusteo - Piazzetta Duca D’Aosta 263
• Cartolibreria SP. 2000 - Via Como, 40
• Museo Archeologico Nazionale di Napoli - Piazza Museo, 19
• Edicola Airone - Via Padre Mario Vergara, 7 - Frattamaggiore
PROVINCIA DI CASERTA
• Gino Ramaglia - Via Broggia, 9/10
• Première Cafè - Via Ripuaria, 320 - Giugliano in Campania
• Pausa Caffè Store - Via Maurizio de Vito Piscicelli, 48
• Centro Moscati - Via Galileo Galilei, 54 - Sant’Antimo
• Emilio il Pasticciere - Via S. Donato - Casal di Principe
• Libreria Vitanova - Viale Gramsci, 19
• Edicola Mangiacapra - Via Saporito - Teverola
• Caffè Letterario ABC - Piazza San Domenico Maggiore, 13
ISOLE - COSTIERA
• Edicola Matacena Ciccarelli - Piazza Municipio - Via
• Biblioteca “Annalisa Durante” - Via Vicaria Vecchia, 23
• Alilauro - Tratta DSC Nettuno Jet
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INFORMARE
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Aprile 2018
• ‘A Tagliatella - Via F. Turati, 9 - Grumo Nevano • Bistrot 3 Bien - Via V. Ferro, 63/65 - Frattamaggiore
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Diffidate dalle imitazioni l’originale è solo
Emilio il Pasticciere Tel. 081 8163783 Casal di Principe (Caserta)