Interni Magazine 598 - Gennaio / Febbraio 2010

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EDiToriaLe

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olevamo raccontarvi il design in un modo più dinamico e incisivo, in grado di cogliere gli aspetti sempre più differenziati della contemporaneità progettuale. Per questo abbiamo deciso di rinnovarci nella grafica e nei contenuti. La trasformazione inizia dal logo e dalla copertina, prosegue con l’organizzazione visiva delle informazioni – sintetizzate da titoli, sommari e captions di immediata lettura – arriva al concept delle rubriche, rinominate per l’occasione. INteriors&Architecture celebra tendenze e modi di vivere trasversali, rappresentati, in questo numero, dai progetti di Toyo Ito, Rudy Ricciotti, Pierluigi Nicolin, Franco Raggi, Daniele Rossi, Eduardo Souto de Moura. Diversi i temi d’attualità di INsight INtoday, dal racconto del nuovo MAXXI di Roma, prima opera dell’archistar Zaha Hadid in Italia, a una nuova mostra di Andrea Branzi, questa volta ospitato da Azzedine Alaïa nel suo spazio espositivo a Parigi. L’INncontro è dedicato a Marco Balich, uno dei più accreditati ideatori di eventi al mondo, mentre le pagine del design vedono protagonisti tre esponenti della nuova generazione italiana di designer: Massimiliano Adami, Lorenzo Damiani e Lorenzo Palmeri. INcenter propone le novità di prodotto multicolore, mentre INproduction presenta la nuova essenzialità dei mobili realizzati in lamiera metallica. Infine, ci presentiamo a gennaio con tre iniziative speciali: l’inserto Limited Edition, dedicato a protagonisti, opere, strategie e luoghi di un nuovo modo di progettare e produrre a metà strada tra design e arte; un ampio focus su MADE expo 2010, il mondo del progetto di architettura, dei materiali e delle finiture; la guida Design Index, giunta alla 26ma edizione, prezioso strumento di lavoro per gli operatori del design grazie a 8000 indirizzi catalogati. Buon nuovo anno e buona nuova lettura! Gilda Bojardi

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INteriors&architecture

UNA VILLA DI CEMENTO BIANCO E VETRO. SEGNI PARTICOLARI: GLI spazi comuni che ruotano e si inclinano, QUELLI PRIVATI CHE CONTEMPLANO LE MONTAGNE. WHITE O Ăˆ la nona opera di OchoalCubo, PIONIERISTICO COMPLESSO RESIDENZIALE A Marbella, in Cile. QUI TOYO ITO HA REALIZZATO IL SUO primo progetto sudamericano.

progetto di Toyo Ito & Associates, Architects con la collaborazione di Christian de Groote, Arquitectos foto e testo di Sergio Pirrone


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L’aneLLo maNcaNTe DIToYo ITo

VISTA ESTERNA DAL GIARDINO DELL'ANELLO CHE RACCHIUDE LA CORTE APERTA. IN PRIMO PIANO LA RAMPA SOSPESA CHE CONDUCE ALLA ZONA NOTTE CON LE TRE CAMERE DA LETTO. SULLO SFONDO LA ZONA PRANZO E SOGGIORNO.


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no, molto di più. Erano gli anni di Toyo Ito quando Edoardo Godoy lo conobbe alla Biennale di Venezia e gli raccontò di quel suo sogno cominciato qualche anno prima a Marbella, cittadina a nordovest di Santiago, adagiata tra colline panoramiche e campi da golf. 8 architetti cileni ed un paesaggista si erano messi attorno ad un tavolo ed avevano discusso di come realizzare la prima delle 8 fasi del progetto armonico. Era un’idea pionieristica, quella di comprare un grande lotto di terra, chiamarlo Ocho al Cubo, arricchirlo di 8 progetti residenziali che insieme raccontassero della propria individualità, ascoltando quella degli altri

attraverso un armonico linguaggio distintamente cileno. Le 8 case sarebbero state vendute a 8 clienti interessati a quel luogo e desiderosi di raccontare il bello del Cile, quello che non è solo natura meravigliosa, ma anche lavoro degli uomini. Sarebbe stato un percorso la cui prima fase prevedeva 8 ville di cemento di 250-300 mq per 8 architetti cileni, che avrebbero passato il testimone ad altri 8 architetti internazionali nella seconda, per altre 8 ville sempre di cemento ma di 400 mq. Toyo Ito doveva essere il primo e rispose “no, grazie”. Poi, ci ripensò. Sarebbe stato il suo primo progetto sudamericano, rara opera residenziale dello sperimentatore giocoso. Poteva dare il suo contributo ad un’idea bella e, a 33 anni dalla sua White U, trovare l’anello mancante, chiudere quel cerchio lasciato aperto. Arrivato sul sito di Ocho al Cubo, si rese conto che quel ferro di cavallo interrato, e chiuso nel dolore di una sorella che aveva appena perso il padre delle proprie figlie, poteva aprirsi qui alla gioia di un paesaggio mozzafiato. Il lotto scendeva verso valle e, oltre le ville d’architetti come Sebastian Irarrazaval, Smilian Radic, Mathias Klotz e Christian De Groote, guardava alle montagne di nordest. Copertura orizzontale ed elementi verticali erano i vincoli ortogonali di un manufatto che invece


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NELLA PAGINA PRECEDENTE: LA ZONA GIORNO CIRCOLARE APRE SULL'OVALE VETRATO E SULLE DUE GRANDI VETRATE CHE DANNO RISPETTIVAMENTE SULLA PISCINA E SUL FRONTE NORD-OVEST. LA LIBRERIA SENDAI E LA SEDUTA IN LEGNO RIPPLES DISEGNATI DA TOYO ITO FANNO PARTE DEL CATALOGO HORM. SOFÀ DI ZANOTTA E TAVOLINO IN CRISTALLO DI FIAM. LA PLANIMETRIA COMPLESSIVA DELL’INTERVENTO.

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VISTA ESTERNA DEL FRONTE SUL GIARDINO E DELLA PISCINA. IL VOLUME BIANCO SI APRE ALL'ESTERNO ALTERNANDO PORZIONI PIENE E VUOTE. DETTAGLIO DELL’ANGOLO SUD-OVEST CON LA GRANDE VETRATA DELLA ZONA GIORNO. LE SCALE ESTERNE PORTANO AL TETTO PANORAMICO. IL FRONTE SU STRADA È SCANDITO DAI SETTI VERTICALI STRUTTURALI CHE RIQUADRANO IL VANO MACCHINA, I PASSAGGI D'ENTRATA E LE CAMERE DA LETTO ORGANIZZATE AL SECONDO LIVELLO.


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LA MEMBRANA VETRATA RIVESTE L'OVALE ESTERNO E RENDE INTANGIBILE IL CONFINE TRA FUORI E DENTRO. LE DUE RAMPE, UNA ESTERNA E UNA INTERNA, SOTTOLINEANO LA FLUIDITA' DI UNO SPAZIO CHE NON INCONTRA OSTACOLI, SE NON NELLA PORTA D'ENTRATA.

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Contrasti CHE MAI DELIMITANO e SEMPRE SCHIUDONO ALLA sorpresa, NELLA SCOPERTA DELL’altro

LA ZONA PRANZO SI PROPONE COME UN’ISOLA ALL’INTERNO DELLO SPAZIO CONTINUO E FLUIDO DEL LIVING CHE HA COME BARICENTRO IL PATIO IRREGOLARE DELIMITATO DALLE VETRATE TRASPARENTI. TAVOLO DI CASSINA, SEDIE LA LEGGERA DI RICCARDO BLUMER PER ALIAS; LUCE A SOSPENSIONE DI ROSS LOVEGROVE PER ARTEMIDE. LA CAMERA DA LETTO ANGOLARE, SOPRA IL VANO MACCHINA, AFFACCIATA SUL CAMPO DA GOLF. LA CUCINA, UN AMBIENTE RACCHIUSO. ARREDATI CON PEZZI DI DESIGN, IL LETTO È ZANOTTA, LA CUCINA È DRIADE, GLI AMBIENTI SONO UNIFORMATI DA UNA PALETTE MATERICO-CROMATICA NEUTRA, DOGHE DI LEGNO CHIARO E CEMENTO A VISTA NEI RIVESTIMENTI, CON IL CONTRAPPUNTO DI CAMPITURE IN GIALLO ACIDO.

avrebbe poggiato sopra un inarcamento naturale. Linea retta su curva, cemento bianco su prato verde, il contrasto di un volume che né nascondeva, né apriva, ma lasciava intravedere un mondo interiore. Quello delle prime opere di Le Corbusier, dei suoi pilotis sotto facciate modulari, coscienza autorevole del girotondo leggero di uno spazio circolare fluido, mai esclusivamente interno, né ingenuamente esterno. Sedotto dai contrasti, che mai delimitano e sempre schiudono alla sorpresa, nella scoperta dell’altro, Toyo irrigidisce il fronte principale con una griglia asimmetrica che racchiude il vano macchina e i 3 sottopassaggi d’entrata a piano terra, mentre apre il secondo livello alle 3 camere da letto che s’inondano di luce del mattino. Sinuoso, il viale di pietra s’intrufola nell’ombra, le pupille non fanno in tempo a spalancarsi che, di colpo, si restringono sotto un cielo a forma di O. La valle è rimasta fuori,

ma è ancora lì, tra terra e rampa, tra rampa e copertura, oltre l’ombra e sopra e sotto i pannelli opachi e turchesi della zona notte. Davanti c’è ora un mondo che si dilata e si contrae, come quella stessa pupilla sorpresa dai disegni del sole. Il piano orizzontale dondola attorno al patio irregolare che è un interno a cielo aperto. Accarezzato dalla membrana vetrata continua, che curva una prima volta, una seconda, respira di salone e zona pranzo, per poi nascondersi in una cucina schiva. Adiacente, sempre tra linea retta e curva, così come tutta la composizione planimetrica, la scala porta giù a quella che doveva essere la dependance per la governante, e in seguito diventato nido riparato per la terza figlia. Dall’alto, White O assomiglia ad un anello, quello mancante. Mentre dal tetto del vicino, sulla villa progettata da Teodoro Fernandez, il prato con piscina oculare ci suggerisce che Ocho al Cubo è molto di più.

UNO DEI DUE BAGNI CHE PROSPETTANO SUL FRONTE PRINCIPALE, SCALDATO DALLA LUCE DEL MATTINO. LAVABO E ACCESSORI DISEGNATI DA TOYO ITO PER ALTRO.


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IN Normandia, NELLA FRANCIA DEL NORD, L'AMPLIAMENTO DI una fattoria ottocentesca DOVE RESTAURO E nuova costruzione SI UNISCONO IN UNA CALIBRATA addizione compositiva. progetto di Rudy Ricciotti / foto di Philippe Ruault / testo di Francesco Vertunni

NELLE PLANIMETRIE: I LIVELLI PRINCIPALI DELLA CASA CON LA NUOVA ARTICOLAZIONE DEGLI SPAZI.

IL NUOVO CORPO DI FABBRICA VETRATO CON IL TETTO A FALDA INCLINATA A VERTICE CENTRALE SI APRE VERSO IL DECK ESTERNO, IL VERDE DELL’INTORNO E IL CIELO. UNA SERIE DI TAGLI PRATICATI NELLA SOLETTA DEL PIANO TERRENO INTERROMPONO LA CONTINUITÀ DEL PAVIMENTO LIGNEO PORTANDO LUCE NATURALE ANCHE A LIVELLO IPOGEO. IN PRIMO PIANO: SEDIA IN PLASTICA DI KARTELL; SUL MOBILE-CONTENITORE DUE VASI DELLA COLLEZIONE 100% MAKE UP, UN PROGETTO DI ALESSANDRO MENDINI PER ALESSI.


RuDY RIccIoTTI e La VeccHIa FaTTorIa

È

un intervento radicale, parte del percorso progettuale di Rudy Ricciotti che, nel rigore di una ricerca fuori dalle mode, ha sempre privilegiato un’architettura di eloquente sincerità, costruttiva e compositiva. Questo restauro e ampliamento di una tradizionale fattoria normanna dalle mura di pietra e dalla copertura a falda

pronunciata si pone quindi come parte di un discorso sull’architettura più complesso, che non si limita alla singola occasione, ma che di questa fa un tassello di una metodologia in divenire. La trasformazione di un’architettura esistente, anche quando questa non presenta valori monumentali e di valore dichiarati, comporta


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IL DECK ESTERNO È ATTREZZATO CON SEDUTE LORD YO DISEGNATE DA PHILIPPE STARCK PER DRIADE. LA ZONA PRANZO-CUCINA FORMA UN TUTT’UNO AL PIANO TERRA, DOVE SI TROVANO ANCHE IL GARAGE E UNA CAMERA OSPITI. IN PRIMO PIANO, LAMPADA DA TERRA ARCO DEI FRATELLI CASTIGLIONI PER FLOS (1962). UNA ALPINE AZZURRA, PARTE DELLA COLLEZIONE DI AUTO D’EPOCA DEL PROPRIETARIO, SI PROPONE COME PEZZO D’ARTE NELL’AREA D’INGRESSO.

attenzioni alla memoria, alle tecniche costruttive del passato e alle tracce che la storia offre. Così la richiesta di ampliamento a fini residenziali della fattoria è stata assunta come tema di riflessione che, nel riconoscimento della dignità architettonica di una costruzione funzionale del passato, ha portato al raddoppio della stessa tipologia in chiara forma contemporanea, nel dichiarato rifiuto ad ogni mimetismo stilistico e materico. Il corpo rettilineo e l’elementarità della sezione trasversale (come il profilo di una casa disegnata da ogni bambino con un tetto a falda inclinata a vertice centrale sostenuto dai due muri perimetrali) sono stati ‘estrusi’ in chiave compositiva per allinearsi con un nuovo corpo di fabbrica completamente vetrato che ricorda una serra, un giardino d’inverno, un’orangerie, ma che in realtà si pone come spazio trasparente, aperto

verso il nuovo deck esterno, il verde dell’intorno e, soprattutto, verso il cielo. La costruzione esistente è stata restaurata secondo il suo aspetto originario, sia dal punto di vista materico (con i muri di pietra, struttura della copertura lignea con spesse travi dello stesso materiale e tegole d’ardesia), sia sotto l’aspetto volumetrico con uno spazio libero unitario, continuo dal pavimento al soffitto, impiegato oggi come sorta di grande ingresso dove è collocata una vettura Alpine azzurra, parte della collezione di auto d’epoca del proprietario, e proposta come un pezzo d’arte nella casa. L’originaria colombaia, a fianco dell’ingresso-sala espositiva, ha sfruttato invece i due livelli, collocando garage e una camera ospiti al piano terreno, mentre al primo piano trova posto l’ampia stanza da letto padronale, collegata alla parte centrale della casa con una lunga passerella sospesa


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DAL PIANO TERRENO, UNA SCALA IN LINEA PORTA AL PRIMO LIVELLO DOVE TROVA POSTO L’AMPIA STANZA DA LETTO PADRONALE COLLEGATA ALLA PARTE CENTRALE DELLA CASA CON UNA LUNGA PASSERELLA SOSPESA CHE CORRE TRA LA CAPRIATA LIGNEA.

LA TRASFORMAZIONE DI UN’architettura esistente COMPORTA attenzioni alla memoria, ALLE tecniche costruttive del passato E ALLE TRACCE CHE LA STORIA COMUNQUE OFFRE.

che corre tra la capriata lignea. La nuova costruzione ridisegna lo stesso spazio di quello originario seguendo il profilo strutturale di riferimento – qui in ferro e cristallo – per concludersi sul fondo, a confine con il limite di proprietà, con una parete piena che nasconde un ampio ripostiglio, segnata al centro da un camino. Le due porzioni della casa nel loro confronto e nella loro sintesi sembrano risolvere la contraddizione tra l’opacità dell’architettura del passato e la leggerezza, la trasparenza dell’architettura del presente, facendo convivere i due aspetti di un conflitto solo apparente. La nuova estensione della casa presenta anche un nuovo livello interrato collegato al piano terreno da un vano a doppia altezza, mentre a livello visivo una serie di tagli praticati nella soletta del piano terreno che

interrompono la continuità del pavimento ligneo con un serrato ritmo di lastre vetrate perimetrali, permette di avere un buon livello di luce naturale anche a livello ipogeo. A sottolineare l’unione e l’innesto tra antico e nuovo, in posizione baricentrica come una sorta di cerniera simbolica e paesaggistica, è collocata una lunga piscina rettilinea che dall’esterno entra nella casa scivolando sotto il muro di pietra, opportunamente modellato e offrendosi come specchio d’acqua indoor, osservabile anche dal piano interrato grazie ad un’ampia apertura vetrata. Un recupero attento al rispetto dell’architettura del passato, alle figure e ai materiali di un’architettura radicata nel luogo che l’accoglie, che non rinuncia alle ragioni del progetto contemporaneo e alla modernità di una ricerca senza ombre.

DAL PIANO INTERRATO, UN’ALTRA SCALA LINEARE IN LEGNO E METALLO CONDUCE AL PIANO TERRENO, DOVE LA PARTE ANTICA DELL’EDIFICIO È CONNOTATA DAI MURI DI PIETRA E DALLA COPERTURA LIGNEA SEGNATA DA PESANTI TRAVI E TEGOLE D’ARDESIA. IL NUOVO LIVELLO INTERRATO È COLLEGATO AL PIANO TERRENO DA UN VANO APERTO A DOPPIA ALTEZZA. L’INNESTO ANTICO-NUOVO È RIMARCATO DALLA LUNGA PISCINA RETTILINEA CHE DALL’ESTERNO ENTRA IN CASA SCIVOLANDO SOTTO IL MURO DI PIETRA E RENDENDOSI VISIBILE ANCHE DAL LIVELLO SUPERIORE.


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OASI PER UNA masseria CONTEMPORANEA IMMERSA IN UN frutteto di mandorli e limoni, AL MARGINE DI UNA RISERVA NATURALISTICA. UNA COMPOSIZIONE DI cubi color sabbia DOVE MURI, FINESTRE E TERRAZZE EVOCANO IMMAGINI, TRADIZIONI E ABITUDINI TIPICAMENTE mediterranee.

DIECI PORTE FINESTRE A TUTTA ALTEZZA PORTANO IN CASA IL PAESAGGIO DELL’AREA FAUNISTICA DI VENDICARI .


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umani a VENDICARI


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progetto di Daniele Rossi foto di Santi Caleca testo di Alessandro Rocca

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iamo abituati a pensare che un’architettura sinceramente contemporanea debba essere pensata e realizzata con materiali di produzione industriale, e che l’uso dei materiali e delle tecniche tradizionali sia riservato alle costruzioni all’antica, in stile, estranee alla ricerca architettonica. Daniele Rossi, architetto milanese quarantenne con un passato significativo nello studio di Michele De Lucchi, ha affrontato il problema senza pregiudizi scoprendo, innanzi

LO SPESSORE DEI MURI, L’INTONACO COLOR SABBIA E I PAVIMENTI IN CEMENTO OPACO CREANO UNA FRESCA INTIMITÀ, UN NECESSARIO RIPARO DALLA LUCE E DAL CALORE DELL’ESTERNO. LA ZONA GIORNO È ORGANIZZATA IN TRE AMBIENTI SEPARATI E COMUNICANTI: LA CUCINA, LA SALA DA PRANZO E IL LIVING.

tutto, che le tecniche tradizionali producono condizioni di comfort ideali e continuano a essere economiche ed efficaci sia nella fase della realizzazione che nella gestione energetica dell’edificio. Certamente alcuni buoni motivi, a favore della scelta tradizionale, si trovano nelle caratteristiche di questo luogo speciale, un frutteto di mandorli e limoni ai margini dell’oasi naturalistica di Vendicari, a poco più di un chilometro dalla costa dello Ionio siciliano. L’incarico ricevuto era di predisporre una casa per vacanze, economica ma elegante e ospitale, per una famiglia milanese di origini catanesi formata da una coppia con due figli adolescenti. Di fronte a un budget di 220 mila euro e una superficie totale, per i due livelli, limitata a 200 metri quadri, Rossi ha preso una decisione strategica: “Mi sono dedicato allo studio delle masserie siciliane” racconta “e ho trovato una sapienza architettonica e costruttiva che oggi abbiamo in gran parte perduto”. Da questi

sopralluoghi, racconta Rossi, è nata la decisione di “utilizzare sempre, dov’era possibile, tecniche, colori, tipologie e tecnologie locali consolidate dall’uso” e il risultato è un ibrido che mescola con successo due saggezze lontane, la cura raffinata degli interni e dei dettagli, tipicamente milanese, e la forza mediterranea, aspra e antica, della ruralità siciliana. E senza neppure sfiorare il rischio del kitsch, della parodia vernacolare da villaggio turistico, anzi, aleggia lo spirito del grande maestro messicano, Luis Barragán. La casa, nasce quindi come una composizione di cubi elementari, di circa 5 x 5 metri, che si dispongono e si accumulano nella figura di una “C” molto allungata che racchiude un agrumeto in miniatura. “Il gioco degli affacci e delle terrazze, spiega Rossi, ha portato a prospetti molto diversi e la scomposizione dei volumi è stata importante per integrare la casa nella campagna circostante”. I muri perimetrali, traforati da dieci porte-finestre a tutta altezza con infissi e persiane


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IL RISULTATO ARCHITETTONICO È un ibrido CHE MESCOLA LA cura raffinata DEGLI INTERNI E DEI DETTAGLI (tipicamente milanese) E LA forza MEDITERRANEA, ASPRA E ANTICA DELLA ruralità siciliana.

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POCHI ARREDI SU DISEGNO E MOLTA ATTENZIONE AI DETTAGLI (DALLE PORTE ALLE FINESTRE ESTERNE ED INTERNE, DAGLI INFISSI ALLE SOGLIE) CARATTERIZZANO ANCHE GLI AMBIENTI NOTTE E I BAGNI CHE SI SVILUPPANO SIA AL PIANO TERRA CHE AL LIVELLO SUPERIORE.

di ferro verniciato in bianco, adottano un sistema costruttivo semplice e tradizionale, di certificata tenuta sismica, formato da blocchetti di tufo irrigiditi per mezzo di cordoli in cemento armato. Il rivestimento è in intonaco color sabbia chiaro steso a mano, e quindi con una ruvidità che accentua la vibrazione della luce e, di conseguenza, ne aumenta la consistenza materica. Un’analoga efficace semplicità costruttiva si ritrova negli interni, con i pavimenti in cemento lisciato in terre naturali opache e gli arredi limitati al minimo indispensabile. Le pareti, in intonaco bianco, diffondono le mezze luci filtrate dalle imposte che ristagnano nei profondi vani delle finestre e illuminano di luce indiretta la fresca semioscurità delle stanze. Al piano terra si trovano quattro

camere da letto e la zona giorno, con una generosa cucina, la sala da pranzo e il living, al piano di sopra, la camera da letto padronale, con bagno e terrazza riservata, e una seconda grande terrazza a disposizione di tutti gli abitanti della casa. Gli ambienti di soggiorno comunicano direttamente uno con l’altro mentre le camere da letto sono allineate lungo il corridoio che, oltrepassando i soggiorni, consente di percepire con uno sguardo ininterrotto i 27 metri di lunghezza totale della casa. Gli arredi, tutti appositamente disegnati da Rossi, prevedono anche una dotazione sistematica di armadi a muro, una scelta che mira a rendere superfluo l’inserimento di mobili di grosse dimensioni e quindi a salvaguardare la spazialità volumetrica delle stanze.


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A Milano, UN’ABITAZIONE nasce due volte PER MANO DELLO STESSO PROGETTISTA. AL primo intervento DEL 1989 NE SEGUE uno recente di accorpamento-ampliamento spaziale PENSATO SEMPRE PER LA MEDESIMA COMMITTENTE. IL RISULTATO: UN INTERNO DOMESTICO CHE RESTITUISCE, CON superfici ad alto grado materico-espressivo, UNA RIFLESSIONE SULL’IDEA DI décor borghese E modernità.

CASA BONATTI venT’aNNI DoPo

progetto di Franco Raggi team di progetto Karim Contarino, Giorgia Brusemini, Davide Furgieri foto di Guido Antonelli testo di Antonella Boisi

SCORCIO DEL LIVING VERSO IL FRONTE VETRATO COMUNICANTE CON IL BALCONE. IL DIVANO CHESTERFIELD DI POLTRONA FRAU FRONTEGGIA UN LUNGO POUFF CAPITONNÉ SU DISEGNO, MENTRE LE POLTRONE ANNI CINQUANTA DI FRANCO ALBINI SONO RIEDITATE DA CASSINA. SUL PAVIMENTO IN TEAK SIAM UNA SEGNALETICA A TRATTI E FRECCE INTARSIATI IN ACERO E WENGÈ TRACCIA I NUOVI PERCORSI INTERNI. SULLE PARETI: LAMPADE VERTICALI FLUORESCENTI INCASSATE SLOT DI DAVID CHIPPERFIELD PER FONTANAARTE E UNA APPLIQUE DEGLI ANNI '60 DI GAETANO MISSAGLIA DALLA COLLEZIONE NILUFAR.

N

el 1928, nell’editoriale d’apertura del primo numero della rivista Domus, Gio Ponti direttore, focalizza il concetto di casa come contenitore simbolico di un universo interiorizzato “perno di un programma d’architettura con l’ambizione di riformulare la filosofia dell’abitare moderno” (Fulvio Irace, Gio Ponti, Cosmit, 1997). Sono trascorsi più di ottant’anni, la cultura del revisionismo storico ha fatto il suo corso, ma questo

intervento di Franco Raggi illumina nuovamente la prospettiva. Perché la chiave di volta per comprenderne l’essenza è tutta qui: il tentativo di rappresentare una casa mai finita e interpretabile da chi la abita, una modernità complessa, una mediazione con la tradizione della grande casa borghese milanese e con il tema della decorazione che riporta il disegno dell’arredo nell’ambito dell’architettura. La ricerca di uno scenario domestico



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LA SALETTA TV/HI-FI, RICAVATA NELLO SPAZIO DELL’ORIGINARIO INGRESSO NON PIÙ NECESSARIO, È UN CONTENITORE OVATTATO, CON PAVIMENTO MORBIDO DI MOQUETTE A RIGHE DI RUCKSTUHL, NICCHIA TV/HI-FI IN ACERO E PARETI RIVESTITE CON ‘PIASTRELLE’ DI FELTRO VIOLA. POUFF E DIVANO SONO DELLA SERIE SUPEROBLONG DI JASPER MORRISON PER CAPPELLINI. PANORAMICA DEL LIVING IN UNA SITUAZIONE APERTA VERSO L’AREA D’INGRESSO, LA SALETTA TV/HI-FI, IL PRANZO. SUL MOBILE-CONTENITORE, LAMPADA DA TAVOLO 1853 DI MAX INGRAND (1954) PER FONTANAARTE.

“LA MIA È una voGLIa DI comunIcare ATTRAVERSO TEMPI LUNGHI, UNA voGLia Di Qualità NON INVADENTI”

attualizzato, insomma, che riflette anche sulla specularità del ‘raddoppio’ spaziale con un mix di citazioni colte e con valenze molto più pregnanti del mero formalismo del bel design, trovando relazioni con gli aspetti dell’artigianato, della sperimentazione, della qualità dei materiali, degli arredi che sono segni architettonici, pelli, involucri, superfici, finiture e dettagli costruttivi integrati alla struttura della casa. D’altronde Raggi l’aveva già spiegato a Marco Romanelli nel 1990 quando fu pubblicata l’abitazione prima versione: “La mia è una voglia di comunicare attraverso tempi lunghi, una voglia di qualità non invadenti”. Il messaggio era chiaro: quando si parla di Franco Raggi non si toccano argomenti di décor arredativo più o meno sapiente. Perché prima di tutto lui resta un architetto, un tecnico umanista chiamato a prestare un servizio: definire un contenitore dalla struttura abbastanza solida (in termini di volumi, superfici, colori) da ‘sopportare’ qualsiasi scelta

arredativa legittima e autonoma del cliente. Nella fattispecie, il nostro racconto vuole che – da una sorta di trilocale di via Donizetti, dove la mancanza di spazio aveva generato una compattazione flessibile, anche grazie all’utilizzo di porte-parete scorrevoli che disegnavano ambienti dalle dimensioni variabili – si sia passati, tramite l’acquisizione di tutto il piano, alla possibilità di costruire una casa borghese e moderna in senso pieno. Con i suoi generosi spazi comuni e privati reimpaginati secondo una gerarchia definita e compiuta che contempla l’eliminazione dei corridoi a favore di luoghi creati ex novo (dai disimpegni ai vestiboli, alla saletta Tv/HI-FI ricavata nel secondo ingresso non più necessario) e la reinterpretazione di tipologie desuete come l’aristocratico budoir e il funzionale office. “Vent’anni” spiega Raggi “hanno dovuto fare i conti con un’evoluzione non solo del progettista ma anche della committente che ha maturato esigenze di autorappresentazione diverse.


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LA SALA DA PRANZO È RISOLTA CON IL TAVOLO (SU DISEGNO) CON GAMBE IN LEGNO WENGÈ TORNITO E PIANO SAGOMATO IN VETRO-TESSUTO (SANDWICH DI TESSUTO RETICOLARE E RESINA ACRILICA TRA DUE LASTRE DI VETRO FLOAT). ATTORNO AL TAVOLO LE SEDIE IN PLASTICA TRASPARENTE LOUIS GHOST DI PHILIPPE STARCK PER KARTELL E IL LAMPADARIO MOOD IN VETRO SOFFIATO E METALLO CROMATO DI FRANCO RAGGI PER BAROVIER & TOSO. NEI DISEGNI: SCHIZZI PRELIMINARI DI PROGETTO PER IL BAGNO; ASSONOMETRIA A COLORI DEL PRIMO INTERVENTO DEL 1989; LA PLANIMETRIA ATTUALE È FRUTTO DELL’ACCORPAMENTO SU TUTTO IL PIANO DEI DUE APPARTAMENTI CONTIGUI. PANORAMICA DEL LIVING: SUL FONDO LA PARETE/ARREDO IN ACERO E WENGÈ CON SOPRALUCE IN VETRO CHE DIVIDE DALLA SALA DA PRANZO RACCORDA CON LA BOISERIE LA SALA DA PRANZO E LA SALETTA TV/HI-FI.

Per me, a livello creativo e linguistico, da allora è cambiato soltanto che non disegno più io a matita tutti gli esecutivi. E questo comporta che nel progetto del 1989 il disegno di dettaglio è più accurato, più ponderato. Nel progetto di oggi, il rapporto tra il pensiero e il manufatto è più mediato, è prevalsa l’impostazione generale, le scelte strategiche su materiali e articolazione dello spazio”. E se qualcuno ha recentemente dichiarato che “nelle migliori case milanesi un tempo le decisioni non si prendevano nel tinello, ma in sala da pranzo”, questa abitazione ha previsto una “vera” sala da pranzo, dove si fronteggiano alcuni contrasti, come il tavolo con gambe classiche in legno tornito e tecnologico piano sandwich in vetro-tessuto, che si accompagna alle ironiche sedute in plastica trasparente di Philippe Starck e al lampadario di Murano “incontro tra opulenza del vetro soffiato e colore allineati su un minimale solido cromato”.


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E poi c’è l’articolato spazio-office concepito come efficiente zona di servizio tra il pranzo e la grande e conviviale cucina dotata di ingresso secondario indipendente. Dall’entrata principale invece “un biglietto da visita” estremamente misurato, “un filtro di decompressione rispetto all’esterno” si raggiunge il living, l’ambiente canonico della socialità, raddoppiato grazie all’accorpamento dei due appartamenti contigui, dove sul pavimento di teak sono state inserite alcune “tracce”; una in acero sottolinea le posizioni del muro demolito, altre a forma di freccia indirizzano verso nuovi percorsi interni. L’innesto di figure leggere e rigorose ha valorizzato la spazialità fluida e aperta dell’ambiente riconducibile alla geometria di un rettangolo che risulta sui quattro lati rispettivamente separato dallo studiolo tramite la grande parete-libreria (eredità del primo intervento) in legno di cedro con parti laccate blu Cina e sopraluce fissi integrati; delimitato dalla

sala da pranzo tramite il nuovo armadio-quinta che corregge il disassamento della parete; messo in comunicazione – tramite una superficie apribile con rotazione, un’astratta macchia quadrata verde acido – con l’ambiente dedicato all’home video conquistato nello spazio ampio ma cieco dell’originario ingresso trasformato in una ‘cassaforte’ ovattata, tutta moquette a pelo alto e rivestimento in mattonelle di feltro viola e boiserie in acero; esteso infine lungo il fronte segnato da una regolare serie di aperture sul balcone pensato come micro-giardino con moquette simil prato e tratteggio luminoso a led. È come se Raggi , una volta risolta dal punto di vista distributivo e di uso la casa restituita con una calibrata successione di stanze, non abbia voluto rinunciare alle possibilità allusive di una decorazione equilibrata e al concetto ispiratore di ogni suo intervento: la volontà di sperimentare che si affida alle capacità sorprendenti di superfici e materiali. Di


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I DUE BAGNI PRINCIPALI DELL’ABITAZIONE CON RIVESTIMENTI IN MARMO PORTORO ACCOSTATO A BRECCIA AURORA E TRAVERTINO ROSSO ACCOSTATO A MARMO CALACATTA. RUBINETTERIE SERIE ROMA DI STELLA. L’AMBIENTE DEL BOUDOIR, LUOGO AFFETTIVO DI MEMORIA, REALIZZATO SU DISEGNO IN LEGNO DI CEDRO E RIVESTIMENTI CON LAMINATI A SPECCHIO SILVER PRINT DI ABET LAMINATI. POLTRONCINA MADEMOISELLE DI PHILIPPE STARCK PER KARTELL. VISTE DELLA CUCINA, CON PAVIMENTO A LOSANGHE DI STONE ITALIANA E LAMPADA A SOSPENSIONE DI ARTEMIDE, E DELLA ZONA DI SERVIZIO OFFICE CON ARREDI SU DISEGNO.

produzione industriale come gli innovativi laminati Abet a specchio con decori in rilievo, superfici texturizzate che tappezzano le pareti del boudoir moltiplicandone le valenze di contenitore simbolicospazio di memoria affettivo. O di fattura artigianale come le lamiere arrugginite e corrose che rivestono i muri della zona di disimpegno verso gli ambienti notte; o ancora le quinte tessili alte da pavimento a soffitto che sottolineano i passaggi delle porte scorrevoli. Un lusso “ereditato” dall’appartamento precedente è ripreso e ampliato nei generosi bagni, un gioco di superfici specchiate e marmi selezionati tra il prezioso Portoro nero con venature dorate, il Calacatta e il Travertino rosso Persiano. Alla fine soltanto le scelte dei pezzi d’ arredo indicano la varietà degli accenti portata dalla curiosità della committente: il moderno convive con il classico, il minimale con il barocco, le poltrone anni Cinquanta di Franco Albini con il divanetto di Hoffmann, il

divano Chesterfield con il pouff capitonné su disegno, una oleografica natura morta con le incursioni esotiche di Fornasetti. “Un compito del progetto non è confermare e omologare uno stile” riconosce Raggi “ma controllare l’eclettismo, la mobilità, l’invadenza, l’attitudine all’accumulo di segni, che rappresentano un carattere spiccato dello scenario figurativo contemporaneo”. Ma i giochi dei contrappunti dinamici indicano il percorso, perché la qualità degli spazi è fatta anche di dialettica con dettagli nascosti che casualmente prendono luce.



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La LUCE DaLL’alto progetto di Pierluigi Nicolin e Sonia Calzoni con Hun Gi Yim, Manuela Lualdi, Maurizio Bocola / foto di Michele Nastasi / testo di Matteo Vercelloni

IL recupero di un sottotetto, COLLEGATO AD UN PICCOLO APPARTAMENTO SOTTOSTANTE, DIVENTA OCCASIONE PER SPERIMENTARE IL valore della luce naturale CATTURATA DA NUOVI DISPOSITIVI IN COPERTURA: abbaini trasparenti CON PORZIONI DI vetro colorato IN GRADO DI CAMBIARE LE ATMOSFERE DELLO SPAZIO DOMESTICO SEGUENDO le ore del giorno E I RITMI DELLE STAGIONI NEL QUARTIERE DELLA CROCETTA, A TORINO. AFFIANCATO AL SOGGIORNO ORGANIZZATO NEL SOTTOTETTO, IL NUOVO TERRAZZO D’ANGOLO PERGOLATO SI PROPONE COME VERA E PROPRIA STANZA A CIELO APERTO, SOTTOLINEANDO IL SUO RUOLO DI INTERNOESTERNO. L’ANDAMENTO DELLA FALDA ORIGINARIA È RESTITUITO CON I LISTELLI LIGNEI CHE L’AVVOLGONO. DETTAGLIO DELL’ABBAINO REALIZZATO SU DISEGNO: UN PARALLELEPIPEDO TAGLIATO ALLA BASE DALL’ ANDAMENTO DELLA FALDA, RIVESTITO DI LEGNO SUI PROFILI VERTICALI INTERNI, VETRATO SUL FRONTE E SULLA SOMMITÀ CHE È ARRICCHITA DAL COLORE E APRIBILE.


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LA ZONA LIVING, SOTTO LA COPERTURA A FALDA CON TRAVI E TAVOLE DI LEGNO VERNICIATE DI BIANCO. LE PORZIONI DI VETRO COLORATO DEGLI ABBAINI FILTRANO LA LUCE DEL SOLE, ‘TINTEGGIANDO’ I MURI BIANCHI SECONDO TONALITÀ PRESCELTE, MUTEVOLI CON LE ORE DEL GIORNO. PAVIMENTI IN RESINA DI VIMAR COLOR. LA NUOVA SCALA INTERNA È AVVOLTA DA UNA RETE TESA TRA TUBOLARI METALLICI CHE DISEGNA UNA LEGGERA BALAUSTRA.

I

NELLE PLANIMETRIE: L’INTERO PIANO DEL SOTTOTETTO E LA PICCOLA UNITÀ UBICATA AL PIANO INFERIORE.

l fenomeno del recupero dei sottotetti, nonostante l’apparente limitatezza della scala d’intervento, puntuale e costretta oggettivamente ad operare sul costruito, ha assunto nell’ultimo decennio proporzioni quantitative così consistenti da essere individuato come uno degli aspetti della trasformazione edilizia di alcune città italiane. Purtroppo, nella maggioranza dei casi, alla quantità degli interventi non ha corrisposto un livello qualitativo e di attenzione altrettanto esteso. Tuttavia, l’ambito progettuale del ‘sottotetto’ in alcuni casi ha espresso un elevato grado di sperimentazione legato sia alle soluzioni d’interni, sia al rapporto tra gli ambienti della casa e gli spazi

ricavati en plein air sulla copertura, vere e proprie stanze all’aria aperta affacciate sul paesaggio urbano. Il progetto che presentiamo si inserisce in tali eccezioni affrontando il tema del disegno della casa come occasione per testare nuovi percorsi compositivi, in cui la luce naturale è chiamata ad assumere un ruolo chiave per l’intero spazio sospeso, che si configura come un riuscito tentativo di offrirsi quale ‘sistema aperto’, qualificato contenitore architettonico passibile di personalizzazioni da parte dei fruitori, una coppia con due bambini. L’abitazione collega l’intero piano del sottotetto ad una piccola unità ubicata al piano inferiore con accesso proprio e unita al livello sovrastante anche con una nuova scala interna avvolta da una rete tesa tra tubolari metallici a disegnare una leggera balaustra. La piccola cellula domestica è stata pensata come lo spazio per i figli, organizzata in modo autonomo, con tre camere fornite di due bagni, disposte razionalmente rispetto al ritmo delle aperture e in modo da potere essere impiegate nel tempo come camere per dormire, lo studio e il gioco, e un domani assecondare la crescita dei bambini garantendo una loro indipendenza e privacy. Nel sottotetto, accessibile anche dalla scala condominiale, invece, è organizzata l’intera zona giorno con un ampio soggiorno affiancato da un nuovo terrazzo pergolato, e con la grande cucina con terrazzino separata dal living tramite un volume centrale pensato come setto-contenitore attrezzato e passante, che non raggiunge volutamente il soffitto in modo da conservare il carattere unitario dello spazio complessivo. Un elemento che si unisce ad


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SCORCIO DI UN AMBIENTE NOTTE CORREDATO DI BAGNO PASSANTE, RICAVATO SOTTO LA COPERTURA A FALDA CON TRAVI E TAVOLE DI LEGNO VERNICIATE DI BIANCO.

NUOVI DISPOSITIVI ARCHITETTONICI: abbaini dalla figura innovativa, BATTEZZATI IRONICAMENTE DAI PROGETTISTI COME milanesiane A SOSTITUIRE LE parigine.

altri arredi ‘architettonici’ su disegno, come l’armadiatura modulare bianca con nicchie geometriche di legno naturale che caratterizza il corridoio della zona bambini. Sul fondo, sotto la copertura a falda con travi e tavole di legno verniciate di bianco, è disposta in modo appartato la zona notte padronale organizzata con camera da letto corredata di cabina armadio delle stesse generose dimensioni, e dal bagno centrale posto tra i due spazi, con doccia dal tetto trasparente aperto verso il cielo. L’idea di aprire lo spazio del sottotetto verso l’esterno è perseguita nell’intero progetto su vari livelli; in modo diretto con la creazione del nuovo terrazzo d’angolo, vera e propria stanza pergolata a cielo aperto che sottolinea il suo ruolo di interno-esterno riproponendo l’andamento della falda originaria con i listelli lignei che l’avvolgono. E in modo indiretto, con la creazione di nuovi dispositivi architettonici: abbaini dalla figura

UN’ARMADIATURA MODULARE BIANCA CON NICCHIE GEOMETRICHE DI LEGNO NATURALE CARATTERIZZA IL CORRIDOIO DELLA ZONA BAMBINI. LA GRANDE CUCINA È SEPARATA DAL LIVING TRAMITE UN VOLUME CENTRALE PENSATO COME SETTO-CONTENITORE ATTREZZATO E PASSANTE. APPARECCHI ILLUMINANTI DI LUCEPLAN, VIABIZZUNO, KREON.

innovativa, battezzati ironicamente dai progettisti come ‘milanesiane’ a sostituire ‘le ‘parigine’, così diffuse sui tetti della città di Torino. La ‘milanesiana’ è un elemento regolare, rivestito di legno sui lati verticali interni, un parallelepipedo tagliato alla sua base dall’andamento della falda, un monolito leggero e deciso che rompe l’inclinazione della copertura proponendosi come volume vetrato sul fronte e sulla sommità quasi orizzontale, arricchita da una conclusione colorata e apribile. Ripetuto con regolarità in modo da ridisegnare anche il profilo dell’edificio osservato dalla strada, il nuovo abbaino nell’interno assume il valore di elemento caratterizzante lo spazio abitato grazie ai diversi colori che, filtrando la luce del sole, ‘tinteggiano’ i muri bianchi interni secondo tonalità prescelte (azzurro, giallo, verde e rosso), con intensità e modalità scandite dalle ore del giorno e dalla luce delle diverse stagioni.


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SCORCIO DEL FRONTE SUD OVEST DEL MUSEO. VEDUTA D’INSIEME DEL FRONTE D’INGRESSO. LA ‘CASA DAS HISTORIAS’ NASCE DA UN ACCORDO TRA ISTITUZIONI LOCALI E LA PITTRICE PORTOGHESE PAULA REGO CHE HA CEDUTO, PER 10 ANNI, 121 OPERE TRA DIPINTI E DISEGNI. ALCUNE OPERE DI PAULA REGO HANNO BATTUTO RECORD MONDIALI NELLE ASTE: NEL 2008 SOTHEBY’S HA VENDUTO IL QUADRO BAYING PER 741MILA EURO (NUOVO RECORD DEL MONDO).

I

l sito, un terreno in un bosco di alberature ad alto fusto caratterizzato da un ‘vuoto’ centrale occupato un tempo da campi da tennis, non lasciava dubbi su dove collocare la nuova struttura architettonica del Museo Paula Rego, in modo da conservare l’impianto arboreo,

ma soprattutto cercando di instaurare con esso un aperto e sinergico confronto in grado di legare in modo diretto e complementare architettura e natura. Eduardo Souto de Moura protagonista dell’architettura portoghese e della scena internazionale con questo museo sottolinea fortemente la necessità di rapportarsi al paesaggio nella lucida scelta di un’architettura tutt’altro che ‘mimetica’, coperta da alberi e fronde, giardini e boschi verticali, prati sul tetto come vuole, a volte,


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A Cascais, IN PORTOGALLO, IL Museu Paula Rego SI PROPONE NEL PAESAGGIO COME UN segno antico CIRCONDATO DAL VERDE CHE LEGA passato E modernità IN UNA SINTESI PROGETTUALE di grande impatto.

Casa Das HIsTÓrIas

progetto di Eduardo Souto de Moura foto di FG+SG testo di Francesco Vertunni

la troppo sbrigativa ‘soluzione ecologica’ del momento, per scegliere invece la strada di una sorta di ‘architettura delle origini’ e ancestrale, quasi senza tempo, come quella che si incontra camminando nella giungla messicana di Coba nello Yucatan per trovarsi di fronte in un istante alle antiche piramidi dei Maya. E di piramidi anche qui si tratta: due elementi troncoconici muti e possenti che si ergono sulla complessa e calibrata geometria volumetrica del museo che

funge da articolata base all’elevazione verticale. Descrivendo le due piramidi, pensate come ‘lanterne’ per catturare la luce negli spazi sottostanti adiacenti l’ingresso (bookstore e cafeteria), Souto de Moura dichiara apertamente i modelli di riferimento: “le due grandi piramidi non sono indifferenti a quelle della cucina del Monastero di Santa Maria di Alcobaça, a certe soluzioni adottate nelle case di Raul Lino e ad alcune incisioni di Boullée” (quest’ultimo


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VISTE DEI VOLUMI ESTERNI E DELLE SALE ESPOSITIVE INTERNE. NELLO SCHIZZO: STUDIO DELLA COMPOSIZIONE D’INSIEME CHE INTERESSA UN’AREA DI 750 METRI QUADRATI: UNO SPAZIO PER LE ESPOSIZIONI PERMANENTI E TEMPORANEE, CAFFETTERIA, LIBRERIA E UN AUDITORIUM DI 200 POSTI.

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architetto illuminista della Rivoluzione Francese che insieme a Claude Nicolas Ledoux configurò la risposta tridimensionale alle istanze innovative rivoluzionarie in chiave di ‘architettura come forma di comunicazione’). Ma la figura della piramide, come tutti sanno, ha origini antiche ed è sedimentata nella memoria collettiva di ogni civiltà come archetipo architettonico ‘fondativo’; in questo senso il suo impiego diventa una sorta di dichiarazione monumentale astratta, in grado di dare alla costruzione un inequivocabile valore simbolico e di memoria attiva. Il rifarsi a questa soluzione, il collocare in coppia e affiancate le due piramidi sullo ‘zoccolo’ del museo trasforma quest’ultimo in un’architettura lirica e fuori dal tempo, collocandolo simultaneamente con convinzione e ragione nella contemporaneità. Di grande importanza ai fini del rapporto tra edificio e paesaggio, appare il colore delle superfici murarie esterne, oltre alla soluzione compositiva degli spazi museali che si risolve in una perfetta

sommatoria di monolitici e silenziosi parallelepipedi regolari a diversa altezza, scolpiti da essenziali aperture vetrate, organizzati intorno a quello di dimensione maggiore in posizione centrale. I muri esterni sono tinteggiati con un colore rosso arancio che in modo complementare si lega al verde del bosco che abbraccia l’edificio, mentre la scelta del calcestruzzo armato a vista e soprattutto del getto eseguito con fodere di legno composte da tavole di larghezza ridotta, porta ad una ‘naturale’ trama che valorizza i riverberi del sole e le ombre del giorno. Le leggere irregolarità tra i piani delle tavole dei casseri, in genere assunte come difetto nel getto, diventano qui ‘preziose irregolarità’: permettono infatti di ottenere delle lievi linee d’ombra che rendono ricco e mutevole l’andamento orizzontale della texture dei corpi del museo, mentre sulle due piramidi la posa delle tavole a lisca di pesce valorizza lo sviluppo verticale dei due corpi disegnandone un ritmo crescente, verso il cielo.


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LA FIAMMA OLIMPICA ACCESA DURANTE LA CERIMONIA DI APERTURA DELLE OLIMPIADI INVERNALI DI TORINO NEL 2006. LA SOCIETÀ K-EVENTS DI MARCO BALICH, DEL GRUPPO FILMMASTER, HA IDEATO, OLTRE ALLA CERIMONIA D'APERTURA, ANCHE QUELLE DI CHIUSURA DELLE OLIMPIADI E DEI GIOCHI PARALIMPICI (PH P. SERINELLI/AFP/GETTY IMAGES/CIO).


INsight

di Antonella Galli

MarCo BaLIcH IL MIo LaVoRo? acceNDere La PassIoNe


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Marco Balich È il creativo CHE HA FIRMATO LE CERIMONIE DELLE Olimpiadi invernali di Torino NEL 2006, QUANDO SEPPE entusiasmare DUE MILIARDI DI SPETTATORI IN TUTTO IL MONDO CON UN inno al made in Italy. GRAZIE ANCHE A QUEL SUCCESSO, OGGI È UNO DEI più accreditati ideatori di eventi AL MONDO.

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probabilmente l’understatement innato – la madre è inglese – che fa dire a Marco Balich, presentando il suo lavoro, “noi siamo quelli che fanno gli ‘spettacoloni’”. Vero, ma le cose sono un po’ più complesse. Presidente della K-Events, del Gruppo Filmmaster, Marco Balich, veneziano di 47 anni e di origini slavo-anglosassoni, ha guadagnato notorietà internazionale con il grande successo delle cerimonie dei Giochi Olimpici Invernali di Torino nel 2006. Una lunga esperienza nella produzione lo ha portato a conquistare, insieme al suo team di K-Events, incarichi sempre più prestigiosi, dal lancio della nuova Fiat Cinquecento al format per il Capodanno e per il Carnevale di Venezia. E le sfide, al termine di questo decennio, continuano con grandiosi appuntamenti in Messico e in India. Come hai costruito il tuo percorso professionale? “Me lo sono inventato strada facendo. Quando ho iniziato, questa figura professionale, almeno in Italia, non esisteva, così come non c’erano percorsi formativi. La laurea in legge mi è servita a capire che quello non era il mio mestiere.


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UN MOMENTO DI WELCOME 500, L’EVENTO CHE HA ACCOMPAGNATO IL LANCIO DELLA NUOVA FIAT CINQUECENTO IL 4 LUGLIO 2007 AI MURAZZI DI TORINO, SULLE ACQUE DEL PO. L’EVENTO È STATO PREMIATO COME ‘BEST EVENT OF THE YEAR’ AI BEST EUROPEAN AWARDS 2007 (PH. G. SOTTILE/K-EVENTS).

Ho seguito numerose tournée dei grandi cantanti rock negli anni Ottanta (settantadue, per la precisione), dove ho imparato a organizzare le discipline (palco, biglietti, luci, impianti, media etc); ho anche prodotto più di trecento videoclip con musicisti e artisti italiani e internazionali. Ho lavorato anche per la televisione, ma ho capito che per produrre tv ci vuole un cinismo che non posseggo. Ho letteralmente inventato Heineken Jammin’ Festival (uno dei principali festival musicali italiani ed europei, ndr), fino ad arrivare, nel 2002, ai quei sei minuti dedicati a presentare Torino nel corso della cerimonia di chiusura delle Olimpiadi Invernali di Salt Lake City. Furono sei minuti che accesero molta attenzione sul nostro gruppo”. Poi cominciò il lungo lavoro di Torino 2006… “Due anni e mezzo di lavoro e un gruppo creativo con i più importanti professionisti del mondo dello spettacolo, 6.000 volontari, artisti di ogni genere, esperti tecnici e tante altre figure, ciascuna fondamentale per quel successo. Migliaia di bozzetti e documenti, oltre 8500 incontri,

insomma una massa enorme di lavoro che è culminata in due ore e mezzo di spettacolo one shot, davanti a due miliardi di telespettatori e 142 continenti. Un evento irripetibile (come, d’altra parte, lo è ciascuno di questi spettacoli kolossal), che si spegne nel momento stesso in cui si svolge, senza possibilità di replica, di correzione, tanto meno di errore. Ma che, se efficace, può innalzare in modo irrevocabile l’immagine internazionale di una città, di un’azienda o di un intero Paese. E a Torino devo ammettere che ci siamo riusciti”. Il ritorno è stato straordinario, anche perché quello spettacolo, così come le cerimonie di chiusura delle Olimpiadi e dei Giochi Paralimpici, ha toccato il cuore ed emozionato, raccontando il valore e le bellezze dell’Italia. Come hai vissuto personalmente questo successo? “Ricordo che il giorno seguente ero un po’ frastornato, ricevevo messaggi da tutto il mondo, ma quello che mi colpì fu vedere dalle finestre e dai balconi di Torino spuntare tante bandiere italiane. Chi si dedica a questo tipo di eventi non deve basarsi su certi effetti facili, ma puntare sinceramente su nobili emozioni, iniettare

NELLA PAGINA ACCANTO: LA CERIMONIA DI CHIUSURA DELLE OLIMPIADI DI TORINO 2006. IN BASSO, ALCUNI MOMENTI DELLA CERIMONIA DI APERTURA: LE SCINTILLE DI PASSIONE, SEI PATTINATORI IN LINEA INGUAINATI NELLE TUTE ROSSE DISEGNATE DA DAINESE, CHE HANNO SFRECCIATO A 70 CHILOMETRI ALL’ORA CON IL CASCO KOMBAT-T, DA CUI USCIVA UNA LUNGA LINGUA DI FUOCO (FOTO GETTY IMAGES/CIO); LA COLOMBA DELLA PACE ‘COMPOSTA’ DA ACROBATI IN TUTA BIANCA (PH. GETTY IMAGES/CIO).


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ALCUNI MOMENTI DEL CARNEVALE DI VENEZIA DEL 2009. IL PROSSIMO FEBBRAIO, PER IL TERZO ANNO CONSECUTIVO, MARCO BALICH SARÀ DIRETTORE ARTISTICO DEL CARNEVALE DI VENEZIA, PER IL QUALE HA IDEATO IL FORMAT SENSATION: 6 SENSI PER 6 SESTIERI; IN TUTTE LE ZONE DEL CENTRO STORICO SI SVOLGONO MANIFESTAZIONI TRADIZIONALI E SPETTACOLI LEGATI AL TEATRO DI STRADA (PH. VENEZIA MARKETING EVENTI).

contenuti sensibili, toccanti; proporre valori comuni (l’amor di patria, la fratellanza, la pace) attraverso mezzi originali e molto progettati. Noi ci appoggiamo a temi semplici e condivisibili per presentarli, raccontarli in modo sofisticato e alto. Un esempio è stato l’inno nazionale durante la cerimonia di Torino. Per la prima volta non lo ha suonato una banda, ma lo ha cantato una bambina che indossava una cuffia bianca e un abito tricolore. È stato un passaggio innovativo, ma rispettoso. I bambini hanno sentito l’inno più vicino e, magari, hanno ricominciato a cantarlo”. Come lo spettacolo di Torino è entrato in sinergia con lo spazio adibito all’evento? “Lo stadio di Torino è stato adattato appositamente per la cerimonia: due anni di lavoro e una lunga fase progettuale lo hanno reso quasi un teatro, con una capacità di coinvolgere, di rappresentare e di emozionare; gli elementi scenici, distribuiti in varie parti dello stadio, hanno movimentato lo spettacolo. L’incarico per il Carnevale di Venezia ti ha portato

a confrontarti con luoghi e architetture complesse, con uno scenario unico al mondo e difficile da trattare… “Piazza San Marco e la mia città, un patrimonio unico, mi sono mosso con molto rispetto; il format del Carnevale – Sensation, 6 sensi per 6 sestieri (cinque sensi più la mente) – è stato pensato per diffondere gli spettacoli di strada, i concerti, le performances in tutta la città, affinché la gente potesse scoprirla, senza fermarsi alla piazza. Qui ho pensato a un giardino all’italiana, con un leone vegetale di dodici metri, e una scenografia di luci”. Qual è l’elemento che nel tuo lavoro ancora ti emoziona? “La partecipazione dei volontari, in ugual misura e piena di entusiasmo in ogni parte del mondo: sono loro i primi portatori di passione. Il fattore umano ogni volta mi sorprende: le persone hanno voglia di essere coinvolte. Ho provato una commozione profonda nell’estate 2009 ai Giochi del Mediterraneo a Pescara: hanno partecipato i ragazzi dell’Aquila, che partendo dalle tendopoli,

NELLA PAGINA ACCANTO: L’ILLUMINAZIONE DELLE PIRAMIDI DI GIZA AL CAIRO DURANTE L’EVENTO CURATO DA K-EVENTS PER LE CELEBRAZIONI DELLA ORASCOM, COMPAGNIA DI TELECOMUNICAZIONI EGIZIANA, L’8 DICEMBRE 2006. IL LIGHT DESIGNER DURHAM MARENGHI HA FIRMATO LA COREOGRAFIA LUMINOSA (PH. D. MARENGHI/K-EVENTS).


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CI APPOGGIAMO A temi semplici e condivisibili, PER PRESENTARLI, RACCONTARLI IN MODO SOFISTICATO E ALTO

ogni mattina arrivavano alle prove; fino alla festa finale, che è stata tutta per loro”. Quali sono i tuoi prossimi impegni? “Sono due i grandi progetti cui stiamo lavorando in questo momento: la cerimonia dei XIX Commonwealth Games a Delhi e la manifestazione per il bicentenario dell’indipendenza del Messico, entrambi il prossimo ottobre. Per il Messico è previsto un megashow con una parata di quattro chilometri e un budget di 48 milioni di dollari”. In questo momento non potrebbero sembrare elevati tali costi per uno spettacolo ‘effimero’? “No, se si confrontano con le spese militari, ad esempio, che tante nazioni, anche povere, sostengono, per acquistare mezzi che magari non utilizzeranno mai. Il ritorno internazionale di immagine, l’unità di intenti che una cerimonia simile genera, e non da ultimo, l’indotto che gli anni di lavoro per questi eventi portano, oltre che le professionalità che creano (costumisti, scenografi, tecnici) hanno un valore difficilmente

misurabile. Questo è vero, in un’ottica diversa, anche per le aziende: nel 2007, il giorno dopo lo spettacolo di presentazione della nuova Cinquecento a Torino, le azioni Fiat guadagnarono quattro punti”. In che città vivi? Come è la tua casa? “Vivo a Milano, ma potrei vivere ovunque, anche se amo tantissimo l’Italia. Ho quattro figli e una casa da cielo a terra in zona Città Studi. Amo il design italiano e l’arte, ho pezzi di Cappellini, modernariato degli anni Trenta, molte opere d’arte”. Il design è ancora una bandiera per l’Italia? “È nel nostro DNA. La nostra sensibilità per la forma, l’inventiva, lo stile è ciò che anche nel mio mestiere ci distingue da tutti gli altri, nelle scenografie, nei costumi, nel progetto degli spazi, dei colori. All’estero l’immagine del nostro Paese soffre per le recenti vicende che hanno coinvolto la classe politica. Ma, nonostante qualche ironia, gli stranieri sanno fare le differenze e conoscono i nostri pregi. In quella chiave dobbiamo continuare a proporci, e ad amare l’Italia”.


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UN PERCORSO DI ARCHITETTURA E DESIGN TESO VERSO L’ESPRESSIONE ARTISTICA. LA STORIA DI una protagonista del progetto italiano CHE, ALL’APPLICAZIONE DI FORMULE DI SUCCESSO, HA SEMPRE PRIVILEGIATO LA sperimentazione E NON HA MAI RINUNCIATO A radicali prese di posizione, NELLO SFORZO DI DARE AD OGNI PROGETTO UNA dimensione poetica.

NanDa ViGo di Matteo Vercelloni

F

olgorata all’età di quattro anni dalla luce che fuoriusciva dalle porzioni in vetrocemento della Casa del Fascio di Terragni a Como (1932-36), Nanda Vigo, allora sfollata con la famiglia nella città lariana, ha come inserito nel proprio DNA creativo questo flash infantile che, come per effetto di una madeleine proustiana, è via via riemerso nella sua vita progettuale come attivatore di azioni concrete. Processi di combinazione creativa tesi a valorizzare l’illusione dello spazio e la sua

deformazione dove la luce – come quella generata nei suoi impulsi diurni e notturni dall’architettura di Terragni – diventa sostanza immateriale protagonista dello spazio e dei rapporti tra esso e gli oggetti contenuti. Superando il concetto caro alle avanguardie artistiche di integrazione tra le arti, Nanda Vigo ha in realtà unito in una sintesi operativa e di attento controllo compositivo la dimensione artistica con quella architettonica: “Se trovavo nell’arte la mancanza di un aspetto

costruttivo, allo stesso tempo vedevo quanto l’architettura mancasse di artisticità”. Così l’idea e la pratica di una ricerca dello ‘spazio totale’ non poteva che avvenire in una consapevole, ‘naturale’ e voluta azione di sinergia tra sensibilità artistica e razionalità architettonica dove, per ciò che concerne il disegno degli interni, alla semplice organizzazione delle funzioni si sostituisce un’idea di trasformazione globale in cui entrano in gioco spazio, oggetti e arredi, luce e persone, e


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SOPRA: LA SCALA A CHIOCCIOLA RIVESTITA DI PELLICCIA SINTETICA DI CASA MENGUZZO A MALO, 1966-69, (FOTO GIORGIO CASALI); A DESTRA, LA LAMPADA DA TERRA GOLDEN GATE PER ARREDO LUCE, 1970 (FOTO NINI E UGO MULAS). ACCANTO: LA SEDIA DUE PIÙ PER IL NEGOZIO MORE COFFEE SHOP A MILANO, 1971 (FOTO ALDO BALLO); IL POUFF BLOCCO PER DRIADE, 1971 (FOTO ALDO BALLO). NELLA PAGINA ACCANTO, NANDA VIGO IN UNO SCATTO DI RUVEN AFANADOR.

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SOPRA: SCULTURA LUMINOSA NEW ICEBERG, PROTOTIPO, 2009 (FOTO DI GABRIELE TOCCHIO); A SINISTRA, INTERNO BLU A MILANO, 1970-71 (FOTO LAURA SALVATI).

LA luce DIVENTA UN ‘solido’, L’ARTE VIENE IMPIEGATA COME elemento costruttivo DELLO SPAZIO

soprattutto arte. È proprio la priorità della dimensione artistica quella che porterà alla definizione negli anni ’60 dei celebri ‘ambienti cronotopici’. Si tratta di uno sforzo concreto di portare l’arte alla scala dell’ambiente fisico costruito dove la luce diventa un ‘solido’. Gli allestimenti con vetri stampati e specchi presentati alla Galleria Apollinaire di Milano o il labirinto spiazzante della Sala Ideal Standard (1965) diventano dichiarazioni costruite del ‘manifesto della cronotopia’ (1964): “concetto filosofico – cronotopia o postulato cinquedimensionale introducente all’adimensione”. Concetto declinato poi in varie scale che da quella dello spazio interno composto da layers sovrapposti di lastre di vetro stampato retroilluminate, o di sistemi di pannelli vetrati continui impiegati come ‘pelle interna’, si riduce all’oggetto macro e micro, in una sorta di ricercata adimensionalità che trova poi nella pratica dell’azzeramento spazio-temporale degli anni ’70 le basi rifondative di nuove possibilità espressive e progettuali. Era il grado Zero di

NELLA PAGINA ACCANTO, ALLESTIMENTO ALLA GALLERIA VOLPI GENESIS LIGHT DURANTE IL FUORISALONE DI MILANO DEL 2007, PREMIATO COME MIGLIORE INSTALLAZIONE DALLA RIVISTA WALLPAPER (FOTO DI GABRIELE TOCCHIO).

purificazione figurativa – così come indicavano le pratiche del Gruppo Zero (il movimento di arte d’avanguardia fondato a Düsserdolf nel 1957) cui Nanda Vigo aderì per affinità di ricerca – le basi rifondative di nuove possibilità espressive e progettuali. Le architetture e gli interni di Nanda Vigo si caricano così di uno spessore sperimentale che più che ‘interdisciplinare’ diventa di ‘sinergia totale’. Architettura e arte si confondono, si sovrappongono e si contaminano, gli spazi sono di fatto ‘costruiti’ con l’arte che diventa componente inscindibile dalla pratica architettonica; gli interni Bianco (1959-63), Blu (1967-71), Giallo (1970-71) e Nero (1970-72) a Milano, dimostrano nella loro acromaticità o monocromia, nella loro fusione tra arredo e contenitore, nell’uso della luce artificiale come elemento fondativo, come lo stesso spazio diventi in sostanza ‘opera d’arte abitabile’. D’altra parte, come si è sottolineato, la priorità dell’arte rimane una costante nel lavoro di Nanda Vigo e la frequentazione con artisti come Enrico Castellani e Lucio Fontana, l’influenza di Gio Ponti, l’amore


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SOPRA, COLLEZIONE DI MOBILI IN SPECCHIO TOP PER FAI INTERNATIONAL, 1972, FOTOGRATA IN PIAZZA DEL DUOMO A MILANO (FOTO DI LAURA SALVATI). A SINISTRA, MOBILE CRONOTOPICO PER DRIADE, 1970-71, (FOTO DI LAURA SALVATI). NELLA PAGINA ACCANTO, SCULTURA LUMINOSA, SPECCHIO E NEON HSH (HOME SWEET HOME), 2007, GALLERIA TOSELLI (FOTO DI GABRIELE TOCCHIO).

LO STESSO SPAZIO DIVENTA, IN SOSTANZA, UN’opera D’arte abitabile

con Piero Manzoni, fanno dell’arte una componente di vita cui riferirsi sempre, in ogni momento e occasione progettuale. Così, se negli interni milanesi Vigo sperimenta con successo il concetto di ‘ambiente totale’, nella casa Menguzzo a Malo nei pressi di Vicenza (1966-69) – costruita sul progetto di Gio Ponti per una ‘casa di vacanze’ messo a disposizione sulle pagine di Domus (maggio 1964) per chiunque lo volesse realizzare – il procedimento compositivo dell’insieme aggiunge all’arte impiegata come elemento costruttivo dello spazio (l’opera fluttuante divisoria commissionata appositamente all’artista cinetico Julio Le Parc, il rilievo prospettico all’ingresso di Enrico Castellani) il confronto della dualità tra hard e soft, tra positivo e negativo, nel rifiuto della semplificazione ‘monoteista’. Così all’unitarietà della pelle interna, alla continuità tra pavimento e pareti rivestiti con piastrelle bianche quadrangolari – chiamate a costruire anche gli arredi fissi come l’isola centrale dei divani, la conversation pool, e il letto

matrimoniale collocato in modo irriverente e innovativo nella living room – risponde il rivestimento in peluche grigio a pelo lungo che copre sedute, materassi e cuscini, ma anche la scala a chiocciola centrale, posta in asse al lucernario in copertura, che diventa quasi un animale domestico rivelatore di un’altra dimensione materica, di un altro mondo possibile. Attenzioni che si ritrovano nell’attività di designer di Nanda Vigo, dalle sperimentazioni sugli specchi, assunti come riflettori e diffusori di luce più che di immagini, alle lampade che diventano oggetti luminosi a varie scale, sino a diventare presenze ambientali come la lampada da terra Golden Gate per Arredo Luce del 1971, la prima lampada che impiegava un led (recuperato dalla Nasa a Cape Canaveral) nell’interruttore rosso emergente dalla base cilindrica di acciaio, come fosse un ‘segnale iniziatico’ da attivare. Troppo presto, forse è questo il limite invidiabile del lavoro di Nanda Vigo; i temi della sua ricerca, come è stato notato, si ritrovano oggi in tante espressioni internazionali del progetto.


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Lorenzo DAMIANI

A CONFRONTO I DUE DESIGNER CHE HANNO FATTO DELLO scarto E DEL recupero UNA FONTE D’ISPIRAZIONE DEL LORO LAVORO. MA CHE NON CREDONO AI PROGETTI ECOLOGICI. PERCHé L’ecologia, dichiarano, è una questione di testa, NON DI PRODOTTO.

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Massimiliano ADAMI di Maddalena Padovani


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SOPRA, AIRTABLE, UN ESEMPIO DI INNESTO TIPOLOGICO IDEATO DA LORENZO DAMIANI PER CAMPEGGI, 2009. DISPOSTO ORIZZONTALMENTE FUNGE DA TAVOLINO, VERTICALMENTE DA VENTILATORE. IN ALTO A DESTRA, FOSSILE MODERNO MONOLITE, UN PEZZO ESPRESSAMENTE REALIZZATO DA MASSIMILIANO ADAMI PER LA MOSTRA MAGMA FOSSILE, (TRIENNALE DI MILANO, NOVEMBRE 2009), QUARTO EPISODIO DELLA RASSEGNA DEDICATA AL DESIGN ITALIANO CONTEMPORANEO ALL’INTERNO DEL PROGETTO MINI & TRIENNALE CREATIVESET.

N

on hanno un sito (e neppure un orologio), non leggono le riviste di design, non parlano l’inglese, non frequentano i ‘salotti buoni’ dell’intellighenzia del progetto milanese, non amano neppure comunicare attraverso la posta elettronica. Di tutto si può dire di Massimiliano Adami e Lorenzo Damiani, tranne che anelino a mettersi in mostra e a emergere nell’affollato panorama del design system italiano. Pensi che ad accomunarli sia soprattutto questa ritrosia, una sorta di umiltà professionale, e poi scopri che, in realtà, gli elementi in comune sono così tanti da farli sembrare gemelli separati alla nascita. Eppure i loro progetti non potrebbero essere così diversi. Impulsivi, materici, dirompenti, i lavori di Massimiliano esprimono uno spirito sperimentale prettamente manuale che sino a questo momento lo ha distinto in modo deciso dai

MA

suoi colleghi italiani e lo ha portato a essere equiparato ai più noti art designer della scuola nord-europea. Concettuali e silenziosi, i progetti di Lorenzo nascono invece da un’attenta riflessione sulle funzioni e sulle tipologie degli oggetti, che il designer contamina e reinventa con intelligente e garbata ironia che più volte i critici hanno associato al ready made di Achille Castiglioni. Su un dato, però, le figure di Adami e Damiani convergono con estrema chiarezza: la decisa lontananza dall’approccio formalistico che contraddistingue larga parte dei designer contemporanei, in particolar modo quelli nazionali. A loro abbiamo chiesto quanto questa loro ‘diversità’ li abbia penalizzati o, al contrario, avvantaggiati. Damiani: “Sicuramente i miei progetti hanno una collocazione non facile, sul piano commerciale. La forma è indubbiamente l’elemento che dà un immediato risalto a un oggetto. A me invece interessa avere un approccio di più ampio respiro e fare una riflessione a monte su quella che potrebbe essere l’evoluzione della specie di un oggetto. Non parto mai da una forma ma da un concetto. Per esempio, il progetto della ciotola D.L.152 è nato dalla proposta di un modo alternativo di smaltire i detriti e il ‘cocciame’ della lavorazione del vetro. Si tratta di scarti soggetti a procedure molto precise e anche dispendiose; io ho cercato di farne l’anima del mio progetto, inglobandoli in una ciotola trasparente che ne rivela un inaspettato aspetto

decorativo. Ho voluto fare di un problema l’occasione per realizzare qualcosa di nuovo”. Adami: “Io credo che a penalizzare il mio lavoro non sia tanto la mancanza di un approccio formalistico, quanto la mia identificazione con il progetto ‘artistico’ dei Fossili Moderni che in realtà convive con lavori molto differenti. Faccio riferimento a progetti molto più tecnici, in cui l’aspetto funzionale è sicuramente determinante. Sono due strade di ricerca che nascono dal medesimo punto di vista, ma che conducono a esiti decisamente differenti. Non mi interessa rintracciare una linea comune in quello che faccio. Anzi, mi piacerebbe sviluppare, di volta in volta, approcci sempre diversi, e sarei molto contento se il risultato dei miei progetti apparisse ogni volta differente. Mi rendo conto, però, che questo mio modo di procedere certo non mi aiuta nel rapporto con le aziende, né a propormi e comunicarmi in modo chiaro e definito”. Un altro elemento che vi accomuna è l’uso dei materiali di scarto, degli oggetti di recupero, che diventano materia d’invenzione di nuove tipologie di prodotto e di funzione. Come nascono questi progetti, da quali presupposti e da quali percorsi sperimentali? Adami: “I Fossili Moderni potrebbero essere letti come un progetto-manifesto della sostenibilità e della filosofia del recupero. In realtà non sono nati da questa specifica intenzione, anche se mi piace pensare che possano sollecitare una riflessione più generale in tal senso. I Fossili sono nati dall’idea di


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un contenitore, adibito a contenere degli oggetti, fatto però di oggetti. Ai tempi lavoravo come dipendente in un’azienda che faceva arredamenti per negozi. Volevo partecipare a un concorso di design e mi era venuta questa idea, che ho subito sperimentato durante una pausa pranzo, aprendo un bidone della spazzatura, prendendo alcuni oggetti di plastica, inglobandoli in una schiumata che ho poi segato a metà. Questo è stato l’inizio di un percorso che ha poi subito un’evoluzione, una messa a punto tecnica, per approdare poi, nel 2005, all’esposizione al Salone Satellite da cui è iniziata la mia avventura di designer”. Damiani: “Io ho realizzato tre sedie che, in modo diverso, prendono tutte spunto dal concetto di scarto: la Tuttitubi, la Sweet, la Udine. Sono tre sedie che, a mio parere, possono essere lette come il manifesto di un modo di pensare, e forse per questo non hanno mai avuto un produttore. L’idea è quella di utilizzare appunto i semilavorati, piuttosto che gli scarti e i residui di lavorazione. La Tuttitubi, per esempio, indaga la possibilità di

realizzare poltrone e seggioline utilizzando elementi già esistenti ma nati per un uso diverso, come i tubi e i giunti usualmente destinati a lavori idraulici. La Udine, invece, nasce all’interno di un concorso sul tema della sedia in legno, ma sceglie di utilizzare la segatura derivante dalla lavorazione di questo materiale per imbottire la seduta in pvc trasparente e dargli un’innovativa connotazione estetica. Ci sono poi altri miei oggetti che, in modo più concettuale che produttivo, riflettono sulla tematica del riciclaggio. Il nastro adesivo 100%, per esempio, nasce dalla constatazione di non essere mai riuscito a progettare un oggetto interamente riciclabile. Da qui la proposta di un prodotto che promuova il regalo ricilicato, che metta cioè in circolo quegli oggetti che ciascuno di noi ha in casa ma non usa e che tra le mani di altre persone, invece, potrebbero trovare una reale destinazione d’uso. Si tratta di un progetto comportamentale, ovvero di un progetto che non riguarda un prodotto quanto il comportamento delle persone: attraverso il mio


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MA DUE PROGETTI DI MASSIMILANO ADAMI. SOPRA, FOSSILE MODERNO CONSOLLE, AUTOPRODUZIONE, 2006. ACCANTO, BICCHIERI E VASI CHEAP MURANO, AUTOPRODUZIONE, 2008. TUTTE LE FOTO DI ADAMI SONO REALIZZATE DA CARLO FURGERI GILBERT.

NELLA PAGINA ACCANTO, ALCUNI PROGETTI DI LORENZO DAMIANI. IN ALTO,TUTTITUBI, COLLEZIONE DI POLTRONE E SEGGIOLINE REALIZZATE CON TUBI E GIUNTI IN PLASTICA SOLITAMENTE USATI PER LAVORI IDRAULICI (2003). NELLA PAGINA ACCANTO, AL CENTRO, DA SINISTRA: SEDIA UDINE CON SEDUTA IN PVC IMBOTTITO CON SEGATURA DERIVANTE DALLE LAVORAZIONI DEL LEGNO (2003); D.L.152, CIOTOLA PER FORNASIER LUIGI, REALIZZATA IN VETRO E RIEMPITA DI ‘COCCIAMI’ RISULTANTI DA LAVORAZIONI PRECEDENTI CHE IL D.L. 152 DEL 2006 PREVEDE DI SMALTIRE COME ‘MATERIALE SPECIALE’ (2009); UN COMPONENTE DELLE SEDUTE TUTTITUBI. NELLA PAGINA ACCANTO, IN BASSO: H2O, BACINELLA-LAVABO COMPLETA DI SIFONE E PORTAOGGETTI REALIZZATI IN PLASTICA STAMPATA (2004). A LORENZO DAMIANI È STATA DEDICATA LA MOSTRA MA DOVE SONO FINITI GLI INVENTORI? (TRIENNALE DI MILANO, SETTEMBRE 2009),TERZA TAPPA DELLA RASSEGNA PRESENTATA DA MINI & TRIENNALE CREATIVESET.

oggetto, io ti suggerisco un nuovo modo di comportarti, forse più rispettoso e corretto rispetto alle problematiche della contemporaneità”. Adami: “Si tratta, per me, di un modo più moderno di pensare all’ecologia. Un approccio che mette in discussione lo stesso processo produttivo e cerca anzi di ottimizzare l’utilizzo di quanto esiste già, dandogli un nuovo e più ricco significato. La mia sedia Sharpei, per esempio, nasce da una riflessione sull’imbottito e dalla volontà di utilizzare dei tessuti di scarto e di fare del rivestimento lo stesso materiale di imbottitura, eliminando così alcuni elementi-processi tipici della produzione dell’imbottito. Da qui l’idea di sperimentare l’abbinamento tra tessuti di riciclo e silicone, al fine di dare alla piega le caratteristiche strutturali ma anche di morbidezza necessarie per la seduta. La sedia è stata presentata al Salone Satellite del 2006 ed è successivamente entrata nel catalogo Cappellini; questo passaggio ha reso necessaria un’opera di industrializzazione del prodotto che ha ridimensionato l’impiego dei

tessuti di recupero – avrebbero imposto un elevato e ingiustificato lavoro manuale – e ha consentito la realizzazione seriale della piega che fa da rivestimento e imbottitura allo stesso tempo”. Quali sono i vostri progetti e le vostre aspirazioni per il futuro? Damiani: “Mi piacerebbe lavorare sugli armadi e i sistemi componibili, una tipologia di prodotto solitamente ritenuta ostica dai giovani designer. Mi piacerebbe confrontarmi in una situazione prettamente industriale. L’idea di lavorare sui grandi numeri mi solletica tantissimo; soprattutto mi entusiasma la prospettiva di mettere un’invenzione in un prodotto che arriva a tante persone”. Adami: “Anche a me piacerebbe affrontare i temi dell’industrial design, mettere a fuoco questa mia seconda vocazione progettuale che sento così forte e importante, capire se e quanto può svilupparsi parallelamente alla mia attività più artistica. Diciamo la verità: il mio sogno è quello di fare il designer, non l’artista!”.


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ELogio DEL DESIGN reale ‘Design real’, LA PRIMA MOSTRA DI DESIGN DELLA Serpentine Gallery DI LONDRA, PROPONE 43 oggetti di design industriale SELEZIONATI DA Konstantin Grcic, SCELTO COME CURATORE DA HANS ULRICH OBRIST E OLIVIA PEYTON JONES.

di Cristina Morozzi


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SOPRA: MEGAFONO 12 06W HAND GRIP, DISEGNATO DA SHIN AZUMI PER TOA CORPORATION; MASCHERA DA SALDATORE SPEEDGLAS 9100 DI 3M.

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l design industriale sta diventando mediatico, grazie all’esposizione in una galleria d’arte di Londra. In controtendenza con musei e gallerie d’arte internazionali che stanno dando spazio al design artistico, Hans Ulrich Obrist e Olivia Peyton Jones, responsabili delle politiche culturali della Serpentine Gallery di Londra, hanno deciso di debuttare con una mostra rigorosamente di design industriale (Design Real, 26 novembre 2009 - 7 febbraio 2010). E hanno scelto come curatore Konstantin Grcic, uno dei pochi designer a resistere alle sirene del design artistico, convinto che design e serialità debbano andare saldamente per mano. Peyton Jones e Obrist ritengono che anche una mostra sul design possa spostare in avanti lo sguardo: “Nel mondo”, sostengono, “c’è una crescente consapevolezza del ruolo del design e del suo impatto sull’ambiente.

NELLA PAGINA ACCANTO, DALL’ALTO: SCARPE IN PLASTICA DISEGNATE DA ZAHA HADID PER MELISSA; AMO DA PESCA CORA-Z DI CORMORAN; SEDIA A DONDOLO ELLAN DISEGNATA DA CHRIS MARTIN PER IKEA.

Come l’arte contemporanea, il design riflette il continuo cambiamento della società. Abbiamo scelto come curatore Grcic perché è uno dei più talentuosi designer industriali e uno dei grandi visionari del nostro tempo. La sua fiducia nell’importanza del design nella vita quotidiana è il nucleo della mostra. La nostra scelta è stata determinata anche dall’ammirazione che nutriamo per lui in qualità di curatore. Abbiamo molto apprezzato l’allestimento per Design en stock, 2000 oggetti del Fondo Nazionale di Arte Contemporanea (Palais de la Porte Dorée, Parigi 2005, ndr) e la sua prima personale One-Off (Haus der Kunst, Monaco di Baviera 2006, ndr)”. Come denuncia il titolo, tutti i prodotti selezionati sono oggetti ‘reali’, prodotti in serie, dotati di una funzione pratica, acquistabili sul mercato. Non ci sono pezzi unici, o in serie limitata,

né prototipi. Il messaggio dell’esposizione può essere riassunto nella convinzione di Grcic: “Non basta che il design serva bene allo scopo, anche lo scopo deve essere buono. L’importanza che un oggetto assume nella vita reale non deriva solo dal suo corrispondere ad una funzione, ma anche dalla durata della nostra identificazione con esso. Un buon prodotto diventa sempre parte della nostra cultura”. L’allestimento riflette la chiarezza dei propositi: non c’è scenografia, gli oggetti sono presentati per quello che sono, senza effetti speciali, e identificati con il loro nome comune. Non ci sono spiegazioni. “Voglio”, dichiara Grcic, “che il pubblico guardi le cose in modo diretto, senza mediazioni. Le mostre nei musei di design hanno uno scopo didattico, ma una mostra di design in una galleria d’arte, come la Serpentine, può essere meno didattica. Il suo messaggio deve essere aperto


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SOPRA: TAVOLO GREGORY, TRASFORMABILE IN TAPPETO, DISEGNATO DA GREGORY LACOUA PER LIGNE ROSET. A DESTRA, DALL’ALTO IN SENSO ORARIO: MARSUPIO SYNERGY DISEGNATO DA ERGONOMIDESIGN PER BABYBJÖRN; TROMBETTA ELETTRONICA EZ-TP DISEGNATA DA TOSHIHIDE SUZUKI PER YAMAHA; UNA VEDUTA D’INSIEME DELLA MOSTRA; LAMPADA YANG 2 DI CARLOTTA DE BEVILACQUA PER ARTEMIDE; VITTORIO RADICE, AMMINISTRATORE DELEGATO DE LA RINASCENTE; KONSTANTIN GRCIC, CURATORE DI DESIGN REAL (FOTO TIBOR BOZI). NELLA PAGINA ACCANTO: GIUBBOTTO DI PROTEZIONE V2 NECK JACKET DI DAINESE. L’IMMAGINE LO RITRAE ALL’INTERNO DELLA SERPENTINE GALLERY, AFFACCIATA SU HYDE PARK A LONDRA.

alle più varie interpretazioni, come accade nelle esposizioni artistiche”. A chi vuole saperne di più e a chi non basta la bellezza di una funzione pertinente, è destinata un’area informativa con video e commenti. Abituati alle quotazioni in ascesa del design artistico, viene da chiedersi quale sia il tornaconto per la Serpentine di una mostra di prodotti reperibili sul mercato. Obrist e Peyton Jones precisano: “La Serpentine non è una galleria commerciale, ma una sorta di museo senza collezione. Le opere delle nostre esposizioni non sono mai in vendita. L’accesso alla galleria è gratuito e registriamo circa 800mila visitatori l’anno. Il valore commerciale degli oggetti in mostra non ci riguarda, abbiamo scelto di presentarli in un contesto inusuale, perché la loro bellezza e la loro utilità siano viste in una nuova prospettiva”. Entrano in campo a questo punto gli sponsor. Tra questi anche Design Supermarket, il nuovo spazio dedicato al design de la Rinascente di Milano. A Vittorio Radice, amministratore delegato dello storico grande magazzino, chiediamo le ragioni di questa sponsorizzazione. Londra ha un significato speciale per il design? “Londra è una città molto ricettiva. È una piattaforma che risponde a tutte le sollecitazioni. A Milano siamo più capaci a fare business e abbiamo

reso il design un fenomeno internazionale, ma Londra è più esplorativa e più aperta ai nuovi esperimenti”. Perché un’alleanza con la Serpentine Gallery in occasione della mostra Design Real? “La presenza nei luoghi dove si parla di design in modo autorevole fa parte di un progetto di ‘recupero’ della nostra tradizione nella disciplina: la Rinascente ha fondato il Compasso d’oro nel 1954, ha avuto illustri designer come collaboratori. Sin dagli esordi, non solo sponsorizzava il design, ma lo vendeva. Con l’apertura di Design Supermarket vogliamo dimostrare di credere ancora nella vocazione originaria de la Rinascente. L’associazione con la cultura del design deve appunto leggersi in questa direzione”. Si possono individuare delle analogie tra il concept di Design Supermarket e la mostra Design Real? “Il titolo dimostra la volontà di rendere accessibile il design. La Serpentine sta allargando i suoi confini per diventare un luogo di scoperta per il grande pubblico. Con Design Supermarket la Rinascente vuole rendere fruibile l’acquisizione del design: toccabile e assaporabile ogni giorno. Design Supermarket è una sorpresa quotidiana alla portata di tutti. Fare un giro nei suoi spazi equivale a 15 minuti di vacanza. Anche nell’acquisto più banale ci

può essere emozione. L’obiettivo di Design Supermarket è quello di dare alla produzione industriale il sapore di novità e di sorpresa, di rendere il design familiare e di svincolarlo dal significato di merce solo per addetti”. Il design, come suggerisce Design real, ha un ruolo sociale? “Anche il prodotto più banale ha dietro qualcuno che vi ha messo il suo impegno e il suo cuore. Quando arriva al consumatore, questo messaggio spesso si perde: non si coglie appieno l’importanza di chi l’ha pensato e di come è stato fatto. Esporlo in una mostra significa riportare l’attenzione sul suo messaggio. La componente sociale esiste, anche se non è valorizzata. Il design è parte della nostra vita. Tra design e stili di vita c’è un’influenza reciproca. Questo rapporto è ormai così assimilato che pare naturale, viene dato per scontato. Invece c’è sempre qualcuno che spende idee, passione e lavoro, anche per le cose più semplici”.



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caTaLoGo GrAnDi LeGni FINO AL 17 GENNAIO, ALLA GALLERIA PARIGINA DI AZZEDINE ALAÏA, LA mostra personale di Andrea Branzi GRANDI LEGNI: SI TRATTA DI UNA collezione di pezzi unici, DI GRANDI DIMENSIONI, REALIZZATA DAI MILANESI DESIGN GALLERY E NILUFAR.

NELLE IMMAGINI DI QUESTE PAGINE: ANDREA BRANZI, GRANDI LEGNI, COLLEZIONE DI PEZZI UNICI, CHE FA PARTE DI UNA FASE RECENTE DEL LUNGO LAVORO DI SPERIMENTAZIONE DEL PROGETTISTA, ALLA RICERCA DEGLI ARCHETIPI AMBIENTALI SU CUI POGGIANO LE ICONE DELLA COMPLESSITÀ LINGUISTICA DEL MONDO CONTEMPORANEO: LE TRACCE DELLA STORIA, DELLA TECNOLOGIA, DELL’ARTE MODERNA ANTICA.

testo di Andrea Branzi foto di Ruy Teixeira

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vverto, attorno a me, una sorta di saturazione di zuccheri, costituita da un ambiente colmo di oggetti sempre più sofisticati, una semiosfera di segni, colori e materiali che non si smaltiscono e non si evolvono in qualcosa di diverso. Forse, è proprio di questo assetto ‘petrarchesco’ del design attuale – come lo

definirebbero i critici letterari – di cui comincio ad avvertire la fragilità accademica, nella sua capacità di ricoprire con una pellicola cromata la superficie porosa del mondo, un mondo che non è più lo stesso del secolo scorso. Forse è peggiore di quello precedente, ma certamente è molto più grande, più complesso e più profondo. Si direbbe più dantesco… Questa profondità sembra essere assente nella cultura del XXI secolo, anche se i filosofi della politica parlano da tempo dell’esistenza di un impero, che dalla Cina arriva fino all’America e di un mercato globalizzato che non ha più confini, il nucleo del nostro progetto rimane rigidamente auto-referenziale, ed elabora un’estetica superraffinata ma priva di spessore, perché priva della categoria del sacro, della morte, della psiche. Noi abbiamo ereditato un errore, che consiste nel considerare che la nostra cultura ha


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avuto origine dalla rivoluzione industriale, interpretata come evento generativo di una nuova società, di una nuova economia e di un nuovo linguaggio. Questa amputazione storica ha tolto significato al passato recidendolo dal presente, ha tolto significato al presente recidendolo dal passato. Si è cercato di mediare questa sindrome con la teoria della ‘cultura della memoria’, cioè del ciclico riemergere di un mondo pre-industriale, fatto di stili storici e di valori tradizionali. Ma la memoria non è mai spontanea, essa è sempre il risultato di un atto volontario, di un progetto; non si ha memoria di cose che non abbiamo vissuto. Come scriveva Witold Gombrowicz, “la storia è un buco nero”: da qui, il suo fascino e il suo mistero, che non può essere svenduto al mercato degli stili.

La storia non garantisce nessuna certezza e aumenta, piuttosto, la nostra opacità. La società contemporanea si fonda infatti su uno stato permanente di amnesia nella quale mi riconosco, uno stato di assenza di una memoria organizzata, da cui emergono frammenti dissociati: sono più interessato a ciò che abbiamo dimenticato che a ciò che ricordiamo. I Grandi Legni hanno origine in questa impossibilità di distinguere il passato dal presente: gli oggetti contemporanei nascono già antichi, e quelli antichi appartengono alla nostra contemporaneità. Ambedue queste categorie, antico e moderno, sono del tutto scadute; il tempo si è appiattito, producendo un’ombra compatta. Questo spessore oscuro del mondo materiale è la cosa che più mi interessa: i Grandi Legni sono come delle strutture archetipe su cui poggiano altri linguaggi, come in un crogiuolo dove tutto si fonde, per creare una nuova lega.


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IN QUESTE PAGINE: ANDREA BRANZI, GRANDI LEGNI, COLLEZIONE DI PEZZI UNICI, PRODOTTA DAGLI EDITORI MILANESI DESIGN GALLERY E NILUFAR E PRESENTATA DAL 10 DICEMBRE AL17 GENNAIO ALLA GALLERIA PARIGINA DI AZZEDINE ALAÏA (RUE DE LA VERRERIE 18). I GRANDI LEGNI SONO OGGETTI CHE SI PONGONO A METÀ STRADA FRA INSTALLAZIONI DI ARCHITETTURA LIGNEA E OGGETTI D’USO. IN PRATICA, OGGETTI-STRUTTURE CHE APPARTENGONO A UN MONDO IN CUI I MANUFATTI DELL’UOMO CONVERSANO CON GLI AMBITI DELLE GRANDI NARRAZIONI, DELLA RELIGIONE, DELLA NATURA, DELLO SCORRERE DEL TEMPO.

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In questo senso, ho spesso pensato ai Cantos Pisani di Ezra Pound, dove la storia degli antichi imperi cinesi si mischia al Dolce stil novo; senza seguire un nesso narrativo ma abbandonandosi alla potenza della poesia. Oppure, alla musica di Jimi Hendrix, che, come una fiamma sacra, tutto brucia e tutto rigenera. Queste istallazioni lignee, misteriche e catatoniche, non sono elementi di arredamento perché presuppongono attorno a se uno spazio vuoto, indifferente, disponibile a qualsiasi attività. Non organizzano l’ambiente ma lo svuotano. Non appartengono al mondo dell’arte, perché sono strutture liberamente utilizzabili il cui fondamento è interamente domestico. Sono presenze autonome, che nella loro autonomia trovano il loro significato; né design né architettura, ma in parte design e in parte architettura, superando sia quel “nobile sentimento di indifferenza” dell’architettura verso

i propri interni, sia andando oltre i limiti oggettuali del design. Questo è il punto su cui si concentra da sempre il mio lavoro; esso si muove tra il senso di fallimento dell’architettura verso la dimensione quotidiana dello spazio e il fallimento del design come tramite mancato verso la dimensione cosmica del mondo. Questa dimensione intermedia si colloca in quello spazio vuoto e inesplorato, costituito dall’intervallo che esiste tra l’architettura e l’oggetto che lo contiene, uno spazio vuoto aperto alla bio-diversità dei morti ma anche dei canarini, simile all’antro della Sibilla cumana che, invece di risolvere gli enigmi della vita, ne crea di nuovi.


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ZAHA HADID INAUGURA a Roma il Maxxi, MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO, SUA prima opera in Italia. IN CONTEMPORANEA, UNA grande mostra a Padova E due volumi DEDICATI ALLA SUA OPERA FANNO DI LEI UN fenomeno mediale, CHE TRASFORMA OGNI ARCHITETTURA IN UN SIMBOLO DEL contemporaneo.

SuPer, MaxxI, ZaHa foto di Luke Hayes/courtesy studio Zaha Hadid testo di Matteo Vercelloni

UNA SUGGESTIVA VISTA DEL MAXXI DI ROMA, CON IL PORTICATO ILLUMINATO E IL 'BELVEDERE' SOSPESO, TERMINALE COMPOSITIVO DEL COMPLESSO ANDAMENTO DEI 'CORPI FLUIDI' CONTENENTI LE GALLERIE DEL MUSEO.

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alutato come un gioiello per la Roma del futuro, paragonato da Nicolai Ouroussoff, critico di architettura del New York Times, ad un’opera che avrebbe estasiato papa Urbano VII – uno dei principali innovatori culturali della storia della città eterna – e lo stesso Gian Lorenzo Bernini, suo diretto ‘braccio creativo’, il MAXXI , il grande Museo dedicato alle Arti del XXI secolo è finalmente concluso, seguendo la tradizionale ‘modalità italiana’ delle opere pubbliche, con la crescita esponenziale dei costi (da 57 a 150 milioni di euro) e dei tempi di costruzione. Inaugurato lo scorso novembre senza alcuna opera d’arte, il Museo si offre per ora di per sé, quale opera scultorea abitabile e segno urbano inequivocabile calato nel tessuto del quartiere Flaminio tra via

Masaccio e via Reni. Difficile non rintracciare un’affinità metodologica con ‘l’effetto Bilbao’, generato dalla costruzione del Museo Guggenheim della città basca ad opera di Frank Gehry nel 1997, un’architettura ‘muscolare’, di ‘seduzione’, capace di creare quello che è stato definito il fenomeno di ‘turismo architettonico’ dove, più che visitare le mostre d’arte, il pubblico, in gran numero, veniva attratto dalla dirompente carica espressiva dell’opera ‘atterrata’ sulla riva del fiume Nervíon. In realtà il contesto al contorno del MAXXI risulta radicalmente diverso; Roma rispetto a Bilbao è una città museo di per sé e il nuovo museo di Hadid appare più calibrato alla città, radicato nel tessuto urbano dove si colloca, e dove abbraccia, nell’ambito del senso di fluidità che lo anima, le preesistenze



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INTERNI gennaio-febbraio 2010

UNA DELLE GALLERIE DEL MUSEO CON I LUCERNARI CONTINUI INTERCALATI TRA LE TRAVI IN CALCESTRUZZO AD ANDAMENTO CURVILINEO. LA LUCE NATURALE PUÒ ESSERE REGOLATA CON OSCURAMENTI DOSATI SECONDO LE ESIGENZE MUSEALI. IL VORTICOSO EFFETTO COMPOSITIVO OTTENUTO NELL'ATRIO D'INGRESSO DAL SISTEMA DELLE SCALE SOSPESE. LE SCALE, IN METALLO NERO E DAL FONDO LUMINOSO, EMERGONO COME UNA SCULTURA PRATICABILE DAL FONDO GRIGIO E BIANCO DELL' INVOLUCRO, INSTAURANDO CON ESSO UN RAPPORTO DI CONFRONTO E SINTESI. L’AZIENDA ITALIANA KERAKOLL DESIGN DEL GRUPPO KERAKOLL HA REALIZZATO 10.000 MQ DI PAVIMENTI A SUPERFICIE CONTINUA IN CEMENTORESINA® COLORE 02 DELLA COLLEZIONE COOL UTILIZZANDO LA TEXTURE GLASS.

ZAHA HADID IN ITALIA / 65

delle caserme militari oggi chiamate a diventare parte del nuovo dinamico organismo urbano. Nel MAXXI si coglie chiaramente l’idea di architettura che Zaha Hadid e il suo socio Patrick Schumacher, con l’appoggio del team dello studio londinese, stanno delineando in opere costruite in tutto il mondo; l’architettura si affronta a scala di paesaggio e diventa generatrice di percorsi, di diversi punti di vista legati in un seducente continuum spaziale e volumetrico. “Lo spazio architettonico deve essere un luogo in cui le persone si sentano bene, come quando si trovano in un paesaggio naturale. È questo il vero lusso, indipendentemente dal costo; uno spazio che trasmetta emozioni, che sviluppi visioni” (Z.H.). Pritzker Prize 2004, il premio che equivale al Nobel per l’architettura, Zaha Hadid offre a Roma un edificio pensato come una grande e complessa scultura urbana composta da fasci di calcestruzzo a vista che si intersecano e si addensano per formare spazi per l’arte e dove al bianco e grigio delle pareti si affianca il gioco delle scale in metallo nero e dal fondo luminoso che fluttuano nello spazio e si inerpicano nel grande foyer per raggiungere i percorsi espositivi. L’atrio è aperto verso la città con un porticato e con ampie vetrate che ne fanno una sorta di piazza coperta da cui sviluppare altre prospettive nell’interno, dove

nei grandi spazi sinuosi del sistema delle gallerie saranno collocate le opere d’arte. Spazi continui, che formano una sorta di percorso architettonico avvolgente ‘concluso’ in un volume aggettante da cui osservare la città. Gallerie come spazi fluidi interconnesi, sormontati dai lucernari senza soluzione di continuità oscurabili e da pannelli brise-soleil mobili secondo tempi regolabili per avere effetti di luce variabili e flessibili rispetto alle mostre e agli allestimenti. Il museo come ‘opera d’arte in sé’ ha già generato polemiche e critiche; Paolo Portoghesi lo descrive come “un edificio che non esprime la sua funzionalità. Brutto all’esterno e interessante all’interno: ma come lo è uno snodo stradale. Un elemento dinamico senza movimento diventa statico”. Il giudizio finale sarà dato dalla risposta del pubblico e dei media; i primi segnali del museo quale attrattore e volano di riqualificazione urbana arrivano già dalla crescita dei valori immobiliari della zona; un nuovo plus agli appartamenti in vendita è oggi “la vista MAXXI”. In contemporanea con l’inaugurazione del nuovo museo romano, nell’ambito della IV Edizione della Biennale Internazionale di Architettura Barbara Capocchin a Padova, Zaha Hadid in qualità di ospite d’onore ha allestito una grande mostra sul lavoro del suo studio nel salone


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“LO SPAZIO ARCHITETTONICO DEVE ESSERE UN luogo in cui le persone si sentano bene, COME QUANDO SI TROVANO IN UN paesaggio naturale. È QUESTO IL VERO LUSSO, INDIPENDENTEMENTE DAL COSTO; uno spazio che trasmetta emozioni, che sviluppi visioni” (Z.H.)

IL ‘TAVOLO DELL'ARCHITETTURA’ DISEGNATO DA ZAHA HADID IN OCCASIONE DELLA IV BIENNALE INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA BARBARA CAPOCCHIN A PADOVA. LA SCULTURA LIGNEA UBICATA NELLA CENTRALE PIAZZA CAVOUR OSPITA, SU PARTE DELLA SUPERFICIE, LE RIPRODUZIONI DEI PROGETTI SELEZIONATI PER LA PREMIAZIONE. IMMAGINI DELLA MOSTRA ANTOLOGICA SUL LAVORO DELLO STUDIO ZAHA HADID ARCHITECTS, ALLESTITA NELLA SALA DEL PALAZZO DELLA RAGIONE A PADOVA.

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del Palazzo della Ragione (sino al 1° marzo 2010) assunto come un campo di forze segnato da coordinate esistenti (le aperture delle porte) in grado di trasformarsi in vettori in movimento. Così le energie potenziali individuate da Hadid prendono forma nella soluzione dell’allestimento che disegna un paesaggio di forme ondulate che sembra innescare un movimento centripeto e muoversi da un momento all’altro. Un disegno di volumi rapportato alle presenze artistiche, affreschi e sculture, presenti nel salone. I blocchi, ad andamento variabile e legati in un'unica sinfonia unitaria, generano una serie di ‘isole tematiche’ distinte in grado di indicare il complesso programma del “parametricismo” che lo studio Zaha Hadid Architects porta avanti nei suoi lavori. “Il parametricismo ripudia le figure ideali, quali cubi, cilindri, semisfere e piramidi e privilegia le

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splines (strisce flessibili), o i blobs (bolle) e le superfici NURBS (acronimo di non uniform rational b-spline, entità riconducibili a figure, linee e superfici definite da un particolare algoritmo che rappresenta il più avanzato grado evolutivo della modellazione tridimensionale). Tutti gli elementi dell’architettura diventano parametricamente malleabili. Il principale vantaggio di tale malleabilità parametrica consiste nel favorire l’integrazione interna e l’adattamento esterno degli edifici” (Patrick Schumacher).“Grappoli e puzzle, campi e sciami, paesaggio e topografia, onde, conchiglie e bozzoli, linee, fasci e reti, ricerca parametrica” diventano i temi di un percorso in divenire che la mostra di Padova intende illustrare e di cui si ha diretto riscontro nel catalogo (Electa editore 2009) che si aggiunge alla grande monografia edita da Taschen (Hadid, complete

Works 1979-2009) dedicata a trent’anni di instancabile tensione progettuale. Oltre alla mostra Zaha Hadid ha disegnato per la Biennale padovana – che ha premiato l’architetto giapponese Hikohito Konishi – il Tavolo dell’architettura un macro oggetto a scala urbana collocato in piazza Cavour, una plastica forma lignea impiegata per ospitare tutte le serigrafie dei progetti partecipanti al Premio di Architettura e di portare l’evento ‘in piazza’, in modo da avvicinare il più largo pubblico a temi e soluzioni poco immediati, parte della scena architettonica internazionale.


LA MAGIA DEL colore DIVENTA EQUILIBRIO E PROPORZIONE E dà vita A DINAMICI decori e contrasti CROMATICI DECLINATI IN linee E figure.

INdesign

di Nadia Lionello

MuLTicolor


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MISSTRASS, DI MAURO MARZOLLI PER FAÇON DE VENICE BY LIGHT4. LAMPADARIO AD ANELLI OTTAGONALI IN METACRILATO IN DIVERSI COLORI, COMPONIBILI A PIACERE SU MONTATURA IN ACCIAIO. YELLOW S30, DI FREDRIK MATSON PER BLÅ STATION. POLTRONA CON STRUTTURA IN LEGNO, IMBOTTITA E RIVESTITA IN PANNO O PELLE IN TRE COLORI A SCELTA E IN DIFFERENTI ALTEZZE A RICHIESTA CON BASE IN ACCIAIO. XXX, DI JOHANNA GRAWUNDER PER GLAS. TAVOLINO CON BASE A SEI LASTRE IN CRISTALLO TEMPERATO INCOLLATO, ROSA, ARANCIO E GIALLO E PIANO TONDO DISPONIBILE IN UNO DEI TRE COLORI. SFONDO: NEO-GEO BLU COBALT E JAUNE TOPAZE, DI DÉMESURE. PIASTRELLE 60X60 CM IN GRES PORCELLANATO DELLA SERIE ÉNERGIE GRAPHIQUE. NELLA PAGINA ACCANTO, FALLING LEAVES, DI ANTONELLA NEGRI PER NODUS. TAPPETO IN PURA LANA HIMALAYANA E NEOZELANDESE, ANNODATA A MANO (NEPAL) DISPONIBILE SU MISURA NELLE VARIANTI IN SETA E MISTO SETA E LANA.


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SNAKE, DI CARLO CONTIN PER MERITALIA. TAVOLINO CON OTTO O CINQUE PIANI IN ACCIAIO VERNICIATO IN DIVERSI COLORI SU STRUTTURA SNODABILE IN METALLO. PROUST GEOMETRICA, POLTRONA (NATA NEL 1978, PRODOTTA DA CAPPELLINI DAL 1993) NELLA NUOVA VERSIONE RIVESTITA IN TESSUTO DI COTONE DI ALESSANDRO MENDINI. 36E8, DI DANIELE LAGO PER LAGO. SISTEMA MODULARE LIBERAMENTE COMPONIBILE, IN LEGNO LACCATO CON ANTE IN VETRO LUCIDO IN DIVERSI COLORI.

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SPIN, DI MARCUS BENESCH. TAVOLINI IN CARTONE ONDULATO GIREVOLI CON CUSCINI A SFERA CON PIANO RIVESTITO IN CARTA DA PARATI COLORNORI CON FINITURA LUCIDA RAPOXY. SFONDO: MENDINI COLLECTION DI SEVES GLASSBLOCK. MATTONI19X19 CM IN VETRO LISCIO A TINTE FORTI CON FINITURA METALLIZZATA. NELLA PAGINA ACCANTO, SCULPTURE LEGO BRIKS, DI GILES MILLER DI PLATFORM10 (DIPARTIMENTO DI DESIGN DEL PRODOTTO) DELLA ROYAL COLLEGE OF ART, REALIZZATO PER LA MOSTRA CRISIS SHOP. SOLD OUT. (FOTO DI GIACOMO GIANNINI)



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GOCCIA DI LUCE, DI STEFANO PAPI PER SLAMP. LAMPADA A SOSPENSIONE IN OPALFLEX®. RL3, DI ROSS LOVEGROVE PER KNOLL STUDIO. COLLEZIONE DI TAVOLI REALIZZATI CON BASE IN TUBOLARE METALLICO VERNICIATO NELLA VERSIONE MULTICOLORE CON PIANO RETTANGOLARE IN CRISTALLO STARPHIE. COAT TREE, DI SIDE WERNER (1971) PER FRITZ HANSEN. APPENDIABITI IN TUBOLARE D’ACCIAIO NELLA NUOVA VERSIONE VERNICIATO MULTICOLORE.

PARADISE TREE, DI OIVA TOIKKA PER MAGIS. APPENDIABITI PER BAMBINI CON STRUTTURA INTERNA IN ACCIAIO CON ELEMENTI IN POLIETILENE. (FOTO DELLO SFONDO DI ALICE PEDROLETTI) NELLA PAGINA ACCANTO, CADEIRA DELICIOSA, DI FERNANDO JAEGER PER OFÍCIO. SEDIA IMPILABILE, ANCHE PER ESTERNO, IN ACCIAIO E LAMIERA VERNICIATI (FOTO DI SIMONE BARBERIS).


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KARIM SUTRA, DI KARIN RASHID CON FELICEROSSI. SEDUTA REALIZZATA PER LA MOSTRA RED LIGHT DESIGN DI MILANO. (FOTO DI NICOLÓ LANFRANCHI).

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NELLA PAGINA ACCANTO, PXL, DI FREDERIK MATTSON PER ZERO. LAMPADA A SOSPENSIONE IN ALLUMINIO VERNICIATO.

PHC, DI PIERO LISSONI PER BOFFI. LAVABO A COLONNA CON MOTIVO DECORATIVO ESTELLE DI MISSONI HOME REALIZZATO NEI COLORI DUPONT™ CORIAN®.

TAPAS, DI LAGRANJA PER EMMEBI. CONTENITORE MULTI-USO IN ROVERE LACCATO BIANCO E ANTE RIVESTITE IN FELTRO IN DIVERSI COLORI LIBERAMENTE COMPONIBILI E IN TRE DIVERSE MISURE.

TAKE IT, DI MARKUS BENESCH. ALZATINA IN MULTISTRATI DI STARTON. SFONDO: PIALLACCI IN FRASSINO NATURALE TINTO DI TABU.



Location STRAORDINARIA PER AMBIENTI IDEALI: gli spazi in progress DEI NUOVI UFFICI FIERISTICI a Rho. NELL’INSOLITO scenario DELLA TORRE ORIZZONTALE GLI ARREDI DI ultima generazione SPICCANO DECISI, GRAZIE ALLE LORO particolari qualità.

oPere IN CaNTIere

foto di Simone Barberis / a cura di Nadia Lionello

AIRTABLE, TAVOLINO VENTILATORE IN METALLO STAMPATO, VERNICIATO NERO DOTATO DI ALIMENTAZIONE A 200W, DI LORENZO DAMIANI PER CAMPEGGI. LISA, POLTRONA CON STRUTTURA IMBOTTITA RIVESTITA IN VELLUTO LOIRA O PELLE, DI LAUDANI&ROMANELLI PER DRIADE. NELLA PAGINA ACCANTO, SEXTANS, LAMPADA DA TERRA CON STRUTTURA IN TUBOLARE METALLICO VERNICIATO E PARALUME IN TESSUTO IN TRE COLORI, DI MR SMITH STUDIO PER CALLIGARIS. TARTAN, SEDIA IMPILABILE CON STRUTTURA IN TUBOLARE D'ACCIAIO CROMATO E FILO DI CUIO INTRECCIATO, DI FRANCESCO ROTA PER FRAG. DAHLIA, TAPPETO TONDO IN PURA LANA, IN TRE MISURE E COLORI, DI CLAYDIES PER NORMANN COPENHAGEN.


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COCOON, POLTRONA RIVESTITA IN CANAPA, CON TEXTURE A PELLE DI STRUZZO, CON IMBOTTITURA IN POLISTIROLO SENZA ADDITIVI, DI FRANCESCA MADERA PER PLUS+CREATIVITY. PLATONE, COMPLEMENTI IMPILABILI IN LEGNO MASSELLO DI FRASSINO NATURALE O MOKA COMBINATO CON ELEMENTI IN MARMO, DI JEFF MILLER PER CERRUTI BALERI. NELLA PAGINA ACCANTO, EDOMADIA, CREDENZA IN LEGNO LACCATO LUCIDO E BASE IN ACCIAIO CROMATO, DI GIUSEPPE BAVUSO PER ALIVAR. INCHINO, LAMPADA IN TUBOLARE METALLICO VERNICIATO NERO O BIANCO CON BASE IN METALLO, DI ANTONINO SCIORTINO PER BUSNELLI. LEMMA, COLLEZIONE DI SEDIE A ELEMENTI COMPONIBILI IN MULTISTRATO E MASSELLO DI FAGGIO NATURALE O TINTO NERO, DI DOMINIQUE PERRAULT + GALLE LAURIOT-PREVOST PER SAWAYA & MORONI.


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BHS, SEDIA CON STRUTTURA IN ACCIAIO PREZINCATO TRATTATO ANTIRUGGINE E VERNICIATO E SEDUTA IN TESSUTO PLASTIFICATO PER ESTERNI, DI ILARIA MARELLI PER CORO. ENSOMBRA, PARASOLE CON BASE IN FERRO GALVANIZZATO E ASTA IN ACCIAIO INOX TERMOLACCATI E STRISE DI PLACCHE FENOLICHE, DISPONIBILE IN SEI COLORI, DI ODODESIGN PER GANDIA BLASCO. NELLA PAGINA ACCANTO, ART PAESAGE, TAPPETO COMPOSTO DA MODULI 60X60 CM IN CUOIO RIGENERATO IN DIVERSI COLORI, CUCITI TRA LORO E MONTATI SU NEOPRENE ANTISCIVOLO, DI RICCARDO FATTORI PER ANTONIO LUPI. OVERDYED LOUNGE CHAIR, SEDUTA IN MULTISTATI DI FAGGIO TINTO A MANO E STRUTTURA IN TONDINO VERNICIATO, DELLA COLLEZIONE SECCESSFUL LIVING, DI DIESEL CON MOROSO. WORK LAMP, LAMPADA IN FILO DI ACCIAIO, ARGENTATO O DORATO, CON LAMPADA OPALESCENTE, DI FORM US WITH LOVE PER DESIGN STOCKHOLM HOUSE.


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QUATTORDICI DESIGNER IN ERBA, SETTE INDUSTRIE DESIGN ORIENTED E DUE TUTOR DI PROVATO TALENTO. RISULTATO: straordinari oggetti D’arredo fatti con materiali di scarto. PROGETTARE A IMPATTO ZERO È POSSIBILE.

foto di Carlo Pozzoni testo di Tersilla Giacobone

GreeN CreATiviTY

L’

input parte da ComOn, l’iniziativa di un gruppo di giovani imprenditori lariani volta a individuare e supportare i talenti europei più promettenti negli ambiti della moda, del design e dell’arte. È il primo e assai interessante sistema di creativity sharing – cioè di condivisione di sensibilità creative – che nell’ambito specifico del design ha visto al lavoro 14 studenti e neolaureati del Politecnico di Milano e di Como e dello IED di Milano e Torino sul tema del riciclo e della ecosostenibilità. I prototipi fatti con materiali di scarto di diversa natura provenienti da sette

industrie design oriented con sede nel distretto comasco sono stati realizzati direttamente all’interno delle aziende Baxter, Gallotti&Radice, Lema, Living Divani, OMP Porro, Poliform, Unifor con l’aiuto dei loro tecnici e i consigli di Massimiliano Adami e Lorenzo Damiani: due tutor di provato talento nella generazione dei designer emergenti. La mission di questa operazione, come dice Taissa Buescu, la giovane giornalista brasiliana, curatrice di ComON Design Exhibition che ha scelto di emigrare in Italia solo per lavorare con il design, “è di sfruttare al massimo le energie intrinseche nei

materiali già prodotti, trasformando i rifiuti in pezzi d’arredo, e trovare così potenzialità per nuovi usi”. Il riutilizzo degli scarti industriali in un nuovo ciclo produttivo passa, in questo caso, attraverso la tecnica e il rigore della produzione industriale e mette in luce le capacità creative di designer e stilisti alle prime armi. Creativo appare già l’invito all’opening della mostra (12 ottobre scorso) allestita al Politecnico – polo regionale di Como: una banalissima vaschetta da alimenti industriali ricolma di trucioli, incellofanata ed etichettata con tutte le referenze della seconda edizione della Settimana della Creatività comasca.


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FREE SEAMS RIVESTIMENTO PER IMBOTTITI REALIZZATO CON RIMANENZE DI TAGLI DI PELLE BOVINA. PROGETTO DI MARCELLO BONINI, LAUREA 2009, E SILVIYA DIMITROVA, TERZO ANNO ALLO IED DI MILANO, INDIRIZZO FASHION&TEXTILE. FREE SEAMS, CHE RIVESTE LA POLTRONA DINER, UN CLASSICO DELLA PRODUZIONE BAXTER, È REALIZZATO CON SCARTI DI PELLE PLUME COLORE BIANCO GHIACCIO (SPESSORE 1,4/1,6 MM) SCELTO TRA LE RIMANENZE DEI TAGLI DI PRODUZIONE INDUSTRIALE E PEZZI NON CONFORMI DI 94 TIPI DI CUOIO E PELLE (BOVINA, DI TORO E VITELLO, RASATA O IN PELO) NATURALE, TINTA O LAVORATA, IN SPESSORI DA 1,3 A 3 MM. LE DIVERSE FORME DEGLI SCARTI FANNO SÌ CHE LE CUCITURE CREINO PIEGHE, DRAPPEGGI E PARTICOLARI GIOCHI DI VOLUME, CONFERENDO IN TAL MODO UNICITÀ AL PRODOTTO RIVESTITO.

Scarti e rimanenze di legno, alluminio, pelle, ottone, tessuto è quello che le fabbriche prestatesi all’esperimento hanno messo a disposizione, assieme ai loro tecnici, per convogliare l’esuberanza dei giovani in percorsi di pratica più industriale. I risultati sono quelli che si vedono nei prototipi realizzati a tempo di record: un workshop di una settimana in cui i due tutor si sono divisi in quattro per seguire, da supervisor, tutti i gruppi di lavoro. Erano stanchi, la sera dell’opening, ma soddisfatti dei risultati (e della felicità dipinta sul viso dei protagonisti) apprezzati dal pubblico e soprattutto dai titolari delle aziende che si sono messe in gioco.

Confrontando i sette prototipi, risultato di una cucina creativa degli avanzi, con i prodotti del marchio industriale da cui gli scarti derivano, salta all’occhio, a volte, quanto l’esperimento riveli che lo standard espressivo di una azienda potrebbe aprirsi ad una maggiore ricerca di differenziazione tipologica (tavoli meno minimalisti, maniglie con più identità, poltrone, divani e mobili maggiormente estroversi). Osservando i prototipi e chi li ha progettati si potrebbe, invece, tentare di capire se, nell’ambito dell’arredamento, la disciplina del Product Design dà migliore prova di abilità rispetto agli studi in Fashion&Textile. Secondo i tutor, che hanno seguito

passo dopo passo il lavoro delle sette equipe, gli aspiranti stilisti, seppure con l’handicap di una preparazione non specifica che li penalizza in partenza, emergono a distanza per un ‘saper fare’ anche manuale più estroso rispetto all’indole più rigorosa dei futuri progettisti. Vedere per giudicare! LA SEDE DEL POLITECNICO DI COMO, DOVE ERA ALLESTITA LA MOSTRA COMON DESIGN WORKSHOP NEL CONTESTO DELLA SETTIMANA DELLA CREATIVITÀ NATA SOTTO L’EGIDA DI CONFINDUSTRIA COMO E DALL’INTUIZIONE DI UN GRUPPO DI GIOVANI IMPRENDITORI LARIANI CON L’OBIETTIVO DI CONFIGURARE “UN HUB DELLA CREATIVITÀ” EUROPEA.


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FOXIDE MANIGLIE EXTRA LARGE REALIZZATE CON LO SCARTO DELLA LAVORAZIONE INDUSTRIALE DI POMOLI IN OTTONE. PROGETTO DI EMANUELE CALDARERA, ISCRITTO AL TERZO ANNO, E MATTIA FRASSINELLA, LAUREATO 2009 ALLO IED DI MILANO, INDIRIZZO FASHION. FOXIDE NASCE DAL MATERIALE IN ECCESSO DERIVANTE DALLA FORGIATURA DELL’OTTONE PER LA PRODUZIONE OMP PORRO DI MANIGLIE, BATTENTI, POMELLI, ACCESSORI D’ARREDO, DI DIMENSIONI VARIE. IN PARTICOLARE, LA MANIGLIA EXTRA LARGE DERIVA DALLA FORGIATURA DI POMELLI CON ANIMA DI ACCIAIO. PER OGNI PROTOTIPO SONO STATI UTILIZZATI 137 PEZZI DI SCARTO DI OTTONE SALDATI, LUCIDATI E VERNICIATI IN COLORE TRASPARENTE. LA STRUTTURA, ANALOGA AD UNA COLONNA VERTEBRALE, FA RISALTARE L'ASPETTO ORGANICO, QUASI FOSSILE, DELLO SCARTO. DIMENSIONE CM 25X10X75 H, PESO 9 KG.

TEKNIK UN SÉPARÉ REALIZZATO CON LASTRE DI VETRO, RICAVATE DALLE RIMANENZE DI TAGLI DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE. PROGETTO DI GIULIANO GREGNANIN E LUCA PALAZZO, ISCRITTI AL TERZO ANNO ALLO IED DI TORINO, INDIRIZZO FASHION & TEXTILE. TEKNIK È UN ELEMENTO DIVISORIO REALIZZATO CON SCARTI DELLA LAVORAZIONE DEL VETRO E RIMANENZE DI LASTRE NON CONFORMI O DIFETTOSE DI DIVERSI TIPI, UTILIZZATI DA GALLOTTI&RADICE PER LA PRODUZIONE DI OGGETTI D’ARREDO. IL SÉPARÉ APPOGGIA SU UNA STRUTTURA IN TUBULARE DI ACCIAO INOX LUCIDO A FORMA DI CAVALLETTO, RIVESTITA CON VETRO A SPECCHIO. LE LASTRE DI SCARTO DI VETRO EXTRALIGHT TRASPARENTE E ACIDATO, DI DIMENSIONI VARIABILI (LARGHEZZE DA 20 A 30 CM, ALTEZZE DA 120 A 180 CM, SPESSORI DA 10 E 20 MM), RIFINITE CON MOLATURE DIVERSE, SONO SOVRAPPOSTE CON LE SUPERFICI SPECCHIANTI A VISTA, SFALSATE IN ALTEZZA E LEGATE CON UN SISTEMA DI BLOCCAGGIO A NASTRO. DIMENSIONE CM 120X40X160H.


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ROLLING UP SEDUTA COMPONIBILE REALIZZATA CON LE RIMANENZE DEI TAGLI DI 15 TIPI DIVERSI DI TESSUTO. PROGETTO DI MILENA BOLOGNESI E STEFANO CONTINI, LAUREA 2009 AL POLITECNICO DI MILANO – POLO REGIONALE DI COMO, INDIRIZZO DESIGN DELL’ARREDO. ROLLING UP UTILIZZA UN PO’ TUTTI GLI SCARTI DI LIVING DIVANI, FRUTTO DELLA LAVORAZIONE DEI TESSUTI PER IMBOTTITI CHE VARIANO DAL COTONE AL LINO, ALLE STOFFE DECORATE, AI MATERIALI TECNICI. LE RIMANENZE, DI DIMENSIONE 60X100CM E 60X50 CM CIRCA, SONO ASSEMBLATE OGNUNA A FORMARE 144 CILINDRI IMBOTTITI CHE, INCASTRATI SU UNA BASE DI POLISTIROLO, FELTRO E LEGNO, COMPONGONO LA SEDUTA. LE DIFFERENTI ALTEZZE DEI CILINDRI (DA 22 A 52 CM) E LA DISPOSIZIONE SULLA BASE CREA UN EFFETTO ONDULARE, ISPIRATO AL MOVIMENTO COLLINARE, PER UN MASSIMO SENSO DI COMFORT E DI ACCOGLIENZA. DIMENSIONI CM 105X105X22/52H.

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EDGES TAVOLO REALIZZATO CON SCARTI DI PROFILI IN ESTRUSO DI ALLUMINIO DI DIMENSIONI VARIE. PROGETTO DI DANIELA SANSONE E MATTIA GUALDI, TERZO ANNO ALLO IED DI TORINO, INDIRIZZO FASHION&TEXTILE. LE RIMANENZE DEI TAGLI DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE UNIFOR PER LA REALIZZAZIONE DI MOBILI DA UFFICIO IN ALLUMINIO SONO LA BASE DI PARTENZA PER DEFINIRE LA STRUTTURA DI EDGES. QUESTA È STATA POI RICAVATA DAI PEZZI DI SCARTO DELLA SCRIVANIA NAÒS SYSTEM, ASSEMBLATI TRA LORO CON COLLA PER AEREI E SALDATURA. L’EFFETTO SCULTOREO DELLE GAMBE SULLE QUALI APPOGGIA IL PIANO IN VETRO TEMPERATO TRASPARENTE, È CARATTERIZZATO DA SPIGOLI E FRATTURE DELL’ALLUMINIO IN UNA SORTA DI ESPLOSIONE MATERICA. DIMENSIONI CM 100X100X75H.

THISORDER MOBILE CONTENITORE RIBALTABILE REALIZZATO CON LE RIMANENZE DEI TAGLI DI PANNELLI DI TRUCIOLARE GREZZO. PROGETTO DI CHIARA NAPOL E PATRIZIA D’OLIVO, LAUREA 2009 AL POLITECNICO DI MILANO – POLO REGIONALE DI COMO, INDIRIZZO DESIGN DELL’ARREDO. THISORDER NASCE NELLA FABBRICA DELL’AZIENDA LEMA CHE HA MESSO A DISPOSIZIONE DEI GIOVANI DESIGNER LE RIMANENZE DELLA SUA PRODUZIONE INDUSTRIALE DI MOBILI. PER REALIZZARE IL PROTOTIPO, GLI SCARTI DI TRUCIOLARE GREZZO DI SPESSORE 19, 28 E 40 MM SONO STATI TAGLIATI A RETTANGOLI DI VARIE DIMENSIONI, BORDATI CON PROFILI IN PVC, ABS E LEGNO PRECOMPOSTO, LEVIGATI E RESI IMPERMEABILI CON VERNICIATURA OPACA TRASPARENTE. I 34 PEZZI CHE COMPONGONO IL PROTOTIPO SONO SFALSATI IN LARGHEZZA E ALTEZZA, IN MODO DA CREARE SPAZI DI CONTENIMENTO E PIANI D’APPOGGIO SU TUTTI E QUATTRO I LATI. DIMENSIONI CM 100X45X71H.


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SEGNALIBRO UN TAVOLINO REALIZZATO CON LO SCARTO DELLA LAVORAZIONE DEGLI STRATI DI TRANCIATO IN LEGNO DI DIVERSE ESSENZE. PROGETTO DI GIULIA CANOTTI E ALBERTO GHIOTTO, LAUREA AL POLITECNICO DI MILANO – POLO REGIONALE DI COMO, INDIRIZZO DESIGN DELL’ARREDO. SEGNALIBRO È UN TAVOLINO BASSO DA CENTRO STANZA. IL PIANO È REALIZZATO CON GLI SCARTI DI STRATI DI TRANCIATO DI ROVERE PRESSATI A CALDO UTILIZZATI DA POLIFORM PER IL RIVESTIMENTO DI MOBILI. LA STRUTTURA UTILIZZA PANNELLI DI MDF, RECUPERATI DALLA PRODUZIONE INDUSTRIALE, LACCATI COLORE BIANCO. LE 45 DOGHE CHE COMPONGONO IL PIANO SONO RICAVATE DA 9 STRATI DI TRANCIATO, PRIMA PRESSATI, POI TAGLIATI NELLE DIMENSIONI DI CM 60X0,5X3,8H E INFINE INCASTRATI DI COSTA CON DISTANZIATORI, CREANDO IN TAL MODO SPAZIATURE DIVERSE TRA LORO. LE DOGHE POSSONO ESSERE RIMOVIBILI PER AUMENTARE LE SPAZIATURE E PERMETTERE L’USO DEL PIANO COME PORTARIVISTE, SEGNALIBRO, APPOGGIO. DIMENSIONI CM 90X80X32 H.

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“PREPARATIVI PER LA PIOGGIA”È IL primo disco di Lorenzo Palmeri. PER MANTENERE FEDE ALLA SUA DOPPIA VOCAZIONE DI MUSICISTA-DESIGNER HA IDEATO UN BOOKLET CONTENENTE nove copertine diverse, disegnate da noti progettisti italiani, CHE SI COMPONGONO TRA LORO SECONDO LA TECNICA DEL KIRIGAMI.

IL DiseGno DELLA musica

di Maddalena Padovani

N

on vogliamo entrare nell’ambito della critica musicale. Agli ascoltatori e agli operatori di settore rimandiamo il giudizio su questo cd di musica ‘pop colta’, come viene definita in gergo, che vanta la collaborazione di firme di prestigio tra cui Franco Battiato, Saturnino, Livio Magnani e Andy dei Bluvertigo. C’è più di un aspetto, però, che fa del primo disco di Lorenzo Palmeri (Preparativi per la pioggia, uscito a fine novembre con l’etichetta NunFlower) anche un prodotto di interesse progettuale. E che lo porta a essere un esempio emblematico di ‘trasversalità creativa’, ovvero il risultato di un’attitudine al progetto che non si esplica più in una sola direzione, in uno specifico settore produttivo o nell’ambito di una disciplina ben definita, ma abbraccia tout court le espressioni della vita contemporanea. Da sempre Lorenzo Palmeri affianca l’attività di designer a quella di musicista. Da quando frequentava gli studi di architettura al Politecnico di Milano e contemporaneamente studiava composizione musicale, agli anni successivi, quando


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SOPRA, DALL’ALTO A SINISTRA, LE COPERTINE REALIZZATE DA ODOARDO FIORAVANTI, SOPHIE USUNIER E ANTONIO COS, MARCO FERRERI, GUMDESIGN, JOEVELLUTO, PAOLO ULIAN, MATTEO RAGNI PER “PREPARATIVI PER LA PIOGGIA”, IL PRIMO DISCO DI LORENZO PALMERI (EDIZIONI NUNFLOWER). NELLA PAGINA ACCANTO, LA COPERTINA DI GIULIO IACCHETTI. L’ELASTICO È IL MOTIVO CHE CONTRADDISTINGUE LA COPERTINA DI APERTURA DISEGNATA DA PALMERI. I VARI DISEGNI POSSONO ESSERE COMPOSTI TRA LORO (VEDI DISEGNO D’ISTRUZIONI IN BASSO A SINISTRA), DANDO VITA A NUOVE E DIVERTENTI RAFFIGURAZIONI.

ha iniziato a comporre colonne sonore per cinema e teatro e, nello stesso tempo, a mettersi in evidenza sulla scena del New Italian Design grazie all’ideazione di operazioni di progetto condiviso come 16 designer per Invicta e Milano Sound Design e a progetti da solista per varie aziende. “Si tratta di due vocazioni”, commenta Palmeri, “che si sono sempre alternate e spesso sovrapposte in modo molto morbido, non conflittuale. Che si tratti di musica oppure di design, il processo per me è sempre lo stesso: parto da un’idea, definisco la bozza, sviluppo il progetto, infine cerco qualcuno che ci creda e condivida questo percorso”. Questa doppia anima creativa aveva già trovato nel disegno degli strumenti musicali la sua espressione più rappresentativa. Sono infatti oggetti pensati non solo per ottimizzare la funzione a cui sono destinati, ma anche per introdurre nuove gestualità, nuovi modi di suonare, nuove tipologie di prodotto, da cui emerge chiaramente una visione antropologico-culturale che va al di là del progetto specialistico. Paraffina Slapster, per esempio, è la chitarra elettrica in alluminio prodotta da Noah, pensata da Palmeri per enfatizzare la teatralità del fare musica. È infatti dotata di un ‘occhio-maniglia’ per ‘prendere’ la chitarra e ‘indossarla’ – come dicono i chitarristi – e di una ‘lingua’ che favorisce un’azione inedita del gomito o della mano del musicista, introducendo suoni nuovi. Grazie alle originali performance e al disegno innovativo la chitarra è diventata presto un oggetto-icona, selezionata da mostre e musei di design e consacrata da Lou Reed che ha voluto utilizzarla durante il suo tour mondiale. Con il suo primo disco da solista Lorenzo Palmeri arriva a esprimere a 360 gradi il suo concetto

integrato di musica-design. Dalla composizione, all’esecuzione, alla sua presentazione e rappresentazione fisica, il progetto della musica si declina dalla scala immateriale a quella materiale. “Tutto oggi tende a dematerializzarsi”, spiega il designer, “specie nel mondo della musica. Ho voluto ridare senso e nobiltà alla copertina, attribuire una consistenza fisica alla musica, recuperare il gesto artistico che ha segnato la storia di tanti album e tanti autori in passato”. Il gesto di Palmeri diventa quello di molti nomi noti del design italiano. Paolo Ulian, Giulio Iacchetti, Matteo Ragni, Marco Ferreri, JoeVelluto, Odoardo Fioravanti e Gumdesign sono gli amici-progettisti che Lorenzo coinvolge nella realizzazione della copertina di cui l’utilizzatore finale diventa un co-autore. A ciascuno di loro chiede infatti un disegno a soggetto libero, con l’unico limite di rispettare alcuni punti di passaggio del disegno da lui stesso realizzato: un elastico. Il principio è quello del kirigami: una volta tagliati i fogli in due lungo l’asse orizzontale, l’utente può girare solo mezza pagina e far incontrare la mezza copertina di un designer con quella di un altro designer, costruendosi così il proprio disegno. “In questo gioco”, conclude Palmeri, “io vedo una specie di metafora del progetto. L’elastico, che è un oggetto pop, colorato, morbido, flessibile e ha una forma casuale, rappresenta l’elemento irrazionale; all’elastico si contrappone la linea orizzontale, ortogonale, rigida; i passaggi obbligati del disegno esprimono i limiti che ogni progetto deve tenere presente; infine, la partecipazione: questo è un lavoro che ha un senso individuale ma anche di gruppo, perché acquista corpo grazie all’intervento di più persone”.


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di Stefano Caggiano

LINEE CHE SI RIPIEGANO, SPESSORI RIDOTTI AL MINIMO, VOLUMI CHE SEMBRANO NEGARE LA FORZA DI GRAVITÀ. IL DESIGN PROPONE UNA nuova interpretazione della terza dimensione, CON OGGETTI CHE SI DISFANO DEL PROPRIO PESO PER LIBERARE evoluzioni formali SOSPESE TRA LA POESIA DELLA MATERIA E L'ESTETICA FANTASMA DELLA MATEMATICA.

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SOTTO: LO SGABELLO ANGEL DI GRY HOLMSKOV, PRODOTTO DA SKMAN FURNITURE. A DESTRA: CHAIR DI BENJAMIN CLAESSEN. ISPIRATA AI FLUSSI AERODINAMICI DEL CAR DESIGN, È REALIZZATA IN GEL CARICATO CON FIBRA DI POLIESTERE, STAMPATO E RIFINITO A MANO. NELLA PAGINA ACCANTO: LO SGABELLO GAUDÍ DI BRAM GEENEN, UN SOTTILE GUSCIO IN FIBRA DI CARBONIO ATTRAVERSATO DA UN FASCIO-STRUTTURA A GRIGLIA REALIZZATA CON LE TECNICHE DI PROTOTIPAZIONE RAPIDA. LA FORMA RIPRENDE QUELLA DELLE CHIESE DI ANTONI GAUDÍ; IL PESO DEL PRODOTTO FINALE È DI 1 KG. ESATTO.

P

er prima cosa, siediti. Se il design è un agire magico-pragmatico grazie al quale niente è come prima, anche quando niente è cambiato, puoi provare a fidarti ancora una volta, e sederti sul nulla senza cadere. ChAiR di Benjamin Claessen è una seduta disegnata come un’automobile, con tocchi precisi e carezze veloci che disperdono il vento e respingono l'ineluttabilità del suolo. È come se fossi seduto sull'oggetto-che-non-c'è, o su uno dei suoi tanti significanti generati dalla perseveranza progettuale di chi non produce oggetti, ma li seduce. Angel di Gry Holmskov, Gaudí di Bram Geenen; sedute che sembrano rivoltare il vettore gravità come un guanto e assumere un peso negativo: +3g, +2kg, +1gk, 0kg, -1kg, -2kg, -3kg...

I numeri, del resto, non sono tutti uguali. Se è vero che tanti pezzi di matematica hanno una chiara interpretazione fisica (il calcolo infinitesimale si applica alla cinematica dei corpi, la trigonometria a quella delle onde), ce ne sono tanti altri, come i numeri immaginari, per i quali è difficile trovare un corrispondente fisico reale. Eppure grazie a questo rapporto irrisolto e misterioso (in natura non esistono cerchi e triangoli, ma con i cerchi e i triangoli calcoliamo il comportamento della natura) costruiamo aerei che volano, computer che pensano, macchine che sentono. E così il rigore delle geometrie non euclidee prende forma nel design di uno sgabello come Nitton, di Karl Oskar, funzione fusa in scultura o curvatura dimensionale su cui appoggiarsi e aspettare.


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DUE PROGETTI DI RAGODESIGN PER BYSTEEL: A SINISTRA, IL TAVOLINO KAMI IN ALLUMINIO VERNICIATO; SOPRA, LO SGABELLO KÈDÈ IN FERRO VERNICIATO. NELLA PAGINA ACCANTO: IN ALTO, LO SGABELLO NITTON DI KARL OSKAR, REALIZZATO CON SOTTILI STRATI DI LEGNO PRESSATI E ASSEMBLATI A CALDO CON COLLA ECOLOGICA; IN BASSO, LO SGABELLO N. 7 DI KASPAR HAMACHER.

CI SI PUÒ sedere sul nulla senza cadere, USARE OGGETTI ‘CHE NON CI SONO’, PERCHÉ IL DESIGN LAVORA PER SALVARE LA MATERIA DALLA GRAVITÀ

Ma lo spazio può anche ripiegarsi su se stesso, e qui è il tavolino Kami progettato da Ragodesign e Bysteel per Bysteel, precisa teoria di angoli retti e tagli tersi che stabilizza la propria precarietà facendosi irreale come la geometria. Quella stessa precarietà mescolata a stabilità su cui gioca anche lo sgabello n. 7 di Kaspar Hamacher, un segno quasi archetipico che tradisce la passione contemporanea per le contraddizioni. Perché contraddittorio è il tempo in cui viviamo, che teme la fisicità e la sostanza come una condanna all'inadeguatezza, anche se poi ne prova nostalgia. Ecco perché esiste una pratica specifica (il design) che lavora per salvare la materia dall'abbrutimento della gravità, elevandola nella poesia della forma. Ed ecco perché in un tempo in cui i prodotti sono fatti di antimateria (e i corpi si contraggono nell'anoressia) anche costruire la nostalgia diventa un'arte alta e raffinata dal cui esercizio dipendono estetiche senza utopia che accolgono il lato oscuro della bellezza (il senso di inadeguatezza per la propria fisicità) ribaltandolo in luce, ossigeno e design. Gesti di progetto che usano la terza dimensione in modo antispecifico,

non per quello che è ma per quello che non è, spingendo la seconda dimensione a estroflettersi senza invadere la terza, perché ciò vorrebbe dire volume e quindi peso mentre qui siamo agli antipodi, sospesi in una semiotica fantasma fatta di oggetti che non sono in 3D ma piuttosto in iper-2D, dilatati in una dimensionalità altra che, come la segreta nerezza del latte di cui parlava Valery, è sempre stata lì, e si trattava solo di aspettare per un tempo sufficiente a lasciare che si manifestasse. Anche se dopo, niente è cambiato. Eppure niente è come prima.


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IPER 2D / 93


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1. FRIDA, DI ROBERTO MORA PER MINOTTIITALIA, LIBRERIA IN LAMIERA DI FERRO INTAGLIATA AL LASER, VERNICIATA BIANCA. 2. KAPÌ, DI STEFANO PIROVANO PER LA COLLEZIONE BYSTEEL DI GABELLINI, TAVOLINO IN LASTRA D’ACCIAIO INOX TRAFORATA AL LASER. 3. SKIN, DI PAUL COCKSEDGE PER FLOS, LAMPADA A SOSPENSIONE COMPOSTA DA DUE FOGLI IN ACCIAIO INOX ACCOPPIATI CHE, PIEGATI NELL’ANGOLO INFERIORE, RIVELANO LA FONTE LUMINOSA A LED. ESTERNO IN FINITURA INOX, BIANCO E NERO LUCIDO, INTERNO LASTRE IN ORO, BIANCO O ROSSO.


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INdesign INproduction / 95

Ferro, alluminio, acciaio IN SPESSORI MINIMI. LAMIERE industrial look CRUDE, OSSIDATE O LACCATE. UNA nuova essenzialità DEL MOBILE, TRA NETTI TAGLI AL LASER E INSOSPETTATE MORBIDEZZE.

IL Fascino soTTiLe DeL meTaLLo di Katrin Cosseta

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1. RITMO STENTO, DALLA COLLEZIONE LAMIERE CRUDE DI RAFFAELLO BIAGETTI PER MEMPHIS, MODULI LIBRERIA IN LAMIERA DI FERRO. 2. VASU, DI MIKKO LAAKKONEN PER COVO, CONTENITORI IMPILABILI IN LAMIERA PIEGATA E VERNICIATA, VARIAMENTE COMPONIBILI A TERRA O PARETE.

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3. BLU, DISEGNATA E PRODOTTA DA NERO3, LIBRERIA COSTITUITA DA ELEMENTI VERTICALI E RIPIANI ORIZZONTALI IN LAMIERA DI FERRO NATURALE TAGLIATI AL LASER, TRATTATI A CERA. ACCESSORIABILE CON VASSOI COPRIPIANO IN ALLUMINIO RIVESTITO IN PELLE.

METALLO / 97

3.

4. STAY, DI SERGIO BRIOSCHI PER JESSE, MODULI SOVRAPPONIBILI IN LAMIERA METALLICA VERNICIATA BIANCO O NERO, SU BASE FISSA O GIREVOLE. 5. IRONY WALL RACK, DI MAURIZIO PEREGALLI PER ZEUS, SCAFFALI A MURO CON STRUTTURA IN LAMIERA NATURALE PRESSOPIEGATA. TRATTAMENTO FOSFATAZIONE NERO, FISSAGGIO FINALE CON CERA D’API. 6. DALLA COLLEZIONE NATURAL DI ALBERTO BASAGLIA E NATALIA ROTA NODARI PER YDF, TAVOLO LEONARDO, IN LAMIERA DI ACCIAIO TAGLIATA AL LASER, VERNICIATA A POLVERE TERMOINDURENTE O IN FERRO NATURALE.

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1. AGAVE, DI DIEGO CHILÒ PER PANZERI, LAMPADA A SOSPENSIONE CON DIFFUSORE COMPOSTO DA PETALI IN LAMIERA METALLICA VERNICIATA BIANCA. 2. ORA L, DI ROBERTA SAVELLI PER SPHAUS, TAVOLINO IN LAMIERA D’ALLUMINIO, IN VERSIONE LIMITED EDITION TRAFORATA. 3. LINK, DI NENDO PER ARKETIPO, TAVOLINI IN LAMIERA SAGOMATA E VERNICIATA A POLVERE ANTIGRAFFIO, NEI COLORI BIANCO E GRIGIO-BEIGE. 4. SURFER’S CHAIR, DI GIULIO IACCHETTI PER DOMODINAMICA, SEDIA REALIZZATA DA UN’UNICA LASTRA DI ALLUMINIO TAGLIATA AL LASER E PIEGATA. 5. INSIDEOUT, DI BRIAN RASMUSSEN PER CASAMANIA, LAMPADA A SOSPENSIONE CON DIFFUSORE COMPOSTO DA LASTRE ONDULATE DI LAMIERA D’ALLUMINIO NATURALE O VERNICIATO IN VARI COLORI. 6. BOLLE, DI NATHAN YOUNG PER LIVING DIVANI, TAVOLINI CON PIANI COMPOSTI DA DISCHI D’ACCIAIO SALDATI TRA LORO E VERNICIATI A POLVERI EPOSSIDICHE. 7. CIOCCOLATA, DI AZIZ SARIYER PER ALTREFORME, LIBRERIA IN LAMIERA D’ALLUMINIO, IN FINITURA BLACK-CATAFORESI. 1.

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1. HEXAGON, DI NENDO PER QUODES, LIBRERIA COMPOSTA DA MODULI SOVRAPPONIBILI IN LAMIERA D’ACCIAIO E ALLUMINIO, VERNICIATI A POLVERI IN BIANCO O NERO, E IN ALTRI COLORI SU RICHIESTA. 2. LIBRESPIRAL, DI GERARDO MARÌ PER DANESE, PICCOLA LIBRERIA SU RUOTE CON STRUTTURA E MENSOLE IN LAMIERA DI METALLO VERNICIATA MONOCOLORE O BICOLORE.

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METALLO / 101

3. DOIT, DI ANDREA RADICE E FOLCO ORLANDINI PER CAOSCREO, LIBRERIA IN LAMIERA SAGOMATA DI METALLO VERNICIATO BIANCO ROSSO O NERO. 4. PETS TABLES, DI CLAESSON KOIVISTO RUNE PER BUSNELLI, TAVOLINI AD ALTEZZE DIVERSE PARZIALMENTE SOVRAPPONIBILI, IN LAMIERA VERNICIATA BIANCO, NERO, MARRONE, GRIGIO, ROSSO E TESTA DI MORO.

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102 / INservice INdirizzi

3M ITALIA spa Via San Bovio 3 Loc. San Felice 20090 SEGRATE MI Tel. 0270351 Fax 0270353076-70353090 www.3m.com/it www.3m.com/meetings innovation.it@mmm.com ABET LAMINATI spa V.le Industria 21 12042 BRA CN Tel. 0172419111 Fax 0172431571 www.abet-laminati.it abet@abet-laminati.it ALESSI spa Via Privata Alessi 6 28887 CRUSINALLO DI OMEGNA VB Tel. 0323868611 Fax 0323868804 www.alessi.com info@alessi.com ALIAS spa Via dei Videtti 2 24064 GRUMELLO DEL MONTE BG Tel. 0354422511 Fax 0354422590 www.aliasdesign.it info@aliasdesign.it ALIVAR srl Via Leonardo da Vinci 118/14 50028 TAVARNELLE VAL DI PESA FI Tel. 0558070115 Fax 0558070127 www.alivar.com alivar@alivar.com ALTREFORME - FHOME srl Via Alcide de Gasperi 16 23801 CALOLZIOCORTE LC Tel. 03416381 www.altreforme.com info@altreforme.com ALTRO Sta Anna C/La Coma 18 A1 E 08272 S.FRUITOS DE BAGES BARCELONA Tel. +34 902104108 www.altro.es ANTONIO LUPI DESIGN spa Via Mazzini 73/75 50050 STABBIA DI CERRETO GUIDI FI Tel. 0571586881 Fax 0571586885 www.antoniolupi.it lupi@antoniolupi.it ARKETIPO spa Via G. Garibaldi 72 50041 CALENZANO FI Tel. 0558877212 Fax 0558873429 www.arketipo.com info@arketipo.com ARTEMIDE spa Via Bergamo 18 20010 PREGNANA MILANESE MI Tel. 02935181 nr verde 800 834093 Fax 0293590254 www.artemide.com info@artemide.com

gennaio-febbraio 2010 INTERNI

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INservice INdirizzi / 103

INTERNI gennaio-febbraio 2010

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N. 598 gennaio-febbraio 2010 January-February 2010 rivista fondata nel 1954 review founded in 1954

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NELL’IMMAGINE: LA DINAMICA ARCHITETTURA CHE RACCHIUDE L'AMBIENTE LIVING DI UNA CASA NEI DINTORNI DI MADRID PROGETTATA DAI NO.MAD ARQUITECTOS DI EDUARDO ARROYO. IN THE IMAGE: THE DYNAMIC ARCHITECTURE CONTAINING THE LIVING AREA OF A HOUSE NEAR MADRID DESIGNED BY NO.MAD ARQUITECTOS OF EDUARDO ARROYO. (FOTO DI/PHOTO BY ROLAND HALBE FOTOGRAFIE)

NeL ProSSiMO nUMero 599 IN THE NEXT ISSUE

INteriors&architecture

Tra dentro e fuori, case da Spagna, Portogallo e Belgio BETWEEN INSIDE AND OUTSIDE, HOUSES FROM SPAIN, PORTUGAL AND BELGIUM

INsight

Il Piano casa/THE HOUSING PLAN INpeople

Enzo Mari vs Paolo Ulian INdesign

IN&Out Dare forma alle nuvole GIVING FORM TO THE CLOUDS

Oggetti biodegradabili/BIODEGRADABLE OBJECTS GREAT ARCHITECTS: A JOURNEY IN THE MIND OF... COLLANA DVD INTERNI&PIRELLI RE: I GRANDI ARCHITETTI

Info e piano completo dell’opera al sito internet: Info and complete program can be seen at the website:

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INTERNI gennaio-febbraio 2010

INtopics EDITORIAL p. 1 We wanted to tell you about design in a more dynamic, incisive way, capable of capturing the increasingly diversified aspects of the contemporary scene. So we have decided to update our graphics and contents. The transformation starts with the logo and the cover, continues with the visual organization of the information – summed up in titles, headlines and captions of immediate impact – and also changes the concept of the columns and features, all with new names. Interiors&Architecture focuses on transverse trends and ways of living, represented in this issue by projects by Toyo Ito, Rudy Ricciotti, Pierluigi Nicolin, Franco Raggi, Daniele Rossi, Eduardo Souto de Moura. Timely themes are covered by Insight Intoday, from the tale of the new MAXXI in Rome, the first work by starchitect Zaha Hadid in Italy, to a new exhibition by Andrea Branzi, hosted by Azzedine Alaïa in his gallery space in Paris. The Incontro is on Marco Balich, one of the most outstanding creators of events in the world, while the design sections examine three exponents of the new Italian generation: Massimiliano Adami, Lorenzo Damiani and Lorenzo Palmeri. Incenter proposes the novelty of multicolored products, while Inproduction discusses the new essence of furniture made with sheet metal. Finally, for January there are three special initiatives: the Limited Edition insert, on the players, works, strategies and places of a new way of designing and producing, halfway between design and art; a major focus on MADE Expo 2010, the world of architectural design, materials and finishes; and the Design Index, now in its 26th edition, a precious working tool for all sector professionals, offering 8000 useful addresses. Happy New Year and happy new reading! Gilda Bojardi

INteriors&architecture THE MISSING LINK OF TOYO ITO p. 2 project Toyo Ito & Associates, Architects with the collaboration of Christian de Groote, Arquitectos photos and text Sergio Pirrone A villa in white concrete and glass. The common spaces are rotated and inclined, while the private spaces look toward the mountains. White O is the ninth work of OchoalCubo, the pioneering residential complex in Marbella, Chile. Here Toyo Ito has created his first project in South America. Toyo Ito first met Edoardo Godoy at the Venice Biennial, and heard about the dream that had begun a few years earlier in Marbella, a town northwest of Santiago, amidst panoramic hills and golf courses. Eight Chilean architects and one landscape designer had discussed how to complete the first eight phases of the project in a harmonious way. It was an innovative idea, to buy a large lot, call it Ocho al Cubo, fill it with eight residential projects that narrate their own individual stories, while listening to the others as well. The eight houses would be sold to eight clients interested in the place and ready to tell others about the beauty of Chile, not just its marvelous nature, but also the work of man. The first phase called for eight concrete villas, 250-300 sq meters each, by eight Chilean architects, who would then pass the baton to eight international architects for the second phase, adding eight more villas, also in concrete, but larger (400 m2). Toyo Ito was to be the first, but he said “no, thanks”. But then he changed his mind. It would be his first South American project, a rare residential work. He could make a contribution to a good idea, 33 years after his White U, maybe finding the missing link, closing the circle he had opened way back then. When he reached the Ocho al Cubo site he realized that that buried horseshoe, closed in the pain of a sister who had just lost the father of her daughters, could open up to the joy of a breathtaking landscape. The lot sloped downward, looking toward the mountains to the northeast, beyond villas by architects like Sebastian Irarrazaval, Smilian Radic, Mathias Klotz and Christian De Groote. A horizontal roof and vertical members were the orthogonal constraints of an object that would rest on a natural rise. Straight line over curve, white concrete on green meadow, the contrast of a volume that neither conceals nor opens, but offers a glimpse of an inner world. That of the first works of Le Corbusier, of his pilotis under modular facades, authoritative knowledge of the light circuit of a fluid circular space, never exclusively internal, nor naively external. Seduced by contrasts, that never confine and always are open to surprises, to the discover of the other, Toyo stiffens the main facade with an asymmetrical grid that encloses the garage and the three entrance underpasses on the ground level, opening the second level to the three bedrooms that are flooded with morning light. The sinuous stone avenue plunges into the shade, the pupils have just dilated when suddenly they retreat under a sky with the form of an O. The valley is left outside, but it is still there, between earth and ramp, ramp and roof, beyond the shadow and above and under the opaque turquoise panels of the bedroom area. We are now faced by a world that also dilates and contracts, like the pupil surprised by the designs of the sun. The horizontal plane rocks around the irregular patio, an open-air interior. Caressed by the continuous glass membrane, which curves once, twice, breathing the living and dining rooms, and then hides in a reticent kitchen. Adjacent, still in a context of straight and curved lines, like the entire planimetric composition, the staircase leads down to what was supposed to be an annex for the governess, and later became a sheltered nest for the third daughter. From above, the White O resembles a ring, the missing link. While from the neighbor’s roof, atop the villa designed by Teodoro Fernandez, the lawn with the ocular swimming pool suggests that Ocho al Cubo is much more. - Caption pag. 3 Exterior view of the ringshaped garden that encloses the open courtyard. In the foreground, the suspended ramp leading to the nighttime zone with the three bedrooms. In the background, the dining and living areas. - Caption pag. 5 On the facing page: the circular living area opens to the glass oval and the two large windows that respectively face the swimming

pool and the northwest facade. The Sendai bookcase and the wooden Ripples seat designed by Toyo Ito are part of the Horm catalogue. Sofa by Zanotta, glass table by Fiam. The overall planimetric of the project. Exterior view of the facade on the garden and the swimming pool. The white volume opens outward, alternating closed portions and gaps. Detail of the southwest corner with the large window of the living area. The external stairs lead to the panoramic roof deck. The streetfront is marked by vertical structural partitions that frame the garage, the entrance passages and the bedrooms organized on the second level. - Caption pag. 6 The glass membrane covers the external oval and makes the inside-outside border intangible. The two ramps, one external and one internal, underline the fluidity of a space that encounters no obstacles, other than the entrance door. - Caption pag. 8 The dining area is like an island inside the continuous, fluid space of the living room, whose central focus is the irregular patio bordered by transparent glass. Table by Cassina, La Leggera chairs by Riccardo Blumer for Alias; hanging lamp by Ross Lovegrove for Artemide. The corner bedroom, above the garage, faces a gold course. The kitchen is an enclosed space. Design furnishings include the bed by Zanotta, the Driade kitchen, in spaces unified by a neutral materic-chromatic range, light wood slats and exposed concrete, with the counterpoint of zones in acid yellow. One of the two bathrooms facing the main facade, heated by morning sunlight. Washstand and accessories designed by Toyo Ito for Altro.

RUDY RICCIOTTI AND THE OLD FARM p. 10 project Rudy Ricciotti photos Philippe Ruault text Francesco Vertunni In Normandy, in northern France, the addition to a 19th-century farmhouse, where restoration and new construction combine in a balanced composition. A radical project, part of the design path of Rudy Ricciotti, who in the rigor of research outside of fashionable trends, has always focused on an architecture of eloquent sincerity, in terms of construction and composition. This restoration and addition to a traditional Normandy farmhouse with stone walls and a steep pitched roof is therefore part of a more complex discourse on architecture, not limited to the individual opportunity, which becomes one segment of a methodology in a state of evolution. The transformation of an existing work of architecture, even when it does not have monumental or declared value, involves memory, the construction techniques of the past, the traces left behind by history. So the request to expand the farmhouse for residential use is addressed as a theme for reflection that, acknowledging the architectural dignity of a functional construction from the past, has doubled the same typology in a clearly contemporary form, openly rejecting any stylistic or materic imitation. The straight volume and basic cross-section (like the profile of a house drawn by a child, with a pitched roof supported by perimeter walls) have been ‘extruded’ in compositional terms to align themselves with a new, completely glazed volume, like a greenhouse or a winter garden, that is actually a transparent space, open to the new outdoor deck, the surrounding greenery and, above all, the sky. The existing construction has been restored to its original appearance, both in materic terms (stone walls, wooden roof structure with thick beams, slate tiles) and in volumetric terms, with a unified open space, continuous from floor to ceiling, used today as a sort of large entrance where a blue Alpine automobile is positioned, part of the vintage car collection of the owner, displayed like an artwork. The original dovecote, beside the entrance, occupies two levels and connects the garage to a guestroom on the ground floor, while the first floor contains the large master bedroom, connected to the central part of the house by a long suspended walkway that runs between the wooden trusses. The new construction redesigns the same space, following the structural profile – in iron and glass, here – and concluding at the back, on the edge of the property, with a solid wall that conceals a large storeroom, marked at the center by a fireplace. The two portions of the house seem to resolve the contradiction between the opacity of the architecture of the past and the lightness and transparency of that of the present. The new addition also has a new underground level connected, on the ground floor, by a two-storey space, while in visual terms a series of openings in the ground floor slab interrupt the continuity of the wooden flooring with a sequence of perimeter panes of glass, bringing natural light to the basement. To underline the joint between the old and the new, in a central position, like a sort of symbolic hinge, a long straight swimming pool slides under a stone wall and enters the house, like an indoor reflecting pool, also visible from the basement thanks to a large glazing. A careful, respectful approach to the architecture of the past, to the figures and materials of an architecture rooted to the place, but without sacrificing the reasoning of contemporary design. - Caption pag. 10 In the plans: the main levels of the house with the new layout of the spaces. The new glass building with the pitched roof opens toward the outside deck, the greenery and the sky. A series of cuts made in the ground floor slab interrupt the continuity of the wood flooring and bring natural light to the basement. In the foreground: plastic chair by Kartell; on the cabinet, two vases from the 100% Makeup collection, a project by Alessandro Mendini for Alessi. - Caption pag. 12 The outdoor deck is furnished with Lord Yo chairs designed by Philippe Starck for Driade. The dining-kitchen zone is on the ground floor, which also contains the garage and a guestroom. In the foreground, Arco floor lamp by the Castiglioni brothers for Flos (1962). A blue Alpine, part of the owner’s vintage car collection, is presented like an artwork at the entrance. - Caption pag. 14 From the ground floor a linear staircase leads to the first level, containing the large master bedroom connected to the central part of the house by a long suspended walkway that runs through the wooden trusses. From the basement, another linear staircase in wood and metal leads to the ground floor, where the old part of the building is characterized by stone walls and the wooden roof, with heavy beams and slate tiles. The new basement is connected to the ground floor by an open two-storey zone. The old-new graft is underscored by the long swimming pool that enters the house, sliding under the stone wall, and is also visible from the upper level.


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OASIS FOR HUMANS AT VENDICARI p. 16 project Daniele Rossi photos Santi Caleca text Alessandro Rocca A contemporary farmhouse in an orchard of almond and lemon trees, at the edge of a nature reserve. A composition of sand-colored cubes where walls, windows and terraces evoke typically Mediterranean images, traditions and habits. We are used to thinking that really contemporary architecture should be designed and built with industrial materials, while the use of traditional materials and techniques belongs to the world of the antique, the colonial, extraneous to new architectural research. Daniele Rossi, a Milanese architect in his forties, with experience in the studio of Michele De Lucchi, approaches these issues with an open mind, discovering that traditional techniques can produce ideal conditions of comfort, while still being economical and effective, even in the phase of energy management of the building. Some good reasons to go traditional are also found in the characteristics of this special place, an almost and lemon orchard at the edge of the nature reserve of Vendicari, about a kilometer from the Ionian coast in Sicily. The commission was for a vacation home, economical but elegant and welcoming, for a Milanese family of Catanian origin, a couple with two teenage kids. With a budget of 220,000 euros and a total area, for the two levels, of 200 sq meters, Rossi made a strategic decision: “I began to study the rural structures in Sicily – he says – and I found knowledge and techniques that have, to a great extent, been lost”. His research in the field led to the decision to “always use, wherever possible, local techniques, colors, typologies and technologies, established by time”, and the result is a hybrid that successfully mixes two distant forms of wisdom, the refined attention to details and interiors of Milan with the Mediterranean force of Sicilian rural life. Without any hints of kitsch, of the vernacular parody found in tourist traps, here we find the spirit of the great Mexican master, Luis Barragán. The house is a composition of basic cubes, about 5 x 5 meters, arranged in the figure of an oblong “C” that embraces a miniature citrus grove. “The play of the facades and terraces – Rossi explains – led to very different elevations and a breakdown of volumes that was important to integrate the house with the surrounding countryside”. The perimeter walls, perforated by ten full-height glass doors with white painted iron frames and shutters, use a simple, traditional construction system formed by blocks of tufa stiffened by means of reinforced concrete girders. The facing is in light sand-tone stucco, applied by hand, with a rough surface that accentuates the vibration of the light and, as a result, increases the sense of materic consistency. Similar effective simplicity is found in the interiors, with smoothed concrete floors in natural matte earth tones, and furnishings cut down to the indispensable minimum. The white plaster walls spread the soft light that penetrates the deep openings for the windows, offering indirect light for the cool shady atmosphere of the rooms. The ground level contains four bedrooms and the living area, with a large kitchen and dining room, while the upper level is for the master bedroom, with bath and terrace, and a second large terrace for use by all. The living areas are interconnected, while the bedrooms are lined up along a corridor that passes by the living zones to offer an uninterrupted view of the total 27-meter length of the house. The furnishings, all specially designed by Rossi, include systematic storage units on the walls, a choice that makes the insertion of large pieces of furniture superfluous, safeguarding the spaciousness of the rooms. - Caption pag. 16 Ten full-height glass doors bring the landscape of the Vendicari nature reserve right into the house. - Caption pag. 18 The thickness of the walls, the sand-color stucco and the matte concrete floors create an intimate, cool atmosphere, necessary in a place with plenty of hot sunlight. The living area is organized in three separate but communicating zones: kitchen, dining and living. - Caption pag. 20 A few custom furnishings, with great attention to detail (from the doors to the external and internal windows, the casements to the thresholds), also characterize the bedrooms and baths on both levels.

THE BONATTI HOUSE, TWENTY YEARS LATER p. 22 project Franco Raggi project team Karim Contarino, Giorgia Brusemini, Davide Furgieri photos Guido Antonelli text Antonella Boisi In Milan, a home created twice, by the same designer. The first time was in 1989, after a recent incorporation-addition designed for the same client. The result: a domestic interior that constitutes a reflection, through surfaces of great materic and expressive impact, on the idea of bourgeois decor and modernity. In 1928, in the opening editorial of the first issue of the magazine Domus, Gio Ponti, the editor, focused on the concept of a house as a symbolic container of an internal universe, the “pivot of a program of architecture with the goal of reformulating the philosophy of modern living” (Fulvio Irace, Gio Ponti, Cosmit, 1997). Over eighty years have passed since then. The culture of historical revisionism has run its course. But this project by Franco Raggi sheds new light on the perspective. Because the key to understand its essence is right here: the attempt to represent a house that is never finished, and can be interpreted by its inhabitants. A complex modernity, a mediation with the tradition of the Milanese bourgeois home and the theme of decoration that brings the design of furniture back into the architectural sphere. The pursuit of an up-do-date domestic scenario, in short, also focuses on spatial ‘doubling’ with a mixture of erudite citations and virtues that go beyond the mere formal quality of good design, finding relationships with aspects of crafts, experimentation, the quality of materials, the furnishings that become architectural signs, skins, wrappers, surfaces, finishes, constructive details, all built into the structure of the house. After all, Raggi has already explained much of this to Marco Romanelli back in 1990, when the first version was published: “My desire is to communicate over long periods, a desire for non-invasive qualities”. The message was clear: when you talk about Franco Raggi you forget about the topics of more or less skillful interior decorating. Because first of all, he remains an architect, a humanist technician called in to provide a service: to design a container with a solid structure (in terms of volumes, surfaces, colors) that can ‘stand

gennaio-febbraio 2010 INTERNI up’ to any legitimate, autonomous furnishing choices made by the client. Specifically, our story focuses on a sort of three-room apartment on Via Donizetti, where the lack of space had generated flexible compacting, also thanks to the use of sliding door-walls that formed spaces of different sizes. Thanks to the purchase of the entire floor of the building, it became possible to construct a bourgeois, modern house in the fullest sense of the terms. With its large common and private spaces, reorganized according to a definite hierarchy that calls for the elimination of corridor in favor of places created from scratch (from landings to vestibules to the entertainment room created in the second entrance, which was no longer needed) and the reinterpretation of obsolete types, like the aristocratic boudoir and the functional office. “Twenty years – Raggi explains – is a long time, in terms of the evolution not just of the designer, but also of the client, who develops needs for a different kind of self-representation. For me, on a creative and linguistic level, what has changed since then is only the fact that I no longer do the final drawings myself, with a pencil. That method meant that the details were more accurate, more thoroughly pondered, back in 1989. In today’s projects the relationship between thought and product is more mediated, the overall approach, the strategic choices, prevail over materials and the articulation of space”. And while someone recently said that “in the best Milanese homes decisions were not made in the parlor, but in the dining room”, this dwelling has a “real” dining room, containing certain contrasts, like the table with classic turned wooden legs and a technological sandwich top in glass and fabric, accompanied by ironic transparent plastic chairs by Philippe Starck and a Murano glass chandelier, “the encounter between the opulence of blown glass and color, aligned with a minimal chromium-plated solid”. There is also an office space, conceived as an efficient service zone between the dining room and the large, convivial kitchen with its own separate entrance. From the main entrance, a “calling card”, a sort of “decompression chamber”, one reaches the living area, the primary place of socializing, doubled by the combination of the two adjacent apartments. ‘Tracks’ have been inserted in the teak flooring: one in oak underlines the position of the demolished wall, others with an arrow shape indicate the paths of new internal routes. The grafting of light, rigorous figures brings out the fluid, open spatial character of the environment, a rectangle formed by the four sides, respectively separated from the study by a large wall-bookcase (inherited from the first project) in cedar with China blue lacquer parts and built-in lighting fixtures; bordered by the dining area thanks to the new wardrobe-divider that corrects the alignment of the walls; connected, through a surface that rotates to open, an abstract square acid green field, with the home entertainment area, inserted in the large original entrance, without windows, that has been transformed into a sort of padded ‘safe’, all in shag carpet, violet felt and maple paneling; extended, finally, along the front marked by a regular series of openings to balconies treated as micro-gardens, with fake grass mats and LED lighting. It is as if Raggi, once the questions of layout and use had been resolved in a balanced succession of rooms, decided not to give up on the allusive possibility of discreet decoration and the concept that lies behind all his projects: the experimental intention, which relies on surprising ability in the use of surfaces and materials. From industrial production, like the innovative Abet mirror laminates with relief decoration, texturized surfaces that cover the walls of the boudoir, multiplying its virtues as a symbolic space, a container of affective memory. Or handmade, like the rusted sheet metal that covers the walls of the access zone of the bedrooms, or the high textile partitions, floor to ceiling, that underscore the passages of the sliding doors. The luxury “inherited” from the previous apartment is echoed and expanded in the big bathrooms, a game of reflecting surfaces and selected marble, including the precious black Portoro with golden veins, Calacatta, and the finest Persian red Travertine. In the end, only the choices of furnishings indicate the variety of the accents brought by the curiosity of the client: modern coexists with classical, minimal with baroque, 1950s chairs by Franco Albini with a small sofa by Hoffmann, a Chesterfield sofa with custom capitonné hassocks, a still life with the exoticism of Fornasetti. “One task of design is not to confirm or standardize a style – Raggi points out – but to control eclecticism, mobility, invasiveness, the habit of accumulating signs, that represent a clear character of the contemporary figurative scene”. But the games of dynamic counterpoint show the way, because the quality of spaces is also made with the dialectic of hidden details that randomly come to light. - Caption pag. 22 View of the living area toward the glass facade communicating with the balcony. The Chesterfield sofa by Poltrona Frau faces a long custom capitonné hassock, while the 1950s chairs by Franco Albini are Cassina re-issues. On the Siam teak floor, signage with inlaid lines and arrows in oak and wenge indicates new internal routes. On the walls: the Slot vertical fluorescent built-in lamps by David Chipperfield for FontanaArte and an applique from the 1960s by Gaetano Missaglia from the Nilufar collection. - Caption pag. 24 The home entertainment room created in the space of the second entrance, which was no longer needed, is a soft container, with Ruckstuhl striped carpeting, a TV-stereo niche in maple, and walls covered with violet felt ‘tiles’. Hassocks and sofa from the Superoblong series by Jasper Morrison for Cappellini.View of the living area in a situation open toward the entrance, the entertainment room and the dining room. On the cabinet, the 1853 table lamp by Max Ingrand (1954) for FontanaArte. - Caption pag. 25 The dining room features a custom table with legs in turned wenge wood and a shaped top in glass (with reticular fabric and acrylic resin sandwiched between two panes of float glass). Around the table, the transparent plastic Louis Ghost chairs by Philippe Starck for Kartell and the Mood chandelier in blown glass and chromium-plated metal by Franco Raggi for Barovier & Toso. In the drawings: preliminary design sketches for the bath; color axonometric of the first project in 1989; the present planimetric is the result of the unification of the entire floor and its two apartments. View of the living area: in the background, the wall in oak and wenge with upper lighting in glass, separating the dining area and connecting it with the entertainment room by means of the boiserie. - Caption pag. 27 The two main bathrooms of the house, with facings in Portoro marble combined with Breccia Aurora, and red Travertine combined with Calacatta. Faucets from the Roma series by Stella. The boudoir, a place of affective memory, custom-designed in cedar, with facings in mirror-finish Silver Print laminate by Abet Laminati. Mademoiselle chair by Philippe Starck for Kartell. Views of the kitchen, with flooring by Stone Italiana and hanging lamp by Artemide, and the office zone, with its custom furnishings.


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LIGHT FROM ABOVE p. 28 project Pierluigi Nicolin and Sonia Calzoni with Hun Gi Yim, Manuela Lualdi, Maurizio Bocola photos Michele Nastasi text Matteo Vercelloni The renovation of an attic connected to the small apartment below becomes an opportunity to experiment with the value of natural light captured by new devices on the roof: transparent dormers with portions of colored glass capable of changing the atmospheres of domestic space, in keeping with the hours of the day and the rhythm of the seasons in the Crocetta neighborhood in Turin. The phenomenon of renovation of attics, in spite of the apparently limited scale, has become so widespread that it is now one of the aspects of real estate transformation of certain Italian cities. Unfortunately, in most cases the quantity of interventions does not correspond to quality. But in certain situations this activity has included a high level of experimentation connected with interior solutions, the relationship between the spaces of the home and the outdoor zones created on the roof, real outdoor rooms with views of the cityscape. The project shown here is one of the exceptions, approaching the theme of residential design as an opportunity to test new compositional paths, where natural light takes on a key role for the entire space, configured as a successful attempt to offer an ‘open system’, an architectural container ready for personalization by its users, a couple with two children. The residence connects the entire attic level, with its own entrance, to a small unit on the floor below, also linked to the upper level by a new internal staircase wrapped in a network of metal tubing to form a light balustrade. The small domestic cell has been conceived as a space for the children, organized in an autonomous way, with three bedrooms and two baths, rationally arranged with respect to the rhythm of the openings and for use, over time, as bedrooms for sleeping, study and play, while adapting to the growth of the children, guaranteeing independence and privacy. In the attic, also reached by the staircase of the apartment building, the entire living area has been organized, with a large living room facing a new terrace, and a large kitchen with its own small terrace, separated from the living area by a central volume conceived as an accessorized storage unit, intentionally left short of the ceiling to keep the overall space unified. This element joins the other custom architectural features, like the modular white cabinets with geometric niches in natural wood in the corridor of the children’s zone. In the back, under the pitched roof with wooden beams and planks, painted white, the master bedroom zone is set apart, organized with a bedroom, a large wardrobe and a central bath, featuring a shower with a transparent roof, open to the sky. The idea of opening the attic space outward is pursued by the entire project, on different levels: in a direct way, with the creation of the new corner terrace, a true open-air room with pergola, which underlines its indoor-outdoor role by echoing the shape of the original pitched roof in the wooden slats that enclose it. And in an indirect way, with the creation of new architectural devices: dormers with an innovative image, ironically nicknamed as ‘Milanesiane’ by the designer, to replace the ‘Parigine’ so often seen on roofs in the city of Turin. The ‘Milanesiana’ is a regular element clad in wood on the vertical internal sides, a parallelepiped cut at the base by the slope of the roof, a light, decisive monolith that interrupts that slope and offers a glazed volume on the front and at the almost horizontal top, enriched by a colored terminus that can be opened. Regularly repeated in such a way as to also redesign the profile of the building seen from the street, from the inside the new dormer characterizes the living space thanks to the different colors that filter the sunlight, ‘staining’ the white walls with selected tones (blue, yellow, green and red), whose intensities change at different times of day, and in different seasons of the year. - Caption pag. 29 Beside the living area organized in the attic, the new corner terrace is a real outdoor room, with a pergola. The shape of the original roof is echoed in the wooden slats of the pergola. Detail of the custom-made dormer: a parallelepiped cut at the base by the slope of the roof, covered with wood on its inner vertical sides, glazed on the front and top, which is enriched by color and can be opened. - Caption pag. 30 In the plans: the entire attic level and the small unit on the floor below. The living area under the pitched roof, with wooden beams and planks painted white. The portions of colored glass of the dormers filter sunlight to ‘stain’ the white walls in selected tones that change at different times of day. Vimar Color resin flooring. The new internal staircase is wrapped by a network of metal tubing to form a light balustrade. - Caption pag. 32 View of a bedroom with walk-through bath, created under the pitched roof, with white painted wooden beams and planks. A modular white wardrobe with geometric niches in natural wood is inserted in the corridor of the children’s zone. The large kitchen is separated from the living area by means of a central volume conceived as a storage unit-partition. Lighting fixtures by Luceplan, Viabizzuno, Kreon.

CASA DAS HISTORIAS p. 34 project Eduardo Souto de Moura photos FG+SG text Francesco Vertunni In Cascais, Portugal, the Museu Paula Rego appears in the landscape like an ancient object surrounded by greenery, liking past and modernity in a synthesis of great impact. The site, in a forest of tall trees with a central ‘void’ once occupied by tennis courts, left no doubts about where to position the new architectural structure of the Museo Paula Rego, to conserve the trees, but also to establish an open dialogue with them, in a direct, complementary juxtaposition of architecture and nature. Eduardo Souto de Moura, a protagonist of Portuguese architecture and the international scene, underlines the need for a relationship with the landscape through the lucid choice of an architecture that is anything but ‘mimetic’. His building is not covered with trees and boughs, vertical gardens, roof meadows that opt for the facile ‘ecological solutions’ of the moment. Instead, he chooses the path of a sort of ‘architecture of the origins’, ancestral, almost timeless, like things you encounter when walking in the Mexican jungle of Coba in the Yucatan, suddenly facing the ancient pyramids of the Maya. Here too, it’s a matter of pyramids: two truncated cones, mute and imposing, that rise over the complex volumetric geometry

of the museum, which functions as a base. Describing the two pyramids, conceived as ‘lanterns’ to capture the light from the spaces below, adjacent to the entrance (bookstore and cafe), Souto de Moura openly states his models of reference: “the two big pyramids are not unlike those of the kitchen of the Monastery of Santa Maria de Alcobaça, or certain solutions applied in the houses of Raul Lino, and certain engravings of Boullée” (the latter being an Enlightenment architect, of the time of the French Revolution, who together with Claude Nicolas Ledoux configured the three-dimensional response to the innovative revolutionary impulses in the form of ‘architecture as communication’). But the figure of the pyramid, as we all know, has ancient origins and has settled in the collective memory of every civilization as a ‘founding’ architectural archetype; in this sense, its use becomes a sort of abstract monumental declaration, capable of giving the construction a clear symbolic value. The use of this solution, positioning a pair of pyramids on the base of the museum, transforms the latter into a lyrical, timeless work, while forcefully indicating its contemporary character at the same time. The color of the external masonry surfaces is very important for the relationship between the building and the landscape, as is the compositional solution of the museum spaces, a perfect sum of monolithic, silent, regular parallelepipeds of different heights, sculpted by essential glazed openings, organized around the larger one at the center. The external walls are painted orange-red, a complement to the green of the woods around the building, while the choice of exposed reinforced concrete and, above all, its pouring using a wooden lining of slim planks, lead to a ‘natural’ pattern that exploits the sunlight and shadows during the day. The slight discrepancies between the planks of the formworks, which might usually be seen as defects, become ‘precious flaws’: the make it possible to obtain slight shadow lines that make the horizontal movement of the textures rich and mutable, while on the two pyramids the placement of the planks in a herringbone pattern enhances the vertical figure of the two volumes with an increasing skyward rhythm. - Caption pag. 34 View of the southwest facade of the museum. Overall view of the entrance facade. The ‘casa das historias’ is the result of an agreement among local institutions and the Portuguese painter Paula Rego who has donated, for 10 years, 121 works, including paintings and drawings. Some works by Paula Rego have set world records at auctions: in 2008 Sotheby’s sold the painting Baying for 741,000 euros. - Caption pag. 36 Views of the external volumes and the internal exhibition rooms. In the sketch: study of the overall composition, in an area of 750 sq meters: a space for permanent and temporary exhibitions, cafe, bookstore and 200-seat auditorium.

INsight INcontro MARCO BALICH. MY WORK? IGNITING PASSION p. 38 by Antonella Galli Marco Balich is the creative talent behind the ceremonies of the Winter Olympics in Turin in 2006, which thrilled two billion viewers around the world with a celebration Made in Italy. Thanks in part to that success, today he is one of the world’s leading producers of events. It’s probably an inborn taste for understatement – his mother is English – that makes Marco Balich present his work by saying, “we’re the guys who make the ‘big shows’”. That may be true, but the story is more complex. President of K-Events, of FilmMaster group, Marco Balich, Venetian, 47 years old, of Slavic-AngloSaxon origin, gained international fame thanks to the great success of the ceremonies in Turin in 2006. Years of production experience have led, with his team at K-Events, to increasingly prestigious commissions, from the launch of the new Fiat Cinquecento to the format for New Year’s Eve and the Carnival of Venice. And the challenges, at the end of this decade, continue with major works to produce in Mexico and India. How did you build your career? “I invented along the way. When I began, this professional role, at least in Italy, did not exist. There were no courses, no schools. My law degree was useful to find out that I didn’t want to be a lawyer. I worked on many tours of big rock stars in the 1980s (72 of them, to be precise), where I learned to organize things (stage, tickets, lights, sound, media, etc); I also produced over 300 videos for Italian and international musicians and artists. I worked in television, but I understood that to produce TV programs you have to be more cynical than I am. I literally invented the Heineken Jammin’ Festival (one of the main Italian and European music festivals, ed), and in 2002 came those six minutes for the presentation of Turin at the closing ceremony of the Winter Olympics in Salt Lake City. Those six minutes brought our group lots of attention”. Then the long production for Turin 2006 began… “Two and a half years of work, a creative team with some of the most important professionals from the world of entertainment, 6000 volunteers, artists of all kinds, technical experts and many other figures, were all fundamental for that success. Thousands of rough drafts and documents, over 8500 meetings, in short an enormous bulk of work leading to two and a half hours of a one-shot spectacle, seen by two billion viewers in 142 countries. A unique event that can never be repeated (like all these colossal shows), that vanishes as soon as it happens, with no room for a second chance, a correction, an improvement after the fact. If it is effective, it can significantly boost the international image of a city, a company, an entire country. And in Turin I think we did just that”. The impact was extraordinary, also because that spectacle, like the closing ceremonies of the Paralympic Games, was touching and thrilling, narrating the value and the beauty of Italy. What was your personal experience of the event? “On the following day I was in a bit of a daze, messages were coming in from all over the world, but what struck me most was that many Italian flags were appearing on the balconies, in the windows, in Turin. When you work on this type of event you cannot rely on facile effects, you have to sincerely focus on noble emotions, injecting sensitive, moving content; to propose common values (love of country, brotherhood, peace) through original, well-designed means. We rely on simple, shared themes and narrate them in a sophisticated, lofty way. One example was the national anthem during the ceremony in


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Turin. For the first time it was not played by a band, but sung by a little girl wearing a white bow and a dress with the colors of the flag. It was innovative but respectful. Children could feel closer to the anthem, and maybe even start singing it again”. How did the show in Turin create a synergy with the site set aside for the event? “The stadium in Turin was adapted for the ceremony: two years of work and a long design phase that almost made it into a theater, with the capacity to engage and represent; the sets, in various parts of the stadium, gave the performance movement.” The commission for the Carnival of Venice has enabled you to come to grips with complex places and works of architecture, a unique but also difficult scenario in which to work…“Piazza San Marco and my city represent a unique heritage, so I worked with great respect; the format of the Carnival – Sensation, 6 senses for 6 sestieri (five senses plus the mind) – was conceived to scatter street entertainment, concerts, performances through the city, so people could discover the place, without remaining in the Piazza. At the Piazza, I thought of an Italian garden, with a 12-meter botanical lion, and a spectacle of lights”. What part of your work still fills you with emotion? “The participation of volunteers, with equal enthusiasm in every part of the world: they are the primary source of passion. The human factor surprises me every time: people really want to get involved. I was deeply moved in the summer of 2009, at the Mediterranean Games in Pescara: among the participants there were kids from Aquila, who left their temporary shelters and came to the rehearsals every morning; all the way to the final party, which was all for them”. What are your upcoming jobs? “We are working on two big projects at the moment: the ceremony for the XIX Commonwealth Games in Delhi and the event for the bicentennial of Mexico’s independence, both in October. For Mexico we are planning a megashow with a fourkilometer parade and a budget of 48 million dollars”. In a moment like this, isn’t that a lot of money to spend on an ‘ephemeral’ entertainment? “No, not if you compare it to the military spending, for example, that many nations, including poor countries, shell out to buy gear they may never use. The international return in terms of image and unity of intent generated by such a spectacle, the jobs the project generates during the years of work required for the production, and the professional skills developed (costume design, set design, technical staff) have a value that is hard to measure. This is also true, in another perspective, for corporations: in 2007, the day after the premiere of the new Cinquecento in Turin, Fiat shares rose by four points on the stock exchange”. What city do you live in? What’s your house like? “I live in Milan, but I could live anywhere, though I really love Italy. I have four children and a house where we occupy all the floors, in the Città Studi zone. I live Italian design and art, I have pieces from Cappellini, modern vintage things from the 1930s, and many artworks”. Is design still a banner for Italy? “It’s in our DNA. Our sensibility for form, invention, style is what sets us apart from the others, also in my line of work, in set design, costume design, the creation of spaces, colors. In foreign countries our image suffers because of the recent stories involving our politicians. But apart from the jokes, foreigners know how to distinguish between the good and bad, and they know about our virtues as well. In this sense, we have to continue working, and loving Italy”. - Caption pag. 38 The Olympic flame lit during the opening ceremony of the Winter Olympics in Turin in 2006. The company K-Events of Marco Balich, part of the FilmMaster group, created both the opening ceremony and the closing ceremony for the Paralympic Games (ph P. Serinelli/AFP/Getty Images/CIO). - Caption pag. 41 A moment of Welcome 500, the event for the launch of the new Fiat Cinquecento on 4 July 2007 at the Murazzi in Turin, near the Po River. The event was honored as ‘Best Event of the Year’ at the Best European Awards 2007 (ph. G. Sottile/K-Events). On the facing page: the closing ceremony for the Olympics in Turin, 2006. Below, moments from the opening ceremony: the “sparks of passion”, six skaters wearing red suits designed by Dainese, sped by at 70 km/h with the Kombat-T helmet, from which a long trail of flames emerged (photo Getty Images/CIO); the dove of peace formed by acrobats in white overalls (ph. Getty Images/CIO). - Caption pag. 42 Moments of the Carnival of Venice 2009. In February, for the third consecutive year, Marco Balich will be the artistic director of the Carnival of Venice, for which he has created the format “Sensation: 6 senses for 6 sestieri”; all the zones of the historical center host traditional happenings and street theater performances (ph. Venezia Marketing Eventi). On the facing page: the lighting of the pyramids at Giza, Cairo, during the event produced by K-Events for the celebrations of Orascom, the Egyptian telecommunications company, 8 December 2006. Light designer Durham Marenghi created the luminous choreography (ph. D. Marenghi/K-Events).

INprofile NANDA VIGO p. 44 by Matteo Vercelloni A path through architecture and design, toward artistic expression. The story of a protagonist of Italian design who has always favored experimentation over success formulas, never avoiding radical positions, in an effort to give every project a poetic dimension. Impressed at age four by the light that emerged from the glass-brick portions of the Casa del Fascio by Terragni in Como (1932-36), Nanda Vigo has kept this infantile snapshot in her memory, and it has gradually surfaced in her design life as an activator of concrete actions. Processes of creative combination, exploiting spatial illusions and deformation, where light becomes an immaterial protagonist of space and of the relationships between space and the objects it contains. Going beyond the concept cherished by the avant-gardes of the integration of all the arts, Nanda Vigo has come up with an operating synthesis of careful compositional control, combining the artistic dimension with that of architecture: “If I found a lack of a constructive aspect in art, at the same time I saw that architecture was lacking in an artistic side”. Thus the idea and the practice of a pursuit of ‘total space’ could only come from an aware, ‘natural’ and

gennaio-febbraio 2010 INTERNI intentional action of synergy between artistic sensibility and architectural rationality. In interior design, this meant replacing simple functional organization with an idea of global transformation involving space, objects and furnishings, light and people, and above all art. This accent on art led to the creation, in the 1960s, of the famous ‘chronotopian environments’. This was a concrete effort to take art to the scale of the physical constructed environment, where light becomes ‘solid’. The installations with printed glass and mirrors shown at Galleria Apollinaire in Milan, or the labyrinth of the Sala Ideal Standard (1965), become a constructed ‘manifesto of chronotopia’ (1964): “a philosophical concept – chronotopia or five-dimensional postulate, leading to the adimension”. A concept applied on different scales, from that of interior space composed of layers of backlit printed glass, or systems of continuous glass panels used as an ‘internal skin’, to the macro and micro object, a pursuit of adimensionality that deployed the spacetime erasure of the 1970s as the basis for new expressive and design possibilities. The zero degree of figurative purification – as indicated by the practices of Group Zero (the avant-garde art movement founded in Düsseldorf in 1957). The interior design of Nanda Vigo took on an experimental depth that was not so much ‘interdisciplinary’ as a matter of ‘total synergy’. Architecture and art blend, overlap and contaminate each other, spaces are ‘constructed’ with art that becomes an indispensable component of architectural practice; the White (1959-63), Blue (1967-71), Yellow (1970-71) and Black (1970-72) interiors in Milan demonstrate how space, in substance, can become a ‘livable artwork’. The priority of art has remained a constant in the work of Nanda Vigo, and her acquaintance with artists like Enrico Castellani and Lucio Fontana, the influence of Gio Ponti, her love affair with Piero Manzoni, made art a constant reference point in life and work. While in the Milanese interiors Vigo experimented with the concept of the ‘total environment’, in the Menguzzo house at Malo, near Vicenza (1966-69) – designed by Gio Ponti as a vacation home, offered on the pages of Domus (May 1964) for anyone who wanted to build it – the compositional procedure of the whole added art used as an element to construct space (the floating divider work specially commissioned from the kinetic artist Julio Le Parc, the perspective relief at the entrance by Enrico Castellani). The unified character of the internal skin, the continuity of the floors and walls covered with white tiles, constructing fixed furnishings like the central divan island, the conversation pool, the double bed irreverently, innovatively placed in the living room, was contrasted by the plush gray material that covered seats, mattresses and cushions, but also by the central spiral staircase, on axis with the skylight, becoming almost like a pet, revealing another materic dimension, another possible world. These concerns are also evident in Nanda Vigo’s work as a designer, from her experiments to her mirrors, seen as reflectors and propagators of light rather than images. Or her lamps, that become luminous objects on different scales, to the point of looming as environmental presences, as in the case of the Golden Gate for Arredo Luce in 1971, the first lamp to use an LED (recycled from NASA at Cape Canaveral) in the red switch emerging from the cylindrical steel base. An idea that came too soon, perhaps, and that might just be the enviable limitation of Nanda Vigo’s work; the themes of her research, as we can see, are still being developed today in the world of international design. - Caption pag. 45 Above: the spiral staircase clad in fake fur at the Menguzzo house in Malo, 1966-69 (photo Giorgio Casali); right, the Golden Gate floor lamp for Arredo Luce, 1970 (photo Nini and Ugo Mulas). To the side: the Due Più chair for the More Coffee Shop in Milan, 1971 (photo Aldo Ballo); the Blocco hassock for Driade, 1971 (photo Aldo Ballo). On the facing page: Nanda Vigo in a shot by Ruven Afanador. - Caption pag. 46 Above: the New Iceberg luminous sculpture, prototype, 2009 (photo Gabriele Tocchio); left, Blue Interior in Milan, 1970-71 (photo Laura Salvati). On the facing page, installation at the alleria Volpi Genesis Light gallery during the Fuorisalone in Milan in 2007, named best installation by the magazine Wallpaper (photo Gabriele Tocchio). - Caption pag. 48 Above, Top collection of mirror furniture for FAI International, 1972, photographed at Piazza Duomo in Milan (photo Laura Salvati). Left, Chronotopian cabinet for Driade, 1970-71 (photo Laura Salvati). Facing page: HSH (Home Sweet Home) luminous sculpture, mirror and fluorescent light, 2007, Galleria Toselli (photo Gabriele Tocchio).

INpeople LORENZO DAMIANI VS MASSIMILIANO ADAMI p. 50 by Maddalena Padovani A comparison between two designers who have made scrap and recycling a source of inspiration in their work. But they do not believe in ecological design. Because ecology, they say, is in your head, not in products. They don’t have a website (or a watch), they don’t read design magazines, they don’t speak English, don’t frequent the ‘salons’ of the Milanese design intelligentsia. They don’t even like e-mail. You can say lots of things about Massimiliano Adami and Lorenzo Damiani, but you can’t say they’re striving for visibility or want to make a splash in the crowded scene of the Italian design system. What they have in common, above all, seems to be this reticence, a sort of professional humility. But then you discover that they actually have lots of other shared characteristics, so much so that they seem like twins who were separated at birth. Yet their projects could not be more different from each other. Impulsive, materic, disruptive are words that describe the works of Massimiliano, a clearly manual experimental spirit that has set him apart, until now, from his Italian colleagues, triggering comparisons with the bestknown art designers of the northern European school. Conceptual and silent, the projects by Lorenzo come instead from careful reflection on functions and typologies of objects, which he contaminates and reinvents with intelligent, tactful irony, often compared by critics to the readymades of Achille Castiglioni. But the figures of Adami and Damiani do converge on one point of extreme clarity: their distance from the formalistic approach of most of today’s designers, especially in Italy. We asked them whether this ‘diversity’ has been a drawback or an advantage. Damiani: “My projects are undoubtedly hard to categorize, in commercial terms. Form is certainly the factor of most immediate impact in an object. But I’m interested in a


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INTERNI gennaio-febbraio 2010 broader approach, in a priori thinking about the possible evolution of the species of an object. I never start with a form, but with a concept. For example, the project of the D.L.152 bowl came from the proposal of an alternative way of disposing of the scrap materials generated in the working of glass. These scraps are subjected to very precise and costly procedures; I tried to make them the soul of my project, embedding them in a transparent bowl that reveals an unexpected decorative character. I wanted to make a problem into an opportunity to create something new”. Adami: “I believe my work has been penalized not so much by its lack of a formalist approach as by the fact that I am identified with the ‘artistic’ project of the Fossili Moderni, which actually coexists with very different works. I am referring to much more technical projects, where the functional aspect is definitely decisive. These are two paths of research that come from the same point of view, but lead to decidedly different results. I’m not interested in having a line that unites everything I do. In fact, I’d like to develop, case by case, approaches that are always different, and I’d be very pleased if the results of my projects had a very different appearance every time. Nevertheless, I realize that this way of working does not facilitate relations with companies, because it does not give me a clear, definite identity and image”. Another factor you have in common is the use of scrap material, recycled objects, that become the stimuli for the invention of new product types or new functions. How do these projects get started? What are the premises, the experimental processes? Adami: “The Fossili Moderni could be seen as a project-manifesto on sustainability and the philosophy of recycling. Actually they didn’t start with that specific aim, though I like to think they can stimulate more general reflection in this direction. The Fossili came from the idea of a container, to store objects, but made of objects. At the time I was working on the staff of a company that made retail display fixtures. I wanted to participate in a design competition and I got this idea, which I immediately tried out during lunch break, opening a trash can, taking out some plastic objects, embedding them in a foam which I then cut in half. That was the start of a path that then evolved, in technical refinements, until 2005, with the exhibit at the Salone Satellite, which started my adventure as a designer”. Damiani: “I have made three chairs that, in different ways, all start with the concept of scrap: the Tuttitubi, the Sweet and the Udine. They are three chairs that, in my view, can be interpreted as a manifesto of a way of thinking, and maybe this is why they have never found a producer. The idea is that of using semi-finished parts, rather than scrap from industrial processes. The Tuttitubi, for example, investigates the possibility of making chairs and seats utilizing already existing elements, but for a different purpose, like the tubes and joints usually used for plumbing. The Udine, on the other hand, began for a competition on the theme of the wooden chair, but it uses the sawdust from the working of that material to pad a seat in transparent PVC and give it an innovative image. I’ve also done other projects that, in a more conceptual than productive way, reflect on the theme of recycling. The 100% adhesive tape, for example, comes from the awareness that I have never managed to design an entirely recyclable object. Thus the proposal of a product that promotes the recycled gift, that puts into circulation the objects we all have at home but never use, which in the hands of other people might find a real function and purpose. This is a project on behavior, not a product: through my object, I suggest a new way of behaving, which might be more respectful and correct in relation to the problems of the contemporary world”. Adami: “For me, it’s a more modern way of thinking about ecology. An approach that challenges the production process itself and tries, instead, to optimize the use of what already exists, giving it a new, richer meaning. My Sharpei chair, for example, comes from thinking about upholstered furniture and the desire to use fabric remnants, and making the covering out of the same material as the filler, to eliminate certain elementprocesses typical of this type of product. Hence the idea of experimenting with the combination of recycled fabrics and silicon, to give folds structural characteristics, but also to provide the necessary softness for the seat. The chair was shown at the Salone Satellite in 2006 and later put in the Cappellini catalogue; this passage made industrialization necessary, which requantified the use of recycled fabric – which would have imposed too much unjustified manual labor – and permitted mass production of the fold that is both a covering and a padding at the same time”. What are your projects and hopes for the future? Damiani: “I’d like to work on wardrobes and furnishing systems, a product typology usually considered daunting by young designers. I’d like to come to terms with a clearly industrial situation. The idea of working on mass-produced things excites me; especially the prospect of getting an invention into a product that reaches many people”. Adami: “I’m also interested in approaching the themes of industrial design, in putting this second design vocation of mine into focus, because I can sense it is important. I want to understand if and how much it can be developed in parallel to my more artistic activity. Let’s be honest: my dream is to be a designer, not an artist!”. - Caption pag. 51 Above, the AirTable, an example of typological grafting created by Lorenzo Damiani for Campeggi, 2009. Positioned horizontally, it functions as a table; vertically, it’s a fan. Above right, Fossile Moderno Monolite, a piece made by Massimiliano Adami for the exhibition Magma Fossile, (Milan Triennale, Nov 2009), the fourth episode of the series on Italian contemporary design, in the project MINI & Triennale Creativeset. - Caption pag. 53 Two projects by Massimilano Adami. Above, Fossile Moderno Consolle, self-produced, 2006. To the side, Cheap Murano glasses and vases, self-produced, 2008. All the photos for Adami are by Carlo Furgeri Gilbert. On the facing page, projects by Lorenzo Damiani. Above, Tuttitubi, collection of chairs and seats made with plastic tubes and joints usually used for plumbing (2003). On the facing page, center, from left: Udine chair with PVC seat filled with sawdust from wood manufacturing (2003); D.L.152 bowl for Fornasier Luigi, made in glass and filled with scraps for previous production processes, which the D.L.152 (2006) recycles as ‘special material’ (2009); a part of the Tuttitubi seats. On the facing page, below: H2o washbasin complete with siphon and object caddie made in moulded plastic (2004). The work of Lorenzo Damiani was featured in the exhibition “Ma dove sono finiti gli inventori?” (Milan Triennale, Sept 2009), the third phase of the series presented by MINI & Triennale Creativeset.

INarts IN PRAISE OF REAL DESIGN p. 54 by Cristina Morozzi ‘Design Real’, the first design exhibition at the Serpentine Gallery in London, includes 43 objects of industrial design selected by Konstantin Grcic, chosen to curate the show by Hans Ulrich Obrist and Olivia Peyton Jones. Industrial design is becoming a media phenomenon, thanks to this exhibition in a London art gallery. Bucking the trend of international art museums and galleries that are making room for “art design”, Hans Ulrich Obrist and Olivia Peyton Jones, policy makers at London’s Serpentine Gallery, decided to make that institution’s debut in the field focus rigorously on industrial design (Design Real, 26 November 2009 - 7 February 2010). To curate the show they chose Konstantin Grcic, one of the few designers who has resisted the temptations of art design, convinced that design and industrial production methods should go firmly hand in hand. Peyton Jones and Obrist believe an exhibition on design can shift our gaze forward: “In the world”, they say, “there is a growing awareness of the role of design and its impact on the environment. Like contemporary art, design reflects the continuing changes in society. We have chosen Grcic as curator because he is one of the most talented industrial designers and one of the great visionaries of our time. His faith in the importance of design in everyday life is the nucleus of the show. Our choice was also based on our admiration for his work as a curator. We appreciated the exhibit design for Design en stock, 2000 objects from the Fonds National d'Art Contemporain (Palais de la Porte Dorée, Paris 2005, ed) and his first solo show One-Off (Haus der Kunst, Munich 2006, ed)”. As the title indicates, all the products selected are ‘real’ objects, industrially produced, with a practical function and available on the market. They are not one-offs, not limited editions, not prototypes. The message of the show can be summed up by Grcic’s conviction that “It is not enough for design to fulfill its purpose well; the purpose must also be a good one. The importance an object takes on in real life does not come only from its response to a functional need, but also from the duration of our identification with it. A good product always becomes part of our culture”. The exhibit design reflects the clarity of these intentions: there is no set, the objects are presented for what they are, without special effects, and identified with their common name. There are no explanations. “I want the audience”, Grcic says, “to look at things in a direct way, without mediation. Exhibitions in design museums have an educational function, but a design show in an art gallery like the Serpentine can be less didactic. Its message should be open to various interpretations, as happens with art shows”. For those who want to know more, who are not satisfied by the beauty of a pertinent function, there is an information area with videos and comments. Accustomed as we are to hearing tales of skyrocketing art-design prices, we wonder what benefit the Serpentine can gain from an exhibition of products already available on the non-art market. Obrist and Peyton Jones explain: “The Serpentine is not a commercial gallery, but a sort of museum without a collection. The works in our shows are never for sale. Access to the gallery is free, and we have about 800,000 visitors per year. The commercial value of the objects doesn’t concern us, we have chosen to show them in an unusual context, so that their beauty and their usefulness can be seen in a new perspective”. At this point it’s time, then, to look at the sponsors. They include the Design Supermarket, the new space for design at the Rinascente department store in Milan. Vittorio Radice, CEO of Rinascente, explains the reasons behind this contribution. Does London have a special meaning for design? “London is a very receptive city. It’s a platform that responds to all stimuli. In Milan we are better at business, and we have made design an international phenomenon, but London explores more, it’s more open to new experiments”. Why this alliance with the Serpentine Gallery for the exhibition Design Real? “The presence in places where design is being discussed, in an authoritative way, in the world is part of a project of ‘recovery’ of our tradition in that discipline: Rinascente founded the Compasso d’oro in 1954, and the company has collaborated with many illustrious designers. From the outset, we have not only sponsored, but also sold design. With the opening of the Design Supermarket we want to show that we still believe in the original vocation of laRinascente. The association with design culture should be seen in these terms”. Are there similarities between the concept of the Design Supermarket and the exhibition Design Real? “The title demonstrates a desire to make design accessible. The Serpentine is expanding its horizons to become a place of discovery for a wider audience. With the Design Supermarket laRinascente wants to make the buying of design easier: you can touch it and try it out, every day. Design Supermarket is a daily surprise, open to everyone. Taking a walk through its spaces is like a 15-minute vacation. Even the most banal purchase can be thrilling. The objective of the Design Supermarket is to give industrial production a sense of novelty and surprise, to make design familiar, getting away from the idea of products only for sector insiders”. Does design, as suggested by Design Real, have a social role? “Even the most banal product has someone behind it, who has invested commitment and sentiment. When it reaches the consumer, this message often gets lost: you can’t fully appreciate the importance of who did the thinking, of how it was done. Showing it in an exhibition means drawing attention back to its message. The social component is there, but it is not accented. Design is part of our life. Design and lifestyles have a mutual influence. This relationship has been so fully assimilated that it seems natural, it is taken for granted. Instead, there is always someone who has invested ideas, passion and work, even in the simplest things”. - Caption pag. 55 Above: Megaphone 12 06W Hand Grip, designed by Shin Azumi for Toa Corporation; Speedglas 9100 welding mask by 3M. On the facing page, from top: plastic footwear designed by Zaha Hadid for Melissa; Cora-Z fishhook by Cormoran; Ellan rocking chair designed by Chris Martin for Ikea. - Caption pag. 57 Above: Gregory table, which converts into a carpet, designed by Gregory Lacoua for Ligne Roset. Right, clockwise from top: Synergy pack designed by Ergonomidesign for BabyBjörn; EZ-TP electronic trumpet, designed by Toshihide Suzuki for Yamaha; overall view of the exhibition; Yang 2 lamp by Carlotta De Bevilacqua for Artemide;


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Vittorio Radice, CEO of laRinascente; Konstantin Grcic, curator of Design Real (photo Tibor Bozi). On the facing page: V2 Neck Jacket by Dainese. The image shows the inside of the Serpentine Gallery, facing Hyde Park in London.

GRANDI LEGNI CATALOGUE p. 58 text Andrea Branzi photos Ruy Teixeira From 10 December to 17 January, at the Parisian gallery of Azzedine Alaïa, the solo show by Andrea Branzi, Grandi Legni is a collection of large one-offs, made by the Milan-based Design Gallery and Nilufar. Around me, I can sense a sort of saturation of sugars, an environment packed with increasingly sophisticated objects, a semiosphere of signs, colors and materials that are not perishable, and do not evolve into something different. Maybe it is precisely this ‘Petrarchesque’ aspect of today’s design – as literary critics might put it – I am starting to sense in all its academic fragility, its capacity to cover the porous surface of the world with a chrome-like film, a world that is no longer the same as the one of the last century. Maybe it’s worse than the previous one, but it is certainly bigger, more complex, more profound. More Dantesque, if you will… This depth seems to be absent in 21st-century culture. Though the political philosophers have been talking for some time now about the existence of an empire, which from China reaches America, and a globalized market with no more boundaries, the nucleus of our design remains rigidly self-referential, developing a super-refined aesthetic, but one without substance, because it is lacking in the category of the sacred, of death, of the psyche. We have inherited an error, which consists in thinking that our culture originated in the industrial revolution, interpreted as the generative event of a new society, a new economy and a new language. This historical amputation has taken the meaning away from the past, cutting it off from the present, and deprived the present of meaning, cutting it off from the past. Attempts have been made to cure this syndrome with the theory of the ‘culture of memory’, or the cyclical resurfacing of a preindustrial world, made of historical styles and traditional values. But memory is never spontaneous, it is always the result of a voluntary act, a project; we cannot remember things we have not experienced. As Witold Gombrowicz said, “history is a black hole”: hence its charm and its mystery, that cannot be peddled on the market of styles. History guarantees no certainties and, in fact, increases our opacity. Contemporary society is based on a permanent state of amnesia in which I recognize myself, a state of organized absence of memory from which disjointed fragments emerge: I am more interested in what we have forgotten than in what we remember. The Grandi Legni come from this impossibility of distinguishing the past from the present: contemporary objects are already born as antiques, and those antiques belong to our contemporary condition. Both these categories, antique and modern, are utterly obsolete; time has flattened out, producing a compact shadow. This dark thickness of the material world is the thing that interests me most: the Grandi Legni are like archetypal structures on which other languages rest, like a crucible where everything melts and blends to create a new alloy. In this sense, I have often thought about the Pisan Cantos of Ezra Pound, where the history of the ancient Chinese empires mingles with Dolce stil novo, without following a narrative plot, swept away by the power of poetry. Or the music of Jimi Hendrix, that burns and regenerates everything, like a sacred flame. These mysteric, catatonic wooden installations are not furnishings, because they call for an empty, indifferent space around them, available for any activity. They do not organize the environment, they empty it. They do not belong to the world of art, because they are structures that can be freely utilized, and their basis is entirely domestic. They are autonomous presences, and they find their meaning in this independence; neither design nor architecture, but partly design and partly architecture, going beyond both that “noble sentiment of indifference” of architecture, with respect to its interiors, and the objectual limitations of design. This is the point my work always focuses on; it moves between the sense of failure of architecture toward the everyday dimension of space, and the failure of design as a go-between toward the cosmic dimension of the world. This intermediate dimension is located in that empty, unexplored space, the gap between architecture and the object it contains, an empty space open to the biodiversity of the dead, but also of canaries, like the cave of the Cuman Sibyl, which instead of solving the riddles of life, creates new ones. - Caption pag. 59 In the images on these pages: Andrea Branzi, Grandi Legni, collection of one-offs, part of a recent phase of a long process of experimentation, in pursuit of the environmental archetypes that form the basis for the icons of the linguistic complexity of the contemporary world: the traces of history, technology, antique-modern art. - Caption pag. 61 On these pages: Andrea Branzi, Grandi Legni, collection of oneoffs, produced by the Milan-based Design Gallery and Nilufar, and shown from 10 December to 17 January at the gallery in Paris of Azzedine Alaïa (Rue de la Verrerie 18). The Grandi Legni are objects positioned halfway between wooden architectural installations and useful objects. In practice, they are object-structures that belong to a world in which the products of man converse with the spheres of the great narratives, religion, nature, the flow of time.

INtoday SUPER, MAXXI, ZAHA p. 62 photos Luke Hayes/courtesy studio Zaha Hadid text Matteo Vercelloni In Rome, Zaha Hadid opens the Maxxi, the National Museum of the Arts of the XXI century, her first work in Italy. At the same time, a major exhibition in Padua and two books on her work are making her a media phenomenon, who transforms every work of architecture into a contemporary symbol. Hailed as a gem for the Rome of the future, compared by Nicolai Ouroussoff, architecture critic of the New York Times, to an opera that would have pleased Pope Urban VII and Gian Lorenzo Bernini himself, the MAXXI has finally been built, following the traditional Italian way of doing things, namely with

gennaio-febbraio 2010 INTERNI exponential budget overruns (from 57 to 150 million euros) and far behind schedule. Opened in November, but without artworks, for the moment the Museum displays only itself, like a big sculpture, a brilliant landmark set down in the Flaminio district, between Via Masaccio and Via Reni. It is hard not to see some methodological similarities to the ‘Bilbao effect’ generated by the construction of the Guggenheim in that city by Frank Gehry in 1997, a ‘muscular’, seductive work capable of attracting tourists perhaps less interested in art than in the building itself. Actually the context of the MAXXI is quite different; Rome, as compared to Bilbao, is already a museum-city in its own right, and Hadid’s new structure seems to fit right in, rooted in the urban fabric, in close relation to the old military barracks that are now becoming part of the new, dynamic urban organism. In the MAXXI we can clearly see the idea of architecture that Zaha Hadid and her partner Patrick Schumacher, with the team of the London studio, are outlining in works built all over the world. Architecture confronts the landscape and generates paths, varied viewpoints that are connected in a seductive spatial and volumetric continuum. “Architectural space should be a place where people feel good, like being in a natural landscape. This is true luxury, independent of cost; a space that transmits emotions, that develops visions” (Z.H.). Winner of the Pritzker Prize 2004, Zaha Hadid offers Rome a building conceived as a large, complex urban sculpture composed of bands of exposed concrete that intersect and gather to form spaces for art, where the white and gray of the walls are joined by a black metal staircase floating in space against a luminous backdrop rises in the large foyer to reach the exhibition spaces. The lobby is open to the city with a portico and large windows that make it a sort of sheltered plaza from which to find other internal perspectives, where the large sinuous spaces of the system of galleries will host the artworks. Continuous spaces that form a sort of enveloping architectural path that ‘concludes’ in an overhanging volume from which to observe the city. Galleries like fluid, interconnected spaces, topped by seamless skylights that can be darkened, and by mobile sunscreen panels regulated by timers to vary the lighting effects, in a flexible orchestration to respond to the needs of different exhibitions and installations. The museum as an artwork in its own right has raised some critical eyebrows; Paolo Portoghesi has described it as “a building that does not express its function. It is ugly outside and interesting inside, but in the same way that a highway intersection is interesting. A dynamic element without movement becomes static”. But the final verdict will come from the public and the media. The first signals of the museum as attraction and revitalizing force have already arrived, from the real estate prices in the area, boosting the value of apartments that have a view of the complex. At the same time, in the context of the 4th edition of the Barbara Capocchin International Architecture Biennial in Padua, Zaha Hadid was the guest of honor, with a large exhibition on the work of her studio in the spaces of Palazzo della Ragione (until 1 March 2010). The potential energies identified by Hadid take form in the installation solution, a landscape of undulated shapes that seems to trigger a centripetal movement and constantly shift. A design of volumes, in relation to artistic presences, frescoes and sculptures in the space. The blocks, of varying shape and connected in a single, unified symphony, generate a series of ‘thematic islands’ capable of illustrating the complex program of “parametricism” applied by the studio of Zaha Hadid Architects in its works. Clusters and puzzles, fields and swarms, landscape and topography, waves, seashells and pods, lines, strips and networks, parametric research become the themes of an evolving path the exhibition in Padua attempts to illustrate. The catalogue (Electa editore 2009) now joins the major monograph published by Taschen (Hadid, Complete Works 1979-2009). Besides the exhibition, Zaha Hadid has designed, for the Biennial in Padua – which honored the Japanese architect Hikohito Konishi – the Table of Architecture, a macro object on an urban scale placed in Piazza Cavour, a wooden sculptural form used to host all the silkscreens of the projects taking part in the Architecture Prize, bringing the event ‘to the streets’, and therefore into contact with a wider audience. - Caption pag. 62 A striking view of the MAXXI in Rome, with the lit portico and the suspended 'belvedere', the compositional terminus of the complex progression of 'fluid bodies' containing the galleries of the museum. - Caption pag. 65 One of the galleries with continuous skylights set between the curved concrete beams. The natural light can be regulated to adapt to the needs of the exhibitions. The dizzying compositional effect achieved in the entrance lobby by the system of the suspended stairs. The staircase in black metal, against a luminous backdrop, emerges like a sculpture in contrast with the gray and white of the enclosure. The Italian company Kerakoll Design, of the Kerakoll group, made the 10,000 sq meters of continuous flooring in Cementoresina® 02 color from the Cool collection, using the Glass texture. - Caption pag. 66 The ‘Table of Architecture’ designed by Zaha Hadid for the Fourth Barbara Capocchin International Architecture Biennial in Padua. The wooden sculpture placed in the central Piazza Cavour hosts, on part of its surface, reproductions of the projects selected for the competition. Images of the retrospective exhibition on the work of the studio Zaha Hadid Architects, at Palazzo della Ragione in Padua.

INdesign INcenter MULTICOLOR p. 68 by Nadia Lionello The magic of color becomes balance and proportion, giving rise to dynamic decorations and chromatic contrasts organized in lines and figures. - Caption pag. 69 On the facing page, Falling Leaves by Antonella Negri for Nodus, a pure Himalayan and New Zealand wool carpet, knotted by hand (in Nepal), available made-to-measure, in silk and silkwool blend. Misstrass by Mauro Marzolli for Façon de Venice by Light4, a chandelier with octagonal methacrylate rings in different colors, for free composition on the steel structure. Yellow S30 by Fredrik Matson for Blå Station, a chair with wooden structure, upholstered and covered with cloth or leather, in three colors and different heights, upon request, with steel base. XXX by Johanna Grawunder for Glas, a small table whose base


INTERNI gennaio-febbraio 2010 is made with six panes of glued tempered glass, in pink, orange and yellow, with round top available in one of the three colors. Background: Neo-Geo cobalt blue and topaz yellow, by Démesure, 60x60 cm porcelainized gres tiles from the Énergie Graphique series. Caption pag. 71 On the facing page, Lego Bricks sculpture by Giles Miller of Platform10 (product design department) of the Royal College of Art, made for the exhibition Crisis Shop - Sold Out (photo Giacomo Giannini). Snake by Carlo Contin for Meritalia. Table with eight or five surfaces in steel, painted in different colors, on jointed metal structure. Proust Geometrica chair (designed in 1978, produced by Cappellini since 1993) in the new version covered with cotton fabric, by Alessandro Mendini. 36e8 by Daniele Lago for Lago. Freely configured modular system in painted wood with doors in shiny glass, in a range of colors. Spin by Marcus Benesch, swiveling corrugated cardboard tables with ball bearings and top covered with Colornori wallpaper, and shiny Rapoxy finish. Background: Mendini Collection by Seves Glassblock, 19x19 cm blocks of smooth glass in bright colors with metallized finish. - Caption pag. 73 On the facing page, Cadeira Deliciosa by Fernando Jaeger for Ofício, a stackable chair, also for outdoor use, in painted steel and sheet metal (photo Simone Barberis). Goccia di luce by Stefano Papi for Slamp, hanging lamp in Opalflex®. RL3 by Ross Lovegrove for Knoll Studio, a collection of tables with tubular metal base, painted in the multicolor version with rectangular Starphie glass top. Coat Tree by Side Werner (1971) for Fritz Hansen, in steel tubing, for a new multicolored painted version. Paradise Tree by Oiva Toikka for Magis, coat rack for kids with internal steel structure and polyethylene parts (background photo by Alice Pedroletti). - Caption pag. 74 Karim Sutra by Karim Rashid with FeliceRossi, seat made for the exhibition Red Light Design in Milan (photo Nicoló Lanfranchi). On the facing page, PXL by Frederik Mattson for Zero, hanging lamp in painted aluminium. Tapas by Lagranja for Emmebi, multi-use container in white painted oak, doors covered in different colors of felt for free compositions, in three different sizes. PHC by Piero Lissoni for Boffi, column washstand with Estelle decorative motif by Missoni Home, made with DuPont™ Corian® colors. Take it by Markus Benesch, stand in layered material by Starton. Background: natural stained ash wood veneers by Tabu.

WORKSITES p. 76 editing Nadia Lionello photos Simone Barberis An extraordinary location for ideal environments: spaces in progress of the new fair offices at Rho. In the unusual setting of the horizontal tower, furnishings from the latest generation stand out decisively, thanks to their particular qualities. - Caption pag. 76 Airtable, fan-table in moulded metal, painted black, with 200W power supply, by Lorenzo Damiani for Campeggi. Lisa chair with upholstered structure, covered in Loire velvet or leather, by Laudani&Romanelli for Driade. On the facing page, Sextans floor lamp with structure in painted metal tubing and fabric shade in three colors, by Mr Smith Studio for Calligaris. Tartan stackable chair with structure in chromium-plated steel tubing and woven cowhide, by Francesco Rota for Frag. Dahlia round pure wool carpet, in three sizes and colors, by Claydies for Normann Copenhagen. - Caption pag. 78 Cocoon chair covered in hemp with ostrich-skin texture, additive-free polystyrene filler, by Francesca Madera for plus+creativity. Platone stackable complements in solid natural or mocha ash, combined with parts in marble, by Jeff Miller for Cerruti Baleri. On the facing page, Edomadia credenza in glossy painted wood, base in chromium-plated steel, by Giuseppe Bavuso for Alivar. Inchino lamp in metal tubing, painted black or white, with metal base, by Antonino Sciortino for Busnelli. Lemma collection of component chairs in plywood and natural or black-stained solid beech, by Dominique Perrault + Galle Lauriot-Prevost for Sawaya & Moroni. - Caption pag. 80 BHS chair with pregalvanized rustproofed and painted steel, seat in plasticized fabric for outdoor use, by Ilaria Marelli for Coro. Ensombra parasol with galvanized iron base and pole in thermocoated stainless steel, available in six colors, by Ododesign for Gandia Blasco. On the facing page, Art Paesage carpet composed of 60x60 cm modules, in regenerated cowhide with different colors, stitched together and mounted on skidproof neoprene, by Riccardo Fattori for Antonio Lupi. Overdyed lounge chair in hand-stained beech plywood, structure in painted rod, from the Successful Living collection by Diesel with Moroso. Work lamp in steel wire, plated with silver or gold, and opalescent bulb, by Form Us with Love for Design House Stockholm.

INproject GREEN CREATIVITY p. 82 photos Carlo Pozzoni text Tersilla Giacobone Fourteen up and coming designers, seven design-oriented companies, two tutors of proven talent. The results: extraordinary furnishing objects made with waste materials. Zero-impact design is possible. The input comes from ComOn, the initiative of a group of young entrepreneur from Como to identify and support the most promising European talents in the fields of fashion, design and art. This is the first, very interesting system of creativity sharing, which in the design area included the work of 14 students and recent grads of the Milan and Como Polytechnic Institute and the IED of Milan and Turin, on the theme of recycling and ecosustainability. The prototypes made with waste materials of different types from seven design-oriented companies in the Como area were directly made inside the companies – Baxter, Gallotti&Radice, Lema, Living Divani, OMP Porro, Poliform, Unifor – with the help of their technicians and advice from Massimiliano Adami and Lorenzo Damiani: two talented tutors from the generation of emerging designers. The mission of the operation, as Taissa Buescu, the young Brazilian journalist and curator of the ComOn Design Exhibition puts it, “is to take best advantage of the intrinsic energies of already produced materials, transforming refuse into furnishings, and finding potential for new uses”. Reutilization of industrial

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scrap in a new production cycle passes, in this case, through the technique and rigor of industrial production, and sheds light on the creative capacities of young designers. The invitation to the opening of the show (12 October) at the Como campus of the Polytechnic was also creative: a plain industrial food tray filled with shavings, covered with cellophane and labeled with all the info on Creativity Week in Como. Scraps and leftovers of wood, aluminium, leather, brass, fabric were made available by the participating factories, along with the help of technical staff. The results can be seen in the prototypes that were produced in record time: a workshop of one week in which the two tutors had their hands full supervising all the work groups. They were tired on the evening of the opening, but satisfied with the results (and the smiles on the faces of the protagonists). The results were praised by the public, and above all by the heads of the companies that took part. Comparing these seven prototypes, the result of creative cooking with leftovers, to the products of the trademarks whose scrap provided the ingredients, at times one notices that the expressive standards of a company can be opened to greater pursuit of typological differentiation (less minimalist tables, handles with more identity, more extroverted chairs, sofas and cabinets). Observing the prototypes and their designers, on the other hand, we might also wonder why the Product Design discipline generates clearer results in the area of furnishings than it does in the Fashion&Textile sector. According to the tutors, who monitored the work of the seven teams step by step, the aspiring fashion designers, though with the handicap of less specific training, stand out over the long run for a more imaginative, hands-on approach than the more rigorous efforts of the future furniture designers. See for yourself! Free Seams Upholstered furniture covering using scraps of bovine leather. Project by Marcello Bonini, who took a degree in 2009, and Silviya Dimitrova, third year at IED Milan, Fashion&Textile major. Free Seams, which covers the Diner chair, a classic Baxter product, is made with scraps of Plume leather in the white ice color (thickness 1.4/1.6 mm) chosen from leftovers of industrial production cutting and rejected pieces of 94 types of cowhide and leather, natural, dyed or works, in thicknesses from 1.3 to 3 mm. The different forms of the scraps make the stitching create folds and shapes, giving the covered product a unique look. Foxide Extra-large handles made with scrap from industrial manufacturing of brass knobs. A project by Emanuele Caldarera, in his third year, and Mattia Frassinella, graduate in 2009, at IED Milan, Fashion department. Foxide comes from the excess material discarded during the process of forging brass in OMP Porro’s production of handles, knobs and accessories. In particular, the extra-large handle comes from the forging of knobs with a steel core. Every prototype uses 137 scrap pieces of brass, welded, polished and painted with transparent varnish. The structure, similar to a spinal column, underscores the organic, fossil-like appearance of the scraps. Measurements 25x10x75h cm, weight 9 kg. Teknik A divider made with panes of glass taken from leftovers of industrial cutting, a project by Giuliano Gregnanin and Luca Palazzo, third-year students at IED Turin, Fashion&Textile department. Teknik is a divider made with scrap from the working of glass, and with discarded or defective panes of different types, of the kind used by Gallotti&Radice for the production of furnishing objects. The divider rests on a trestle structure in shiny stainless steel tubing, covered with mirror glass. The remnants of transparent extralight and etched glass, in different sizes (width from 20 to 30 cm, height from 120 to 180 cm, thickness 10 and 20 mm), with various ground finishes, are layered with the reflecting surfaces outward, vertically staggered and connected by a system of belting. Measurements 120x40x160h cm. Rolling Up Component seating made with cutting remnants of 15 different types of fabric. Project by Milena Bolognesi and Stefano Contini, 2009 grads from the Milan Polytechnic/Como, department of Furniture Design. Rolling Up makes use of all the scrap materials of Living Divani, derived from the working of fabrics for upholstered furniture, including cotton and linen, decorated fabrics and technical materials. The remnants, in sizes of about 60x100cm and 60x50 cm, are assembled to form 144 upholstered cylinders that interlock on a base of polystyrene, felt and wood to form a seat. The different heights of the cylinders (from 22 to 52 cm) and the arrangement of the base create an undulated effect, like the shape of hills, for a maximum sense of comfort. Measurements 105x105x22/52h cm. Edges Table made with scrap from extruded aluminium sections of different sizes. Project by Daniela Sansone and Mattia Gualdi, third year students at IED Turin, Fashion&Textile department. The leftovers from cutting in the industrial production of Unifor to make aluminium office furniture are the starting point for the structure of Edges. It is made with scrap from the manufacture of the Naòs System desk. The scraps are assembled with airplane glue and welding. The sculptural effect of the legs supporting the transparent tempered glass top features angles and breaks in the aluminium, like a sort of materic explosion. Measurements 100x100x75h cm. ThisOrder Reversible cabinet made with scrap from the cutting of raw chipboard panels. Project by Chiara Napol and Patrizia D’Olivo, 2009 grads from Milan Polytechnic/Como, Furniture Design dept. ThisOrder comes from work in the Lema factory, offering the young designers scrap materials from furniture production. To make the prototype they used chipboard scraps with thicknesses of 19, 28 and 40 mm, to cut out rectangles of different sizes, combining them with PVC, ABS and wood composite borders. Then they polished them and waterproofed them with transparent matte varnish. The 34 pieces of the prototype are staggered in terms of width and height, to create storage compartments and shelves on all four sides. Measurements 100x45x71h cm. Segnalibro A table made with scrap for the working of different types of sheared wood. Project by Giulia Canotti and Alberto Ghiotto, 2009 grads from Milan Polytechnic/Como,


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Furniture Design dept. Segnalibro is a low table for the center of the room. The top is made with scraps from the heat-pressed layers of sheared oak used by Poliform as veneer on furniture. The structure is made with MDF panels, recycled from industrial production and painted white. The 45 slats of the top are made from 9 layers of sheared wood, first pressed, then cut into pieces measuring 60x0.5x3.8h cm, and then interlocked with separators to create different gaps. The slats can be removed to increase the gaps and permit use of the top as a magazine rack, a bookmark, a table. Measurements 90x80x32h cm. - Caption pag. 83 The facility of the Milan Polytechnic in Como, location of the exhibition ComOn Design Workshop in the context of the Creativity Week organized by Confindustria Como, thanks to the intuition of a group of young local entrepreneurs with the objective of making a European “hub of creativity”.

THE DESIGN OF MUSIC p. 88 by Maddalena Padovani “Preparativi per la pioggia” is the first CD by Lorenzo Palmeri. To keep the faith with his dual vocation as designer and musician, he has created a booklet containing nine different covers by well-known Italian designers, put together with the technique of kirigami. We’re not music critics, so we’ll leave it up to listeners and music experts to judge this CD of ‘highbrow pop’, as it might be defined, boasting collaborations with big names like Franco Battiato, Saturnino, Livio Magnani and Andy from Bluvertigo. But there are other aspects that make the first record by Lorenzo Palmeri (for release at the end of November on the NunFlower label) a product of interest for the world of design. It is an emblematic example of ‘crossover creativity’, the result of an attitude toward design that doesn’t move in one direction only, in one specific production sector or discipline, but ranges through all the zones of expression of contemporary life. Lorenzo Palmeri has always combined his activity as a designer with a taste for music. Since his days at the Milan Polytechnic he has studied musical composition, and later, when he began composing soundtracks for film and theater, he also emerged on the scene of New Italian Design thanks to shared design operations, like “16 designers for Invicta” and Milano Sound Design, and solo projects for a range of companies. “These are two callings”, Palmeri comments, “that have always alternated and often overlapped in a very soft, non-conflictual way. Whether it’s music or design, for me the process is always the same: I start with an idea, I make a rough draft, I develop the project, and in the end I look for someone who believes in it, to share this path”. This dual creative identity has already found its most representative field of expression in the design of musical instruments. These are objects conceived not just to optimize their function, but also to introduce new gestures, new ways of playing, new product typologies, clearly reflecting an anthropological-cultural vision that goes beyond design specialization. The Paraffina Slapster, for example, is an aluminium electric guitar produced by Noah, invented by Palmeri to emphasize the theatrical side of music making. It has an ‘eyehandle’ with which to grab the guitar and ‘wear it’, and a ‘tongue’ that allows for an unusual action of the elbow and the hand of the musician, generating new sounds. Thanks to the original performance and innovative design, this guitar soon became an object-icon, shown in design exhibitions and museums, and chosen by Lou Reed to use on one of his world tours. With his first solo CD Lorenzo Palmeri can now fully express his integrated music-design concept. From the composition to the playing, the presentation to the physical product, the design of the music happens on both the material and the immaterial scales. “Everything tends to dematerialize today”, the designer says, “especially in the world of music. I wanted to restore the meaning and nobility of the record cover, to give a physical consistency to the music, to recovery the artistic gesture that has marked the history of so many albums and artists in the past”. The gesture of Palmeri becomes that of many well-known names in Italian design. Paolo Ulian, Giulio Iacchetti, Matteo Ragni, Marco Ferreri, JoeVelluto, Odoardo Fioravanti and Gumdesign are the friends-designers Lorenzo has involved in the making of the cover, and the end-user is also a part of the creative process. Each listener is asked to make a drawing, with the sole constraint of respecting certain points of passage of the drawing made by the artist himself: an elastic. The principle is that of kirigami: when the sheets are cut into two pieces, horizontally, the user can turn the half-pages to mix and match half-covers, creating combinations. “In this game”, Palmeri concludes, “I see a sort of design metaphor. The elastic, a colorful, soft, flexible pop object, with a random form, represents the irrational element; it is countered by a horizontal, orthogonal, rigid line; the obligatory passages of the drawing express the limits that must be respected in any project. Finally, there’s participation: this is a work that has an individual but also a group character, because it takes form thanks to the intervention of many people”. - Caption pag. 89 Above, from upper left, the covers created by Odoardo Fioravanti, Sophie Usunier and Antonio Cos, Marco Ferreri, Gumdesign, JoeVelluto, Paolo Ulian, Matteo Ragni for “Preparativi per la pioggia”, the first CD by Lorenzo Palmeri (Edizioni NunFlower). On the facing page, the cover by Giulio Iacchetti. The elastic is the motif of the opening cover, designed by Palmeri. The various designs can be combined (see the instructions at the lower left), giving rise to new, amusing images.

INview HYPER-2D p. 90 by Stefano Caggiano Lines that bend, minimum thicknesses, volumes that seem to defy gravity. Design offers a new interpretation of the third dimension with objects that discard their weight, liberating formal evolutions suspended between the poetry of matter and the aesthetic phantom of mathematics. To begin, just sit down. If design is a magical-pragmatic action, thanks to which nothing will ever be the same again, even when nothing has changed, you can try to trust it once more, and sit down on nothing, without falling. CHAIR by Benjamin Claessen is a seat designed like an automobile, with precise touches

gennaio-febbraio 2010 INTERNI and quick caresses that scatter in the wind and reject the inevitability of the ground. Like sitting on an object that doesn’t exist, or on one of its many meanings generated by the perseverance of a design that does not produce objects, but seduces them. Angel by Gry Holmskov, Gaudí by Bram Geenen; seats that seem to reverse the gravity vector like a glove, taking on a negative weight: +3g, +2kg, +1gk, 0kg, -1kg, -2kg, -3kg... Numbers, after all, are not all equal. While it is true that many pieces of mathematics have a clear physical interpretation (infinitesimal calculus applied to the kinetics of bodies, trigonometry applied to that of waves), there are many others, like imaginary numbers, for which it is hard to find a real physical illustration. Yet thanks to this unresolved, mysterious relationship (there are no circles and triangles in nature, but we use them to calculate nature’s behavior) we can construct planes that fly, computers that think, machines that feel. So the rigor of non-Euclidean geometries takes form in the design of a stool like the Nitton, by Karl Oskar, function fused in sculpture or dimensional curvature on which to perch and wait. Space can also bend, and here we see the Kami table by Ragodesign and Bysteel for Bysteel, a precise theory of right angles and terse cuts that establishes its own precariousness, making itself as unreal as geometry. The same precarious quality mixed with stability is also the conceit of the no. 7 stool by Kaspar Hamacher, an almost archetypal sign that betrays a contemporary passion for contradictions. Because the time in which we live is contradictory, fearing physical substance as a sign of inadequacy, while feeling nostalgia for it at the same time. This is why a specific practice (design) exists, that works to save matter from the indignities of gravity, elevating it to the poetry of form. And this is why, in an age in which products are made of antimatter (and bodies shrink in anorexia), constructing nostalgia becomes a lofty, refined art, whose exercise is required for aesthetics without utopia, that capture the dark side of beauty (the sense of inadequacy of physical status), reversing it into light, oxygen, and design. Design gestures that use the third dimension in an antispecific way, not for what it is, but for what it is not, pushing the second dimension to flex outward without invading the third, because that would mean giving volume and therefore weight, and here we are at the opposite extreme, suspended in a semiotic phantom made of objects that are not in 3D, but perhaps in Hyper-2D, dilated in another dimensional order that, like the secret blackness of milk evoked by Valery, has always been there, just waiting for the right time to surface. Afterwards, nothing has changed. But nothing will ever be the same. - Caption pag. 91 Below: the Angel stool by Gry Holmskov, produced by Skman Furniture. Right: CHAIR by Benjamin Claessen, inspired by the aerodynamic flows of car design, made with a gel laden with polyester fiber, moulded and finished by hand. On the facing page: the Gaudi stool by Bram Geenen, a slender carbon fiber shell crossed by a grid band-structure made with rapid prototyping techniques. The form is taken from the churches of Antoni Gaudi; the weight of the final product is exactly 1 kg. - Caption pag. 92 Two projects by Ragodesign for Bysteel: left, the Kami table in painted aluminium; above, the Kèdè stool in painted iron. On the facing page: above, the Nitton stool by Karl Oskar, made with thin layers of pressed wood, heat-assembled with ecological glue; below, the no. 7 stool by Kaspar Hamacher.

INproduction THE SUBTLE CHARM OF METAL p. 94 by Katrin Cosseta Iron, aluminium, steel, with minimum thickness. Raw industrial look sheet metal, oxidized or lacquered, new essentialism, with hard laser-cut edges and unexpected softness. - Caption pag. 94 1. Frida by Roberto Mora for Minottiitalia, bookcase in iron sheet, cut with lasers and painted white. 2. Kapì by Stefano Pirovano for the Bysteel collection by Gabellini, laser-perforated sheet steel table. 3. Skin by Paul Cocksedge for Flos, hanging lamp composed of two sheets of bonded stainless steel, bent at lower corner to reveal the LED light source. External finish in stainless steel, white or glossy black, internal sheets in gold, white or red. - Caption pag. 96 1. Ritmo Stento, from the Lamiere Crude collection by Raffaello Biagetti for Memphis, bookcase models in iron sheet. 2. Vasu by Mikko Laakkonen for Covo, stackable containers in bent, painted sheet metal, for varied floor or wall configurations. - Caption pag. 97 3. Blu, designed and produced by Nero3, bookcase composed of vertical elements and horizontal shelves in natural laser-cut iron sheet, treated with wax. Optional aluminium shelf trays, covered in leather. 4. Stay by Sergio Brioschi for Jesse, stackable modules in white or black sheet metal, on fixed or swivel base. 5. Irony wall rack by Maurizio Peregalli for Zeus, wall shelving with structure in natural pressed sheet metal, black phosphate finish, fixed with beeswax. 6. From the Natural collection by Alberto Basaglia and Natalia Rota Nodari for YDF, table in laser-cut steel sheet, painted with thermohardening powder or in natural iron finish. - Caption pag. 98 1. Agave by Diego Chilò for Panzeri, hanging lamp with shade composed of petals of white painted sheet metal. 2. Ora L by Roberta Savelli for Sphaus, sheet aluminium table in perforated limited edition. 3. Link by Nendo for Arketipo, tables in shaped sheet metal with scratchproof powder coating, in white and gray-beige. 4. Surfer’s chair by Giulio Iacchetti for Domodinamica, chair made with a single sheet of aluminium, cut with lasers and bent. 5. Insideout by Brian Rasmussen for Casamania, hanging lamp with shade composed of corrugated sheets of natural aluminium, or painted in a range of colors. 6. Bolle by Nathan Young for Living Divani, tables with tops composed of welded steel disks, coated with epoxy powders. 7. Cioccolata by Aziz Sariyer for Altreforme, bookcase in aluminium sheet with black cataphoretic finish. - Caption pag. 100 1. Hexagon by Nendo for Quodes, bookcase composed of stackable modules in steel and aluminium sheet, powder-coated in white or black, or in other colors upon request. 2. Librespiral by Gerardo Marì for Danese, small bookcase on wheels with structure and shelves in monotone or two-tone painted sheet metal. Caption pag. 101 3. Doit by Andrea Radice and Folco Orlandini for Caoscreo, bookcase in shaped sheet metal, painted white, red or black. 4. Pets tables by Claesson Koivisto Rune for Busnelli, partially stackable tables of different heights, in sheet metal with white, black, brown, gray, red and dark brown paint finish.


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