Interni Magazine 614

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INdice/c oNte Nts settembre/ september 2011

INterNIews INitaly 29

IN copertINa: gli affascinanti intrecci della cupola del palazzetto dello sport di roma progettato da pier luigi nervi (1956-1957) simboleggiano graficamente gli ‘incontri virtuosi’ del design italiano contemporaneo raccontati in questo numero: quelli tra designer e imprenditori, tra ‘vecchie’ e nuove generazioni del design, tra prodotti italiani e mercati internazionali. oN the cover: the FasCInatIng webbIng oF the dome oF the palazzetto dello sport In rome desIgned by pIer luIgI nervI (1956-1957) graphICally symbolIzes the ‘vIrtuous enCounters’ oF ItalIan Contemporary desIgn narrated In thIs Issue: between desIgners and entrepreneurs, between the ‘old’ and new generatIons oF desIgn, between ItalIan produCts and InternatIonal markets. (foto di/photo by mario carrieri)

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tendenze cersaie

dall’italia al giappone con amore/From Italy to Japan, wIth love terra madre/mother earth ceramica&legno/CeramICs & wood la forma del caldo/the Form oF warm acqua virtuosa/vIrtuous water in bianco e nero/In blaCk and whIte revival azzurro/blue revIval all in one neo-retro mapetherm tile system 75 produzione product Io N l’eredità dell’arco/the arCo legaCy a schema libero/Freestyle acqua a comando/water In Control l’essenza della luce/the essenCe oF lIght 85 project driade: nuovi protagonisti/new protagonIsts mdf: l’eccellenza premiata/exCellenCe has Its rewards lapalma: dna doc/CertIFIed dna pedrali: italian pride variegate partnership per lo ied/varIed partnershIps For Ied 94 scuole small objects alla/at naba 97 fiere fa Irs la prima volta di/the FIrst tIme For abitami marmomacc 2011 102 eventi eve Nts progettare con il marmo/desIgnIng wIth marble the urban garden party/the urban garden party 109 showroom alessi shop resort laminam in brera la biblioteca dedar/hermès/the dedar/hermès lIbrary 117 workshop italian workshop design 2011 121 premi prIzes premio per l’innovazione 2011/prIze For InnovatIon 2011 xxii compasso d’oro 124 anniversari aNNIver sar Ies parà: 100% made in italy 153 giovani designer you Ng des IgNers studio klass

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indice/cont Ents ii

mostre Exh ibitions roma: brazilian baroque collection roma: il palazzo della farnesina e le sue collezioni/and its ColleCtions pecHino: creatiVe Junctions/in Beijing capri: alla/at the certosa di san giacomo Venezia: in tHe mood for art 183 sostenibile sus tainability ViVere sostenibilmente è faticoso?/is sustainaBle living hard work? 188 food design sapore di terra/a taste of earth sapore di mare/a taste of sea 191 in libreria in books tor Es 197 cinema 201 fashion file il pantalone si rinnoVa/update your trousers gioielli animisti/animist jewelry 205 info&tech dieci forze per il marketing/ten forCes for marketing 156

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inservice 209 246

traduzioni translations indirizzi firms dir Ector

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intopics 1

editoriale Editorial di/By gilda boJardi

introduzione 2

il design nell’epoca post-fordista dEsign in th E post- f ordis t Era foto di/photos By studio azzurro testo di/text By andrea branzi

interiors&architecture 4

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5+1AA progetti italiani/italian proj Ects progetti di/design By alfonso femia, gianluca peluffo foto di/photos By ernesta caViola testo di/text By matteo Vercelloni maestri

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luigi clemente molinis, il design dell’inquietudine t h E dEsign of r Est l Essn Ess di/By Virginio briatore

international&italian 16

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un modello vincente/a winning mod El di/By cristina morozzi interiors&architecture

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parigi, il nuovo ristorante dell’opéra garnier

paris, th E nEw r Estaurant of th E opéra garni Er progetto di/design By odile decq/odile decq benoit cornette arcHitectes urbanistes foto di/photos By roland Halbe/odbc testo di/text By antonella boisi

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mestieri italiani/italian

t rad Es di/by nadia lionello foto di/pHotos by simone barberis, guido clerici, efrem raimondi, paolo Veclani

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indice/contents

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progetto&industria 38

designer chiama imprenditore

Designer s in search of an entrepreneur di/by Valentina CroCi

incenter 48 30

architetture domestiche/Domestic arch itect ure di/by nadia lionello foto di/photos by simone barberis maestri&eredi

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quale futuro/What

Will the fut di/by Cristina morozzi

ure bring?

le nuove sedi

le imprese in scena/companies on s tage a Cura di/edited by antonella boisi

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64 1. matteograssi headquarter nel raCConto di/in the words of massimo grassi, piero lissoni foto di/photos by beppe raso 70 2. glas italia headquarter nel raCConto di/in the words of lorenzo arosio, piero lissoni foto di/photos by Cesare Chimenti 74 3. bonaldo showroom nel raCConto di/in the words of albino e/and sabrina bonaldo, mauro lipparini foto di/photos by paolo golumelli 78 4. magis headquarter nel raCConto di/in the words of alberto perazza foto di/photos by tom VaCk

incenter 82

total metal di/by katrin Cosseta foto ed elaborazione immagini di/photos and image processing by gianni ed enriCo ummarino

presente&futuro 64

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fabbrica Italia/italian

f actory

di/by rosa tessa

inproject 98

antonio cos, dĂŠjĂ vu di/by stefano maffei foto di/photos by max rommel

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vincenzo de cotiis, senza tempo/timeless testo di/text by antonella galli

inservice

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traduzioni translations

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indirizzi firms Director

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di/by adalisa uboldi

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INtopics / 1

EDiToriaLe

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ettembre è per INTERNI, ormai da qualche anno, un appuntamento di approfondimento critico. Speciale. Anche nel titolo: nel 2009 Design Thinking, nel 2010 Design Networking, oggi parliamo di Italian Creative Junctions, inquadrando il macro-tema delle relazioni virtuose e creative che caratterizzano il sistema design italiano nel mondo, declinandolo come momento di riflessione, con una serie di direzionalità biunivoche. Lo stesso tema viene rappresentato a livello internazionale nella grande mostra che, come curatore, sono stata chiamata a realizzare, dal 28 settembre al 17 di ottobre a Pechino, al National Museum of China in piazza Tienanmen. Storicamente il design italiano si è sviluppato, infatti, grazie al carattere di forti interconnessioni tra i suoi protagonisti: progettisti, artigiani e imprenditori. Una rete di stretti rapporti che ne costituisce la struttura e la chiave di volta del successo a livello internazionale. E se la specificità di queste relazioni è il valore aggiunto delle aziende del design italiano, a partire da questa consapevolezza, abbiamo chiesto a una rosa selezionata di designer stranieri di raccontarci la loro esperienza. Abbiamo poi invitato diciotto imprenditori italiani a svelare le nuove sfide e gli obiettivi che l’industria nazionale affronta quotidianamente sul mercato globale e monitorato dieci giovani progettisti ad esprimere quesiti e perplessità riguardo alle dinamiche più o meno efficaci del rapporto personale e professionale con la figura dell’imprenditore. Infine la dimensione di dialogo e scambio generoso tra maestri e allievi: dieci affermati designer italiani presentano altrettante giovani promesse; forse anche per immaginare un futuro migliore, nell’anno delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia. MassiMiliano adaMi, italia specchiata, contenitore a specchio/mirror box, Gilda Bojardi zerodisegno limited edition.

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IL DesIGn NeLL’ePoca PosT-ForDIsTa testo di Andrea Branzi

ImmagInI dell’allestImento Ideato da studIo azzurro per la mostra fare gli italiani. 150 anni di storia nazionale, percorso multImedIale presso le offIcIne grandI rIparazIonI dI torIno, In scena fIno al 20 novembre 2011. a cura dI Walter barberIs e gIovannI de luna, è una realIzzazIone dI cIttà dI torIno e comItato ItalIa 150 con la collaborazIone produttIva del teatro stabIle dI torIno (foto studIo azzurro).

S

appiamo da tempo che la presenza di progettisti stranieri che operano felicemente per le industrie italiane sta crescendo in maniera esponenziale. In questo numero di Interni ne vengono citati alcuni, ma potremmo dire che tutti i migliori designer stranieri sono presenti sul nostro territorio produttivo. Questa non è una novità assoluta e personalmente considero questo fenomeno ‘positivo’: se i giovani designer italiani trovano difficoltà rispetto alla concorrenza straniera i motivi possono essere due. Il primo consiste nel fatto che essi stanno cominciando a indagare merceologie che non coincidono più con quelle del mercato tradizionale

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(poltrone e divani) e questo è un fatto sicuramente positivo. Il secondo motivo potrebbe derivare dal fatto che i loro divani e poltrone sono meno attrattivi di quelli offerti dai designer stranieri; non esiste nessun possibile protezionismo rispetto a questa debolezza. I giovani italiani devono svegliarsi e capire che è arrivato il momento di uscire dal labirinto di un mercato troppo saturo e concorrenziale, rischiando nuovi territori. La lezione quindi potrebbe essere positiva… Del resto i designer stranieri devono il loro successo a una strategia analoga; a partire dagli anni ’80 hanno sfidato il predominio italiano a loro rischio e pericolo e il mercato industriale ha dato loro ragione. Del resto la globalizzazione comporta una sfida continua e gli imprenditori che ‘internazionalizzano’ il loro catalogo fanno un’operazione sicuramente legittima e benemerita. L’ ‘internazionalizzazione’ del design nell’epoca dei mercati globalizzati rappresenta una questione importante e delicata; il ritorno dopo quarant’anni a un International Style non è

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introduzione / 3

La domanda è ques ta: cosa s ta succedendo ne L design ita Liano ne LL’epoca d eLLa globalizzazione, deL lavoro post-fordista e deLLa politica auto-riformista? a una prima verifica superficia Le, La rispos ta è: niente di nuovo… a una verifica più approfondita La rispos ta cambia: Lentamente emergon o scenari molto diversi da que LLi deL XX seco Lo

sicuramente accettabile; ma i ‘non luoghi’ (aeroporti, stazioni, ipermercati, metropolitane…) sono già oggi delle ‘cattedrali atonali’ diffuse in tutto il mondo. Luoghi catatonici che abbattono qualsiasi diversità, qualsiasi emozione culturale: efficaci, eleganti, algidi, sostanzialmente interscambiabili tra di loro. L’ipotesi di un ‘mix eclettico’, che produce un frullato di stili locali è almeno ridicola; un ‘sincretismo’ che accetta di inglobare tutte le possibili differenze culturali ammortizzandole in un meticciato generale, è forse la peggiore ipotesi. Il design nell’epoca della globalizzazione potrebbe essere esattamente il contrario di tutto questo: rispetto a quello del XX secolo potrebbe essere meno aniconico, più figurativo e contaminato, meno autoreferenziale, attento ai venti che giungono dall’Oriente (Cina, India, Giappone), e soprattutto capace di confrontarsi con i grandi temi antropologici: la morte, la storia, il sacro, il destino, l’amore. Temi che corrispondono a quella piattaforma umana presente in ogni angolo dell’Impero. Il design si è sempre tenuto lontano da queste

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tematiche, impegnato a confrontarsi con le politiche per i tempi brevi del marketing, a elaborare scenari domestici eleganti, a usare le tecnologie avanzate; ma se guardiamo la storia del design italiano come di quello occidentale, vediamo che ha attraversato tutto il XX secolo, due guerre mondiali, gli stermini di massa, le grandi dittature, il crollo delle ideologie, la crisi della modernità, senza dimostrare nessun turbamento: sempre ottimista, sempre intelligente, indifferente al mondo. Un tempo per indicare il cinema disimpegnato ed elegante qualcuno inventò il temine (geniale) de “il cinema dei telefoni bianchi”… Mi sembra che questa sorta di ‘intervallo della storia’ nel quale il design occidentale si è posto fino dalla sua nascita, comincia a manifestare qualche crepa. Durante l’ultimo Salone del mobile si sono visti per la prima volta segni sparsi di inquetudine: citerò la mostra Cruciale di Giulio Iacchetti al Museo Diocesano sul tema della croce; la mia mostra a Palazzo Durini Immersion sul tema della croce e dei recinti per gli animali e Nature Morte alla galleria di Clio Calvi e Rudy Volpi sul tema della morte; la grande mostra collettiva in

Triennale Bovisa Independent Design Secession con Michele De Lucchi, Michelangelo Pistoletto, Lapo Lani e altri designer. Non si tratta della riscoperta di vocazioni mistiche o religiose; al contrario, di progetti assolutamente laici che cominciano a guardare gli smisurati universi che la ‘modernità bianca’ (come i telefoni) ha sempre ignorato e che appartengono a un mondo che preme attorno a noi, con la sua urgenza di irrompere nei circuiti sacri del progetto. Verdura, ombre, canarini, legni antichi, assi bruciate: mi ricordano i grandi vassoi pieni di pesci, frutta, cacciagione, cani e gatti che alla fine del XVII secolo irruppero sulle tele, a testimoniare nella maniera più vitale che le clausure del Rinascimento erano finite… Secondo me la risposta del design alla sfida della globalizzazione può essere quella di un maggiore realismo, una compromissione e una contaminazione con tutto ciò che la modernità ha escluso. Meno purismo, meno minimalismo, memo eleganza e una nuova ‘drammaturgia’, che si predispone ad affrontare i tempi difficili che ci attendono: l’intervallo è finito e il lieto fine non è più garantito.

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5+1AA progetti it alian i foto di Ernesta Caviola testo di Matteo Vercelloni a cura di Antonella Boisi

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interiors&architecture / 5

spazio urbano

materia

cont rappunto Rifiutano ogni verità precostituita e son o lontani dal peRsegui Re uno stile; alle ‘esibizioni muscolari’ di aRch itett uRe spettacola Ri e auto Ref eRenziali preferiscono l’ ascolto delle storie dei diveRsi luoghi e contes ti cui RispondeRe con un linguaggio libero e contemporaneo, deciso e a volte surreale. pe Rché pensan o all’ architettura come “strumento peR Raggiunge Re la conoscenza del reale” e migliorarlo progetti di 5+1AA Alfonso Femia, Gianluca Peluffo

officine grandi riparazioni ferroviarie di torino. progetto architettonico e paesaggistico di riconversione in spazio polifunzionale, in occasione delle celebrazioni del 150° dell’unità d’italia. realizzato con studio pession associato (concorso 2009, realizzazione 2010/2011). l’intervento realizzato è costituito dai due spazi esterni, la ‘piazza aulica’ di ingresso (in rosso), la ‘piazza popolare’ (in verde) e dagli spazi di distribuzione e comuni interni (in bianco). sul grande suolo rosso, il mistero della grande freccia che torna inspiegabilmente su se stessa (omaggio ad osvaldo licini), il banco di acciughe in ceramica, opera di danilo trogu che, come nature morte di de pisis, indicano la direzione. l’esperienza della sorpresa sottolinea la realtà del luogo, la sua monumentalità operosa, la dimensione delle celebrazioni di una repubblica, nel percorso di mimesi e conoscenza.

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5+1aa , progetti italiani / 7

generosità “ogni architettura è pubblica, perché crea un luogo pubblico, rappresentazione di una cultura. e deve res tit uire bellezza e piacere come dialogo e sentimenti condivisibili di democrazia e socializzazione”

la ‘Torre orizzonTale’ firmaTa insieme a Jean-BapTisTe pieTri per sviluppo sisTema fiera di fieramilano. la facciaTa venTilaTa in fiBrocemenTo è realizzaTa da Cel.MaC.S. per swisspearl®.le veTraTe in oro sono faTTe con un maTeriale coloraTo in massa, colore su colore, TinTa speciale gold, prodoTTo da VetrobergaMo. pagina a fianco, ludoTeca e BiBlioTeca, casarza ligure: la parola, la poesia di gianni rodari come cosTruzione e dono per il mondo infanTile. con leTTering in lamiera di Manfroni arredi MetalliCi e leTTere in ceramica di la casa dell’arTe di danilo trogU.

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L’

idea di un sommergibile, di uno spazio silenzioso che avanza sotto il filo dell’acqua lontano dal ‘rumore’, ripreso sia per il sito web sia per la loro monografia narrativa, appare come la metaforica sintesi di un modo di procedere, dove il progetto di architettura è frutto di una meditazione lenta che porta a soluzioni specifiche declinate luogo per luogo, nei diversi contesti urbani e paesaggi incontrati. Non si tratta però di mitigare e contestualizzare dal punto divista stilistico e figurativo l’intervento di architettura, piuttosto di lanciare – se vogliamo rimanere all’interno della metafora navale – dei benefici ‘missili’ architettonici, segni precisi e contemporanei, nel paesaggio al fine di attivarne processi di riqualificazione e di confronto. Così, come dimostrano i progetti che presentiamo in queste pagine, nel percorso progettuale dei 5+1AA

è inutile cercare di trovare un motivo architettonico ripetibile, una sorta di grammatica riconoscibile e ripetuta in chiave ideologicoprogrammatica. Piuttosto si nota in modo esplicito una grande libertà espressiva che non significa un ritorno nostalgico alla stagione di un rinnovato eclettismo, ma l’adesione al ‘principio della specificità’. Significa affrontare appunto casi e problemi progettuali diversi tra loro e rispondere ad ognuno in modo diverso, rifiutando l’eredità modernista dell’universalità concettuale e di soluzioni precostituite dal punto di vista compositivo e ideologico. Nel descrivere il loro modus operandi Femia e Peluffo parlano di “polifonia”, una risposta polilinguistica declinata da un atteggiamento adattivo che ascolta, analizza e assume il processo progettuale come momento di conoscenza restituito in forma costruita.

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palazzo del cinema, venezia lido, opera in fieri, con rudy ricciotti: la grande facciata vetrata ad ala di libellula, come ricerca di piacere e di appartenenza.

pagina a fianco, officine grandi riparazioni, torino: gli spazi interni comuni: il dialogo “tra un eroico corpo ferito e un’idea di festa, fatto di cicatrici non sfiguranti, di medicazioni buone (acciaio, plastica, cartongesso, tutto bianco) e di un’illuminazione povera e festosa, fonte di allegria”.

c orpo “per seguiamo l’id ea di un’architettura che sia corpo, che cerch i il piacere, che abbia fisicità, sensualità, soggettività ed unicità per poter si relazionare ed evitare il monologo. come un corpo sessuato. portatrice quindi di incontro/dialogo/ polifonia/visione/realtà” Un atteggiamento verso il progetto che ci sembra interessante e significativo proporre in questo numero della rivista dedicato all’italianità, offrendo questa selezione di ‘progetti italiani’ in cui emerge un atteggiamento aperto alla libertà espressiva e ben rapportato al carattere dei luoghi, siano essi edifici esistenti in cui operare per elisioni, aggiunte e completamenti, sia che si tratti di opere ex novo al margine dei tessuti edificati, o nuovi brani urbani calibrati nei diversi contesti. Si tratta di un procedere per variazioni, dove il dubbio e la sua soluzione si contrappongono a percorsi propri ad alcuni filoni dell’architettura contemporanea: decontestualizzazione, propensione alla spettacolarizzazione iconica dell’edificio in sé, esaltazione dello stile linguistico. Tutto questo è sostituito dai 5+1AA da alcuni termini-guida che servono a raggruppare e a unire tra loro le diverse opere costruite: “Generosità”, cioè condivisione e pensiero che ogni architettura è ‘pubblica’ in sé;

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“Corpo”, rapportarsi all’esistente con la propensione al dialogo e al confronto, evitando il monologo e l’autismo; “Meraviglia”, più che esaltazione della soluzione formale uno sforzo di ritornare a vedere la realtà e svelarne il senso attraverso la sua conoscenza. Così nella seppure breve selezione proposta possiamo cogliere per punti il ‘procedere all’italiana’ di questo studio di architettura; un percorso polifonico appunto dove senso e passione per lo spazio urbano, per la materia dell’architettura e per il gusto del calibrato contrappunto, temi forse suggeriti dalla loro città – Genova fatta di stratificazioni e dove in un “orgoglioso disordine di edifici regna il genio della metamorfosi” (così come scriveva lo storico Jacques Guillerme) – che emergono in stretta relazione all’interno di un susseguirsi di occasioni progettuali tradotte sempre in differenti soluzioni di architettura. A Torino nelle Officine Grandi Riparazioni si assume il manufatto urbano come risorsa e il suo riuso, seppure temporaneo, si riconduce all’idea della piazza popolare, della festa (quella dei 150 anni dell’Unità d’Italia) con una grande ‘bandiera’ tricolore costituita dalle corti interne coperte con tappeti materici rossi e verdi tra loro separati dal corpo bianco dello spazio informativo e di accoglienza alle mostre organizzate negli antichi spazi di lavoro. Questi rimangono nella loro immagine di archeologia industriale, enfatizzati per monumentalità e memoria dal bianco della luce e dalle essenziali modifiche funzionali; come gli archi metallici che sostengono le nuove aperture dei percorsi interni necessari ai flussi dei visitatori.

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5+1AA, progetti it Ali Ani / 9

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“Non HA NULLA A CHE FARE CON LA ricerca DI consenso E DI spettacolarità, BENSÌ È LO strumento PER ritornare A vedere LA realtà SENZA RINUNCIARE a immaginare UN futuro. Migliore”

MeravIGLIa

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5+1aa , progetti italiani / 11

il museo del giocattolo, cormano, realizzato con area progetti: il ‘grande animale’ misteriosamente caduto da rousseau e da salgari nell’hinterland milanese, richiama grandi sogni infantili. il modello in ceramica di un’architettura (realizzato da danilo trogu) svela l’anima del progetto e la sua matericità. frigoriferi milanesi, milano: la grande facciata rossa su via piranesi ed i grandi neri, oltre il grigio universale.

Un riuso più che un allestimento, un progetto che tende a sottolineare la “sensazione di appartenenza” a una storia non troppo lontana dove il lavoro appare protagonista nelle tracce del luogo. A volte un atteggiamento ‘narrativo’ si miscela agli spunti del progetto come nella Ludoteca e Biblioteca di Casarza Ligure, in cui la nuova scala di sicurezza che si affianca all’edificio restaurato diventa occasione per sperimentare un racconto da regalare in forma costruita ai giovani frequentatori: la scala è ingabbiata in una ‘trama letteraria’ dove scorrono le parole di Gianni Rodari in un alternarsi di lettere di lamiera bianca e ceramica rossa. Un’architettura tutta da ‘leggere’ che, per contrappunto ed esplicito confronto, si affianca all’edificio esistente nelle vesti di un piccolo ‘mediabuilding’ dal sapore tutto italiano. Ad alcune nature morte di Giorgio Morandi si riferisce invece la riuscita tavolozza cromatica definita per il progetto residenziale di ricostruzione a San Giuliano di Puglia nel Molise. In questo paese, sfregiato dal terremoto, la ricomposizione di un isolato urbano si propone in forma compatta dove però nessuna casa è identica all’altra. Una ‘diversità nell’unità’ risolta con l’uso del colore e di sagome variabili che in chiave contemporanea rispondono all’idea antica del borgo. A Milano due opere affrontano temi attuali e di diversa scala: la riforma dell’edificio dei Frigoriferi Milanesi che accende di rosso le anonime facciate e restituisce alla città una figura rinnovata anche negli interni; mentre al lato opposto della città, al suo margine segnato dal nuovo polo fieristico, un edificio dorato si pone come segno mutevole che segue le ore del giorno. La Torre Orizzontale “è un enigma in forma di edificio che ci obbliga a scoprire la differenza delle ore, dei giorni, la meraviglia di un luogo che sembra grigio e uguale, l’energia della luce, il peso e la leggerezza del cielo”. Più a nord nell’hinterland della città, in località Cormano, il Museo del giocattolo ancora si confronta con l’esistente (una fabbrica dismessa di sironiana memoria) aggiungendo un

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“la nostra generazione di architetti ha negli occh i il dolore d ella violenza sul territorio e del suo oblio . può però cred ere che l’unica id entità possibile sia quella plurale che caratterizza il nostro paese, dove n on è mai stata immaginabile un’uniformità di linguaggio” parallelepipedo sospeso, una ‘zebra danzante’ che crea nel suo porticato un nuovo spazio pubblico e si annuncia ridente all’uso collettivo. Così come nella campagna francese di Ris-Orange, il nuovo centro per la musica ricorda i silos agricoli ricomponendo in forma architettonica la memoria del luogo, del paesaggio e del lavoro dei contadini. Ancora ai ‘margini’, quelli della laguna veneziana, il Palazzo del Cinema come un grande scoglio modellato dal vento si adagia sulle sponde del Lido, aprendosi su un lato alla città con una grande vetrata dalla trama organica che è anche omaggio alla tradizione dei maestri vetrai delle isole vicine.

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1.

Il desIgn dell’ InquIetu dIne

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di Virginio Briatore

Uomo l Ibero, profondo e sch Ivo, l uigi c lemente molinis è Uno deI progett Ist I pIù or IgInal I e complet I de I nos tr I temp I. c ompIUt I I settant’anni, la c ittà di pordenone gl I ded Ica Una grande mostra dove In c Irca 200 opere Il s Uo talento rinascimentale vola eret Icamente tra d es Ign, arch Itett Ura, Ill Ustraz Ione, p Itt Ura, poes Ia

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maestri / 13

1. Luigi CLemente moLinis immortaLato in un ritratto di gianni Pignat mentre diaLoga Con iL dèmone deL siLenzio, Personaggio deLL’iLLustrazione a China Il suono, reaLizzata Per Humor GrapHIc neL 1987. 2.3. tavoLe deLLa storia a fumetti I sIcofantI, China su Carta, 1982. 4. teLevisore sP 24 Per Seleco, 1970. 5. misCeLatore euCLide, Produzione Bandini, 1989.

4.

5.

3.

U

omo di montagna, profondamente legato alla Carnia dove la sua famiglia ha origine e dove si apparta ogni volta che può, Luigi Molinis nasce a Udine nel 1940 e, terminato il liceo classico, si trasferisce a Venezia per frequentare la facoltà di architettura. Una fortuita vicinanza gli fa incontrare il pittore Mario De Luigi, cinquantenne ormai famoso, con il quale instaura un’istintiva affinità. De Luigi lo introduce ai segreti della pittura e, usando chiodi di gondola, gli insegna la tecnica del ‘grattage’ con cui togliere il colore per arrivare alla luce. Memorabile rimane il pavimento in legno dipinto che De Luigi realizza per il plastico interpretativo della basilica romana di Santa Maria degli Angeli, con il quale il ventenne Molinis sostiene l’esame con il severo Bruno Zevi, che per lui spenderà l’aggettivo “geniale!”.

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Il suo relatore di laurea è Carlo Scarpa con cui diviene architetto nel fatidico 1968, con una tesi su un motel galleggiante per imbarcazioni da diporto. L’anno dopo entra come disegnatore industriale nel team Zanussi dove sarà il giovane collega di Isao Hosoe e Andries Van Onck sino al 1980. Lasciata la fabbrica e diventato progettista indipendente, lavora con grande capacità innovativa presso Ceramica Dolomite e nel tempo succede a Gino Valle come design director alla Rhoss. Molinis è fra i pochi designer italiani (oltre a Nizzoli, Sottsass, Zanuso e Bellini in passato, Pininfarina, gli altoatesini MM Design e i giovani brianzoli di Altromodo, oggi) a dialogare con la dimensione e la problematica dell’industria. Curata da Marco Minuz e Ivo Boscariol, organizzata dall’Ufficio Cultura del Comune di Pordenone, la mostra è stata organizzata dal 18 giugno al 28 agosto 2011 presso la nuova Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Pordenone “Armando Pizzinato”.

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1.2. Casa unifamiliare, partiColari dell’esterno, 1991. 3. disegno preparatorio per il radiatore medusa prodotto da Irsap nel 2005. 4. dettaglio del ventilConvettore Brio, produzione rhoss, 1993. 5. profilo del misCelatore euClide prodotto da BandInI nel 1989.

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I curatori per la prima volta hanno messo in scena l’affascinante produzione di Molinis, comprese le bellissime tavole illustrate e i disegni di prodotti e architetture colorati a mano su grande formato. La mostra ha messo in evidenza l’estensione dei suoi lavori e la meraviglia del suo esistere, che è la mediazione incessante fra la galassia della sua mente e la certosina capacità di creare, nonostante lamenti e divagazioni, una cospicua mole di opere, spazi e manufatti. Il tutto senza strutture, senza torme di collaboratori, allievi e stagisti. In questo fra i suoi disegni liberi, di argonauti subacquei o città del futuro, e quelli industriosi, di televisori e ventilconvettori, di lavandini e scaldabagni, non vi è differenza. Sono tutti lavori pazienti, manuali, tracciati in lunghissime ore di lavoro solitario, come lui stesso racconta: “Non so nemmeno io come sia possibile, ma mi metto lì, con grande calma e divento preciso, minuzioso. Probabilmente riemerge in me l’arcaica matrice ‘fabbrile‘ dell’artistaartigiano friulano”.

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Dalla sua mano, dopo l’ineluttabile confronto con tecnici scettici, uomini di marketing preoccupati e per fortuna anche qualche imprenditore illuminato e coraggioso, sono venuti alla luce prodotti quasi sempre portatori di nuovi linguaggi, rotture, anticipazioni. Molinis è un uomo imbevuto di classicità, ma da essa sfugge, con opere e parole: “Sono un classico che dentro la classicità si annoia. Devo uscire dai confini del déjà vu. Ho un irresistibile desiderio di fare quello che non c’è. Il mio lavoro sfiora l’eresia e io sono eretico anche senza volerlo, senza presunzione, sono orfico di natura”. Ad essere sinceri, gli oggetti significativi disegnati da Luigi Clemente Molinis non sono tanti, una trentina al massimo. Ma tutti sono densi di significato, a partire dai suoi primi lavori: la serie dei televisori tondi per Seleco, che ha ispirato il titolo della mostra: “Niente centrini sul televisore“. Comparsi nell’anno dell’allunaggio umano, i suoi televisori, dalla forma di globo oculare, miravano

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infatti ad uscire dal giogo dell’elettrodomestico squadrato e legnoso tipico del mobilio domestico. La serie di sanitari, vasca, lavabi e accessori bagno Ebla, prodotta da Ceramica Dolomite a partire dl 1987, ha anticipato tendenze di proporzioni e rettangoli che sarebbero poi fioriti dieci anni dopo. Ma il suo progetto di maggiore successo è con ogni probabilità il ventilconvettore Brio, fabbricato da Rhoss nel 1993. Le macchine esistenti all’epoca erano tutte spigolose e incolori. Molinis, in virtù della sua eresia gentile, iniziò con lo smussare gli angoli, dando al noioso parallelepipedo un’aria più aggraziata; poi, anziché fare la solita griglia di aerazione a lamelle ostili, ne disegnò una composta da sette tubicini plastici che conferiscono un senso di fluidità; infine, con tocco da pittore, inserì la gioia del colore, vivacizzando in un attimo la grigiastra indole di tutti i condizionati condizionatori!. Tra le opere più recenti, assai intrigante è il radiatore Medusa disegnato per Irsap: un cerchio con rete a maglie larghe appeso al muro, direttamente ispirato ai setacci ma con maglie più spesse. Tutto, oggetti, case, arredi, è dapprima disegnato e colorato a mano, con perizia mista di architetto e pittore. Nelle lunghe pause dall’industria, il suo spirito inquieto dà forma a narrazioni a fumetto, alle illustrazioni per Linus e Humor Graphic, a poesie, per arrivare, negli ultimi anni, a grandi tele di fluide masse colorate dipinte ad olio. Al di là del tanto e del poco, quello che merita del lavoro di Molinis è la vastità del percorso, la libertà di pensiero, la precisione compositiva, la forza narrativa del progetto, lo stupore, a volte inquieto, che sa suscitare. Doti, queste, che lo hanno portato a essere un punto di riferimento per i tanti giovani che affollano i suoi corsi di design e architettura presso la facoltà di ingegneria dell’Università di Udine e per tutti coloro che esplorano i percorsi mentali e materici attraverso cui il talento artistico si esprime.

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1.2. PortasaPone e scoPino della collezione di accessori bagno disegnata Per CeramiCa Dolomite nel 1993. 3.tavola del fumetto I SIcofantI, ambientato in ambiente subacqueo, 1982. 6.

4. dettaglio dello scalda-acqua elettrico raPido, disegnato Per rheem italia nel 1985. 5. Progetto di antenna Per la telefonia mobile, Pastello su carta eliocoPiata, 2000. 6. PrototiPo di miscelatore Pallade, 1989.

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Un modell o vincente

Perché il sis tema design italiano attira tanti progettisti dall’estero? alc Une delle Più note firme internazionali es Primono il loro punto di vis ta sU Un approccio imprenditoriale, diretto, int Uitivo e aPPassionato, che è ancora unico al mondo di Cristina Morozzi

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i designer intervistati e il loro paese d’origine. dall’europa (dall’alto a sinistra): martÍ guixé, patrick norguet, konstantin grcic, mike holland/ foster+partners, vincent van duysen, neuland, doshi levien. dagli stati uniti, ron gilad. dal brasile, fernando e humberto campana. dal giappone, tokujin yoshioka e oki sato/nendo.

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l segreto del successo del design italiano risiede per buona parte nella configurazione geografica della nostra penisola e nella tipicità del carattere italiano. Gli italiani sono individualisti e possiedono in larga misura ‘quell’arte d’arrangiarsi’ che rende disponibile la gente a far di tutto, senza arrendersi. L’autonomia storica e culturale delle regioni ha determinato il sorgere di operosi distretti produttivi, concentrato d’inventiva e artigianalità. Per il design, storicamente, sono state determinanti la Brianza e la Toscana. Milano è diventata capitale del design non grazie ad un’ astuta operazione pubblicitaria, ma per una speciale condizione socio-geografica. Possiede a

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monte un bacino prezioso: la zona collinare della Brianza, un pullulare di case/laboratorio, case/ fabbrica e falegnamerie che realizzavano capolavori di ebanisteria per i primi transatlantici. La Brianza, a mezz’ora d’auto da Milano, è appena un fazzoletto verdeggiante, ma è abitata da un’ eccezionale concentrazione di artigiani virtuosi, con il tarlo della creatività, disponibili a qualsiasi sperimentazione. C’erano in Italia, agli inizi degli anni Cinquanta, le case da ricostruire e d’arredare e in Brianza c’erano mani abili e infaticabili. A Milano la generazione d’architetti che voleva rinnovare il modo di abitare trovò negli artigiani brianzoli i complici ideali per dare corpo alle proprie visioni. Dal sodalizio tra architetti con la vocazione del design e falegnami della Brianza, dotati di fiuto e di voglia di fare, sono nate le aziende del mobile che il mondo ci invidia. È questo network di imprese a conduzione familiare, alimentato da una rete di prototipisti ingegnosi, che costituisce l’ossatura del sistema design italiano. Milano capitale del design l’hanno fatta Vico Magistretti, Achille Castiglioni, Marco Zanuso, Ettore Sottsass ecc, ma anche Cesare Cassina, Aurelio Zanotta, Pierino Busnelli, Giulio Castelli, imprenditori capaci di trasformare uno sgorbio in un

prodotto, di realizzare progetti, come diceva il Vico, “solo telefonati”. In Toscana ci sono stati imprenditori/artisti come Sergio Cammilli, titolare della Poltronova, che realizzò nella seconda metà degli anni Sessanta i mobili sperimentali di Ettore Sottsass e degli Archizoom. Cammilli rappresentava quel carattere anarchico, tipicamente toscano, ancora riscontrabile in aziende più giovani, come Edra che ha introdotto in Italia il sorprendente e inquietante design di trasformazione dei brasiliani Fernando e Humberto Campana. È questa rete d’imprese, che ancora conservano la voglia di rischiare, che oggi attira in Italia designer da tutto il mondo. Si può parlare di stile italiano, anche se la creatività è globale, per via dell’esecuzione impeccabile e dell’abilità delle aziende nazionali di coniugare innovazione con tradizione artigiana, di sapersi proiettare nel futuro senza perdere la concretezza del legame con il territorio. Se il segreto del cachemire di Biella, che non teme la concorrenza cinese, è l’acqua dolce dei suoi torrenti, quello del design italiano è la relazione virtuosa tra designer e imprese a conduzione familiare. Questo modello, ritenuto vincente per l’economia italiana, secondo l’Economist – che l’11

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1. libReRia foRest, Realizzata tRaMite asseMblaggio di suppoRti di diffeRenti MisuRe e spessoRi, design nendo peR DriaDe, 2011. 2. RitRatto di oki sato (nendo). 3. laMpada a sospensione Maki costituita da due fogli di Metallo aRRotolati a Mo’ di caRtoccio, design nendo peR FosCarini, 2011.

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giugno 2011 ha dedicato all’ Italia un articolo impietoso firmato da John Prideaux – ormai scricchiola. Per avvalorare le sue perplessità, Prideaux paragona l’economia italiana a un bar, dato che il 70% della forza lavoro è occupata nei servizi e quindi un bar rappresenta l’economia italiana molto meglio di aziende come la Fiat o la Zanussi. “Il bar” argomenta il giornalista “negli anni ’40, grazie all’invenzione di Achille Gaggia (la macchina per il caffè espresso) è stato un modello d’innovazione. Ma oggi il bar italiano ha perso smalto, non si è allargato, e la sua formula non è poi così diversa da quella di Starbucks”. Ma Prideaux dimentica che il bar italiano, anche se è rimasto piccolo e con i padroni dietro il banco, è in grado di servire, per lo stesso prezzo, diversi tipi di caffè, dal ristretto, al lungo in tazza grande, dal marocchino, al macchiato caldo e freddo, tutti eccellenti. Se Prideaux, per tracciare il profilo economico dell’Italia, invece di affidarsi solo all’aridità dei numeri, avesse interrogato i tanti designer stranieri che lavorano in Italia, si sarebbe reso conto che quella conduzione familiare, che ritiene responsabile della

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mancata crescita italiana, è il vantaggio competitivo del sistema design. I titolari delle imprese del sistema arredamento, come i padroni dei bar che offrono caffè personalizzati, sanno stabilire relazioni personalizzate, quasi familiari, con culture anche lontane dalla nostra. Lo testimoniano i giapponesi, come Oki Sato dello studio Nendo, che sostiene di sentirsi a casa in Italia e che vede negli imprenditori italiani una grande fiducia nelle proprie possibilità e una forte tensione verso la realizzazione di prodotti di alta qualità. O come, Tokujin Yoshioka , che riconosce all’Italia un primato nel design. “Gli imprenditori italiani”, sostiene, “sanno non solo creare arredamento, ma anche nutrire la cultura, riversando nell’atto creativo la loro anima e la loro passione. La realizzazione, affidata, a ogni livello gerarchico, a persone competenti e appassionate, determina un’atmosfera creativa collettiva nella quale ciascuno può fornire il suo apporto, discutendo con competenza di design.” Mike Holland, head of industrial design di FosTer+ParTners, sostiene che la ricchezza

4. RitRatto di Mike Holland, Head of design depaRtMent dello studio fosteR+paRtneRs, con il Modellino di aRc, il tavolo con suppoRto in ceMento leggeRo pRogettato da fosteR+paRtneRs peR Molteni & C., 2010. 5. RitRatto di tokujin YosHioka. 6 . installazione nello spazio MoRoso di via pontaccio, cReata da tokujin YosHioka peR il salone del Mobile 2011. pRotagonista la poltRoncina Moon, in polietilene a staMpo Rotazionale, disegnata da tokujin YosHioka peR Moroso, 2011.

del design italiano risiede nel considerevole numero di imprese produttrici, tutte dotate di uffici sviluppo disponibili a sperimentare e innovare. “Tante aziende”, afferma, “diffuse sul territorio, generano una rete capillare di persone specializzate. Con Lumina, un’ azienda che ha grande competenza nella lavorazione del metallo, siamo riusciti a sviluppare Flo, la lampada da tavolo proposta lo scorso aprile a Milano, in soli sei mesi. Il titolare Ettore Cimini è un ingegnere molto esperto. È il proprietario e prende

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7. lampada da lettuRa a led, in metallo. design foRsteR+paRtneRs peR luMIna, 2011. 8. lounge della cathay pacific all’aeRopoRto di hong Kong con poltRone disegnate da fosteR+paRtneRs e Realizzate da Potrona Frau, 2011. 7.

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tutte le decisioni, ma partecipa in prima persona, con passione e competenza, a tutto il processo creativo. È il ricco spettro di aziende” conclude Mike “che fa il successo nel mondo del design italiano”. Il belga Vincent Van Duysen, che ha vissuto in Italia negli anni ’80, apprezza la speciale arte di vivere degli italiani e la loro spiccata attitudine creativa nel design e nella moda. “Gli italiani” afferma “conoscono il valore della storia del design e dei suoi maestri. Da generazioni frequentano il bello: la bellezza appartiene al loro DNA ed è per loro qualcosa di tangibile. Nel lavoro ci mettono l’anima e sanno instaurare rapporti di tipo conviviale. Per loro l’eccellenza è qualcosa di quotidiano, di fisico. Ho avuto la fortuna, quando avevo poco più di vent’anni, di collaborare con persone molto speciali, come Cinzia Ruggeri, una stilista fuori dagli schemi. Mi ricordo il cane Scherzi, sempre al suo fianco, i gin tonic alle 10 di mattina. La sua creatività mi ha aperto la mente. Aldo Cibic mi ha insegnato la generosità e la fiducia nel lavoro condiviso. Con gli imprenditori si stabilisce sempre un legame molto stretto. Si crea, operando fianco a fianco, una sorta di formula

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chimica che consente di esprimere al meglio le proprie potenzialità. Quest’anno ho disegnato per Luca De Padova. È stato emozionante per me trovare ancora in azienda i prototipisti che hanno lavorato con Vico Magistretti!”. Konst antin Grcic, tedesco, racconta di un Paese dove nei piccoli centri produttivi ci sono case-fabbrica nelle quali si lavora giorno e notte.“Per gli imprenditori italiani” racconta “l’azienda non è un brand, è la vita. Questa totale identificazione con il mestiere rende la collaborazione completamente diversa. Entrano in gioco emozioni e passioni. Non si tratta di lavorare per, ma con. Disegnare un pezzo per un’impresa italiana è qualcosa di più di un incarico. È una sfida per realizzare progetti nuovi. Significa condividere una visione. Fare design con le aziende italiane è un’operazione culturale. Gli imprenditori, anche quelli di provincia, sono molto informati, sanno sempre tutto di tutti. In Italia non ti dicono mai “questo non si può fare”. Si prova sempre. Questa attitudine a sperimentare dipende da una forte fede nel design. Gli imprenditori italiani sanno che il design è un processo. Lavorare con loro

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9. RitRatto di Vincent Van duysen. 10. taVolini multiuso, disponibili in una Vasta gamma di finituRa, di Vincent Van duysen peR B&B ItalIa, 2011. 11. modulo ceRamico dRy cReato da Vincent Van duysen peR BrIx, 2011. 12. taVoli in legno shadow, disponibili in VaRie finituRe, di Vincent Van duysen peR De PaDova, 2011. 13. poltRoncina aVus con scocca stampata in plastica e seduta imbottita RiVestita in pelle, disegnata da Konstantin gRcic peR Plank, 2011. 14. RitRatto di Konstantin gRcic. 15. tom&geRRy, sgabello da laboRatoRio a tRe gambe in massello di faggio con paRti meccaniche in plastica autolubRificante, design Konstantin gRcic peR MagIs, 2011.

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1. RitRatto di MaRtÍ Guixé. 2. tavolo ReGolabile da lavoRo Chaos ManaGeR, Con stRuttuRa in tubolaRe MetalliCo veRniCiato e piano in leGno natuRale, desiGn MaRtÍ Guixé peR Danese, 2011. 3. aniMali in CaRtone My Zoo, desiGn MaRtÍ Guixé peR la ColleZione Me too di Magis, 2011. 4. poltRona GRinZa, Con RivestiMento in peluChe RaGGRinZito in Modo Casuale, diseGnata da FeRnando e huMbeRto CaMpana peR eDra, 2011. 5. RitRatto di FeRnando e huMbeRto CaMpana.

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equivale a fare un viaggio assieme. E il viaggio, quello vero, è sempre una esperienza molto intensa, anche di tipo mistico”. Martí Guixé, spagnolo, che ha studiato in Italia alla Scuola Politecnica di Design di Milano, si sente vicino al carattere degli italiani. “Gli imprenditori italiani” dichiara “sono aperti alle nuove idee e rischiano di più. Mi sento a mio agio quando parlo con i titolari, perché sono loro a prendere le decisioni. Il rapporto è di tipo emozionale e ti fanno sentire bene accolto. La situazione è sempre adrenalinica. Mi calza: il caos è il mio ambiente”. Jonathan Levien e Nipa Doshi , il binomio anglo indiano con studio a Londra, parlano all’unisono. Riconoscono agli imprenditori italiani velocità e capacità di accogliere una buona idea allo stato nascente. Raccontano di essersi messi in contatto con Patrizia Moroso dopo avere letto in un’intervista dichiarazioni dalle quali emanava una energia nuova. “Non sono dogmatici” concludono “ma caldi e molto emozionali e cercano sempre di trovare la soluzione migliore”.

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6. RitRatto di nipa doshi e Jonathan levien (doshi levien). 7. idRoMassaGGio peRsonale ananda, CReato da doshi levien peR glass, 2010. 8. seduta Capo Con sottile sCoCCa avvolGente Rivestita in FeltRo e GaMbe in Metallo, di doshi levien peR Cappellini, 2011.

Per il brasiliano FernanDo Campana l’eccezionalità delle aziende italiane dipende dalla capacità di coniugare poesia e manualità, tecnologia e buon gusto. “Gli italiani” argomenta” sono inquieti e stravaganti, mi vengono in mente Alessandro Mendini e Federico Fellini. Per questo amano i sogni e le sfide. Sanno valorizzare la storia, ma sono stati capaci di uscire dal passato per andare, con decisione, verso il nuovo”.

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9. ritratto di ron gilad. 10. SPecchi Scultura overSize mirror di ron gilad 10. Per DiLmos, 2011.

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Ron Gil ad, israeliano, residente a Brooklyn, considera l’Italia l’unico luogo dove si fa del buon design. “Sono un po’ rozzo” afferma “per questo amo collaborare con gli imprenditori italiani: non conoscono il politically correct, sono diretti e mettono tutto subito in tavola. Si lavora in famiglia e questo consente un approccio appassionato. Conoscono molto bene il mercato, ma sono efficaci, soprattutto perché amano profondamente quello che fanno. Flos è la mia famiglia italiana”. Il francese Patr ick NorGuet dichiara che il rapporto con gli imprenditori italiani è una storia d’amore. “Ogni volta che vengo in Italia” dice “ritorno a Parigi carico di energia. In Italia ci sono ancora persone libere, che sanno godersi la vita e che hanno voglia di piacere. Vengo sempre ricevuto come in famiglia, con gran qualità. Il potere familiare è un’eredità culturale ed è un modello che, secondo me, può ancora funzionare. Gli imprenditori sono persone aperte con i quali c’è uno scambio culturale che mi arricchisce, permettendomi di spostare i miei traguardi in avanti”.

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Per lo studio tedesco Neul and risponde Michael Geldmacher. “A differenza dei tedeschi” afferma “gli italiani sono più spontanei e diretti. In Italia c’è un senso diffuso dell’estetica e una fascinazione immediata per il nuovo. Si ha la sensazione che tutto sia possibile. In Germania il sì è sempre seguito da un ma. In Germania l’economia sta tirando: è il Paese nel suo complesso che funziona. In Italia, invece, ognuno ha la sua ricetta personale e ciascuna si rivela, a suo modo, efficace. Amiamo lavorare per le imprese italiane, non solo per il loro speciale senso del design, ma anche perché la vicinanza (il nostro studio è a Monaco di Baviera) ci consente di venire sovente in Italia a gustare la sua ottima cucina”. Il coro di consensi potrebbe suonare eccessivo, se non fosse che ogni anno le collaborazioni si ripetono con prodotti sempre più performanti e di successo. Per concludere, utilizzando la metafora di John Prideaux, possiamo dire che il bar italiano, nonostante il servizio sia un po’ lento per via delle ridotte dimensioni del personale, serve sempre dell’ottimo caffè!

11. Sedia in legno laccato, deSign Patrick norguet Per Crassevig, 2011. 12. Sedia in acciaio, deSign Patrick norguet Per La PaLma, 2011. 13. ritratto di Patrick norguet. 14. contenitore a muro in vetro Float Wall Per gLas itaLia,deSign Patrick nourget, 2011. 15. tavolini comPonibili in acciaio antigraFFio, deSign neuland Per B-Line, 2011. 16. ritratto di eva PaSter e michael geldmacher (neuland induStriedeSign). 17. Sedia elePhant con SuPPorti in metallo e Scocca StamPata con Sagoma iSPirata al PoSteriore di un eleFante, deSign neuland Per KristaLia, 2010. 18. libreria a muro random in medium denSity, deSign neuland Per mDF itaLia, 2011.

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il fantasma dell’opÊra foto di Roland Halbe/ODBC testo di Antonella Boisi

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progetto di Odile Decq Odile Decq Benoit Cornette Architectes Urbanistes project responsables Peter Baalman, Giuseppe Savarese, Amélie Marchiset

SOPRA, DISEGNO DI PROGETTO. L’INGRESSO DEL RISTORANTE, RICAVATO NELL’ANTICA ROTONDA DEGLI ABBONATI ALL’OPÉRA. PAGINA A FIANCO, SCORCIO DELLA ZONA RISTORANTE ORGANIZZATA A RIDOSSO DELL’ENTRATA SUL LATO NORD. LA FACCIATA VETRATA CHE SI SVILUPPA DIETRO I PILASTRI ORIGINARI DI PIETRA, SECONDO MODULI LARGHI CIRCA DUE METRI CON DOPPIA CURVATURA, È STATA APPOSITAMENTE REALIZZATA SU DISEGNO DI ODILE DECQ DA CRICURSA/SIMETAL. RISULTA ANCORATA AL SUOLO. NESSUNA STRUTTURA È VISIBILE, MA A SEI METRI DI ALTEZZA SOLO UNA TRAVE CURVA D’ACCIAIO, INNESTATA NEI GIUNTI DELLE CORNICI SUPERIORI CON ALCUNE STAFFE DI ACCIAIO, MANTIENE IN POSIZIONE, COME PER MAGIA, IL VETRO.

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A Parigi, NEL MONUMENTALE teatro dell’Opéra Garnier, SIMBOLO DELLA Ville Lumière DI epoca haussmanniana, IL NUOVO ristorante Phantom RACCONTA CHE l’architettura PUÒ DIVENTARE DAVVERO ELEMENTO DI richiamo, DI riconoscibilità E DI qualità, QUANDO L’integrazione TRA storia E contemporaneità È RISOLTA IN MODO convincente

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ultima fatica di Odile Decq è il nuovo ristorante dell’Opéra Garnier a Parigi. Un progetto complesso considerato il valore storico-architettonico dell’edificio in cui si colloca e gli esigenti vincoli di tutela posti alla realizzazione dalla Sovrintendenza francese. Che l’architetto francese (Leone d’oro alla Biennale di Architettura di Venezia nel 1996 e fresca del recente successo del Macro, il Museo d’arte contemporanea di Roma) ha affrontato come un lavoro di delicato ricamo; non soltanto cioè con quella maturità professionale riconosciutale a livello internazionale, coltivata con un approccio sperimentale che sposa tecnologia e pragmatismo in produzioni atipiche; ma con uno scarto emozionale davvero innovativo, restituito in modo glamour e spumeggiante. Il dialogo con la preesistenza di valore monumentale è notoriamente un tema difficile, soprattutto in Italia. Nella fattispecie, lo è stato anche in Francia, perché “la possibilità di immaginare uno spazio nuovo ha dovuto confrontarsi con la necessità di non toccare muri, pilastri, volte dell’edificio in cui si integra” spiega. “La richiesta era anche quella di proporre una soluzione per cui tra vent’anni, quando scadrà la convenzione tra il committente, che ha vinto la gara d’appalto per la gestione del ristorante e L’Opéra, diventasse possibile cancellare senza danneggiamenti qualsiasi residuo del nostro intervento”.

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sopra, la pianta del piano terra del ristorante. il livello del mezzanino organizzato con zone di sosta più appartate, sotto la volta dell’ antica cupola.

pagina a fianco, la scala di collegamento tra il piano terra e il mezzanino, concepito come un ‘nastro’ continuo e ininterrotto, bianco fuori e rosso dentro. il red carpet è prodotto da desso. l’illuminazione è stata risolta con apparecchi iguzzini.

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ricorda il ‘nastro di mobius’, modello tridimensionale di spazialità continua e senza bordi, la composizione architettonica del mezzanino che, con le sue sinuose curve, si protende e si insinua verso le vetrate ad arco che inquadrano il paesaggio urbano. senza mai toccare l’involucro originario. le sedute sono state realizzate, come la banquette-lounge al piano inferiore, su disegno di odile decq da besse.

L’Opéra Garnier (o Palais Garnier), dal nome del suo autore Charles Garnier, è una delle eccellenze del IX arrondissement, particolarmente rappresentativa dell’architettura eclettica francese della seconda metà del XIX secolo, legata alle trasformazioni urbane volute da Napoleone III e dal prefetto Haussmann. Un luogo, realizzato tra il 1861 e il 1875, che trasuda storia, dove lo scrittore Gaston Leroux ambientò il noto romanzo Il fantasma dell’Opéra e dove oggi, dopo 136 anni, il ristorante previsto anche nel progetto di Garnier e poi mai realizzato completa il cerchio. Il riconoscimento del genius-loci ha suggerito le scelte per un rapporto stimolante, aperto a un dialogo soft e gentile, senza accenti di mimetismo. Con assoluto rispetto, il Phantom (fantasma) non insidioso e contemporaneo di Odile Decq aleggia sul lato est del teatro, dove un tempo c’era l’antica rotonda degli Abbonati all’Opéra, nel cui portico aperto sostavano le carrozze dei convenuti (una rotonda identica sul lato ovest con il suo tripudio di decori in ferro e ottone era al servizio di Napoleone). Spiega Giuseppe Savarese, architetto che ha collaborato al progetto: “L’impossibilità di ancorare qualsiasi elemento architettonico alle pietre secolari della rotonda ci ha portato ad approfondire lo studio della vetrata che chiude, come una sinuosa tenda, l’involucro originario senza interferire con esso e lasciando limpido l’orizzonte visivo verso il paesaggio urbano.

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sezione longitudinale. l’area pranzo organizzata sotto il mezzanino. i tavoli sono realizzati su disegno di odile decq dalla belga novifor, le sedute sempre su disegno da poltrona frau. pagina a fianco, l’isola aperta e centrale che consente una comunicazione diretta tra il livello superiore e quello inferiore.

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La vetrata si sviluppa infatti continua, secondo moduli curvi e larghi circa due metri, dietro i pilastri preesistenti, lasciandoli pressoché liberi. L’ancoraggio al suolo avviene attraverso due profili in acciaio su entrambi i lati della vetrata, che stringono il vetro e lo fissano al cordolo di fondazione. Un giunto in silicone color pietra tra il vetro e la cupola stessa, svolge infine il compito di ridisegnare il perimetro della rotonda, mentre alle estremità due porte diventano la parte terminale della vetrata curva”. Il risultato è una superficie a tutta altezza, solida e stabile, messa in opera come una presenza magica, con il minimo impatto. E se lo spazio si smaterializza nelle trasparenze del vetro che contrastano con la durezza dell’involucro storico di pietra, la figura del mezzanino completa la performance del Phantom di Odile. Senza mai toccare l’involucro originario, con sinuose curve, sembra infatti avanzare furtivo, si protende e

fluttua sugli ospiti rendendosi ben percepibile ovunque sotto la cupola. La sua candida scocca di gesso bianco (sostenuta da una struttura in metallo in cui alloggiano i cavi tecnici di servizio e da sottili colonne posate al suolo in prossimità dei pilastri di pietra) ricorda il nastro di Mobius, un modello tridimensionale di spazialità continua e senza bordi. E dentro questo scultoreo guscio, che ospita parte delle 90 sedute complessive specificate dal briefing di progetto, cambiano le prospettive. “Ci si siede” racconta Odile “sotto la volta, con le nervature degli archi di pietra molto vicine. La percezione dello spazio diventa intima e avvolgente; più caldi i toni del carpet rosso che fodera internamente tutto e che si relaziona visivamente alla scala di collegamento principale ricoperta da un tappeto dello stesso colore. Quest’ultima approda al livello sottostante in una zona segnata da una serie di elementi-filtro che definiscono l’area lounge-drink come distinta dall’area ristorante. Le due zone sono identificate e differenziate anche dalla pavimentazione che alterna il cemento marmorizzato al marmo di Carrara. Su questo livello, l’architettura diventa meno protagonista e la spazialità si declina in modo più puntiforme: al lungo bancone nero del bar che si srotola attorno a una colonna corrisponde sul lato opposto la riserva in acciaio dei vini. È così che, tra le suggestioni degli angoli più remoti ci si ritrova infine sul retro, dinnanzi alle quattro porte storiche in legno decorato che introducono al foyer dell’Opéra. L’architetto dalla capigliatura punk e il look da dark lady, con l’ossesssione del dettaglio, ora può attraversare il teatrale red carpet per assistere allo spettacolo.

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Quattro luog h i dove ancora si esercita l’arte manuale. t estimonianze di eredità che inseguon o i nostri tempi; il fascin o di luog h i e professionalità da salvaguardare con nuovi progetti e idee, per n on vederli sparire di Nadia Lionello

Febo, poltroncina con schienale basso, con struttura in tubolare e proFilati d’ acciaio, imbottitura in schiuma di poliuretano Flessibile, rivestita in tessuto o pelle con cucitura a vista punto cavallo. di antonio citterio per Maxalto-B&B ItalIa. marguerite, poltroncina in Fusione di alluminio verniciato bianco con cuscino di seduta in tessuto, adatta anche per esterno. di borek sipek per DrIaDe. pagina a lato: Format, collezione da tavola in porcellana bianca o decorata, costituita da piatti, tazze, teiera, brocca e vasi impilabili, mentre coppe e vassoi sono coordinati tra loro nelle dimensioni per essere Facilmente sovrapponibili. di christophe de la Fontaine per rosenthal stuDIo-lIne.

Una vera bottega artigiana del legno nel cuore della Brianza. Nata nel 1906 la Eredi di Marelli Antonio realizza cornici, oggetti, arredi e complementi in legno intagliato come da tradizione, con l’originale procedura di lavorazione: disegno, modello in cartone e prototipo. Alcune realizzazioni della bottega si trovano a Roma in Campidoglio, Città del Vaticano, Medina e in abitazioni di famosi stilisti di moda. foto di Efrem Raimondi

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Mestier i it alian i

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Rock on, poltRona a dondolo con stRuttuRa in multistRato laccato e seduta in compensato cuRvato imbottita e Rivestita in ecopelle tRapuntato. design alessandRo dubini peR Valdichienti. stitch, seduta della collezione che include lampada e tavolino, Realizzata in legno di betulla natuRale oleato con cucituRe in filo di polietilene in diveRsi coloRi. di toRd boontje peR Moroso. pagina a lato: leaf, piccolo tavolo nella veRsione con piano tRiangolaRe in mdf idRoRepellente coloRato in massa gRigio e stRuttuRa a tRe o quattRo gambe in acciaio veRniciato moka, veRde o bianco. di lievoRe altheRR molina peR arper. mille bolle, lampada alogena da teRRa con diffusoRe in dischi di policaRbonato e stelo in acciaino cRomato. di adRiano Rachele peR slaMp.

Fonderia Artistica Battaglia: nata nel 1913 in zona Simonetta a Nord-Est di Milano, porta avanti l’antica tradizione del mestiere del fondatore d’arte collaborando con i più autorevoli artisti italiani le cui opere oggi si trovano in Italia e nel mondo. foto di Guido Clerici

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Blitz, sedia impilaBile in policarBonato trasparente o full color, con seduta foto-incisa. di marco pocci e claudio dondoli per PedRali. mr. light, lampada da terra in metallo verniciato lucido, con diffusore metallico a cono regolaBile con Braccio articolato e lampadina a gloBo. di Javier mariscal per Nemo-CassiNa lightiNg.

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Juniper, lampada da tavolo con luce a doppia emissione, diretta e diffusa. e accensioni separate, in acciaio verniciato. diffusore in alluminio verniciato di michele de lucchi per Artemide. Giro, sGabello con seduta in leGno naturale, tinto o rivestito in pelle, ruotabile per la reGolazione in altezza; struttura in acciaio inox o laccato. di fabio bortolani per LA PALmA. daytona, poltrona con struttura in massello di leGno e imbottitura in poliuretano espanso indeformabile, con cuscini amovibili imbottiti in piuma d’oca. Ăˆ rivestita in pelle o tessuto sfoderabile. piedini in acciaio. di claesson Koivisto rune per BusneLLi.

La Fornace Curti nasce nel lontano 1400, e dai primi del 1900 si trova nella zona a sud di Milano, vicino ai Navigli. Un piccolo borgo, con annessi atelier di artisti, dove è perpetuata la tradizione del cotto lombardo, rigorosamente lavorato e dipinto a mano. Da sempre collabora con artisti, architetti e, oggi , designer. foto di Simone Barberis

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Abbey roAd, poltronA con strutturA in tubolAre metAllico cromAto sAtinAto, sedutA con imbottiturA in poliuretAno indeformAbile rivestitA in tessuto o pelle cApitonnè e cuscino schienAle in poliuretAno e piumA d’ocA rivestito in tessuto. di GiorGio soressi per Erba ItalIa. pAnAmA, lAmpAdA dA tAvolo A led in Alluminio verniciAto con riflettore in policArbonAto con trAttAmento AntiAbbAGliAmento, AdAttA Anche per ufficio. di euGAdesiGn per OmIkrOn DEsIgn. pAGinA A lAto: i policromi, libreriA AltA dellA collezione di elementi in leGno rivestito in lAminAto multicolor e GriGio sui fiAnchi. di AlessAndro mendini per DOmODInamIca. i piAni lAmpAdA dA tAvolo A luce led direttA, in Abs stAmpAto Ad iniezione nei colori nero, biAnco, verde o rosso, diffusore in pmmA stAmpAto Ad iniezione con finiturA fotoincisA internAmente. desiGn ronAn & erwAn bouroullec per FlOs.

Casa d’arte Lo Bosco, si trova nel centro di Milano. Dal 1920 l’atelier realizza abbigliamento per lo spettacolo e costumi per eventi e campagne pubblicitarie. Produce pupazzi personalizzati e dotati d’impianto vocale; dal 2006 si dedica all’abbigliamento su misura e brevetta il metodo Tailor’s Cut per realizzare abiti a distanza. foto di Paolo Veclani

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Designer chiama imprenDito re Dieci rappresentanti Della nuova generazione Del Design italian o raccontan o i loro esordi e le loro prime esperienze nel mon Do Dell’arre Do. a loro abbiamo ch iesto Di manifes tare quesiti e perplessità riguar Do al rapporto tra progettis ta e industria di Valentina Croci

C

hi sono i cosiddetti giovani designer italiani e qual è il loro rapporto con l’impresa di settore? Il quadro che emerge dal nostro sondaggio ‘a campione’ mostra una generazione di progettisti, compresa tra i 30 e i 35 anni, per niente ingenua come maturità progettuale. Le loro sono idee consapevoli del processo produttivo, dei materiali e della relazione che si instaura tra utente e oggetto. La maggior parte dei designer si è formata tra l’Italia e l’estero. E alcuni sono coinvolti attivamente nella didattica universitaria. Svolgono autonomamente un’attività di ricerca, alla scoperta di particolari tecniche di lavorazione e nuove tipologie di oggetti che sviluppano nei propri studi-laboratorio. Ma se la sperimentazione progettuale veniva praticata anche in passato, basti ricordare quella dei Castiglioni, diverso è il rapporto con l’imprenditore, al quale i giovani imputano di non scommettere né sulle risorse umane, né sulla ricerca come metodologia per il rinnovamento sia dei processi produttivi che del mercato. Eppure, la storia del design italiano insegna che, attraverso la reciproca trasmissione di conoscenze e competenze tra designer e industriali, sono nati prodotti che hanno trasformato la prassi del quotidiano, perché in grado di esprimere i cambiamenti sociali e tecnologici in atto. I giovani designer guardano alla cultura imprenditoriale del passato non in termini nostalgici, quanto piuttosto come modello di atteggiamento, propulsivo e di

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ricerca, da applicarsi a quei settori dove l’industria nostrana non si è ancora espressa appieno. Agli imprenditori rimproverano di non promuovere la formazione dei neo laureati e le collaborazioni a lungo termine con i progettisti. Anziché alimentare un vivaio di giovani creativi, molte aziende preferiscono affidarsi a nomi già affermati, anche se la ‘celebrity’ spesso offusca l’identità dell’impresa e la porta verso l’omologazione dei suoi prodotti. Sembra che le aziende preferiscano il libero battitore al gioco di squadra. Lo storico scambio tra industria e creativo, continuativo negli anni, sembra oggi sostituito da un rapporto intermittente. I giovani si sentono poco ascoltati e lamentano fatica ad emergere. Che ci sia poca fiducia da entrambe le parti lo testimoniano le bizantine modalità di retribuzione. Non esistono tariffari di riferimento che definiscano gli equi compensi rispetto alle prestazioni. Né regole codificate, come specifici contratti nazionali di lavoro, che stabiliscano il tipo di relazione. I meccanismi di royalties non tutelano in modo adeguato la paternità dell’idea: sono più che altro una compensazione per l’alienazione della stessa. E, in assenza di brevetto depositato o di un contratto che difenda il diritto d’autore, è difficile per il designer perfino rivendicare la royalty su un progetto. La questione sarebbe a monte: perché oggi alcuni imprenditori faticano a riconoscere il ruolo del progettista in termini economici e di competenze? Non investire in una

sinergia con il designer è come non credere al valore del progetto. A detta di qualcuno degli interpellati, siamo in un’epoca ‘precipitosa’. Il parcellizzato tessuto industriale della piccola-media impresa, che ha visto lo svilupparsi dei distretti e la diffusione del know-how nel territorio, non sembra più la fortuna delle aziende italiane, in quanto la maggior parte è schiacciata dalla concorrenza globalizzata e dalla mancanza di incentivi e agevolazioni da parte dello Stato. Così gli imprenditori hanno meno voglia di rischiare. O meglio, non hanno i margini per rischiare. E i designer si mettono in cerca di nuove strade, da soli. Si fanno portavoce di paradigmi alternativi all’industria tradizionale come l’autoproduzione o la piccola serie, in cui il progettista diviene imprenditore di se stesso. I giovani hanno altri strumenti rispetto ai loro Maestri: le nuove tecnologie, che gli consentono di abbattere i costi degli investimenti iniziali e produrre su misura e in quantità a richiesta. Possono unire le forze e confrontarsi in una modalità di progettazione condivisa, secondo la maniera partecipativa appresa dalle rete. E sentendosi coinvolti in prima persona nel processo di sviluppo dei prodotti. Aspetto, quest’ultimo, che lamentano in molti. Nonostante l’atteggiamento disincantato, i giovani designer hanno ancora aspettative sul panorama industriale italiano. Dimostrano curiosità e un fare concreto, lontano dalle utopie e pronto ad attraversare le difficoltà.

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Marco Dessì

“Nel corso degli studi ho visto un catalogo della Classicon che descriveva la collaborazione con Konstantin Grcic. Il suo modo di lavorare veniva raccontato in modo trasversale, dai mock-up in cartone agli interessi personali. Mi si è aperto un mondo. E ho iniziato a studiare i Castiglioni, la cultura progettuale del dopoguerra e il design anonimo”. Marco Dessì è nato a Merano ma vive a Vienna, dove si è formato. Sin dall’inizio ha dimostrato attenzione all’aspetto funzionale e tecnico-industriale degli oggetti, dando prova di intuizione e sensibilità per la ricerca. Ha realizzato progetti per le aziende viennesi Lobmeyr, Augarten e Richard Lampert. Tra questi, il lampadario Basket trova un nuovo lessico a tecniche della tradizione: Lobmeyr è infatti una realtà storica del vetro soffiato e serigrafato a mano. La forma del lampadario ricorda una lanterna, ma l’uso del vetro in tubi piegati secondo una geometria esagonale crescente è inconsueto. Per Skitsch Marco Dessì si è cimentato con il suo primo prodotto di industrial design. La sedia impilabile in alluminio Dakar vuole essere esempio di sensatezza costruttiva. La spalliera e la seduta sono realizzate con un unico foglio di metallo che conferisce flessibilità e stabilità. La possibilità di avere colori diversi nei vari elementi consente al prodotto un alto livello di personalizzazione. E come in altri progetti di Dessì, la composizione delle parti è ben visibile.

Sopra: Il lampadarIo BaSket dI marco deSSì per la vIenneSe Lobmeyr, realIzzato con tuBI dI vetro eSagonalI, che rIchIama un caneStro IntreccIato. l’uSo InSolIto del vetro produce un effetto StranIante. accanto: la SedIa dakar dI per SkitSch, compoSta da due pezzI dI allumInIo pIegato e gamBe In tuBolare metallIco. lo SchIenale veSte letteralmente la Struttura, aumentandone la StaBIlItà.

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Sopra e a deStra: lampada leone Serie 01 di lanzavecchia + Wai, autoproduzione. È realizzata con StriSce di bambù coperte con carta e dipinte all’interno in arancione (Foto daniel peh K.l.). accanto: tre di una È una Famiglia di Sedie autoprodotte con elementi di Sedute comuni, aSSemblati con una paSta Sintetica (Foto, m W Suh). Sotto: le lampade ScaFFold, parte integrante della Serie Spaziale, che naScono dallo SteSSo concetto combinatorio, in queSto caSo di una Struttura rigida in tondino metallico e un corpo-pelle in teSSuto elaStico (Foto daniel peh K.l.).

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carlo trevisani

l anzavecch ia + Wai

“Vivevamo nella stessa casa durante il master alla Design Academy di Eindhoven. A un certo punto ci siamo trovati a mangiare sempre fuori (e male), perché la cucina era diventata un laboratorio: ogni stoviglia era un recipiente di resine plastiche da cuocere nel forno!”. Francesca Lanzavecchia e Hunn Wai si sono ritrovati a Shanghai nel 2008, lavorando per un’azienda tedesca di cucine. In quell’occasione hanno deciso di intraprendere una strada insieme e di partecipare a Time to Design New Talent Award a Copenhagen. Per il concorso hanno sviluppato la serie Spaziale: la collezione di contenitori in legno e tessuto che li ha fatti emergere durante il FuoriSalone 2010. Da quell’idea di arredi con impalcatura rigida e corpo che varia in relazione al contenuto hanno sviluppato una collezione autoprodotta. Nella realizzazione dei progetti collaborano a stretto contatto con gli artigiani, esempio ne sono le lampade Leone Serie 01, fabbricate a Singapore da uno degli ultimi realizzatori delle maschere della Danza del Leone. Lanzavecchia + Wai sono un duo paradigmatico sia per la ricerca nella semantica degli oggetti, eredità della Design Academy, sia per il percorso nell’autoproduzione che indica una strada a metà tra l’art-design e il design industriale. (foto ritratto Davide Farabegoli)

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“Nella bottega di mio nonno falegname smontavo e rimontavo le cose con la voglia di creare con le mie mani. Progressivamente questo desiderio è diventato una professione”. Il veronese Carlo Trevisani si diploma all’Isia di Faenza con la specializzazione in ceramica e poi collabora negli studi di Paolo Zani e Matteo Thun. Dal complemento d’arredo con Atipico, Nason Moretti e Seletti, all’utensileria per la cucina con Coltelleria Berti, l’idea della bottega e l’attenzione per il fare artigianale sono elementi ricorrenti nella sua progettazione. Trevisani ricerca un linguaggio che mette in evidenza la relazione tra uomo e oggetto e i meccanismi di affezione. “Mi piacerebbe progettare prodotti a cui l’utente si lega come con la poltrona della nonna”, dice Trevisani, giocando con una semantica famigliare e il coinvolgimento diretto delle persone. Per esempio, al centrotavola Appo l’utente attribuisce la funzione che vuole e al contempo sceglie la bottiglia su cui inserirlo. Oppure i coltelli Corredo Cucinario Italiano, in una valigia come quella di Tognazzi ne La grande abbuffata, sono ampi ma spuntati e giocano con la paura ancestrale verso gli oggetti da taglio.

Dall’alto: SuStainable bronzeS (Luisa deLLe Piane), lampaDe realizzate con SfriDi Di fonDeria; centrotavola in Sughero appo per seLetti, montabili Su qualSiaSi bottiglia e in graDo Di aSSumere molteplici funzioni (foto emanuele zamponi); ceramic texture, parte integrante Di una ricerca Sugli effetti Superficiali, ottenuti con materiali organici che Si DiSSolvono nella cottura; recipiente in corDa intrecciata zamami, autoproDuzione (foto antonio SalvaDor).

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Michele c azzaniga

“Poiché sono nato nel cuore del distretto brianzolo e sono ‘figlio d’arte’, conosco da sempre sia le principali aziende del mobile sia i loro fornitori. Ho studiato la storia del design italiano dal loro punto di vista. E ho trascorso quasi ogni sabato degli ultimi dieci anni in quegli opifici per imparare le nuove tecnologie”. Michele Cazzaniga lavora presso lo studio del padre Piergiorgio, conducendo una personale indagine nella ricerca e sviluppo dei prodotti e nei limiti strutturali e tecnologici dei materiali. Il tavolo in resina acrilica Tense, menzione d’onore al Compasso d’Oro 2011, può raggiungere l’eccezionale lunghezza di 4 metri con uno spessore ridotto. I progetti di Cazzaniga sono contraddistinti da una grande semplicità formale a cui corrispondono elevate performance tecniche. La tecnologia è perseguita come un plus funzionale e non mera esibizione. La seduta in polimero Sail, ottenuta in gas moulding, presenta gambe dalla sezione cava per il risparmio di materiale ed energia e un minor costo. Il motto è “less in more”: oggetti semplici e dalla forma essenziale a cui equivale altrettanta complessità progettuale e produttiva.

Dall’alto: Il mIscelatore monocomanDo cartesIo In accIaIo Inox DI mIchele cazzanIga, sImone manDellI e antonIo PaglIarulo Per Ceadesign, nato Dall’IDea Delle coorDInate sPazIalI x,y,z; tense, serIe DI tavolI monocromatIcI In resIna acrIlIca, attrezzabIlI anche Per l’uffIcIo, DI PIergIorgIo e mIchele cazzanIga Per MdF italia (menzIone D’onore comPasso D’oro 2011); la Poltrona reaDer DI PIergIorgIo e mIchele cazzanIga Per living divani, con struttura In accIaIo annegata nell’ImbottItura In PolIuretano; seDIa ImPIlabIle saIl Per andreu World, Progettata con PIergIorgIo cazzanIga e realIzzata In termoPolImero InIettato con gas moulDIng.

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A-R Studio

“Remo Buti, nostro maestro all’università, ci ha fatto maturare quell’impronta ironica e giocosa che caratterizza il nostro lavoro. Ma ciò che, da studenti, ha più indirizzato la scelta di diventare designer è stato il Salone Satellite: un turbine di idee e suggestioni”. I toscani Antigone Acconci e Riccardo Bastiani hanno iniziato a lavorare insieme nel 2003 con il concorso made in Tuscany sul riutilizzo di materiali tipici della regione. L’occasione ha indirizzato il loro operato dall’architettura al product design. Dal 2007 hanno disegnano per brand internazionali quali Habitat e CB2, marchi storici italiani come Merati Design o emergenti come Parentesi Quadra. Connotato comune: un design semplice e familiare con un segno ironico e narrativo. Quest’ultimo aspetto è evidente nelle inst allazioni realizzate in occasione del cinquantenario di Jannelli&Volpi. Hanno giocato con il tema del tricolore frammentato e ricomposto, a metafora delle diverse anime dell’Italia, così come con gli stereotipi legati agli anniversari. Ricordi che si trasformano in souvenir e album di memorie.

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In occasIone del cInquantenarIo dI Jannelli&Volpi, a-r studIo ha realIzzato una serIe dI InstallazIonI tra cuI La Giovine itaLia, dedIcata al trIcolore e Interpretata come uno spazIo nursery (Foto claudIa castaldI).

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A destrA: prodottA dA Campeggi, lA pAncA siestA unisce il lessico dellA pAnchinA pubblicA A quello dell’AmAcA. sotto: un cocoon che Avvolge, ripArA ed isolA. sosiA, di emAnuele mAgini per Campeggi, è un oggetto dinAmico che si trAsformA in due poltrone, un divAno e un lettino.

Emanuele Magini

“Ho pensato di fare il designer leggendo un’intervista a Philippe Starck e subito sono andato in farmacia a comprare il suo costosissimo spazzolino. C’era nei suoi oggetti più comuni qualcosa di straordinario”. Emanuele Magini è nato ad Arezzo ma gira il mondo. Con il gruppo DMR (De Paz, Magini, Ricci) partecipa all’undicesima Biennale giovani artisti del Mediterraneo di Atene (2003) e studia alla Bezalel Academy di Gerusalemme. Lavora con Albera Monti & Associati e lo Studio Rotella per poi mettersi in proprio partecipando a molti concorsi. Come Starck, anche Magini ricerca lo straordinario negli oggetti del quotidiano. Paradigmatici sono i recenti prodotti per Campeggi. Nella sua semplicità e immediatezza la seduta Siesta mantiene il lessico della panchina da esterni, con l’innesto di un’amaca che permette una fruizione libera e divertente. Definito ‘proto-soggiorno’, Sosia è un oggetto mutante: due poltrone, un divano, un lettino e un ambiente living riparato. I due progetti sottolineano l’idea di adattamento alle situazioni durante la vita di tutti i giorni.

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Meneghello Paolelli

Dall’alto: Disegnata Da MrsMith Per cAlligAris, sextans è una laMPaDa Da terra, Da tavolo e a sosPensione, con struttura in tubolare Metallico curvato e Diffusore in tessuto; la seDia basil Di cAlligAris trae isPirazione Dalla forMa Di una foglia Di basilico, in cui la nervatura centrale è conteMPoraneaMente teMa strutturale e Decorativo; ProDotto Da FontAnAArte, il sisteMa Di laMPaDe Da Parete MeDito richiaMa un raccorDo iDraulico che in questo caso fa scorrere la sorgente luMinosa.

“Il primo lavoro che abbiamo ottenuto è stato il disegno di una cassetta per l’acqua di un vaso monoblocco. Un oggetto che non avremmo mai pensato di progettare e che invece ha segnato la nostra specializzazione nel settore del bagno”. Sandro Meneghello e Marco Paolelli (classe 1979) si sono laureati al Politecnico di Milano. Nel 2006 aprono lo studio nella stessa città e collaborano soprattutto con aziende del bagno tra cui Antonio Lupi, Artceram, Bertocci, Fima, Carlo Frattini e Hidra. Nella progettazione del bagno si sono dimostrati innovatori introducendo forme e materiali inconsueti, senza tralasciare l’aspetto tecnico e di sicurezza, imprescindibile in questo ambiente della casa. Il duo realizza anche allestimenti e arredi per l’area living con Ciacci, Emoh, Omikron e Treccani. Anche in questo caso hanno espresso attenzione al rinnovamento delle tipologie, a partire dalla tecnologia dei materiali. Meneghello Paolelli hanno ricevuto ben tre Red Dot Design Award, due Design Plus e tre segnalazioni al premio Young and Design.

MrSmith

Dall’alto: Di Meneghello Paolelli, il lavabo back, in livingtec ProDotto Da ArtcerAm, si caratterizza Per coMPattezza, ProfonDità MiniMa e la Possibilità Di Posizionare la rubinetteria in Diversi Punti Del lavabo; il soffione sfera Per FimA FrAttini consiste in una sfera con Due tagli, Di cui il PriMo nasconDe tutti gli eleMenti tecnici e il seconDo MoDella la suPerficie Di eMissione Dell’acqua (PreMio Design Plus 2011); il tavolo nest, ProDotto Da emoh, Presenta un basaMento in Metallo intrecciato a eliche concentriche e il Piano in vetro (terzo classificato Young & Design 2010).

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“I primi passi non li abbiamo fatti seguendo le orme dei maestri. Grazie allo stage presso l’ufficio tecnico di FontanaArte sono maturati i contatti che ci hanno consentito di sviluppare le quattro famiglie di prodotti, che rispecchiano il nostro approccio tecnico e analitico verso il design”. MrSmith Studio è stato fondato a Milano da Marco Mascetti e Michele Menescardi. Il nome corrisponde alla versione inglese di “Mario Rossi”: un appellativo qualsiasi per presentarsi alle aziende. Ma dal 2008 è un marchio registrato. Lo studio si occupa di industrial, lighting, packaging e graphic design, sviluppando anche l’aspetto di marketing e di servizio. Oltre all’aspetto tecnico, i prodotti di MrSmith evidenziano un carattere comunicazionale che gioca sulla semantica degli oggetti e sui rituali sociali. Non è casuale, infatti, che nel loro portfolio ci siano progetti di food design che scuotono il comune modo di osservare. Il loro portfolio clienti annovera Antonio Frattini, Calligaris, FontanaArte, Ferrero, Glass Design, Miniforms e Nason Moretti.

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4P1B

“Lavoravamo per altri studi di design e ci trovavamo la sera per preparare i concorsi. Nel 2008 abbiamo partecipato ad un concorso per il progetto di una cabina da ascensore; è stato in questa occasione che è nato 4P1B, ovvero il nome riportato sul citofono della casa in cui ci riunivamo”. Quattro progettisti a Milano: il genovese Simone Fanciullacci, già designer presso Pagani e Perversi; la barese Antonietta Fortunato, progettista da Logica Architettura; il salentino Antonio De Marco con esperienza da Isao Hosoe e Matteo Ragni; e il lucchese Marco De Santi, designer da Azzolini Tinuper Architetti. Il lavoro più importante è la lampada Toy per Martinelli Luce – insignita dell’IF Design Award 2011 – che utilizza i Led secondo le caratteristiche della sorgente: a basso consumo e variabile rispetto all’applicazione. Così come Toy, la libreria Traliccio, realizzata con mensole in tondino metallico piegato che accolgono i libri senza ripiano d’appoggio, rappresenta lo studio di oggetti flessibili e d’immediata comprensione.

Studiocharlie

In alto: la lIbrerIa tralIccIo presentata da 4p1b al salone satellIte 2011, costruIta con tondInI dI metallo su due montantI che, grazIe all’InclInazIone, consentono dI alloggIare lIbrI dI dIverse dImensIonI. sfruttando la dentatura delle spalle In legno, I tondInI possono essere montatI sIa In orIzzontale sIa In vertIcale. sopra: I vasI sospesI ‘eppur sI move’. nascono da una rIflessIone sull’equIlIbrIo In natura: ne rIflettono la logIca e la fragIlItà.

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“Abbiamo letto attentamente Ettore Sottsass attraverso le Metafore fotografiche, tanto che una volta, a un anno dall’apertura dello studio, mi è apparso in sogno rassicurandomi che sarebbe andato tutto bene!”. Gabriele Rigamonti, Carla Scorda e Vittorio Turla danno vita a Studiocharlie nel 2002 nel bresciano. Realizzano oggetti geometrici dal forte aspetto grafico e collaborano con Billiani 1911, Boffi, Lanificio Leo, Lema e Vittorio Bonacina. Che si tratti di grafica o di product design, ricercano nel progetto la coerenza nell’uso dei materiali, l’equilibrio tra forma e proporzioni e l’immediatezza dell’idea. Nel paravento Ala si sono cimentati con il tema storico del midollino, mettendo in evidenza la trasparenza dell’intreccio e gli effetti di luce e ombra. Mentre nella sedia Aragosta hanno giocato con le geometrie secche dei profili per far risaltare il legno massello. Il disegno dei caratteri tipografici Superbastone e Csuni ha ricevuto la Segnalazione d’Onore al XX Compasso d’Oro. (foto ritratto Simone Facchinetti)

dall’alto In basso: Il mobIle contenItore laccato conchIglIa, prodotto da Lema; la sedIa aragosta prodotta da BiLLiani 1911 In legno massello laccato o lascIato a poro aperto; Il tavolo basso e glI sgabellI prImItIvI prodottI da Donati Group In allumInIo, caratterIzzatI dal contrasto tra l’elementarIetà volumetrIca del cIlIndro e l’esIlItà deI pIedInI d’appoggIo.

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caro imprenditore... 10 domande in attesa di risposte 1. Il Design Italiano nasce dalla visione utopica degli imprenditori del dopoguerra. Qual è la visione del futuro per l’industriale di oggi? 2. Alle fiere di settore le aziende presentano prototipi che tante volte non vanno in produzione. Perché non cercano di anticipare il mercato, anziché seguirlo? 3. Quali sono i punti di forza e di debolezza del progetto italiano rispetto a quello proposto all’estero? 4. Perché i progettisti under 35 dovrebbero impegnarsi a progettare in Italia e per le aziende italiane? 5. Qual è la scintilla che fa scegliere un progetto tra la moltitudine di proposte? 6. Attraverso quali strumenti le aziende italiane potrebbero investire di più in ricerca e formazione? 7. Se i terzisti sono stranieri, il know-how è condiviso, il mercato è globale e i designer internazionali, ha ancora senso parlare di made in Italy? 8. Nonostante la storia e la tradizione progettuale, perché l’Italia è il luogo dove il ruolo del designer viene riconosciuto di meno, sia in termini economici che di responsabilità professionali? 9. Mass e limited production. Qual è la posizione dell’industria tradizionale rispetto alla tendenza dei giovani studi a diventare produttori e promotori di se stessi? 10. Perché molte aziende italiane non costruiscono con i designer un rapporto di fiducia e duraturo nel tempo, anziché affidarsi al ‘brand’ del progettista di fama? C_In614_R_38_47_designer_vs_imprendit.indd 47

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ArcHIT rc rcHIT eTTure DomesTIcH c e cH

RACCOLGONO LE COSE CHE PIÙ USIAMO, CHE PIÙ CI PIACE MOSTRARE O CELARE CON CURA. Soluzioni volumetriche E flessibilità compositiva IN vetro, acciaio E legno, SUGGERISCONO ORIZZONTI DOMESTICI D’ISPIRAZIONE METROPOLITANA di Nadia Lionello foto di Simone Barberis

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fortepiano, sistema modulare composto da tre componenti base, contenitori di due tipi, mensole componibili e piani da appoggio di forte spessore. Ăˆ realizzato con finitura laccata opaca o in essenze, con ante laccate o a vetro e con cassetti. Ăˆ accessoriato con canalina per prese elettriche o cavi di connessione. disegn rodolfo dordoni per molteni & C. stele, libreria monoblocco con struttura e vani passanti in alluminio brown o laccato bianco e frontale in lastra di vetro laccato, nei colori della collezione ecolorsystem, intagliato con tecnologia dell’idrogetto. prevede un sistema esclusivo ad incastro invisibile per il posizionamento preciso dei vani passanti. design giuseppe bavuso per rimadesio.

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mindstream cabinet, sistema di contenitori che comprende libreria, armadio, credenza e cassetti variamente componibili tra loro, con frontali stampati in digitale su mdf colorato in pasta. fa parte della collezione successful living from diesel with moroso.

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Movie W11, contenitore in cristallo trasparente teMperato con divisori e contenitori in frassino naturale o tinto tabacco e frontali in cristallo retroverniciato o satinato colorato. design di g&r studio per gallotti & radice.

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cubolibre, composizione realizzata con moduli di sei diverse dimensioni liberamente componibili mediante un giunto in policarbonato. sono realizzati in acciaio laccato nei 190 colori della scala ral; ogni singolo kit comprende sei moduli di coloriture diverse a richiesta. design paolo ulian per officinanove.

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zero code, sistema di moduli a giorno in ciliegio con ante in listelli di legno di diverse essenze, con finitura trasparente, liberamente componibili. Ăˆ realizzato in due profonditĂ e in diverse misure personalizzabili, con schienali e ripiani colorati in sei diversi colori. design centro ricerche maam per morelato.

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burkina faso, sistema che comprende panche alte e basse, contenitori d’appoggio ad ante, con cassetti o a giorno e pannelli tecnici a parete. Ăˆ realizzato in legno laccato opaco in 40 colori o in essenza, intercambiabili fra i diversi elementi. Ăˆ dotato di passacavi in plastica e alluminio. pannelli e contenitori sono combinabili a scelta nelle finiture laccate, in tessuto, in legno, a specchio. mensole, porta dvd, cassetto estraibile e pouff sottopiano, completano il sistema. design di giulio cappellini per cappellini.

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Parcel, sistema comPosto da tre basi e sei moduli di misure diverse, liberamente comPonibili a terra, centro stanza, sosPesi a muro oPPure imPilati e Possono essere utilizzati anche come singole unitĂ€. ogni elemento Ăˆ realizzato con struttura in legno laccato in 26 diversi colori, con anta battente, a ribalta o con cassetti. design cleasson koivisto rune Per former.

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Quale f ut uro AbbiAmo ch iesto A dieci ‘maestri’ i nomi di Altrett Anti possibili eredi scelti tr A i designer it Ali Ani dell’ultima generazione. r isult Ato: molte conferme e QuAlche sorpres A di Cristina Morozzi

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Gruppo scultoreo Tre Turse di daniele papuli. nella paGina accanto, installazione CarToframma di daniele papuli realizzata per la mostra sCulTografie, castello araGonese di ischia, 28 maGGio-17 luGlio 2011 (foto salvatore Basile).

E

ra Il 24 gennaio del 1997 a Weil am Rhein. Michele De Lucchi lesse la laudatio ad Achille Castiglioni, premiato come ‘designer dell’anno’ dalla rivista Architektur und Whonen in occasione dell’inaugurazione della sua personale che, dopo aver debuttato nel 1995 a Barcellona, passando per Milano e Bergamo, era approdata al Vitra Design Museum. In quella circostanza ad Achille fu chiesto di segnalare un giovane. “Voglio proporre un giovane” disse “che non abbia velleità di farsi sentire con un disegno troppo personale; un designer discreto, capace di progettare delle cose che sembrino esistere da sempre. Uno con poca voglia di protagonismo, quella che oggi pare rodere i più giovani, ansiosi comunque e sempre di lasciare un segno. Allora mi sono venuti alla mente i progetti di Konstantin Grcic. Non lo conosco personalmente, l’ho incontrato per la prima volta alla cerimonia e mi ha confermato l’impressione che mi sono fatto di lui attraverso i suoi progetti. È un designer pacato che non pensa di cambiare il mondo con il design. Disegnando degli oggetti, tutt’al più, si suggeriscono dei comportamenti”. (Cristina Morozzi, Konstantin Grcic, Il Sole 24 ore, Milano, 2011).

Oggi si parla molto del design italiano al passato, rammentando i maestri. Talvolta al presente, citando l’eccellenza delle aziende italiane. Sul futuro pochi s’azzardano a scommettere. L’Italia è accusata d’essere un Paese invecchiato, che non lascia spazio ai giovani. Eppure, le scuole di design sono sempre più affollate e la lista d’attesa del Salone Satellite s’allunga ogni anno. Ma, la maggior parte sono stranieri che arrivano con le loro autoproduzioni, attratti dalla cultura d’impresa italiana. E i designer italiani? Segnano il passo. Di chi la colpa, se di colpa si può parlare? Di una crisi della creatività nazionale che rispecchia quella più generale del Paese? Delle scuole, della politica, delle istituzioni che non investono in ricerca e che non forniscono occasioni ai giovani? È da ritenersi responsabile l’apparato teorico che ha accompagnato il fenomeno del design italiano sin dal suo nascere, cucendogli addosso l’ortodossia disciplinare, incapace di fluidificarsi per adeguarsi alla liquefazione della società, teorizzata dal sociologo Zygmunt Bauman? È l’effetto di una deriva moralista che ha penalizzato le contaminazioni, le derive fantastiche e gli eccessi formali, escludendo quella spettacolarizzazione che dà visibilità alla nuova generazione d’Oltralpe? È un fenomeno endemico, privo di cause circostanziate, che si materializza con la casualità dei ‘corsi e ricorsi’ di vichiana memoria? Oppure dipende da una sorta di pigrizia caratteriale dei nostri giovani designer, viziati dalle aziende nazionali che, supportate dalle ricchezze tacite del territorio (gli artigiani), trasformano in prodotto qualsiasi sgorbio; che li tengono a balia, risolvendo le questioni tecniche e costruendo prototipi funzionanti sulla base di disegni, sovente approssimativi?

Daniele Pa Puli nasce a Maglie, in Puglia, nel 1971. Dopo il diploma in scultura conseguito all’Accademia di Belle Arti di Brera si stabilisce a Milano. Dal 1995 la carta diventa la materia della sua ricerca. Nel 1997 realizza la prima scultura in materiale cartaceo, mediante tagli manuali. Nello stesso periodo Vanni Scheiwiller gli affida la produzione straordinaria di fogli realizzati a mano. Più che da designer, procede come un esploratore, trasferendo paesaggi e suggestioni in un suo paesaggio realizzato in carta . Dal 2002 espone da Dilmos a Milano. Nel 2009 progetta e realizza per la Triennale di Milano l’allestimento per la mostra Gioielli di carta. Nel 2011, per la fondazione di arte e danza Flux Laboratory di Ginevra, mette in scena quattro installazioni che dialogano con le performances di danza. Sempre nel 2011 espone sue opere recenti nella personale Scultografie presso il castello Aragonese di Ischia. www.danielepapuli.net

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Eppure, una nuova generazione esiste. Forse è meno eroica di quella dei maestri. Diversi sono i tempi: oggi non è stagione di eroismi, ma di costanza e perseveranza. Non è momento di gesti eclatanti, dato che il clamore è già eccessivo, ma di delicate e affettuose attenzioni. Il nuovo design, come l’omeopatia, privilegia le piccole dosi, soccorre con premura, senza somministrare rimedi d’urto. Si occupa delle pieghe della vita, quelle che ordiscono il quotidiano. Cerca di migliorare la qualità del vivere, partendo dalle piccole cose, che finora non state oggetto di progetto. Molti dei nuovi designer sono, al pari dei maestri, etici e visionari. Vivono il mestiere come un impegno sociale, cercando di strappare anche dei sorrisi. Disegnano oggetti aggraziati, pensati per assecondare gli utenti, più che per sorprenderli o scandalizzarli. Viviamo tempi fluidi, non di rottura; anche la musica del design ha, perciò, mutato la tonalità: non più Cavalcata delle valchirie di Richard Wagner, ma sinfonie di Wolfgang Amedeus Mozart. Prendendo a pretesto un precedente illustre: l’investitura da parte di un gran maestro di un possibile erede, abbiamo chiesto a noti designer di indicarci un progettista promettente della nuova generazione italiana. La richiesta ha colto di sorpresa i più. Tutti gli intervistati hanno chiesto tempo per riflettere: il nome sulla punta della lingua non l’avevano. Antonio Citterio non ha fornito alcuna indicazione. Anche Fabio Novembre non ha fatto nomi. “Oggi si vive in tempo reale”, afferma, “è antistorico chiedere chi diventerà famoso. La gente se ne accorge subito. Le cose ormai si sanno, in diretta. La corsa al “maivistismo” è assurda. Appena appare una buona idea siamo tutti pronti ad applaudire. Conviene evitare il vampirismo. Mai farsi fregare dalla lavatrice che gira e che tutto frulla!”. A Michele De l ucchi l’ho chiesto a bruciapelo, seduta al tavolo del suo studio. Ha preso un catalogo poggiato sul tavolo e me lo ha porto. “Lui”, ha detto, mostrandomi la lettera d’accompagnamento dove Daniele Pa Puli , augurandosi che apprezzasse la sue ‘scultografie’, si scusava di avergli mandato ancora carta da visionare. “Mi piace” ha detto “perché chi lavora con la carta è un idealista. Perché le sue cose sono un soffio d’aria. Perché nelle sue mani la carta diventa resistente, senza perdere la sua fragilità”. RiccarDo blumer ha eletto un suo giovane allievo di San Marino, t ommaso Al essanDrini. “Tommaso è un alchimista”,

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ha dichiarato, “nelle sue provette ci sono chimica e fisica, pozioni di conoscenza che istruite nel processo creativo promettono musica vera”. Matteo t hun ha segnalato il già noto veneziano l uca Nichetto . “Il suo peculiare approccio progettuale” ha scritto “che si fonda sul forte legame con la sua terra d’origine e la sua artigianalità, l’ha portato, nonostante la giovane età, ad imporsi con crescente importanza sul territorio internazionale, sviluppando interessanti collaborazioni, in particolar modo lungo l’asse Italia- Scandinavia”. Denis Santac hi ara, suggerendo la sua candidata, ha offerto una riflessione sull’evoluzione della professione designer. “Solo vent’anni fa” scrive “la parola design era declinata quasi esclusivamente in industrial design, car design, graphic design, poi è arrivato il fashion design a indicare lo stilismo. A oggi siamo a 20/30 declinazioni della parola design: dai parrucchieri (hair design), ai tecnici del suono (sound design), dai tecnici della luce (light design) agli smanettoni dei siti e blog (webdesign), dal cibo (foodesign), alla città (urbandesign), al territorio (ecodesign). Queste estensioni attraversano nuovi territori della creatività, rendendo il design trasversale e senza confini, quindi, in un certo modo, universale. L’altro aspetto a me caro, che mi aiuta a scegliere un giovane progettista, è l’approccio ‘on demand’, che non è il pezzo unico, ma la capacità dei designer di personalizzare la produzione. FeDerica Moretti , con il suo ‘hat design’, mi sembra un buon esempio di sviluppo futuro di questi due aspetti così sintetizzati: nuovi territori e on demand”. Giulio iacchetti ne ha indicati addirittura due: “Esprimo due nomi”, annota, “faccio fatica ad escluderne uno al posto dell’altro… In prima battuta, direi, Francesco Faccin, un giovane designer il cui progetto si traduce essenzialmente in due parole: impegno ed etica. Poi GiorGio biscaro: trovo in lui delle affinità con il mio lavoro... Piccole intelligenze sospese in oggetti mai eclatanti”. St eFano Giovannoni elegge Massimilian o ADami. “Se penso ad un designer della nuova generazione”, dice, “i cui oggetti ricordo per la particolare forza espressiva, devo citare Massimiliano Adami e i suoi ‘fossili’. Trovo una certa affinità tra questi e le ricerche che sviluppavo agli esordi con Guido Venturini durante il periodo King Kong, quando creavamo spille o tavoli da colate di resina che inglobavano

piccoli oggetti di varia natura, soldatini, animali in plastica o qualsiasi cosa ci capitasse tra le mani. Massimiliano Adami crea sezioni concettuali di questo magma inserendo grandi oggetti come manichini, taniche e contenitori in plastica, che con i propri volumi colorati scavano il poliuretano creando opere tridimensionali di forte impatto espressivo. Mi sembra interessante il modo in cui Adami, a differenza di altri designer della sua generazione, evita un approccio diretto al progetto per l’industria, ma preferisce filtrarlo attraverso una ricerca preliminare sulla propria identità e sul proprio linguaggio espressivo”. Al Do Cibic, suggerisce Alessan Dro Mason. “Orgogliosamente figlio di un fabbro”, annota, “continua in modo creativo e poetico il lavoro di suo padre nella campagna trevigiana, inventandosi e costruendo con le sue mani opere grandi e piccole che funzionano con l’acqua. Alla Domus Academy ha proposto un workshop che sviluppa le sue ricerche e, grazie alla sua vitalità coraggiosa, ha acceso nel suo gruppo di lavoro un caloroso seguito. Con noi sta collaborando alla vitalizzazione di un sistema di canali in un paese nelle prossimità di Milano, proponendo idee per delle macchine d’acqua”. Alberto Me Da, dopo lunga riflessione, ha indicato i Forma Fantasma (Andrea Trimarchi, nato nel 1983 a Bolzano, e Simone Farresin, vicentino del 1980), due giovanissimi che attualmente lavorano ad Eindhoven. Li ritiene ‘arcaici’ in quanto sensibili alle civiltà contadine e all’artigianato, ma al passo con i tempi. “Sono il prodotto di una contaminazione”, afferma, “hanno un’identità legata alle loro origini, ma sono stati capaci di modularla sulle sensibilità olandesi. Il loro modo di relazionarsi con la natura e con i bisogni non si risolve mai solo in una suggestione formale, ma denuncia sempre un pensiero profondo” Nel 1997 Achille Castiglioni fu profetico nell’indicare come suo erede Konstantin Grcic. Speriamo che lo siano, altrettanto, nel 2011 i designer interpellati.

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PortaPiante GreenPads di Luca nichetto Per Offecct, 2011. Vasi in Vetro oPaLino, LaVorati con La tecnica deLLe PerLe Veneziane, di Luca nichetto Per Venini, 2010.

Luca Nichetto , nato a Venezia nel 1976, laurea in disegno industriale allo IUAV di Venezia, inizia nel 1999 la sua attività professionale senza passare per la bottega dei maestri, disegnando i suoi primi prodotti in vetro di Murano per Salviati. Avvia un sodalizio con Foscarini, per cui firma prodotti e collabora come consulente per la ricerca di nuovi materiali. Nel 2006 fonda il suo studio Nichetto&Partners. Collabora con numerose aziende, tra le quali Foscarini, Moroso, Kristalia, Salviati, Italesse, Emmegi, Casamania, Fratelli Guzzini, Offecct, Established&Sons. Ha ricevuto vari riconoscimenti, tra i quali l’Elle Decoration Award 2009 (EDIDA) nella categoria Young Designer Talent. www.lucanichetto.com

t ommaso ALessandrini, San Marino, 1983, laurea in disegno industriale all’Università degli Studi di San Marino, partecipa a workshop con Giulio Iacchetti e Valerio Vinaccia. Nel 2009 collabora con Luca Gafforio in un workshop dedicato ai veicoli a due ruote. Fonda Fuoriluogo, l’associazione dei giovani designer di San Marino. Lavora con l’azienda d’illuminazione Interlighting Agency. Ha curato il progetto grafico degli eventi della Giunta di Castello a San Marino. Collabora alla didattica del laboratorio di disegno industriale 3 di Riccardo Blumer all’interno del corso di laurea in disegno industriale della Repubblica di San Marino. Facebook.

LamPada LiGht stick, ProGetto di tommaso aLessandrini Per La tesi di Laurea in diseGno industriaLe Presso L’uniVersità di san marino. Panchina moduLare in cemento, PrototiPo di tommaso aLessandrini.

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Cappello in feltro biColore di federiCa Moretti per Borsalino.

Federica Moretti , classe 1983, opera come fashion designer collaborando con vari marchi, tra i quali Borsalino, Giuliano Fujiwara, Mauro Grifoni, Moschino, Liu Jo, Normaluisa, Swarovski, Byblos, Vic Matié, Enrico Coveri, Alviero Martini. Indossano sue creazioni Lady Gaga, Rihanna, Eva Cavalli. Ha partecipato a varie esposizioni di design in Italia e all’estero, tra le quali The new italian design alla Triennale di Milano, Milano Made in Design al Today Art Museum di Pechino e The new Italian design a Istanbul. www.federicamorettihandamade.com Francesco Faccin, nato a Milano nel 1977, dopo aver frequentato l’Istituto Europeo di Design lavora nello studio di Enzo Mari. Parallelamente conduce un’attività di designer indipendente, sviluppando progetti auto-producibili in piccola serie, in stretto contatto con gli artigiani. Partecipa al Salone Satellite nel 2007, quindi nel 2010, vincendo il Design Report Award. Dal 2009 collabora con lo studio De Lucchi. Dal 2010 è docente di design presso la NABA di Milano con un corso intitolato “Progetti non oggetti”. www.francescofaccin.it

foto e sChizzi di progetto del tavolo Centrino. si Monta grazie ad un gioCo d’inCastri senza viti né Colla. le gaMbe sono in noCe di Massello e il piano in Mdf laCCato. di franCesCo faCCin, autoproduzione. sedia stratos, riCavata da un pannello di Multistrato di faggio Con una fresa a Controllo nuMeriCo. È asseMblata Con inCastri e inCollata. produzione Danese, 2011.

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Sotto, La poLtroncina La riviera di GiorGio BiScaro. UtiLizzaBiLe in eSterni, ha StrUttUra metaLLica e SedUta coStitUita da dUe cUScini riveStiti con iL teSSUto in pvc dei Lettini SoLari. prototipo preSto in prodUzione. in BaSSo, Lo SGaBeLLo offSet di GiorGio BiScaro, ottenUto daLL’aSSemBLaGGio di 12 ‘BoomeranG’ reaLizzati in mULtiStrato pieGato SU cUi Si inneStano Le GamBe, Sempre in mULtiStrato, taGLiate con iL pantoGrafo. prototipo, 2011.

GiorGio Biscaro, nasce a Vercelli nel 1978 e si diploma allo IUAV di Venezia con una tesi sull’uso dei led nell’illuminazione. Dopo la laurea, inizia una collaborazione con Foscarini. Dal 2004 al 2006 è art director di Disenia, azienda di arredo bagno. Nel 2007 fonda il suo studio a Treviso e inizia a lavorare con Slide e Bosa Ceramiche. Nel 2009 partecipa al Salone Satellite di Milano. È stato selezionato per rappresentare l’Italia nelle celebrazioni torinesi del 2011. Ha partecipato nel 2007 alla mostra The New Italian Design alla Triennale di Milano con tre progetti. Nel 2011 ha condotto un workshop alla IUAV di Venezia, basato sulla progettazione con il vetro e il sughero. www.giorgiobiscaro.com

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Mobile contenitore Fossile Moderno, creato da MassiMiliano adaMi Mediante la sezione di blocchi 0di poliuretano in cui sono stati annegati oggetti d’uso quotidiano. pezzo autoprodotto in serie liMitata.

Massimilian o Adami, nasce a Monza nel 1969. Studia all’Istituto d’Arte di Monza, specializzandosi in design per l’industria, quindi frequenta il corso di disegno industriale al Politecnico di Milano. Collabora con vari studi professionali. Si fa conoscere al Salone Satellite nel 2005. Collabora con Cappellini e Meritalia. Si dedica principalmente alla realizzazione nel suo laboratorio di pezzi in serie limitata, dal forte contenuto artigianale. Ha esposto da Moss a New York. Nel 2009 la Triennale di Milano gli ha dedicato una personale nell’ambito del progetto Creative Set. www.massimiliano.it

Alessandro Mason , trevigiano, classe 1983, durante gli studi di architettura avvia una ricerca artigianale che prosegue tutt’ora nel suo laboratorio di Treviso. Realizza nel 2003 le sue prime macchine con movimenti pneumatici, elettrici e meccanici. Esperienze legate all’arte lo portano ad indagare il tema del meccanismo e del movimento in chiave poetica, con opere inserite nella natura, fragili e leggere, come esseri viventi. www.gisto.org, www.silenzioa8voci.altervista.org

scultura Sonata per cremagliera, Macchina sonora Fissata in acqua nel centro del FiuMe traMite un perno. Viene azionata da un tiMone che coglie i MoViMenti superFiciali, tipici dei corsi d’acqua. creazione artigianale di alessandro Mason.

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Studio Forma FanTasma (Andrea Trimarchi, Bolzano, 1983, e Simone Farresin, Malo (Vi), 1980), diplomati alla Design Academy Eindhoven nel 2009 con un lavoro sull’artigianato tradizionale siciliano, abitano e lavorano a Eindhoven dove continuando a indagare il ruolo del design nell’arte folkoristica e le relazioni tra tradizioni e cultura locale, enfatizzando il valore degli oggetti come vettori culturali. Loro lavori sono stati presentati a Milano durante il Salone del mobile nel 2010 e 2011, alla settimana del design olandese, all’ICFF di New York, a Design Miami/Basel. Nel 2011 sono stati eletti da Alice Rawsthorn, critica del design dell’Herald Tribune, e dalla curatrice del MoMA Paola Antonelli come il più promettente giovane studio di design. www.formafantasma.com

DETTAGLI DEL TAPPETO AQUILA, CREATO DA FORMA FANTASMA PER NODUS, 2011.

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l e imprese in scena

Fabbriche, showroom aziendali, creative center interni: i luog h i dell’o perosità quotidiana d el d esign made in italy raccontan o molto. non res tit uiscon o soltanto lo speci Fico percor so di un brand (che spesso evolve sulla scia di un’orgogliosa tradizione artigianale), ma anche un modo per sonale di interpretare l’evoluzione d el way of life italian o nel mondo. son o testimonial di un tempo della vita che coincid e con un tempo d el progetto dagli orizzonti sempre più internazionali e proiettati ver so una dimensione di creative junction. gli arch itetti li hann o immaginati per comunicare con e FFicacia l’identità e gli obiettivi di un’azienda. gli imprenditori ne hann o raccolto le potenzialità per affrontare in modo coerente le nuove sfid e di mercato che il Fut uro prossimo rich iede a cura di Antonella Boisi

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veduta notturna del complesso e dei suoi corpi aggettanti poggianti su esili colonne metalliche. richiama l’immagine di una lampada che irradia luce dall’interno attraverso una pelle a tre strati in policarbonato alveolare traslucido.

1./ matteo grassi h eadquar t er foto di Beppe Raso

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Sede: Giussano, Italia Anno nascita azienda: 1880, quando Matteo Grassi fonda una selleria che, grazie al know-how nella lavorazione della pelle, riesce a imporsi anche nel settore dell’arredamento Tipologia prodotti: mobili e accessori per la casa e l’ufficio Firme del design internazionale che hanno disegnato per il brand: Piero Lissoni, Rodolfo Dordoni, Franco Poli, Jean Nouvel, Matteo Nunziati, Stefano Grassi, Eoos, Gordon Guillaumier, Alessandro Mendini, Tito Agnoli, Carlo Bartoli Dimensioni del nuovo fabbricato: 13.900 mq, su un’area di 20.000 mq Tempi di realizzazione: 2008-2010 Destinazione: impianti produttivi, magazzini e uffici Design team: Lissoni Associati Progettista: Piero Lissoni con Paolo Volpato; Samuel Lorenzi, Carlo Vedovello (architetti), Hitoshi Makino (interior design); Alberto Massi Mauri e Alessandro Massi Mauri (visual 3d); Gianni Fiore (maquette)

il racconto di massimo grassi, presidente e a.d. dell’azienda “La nuova sede nasce dall’esigenza funzionaleorganizzativa di riunire e accentrare in un unico building le quattro divisioni del gruppo, insieme agli impianti produttivi e agli uffici dedicati. Conseguente è stata la scelta di rappresentare chi siamo oggi con un’architettura che restituisse il nostro percorso di ricerca e il dna aziendale. Il progetto è stato affidato a Piero Lissoni con il quale la collaborazione prosegue da ormai ventitré anni: un rapporto consolidato di affinità elettive e di gusto ha reso fertile il dialogo. Abbiamo condiviso insieme il concept di un luogo, da cui ricavare benefici tout court, anche in termini di benessere ambientale. L’ecosostenibilità dell’edificio si evidenzia nella soluzione adottata per il rivestimento esterno costituito da una “pelle” a tre strati: un pannello esterno in policarbonato alveolare trasparente, un pannello intermedio in Okalux, un pannello interno sempre in policarbonato alveolare trasparente. Il rivestimento così realizzato garantisce eccellenti risultati in termini di circolazione dell’aria, controllo della luce e di comfort. L’illuminazione, grazie alla particolarità del pannello in Okalux, viene distribuita in maniera uniforme in tutti gli ambienti di lavoro e consente di utilizzare fonti di luce artificiale non più di due ore al giorno nel periodo più critico dell’anno, quello invernale. Ciò consente un notevole risparmio energetico che, unito alla realizzazione di un impianto fotovoltaico di circa 350 kw, rende la nuova sede totalmente autosufficiente: consumiamo quanto

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produciamo. Un’architettura a impatto zero. Poi, le ulteriori declinazioni, la particolare cura al progetto dell’ambiente di lavoro in termini di piacevolezza e comfort. Sono state previste climatizzazione e regolazione autonoma nella zona uffici ed impianto di teleriscaldamento a pavimento nella zona produttiva. Anche la possibilità di una caffetteria comunicante visivamente con gli impianti produttivi per me è significativa di un atteggiamento di dialogo e di sentimenti condivisibili. Alla fine, la nuova sede corrisponde perfettamente a tutto ciò che rappresenta la nostra azienda e la sua storia che da poco ha festeggiato i 130 anni di attività. C’è una linea di continuità tra chi la vive da dentro e i prodotti che ne escono”.

qui sopra, l’area d’ingresso-reception. in alto e nella pagina a fianco, il volume di collegamento interno. l’atmosfera essenziale e glamour degli ambienti è sottolineata dal contrasto tra i muri in cemento non trattato e i pavimenti rivestiti con una resina color ghiaccio prodotta da kerakoll. il carattere grezzoindustriale della costruzione è rimarcato anche dagli effetti di luce, appositamente realizzati .

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qui sopra, lo spazio della caffetteria che comunica visivamente con gli impianti produttivi, ricercando una dimensione di apertura fisica e mentale. dettaglio di una stanza dedicata ai meeting e scandita con essenziali partizioni vetrate in zone indipendenti.

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sopra, un’immagine astratta, compendio di geometrie, materiali e colori declina il sapore dell’architettura e della sua grammatica linguistica.

la dinamicità dell’arch itett ura è res tit uita dal contras to tra pieni e vuoti, luci e ombre, chiari e scuri

in basso, un ufficio disegnato come un luminosissimo open-space, con particolare cura al progetto d’arredo in termini di piacevolezza e comfort.

il concept del progetto nel racconto di piero lissoni “L’ispirazione è l’immagine di una lampada che rischiari il buio della notte. Quest‘immagine mi ha suggerito una costruzione dalla duplice identità: durante il giorno si mostra come una struttura leggera, opaca che riverbera la luce del sole, mentre di notte è un contenitore che irradia luce dall’interno. I volumi, realizzati interamente in struttura metallica, caratterizzati da sbalzi considerevoli, appoggiano su esili colonne e accolgono gli spazi degli uffici luminosissimi. Il rivestimento utilizzato su tutti i lati visibili dei corpi aggettanti è costituito da un pannello sandwich a tre strati in policarbonato alveolare traslucido. Il complesso, che ha uno sviluppo longitudinale, non presenta su questo lato nessuna trasparenza, al contrario nega qualsiasi collegamento visivo interno/esterno. Tutti i lati corti dei diversi corpi, viceversa, sono trattati con ampie vetrate trasparenti. Col buio, quando l’edificio è illuminato, la struttura in acciaio diventa visibile dietro il policarbonato, a enfatizzare il carattere grezzo-industriale del resto della costruzione. Gli effetti di luce ricercati sono sottolineati dal contrasto con i muri perimetrali dell’edificio principale, in cemento non trattato”.

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le Imprese In scena

2./ Glas It al Ia h eadquar t er

belvedere, dal livello superiore, dell’ambiente che accoglie l’ingresso con le zone reception e lobby, affacciate tramite la vetrata a tutta altezza (circa 9 metri) sul giardino. nella pagina a fianco, scorcio dell’architettura esterna dell’edificio, ripreso in notturno. gli stretti tagli in lamiera di acciaio nero mascherano i serramenti a lamelle di vetro.

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Sede: Macherio, Italia Anno nascita azienda: 1970 Tipologia prodotti: mobili e complementi in cristallo per la casa, l’ufficio e il contract Firme del design internazionale che hanno disegnato per il brand: Michele De Lucchi, Naoto Fukasawa, Johanna Grawunder, Piero Lissoni, Shiro Kuramata, Jean-Marie Massaud, Alessandro Mendini, Jasper Morrison, Philippe Nigro, Patrick Norguet, Claudio Silvestrin, Ettore Sottsass, Patricia Urquiola, Nanda Vigo Dimensioni del nuovo fabbricato: 10.700 mq Tempi di realizzazione: 2005-2010 Destinazione: impianti produttivi, magazzini, uffici, showroom, caffetteria Design team: Lissoni Associati Progettista: Piero Lissoni con Paolo Volpato e Luca Veltri; Stefano Giussani, Andrea Piazzalunga, Mattia Susani, Ettore Vincentelli (architetti), Stefania Crippa e Hitoshi Makino (interior design); Alberto Massi Mauri e Alessandro Massi Mauri (visual 3d); Gianni Fiore (maquette)

foto di Cesare Chimenti

il racconto di lorenzo arosio, direttore generale glas italia “Volevo prima di tutto che la nostra sede spiegasse chi siamo e come ci proponiamo, il nostro rapporto col mondo del vetro e come interpretiamo questo materiale; che fosse manifesto il nostro intento di non snaturarne le caratteristiche intrinseche e di ricercare qualità formale e sostanziale nella nostra produzione. Ritengo infatti che una sede aziendale possa comunicare con estrema efficacia l’identità e gli obiettivi di un’impresa. Da questo punto di vista l’intesa con il progettista è stata perfetta. Il nostro progetto per il futuro è quello di consolidare la nostra posizione di specialisti del cristallo, aperti ad esplorare le numerose affascinanti potenzialità di questo straordinario materiale”.

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la scultorea scala in acciaio e vetro autoportante che, dalla reception, conduce al livello superiore dove sono stati organizzati uffici, sale riunioni, showroom e caffetteria.

la pelle di rives timento esterna in U-glas att Ua Un sapiente innes to del nuovo con il preesis tente

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2./ glas italia / 73

due zone dello spazio espositivo e, in basso, il passaggio verso gli uffici. tutti gli arredi impiegati fanno parte della collezione Glas italia, fatta eccezione per quelli tecnici al servizio degli uffici e quelli realizzati su disegno da lissoni associati. i pavimenti sono in resina di produzione KeraKoll.

il concept del progetto nel racconto di piero lissoni “Il nuovo centro di produzione delle Industrie vetrarie Emar-Glas è il risultato dell’ampliamento della vecchia sede situata a Macherio in provincia di Monza e Brianza. L’edificio è caratterizzato da una pelle di rivestimento esterna che, oltre a ricoprire parzialmente l’edificio preesistente, si estende ed integra tutto il perimetro del nuovo complesso. La pelle di rivestimento esterna è stata realizzata miscelando in maniera casuale lastre verticali di U-glas di tre differenti dimensioni in larghezza. L’effetto finale è quello di una grande scatola traslucida che raggiunge il massimo effetto di notte quando si illumina completamente. La scatola è interrotta, sul lato nord, da un volume realizzato con lastre sabbiate in cemento armato, un preciso omaggio a Carlo Scarpa. La struttura cubica ospita l’ufficio per il ricevimento merci al piano terra ed una spettacolare sala riunioni al livello superiore. Oltre a questo volume, altri elementi rompono la

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sequenza irregolare delle lastre di U-glas: lunghi e stretti tagli realizzati in lamiera di acciaio nero mascherano i serramenti a lamelle di vetro, atti a garantire la corretta ventilazione degli ambienti interni. Un camminamento in lastre di cemento sabbiato di differenti misure conduce alla zona accoglienza, attraversando un giardino ornamentale sempreverde, al cui centro è stata posizionata una pianta d’alto fusto. La reception si affaccia, tramite l’ampia vetrata, sul giardino e si sviluppa a tutta altezza (circa 9 mt). Quasi al centro della reception si trova la grande scala-scultura, in acciaio e vetro autoportante, che conduce al livello superiore dove sono organizzati gli uffici, le sale riunioni, lo showroom e la caffetteria. Le partizioni in vetro tra gli ambienti che si affacciano su giardini/cavedio dai quali traggono aria e luce naturali, creano un’atmosfera ariosa ed enfatizzano l’eleganza dell’edificio”.

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vista notturna dell’edificio anni settanta, dal tipico sviluppo basso e longitudinale, ristrutturato con l’innesto di un nuovo involucro rivestito in formelle di vetrocemento di grande formato e spessore, appositamente realizzate su disegno. l’immagine architettonica complessiva intende richiamare quella di un “dado luminoso incastrato in un volume piramidale fatto di solo prato”. in primo piano il sentiero con le 30 stepping stones di origine cinese verso l’ingresso. pagina a fianco, una delle due serre interne chiuse dal cupolino in policarbonato che garantisce l’ottimale micro-ventilazione di piante e alberi, come in un giardino d’inverno.

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3./ bonaldo showroom foto di Paolo Golumelli

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Sede: Borgoricco, Padova Anno nascita azienda: 1936. Giovanni Vittorio Bonaldo fonda una prima impresa artigianale specializzata nella realizzazione di elementi d’arredo in metallo. Il Gruppo Bonaldo nasce nel 1981 Tipologia prodotti: divani, letti, sedute, tavoli e complementi d’arredo Firme del design internazionale che hanno disegnato per il brand: Ron Arad, Mauro Lipparini, Bartoli Design, D’Urbino e Lomazzi, Massimo Iosa Ghini, Toshiyuki Kita, Ilaria Marelli, Mario Mazzer, Luca Nichetto, Karim Rashid, Denis Santachiara, Giuseppe Viganò Dimensioni del nuovo showroom aziendale: 6.000 mq Tempi di realizzazione: 26 mesi (2009-2011) Destinazione: showroom, museo aziendale, laboratori tematici Progettista: Mauro Lipparini

la riconver sione di un’unità produttiva (oggi integrata nel vicin o centro di villanova) diventa l’occasione per dare forma a un’arch itett ura flessibile, d estinata a spazio espositivo e n on solo, che vive, nella sua apert ura, di palcoscenici mutevoli

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il racconto di albino bonaldo (il presidente) e di sabrina bonaldo (direzione marketing) “Non mi entusiasma parlare e ricordare del passato. Preferisco concentrarmi sul futuro. Ho ancora voglia di fare, di inventare e di misurarmi ogni mattina con nuove sfide. Com’era nel 1981, quando ho iniziato la produzione artigianale di letti, materassi e reti e, a seguire, di accessori della casa, ottimizzando quanto avviato nel 1936 da mio padre. Oggi mi affiancano i figli, Sabrina e Alberto, che hanno tutta l’energia e il know how per inquadrare il percorso del nostro gruppo aziendale in un quadro narrativo più ampio che abbraccia la storia del design italiano e l’evoluzione del lifestyle degli ultimi decenni. Questo showroom pensato anche per l’allestimento di laboratori di idee e workshop intende esserne valido testimone. L’azienda è infatti ormai diventata un microcosmo che distilla culture differenti, attraverso la collaborazione con designer di ogni provenienza”. Gli fa eco Sabrina Bonaldo che, in azienda, si occupa della direzione marketing: “Dobbiamo chiamarlo showroom, ma solo perché non esiste un termine che da solo racchiuda l’idea di punto di incontro, di porta aperta alle idee, alla condivisione, alla comunicazione di installazioni artistiche, di design, di architettura e di tecnologia. Nel segno di una ricerca linguistica trasversale”.

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la scala sviluppata lungo il perimetro, accanto ai giardini d’inverno, che conduce al primo livello. nelle altre immagini, due aree dello spazio espositivo concepito come un palcoscenico ininterrotto e fluido, in grado di accogliere eventi diversi. elemento di continuità su entrambi i livelli, le pareti rivestite in mdf verniciato in pasta e incollato a parete.

il concept del progetto nel racconto di mauro lipparini “Un dado luminoso incastrato in un volume piramidale: così ho immaginato lo spazio, quando Sabrina e Alberto Bonaldo mi hanno parlato dell’idea di trasformare una parte storica dell’azienda, l’unità produttiva anni Settanta degli imbottiti denominata Styling, in un luogo-simbolo nel quale potessero convivere il passato, il presente e un futuro ricco di stimoli. Da qui le scelte: l’edificio è stato realizzato completamente in vetrocemento, con 7.911 formelle a superficie sagomata, di grande formato e spessore. Ogni elemento è finito internamente a specchio in modo da catturare la luce, così che l’intera facciata la rifletta in modo irregolare, creando un fronte di onde luminose. Il percorso verso l’ingresso restituisce il carattere aperto dello spazio con un sentiero formato da 30 stepping stones, pietre provenienti dalle regioni cinesi dello Jangxi e del Fujian, benauguranti secondo la cultura locale e disposte reinterpretando le

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espressioni dei giardini orientali. La grande porta a vetri introduce nella prima zona di accoglienza. L’edificio è suddiviso in due aree principali: una parete centrale bianca risulta l’unico diaframma all’interno dello spazio espositivo continuo e aperto, in grado di accogliere gli eventi più diversi, delimitati virtualmente da sedici controsoffitti bianchi che indicano, senza vincolarlo, i vari episodi. Veicolano l’attenzione due aree verdi: suggestivi giardini d’inverno a tutta altezza, popolati di piante e alberi in grado di adattarsi alle particolari condizioni climatiche ricreate all’interno delle serre, delle quali il cupolino in policarbonato garantisce la micro-ventilazione. Una scala illuminata, elemento architettonico e segno grafico catalizzante, conduce al piano superiore dove si trovano gli uffici, i generosi spazi-meeting e il museo dell’azienda, con le presse, i macchinari e le fotografie che appartengono alla sua storia”.

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L’ampia saLa, aL LiveLLo superiore, dedicata ai meeting aziendaLi e deLimitata suL fondo da un divisorio in vetro serigrafato e retroiLLuminato. oLtre, si apre iL museo BonaLdo.

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le imprese in scena

4./ Magis h eadquar t er

foto di Tom Vack

la nuova sed e dell’azienda a torre di Mos to, frutto di un progetto interno realizzato in un’ottica di qualità non ostentata, con un sistema di prefabbricazione coniugato a un’estrema cura dei dettagli. il risultato: un luogo di lavoro accogliente e stimolante che vive di luce, di trasparenze e di verde. quasi zen

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Sede: Torre di Mosto (Venezia) Anno nascita azienda: 1976 Tipologia prodotti: complementi d’arredo di design (sedie, tavoli, librerie, accessori + una linea di mobili ed oggetti per i bambini dai 2 ai 6 anni, la Me Too Collection) Firme del design internazionale per il brand: Stefano Giovannoni, Jasper Morrison, Marcel Wanders, Marc Newson, Konstantin Grcic, Ron Arad, Ronan&Erwan Bouroullec, Jerszy Seymour, Naoto Fukasawa, Thomas Heatherwick, Philippe Starck, Zaha Hadid, Alessandro Mendini e molti altri Dimensioni del nuovo fabbricato: mq 15.000 (magazzino, centro logistico, assemblaggio) + mq 3.500 (uffici, showroom) Tempi di realizzazione: settembre 2005–novembre 2006 (magazzino, centro logistico, assemblaggio); novembre 2008–dicembre 2009 (uffici, showroom) Destinazione: impianti produttivi, magazzini, uffici, showroom Progettista: Magis design team in collaborazione con l’architetto Marc Berthier; ing. Marco Dalla Torre (magazzino, centro logistico, assemblaggio); geom. Franco Zulian (uffici, showroom)

Dettaglio Del fronte verso straDa rivestito in pannelli prefabbricati Di calcestruzzo alleggerito e segnato Da un nastro continuo vetrato aD altezza uomo. al centro, il monolitico portale D’ingresso in cemento armato che introDuce sulla Destra agli uffici e sulla sinistra allo showroom, alla biblioteca e alle sale-riunioni. l’area D’ingresso-reception sottolinea l’atmosfera austera eD essenziale Degli ambienti Di lavoro. nella pagina a fianco, una veDuta notturna Dell’eDificio ripreso Dal chiostro-giarDino interno, correDato Di camminamenti ortogonali e passerelle in legno o cemento. l’ illuminazione interna Degli uffici è stata risolta con proDotti Flos. Quella esterna realizzata con proDotti simes.

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il concept del progetto nel racconto di alberto perazza, export manager e partner magis “Ho seguito in prima persona tutta l’ideazione della nuova sede che è stata sviluppata internamente, senza ausilio di progettisti esterni. Soltanto l’immagine dello showroom e dell’ingresso è nata da un’idea coltivata con l’architetto-designer francese Marc Berthier con cui il sodalizio è di lunga data. Magis è nata nel 1976 a Motta di Livenza ed è stata fondata da mio padre Eugenio. L’esigenza di uno spazio più grande, più funzionale e più in linea con la Magis di oggi ci ha portato a Torre di Mosto: qui, nel gennaio 2007, abbiamo inizialmente trasferito magazzino, centro logistico, assemblaggio; poi, nel gennaio 2010, c’è stata la migrazione definitiva di uffici e showroom. Ci insediamo su un’area di 100.000 mq; magazzino e centro logistico ne occupano 15.000, uffici e showroom, in una costruzione separata, si sviluppano su una superficie coperta di 3500 mq. Il collegamento tra i due corpi di fabbrica è risolto con un tunnel di vetro di facile accesso reciproco. La pianta del nuovo edificio è quadrata: una scatola di metri 70 x 70. La caratterizza un ‘chiostro’ interno pensato come un’oasi verde, con piante, siepi e luci, camminamenti ortogonali e passerelle in legno o in cemento. Tutti i locali si affacciano su questo giardino grazie a generose vetrate continue su tutti e quattro i lati. Ogni ufficio ha una porta per accedere alla corte interna dove è possibile anche lavorare, visto che tutta la struttura è in wireless. Il verde è stato un elemento molto importante nel concept del progetto.

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sopra, Vista d’insieme dello showroom, disegnato come uno spazio unitario, aperto e continuo che si prolunga idealmente, tramite le Vetrate a tutt’altezza, all’esterno nel giardino. accanto, lo spazio destinato alla biblioteca e organizzato anche come archiVio storico aziendale.

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Ci troviamo in campagna, in una zona industriale, ma prossima al centro abitato. Abbiamo voluto mantenere il verde e renderlo fruibile a tutti in una dimensione di continuità con l’esterno. L’edificio dedicato a uffici e showroom è stato realizzato in edilizia prefabbricata. Abbiamo ritenuto infatti che questa soluzione fosse adeguata non soltanto alle nostre esigenze funzionali, ma anche con l’immagine di identità seriale dei nostri prodotti. La luce è stata un ulteriore parametro significativo nel concept del progetto. Individua un plus di qualità ambientale non trascurabile. Ritagliati nella copertura di cemento armato precompresso, una serie di lucernari regalano infatti altra luce naturale, zenitale, agli spazi di lavoro, connotati da un’atmosfera essenziale e stimolante: pavimenti in gettata di cemento e pareti divisorie trasparenti in vetro. Anche il fronte principale su strada è contraddistinto da un nastro continuo vetrato ad altezza uomo. Segno catalizzante su questo lato, dalla pelle in pannelli prefabbricati di calcestruzzo alleggerito, è il portale d’ingresso: una figura monolitica in cemento armato, circondata da una struttura in carpenteria metallica con funzione di frangisole, che introduce sulla destra agli uffici e sulla sinistra allo showroom, alla biblioteca e alle sale riunioni. Abbiamo selezionato con particolare cura finiture e materiali adottati, con la convinzione che i dettagli fanno la differenza. Alla fine, tutto cerca di comunicare e restituire un’atmosfera di quiete e comfort senza acuti, accenti aggressivi o spettacolari: in sintonia con la cultura dei nostri prodotti attenta alle tecnologie d’avanguardia e ai materiali di ricerca. Ieri abbiamo cercato di colmare, con una serie di pezzi di qualità, il gap riferito al segmento infanzia; oggi, dopo aver aggiornato e implementato accessori e complementi con una famiglia di prodotti più estesa, mirata al contract con declinazioni di gusto differenti, stiamo investendo sui prodotti ecocompatibili (realizzati con materiali bio-basic o con una plastica che non deriva dal petrolio). Per analogia, il passo successivo riferito alla nostra sede sarà la realizzazione di un impianto fotovoltaico, già predisposto in termini di installazione durante il cantiere. Attualmente disponiamo di un sistema di condizionamento/riscaldamento a liquido refrigerante con portata variabile, a recupero di calore, che ci consente un risparmio dei consumi intorno al 30% rispetto a un sistema tradizionale con gas metano. Un’economia di gestione che è supportata dal buon isolamento termico e dall’orientamento ottimale delle ampie porzioni vetrate dell’edificio”.

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Jaipur Garden, di paolo Giordano per I+I, tavolino composto da due profilati di alluminio che, montati a incastro, permettono di personalizzare saGome e altezze.

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t otal metal di Katrin Cosseta foto ed elaborazione immagini di Gianni ed Enrico Ummarino

l amiere crud e, ferro ossidato, ottone acidato, acciaio lucido come un o specch io o rame dai caldi riflessi. il d esign d eclina nel mobile t utte le possibilità espressive del metallo superando la tradizionale identificazione del materiale con l’es tetica industriale

Z-Chair, di Zaha hadid per Sawaya&Moroni, seduta sCultorea, Che Cambia forma a seConda della prospettiva, realiZZata in aCCiaio luCido. ediZione limitata di 24 peZZi.

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XT, di STefano GraSSi per Matteograssi, Tavolo quadraTo o reTTanGolare con STruTTura in acciaio Tubolare verniciaTo o bruniTo a cui Si poSSono abbinare piani in meTallo, marmo o criSTallo.

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arabeSque, di alberTo baSaGlia e naTalia roTa nodari per YDF, SiSTema di Tavoli componibili con baSe in meTallo finiTura naTural a cera o laccaTo, piano in acciaio da laminaToio finiTura naTural o in criSTallo.

filo, di david lopez quincoceS per LeMa, Tavolo con eSili Gambe in lamiera SaldaTe a una cornice nello STeSSo maTeriale che oSpiTa un piano in lamiera o in marmo.

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Celato, disegnato e prodotto da De Castelli, mobile a Cassetti in legno di betulla sfalsati apribili tramite pressione. struttura in legno rivestita in rame maistral, ferro aCidato, ottone aCidato e tutti i metalli di Collezione.

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origami, di ChuCk Chewning per Donghia, tavolino in ottone, in finitura luCida all’interno e spazzolata all’esterno.

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mumbai, di paola navonE pEr Baxter, Tavolini con sTruTTura in fusionE di alluminio grEzzo vErniciaTo nEro opaco con piano lucidaTo a spEcchio.

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Tambour, di ronan&Erwan bouroullEc pEr magis, collEzionE di Tavolini in fusionE di alluminio a uno o duE piani, disponibili con o sEnza ruoTE.

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EntrE-DEux, Di Konstantin Grcic pEr AzucenA, schErmo-architEttura mobilE composto Da DuE ali in alluminio anoDizzato blu nottE, bronzo o alluminio nEro, incErniEratE al cEntro. DuE fori ricavati in spEssorE funGono Da maniGliE, consEntEnDo la sua facilE movimEntazionE.

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soori, Di soo chan pEr Poliform, tavolino in mEtallo con piano tExturizzato, DisponibilE nEllE finiturE bronzo anticato o acciaio brunito.

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tavolo dalla collezioe StarS, di Bartoli deSign per Laurameroni, con piano in legno riveStito in laStre d’acciaio trattato rame Brunito, diSponiBile anche in altre finiture metalliche come acciaio lucido, rame naturale, ottone.

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liBreria di ferruccio laviani per Kme, realizzata con un incaStro di montanti Strutturali in rame a Sezione quadrata e Sottili ripiani in rame finitura claSSic. prototipo.

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AurorA, di CAstello lAgrAvinese per Cantori, sediA in metAllo finiturA ottone e rAme, sedile imbottito in poliuretAno rivestito in pelle o tessuto.

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f abbrica ita li a 3. 1.

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Presidio del territorio. Global brand. Mon omarca diretti. Mad e in italy. Siner Gie. Comunicare Con l’ arte... Parole, fatti, Pro Getti e Punti di viSta di imprenditori e manager italiani. wiki Pedia d el d eSiGn Per fronte GGiare le nuove sfide internazionali

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di Rosa Tessa

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1. Rossella Bisazza, diRettoRe comunicazione di Bisazza. 2. il Bisazza Flaghip stoRe a paRigi. 3. lo showRoom Poliform di los angeles. 4. lauRa anzani, diRettoRe di poliFoRm usa. 5. st. elie cathedRal a BeiRut, in liBano, illuminata da fontanaarte. 6. lauRo BuoRo, pResidente di nice a cui Fa capo l’azienda FontanaaRte. 7. gioRgio Busnelli, pResidente di B&B italia. 8. il mandaRin oRiental hotel di BaRcellona, aRRedato con pRodotti B&B italia.

un prodotto industriale come il nostro”. “D’altro canto” aggiunge “il mercato americano è anche un’opportunità, nonostante la crisi di cui non si vede la fine. Primo perché è un’importante vetrina internazionale, e mi riferisco alle città in cui siamo presenti con i nostri showroom di proprietà: New York, Los Angeles, Miami e Chicago. Secondo perché è un mercato ancora vergine”.

“Good morning America” Laura Anzani, direttore di Poliform Usa L’America per Laura Anzani rappresenta una doppia sfida: personale e professionale. Tre anni fa ha lasciato la Brianza per New York dove si occupa in prima persona dello sviluppo di Poliform Usa negli States e nell’America del Nord. La trentunenne, seconda generazione di una delle due famiglie che guidano Poliform, dallo showroom newyorkese ha un osservatorio privilegiato per capire quanto il mercato a stelle e strisce sia difficile e contraddittorio. Racconta: “Sebbene sia uno dei Paesi di sbocco più tradizionale di molti prodotti italiani, dal food alla moda, rimane un mercato difficile per il design. Noi lavoriamo qui da molti anni, ma ci rendiamo conto che c’è ancora molta diffidenza e ignoranza da parte del consumatore finale rispetto ai marchi italiani dell’arredo”. L’America è grande, ma nel complesso il mercato è molto conservativo, e se New York è avanti nel livello di conoscenza e cultura del design italiano, le altre città sono molto indietro, come Chicago, per esempio “dove” spiega Anzani “nonostante Poliform sia presente da 12 anni, il business è ancora in fase embrionale”. In America è fondamentale, più che in ogni altra parte del mondo, avere stretti rapporti con architetti e interior decorator . “Qui il passaparola è lo strumento più efficace per farsi conoscere”, spiega Anzani. “Gli americani che non hanno cultura dell’abitare si fidano solo degli interior decorator che fanno realizzare gli arredi da falegnami locali. Quindi bisogna far capire loro il valore aggiunto di

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Solo i ‘global brand’ vincono la partita cinese Rossella Bisazza, direttore della comunicazione di Bisazza “Il mercato italiano si assottiglia sempre più e le aziende del design tricolore, gioco forza, devono rendere i loro marchi ‘globali’”. Rossella Bisazza spiega il suo punto di vista: “Le family companies italiane del design devono fare un salto di qualità sui mercati internazionali”. Come? “Promuovendo il marchio all’estero e in particolar modo nei Paesi asiatici”. Obiettivo verso cui Bisazza orienta il timone della crescita futura è infatti la Cina, dove attualmente può contare sulla presenza di 17 monomarca aperti da partner locali, mentre coltiva l’intenzione di aprirne due diretti, a Shanghai e a Pechino. “La sfida in Cina” prosegue Bisazza “è affermare il proprio nome come un brand di design e lusso. Si ottengono dei risultati, entrando in diretto contatto con i clienti con un’intensa attività di pubbliche relazioni, investendo sul personale, e partecipando ad eventi speciali collegati al lusso. I cinesi sono affamati di prodotti realizzati da aziende con una storia e un savoir-faire riconosciuti”. Altrettanto importanti le partnership locali. In Medio Oriente Bisazza ha aperto un monomarca in Qatar e nel mercato russo è in fase di scouting per una prossima apertura. Intanto l’azienda sta ultimando un progetto molto ‘glamour’ a Londra: la piscina e la spa dell’Hotel Bulgari, in apertura nel 2012, in occasione delle Olimpiadi. I Paesi vanno conquistati in loco Lauro Buoro, presidente di Nice a cui fa capo FontanaArte “Un’azienda diventa internazionale quando presidia direttamente, con uomini e strutture, territori e mercati. Questa è la sfida dei prossimi anni”. Poche ma chiare le parole di Lauro Buoro, presidente del gruppo italiano Nice che, dallo scorso dicembre, ha acquisito il 60 per cento di FontanaArte. Il gruppo, che ha sede a Oderzo in provincia di Treviso, realizza sistemi di automazione wireless per movimentare tende, schermi e quant’altro all’interno dei bulding e delle case. Avendo acquisito, con FontanaArte, un’azienda storica del design italiano, da qualche mese si è messo subito al lavoro sul fronte internazionale aprendo una filiale in Francia e mettendo a punto le prossime tappe di espansione nei mercati internazionali. “Avere la stessa piattaforma logistica di Nice aiuterà

FontanaArte ad essere più veloce e vicina al cliente”, sostiene Buoro. Altra spinta all’internazionalizzazione su cui il management di FontanaArte sta lavorando è l’apertura a nuovi designer internazionali. “Fino ad ora il marchio ha avuto un profilo molto domestico nei suoi prodotti, che sono stati progettati da grandi designer, ma tutti italiani”, racconta Buoro. La sfida, d’ora in avanti, è far lavorare architetti e designer stranieri in modo da dare ai prodotti un respiro più internazionale”. Come esempio la lampada presentata allo scorso Euroluce che, disegnata da Shigeru Ban noto architetto giapponese, ha aiutato l’azienda ad avvicinarsi al mercato nipponico. Il risveglio di Londra Giorgio Busnelli, presidente di B&B Italia Chi è nato con il pallino dell’export è abituato a concepire il mondo come il proprio orizzonte di riferimento. Per B&B Italia la sfida internazionale è nata più di quarant’anni fa, spiega Giorgio Busnelli: “La nostra azienda, sin dalla sua nascita nel ’66, si è data come obiettivo la conquista dei mercati esteri e, da circa otto anni, l’81 per cento della produzione è destinata ai Paesi esteri”. Lo strumento per guadagnare terreno nell’export è fuor di dubbio il monomarca: la crescita nei mercati d’oltreconfine sostiene il retail e il retail accelera la crescita in quegli stessi Paesi. Un circolo virtuoso in cui l’azienda della famiglia Busnelli continua ad investire e che l’ha portata a totalizzare complessivamente 18 flagship, di cui sette diretti. “In questi anni abbiamo rinnovato il modo di presentarci ai consumatori”. racconta Busnelli. “Abbiamo lavorato sullo spazio espositivo dei negozi e sui servizi, per esempio fornendo la consulenza di interior decorator che all’interno degli store è a disposizione della clientela”. L’espansione del gruppo è stata accompagnata dalle aperture dei flagship store nelle città internazionali più importanti, primo dei quali, nel 2001, il negozio londinese. E proprio Londra, in questo momento, è la città che, grazie alle Olimpiadi del 2012, sta dando da fare a molte aziende del design italiano, compresa B&B Italia che sta realizzando alcune aree di tre prestigiosi alberghi che apriranno nell’aprile di quell’anno: il Cafè Royal Hotel di David Chipperfield, il Me London Hotel di Foster & Partners e alcune aree del Bulgari Knightsbridge progettato da Antonio Citterio Patricia Viel and Partners. Il mercato più importante rimane quello americano: “Siamo in trattative per aprire monobrand e shop in shop”, aggiunge Busnelli, che conferma una ripresa del mercato a stelle e strisce. “Se continua così”, spiega l’imprenditore, “nel 2011 raggiungeremo il nostro massimo storico di fatturato negli Usa, lo stesso che abbiamo toccato nel 2007. Il mercato delle forniture ai privati si sta riprendendo e per fortuna noi non abbiamo mai smesso di investire”.

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1. EmanuEl Colombini, amministratorE dElEgato di Colombini E di Rossana. 2. lo spazio ‘intErni mobili & dEsign’ di milano Con un CornEr dEdiCato allE CuCinE rossana. 3. boffi bain paris, installazionE pEr i dEsignErs days 2011.4. robErto gavazzi, amministratorE dElEgato di boffi. 5. lo spazio boffi solfErino di milano, installazionE pEr la sEttimana dEl dEsign di aprilE 2009. 1.

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Nuovi mercati, sinergie di gruppo Emanuel Colombini, amministratore delegato di Rossana Affrontare i mercati internazionali diventa meno complicato se si hanno spalle forti. Rossana, l’azienda di cucine di alta gamma che da un paio d’anni è stata acquisita dal gruppo Colombini, sta per affrontare il mercato cinese, consapevole di godere di un innegabile vantaggio: la presenza in loco da cinque anni di una sede del gruppo Colombini . “Ai cinesi benestanti interessano i brand italiani di alta gamma che producono cucine di design, lussuose e che si facciano notare”, racconta Emanuel Colombini. “Un atteggiamento che li rende affini ai russi. Morale, in Cina si vendono ancora poche cucine ma a caro prezzo”. Rossana metterà il primo piede nell’Impero Celeste a settembre con un negozio a Shanghai che verrà aperto da un partner locale. Per sedurre i nuovi consumatori è stato realizzato un modello di cucina extra luxury in ottone brunito che apre le porte al mercato cinese e russo. Rossana, con un fatturato di circa 3,5 milioni di euro, è ancora in fase di costruzione dei mercati esteri e attualmente i volumi oltreconfine sono marginali. “Il nostro obiettivo” spiega Colombini “è creare flagship store monomarca attraverso alleanze con partner locali nelle maggiori capitali europee”. Nei programmi a breve termine c’è un’apertura a Parigi e uno shop in shop all’interno di uno store moscovita. Il tutto entro fine anno.

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Monomarca, macchine da guerra per conquistare i mercati esteri Roberto Gavazzi, amministratore delegato di Boffi I monomarca devono diventare per le aziende delle vere ‘macchine da guerra’ per imporre i propri brand e presidiare i mercati. Questa è la sfida intorno alla quale le società più strutturate del design italiano si giocano la carta dei mercati esteri nei prossimi anni. Ci crede fortemente Roberto Gavazzi, amministratore delegato di Boffi, azienda che con una rete internazionale di 23 monomarca diretti e 41 franchising dimostra come le energie e gli investimenti del gruppo siano focalizzati su questo fronte. “Da un lato stiamo potenziando e migliorando la rete retail esistente, come abbiamo fatto a Londra” racconta il manager “e dall’altro proseguiamo nella nostra strategia di creare in ogni mercato importante un punto vendita forte, sufficientemente rappresentativo”. “I negozi” aggiunge “diventano sempre più sofisticati perché il

prodotto – cucine, bagni e armadi nel nostro caso – è diventato più complesso e il cliente più esigente”. Spiega Gavazzi: “I negozi devono avere un management molto preparato, per costruire relazioni forti con gli architetti e la stampa locale, per gestire i negozi come piccole aziende e per far quadrare i conti”. Strategie che Boffi sta seguendo nei mercati consolidati e nelle nuove aree, Cina in primis, dove ha appena aperto un negozio a Shanghai ed è in programma una nuova apertura a Guangzhou, entro ottobre, appoggiandoci a partner locali. Anche le alleanze tra aziende aiutano ad affrontare meglio i mercati internazionali con nuovi prodotti e utili sinergie distributive, come quella che Boffi ha fatto recentemente con Fantini Rubinetterie. Arte e design, per comunicare il brand oltreconfine Alberto Gortani, direttore generale di Moroso “Come fare per conquistare i consumatori cinesi? Raccontando loro la cultura italiana dell’abitare, spiegando che non sono solo i mobili classici a interpretare il lusso, ma anche gli arredi di design”. Per Alberto Gortani, direttore generale di Moroso la principale sfida per le aziende italiane nei prossimi anni è come comunicare il proprio brand nei mercati internazionali, ancora poco battuti come la Cina. “In quel Paese non abbiamo a disposizione

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2. 1. MassiMiliano Guzzini, chairMan di I GuzzInI IllumInazIone china. 2. l’inGresso del national MuseuM of china a Pechino Per il quale i Guzzini illuMinazione ha realizzato una serie di Prodotti sPeciali. 3. ProGetto Per il nuovo showrooM moroso di sinGaPore. 4. alberto Gortani, direttore Generale di Moroso.

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la leva del prezzo, ma quella del marchio che dobbiamo comunicare con tutta la cultura e l’arte di cui l’Italia certo non difetta”. E infatti la comunicazione di Moroso, negli ultimi anni, gira intorno al mondo dell’arte. Da un anno l’azienda ha istituto un premio dedicato all’arte contemporanea e destinato a giovani artisti che nell’edizione del 2011 avrà la sua cerimonia di premiazione ad ottobre. Anticipa Gortani: “L’anno prossimo festeggeremo i nostri sessant’anni di storia con una serie di iniziative che passano attraverso il mondo dell’arte e intendono creare dei link tra Oriente e Occidente. L’idea non è di comunicare quello che abbiamo fatto negli ultimi sessant’anni, ma quello che faremo nei prossimi decenni”. Intanto gli sforzi di Moroso nell’immediato sono finalizzati al potenziamento della filiale asiatica a Singapore, che fa da piattaforma per il Far East, dove, per fine agosto, è in programma l’apertura di un negozio monomarca.

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“La Cina non è un Paese per tutti” Massimiliano Guzzini, chairman di I Guzzini Illuminazione China La I Guzzini Illuminazione ha dimensioni decisamente più grandi rispetto alla media delle aziende dell’arredo italiano. Ma le luci architetturali, il suo core business, hanno in comune con i prodotti di quelle stesse aziende la qualità del design con il quale il marchio marchigiano ha tenuto a bada la crisi degli ultimi anni. “Ad essere colpito dalla crisi” racconta Massimiliano Guzzini, chairman di I Guzzini Illuminazione China “è stato soprattutto il mercato immobiliare e le aziende che come noi sono collegate al settore delle costruzioni. Ma, attraverso un mix di design, tecnologia e innovazione di prodotto, abbiamo tenuto testa alle aziende tedesche, nostri diretti competitor sui mercati internazionali”. “La nostra forza” presegue Guzzini “è sempre stata quella di associare i nostri prodotti ai grandi nomi, come Renzo Piano o Norman Foster”.

Insomma, il design è la marcia in più delle aziende italiane sui mercati esteri, che sono sempre stati un obiettivo primario nella strategia di crescita di I Guzzini Illuminazione attraverso la creazioni di filiali locali. Tant’è che Massimiliano Guzzini da cinque anni si è trasferito con la famiglia a Shanghai per seguire in prima persona lo sviluppo del mercato cinese. Con un fatturato di 176 milioni di euro, di cui il 70 per cento realizzato all’estero, è stata proprio l’internazionalizzazione dell’azienda a consentirle di tener testa alla crisi. “Abbiamo continuato a fare investimenti all’estero” racconta Guzzini. “Siamo l’unica azienda di fascia medio-alta nel settore delle luci architetturali ad aver effettuato un investimento diretto in Cina per servire il mercato locale e che ha portato alla creazione di una piattaforma produttiva – con uffici a Pechino, Shanghai, Hong Kong, Singapore – per lo sviluppo nel mercato asiatico”. “La Cina” tiene a puntualizzare l’imprenditore “non è per tutti. È un mercato competitivo e non si può pretendere di avere successo con la sola apertura di un ufficio di rappresentanza. Bisogna esserci di persona. La credibilità si crea nel tempo”. E I Guzzini Illuminazione la credibilità deve averla proprio conquistata, visto che ha appena vinto la gara d’appalto per il progetto del National Museum di Pechino e sta collaborando con la Tongji University per diffondere in Cina la cultura italiana della luce.

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1. Flagship store Kartell a New York, allestimeNto magiC garDeN (maggio 2011). 2. ClauDio luti, presiDeNte Di kartell. 3. mauro marelli, export aND marketiNg maNager Di lema. 4. uN ambieNte CompletameNte arreDato CoN proDotti lema.

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Marchio, retail e controllo del territorio Claudio Luti, presidente di Kartell È quasi pleonastico chiedere a Claudio Luti, presidente di Kartell, quali siano secondo lui le nuove sfide internazionali che le aziende del design italiano devono affrontare. Da profondo conoscitore del retail qual è, con un passato lavorativo in Versace, durante l’epoca di Gianni, dove si occupava proprio di negozi, e da imprenditore che, sin dall’inizio del suo lavoro in Kartell, ha spinto sul marchio e sul retail come se lavorasse in un’azienda della moda, la risposta è ovvia: “Se una volta era sufficiente fare il prodotto e poi aspettare che qualcuno lo comprasse, oggi è sempre più importante il retail e il controllo del territorio”. In soldoni: la riconoscibilità del marchio è fondamentale e il retail è lo strumento per potenziarla. E su questi fondamenti è stato costruito tutto lo sviluppo di Kartell che, così come li snocciola Luti, in 100 Paesi ha aperto 320 negozi e 400 corner. Quasi tutti in franchising eccetto quattro store diretti in America e otto in Europa. Eppure, nonostante i numeri, Luti ha un rammarico: “Guardando al passato”, confessa, “penso di non aver investito abbastanza denaro ed energie nel controllo del territorio”. Fa riferimento al Far East: “In Asia” racconta “siamo poco presenti e in Cina abbiamo solo tre monomarca in partnership”. E ribadisce: “Il controllo del territorio è importante in un periodo di transizione come questo. Infatti noi ne abbiamo sentito meno i contraccolpi nei Paesi dove abbiamo una buona distribuzione e un controllo diretto dei negozi”. Progetti futuri? “Mi piacerebbe aprire un negozio diretto a Roma e a Londra”.

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Ancorati al made in Italy Mauro Marelli, export and marketing manager di Lema “Il processo di internazionalizzazione è necessario, ma sulla sua strada ci saranno morti e feriti”. Ha le idee chiare Mauro Marelli. Sarà proprio la marcia forzata verso la conquista dei mercati lontani a privilegiare le aziende in grado di sostenere il peso dell’internazionalizzazione, in termini di organizzazione e investimento, rispetto a quelle che, troppo piccole per farlo, soccomberanno. Selezione naturale, si potrebbe dire. Ma la sfida secondo Marelli riguarda un’altra questione: “Sono anni cruciali per il mobile italiano”, commenta il manager. “Durante l’inevitabile processo di internazionalizzazione dei prossimi anni, sicuramente rimarranno in campo meno aziende e solo quelle più grandi. Ma il vero, grande obiettivo sarà, per queste aziende, continuare a legare la loro identità alla manifattura italiana. È questo l’aspetto che preoccupa di più”. Prosegue: “A livello istituzionale non si sta facendo nulla e le aziende sono tradizionalmente divise tra loro. Il rischio è di perdere la spinta straordinaria che il ‘made in Italy’ rappresenta e che negli ultimi vent’anni ci ha permesso di presentarci all’estero con una certa facilità”. Lema la sua italianità l’ha portata in giro per il mondo e di recente a New York, dove ha realizzato parte degli arredi del New York Times. In Cina con il sostegno del Sistema Paese Massimiliano Messina, presidente Flou “Le fiere ancora oggi sono uno strumento da non sottovalutare per entrare nei mercati esteri, soprattutto per le aziende dalle dimensione

medio-piccole”, spiega Massimiliano Messina. E racconta l’esperienza fatta anche da Flou, quando anni fa cominciò a fare i primi passi nel mercato russo che oggi rappresenta uno dei più importanti Paesi di sbocco per l’export dell’azienda che complessivamente vale il 20 per cento del fatturato totale. “Il mercato estero in cui ci stiamo concentrando maggiormente rimane la Russia”, spiega Massimiliano Messina. “È un Paese che, legato storicamente all’Italia, ha dato grandissime soddisfazioni commerciali in questi ultimi anni e ancora adesso sta funzionando bene”. Un occhio rimane aperto sulla Cina, anzi due: “Sono i mercati asiatici a guidare la ripresa: Cina, Corea e Indi”, spiega Messina. “Teoricamente il nostro fatturato dovrebbe essere fatto per l’80 per cento in Cina. Ma siamo ancora agli inizi, soprattutto per la difficoltà nel reperire bravi partner locali”. Obiettivo a breve termine: aprire tre nuove vetrine in partnership. “Sarebbe importante” auspica Messina

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5. Arredo reAlizzAto dA Molteni & C. per il City Center dC A WAshington progettAto dA Foster And pArtners. 6. CArlo Molteni, presidente e AMMinistrAtore delegAto di Molteni & C. e dAdA. 7. shoWrooM VitA A peChino Con un’AreA dediCAtA A Flou. 8. MAssiMiliAno MessinA, presidente Flou. 9. roberto e renAto Minotti, titolAri di Minotti. 10. il FlAgship store Minotti A neW york.

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“che si muovesse il Sistema Paese come già è successo a Mosca, per esempio, organizzando in loco una fiera con il patrocinio e l’organizzazione del Salone del mobile e la partnership di un imprenditore locale. Sarebbe molto utile per tante aziende del design italiano, dalle piccole dimensioni, che hanno solo questo strumento per andare all’estero”. Un valore da difendere Roberto e Renato Minotti, titolari di Minotti Il made in Italy non è solo uno slogan. Ora più che mai, paga avere un prodotto al 100 per cento progettato e realizzato in Italia. Del ‘fatto in Italia’ sono convinti sostenitore Roberto Minotti e suo fratello Renato, alla guida dell’azienda omonima di famiglia. “La nostra” raccontano “è un’azienda italianissima, dalla creatività alla produzione. Per noi è fondamentale che la manifattura sia totalmente italiana. Garantisce il controllo totale del processo produttivo, le competenze artigianali e la capacità di

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lavorare i materiali”. “Costa fatica essere al 100 per cento made in Italy”, proseguono i Minotti. “Bisogna combattere con i prezzi e con il costo della manodopera, ma noi ci crediamo. Il nostro target di prodotto è medio-alto. Se proteggi il made in Italy e tieni alto il livello qualitativo è inevitabile che i costi lievitino, ma il prodotto diventa affidabile, di alta qualità, durabilità e rispettoso dell’ambiente”. I due fratelli parlano con cognizione di causa, visto che l’80 per cento del fatturato dell’azienda è realizzato in 60 Paesi esteri. “Il settore sta vivendo un momento particolarmente complesso”, commentano i due imprenditori. “Ci sono aziende che si trovano in situazioni molto difficili e altre che, almeno apparentemente, lavorano bene. Ma tutti devono avere grande serietà, costanza, energia. E devono sbarazzarsi del management che guarda esclusivamente agli incrementi di fatturato”.

La ripresa americana Carlo Molteni Presidente e Amministratore Delegato di Molteni&C e Dada “Siamo impegnati su tutti i fronti internazionali”, racconta Carlo Molteni, precisando che l’ultimo impegno ‘fuori casa’, in ordine di tempo, riguarda la recente apertura di un ufficio tecnico e commerciale a Hong Kong, base strategica per il Far East. Lo scacchiere dei mercati esteri, dove l’azienda esporta il 70 per cento dei suoi 217 milioni di euro di fatturato, è tutto aperto. “Contemporaneamente al Far East portiamo avanti la nostra politica abituale dei negozi monomarca, con particolare enfasi negli Stati Uniti” spiega Molteni “che già presidiamo con un monomarca a Miami e un negozio diretto a New York. E presto apriremo anche a Los Angeles. Copriamo anche il Canada con Vancouver e Toronto”. Dagli States, in questa prima parte dell’anno, sono arrivati i primi segnali di ripresa, che portano un po’ di ossigeno a chi vende mobili italiani in quel mercato. Molteni&C., in particolare, ha ripreso a ripreso a lavorare a due progetti che erano stati ‘congelati’e che riguardano due commesse per arredare uffici e appartamenti a New York e Washington. A mostrare interesse per il design italiano è soprattutto il Nord America: “Stiamo costruendo un building a Toronto”, anticipa l’imprenditore, “che una volta ultimato nel 2012 ospiterà il nostro showroom a canadese”. Il mercato americano rimane comunque una sfida sempre molto impegnativa per il made in Italy, che, nonostante lo conosca da tanti anni, deve ancora lavorare molto per consolidare le posizioni e affermare i propri brand.

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1. la Performance Hall del new world center a miami, arredata con sedute realizzate da Poltrona Frau. 2. dario rinero, amministratore delegato di Poltrona frau grouP. 3. nicolò favaretto rubelli, amministratore delegato di rubelli. 4. allestimento Donghia, società cHe fa caPo al gruPPo rubelli, durante l’ultimo salone del mobile di milano.

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Goodbye Italia Dario Rinero, amministratore delegato di Poltrona Frau Group Lo stivale consumerà sempre meno prodotti di design e di arredo di fascia alta. Destino che l’accomuna a tutto il mercato occidentale, sempre meno appetibile per i marchi di alta gamma che per crescere devono puntare il timone verso il Far East , Middle East e Sudamerica. “Nello scenario internazionale non si assiste ad una caduta della domanda d’arredo di alta gamma, ma allo spostamento di una parte di essa dai mercati occidentali ai Paesi che approcciano la ricchezza per la prima volta: Cina, Corea, Hon g Kong, Taiwan, Singapore, Filippine, Brasile, Cile, Bolivia e Middle East”. Il commento è di Dario Rinero, amministratore delegato del gruppo Poltrona Frau. Secondo il manager la grande sfida per le aziende italiane che producono design di alta gamma è mantenere le quote nei mercati a bassa crescita e nello stesso tempo riuscire a catturare la domanda dei Paesi emergenti. Farcela non è scontato, anzi. “Le aziende italiane che hanno dimensioni medio-piccole, se esportano, lo fanno in Paesi limitrofi e hanno una difficoltà strutturale a spostare gli investimenti”, spiega Rinero. “Essere piccoli” prosegue “vuol dire non avere la forza muscolare per andare a catturare la domanda lontano, né per poter mettere in piedi organizzazioni locali né per investire sul brand o fare partnership strategiche. Se non hai la dimensione d’impresa, non riesci”. In poche parole, sono solo una decina le aziende italiane del mobile che possono fronteggiare i mercati lontani.

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“Quello a cui si sta assistendo oggi è la riorganizzazione geografica della domanda che perterà all’esclusione del 20-25 per cento delle aziende”, spiega Rinero .”Noi di Poltrona Frau Group guardiamo con molta attenzione in Sudamerica e stiamo lavorando ad una piattaforma distributiva in Asia. Spostare il baricentro commerciale vuol dire spostare il cuore dell’azienda vicino al mercato”. E infatti la divisione Car interior ha aperto un sito produttivo negli Stati Uniti per fornire la Chrysler. “È la prima volta” racconta “che spostiamo la produzione di questa divisione fuori dai confini nazionali”. Goodbye Italia. Investire negli showroom Nicolò Favaretto Rubelli, amministratore delegato di Rubelli New York, Milano, Venezia, Londra, Mosca, Dubai e Shanghai. È lo scacchiere internazionale nel quale Rubelli, gruppo veneziano di tessuti d’arredamento di alta gamma, negli ultimi anni si sta muovendo in modo sistematico attraverso una politica di showroom diretti, il prossimo dei quali, di 2mila metri quadrati, verrà inaugurato a New York i primi di ottobre. Sul fronte estero, dove l’azienda realizza l’85 per cento del fatturato, uno dei mercati di riferimento è, insieme all’America, l’Inghilterra. A Londra, lo scorso febbraio, è stato aperto uno show room più grande del precedente per far spazio a tutte le collezioni del gruppo. “Oltre all’Inghilterra”, spiega l’amministratore delegato, “guardiamo con attenzione alla Russia. A Mosca stiamo rinnovando lo spazio espositivo e da poco abbiamo realizzato il tessuto per il sipario del Bolshoi”. Showroom anche

in Medio Oriente, a Dubai, dove l’azienda veneziana ha acquistato uno spazio espositivo che aprirà i battenti nel 2012. “Tutta l’area mediorientale ci sta dando grosse soddisfazione nella vendita ai privati più che nel contract”, spiega Favaretto Rubelli. Nel Far East, invece, l’azienda sta mettendo le basi per lo sbarco in Cina attraverso una partnership con il suo distributore di Hong Kong. “Nonostante si parli molto di Cina e India”, commenta l’amministratore delegato, “tutti mediamente attuano una politica di piccoli passi, perché sono mercati ancora molto acerbi e senza una vera cultura del nostro prodotto”. La strategia per affrontarli? “In Cina è importante avere un brand forte. Noi cerchiamo di far capire ai cinesi che non esiste solo Chanel. E, sotto questo punto di vista, la partnership con Armani ci sta aiutando molto”.

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5. Showroom LucepLan a Copenhagen. 6. aleSSandro Sarfatti, amminiStratore delegato di luCeplan. 7. Carlo urbinati e aleSSandro veCChiato, titolari di Foscarini. 8. evolution, inStallazione realizzata da foSCarini a new York per l’ultima edizione dell’iCff.

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In Europa si può ancora crescere Alessandro Sarfatti, amministratore delegato di Luceplan Passata al gruppo Philips più di un anno fa, Luceplan sta lavorando intensamente sul fronte dei mercati europei. “L’azienda ha appena messo a punto un piano di crescita importante”, spiega Alessandro Sarfatti, amministratore delegato dell’azienda e terza generazione della famiglia che ha fondato il brand italiano. “Crediamo” spiega “che nel mercato europeo Luceplan possa potenziare la sua presenza commerciale e realizzare ancora buoni risultati in termini di vendita. Ci sono Paesi, come la Spagna e l’Inghilterra, che presentano ampi margini di crescita e in cui crediamo che, a parità di investimenti, otterremo maggiori risultati rispetto ad altre parti del mondo. È in programma la realizzazione di

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showroom diretti come quelli che abbiamo in Germania, Usa, Scandinavia e Francia”. Aggiunge: “Molto importante nei nostri piani di crescita è anche la Germania, dove siamo già abbastanza forti, ma dove possiamo crescere ulteriormente rafforzando le nostre strutture di vendita”. Senza tralasciare Far East e Sudamerica, ma in un’ottica di sinergia con Philips. Per Luceplan, che nel 2010 ha registrato un fatturato di 21,8 milioni di cui il 78 per cento realizzato nei mercati esteri, si tratta di un piano di sviluppo che fa ipotizzare, per il prossimo triennio, un tasso di crescita annuo del 15 per cento. “Noi italiani, pionieri del design” Carlo Urbinati e Alessandro Vecchiato, titolari di Foscarini “Dalla Francia alla Germania, sono sempre più

numerosi i Paesi che sono convinti di fare prodotti di design, che però, guarda caso, non vengono considerati tali oltre i confini nazionali, perché il loro design non è universalmente riconosciuto. Non ha un respiro internazionale, ma un tratto molto locale”. Il commento ‘al pepe’ è di Carlo Urbinati e Alessandro Vecchiato, entrambi alla guida dell’azienda Foscarini e strenui sostenitori del fatto che il design con la D maiuscola sia di pertinenza italiana e che ad aver decretato la sua fortuna sia la capacità di esprimere un linguaggio universale, apprezzato a livello internazionale. Urbinati e Vecchiato credono che sia propria questa la caratteristica esclusiva dei prodotti delle aziende italiane di design e anche la carta vincente da giocare sui mercati internazionali. “Noi italiani” dicono i due imprenditori “siamo stati i primi a cercare di caricare di valori estetici prodotti che prima erano solo funzionali. E siamo stati i primi a portarli sui mercati internazionali e a riuscire ad affermarli all’estero”. “Per noi di Foscarini” spiegano “è importante che ogni prodotto che progettiamo e mettiamo in produzione abbia una forte personalità, che sia capace di imporsi all’attenzione del mercato”. “All’ultimo Euroluce” ricordano “abbiamo presentato 15 nuovi prodotti, uno diverso dall’altro. Ed è proprio questo nutrito caleidoscopio di proposte che ci aiuta ad avere buona tenuta sui mercati anche se il periodo, da un punto di vista economico, non è dei migliori”.

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déjà vu

Bottiglie, Bicch ieri, vasetti e Barattoli: pezzi di vetro appartenenti alla n os tra quotidianità vengon o scompos ti e ricompos ti da antonio c os, che così dà vita a funzioni inedite e un nuovo paesaggio figurativo

foto di Max Rommel testo di Stefano Maffei

Déjà vu è una collezione di vetri composta da pezzi unici autoprodotti artigianalmente da Antonio Cos tra il 2009 e il 2011. sopra, una vista d’insieme della collezione attuale (distribuzione subAlterno 1). nella pagina accanto, dettagli di alcuni pezzi ottenuti mediante la composizione di sezioni di forme preesistenti (bottiglie, vasetti, flaconi) in vetro. la collezione è stata presentata per la prima volta a milano presso subalterno 1, nella mostra Déjà vu curata da stefano maffei (10-22 maggio 2011).

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sistono progettisti che riescono a farci riflettere sulla nostra relazione con gli oggetti quotidiani. Antonio Cos è uno di questi. Ci fa riflettere, paradossalmente, su quanto la dimensione della nostra vita quotidiana sia caricata di funzioni, simboli, prestazioni inutili. Puro marketing. O meglio, come la definirebbe lui, marketing absurdity. Attorno a questa riflessione ha composto, metaforicamente, un elogio della semplicità (che non vuole dire semplificazione, anzi), attraverso la sperimentazione concreta delle cose, l’osservazione competente della realtà del nostro mondo materiale. Così ha partorito un’azione di contromarketing personale: realizzando oggetti autoprodotti, sensibili, classici, che sfidano gli scaffali opulenti e obsolescenti.

È il caso di Ice Cube, cubi d’acciaio per raffreddare le bibite realizzati nel 2006 (produzione Mario Fernando), che si sposano al bicchiere in resina sinterizzata con cannuccia incorporata Drink, progettato con Gabriele Pezzini nel 2003. E anche di altri progetti, come il concettuale e provocatorio centrino Fuck (produzione Cosllection) che crea un cortocircuito tra linguaggi e codici appartenenti a due generazioni diverse, o come Youro (produzione Cosllection), salvadanaio trasparente realizzato con due lastre di vetro accostate in cui evidenzia la presenza del denaro. Per il suo ultimo progetto Déjà Vu (pezzi unici autoprodotti, distribuzione Subalterno 1), Cos prende in esame, letteramente, le forme del quotidiano, le forme scartate dai nostri consumi.

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E riparte dal vetro, materiale cristallino, trasparente e colorato. Legato a una oggettualità dura e inscalfibile. Pieno di sagome che appartengono alla nostra memoria. Pervaso da una stabilità che lo rende classico, pieno di echi di un passato-che-è-anche-presente. Quello che fa è un ‘nuovo-Venini’, contemporaneo, popolare ma coltissimo, che innova la tradizione-tecnica del vetro accoppiandola a una sensibilità così attuale eppure così classica. Artigiano molatore invece che soffiatore. Che lavora per componenti scelte e recuperate da una panoplia infinita e commerciale. Tagliando, misurando, accoppiando, saldando pezzi, componenti, sezioni di forme preeesistenti (bottiglie, vasetti, flaconi) in vetro. Analizza e scompone le forme con il taglio riassemblandole poi con perfetti incollaggi in configurazioni inedite. Incalmi contemporanei in cui aleggiano Wirkkala, forse Sottsass. O forse semplicemente Cos. Questo progetto libera di nuovo il potenziale combinatorio delle forme, trascurate, che spesso gettiamo. E le riporta a nuova vita. Sono sagome immaginifiche. Alcune ermetiche. Senza più la

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funzione stessa del contenitore. Cos pensa che queste siano “…storie di bottiglie ormai consumate, che hanno tolto l’etichetta e cancellato marketing e brand. Contenitori sezionati: il vino si mescola con il latte al cioccolato, l’aranciata con l’acqua, lo sciroppo con l’olio. Così si mescolano i nostri ricordi... come fantasmi trasparenti dei prodotti consumati che cambiano vita, scollegati dal loro compito originale…”. È cut-up. Burroughsianamente multiforme. Compositivamente vibrante. Non disegna nulla. Costruisce nuove forme a partire dal patrimonio infinito delle possibilità. Nessun cristallo raffinato. Ma piuttosto supermercato, discarica. Un vero less is more non formalista, quotidiano. Un tentativo di pause nel gigantesco play del prodotto di massa. Antonio docet.

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il taglio degli oggetti ne trasforma la funzione: il sezionamento e il rovesciamento formale come base per reinterpretare la forma. nella pagina accanto, da sinistra: un incalmo colorato che gioca con forme e colori della memoria; una composizione formale basata su una forma primaria su cui si innesta un elemento circolare libero che funge da filtro visivo. sotto, un pezzo che gioca sulla giustapposizione delle forme iconiche di una bottiglia bordolese e di una bottiglietta di campari.

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Senza tem po Vecch io e nuo Vo, antico e mod ern o Si fondon o nei progetti di Vincenzo de c otiis che abbraccian o memoria e sperimentazione. un percor So di ricerca in tran Sito tra moda, d esign e architettura. c on So Ste nei territori dell’ arte

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testo di Antonella Galli

La penisoLa di dC10, CuCina di Rossana, design VinCenzo de Cotiis: in ottone brunito e pietra, è da aLLestire site speCifiC, Con progetto sartoriaLe. non preVede armadiature, ed è Liberamente aggregabiLe ai sistemi deLLa gamma rossana. in aLto: iL piano in pietra deLL’isoLa, Con eLettrodomestiCi FosteR in Vetro nero per rossana.

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Un particolare della design island ispirata alla cUcina dc10 realizzata per l’evento Mutant architecture & Design di interni alla statale di Milano lo scorso aprile. Una sagoMa della cUcina in ottone brUnito si trasforMava in Un contenitore in vetro specchiato, a rappresentare la MUtazione verso la cUcina del fUtUro (foto andrea Martiradonna).

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In alto: l’allestImento dI progetto Domestico a mIlano durante l’ultImo salone, con arredI realIzzatI a mano da VIncenzo de cotIIs; a sInIstra, un mobIle contenItore In legno rIcIclato e resInato con superfIcIe a mIcrotexture forata e una lampada bIconIca In ferro VernIcIato; a destra, un taVolo con elementI a Incastro e superfIcIe gloss a resIna che Incorpora mIcrofotogrammI da pellIcole d’epoca. QuI sopra: Il dIVano dc290 e la poltrona dc 90 In massello dI noce amerIcano per ceccotti collezioni, azIenda toscana dI cuI de cotIIs è art dIrector.

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er tracciare il profilo di un creativo sui generis come Vincenzo de Cotiis le etichette non vengono in aiuto. Per fortuna. Non ci sono tendenze o correnti che esprimano in un’unica parola il suo percorso creativo, libero, che dribbla la corsa alla ribalta del mondo del progetto. De Cotiis naviga in solitaria, seguendo un processo che parte dall’invenzione personale, dalla creazione manuale, per approdare alla produzione industriale. Ha progettato in proprio oggetti, ambienti, arredi, ma anche abiti (con i marchi Haute e Decotiis), che in seguito arrivano alle passerelle e agli showroom dei grandi marchi. Ma non sempre. Molti suoi lavori sono pezzi unici, destinati alle gallerie d’arte o a collezionisti privati. De Cotiis impernia la sua ricerca sulle qualità sentimentali della materia – legni invecchiati, metalli ossidati, tessuti vissuti –

trasformandola in oggetti essenziali, meditativi, quasi metafisici. A volte accade che le aziende più attente si innamorino di questi ‘solitari’ e li rendano prodotti industriali. È il caso di DC10, una cucina che De Cotiis aveva creato come opera unica: “È nata come un monolite di ottone invecchiato a mano”, racconta il designer, “poi l’incontro con Rossana, che ha tramutato l’idea originaria in un progetto realizzabile a livello industriale. È un arredo contemporaneo, ma antiminimalista, che semplifica le linee ed enfatizza il carattere della materia, la sua storia, la presenza nello spazio”. DC10 ha un tratto teatrale, ombroso, solenne: si pone a centro stanza (isola o penisola), non ha pensili, diviene protagonista dello spazio come un attore a centro palco. Le ante in ottone brunito spazzolato rimandano alla solidità, ma hanno una connotazione quasi

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Golde Case, proGetto di de Cotiis per CeCCotti Collezioni: è una libreria da Centro stanza in tondino di ottone naturale spazzolato a mano, priva di ripiani. le funzioni di sosteGno sono affidate esClusivamente alla struttura.

scientifica - non di un laboratorio high-tech, quanto piuttosto di un gabinetto sperimentale di altri tempi; la pietra del piano, bombata sui bordi, lineare ma importante, richiama memorie del passato, a partire dai dettagli (come la piletta del lavello rivestita in pietra). Un progetto dal carattere deciso, quasi provocatorio nel suo porsi oltre i trend. Ed è questo un tratto proprio dello stile di De Cotiis, che ha scelto di esprimersi attraverso Progetto Domestico, laboratorio-azienda con cui firma pezzi unici e interventi tra l’architettura e l’arte: “Disegno e costruisco personalmente arredi e complementi, utilizzando materiali che hanno già avuto una vita, ricomponendoli e adattandoli a nuove funzioni”. Come si è visto nell’allestimento presentato durante l’ultimo FuoriSalone, nello spazio milanese di via San Raffaele: un’area living

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con tavoli e pannelli la cui superficie è decorata da microfotogrammi di pellicole d’epoca e finita con resina gloss: “Ho compiuto una ricerca inedita sulle texture, l’utilizzo delle pellicole li ha resi pezzi unici, al confine con l’opera d’arte”. De Cotiis da quattro anni è art director di Ceccotti Collezioni, azienda di Cascina (Pisa) di mobili in legno, per cui ha firmato diversi pezzi. Tra i suoi più recenti incarichi c’è un progetto in tandem con Jean Nouvel, nel cuore di Milano: “Mi occupo dell’allestimento di tre piani dello store che l’architetto francese ha realizzato per Coin. Ho lavorato tramite trasparenze, ispirandomi ai contenitori museali di Albini, in ferro e vetro. Ho scelto la trasparenza per valorizzare un’architettura che risplende di luce propria”. Un tratto lieve, coerente con l’antiprotagonismo che è cifra stilistica di De Cotiis.

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INtopics

ed Itor Ial

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September, for INTERNI, over the last few years, has become a moment for in-depth critical thinking. A special issue. Including the title: in 2009 it was Design Thinking, in 2010 Design Networking, and today we focus on the idea of Italian Creative Junctions, a macro-theme of productive and creative relationships that characterize the Italian design system in the world. A moment of reflection based on a series of two-way streets. The same theme is being represented on an international level in the major exhibition that, as curator, I have been commissioned to produce, from 28 September to 17 October, in Beijing at the National Museum of China, on Tiananmen Square. In historical terms, Italian design has developed thanks to its characteristics of strong connections among the protagonists: designers, craftsmen and entrepreneurs. A network of close relationships that constitutes the key structure behind the success of Italian design on an international scale. While the specificity of these relationships represents the added value of the exponents of Italian design, starting with this awareness we have asked a selected group of foreign designers to tell us about their experiences in Italy. We then invited 18 Italian businessmen to talk about the new challenges and goals national industry has to face every day on the global market. And we have watched the work of ten young designers, to find out about their questions and perplexities regarding the more or less efficient dynamics of personal and professional relationships with the figure of the entrepreneur. Finally, there is the dimension of generous dialogue and exchange between mentors and disciples: ten famous Italian designers pick ten young promises, perhaps also to imagine a brighter future, in the year of the 150th anniversary of Italian Unification. Gilda Bojardi - Caption Massimiliano Adami, Italia Specchiata, mirror box, a Zerodisegno limited edition.

INtroduction

des IgN IN the pos t-Ford Ist era

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text Andrea Branzi

This is the question: what is happening to Italian design in the era of globalization, of post-Fordist labor and self-reforming politics? At first glance it might seem: nothing new… But on closer examination the answer changes: different scenarios are slowly emerging with respect to those of the 20th century. We have known for some time now that the presence of foreign designers successfully working with Italian companies is growing rapidly. In this issue of Interni some of them are mentioned. We might even say that all the best foreign designers are now here, in our productive territory. This is not an absolute novelty, and I consider this phenomenon ‘positive’: if young Italian designers have trouble competing, it may be for two reasons. The first lies in the fact that they are starting to investigate merchandise categories that no longer coincide with those of our traditional market (chairs and sofas), and this is undoubtedly a positive thing. The second might come from the fact that their sofas and chairs are less attractive than those of the foreign designers; no protectionism can make up for this sort of weakness. The young Italians need to wake up and to understand that the time has come to get out of the labyrinth of a saturated, competitive market, to risk incursions into new territories. So the lesson might be positive as well… After all, foreign designers owe their success to a similar strategy. Starting in the 1980s they have challenged Italian hegemony, at their own risk, and the industrial market has proved them right. Globalization brings continuous challenges and the entrepreneurs who ‘internationalize’ their catalogues are undoubtedly engaged in a legitimate and praiseworthy operation. The ‘internationalization’ of design in the era of globalized markets represents an important, delicate question; the return, after forty years, to an International Style is certainly not acceptable; but the ‘non-places’ (airports, stations, hypermarkets, subways…) are already ‘atonal cathedrals’, all over the world. Catatonic places that erase any diversity, any cultural emotion: effective, chilly, substantially interchangeable. The hypothesis of an ‘eclectic mixture’ that can produce a blend of local styles is ridiculous; a ‘syncretism’ that accepts incorporation of all possible cultural differences, buffering them in a general hybrid, is perhaps the worst of all. Design in the era of globalization might seem like exactly the opposite of all this: with respect to the design of the 20th century, it could be less aniconic, more figurative and contaminated, less self-referential, paying attention to the winds that come from the Orient (China, India, Japan), and above all capable of coming to terms with the major anthropological themes: death, history, the sacred, destiny, love. Themes that correspond to that human platform found in every corner of the Empire. Design has always remained aloof from these themes, busy with the short term of marketing, with elegant domestic scenarios, with the use of advanced technologies. But if we look at the history of Italian design and that of occidental design, we see that it has crossed the entire 20th century, two world wars, massacres, dictatorships, the collapse of ideologies, the crisis of modernity, without seeming to be the least bit disturbed: always optimistic, always intelligent, indifferent to the world. Once upon a time, to indicate disengaged, elegant cinema, someone invented the brilliant term “white telephone films”… I think this sort of ‘intermission in history’ in which western design has inserted itself since birth is starting to fall apart. At the latest Salone del Mobile, for the first time, we saw some scattered signs of restlessness: I can mention the exhibition Cruciale by Giulio Iacchetti at the Museo Diocesano, on the theme of the cross; my exhibition at Palazzo Durini, Immersion, on the theme of the cross and pens for animals, and my show Nature Morte at the gallery of Clio Calvi and Rudy Volpi on the theme of death; the large group show at Triennale Bovisa, Independent Design Secession, with Michele De Lucchi, Michelangelo Pistoletto, Lapo Lani and other designers. This is not a rediscovery of mystical or religious vocations; the projects involved are absolutely secular, but they are starting to look beyond, toward the boundless universes our ‘white modernity’ (like

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those telephones) has always overlooked. Those realms belong to the world around us, pressing urgently to burst into the sacred circuits of design. Vegetables, shadows, canaries, antique wood, burnt planks: I remember the big trays full of fish, fruit, game, dogs and cats that at the end of the 17th century burst into canvases, bearing witness in the most vital way to the fact that the retreats of the Renaissance were over… In my view, the response of design to the challenge of globalization can be that of a greater realism, of compromise and contamination with everything modernity tended to exclude. Less purism, less minimalism, less elegance and a new ‘dramaturgy’, that gets ready to take on the troubled times that await us: the intermission is over, and there is no longer any guarantee of a happy ending. - Caption pag. 2 Images of the exhibit design by Studio Azzurro for the exhibition “Fare gli Italiani. 150 years of national history”, a multimedia itinerary at the Officine Grandi Riparazioni in Turin, until 20 November 2011. Curated by Walter Barberis and Giovanni De Luna, produced by the City of Turin and Comitato Italia 150, with the collaboration of Teatro Stabile of Turin (photo Studio Azzurro).

INteriors&architecture 5+1aa Ital IaN projects

p. 4 project 5+1AA - Alfonso Femia, Gianluca Peluffo photos Ernesta Caviola text Matteo Vercelloni editing Antonella Boisi

They reject any preset verities and are far from pursuit of a style; instead of ‘muscular displays’ of spectacular self-fulfilling architecture, they opt for listening to the stories of different places and contexts, responding with a free, contemporary language, decisive, surreal at times, because they think of architecture as a “tool for achieving knowledge of reality”, to improve that reality. The idea of a submarine, a silent space that slides below the water’s surface, far from the noise of the world, used for the website and their narrative monograph, seems like the metaphorical summary of a way of doing things, where architectural design is the result of slow meditation that leads to specific solutions organized place by place, in different urban contexts and landscapes. Nevertheless, they are not involved in stylistic and figurative camouflage. The idea is to launch – sticking with the submarine metaphor – beneficial architectural ‘missiles’, precise and contemporary signs in the landscape, to activate processes of improvement and comparison. As the projects presented here demonstrate, in the design career of 5+1AA it is useless to look for a repeatable architectural motif, a sort of recognizable grammar reiterated on an ideological-programmatic level. Instead, we can see great expressive freedom, not a nostalgic return to the eclecticism, but a move toward the ‘principle of specificity’. This means approaching cases and problems and responding to each one in a different way, rejecting the modernist legacy of universally applicable concepts. Describing their modus operandi, Femia and Peluffo speak of “polyphony”, a multilingual response of adaptation, listening, analyzing, using the design process as a moment of knowledge restored in constructed form. An interesting attitude for this issue of our magazine, devoted to Italian-ness, as we present this selection of ‘Italian projects’ that reveals an openness to expressive freedom in connection to the character of places, whether they are existing buildings in which to operate by smoothing, adding and completing, or brand new works at the edge of the urban fabric, or new urban portions set down in a variety of contexts. A procedure based on variation, where doubt and its solution can be used to counter certain currents of contemporary architecture: decontextualization, the move toward spectacle and iconic presence, exaltation of linguistic styles. All this is replaced by 5+1AA using certain guiding terms that can group or join their various constructed works: “Generosity”, namely sharing and thinking about the fact that every work of architecture is ‘public’; “Body”, relating to what exists with an attitude of dialogue and interaction, avoiding the autistic monologue; “Marvel”, more than an emphasis on formal solutions, an effort to get back to reality, to reveal its meaning through its knowledge. Thus, in the short selection, we can grasp something of the ‘Italian procedure’ of this architecture studio; a polyphonic path of meaning and a passion for urban space, for the material of architecture and a taste for balanced counterpoint, themes suggested perhaps by their city – Genoa is made of layers, where in a “proud disorder of buildings reigns the genius of metamorphosis” (as the historian Jacques Guillerme wrote) – that emerge in close relation inside a sequence of design opportunities that are always translated into different architectural solutions. In Turin, in the Officine Grandi Riparazioni, an urban artifact is taken as a resource, and its reutilization, though temporary, connects to the idea of the plaza, the festival (the celebration of the 150th anniversary of Italian Unification) with a large three-tone ‘flag’ composed of covered courtyards with red and green materic carpets, separated by the white volume of the information and reception space for the exhibitions organized in the old work spaces. The rooms retain their image as industrial archaeology, emphasized for monumental effect by the white light and the essential functional modifications, like the metal arches that support the new openings of the internal routes, required to facilitate the flow of visitors. A reutilization, more than an installation, a project that tends to underline the “sensation of belonging” to a not so distant history, where labor is the protagonist in the traces of the place. At times a ‘narrative’ approach is mixed with design stimuli, as in the Recreation Center and Library of Casarza Ligure, where the new security staircase beside the restored building offers a chance to experiment with a story told in constructed form to the young visitors: the staircase is enclosed in a ‘literary plot’ made with the words of Gianni Rodari, alternating white metal and red ceramic letters. A work of architecture to be ‘read’, an explicit contrast with the existing edifice, in the form of a small ‘media building’ with a thoroughly Italian flavor. Still lifes by Giorgio Morandi, on the other

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hand, are the references for the refined chromatic range applied in the residential reconstruction project at San Giuliano di Puglia in Molise. In this town damaged by an earthquake the recomposition of an urban block takes on the image of a compact form where no two dwellings are alike. A ‘diversity in unity’ resolved thanks to the use of color and variable profiles in a contemporary key, reflecting the ancient idea of the village. In Milan two works approach very timely themes on different scales: the renovation of the Frigoriferi Milanesi building that lights up the anonymous facades with the color red, giving the city an updated figure, also in the interiors; while on the other side of the city, near the new trade fair, a golden building becomes a mutable landmark that changes its image across the span of the day. The Horizontal Tower “is an enigma in the form of a building that forces us to discover the differences of the hours, the marvel of a place that seems gray and uniform, the energy of light, the weight or lightness of the sky”. Further north in the suburbs, at Cormano, the Museum of Toys also comes to grip with an existing situation (am abandoned factory), adding a suspended parallelepiped, a ‘dancing zebra’ that creates a new public space in its portico, cheerfully offered for collective use. As in the French countryside of Ris-Orange, where the new music center is a reminder of agricultural silos, reassembling the memory of the place in architectural form, of the landscape and the work of the farmers. Also at the ‘margins’, those of the Venetian lagoon, the Palazzo del Cinema is like a seaside cliff shaped by the wind, at the Lido, opening on one side to the city with a large glazing whose organic pattern is also a tribute to the tradition of the master glass blowers on nearby islands. - Caption pag. 5 - Urban space, material, counterpoint. Officine Grandi Riparazioni Ferroviarie in Turin. Architectural and landscape design for conversion as a multifunctional space, for the celebrations of the 150th anniversary of Italian Unification. Designed with Studio Pession Associato (competition 2009, construction 2010/2011). The project is composed of two outdoor spaces, the ‘courtly plaza’ of the entrance (in red), and the ‘popular plaza’ (in green), as well as circulation spaces and indoor spaces (in white). On the large red area the mystery of the big arrow that inexplicably turns back on itself (a tribute to Osvaldo Licini), the ceramic school of fish by Danilo Trogu, like a still life by De Pisis, a directional indicator. The surprising experience underscores the reality of the place, its industrious monumental character, the importance of the celebrations of a republic, in a path of mimesis and knowledge. - Caption pag. 7 Generosity. “Every work of architecture is public, because it creates a public place, the representation of a culture, and has to grant beauty and pleasure, as a dialogue, shared sentiments of democracy and socialization”. The ‘Horizontal Tower’ designed together with Jean-Baptiste Pietri for Sviluppo Sistema Fiera of FieraMilano. The ventilated facade in fiber cement is made by Cel.Mac.S. for Swisspearl®. The gold glazings are made with a batch-colored material, ton-sur-ton, in a special gold shade, produced by Vetrobergamo. On the facing page, the Recreation Center and Library of Casarza Ligure: words, the poetry of Gianni Rodari, as a construction and gift from children. With lettering in sheet metal by Manfroni Arredi Metallici and ceramic letters by the Casa dell’Arte of Danilo Trogu. - Caption pag. 8 - Body. “We pursue the idea of an architecture that is a body, that seeks pleasure, that has a physical, sensual, subjective essence, unique, to be able to relate to the world and avoid the monologue. Like a sexual body, bearer of encounter/dialogue/polyphony/vision/ reality”. Palazzo del Cinema, Venice Lido, under construction, designed with Rudy Ricciotti: the large glass dragonfly wing facade as a pursuit of pleasure and belonging. On the facing page, Officine Grandi Riparazioni, Turin: the common internal spaces: the dialogue “between a wounded, heroic body and an idea of a feast, made of scars that do not disfigure, of good medicine (steel, plastic, plasterboard, all white) and humble, festive lighting, a source of cheer”. - Caption pag. 10 - Marvel. “It has nothing to do with pursuit of consensus or spectacle, it is a tool to go back to seeing reality without giving up on imagining the future, a better future”. - Caption pag. 11 To the side, the Museum of Toys, Cormano, done with Area Progetti: the ‘big animal’ that has mysteriously dropped from Rousseau and Salgari in the Milanese suburbs, a reminder of big childhood dreams. Frigoriferi Milanesi, Milan: the large red facade on Via Piranesi and the large black features, beyond the universal gray. The ceramic model of a work of architecture (made by Danilo Trogu) reveals the core of the project and its materic substance. “Our generation of architects has witnessed the violence inflicted on the territory, its oblivion. But we can believe that the only possible identity is the plural identity that characterizes our country, where a uniformity of language would be unthinkable.”

masters

The d esign of res Tlessness

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text Virginio Briatore

A free, profound, forthright man, Luigi Clemente Molinis is one of the most original and complete designers of our time. For his 70th birthday, the City of Pordenone holds a major exhibition in which about 200 works of his versatile talent can be seen, heretically shifting through design, architecture, illustration, painting, poetry. A man of the mountains, deeply tied to Carnia where his family originated and where he seeks refuge whenever possible, Luigi Molinis was born in Udine in 1940, graduated from classical high school, and then moved to Venice to study architecture. He had the good fortune to meet the painter Mario De Luigi, famous, in his fifties, and they instinctively became friends. De Luigi introduced him to the secrets of painting, and using nails from gondolas he taught him the ‘grattage’ technique with which to remove paint and reach the light. One memorable work was the painted wood floor De Luigi made for the interpretative model of the Roman basilica of Santa Maria degli Angeli, a project young Molinis submitted for an exam with the severe teacher Bruno Zevi, who granted him the adjective “brilliant!”. His thesis advisor was Carlo

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Scarpa, leading to his degree in 1968, with a thesis on a floating hotel for yachts. The next year he joined the industrial design team of Zanussi, where he was a younger colleague of the likes of Isao Hosoe and Andries Van Onck until 1980. Having left the factory and set out on his own, he worked with great ability at Ceramica Dolomite and, over time, took over Gino Valle’s position as design director of Rhoss. Molinis is one of the few Italian designers (besides Nizzoli, Sottsass, Zanuso and Bellini, in the past, Pininfarina, the Alto Adige group MM Design and the young Brianzabased Altromodo, today) to establish a real dialogue with the industrial dimension. Curated by Marco Minuz and Ivo Boscariol, organized by the Culture Department of the City of Pordenone, the exhibition is from 18 June to 28 August 2011 at the new Gallery of Modern and Contemporary Art of Pordenone named for Armando Pizzinato. The curators, for the first time, have organized the fascinating output of Molinis, including the very beautiful illustrated panels and drawings of products and works of architecture, colored by hand, in large formats. The exhibition sheds light on the range of the works and the incessant mediation between the galaxy of his mind and a painstaking capacity to create, in spite of digressions, an outstanding quantity of works, spaces and things. All without big structures, hordes of staffers, students and interns. There is no difference, in all this, between his free drawings of underwater argonauts or cities of the future, and his industrious drawings of televisions and ventilators, washstands and water heaters. They are all products of patience, made by hand, in long hours of solitary effort. The ideas emerge from his hand, and after the unavoidable encounter with skeptical technicians and marketing men – and fortunately also with some enlightened, courageous entrepreneurs – they are translated into products that almost always convey new languages, breakthroughs, insights. Molinis is a man steeped in the classical, yet he seems to flee from it in works and words: “I have an irresistible desire to make something that doesn’t yet exist. My work borders on heresy and I am an unintentional heretic, without presumption”. To be honest, the significant objects designed by Luigi Clemente Molinis are about thirty in number, at best. But they are all dense with meaning, starting with his early works: the series of round television sets for Seleco, that triggered the name of the show: “No doilies on the TV”. Hitting the market in the year man landed on the moon, his television sets, with their round, eye-like form, attempted an escape from the yoke of the squared, wooden appliances of the past. The Ebla series of bath fixtures, the tub, washstands and bath accessories produced by Ceramica Dolomite starting in 1987 predicted trends in proportions and rectangles that would emerge ten years later. But his most successful project is probably the Brio fan coil unit made by Rhoss in 1993. The existing machines of this type, at the time, were angular and colorless. Molinis began by rounding the edges, giving the boring box a more graceful look; then, instead of adding the usual grille with hostile blades, he designed one composed of seven plastic tubes that bring a sense of fluidity; finally, with a painter’s touch, he inserted the joy of color, lightening up the usual gray gloom of cooling devices. Among more recent works, the Medusa radiator designed for Irsap is very intriguing: a circle with a wide grid hung on the wall, directly based on the image of a sieve. Everything – objects, houses, furnishings – is first drawn and colored by hand, with the mixed expertise of an architect and a painter. In the long pauses away from industry, his restless spirit creates narratives and comics, illustrations for Linus and Humor Graphic, poetry and large oil paintings. Apart from quantities, what counts in the work of Molinis are the vastness of his path, his freedom of thought, his compositional precision, narrative force, and the sense of wonder – and restlessness, at times – his work instills. Gifts that have made him a reference point for the many young people who take his design and architecture courses at the Dept. of Engineering of the University of Udine, and for all those who want to explore the mental and materic paths of expression of artistic talent. - Caption pag. 13 1. Luigi Clemente Molinis, in a portrait by Gianni Pignat as he converses with the “demon of silence”, a character from the ink illustration “Il suono”, made for Humor Graphic in 1987. 2.3. Panels of the comics story “I Sicofanti”, ink on paper, 1982. 4. SP 24 television for Seleco, 1970. 5. Euclide mixer, produced by Bandini, 1989. - Caption pag. 14 1.2. Single-family house, exterior details, 1991. 3. Preparation drawing for the Medusa radiator produced by Irsap in 2005. 4. Detail of the Brio fan coil, produced by Rhoss, 1993. 5. Profile of the Euclide mixer produced by Bandini in 1989. - Caption pag. 15 1.2. Soap dish and toilet brush from the collection of bath accessories designed for Ceramica Dolomite in 1993. 3. Panel from the comic strip I Sicofanti, in an underwater setting, 1982. 4. Detail of the Rapido electric water heater, designed for Rheem Italia in 1985. 5. Project for an antenna for mobile telephony, pastel on heliographic paper, 2000. 6. Prototype of the Pallade mixer, 1989.

international & italian A winning mod el

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by Cristina Morozzi

Why does the Italian design system attract so many big foreign names? Some of the best-known international signatures express their viewpoint on an entrepreneurial, direct, intuitive, passionate approach that is still unique in the world. The success secret of Italian design lies, for the most part, in the geographical configuration of our peninsula and the Italian character. Italians are individualists and experts in the ‘art of making do’ that makes people ready to try anything, without giving up. The historical and cultural independence of the various regions has led to the formation of industrious production districts, concentrated on invention and fine craftsmanship. For design, traditionally, the decisive places have been Brianza and Tuscany. Milan became the design capital not because of an astute advertising initiative, but due to its special socio-geographic position. It is close to a precious reservoir: the hills of Brianza, full of home-workshops, home-factories, craftsmen who made the

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masterpieces for the first TransAtlantic ocean liners. Brianza, half an hour’s drive from Milan, is a small green area, but it is inhabited by an exceptional concentration of fine artisans with a taste for creativity, willing to try any kind of experiment. At the start of the 1950s Italy needed houses, reconstructed and furnished, and in Brianza there were plenty of tireless, skillful hands. In Milan the generation of architects who wanted to renew our way of living met with ideal accomplices in the artisans of this region, to make their visions into realities. This partnership between architects with a vocation for design and carpenters in Brianza, with intuition and a desire to work, generated the furniture companies that have now become world leaders. This network of family firms, helped by a network of brilliant prototype makers, forms the skeleton of the Italian design system. Milan, the design capital, was created by the likes of Vico Magistretti, Achille Castiglioni, Marco Zanuso, Ettore Sottsass et al, but also by Cesare Cassina, Aurelio Zanotta, Pierino Busnelli, Giulio Castelli, businessmen capable of transforming anything into a product, of completing projects – as Magistretti put it – over the phone. In Tuscany there were entrepreneur/artists like Sergio Cammilli, the owner of Poltronova, who made the experimental furniture of Ettore Sottsass and Archizoom in the second half of the 1960s. Cammilli represented that anarchic, typically Tuscan character that can still be found in younger companies like Edra, that introduced (in Italy) the surprising, disturbing design of transformation of the Brazilian brothers Fernando & Humberto Campana. This network of companies that are still willing to take risks now attracts designers to Italy from all over the world. It is legitimate to talk about Italian style, though the creativity is global, because of the impeccable production and skill of our companies in combining innovation and the crafts tradition, knowing how to look to the future without losing the concrete benefits of a close relationship with the territory. If the secret of the cashmere of Biella, which fears no Chinese competition, is the water of the area’s streams, the secret of Italian design is the good relationship between designers and family firms. This model, a winner for the Italian economy, according to the Economist – which on 11 June 2011 published a scathing article on Italy by John Prideaux – is falling apart. Prideaux compared the Italian economy to a bar, because 70% of the work force is busy with services, so a bar is a much more apt representation than companies like Fiat or Zanussi. “The bar”, he argued, “in the 1940s, thanks to the invention of Achille Gaggia (the espresso machine), was a model of innovation. But today the Italian bar has lost its shine, it has not expanded, and its formula, in the end, is not that different from the formula of Starbucks”. But Prideaux forgets that the Italian bar, though it is still small, with its owners working the counter, is still able to serve up, at a low price, different types of coffee, all of them excellent.If Prideaux, to outline his economic profile of Italy, had looked beyond arid numbers and talked to the many foreign designers who work in this country, he would have realized that family businesses, which he accuses for the lack of Italian growth, are precisely the source of competitive advantage for the design system. The owners of the companies in the furnishing system, like the owners of bars who offer a personalized coffee, know how to establish personal, family-like relationships, even with distant cultures. Just ask the Japanese, like Oki Sato of the studio Nendo, who says he feels at home in Italy, where Italian entrepreneurs have great faith in their capacities and a real desire to make high-quality products. Or Tokujin Yoshioka, who acknowledges Italy’s design leadership. “Italian businessmen”, he says, “not only know how to create decor, they also know how to nourish culture, putting their heart and soul into the creative act. The completion of a project, entrusted at every level to expert personnel, leads to a collective creative atmosphere in which each person can make a contribution, discussing the design with expertise.”Mike Holland, head of industrial design of Foster+Partners, says the wealth of Italian design lies in the great number of manufacturers, all with development divisions that are open to experimentation and innovation. “Many companies”, he says, “scattered across the territory, generate a network of specialized persons. With Lumina, a company that has great know-how in working with metal, we have been able to develop Flo, the table lamp shown in April in Milan, in just six months. The owner, Ettore Cimini, is an expert engineer. He makes all the decisions, but he also takes part in every phase of the creative process, with passion and skill. This rich spectrum of companies”, Mike concludes, “makes Italian design a worldwide success”. Belgium’s Vincent Van Duysen, who lived in Italy in the 1980s, appreciates the special art of living of the Italians, and their outstanding creativity in the fields of design and fashion. “The Italians”, he says, “know the value of design history and the great masters. They have been surrounded by beauty for generations: beauty is part of their DNA, and for them it is something tangible. They put their hearts into the work and know how to establish cordial relationships. For them, excellence is an everyday, physical thing. I had the good fortune, when I was just into my twenties, to work with very special people like Cinzia Ruggeri, an unconventional fashion designer. I remember her dog, Scherzi, always by her side, and gin & tonics at 10 in the morning. Her creativity opened my mind. Aldo Cibic taught me about generosity and faith in teamwork. A very close tie is always made with the businessmen. You create things, working side by side, a sort of chemical formula that makes it possible to bring out everyone’s full potential. This year I worked for Luca De Padova. It was a thrill for me to meet the prototypers who once worked with Vico Magistretti!”. Konstantin Grcic, the German designer, talks about a country where in small manufacturing towns there are home-factories that work day and night. “For Italian businessmen”, he says, “the company is not a brand, it’s life. This total identification with their job makes collaboration completely different. Emotions and passions come into play. You don’t work for, you work with. Designing a piece for an Italian company is something more than a commission. It is a challenge to make new projects. It means sharing a vision. Making design with Italian companies is a cultural operation. The entrepreneurs, even in the provinces, are very well informed, they always know everything about everybody. In Italy they don’t tell you “that can’t be done”. They always try first. This attitude of experimentation depends on their strong faith in

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design. Italian businessmen know that design is a process. Working with them is like taking a journey together. And the journey, the real one, is always a very intense, even mystical experience”. Martí Guixé, Spanish, studied in Italy at the Polytechnic School of Design in Milan, and feels close to the character of the Italians. “Italian businessmen”, he says, “are open to new ideas and are willing to take more risks. I feel comfortable talking to the owners, because they are the ones who make the decisions. The relationship is emotional, they make you feel welcome. The situation is always full of energy. It spurs me on: chaos is my environment”. Jonathan Levien and Nipa Doshi, the Anglo-Indian duo with a studio in London, talk in unison. They say that Italian entrepreneurs are fast and can grasp a good idea when it is still coming to life. They got in touch with Patrizia Moroso after reading an interview that contained statements that sent out a new energy. “They are not dogmatic”, they conclude, “but warm and very emotional, and they always try to find the best solution”. For Brazilian designer Fernando Campana the exceptional thing about Italian companies is the ability to combine poetry and manual skill, technology and good taste. “The Italians”, he says, “are restless and extravagant, I am reminded of Alessandro Mendini and Federico Fellini. This is why they love dreams and challenges. They know how to value history, but they have been capable of getting out of the past, with decision, moving towards something new”. Ron Gilad, from Israel, residing in Brooklyn, considers Italy the only place where good design is made. “I’m a bit crude”, he says, “and that is why I like working with Italian businessmen: they are not politically correct, they say what they mean and put their cards on the table. You work in a family setting, which permits a passionate approach. They know the market but they are also effective, especially because they really love what they do. Flos is my Italian family”. France’s Patrick Norguet also describes his relationship with Italian entrepreneurs as a kind of love story. “Every time I come to Italy”, he says, “I return to Paris full of energy. In Italy there are still free people who know how to enjoy life and want to be liked. I always meet with a family welcome, of great quality. The power of the family is a cultural legacy and a model that can still function, in my view. The entrepreneurs are open people with whom there is a cultural exchange that enriches me, helping me to shift my perspectives forward”. For the German studio Neuland, our spokesman is Michael Geldmacher. “Unlike the Germans”, he explains, “the Italians are spontaneous, direct. In Italy there is a widespread aesthetic sensibility, and an immediate fascination with new things. You get the sensation that everything is possible. In Germany a yes is always followed by a but. In Germany the economy is moving forward: the country functions, as a whole. In Italy, on the other hand, each person has his own personal solution and each one turns out, in its own way, to be effective. We like to work with Italian companies, not only for their special sense of design, but also because the geography (our studio is in Munich) lets us visit Italy often, to enjoy the great food”. This chorus of consensus might seem excessive, were it not for the fact that every year the collaborations continue, generating products with better performance and constant success. In conclusion, getting back to the metaphor used by John Prideaux, we might say that the Italian bar, in spite of the slow service due to the small staff, still serves the best coffee! - Caption pag. 17 The designers interviewed and their places of origin. From Europe (from the upper left): Martí Guixé, Patrick Norguet, Konstantin Grcic, Mike Holland/Foster+Partners, Vincent Van Duysen, Neuland, Doshi Levien. From the US, Ron Gilad. From Brazil, Fernando & Humberto Campana. From Japan, Tokujin Yoshioka and Oki Sato/Nendo. - Caption pag. 18 1. Forest bookcase, made by assembling supports of different sizes and thicknesses, design Nendo for Driade, 2011. 2. Portrait of Oki Sato (Nendo). 3. Maki hanging lamp composed of two sheets of metal, rolled like a wrapper, design Nendo for Foscarini, 2011. 4. Portrait of Mike Holland, head of the design department of the studio Foster+Partners, with the model of Arc, the table with light concrete support, designed by Foster+Partners for Molteni & C., 2010. 5. Portrait of Tokujin Yoshioka. 6. Installation at the Moroso space on Via Pontaccio, created by Tokujin Yoshioka for the Salone del Mobile 2011. The protagonist is the Moon chair, in rotomoulded polyethylene, designed by Tokujin Yoshioka for Moroso, 2011. - Caption pag. 19 7. LED reading lamp, in metal. Design Forster+Partners for Lumina, 2011. 8. Cathay Pacific lounge at the Hong Kong airport, with seating designed by Foster+Partners and produced by Potrona Frau, 2011. 9. Portrait of Vincent Van Duysen. 10. Multiuse tables available in a vast range of finishes, by Vincent Van Duysen for B&B Italia, 2011. 11. Dry ceramic module created by Vincent Van Duysen for Brix, 2011. 12. Shadow wooden table, available in a range of finishes, by Vincent Van Duysen for De Padova, 2011. 13. Avus chair with plastic moulded chassis and seat covered in leather, designed by Konstantin Grcic for Plank, 2011. 14. Portrait of Konstantin Grcic. 15. Tom&Gerry lab stool with three legs in solid beech, mechanical parts in self-lubricating plastic, design Konstantin Grcic for Magis, 2011. - Caption pag. 20 1. Portrait of Martí Guixé. 2. Chaos Manager adjustable work table, with structure in painted metal tubing, top in natural wood, design Martí Guixé for Danese, 2011. 3. My Zoo cardboard animals, design Martí Guixé for the Me Too collection by Magis, 2011. 4. Grinza chair with plush covering wrinkled at random, designed by Fernando & Humberto Campana for Edra, 2011. 5. Portrait of Fernando & Humberto Campana. 6. Portrait of Nipa Doshi and Jonathan Levien (Doshi Levien). 7. Ananda personal hydromassage, created by Doshi Levien for Glass, 2010. 8. Capo seat with thin enveloping chassis covered in felt and metal legs, by Doshi Levien for Cappellini, 2011. - Caption pag. 21 9. Portrait of Ron Gilad. 10. Oversized Mirrors, sculpture by Ron Gilad for Dilmos, 2011. 11. Painted wooden chair, design Patrick Norguet for Crassevig, 2011. 12. Steel chair, design Patrick Norguet for La Palma, 2011. 13. Portrait of Patrick Norguet. 14. Float Wall glass container for Glas Italia, design Patrick Norguet, 2011. 15. Scratchproof steel table components, design Neuland for B-Line, 2011. 16. Portrait of Eva Paster and Michael Geldmacher (Neuland Industriedesign). 17. Elephant chair with metal supports, moulded chassis with form like the backside of an elephant, design Neuland for Kristalia, 2010. 18. Random bookcase in MDF, design Neuland for MDF Italia, 2011.

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InternI settembre 2011

INteriors&architecture The pha NTom of The o pera

p. 22 project Odile Decq - Odile Decq Benoit Cornette Architectes Urbanistes project supervisors Peter Baalman, Giuseppe Savarese, Amélie Marchiset photos Roland Halbe/ODBC text Antonella Boisi

In Paris, in the monumental theater of the Opéra Garnier, symbol of the Ville Lumière of the days of Haussmann, the new Phantom restaurant tells us that architecture can really become a factor of appeal, recognition and quality, when it convincingly integrates history and contemporary style. The latest work by Odile Decq is a complex project, considering the historical and architectural value of the building in which it is located, and the demanding heritage regulations imposed by the local authorities. The French architect (Leone d’Oro at the Venice Architecture Biennial in 1996, and the designer of the MACRO, the Museum of Contemporary Art in Rome) has approached this new work as if it were a delicate task of embroidery, with her internationally acclaimed style and experimental approach that combines technology and pragmatism in atypical works, not without a truly innovative emotional thrust full of glamour and energy. Dialogue with existing monumental structures is notoriously difficult, especially in Italy. In this case it was tough in France as well, because “the possibility of imagining a new space had to come to grips with the need not to touch the walls, pillars and vaults of the building”, Decq explains. “The request was for a reversible solution, so that when the twenty-year agreement for the concession of the restaurant comes to an end, it will be possible to erase the project, without leaving any traces behind”. The Opéra Garnier (or Palais Garnier), named for its creator Charles Garnier, is one of the finest features of the IX arrondissement, and a good example of the eclectic French architecture of the second half of the 19th century, connected with the urban transformations implemented by Napoleon III and the prefect Haussmann. A place built in 1861-75 that is full of history, where the writer Gaston Leroux set his well-known novel The Phantom of the Opera, and where today, 136 years later, the restaurant planned in Garnier’s project but never built finally makes its appearance. Recognition of the spirit of the place has suggested choices for a stimulating relationship, open to a soft, gentle dialogue, without imitative accents. With absolute respect for the context, the not-so-threatening Phantom of Odile Decq hovers on the eastern side of the theater, once the location of the rotunda of opera subscribers, with a portico where carriages could await their owners (an identical rotunda was placed on the west side, with iron and brass decorations, for the use of Napoleon). Giuseppe Savarese, an architect who worked on the project, explains: “The impossibility of anchoring any architectural elements to the age-old stones of the rotunda prompted us to develop the glazing that encloses, like a sinuous curtain, the original enclosure without interfering with it, leaving the view of the cityscape intact. The glazing is continuous, in curved modules about two meters wide, behind the existing pillars, leaving them practically untouched. The anchoring to the ground is done with two steel sections on both sides that grip the glass and attach it to the foundation. A stone-colored silicon joint between the glass and the dome has the job of redesigning the perimeter of the rotunda, while at the extremities two doors become the ends of the curved glazing”. The result is a full-height surface, solid and stable, staged like a magical presence, but with minimum impact. And if space is dematerialized in the transparency of the glass, in contrast with the historic stone enclosure, the figure of the mezzanine completes the performance of the Phantom by Odile. Without ever touching the original enclosure, with sinuous curves, it seems to furtively advance, extending and floating over the guests, making itself clearly perceptible below the dome. Its pale white plaster chassis (supported by a metal structure containing technical cabling and by slender columns resting on the ground near the stone pillars) is similar to a Moebius strip, a 3D model of spatial continuity, without borders. Inside this sculptural shell that contains part of the 90 overall seats specified in the project brief, the perspectives change. “One is seated”, Odile says, “under the vault, with the ribbings of the stone arches quite close by. The perception of the space becomes intimate, enveloping; the tones of the red carpet are warm, establishing a visual rapport with the main staircase, covered with a carpet in the same color. The latter reaches the level below, in a zone marked by a series of filter elements that define a lounge-drink area, separate from the restaurant. The two zones are also identified and differentiated by the flooring, that alternates marbleized concrete with Carrara marble. On this level, architecture is less the protagonist, and the sense of space is more a question of points: the long black counter of the bar that winds around a column corresponds, on the opposite side, to the steel storage area for wines. Amidst the suggestions of the more remote corners, one then proceeds to the back, in front of the four historic decorated wooden doors leading to the foyer of the Opéra”. The architect with the punk hairdo and dark look, obsessed with details, can now cross the theatrical red carpet and join the audience. - Caption pag. 23 Above, project drawing. The entrance to the restaurant, located in the old rotunda of the subscribers to the opera. Facing page, view of the restaurant zone organized against the entrance on the northern side. The glazing develops behind the original stone pillars, in modules with a width of about two meters and a double curvature, custom made by Cricursa/Simetal based on a design by Odile Decq. No structure is visible, but at a height of six meters a single steel beam, grafted onto the joints of the upper frames by steel brackets, keeps the glass in position, as if by magic. - Caption pag. 24 Above, plan of the ground floor of the restaurant. The mezzanine level is organized in more secluded zones, beneath the vault of the old dome. Facing page: the staircase connecting the ground floor and the mezzanine, conceived as a continuous ‘ribbon’, white on the outside, red on the inside. The red carpet was produced by Desso. Lighting fixtures by iGuzzini. - Caption pag. 27 Like a Moebius strip, a 3D model of spatial continuity without borders, the architectural composition of the mezzanine has sinuous curves, extending toward the arched glazings that frame the cityscape without ever touching the original enclosure. The seating, like

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the banquette-lounge on the lower level, is custom made by Besse, based on designs by Odile Decq. - Caption pag. 29 Longitudinal section. The dining area organized under the mezzanine. The tables are custom, designed by Odile Decq and produced by the Belgian company Noviform; custom seating by Poltrona Frau. Facing page: the open central island permits direct communication between the upper and lower levels.

INcenter

ITal IaN Trad es

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by Nadia Lionello

Four places where craftsmanship is still practiced. Bearing witness to a legacy, in pursuit of the present. The charm of places and skills to protect with new projects and ideas, to keep them from becoming extinct. - Caption pag. 30 A true crafts workshop in the heart of Brianza. Founded in 1906, Eredi di Marelli Antonio makes frames, objects, furnishings and complements in carved wood, traditionally worked with an original procedure: drawing, cardboard model, prototype. Some of the workshop’s creations can be seen in Rome at the Campidoglio, in Vatican City, in Medina, and in the homes of famous fashion designers. Febo, low-back chair with structure in steel tubing and section, padded with flexible polyurethane foam, covered with fabric or saddle-stitched leather. By Antonio Citterio for Maxalto-B&B Italia. Marguerite chair in cast aluminium, painted white, with fabric seat cushion, also suitable for outdoor use. By Borek Sipek for Driade. Facing page: Format tableware collection in white or decorated porcelain, composed of plates, cups, teapot, pitcher and stackable vases; the bowls and trans are coordinated in size for easy storage. By Christophe de la Fontaine for Rosenthal Studio-Line. Photo: Efrem Raimondi. - Caption pag. 32 Fonderia Artistica Battaglia: founded in 1913 in the Simonetta zone in northeastern Milan, this foundry carries on the ancient tradition, collaborating with the most outstanding Italian artists whose works are now found in Italy and around the world. Rock On, rocking chair with structure in painted plywood, seat in padded curved plywood, covered in quilted eco-leather. Design Alessandro Dubini for Valdichienti. Stitch seat from the collection that includes a lamp and a table, made in natural oiled birch wood with polyethylene stitching in a range of colors. By Tord Boontje for Moroso. Facing page: Leaf, small table in the version with triangular top in waterproof MDF, batch-colored in gray, structure with three or four legs in steel painted mocha, green or white. By Lievore Altherr Molina for Arper. Mille Bolle, halogen floor lamp with diffuser disks in polycarbonate and stem in chromium-plated steel. By Adriano Rachele for Slamp. Photo: Guido Clerici. Caption pag. 34 Blitz stackable chair in transparent or full-color polycarbonate, with photo-engraved seat. By Marco Pocci and Claudio Dondoli for Pedali. Mr. Light floor lamp in glossy painted metal with metal conical shade adjusted by means of a jointed arm, and globe bulb. By Javier Mariscal for Nemo-Cassina Lighting. - Caption pag. 35 Fornace Curti was founded way back in the 1400s; since the early 1900s it has been located in southern Milan, near the canals. A small village with the studios of artists, where the tradition of Lombard terracotta continues, rigorously crafted and painted by hand. The workshop has always collaborated with artists, architects and (nowadays) designers.Juniper table lamp for dual light emission, direct and diffused, with separate switches, in painted steel. Shade in painted aluminium, by Michele De Lucchi for Artemide. Giro stool with seat in natural or stained wood, or covered in leather, height-adjustment by rotation; structure in stainless or painted steel. By Fabio Bortolani for La Palma. Daytona chair with solid wood structure, form-fast polyurethane filler, goosedown cushions. Covered in leather or removable fabric. Steel feet. By Claesson Koivisto Rune for Busnelli. Photo: Simone Barberis. - Caption pag. 37 Casa d’Arte Lo Bosco, in the center of Milan. Since 1920 this atelier has made garments for entertainment and costumes for events and advertising campaigns. The workshop produces custom puppets, complete with a vocal system; since 2006 the firm has focused on personalized garments, patenting the Tailor’s Cut method for remote production of clothing. Abbey Road chair with structure in satin-finish chromium-plated metal tubing, seat with form-fast polyurethane padding, covered in fabric or capitonné leather, back in polyurethane and goosedown, covered in fabric. By Giorgio Soressi for Erba Italia. Panama LED table lamp in painted aluminium with polycarbonate glare-proof reflector, also suitable for use in the office. By Eugadesign for Omikron Design. Facing page: I Policromi, high bookcase from the collection of wooden pieces clad in multicolor laminate, with gray sides. By Alessandro Mendini for Domodinamica. I Piani, directlight LED table lam in injection-moulded ABS, in the colors black, white, green or red, diffuser in injection-moulded PMMA with entirely photo-engraved finish. Design Ronan & Erwan Bouroullec for Flos. Photo: Paolo Veclani.

design & Industry

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text Valentina Croci

Ten exponents of the new generation of Italian design narrate their debuts and first experiences in the world of furnishings. We asked them to express questions and perplexities regarding the relationship between designers and business. Who are the so-called young Italian designers and what relationship do they have with the industry? The picture that emerges from our survey shows a generation between 30 and 35 years of age that is certainly not naive. They have informed ideas about the production process, materials, the user-object relationship. Most of them have gotten training both in Italy and elsewhere. Some are actively involved in teaching on the university level. They conduct their own research, discovering particular working techniques, or new types of objects. Though experimentation was also conducted in the past – just think about the Castiglioni brothers – today the relationship with entrepreneurs is different. The young designers accuse business of no longer wagering on human resources and on research as

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a path of renewal. Yet the history of Italian design teaches us that mutual transmission of know-how between designers and industrialists set the stage for products that have transformed everyday life, responding to social and technological changes. The young designers look to the business culture of the past, not with nostalgia, but as a model of an attitude that needs to be applied in those sectors where our industries have not been able to achieve full expression. They say that entrepreneurs do not promote the training of recent design graduates, forming long-term relationships of collaboration. Instead of developing farm teams of young creative talents, many companies prefer to turn to already successful names, though their ‘celebrity’ often overshadows the identity of the company, leading to a kind of standardization of products. Businesses seem to prefer freelancers over teamwork. The historic exchange between industry and creativity that continued over the years now seems to be replaced by an intermittent relationship. The young designers feel they are not being listened to, and have trouble making a name for themselves. The lack of trust between the two sides is reflected in complicated modes of retribution. There are no standard payment schedules to help determine fair pay for work. There are no encoded rules or contracts to establish precise relationships. The royalties mechanism does not suffice to protect the origin of an idea; royalties even seem like a form of compensation for the idea’s appropriation. Without registered patents or contracts to defend intellectual property, it is hard for designers to find a fair deal. The question, upstream, might be: why do many businessmen hesitate to acknowledge the role of the designer in economic terms, and in terms of expertise? Not investing in synergy with designers is tantamount to not believing in the value of design. Some of the people we talked with say we are in a ‘hasty’ era. The fragmented industrial fabric of small to medium businesses that has led to the development of districts and the spread of know-how in the territory no longer seems like a strong point of Italian companies, because most of them are crushed by globalized competition and by the lack of incentives and support on the part of the State. So entrepreneurs are less willing to take risks, or just don’t have the required margins. Designers look for new paths, on their own. They become the spokesmen of alternative paradigms with respect to traditional industry, like indie production or limited editions, becoming entrepreneurs in their own right. These young people have different tools than their mentors: new technologies that make it possible to reduce initial investment and produce things to measure, to meet demand. They can join forces and work together, imitating the sense of participation created by the web. They can feel involved, firsthand, in the process of product development. In spite of the disenchantment and disappointments, young designers still have possibilities on the Italian industrial scene. And they are curious, concrete, skeptical of utopia, ready to meet difficult challenges. Marco Dessì - “While I was still in school I saw a Classicon catalogue that described the company’s collaboration with Konstantin Grcic. His way of working was narrated in a transverse way, from the cardboard mock-ups to his personal interests. It opened up a whole world for me. So I began to study the Castiglioni brothers, the design culture of the postwar era, anonymous design”. Marco Dessì was born in Merano but he lives in Vienna, where he got his training. From the outset he has paid close attention to the functional and technical-industrial aspects of objects, demonstrating intuition and a research sensibility. He has created projects for the Viennese companies Lobmeyr, Augarten and Richard Lampert, including the Basket chandelier, finding a new vocabulary for traditional techniques: Lobmeyr, in fact, is a historic glassworks specializing in glass blowing and screen printing done by hand. The form of the chandelier is like that of a lantern, but the use of glass in tubes bent into a growing hexagonal form is very unusual. For Skitsch Marco Dessì created his first industrial design. The Dakar stackable aluminium chair is an example of constructive sensibility. The back and seat are made with a single sheet of metal, for flexibility and stability. The possibility of different colors for the various parts grants a high level of personalization. As in other projects by Dessì, the composition of the parts is clearly visible. - Caption pag. 39 Above: the Basket chandelier by Marco Dessì for the Viennese company Lobmeyr, made with hexagonal glass tubes, referencing techniques of basket weaving. The unusual use of glass produces a disorienting effect. To the side: the Dakar chair for Skitsch, composed of two pieces of bent aluminium and tubular metal legs. The back literally dresses the structure, increasing its stability. Lanzavecchia + Wai - “We lived in the same house during our time in the Masters program at the Design Academy of Eindhoven. At a certain point we found ourselves eating out (badly) at every meal, because the kitchen had become a workshop: all the kitchenware was filled with plastic resins!” Francesca Lanzavecchia and Hunn Wai met again in Shanghai in 2008, working for a German kitchen producer. They decided to set out on their own and to participate in the Time to Design – New Talent Award in Copenhagen. For the contest, they developed the Spaziale series: the collection of containers in wood and fabric that was a hit during the FuoriSalone 2010. From that idea of furnishings with a rigid structure and a body that varies in relation to the content, they developed a self-produced collection. They work in close contact with artisans, for example on the Leone Series 01 lamps, made in Singapore by one of the last makers of Lion Dance masks. Lanzavecchia + Wai are a paradigmatic due, both for their research on the semantics of objects, a legacy of the Design Academy, and for their path of self-production that indicates a direction halfway between art-design and industrial design (photo portrait by Davide Farabegoli). - Caption pag. 40 Above and right: Leone Series 01 lamp by Lanzavecchia + Wai, self-produced. Made with strips of bamboo covered with paper, painted orange on the inside (photo Daniel Peh K.L.). To the side: Tre di Una is a family of chairs, self-produced with common seat elements assembled with a synthetic paste (photo M W Suh). Below: the Scaffold lamps, an integral part of the Spaziale series, based on the same concept of combination, in this case of a rigid structure in metal rod and a body-skin of elastic fabric (photo Daniel Peh K.L.). Carlo Trevisani - “In my grandfather’s woodworking shop I took things apart and put them back together, with the desire to make things with my hands. Later that desire became a profession”. Verona native Carlo Trevisani took a degree at ISIA in Faenza,

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specializing in ceramics, and then worked in the studios of Paolo Zani and Matteo Thun. From furnishing complements with Atipico, Nason Moretti and Seletti, to kitchen utensils with Coltelleria Berti, the idea of the workshop and fine craftsmanship remains a part of his design. Trevisani looks for a language that brings out the relationship between man and object, the mechanisms of affection. “I would like to design products users become fond of, like grandma’s old armchair”, he says, and he does play with familiar semantics and the direct engagement of the observer. For example, the Appo centerpiece takes on the function chosen by the user, who also chooses the bottle to form its base. The knives of Corredo Cucinario Italiano come in a suitcase; they are big but blunt at the tips, playing with our ancestral fear of knives. - Caption pag. 41 From the top: Sustainable Bronzes (Luisa Delle Piane), lamps made with foundry scrap; Appo cork centerpiece for Seletti, for use with any bottle and multiple functions (photo Emanuele Zamponi); Ceramic Texture, part of a research project on surface effects, obtained with organic materials that dissolve in the firing; Zamami rope tray, self-produced (photo Antonio Salvador). Michele Cazzaniga - “Since I was born in the heart of the Brianza district, to a father who is a designer, I’ve always known the main furniture companies and their suppliers. I studied the history of Italian design from their vantage point. And I spent almost every Saturday over the last ten years in those factories, to learn about new technologies”. Michele Cazzaniga works in the studio of his father Piergiorgio, conducting personal research on products and the structural and technological limits of materials. The Tense acrylic resin table, which got an honorable mention at the Compasso d’Oro awards for 2011, can reach the exceptional length of 4 meters, in spite of its thin form. The projects by Cazzaniga stand out for great formal simplicity and high levels of technical performance. Technology is pursued as a functional plus, not just a way of showing off. The Sail polymer seat, made with gas moulding, has legs with a hollow section to save material and energy, and to cut costs. The motto is “less in more”: simple objects with an essential form, that corresponds to great design and production complexity. - Caption pag. 42 From the top: the Cartesio single-control mixer faucet in stainless steel by Michele Cazzaniga, Simone Mandelli and Antonio Pagliarulo for Ceadesign, based on the idea of the spatial coordinates x, y, z. Tense series of monochrome tables in acrylic resin, also accessorized for use in the office, by Piergiorgio and Michele Cazzaniga for MDF Italia (honorable mention, Compasso d’Oro 2011); the Reader chair by Piergiorgio and Michele Cazzaniga for Living Divani, with steel structure immersed in polyurethane padding; Sail stackable chair for Andreu World, designed with Piergiorgio Cazzaniga, made with gas moulded injected thermopolymer. A-R Studio “Remo Buti, our teacher at the university, helped to develop the ironic, playful side of our work. But as students, what motivated us most to become designers was the Salone Satellite: a turbine of ideas and suggestions”. The Tuscan duo Antigone Acconci and Riccardo Bastiani began working together in 2003, with the competition Made in Tuscany on the reutilization of the typical materials of that region. Opportunities oriented them toward product design rather than architecture. Since 2007 they have worked for international brands like Habitat and CB2, historic Italian brands like Merati Design, or emerging companies like Parentesi Quadra. They focus on simple, familiar objects with a touch of narrative humor. This last aspect can be seen in the installations created for the 50th anniversary of Jannelli&Volpi. They played with the theme of the three-tone Italian flag, broken down and put back together, as a metaphor of the different souls of Italy, and a new take on the stereotypes linked with anniversaries. Recollections transformed into souvenirs and albums of memories. - Caption pag. 43 For the 50th birthday of Jannelli&Volpi, A-R Studio created a series of installations, including La Giovine Italia, based on the Italian flag and interpreted as a nursery space (photo Claudia Castaldi). Emanuele Magini - “I thought about being a designer when I read an interview with Philippe Starck and immediately went to the drug store to buy his very costly brush. There was something extraordinary about his objects”. Emanuele Magini was born in Arezzo, but he roams the world. With the group DMR (De Paz, Magini, Ricci) he participated at the 11th Biennial of Young Mediterranean Artists in Athens (2003), and studied at the Bezalel Academy in Jerusalem. He has worked with Albera Monti & Associati and Studio Rotella, and then began his own practice, participating in many competitions. Like Starck, Magini too searches for the extraordinary side of everyday things. His recent products for Campeggi are emblematic. In its simplicity and immediacy, the Siesta seat conserves the language of outdoor benches, but also grafts on a hammock to make use freer and more fun. Indicated as a ‘proto-living room’, Sosia is a mutant object: two chairs, a sofa, a cot, a sheltered living environment. The two projects underline the idea of adaptation to situations in everyday life. - Caption pag. 44 Right: produced by Campeggi, the Siesta bench combines the language of the public bench with that of the hammock. Below: A cocoon that wraps, shelters, isolates. Sosia by Emanuele Magini for Campeggi is a dynamic object that can transform into two chairs, a sofa and a cot. Meneghello Paolelli - “Our first job was to design the water closet for a monoblock toilet. An object we had never thought about designing, but it was the start of our specialization in the bath sector”. Sandro Meneghello and Marco Paolelli (born in 1979) graduated from the Milan Polytechnic. In 2006 they opened their studio in that same city, working above all with companies in the bath sector like Antonio Lupi, Artceram, Bertocci, Fima, Carlo Frattini and Hidra. In this area, they have become innovators, introducing unusual forms and materials, without overlooking the aspects of technical quality and safety. The duo has done furnishings for the living area with Ciacci, Emoh, Omikron and Treccani. Here again, they pay attention to the updating of types, starting with the technology of materials. Meneghello Paolelli have received three Red Dot Design Awards, two Design Plus prizes and three nominations for the Young and Design prize. - Caption pag. 45 From the top: by Meneghello Paolelli, the Back washstand in Livingtec, produced by Artceram, stands out for its compact design, minimal depth and the possibility of positioning the faucet at different points; the

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Sfera shower head for Fima Frattini is a sphere with two cuts; the first conceals all the technical parts, the second shapes the surface of water emission (Design Plus 2011); the Nest table produced by Emoh has a concentrically woven metal base and a glass top (third place, Young & Design 2010). MrSmith - “Our first steps were not in the footprints of the masters. Thanks to a seminar at the technical division of FontanaArte, we made contacts that let us develop four families of products, that reflect our technical and analytical approach to design”. MrSmith Studio was founded in Milan by Marco Mascetti and Michele Menescardi. The name is an almost anonymous choice, a tag. But since 2008 it has become a registered trademark as well. The studio works in the areas of industrial, lighting, packaging and graphic design, also concentrating on marketing and service aspects. The products of MrSmith stand out for their communicative character, playing with the semantics of objects and social rituals. It is no coincidence that their portfolio also contains works of food design, ideas that shake up our usual ways of observing things. Clients include Antonio Frattini, Calligaris, FontanaArte, Ferrero, Glass Design, Miniforms and Nason Moretti. - Caption pag. 45 From the top: designed by MrSmith for Calligaris, Sextans is a floor, table or hanging lamp with a structure in curved metal tubing and a fabric shade; the Basil chair for Calligaris gets its inspiration for the form of a basil leaf, whose central vein is both structural and decorative; produced by FontanaArte, the Medito system of wall lamps is like a plumbing connection, which in this case allows a light source to move. 4P1B - “We work for other design studios and then meet up in the evening to prepare competition entries. In 2008 we participated in a competition for the design of an elevator cabin; this was when 4P1B was born, which is what was written on the intercom at the flat where we would meet”. Four designers in Milan: Simone Fanciullacci, from Genoa, previously a designer with Pagani & Perversi; Antonietta Fortunato, from Bari, designer at Logica Architettura; Antonio De Marco, from Salento, experience with Isao Hosoe and Matteo Ragni; and Marco De Santi, from Lucca, designer at Azzolini Tinuper Architetti. Their most important work is the Toy lamp for Martinelli Luce – winner of the IF Design Award 2011 – that uses LEDs in keeping with their characteristics: low consumption, variable for different applications. Like Toy, the Traliccio bookcase made with shelves in bent metal rod that hold books without a surface on which they rest, represents their approach to flexible, immediately comprehensible objects. - Caption pag. 46 Above: the Traliccio bookcase shown by 4P1B at the Salone Satellite 2011, made with metal rods on two posts. The angle makes it possible to store books of different sizes. Taking advantage of the notches in the wooden backs, the rods can be installed horizontally or vertically. Above: the ‘Eppur Si Move’ hanging vases, based on reflection about balance in nature, reflecting nature’s fragile logic. Studiocharlie - “We have carefully studied Ettore Sottsass through the Photographic Metaphors, so much so that once, a year after the opening of the studio, he came to me in a dream and reassured me that everything would be OK!”. Gabriele Rigamonti, Carla Scorda and Vittorio Turla founded Studiocharlie in 2002, near Brescia. They create geometric objects with a strong graphic impact, collaborating with Billiani 1911, Boffi, Lanificio Leo, Lema and Vittorio Bonacina. In the fields of graphics and product design, they pursue consistency in design through the use of materials, the balance between form and proportions, the immediacy of ideas. In the Ala screen they have approached the historic theme of wicker, bringing out the transparency of the weave and the effects of light and shadow. In the Aragosta chair they play with the terse geometries of the profiles to enhance solid wood. The design of the fonts Superbastone and Csuni received an honorable mention at the 20th Compasso d’Oro awards (photo portrait by Simone Facchinetti). - Caption pag. 46 From above to below: the Conchiglia lacquered cabinet, produced by Lema; the Aragosta chair produced by Billiani 1911 in solid open-pore lacquered wood; the Primitivi low table and stools produced by Donati Group in aluminium, marked by the contrast between the elementary volume of the cylinder and the slender feet. - Caption pag. 47 Dear Businessman... 10 questions waiting for answers - 1. Italian design comes from the utopian vision of postwar entrepreneurs. What is the vision of the future for industrialists today? 2. At sector fairs companies show prototypes that often fail to go into production. Why don’t they try to stay ahead of the market, rather than following it? 3. What are the strong and weak points of Italian design with respect to design from other countries? 4. Why should designers under 35 concentrate on designing in Italy, and for Italian companies? 5. What is the spark that makes you choose one project from a multitude of proposals? 6. What tools could make it possible for Italian companies to invest more on research and training? 7. If suppliers are foreign, know-how is shared, the market is global and the designers are international, does it still make sense to talk about Made in Italy? 8. In spite of history and a tradition of design, why is Italy the place where the role of the designer gets the least recognition, both in economic terms and in terms of professional responsibilities? 9. Mass production and limited production. What is the position of traditional industry with respect to young design studios that become the produces and promoters of their own works? 10. Why don’t many Italian companies construct a relationship of trust with designers that lasts in time, instead of turning to the ‘brand names’ of famous design signatures?

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by Nadia Lionello photos Simone Barberis

They gather the things we use most, things we like to display or to carefully conceal. Volumetric solutions and compositional flexibility in glass, steel and wood, suggesting domestic horizons with a metropolitan look. - Caption pag. 49 Fortepiano, modular system composed of three basic parts, two types of containers, shelves and a thick counter.

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With matte lacquer or wood finish, doors in lacquer or glass, with drawers. Equipped with channels for electrical sockets and cables. Design Rodolfo Dordoni for Molteni & C. Stele monoblock bookcase with structure and pass-through compartments in brown or white painted aluminium, front in painted glass, in the colors of the Ecolorsystem, carved with hydrojet technology. With exclusive invisible interlock system for precise positioning of the compartments. Design Giuseppe Bavuso for Rimadesio.- Caption pag. 50 Mindstream Cabinet, storage system including bookcase, wardrobe, credenza and drawers, for various combinations, with digital print fronts on batch-dyed MDF. Part of the Successful Living collection from Diesel with Moroso. - Caption pag. 51 Movie W11, container in transparent tempered glass with dividers and cabinets in natural or tobacco-stained ash, fronts in back-painted or satin-finish colored glass. Design G&R studio for Gallotti & Radice. - Caption pag. 52 Cubolibre, composition made with modules of six different sizes, freely combined with a polycarbonate joint. In steel, painted in the 190 colors of the Ral system; each kit includes six modules of different colors, by request. Design Paolo Ulian for Officinanove. - Caption pag. 53 Zero Code system of open modules in cherry with wooden slat doors in different types of wood, with transparent finish, for free combinations. In two depths and different custom sizes, with backs and shelves in six different colors. Design MAAM Research Center for Morelato. - Caption pag. 54 Burkina Faso, a system that includes low and high benches, cabinets with doors, drawers or open compartments, and technical wall panels. In wood, matte painted in 40 colors or with natural finish, for interchangeable combinations. Equipped with plastic and aluminium cable routers. The panels and containers can be freely combined in the finishes lacquer, fabric, wood and mirror. Shelves, DVD holders, drawers and a hassock complete the system. Design Giulio Cappellini for Cappellini. - Caption pag. 55 Parcel, system composed of three bases and six modules of different sizes, freely combined on the floor, at the center of the room, hung on the wall or stacked; also for use as individual units. Each element is made with a wooden structure painted in 26 different colors, with hinged doors, fold-back doors or drawers. Design Cleasson Koivisto Rune for Former.

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by Cristina Morozzi

We asked ten ‘mentors’ to name possible heirs from the young Italian designers of the latest generation. Their answers contained many confirmations and a few surprises. It was the 24th of January 1997 in Weil am Rhein. Achille Castiglioni was named ‘designer of the year’ by the magazine Architektur und Wohnen and opened a solo show at the Vitra Design Museum, after its tour, starting in 1995, from in Barcelona to Milan and Bergamo. Someone asked Achille to choose a young designer. “I’d like to propose a young talent”, he said, “who doesn’t have ambitions to make a name for himself with an overly personal style, a discreet designer, capable of creating things that look as if they have always been there. One who doesn’t thirst for the spotlight. So the projects of Konstantin Grcic come to mind. I don’t know him, personally, I met him for the first time at this ceremony, and he confirmed the impression I had gotten from his objects. He is an understated designer who doesn’t think he is going to change the world with design. At most, by designing objects it is possible to suggest forms of behavior” (Cristina Morozzi, Konstantin Grcic, Il Sole 24 ore, Milan, 2011). Today we hear a lot of talk about Italian design in the past tense, filled with nostalgia for the great masters. Sometimes people use the present tense, to remark on the excellence of Italian companies. Few are willing to wager on the future. Italy is accused of being a country that is getting elderly, and leaves no room for young people to get a start. Yet design schools are more crowded than ever, and the waiting list to get into the Salone Satellite gets longer every year. Most of the young designers, however, are foreigners who arrive here with their own self-produced things, attracted by Italian business culture. What about the young Italians? They seem to be lagging behind. Whose fault is that, if fault has to be assigned? Is our country going through a general crisis of creativity? Are schools, politics and institutions to blame, for not investing in research and not offering opportunities for young people? Is the problem a theoretical construct that has accompanied the phenomenon of Italian design since its birth, burdening it with a disciplinary orthodoxy that cannot adapt to the ‘liquid’ condition of the present? Are we feeling the effects of a moralistic drift that has rejected contaminations, imaginative and formal excess, avoiding the spectacular approach that brings visibility to the younger generation in countries north of the Alps? Maybe it is just a matter of the ebbs and flows of fortune. Or it might depend on a sort of intrinsic laziness that plagues young Italians, who have become spoiled design brats because they can still rely on the support of enlightened companies and the contribution of important territorial resources (craftsmen) who can transform practically any scribble into a nice product. Yet a new generation does exist. Maybe less heroic than the generation of the great masters. Times have changed. Instead of heroics, it’s a time for patience and perseverance. Instead of grandstanding, it’s a time for affectionate attention. The new design, like homeopathic medicine, favors small doses and gentle care. It delves into the folds of life, the stuff of everyday existence. It tries to improve quality by starting with small things that have yet to be addressed by design. Many of the new designers are ethical and visionary, just like the great masters. They see their job as a matter of social commitment, but they also believe in irony. They design appealing things that conform to their users, rather than trying to astonish or shock them. We live in a fluid age, not a time for clean breaks with the past, it seems. When we asked living masters to indicate a possible heir, a promising young Italian talent, most of them were taken by surprise. Many of them asked for some time to think it over. They didn’t have any names ready. Antonio Citterio gave us no indications. Neither did Fabio Novembre. “Today we live in real time”, he says, “it’s anti-historical to ask who will become famous. People just

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realize things, immediately. It’s absurd to keep chasing after things that have ‘never been seen before’. As soon as a good idea appears we are all ready to cheer. We need to try to avoid being vampires. And to not be fooled by the spinning washing machine that mixes everything up!”. Michele De Lucchi was seated at the table in his studio when I popped the question. He took a catalogue and handed it to me. “This guy”, he said, showing me the cover letter in which Daniele Papuli expressed the hope that De Lucchi would appreciate his ‘sculptographs’. “I like him because people who work with and on paper are idealists”, De Lucchi said. “Because his things are like a puff of air. Because in his hands paper gets strong, without losing its fragility”. Riccardo Blumer chose one of his young students from San Marino, Tommaso Alessandrini. “Tommaso is an alchemist”, he said, “and he uses chemistry and physics, potions of knowledge that can produce real music through the creative process”. Matteo Thun pointed to the already well-known Venetian designer Luca Nichetto. “His particular design approach,” he wrote, “based on a strong link with his place of origin and its crafts has led him, in spite of his tender age, into a situation of growing importance on the international scene, developing interesting collaborations, especially along the Italy-Scandinavia axis”. Denis Santachiara, along with his suggestion, reflected on the evolution of the design profession. “Just twenty years ago,” he wrote, “the word design was applied almost exclusively to industrial design, car design, graphic design, and then along came fashion design, as a synonym for styling. Today there are at least 20 or 30 different meanings of the term design: from hairdressers (hair design) to sound engineers (sound design), lighting technicians (light design) to bloggers (webdesign), food (food design) to cities (urban design) and territories (ecodesign). These extensions cross new territories of creativity, making design transversal, boundless and somehow universal. The other aspect that interests me, and helps me to choose a young designer, is the ‘on demand’ approach, not the one-off, but the ability of the designer to personalize production. Federica Moretti, with her ‘hat design’, seems like a good example of the future development of these two aspects”. Giulio Iacchetti actually came up with two names: “It would be hard to exclude one of them… as a first reaction I’d say Francesco Faccin, a young designer whose work can essentially be summed up in two words: commitment and ethics. Then Giorgio Biscaro: I see affinities between my work and his... Little intelligent touches, suspended in objects that never shout”. Stefano Giovannoni picked Massimiliano Adami. “If I think of a designer of the new generation”, he said, “whose objects I recall due to their particular expressive force, it would have to be Massimiliano Adami and his ‘fossils’. I see a certain affinity between these works and the research conducted in my early career with Guido Venturini, during the King Kong period, when we made badges or tables in poured resin containing little objects of different kinds, toy soldiers, plastic animals, anything that fell into our clutches. Massimiliano Adami creates conceptual sections of this magma, inserting objects like mannequins, tanks, plastic containers, whose colored volumes hollow the polyurethane, creating three-dimensional works of great expressive impact. I think it is interesting that Adami, unlike other designers of his generation, avoids a direct approach to industrial projects, opting for the filter or preliminary research on his own identity and expressive language”. Aldo Cibic suggested Alessandro Mason. “He’s the son of a blacksmith, and proud of it”, Cibic pointed out, “and he continues the work of his father in a creative, poetic way, inventing and constructing, with his own hands, large and small works that function with water. At Domus Academy he has offered a workshop developing his research, and thanks to his courageous vitality his work group moved in a very positive direction. With us, he is working on the activation of a system of canals in a town near Milan, proposing ideas for water machines”. Alberto Meda, after lengthy reflection, indicated the duo Forma Fantasma (Andrea Trimarchi, born in 1983 in Bolzano, and Simone Farresin, born in Vicenza in 1980), who now work in Eindhoven. He thinks they are ‘archaic’ because they pay attention to rural civilization and crafts, but also stay in touch with the times. “They are the result of a contamination”, he said, “they have an identity connected to their origins, but they have been capable of adapting it to Dutch sensibilities. They way of relating to nature and needs is never based just on a formal suggestion… it is always the result of profound thinking”. In 1997 Achille Castiglioni was prophetic, when he indicated Konstantin Grcic as his heir. Let’s hope the other mentors we have interviewed are just as farsighted in 2011. Daniele Papuli was born in Maglie, Apulia, in 1971. After studying sculpture at the Brera Fine Arts Academy, he settled in Milan. Since 1995 paper has been the focus of his research. In 1997 he made his first paper sculpture, cutting the material by hand. In that same period Vanni Scheiwiller entrusted him with the extraordinary production of handmade sheets of paper. He works less like a designer and more like an explorer, shifting landscapes and ideas into a landscape he makes out of paper. Since 2002 he has shown works at Dilmos in Milan. In 2009 he designed and produced, for the Milan Triennale, the exhibit design for the exhibition “Gioielli di Carta”. In 2011, for the Flux Laboratory, a foundation of art and dance in Geneva, he has created four installations for dance performances. Also in 2011, he showed recent works in the solo show “Scultografie” at the Castello Aragonese in Ischia. www.danielepapuli.net - Caption pag. 57 Tre Turse sculpture group by Daniele Papuli. On the facing page, the Cartoframma installation by Daniele Papuli made for the exhibition Scultografie, Castello Aragonese of Ischia, 28 May-17 July 2011 (photo Salvatore Basile). Luca Nichetto, born in Venice in 1976, took a degree in industrial design from the IUAV in Venice, and began his professional activity in 1999 without any period of apprenticeship, designing his first products in Murano glass for Salviati. He began working with Foscarini as well, creating products and concentrating on research on new materials. In 2006 he founded his studio Nichetto&Partners. He now works with many companies, including Foscarini, Moroso, Kristalia, Salviati, Italesse, Emmegi, Casamania, Fratelli Guzzini, Offect, Established&Sons. He has received a number of honors, including the Elle Decoration Award 2009 (EDIDA) in the category Young Design Talent. www.lucanichetto.com - Caption pag. 59 Greenpads by Luca Nichetto

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for Offect, 2011. Vases in opaline glass, worked with the Venetian pearl technique, by Luca Nichetto for Venini, 2010. Tommaso Alessandrini, born in San Marino in 1983, took a degree in industrial design at the University of San Marino, where he participated in workshops with Giulio Iacchetti and Valerio Vinaccia. In 2009 he collaborated with Luca Gafforio in a workshop on two-wheeled vehicles. He founded in Fuoriluogo, the association of young designers of San Marino. He works with the lighting company Interlighting Agency. He has done the graphic design for the events organized by the local districts of San Marino. He collaborates in the educational activities of the Industrial Design 3 Workshop of Riccardo Blumer in the Industrial Design degree program of the Republic of San Marino. For more info: Facebook. - Caption pag. 59 Light Stick lamp, designed by Tommaso Alessandrini for his degree thesis in Industrial Design at the University of San Marino. Modular concrete bench, prototype by Tommaso Alessandrini. Federica Moretti, born in 1983, works as a fashion designer, collaborating with a range of brands including Borsalino, Giuliano Fujiwara, Mauro Grifoni, Moschino, Liu Jo, Normaluisa, Swarovski, Byblos, Vic Matié, Enrico Coveri, Alviero Martini. Her creations are worn by Lady Gaga, Rihanna and Eva Cavalli. She has participated in many design exhibitions in Italy and abroad, including The New Italian Design at the Milan Triennale, Milano Made in Design at the Today Art Museum of Beijing, and The New Italian Design in Istanbul. www.federicamorettihandamade.com - Caption pag. 60 Two-tone felt hat by Federica Moretti for Borsalino. Francesco Faccin, born in Milan in 1977, attended the European Design Institute and then went to work in the studio of Enzo Mari. At the same time, he has worked as an independent designer, developing self-produced projects, in close collaboration with craftsmen. He took part in Salone Satellite in 2007 and then in 2010, winning the Design Report Award. Since 2009 he has worked with Studio De Lucchi. Since 2010 he is a professor of design at NABA in Milan, teaching a course entitled “Projects not objects”. www.francescofaccin.it - Caption pag. 60 Photos and sketches of the project of the Centrino table, assembled by interlocking, without bolts or glue. The legs are in solid walnut and the top is in painted MDF. By Francesco Faccin, self-produced. The Stratos chair, made from a panel of beech plywood with a numerically controlled milling machine. Assembled by interlocking, with glue. Produced by Danese, 2011. Giorgio Biscaro, born in Vercelli in 1978, took a degree at the IUAV in Venice with a thesis on the use of LEDs. After graduating, he began to work with Foscarini. From 2004 to 2006 he was the art director of Disenia, the bath furnishings company. In 2007 he opened his own studio in Treviso and began to work with Slide and Bosa Ceramiche. In 2009 he showed work at the Salone Satellite in Milan. He was selected to represent Italy during the celebrations in Turin in 2011. Three of his projects were included, in 2007, in the exhibition The New Italian Design at the Milan Triennale. In 2011 he conducted a workshop at the IUAV in Venice, on design using glass and cork. www.giorgiobiscaro.com - Caption pag. 61 Below, the La Riviera chair by Giorgio Biscaro. Suitable for outdoor use, it has a metal structure and a seat composed of two cushions covered with the PVC fabric used for tanning cots. A prototype that will soon go into production. Below, the Offset stool by Giorgio Biscaro, made by assembling 12 ‘boomerangs’ made with bent plywood, onto which to attach the legs, also in plywood. Prototype, 2011. Massimiliano Adami was born in Monza in 1969. He studied at the Art Institute of Monza, specializing in Industrial Design, and then continued his studies in that field at the Milan Polytechnic. He has collaborated with a number of different professional studios. He showed work at the Salone Satellite in 2005, and collaborates with Cappellini and Meritalia. His main activity is the creation of limited editions in his workshop, with a strong focus on craftsmanship. His works have been shown at Moss in New York. In 2009 the Milan Triennale held a solo show of his work in the context of the Creative Set project. www.massimiliano.it - Caption pag. 62 Fossile Moderno cabinet created by Massimiliano Adami by slicing blocks of polyurethane in which everyday objects have been embedded. Self-produced limited edition. Alessandro Mason, born in Treviso in 1983, began his research on crafts, which he continues today in his workshop in Treviso, while he was still an architecture student. In 2003 he made his first machines with pneumatic, electrical and mechanical movements. Experiences in the field of art have led him to explore the theme of mechanisms and movements in a poetic way, with fragile, light works inserted in nature like living beings. www.gisto.org, www.silenzioa8voci.altervista.org - Caption pag. 62 Sonata per cremagliera, a sound machine/sculpture fastened in the water at the middle of a river. It is activated by a rudder that senses surface movements. A crafted creation by Alessandro Mason. Studio Forma Fantasma (Andrea Trimarchi, Bolzano, 1983, and Simone Farresin, Malo, Vicenza, 1980). The two graduated from Design Academy Eindhoven in 2009, with a project on traditional Sicilian crafts. They live and work in Eindhoven, where they continue to investigate the role of design in folk art and the relationships between traditions and local culture, focusing on the value of objects as cultural vectors. Their works have been shown in Milan during the Salone del Mobile in 2010 and 2011, at the Dutch Design Week, at ICFF in New York, and Design Miami/Basel. In 2011 they were selected by Alice Rawsthorn, design critic of the Herald Tribune, and by MoMA design curator Paola Antonelli as the most promising young design studio. www.formafantasma.com - Caption pag. 63 Details of the Aquila carpet, created by Forma Fantasma for Nodus, 2011.

companies on stage p. 64 edited by Antonella Boisi Factories, showrooms, in-house creative centers: the places of everyday operation of design Made in Italy have a story to tell. Not only about the specific path of a

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brand (often evolving in the wake of a proud tradition of crafts), but also a personal way of interpreting the evolution of the Italian way of life in the world, bearing witness to a time of life that coincides with a time of design that has increasingly international horizons, projected toward a dimension of creative junction. Architects have imagined these facilities to effectively communicate the identity and goals of companies. Entrepreneurs have grasped the potential to for a coherent approach to the new market challenges of the near future.

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photos Beppe Raso

Location: Giussano, Italy Year of foundation of company: 1880, when Matteo Grassi opened a saddlery which, thanks to know-how in the working of leather, soon also made a name for itself in the furnishings sector. Product types: furniture and accessories for home and office International designers who have worked with the brand: Piero Lissoni, Rodolfo Dordoni, Franco Poli, Jean Nouvel, Matteo Nunziati, Stefano Grassi, Eoos, Gordon Guillaumier, Alessandro Mendini, Tito Agnoli, Carlo Bartoli. Size of new facility: 13,900 m2, on an area of 20,000 m2 Construction period: 2008-2010 Functions: production plants, warehouses, offices Design team: Lissoni Associati Designer: Piero Lissoni with Paolo Volpato; Samuel Lorenzi, Carlo Vedovello (architects), Hitoshi Makino (interior design); Alberto Massi Mauri and Alessandro Massi Mauri (3D visuals); Gianni Fiore (models). The narration of Massimo Grassi, President and Managing Director of the company “The new headquarters is based on the functional-organization need of the firm to combine its four divisions in a single building, together with production plants and offices. This led to the choice of representing who we are today with a work of architecture that narrates our path of research and our corporate DNA. The project was assigned to Piero Lissoni, with whom we have been working for 23 years, at this point: an established relationship of elective affinities and tastes, a fertile dialogue. Together we have developed the concept of a place that can offer benefits, also in terms of environmental wellbeing. The ecosustainability of the building can be seen in the solution used for the external facing, composed of a ‘skin’ with three layers: an outer panel in transparent honeycomb polycarbonate, a middle panel in Okalux, and an internal panel in the same polycarbonate. This cladding offers excellent results for air circulation, control of light and comfort. The lighting, thanks to the particular qualities of the Okalux panels, is uniformly distributed in all the work areas, and makes it possible to use artificial light sources no more than two hours a day in the most critical period of the year, the winter. This leads to significant energy savings, combined with the creation of a photovoltaic system of about 350 kW, making the new facility completely self-sufficient: we consume what we produce. Zero-impact architecture. The project has been carefully planned to create a pleasant, comfortable working environment. The climate control system can be independently regulated in the office zone, while the production zones have floor-based teleheating. The cafeteria, in visual contact with the production plants, indicates an attitude of dialogue and collective use of facilities. Finally, the new headquarters corresponds perfectly to everything our company represents, and the history of 130 years of activity. There is a line of continuity between those who experience the place from the inside and the products that emerge from it”. The concept of the project, in the words of Piero Lissoni “The inspiration is the image of a lamp that lights up the darkness of the night. This image suggested a construction with a dual identity: in the daytime it is a light, opaque structure that glows with the sunlight, while at night the container radiates light from inside. The volumes, made entirely with a metal structure, due to the sizeable overhangs, rest on slender columns and contain the spaces of very bright offices. The cladding on all the visible sides of the overhanging volumes is a sandwich with three layers, in translucent honeycomb polycarbonate. The concept, with a longitudinal footprint, has no transparency on this side, even denying an indoor-outdoor visual connection. All the short sides of the various volumes, on the other hand, are treated with large transparent windows. When it is dark outside and the building is lit up, the steel structure becomes visible behind the polycarbonate, emphasizing the rugged industrial character of the rest of the construction. The refined lighting effects are underscored by the contrast with the perimeter walls of the main building, in untreated concrete”. - Caption pag. 65 Nocturnal view of the complex and its overhanging volumes resting on slender metal columns. The image is that of a lantern that spreads light from inside, through a skin of three layers made with translucent honeycomb polycarbonate. - Caption pag. 66 Above, the entrance-reception area. Top and facing page: the internal connection volume. The essential yet glamorous atmosphere of the spaces is reinforced by the contrast between the walls in untreated concrete and the floors covered with an ice-colored resin produced by Kerakoll. The rugged industrial character of the construction is underscored by the lighting effects. - Caption pag. 68 Above, the cafeteria space that communicates in visual terms with the production facilities, in search of a dimension of physical and mental openness. Detail of a room for meetings, with essential partitions for subdivision into independent zones. Caption pag. 69 Above, an abstract image, a combination of geometries, materials and colors, conveys the sensation of the architecture and its linguistic approach. Below, an office designed as a very luminous open space, with a particular focus on creating a pleasant, comfortable atmosphere with the furnishings.

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2./ glas italia headquarter

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photos Cesare Chimenti

Location: Macherio, Italia Year of founding of the company: 1970 Product types: furniture and complements in glass for home, office and contract International designers who have worked with the brand: Michele De Lucchi, Naoto Fukasawa, Johanna Grawunder, Piero Lissoni, Shiro Kuramata, Jean-Marie Massaud, Alessandro Mendini, Jasper Morrison, Philippe Nigro, Patrick Norguet, Claudio Silvestrin, Ettore Sottsass, Patricia Urquiola, Nanda Vigo. Size of the new facility: 10,700 m2 Construction period: 2005-2010 Functions: production plants, warehouses, offices, showroom, cafeteria Design team: Lissoni Associati Designers: Piero Lissoni with Paolo Volpato and Luca Veltri; Stefano Giussani, Andrea Piazzalunga, Mattia Susani, Ettore Vincentelli (architects), Stefania Crippa and Hitoshi Makino (interior design); Alberto Massi Mauri and Alessandro Massi Mauri (3D visuals); Gianni Fiore (models). The remarks of Lorenzo Arosio, General Director of Glas Italia “First of all, I wanted our headquarters to explain who we are and what we offer, our relationship with the world of glass, and the way we interpret this material; I wanted it to be a manifesto of our desire not to alter the material’s intrinsic characteristics, and to pursue formal and substantial quality in our production. I think a headquarters can very effectively communicate the identity and objectives of a company. From this viewpoint, our understanding with the designer was perfect. Our project for the future is to consolidate our position as glass specialists, open to exploration of the many fascinating possibilities of this extraordinary material”. The concept of the project in the words of Piero Lissoni “The new production center of the Industrie Vetrarie Emar-Glas is the result of the expansion of the old facility located in Macherio, in the province of Monza and Brianza. The building stands out for its external skin that partially covers the existing edifice, while extending and including the entire perimeter of the new complex. The external cladding has been made with a random mixture of vertical panes of U-glas of three different widths. The final effect is that of a large translucent box that achieves its maximum effect at night, when it is completely lit up. The box is interrupted, on the north side, by a volume made with sanded slabs of reinforced concrete, a precise tribute to Carlo Scarpa. The cubical structure contains the office for incoming shipments on the ground level, and a spectacular meeting room on the upper level. Besides this volume, other elements break up the irregular sequence of the U-glas panes: long, narrow openings in black sheet metal conceal the glass frames, to guarantee correct ventilation of the interiors. A walkway in slabs of sanded concrete of different sizes leads to the reception area, crossing an evergreen ornamental garden with a tall tree at its center. The reception area, with a height of about 9 meters, faces the garden through a large glazing. Almost at the center of the reception area, the large staircase-sculpture, in steel and self-supporting glass, leads to the upper level that contains the offices, meeting rooms, showroom and cafeteria. The glass partitions between the spaces that face the gardens/cavedium, from which they get natural light and air, create an airy atmosphere and emphasize the elegance of the building”. - Caption pag. 70 View from the upper level of the space of the entrance, with the reception area and lobby, which face the garden through a full-height glazing (about 9 meters). Facing page, view of the external architecture of the building, at night. The narrow openings in black sheet metal conceal glass frames. - Caption pag. 72 The sculptural staircase in steel and self-supporting glass that leads from the reception area to the upper level, containing offices, meeting rooms, the showroom and the cafeteria. - Caption pag. 73 Two zones of the showroom space and, below, the passage toward the offices. All the furnishings are part of the Glas Italia collection, with the exception of the technical furnishings of the offices and the custom pieces by Lissoni Associati. The floors are in resin produced by Kerakoll in soft colors.

3./ Bonaldo showroom

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photos Paolo Golumelli

Location: Borgoricco, Padua Year of founding of the company: 1936. Giovanni Vittorio Bonaldo created a crafts firm specializing in metal furnishings. Gruppo Bonaldo was formed in 1981. Product types: sofas, beds, seating, tables, furnishing complements International designers who have worked with the brand: Ron Arad, Mauro Lipparini, Bartoli Design, D’Urbino & Lomazzi, Massimo Iosa Ghini, Toshiyuki Kita, Ilaria Marelli, Mario Mazzer, Luca Nichetto, Karim Rashid, Denis Santachiara, Giuseppe Viganò Size of the new corporate showroom: 6000 m2 Construction period: 26 months (2009-2011) Functions: showroom, corporate museum, thematic workshops Designer: Mauro Lipparini The remarks of Albino Bonaldo (President) and Sabrina Bonaldo (Marketing Director) “I’m not interested in talking about and remembering the past. I like to concentrate on the future. I still want to do things, to invent, to meet new challenges every morning. Just as it was in 1981, when I began artisan production of beds, mattresses and springs, and later home accessories, optimizing what my father began in 1936. Today I’ve been joined by my children, Sabrina and Alberto, who have all the energy and know-how to continue the path of our company, in a narrative context that embraces the history

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of Italian design and the evolution of lifestyle over the last decades. This showroom has also been conceived to set up workshops of ideas, because our company has become a microcosm that sums up different cultures, through collaboration with designers from all over the world”. Sabrina Bonaldo, Marketing Director of the company, adds: “We call it a showroom, but only because there isn’t a better term, something to convey the idea of a gathering place, a door open to ideas, to sharing, to communication through artistic installations, design, architecture, technology. In a context of transverse linguistic research”. The concept of the project in the words of Mauro Lipparini “A luminous die set into a pyramid volume: that is how I imagined the space, when Sabrina and Alberto Bonaldo told me about the idea of transforming a historic part of the company, the production unit built in the 1970s for upholstered furniture, known as Styling, into a place-symbol in which past, present and a future rich in stimuli could all coexist. Then came the choices: the building has been made completely in glass brick, with 7911 profiled pieces in large, thick blocks. Each piece has a mirror finish on the inside to capture light, so the entire facade generates irregular reflections, creating a front of luminous waves. The path to the entrance conveys an idea of the open character of the space, as 30 stepping stones, from the Chinese regions of Jiangxi and Fujian, are arranged in a reinterpretation of the oriental garden. The large glass door leads to the first reception area. The building is divided into two main areas: a central white wall is the sole diaphragm inside the continuous, open space. The facility can host all kinds of events, and is virtually bordered by sixteen white suspended ceilings that indicate the various episodes without forming restrictions. Two green areas capture attention: evocative full-height winter gardens with plants and trees that can adapt to the particular climate conditions of the greenhouses, in which a small polycarbonate dome supplies micro-ventilation. An illuminated staircase, an architectural element with a catalyzing graphic sign, leads to the upper level where there are offices, large meeting rooms and the corporate museum, with the presses, machinery and photographs of the company’s history”. - Caption pag. 74 Nocturnal view of the building from the 1970s, with a typical low, longitudinal form, restructured by grafting on a new enclosure clad in large, thick custom-made glass blocks. The overall architectural image is like a “die set into a pyramid volume composed only of lawn”. In the foreground, the path with 30 stepping stones of Chinese origin, leading to the entrance. Facing page: one of the two internal greenhouses, closed by a small dome in polycarbonate that guarantees perfect micro-ventilation for the plants and trees, like a winter garden. - Caption pag. 76 The staircase along the perimeter, next to the winter gardens, leading to the first floor. In the other images, two areas of the showroom, conceived as a continuous, fluid stage that can host all kinds of events. On both levels, the walls clad in batch-colored MDF, glued to the surface, provide an element of continuity. - Caption pag. 77 The large space on the upper level for meetings is bordered, at the back, by a divider in screen-printed, back-lit glass. Beyond it, the Bonaldo corporate museum.

4./ Magis headquarter

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photos Tom Vack

Facility: Torre di Mosto (Venice) Year of founding of the company: 1976 Product types: design furnishing complements (chairs, tables, bookcases, accessories plus a line of furniture and objects for children ages 2 to 6, the Me Too Collection) International designers who work with the brand: Stefano Giovannoni, Jasper Morrison, Marcel Wanders, Marc Newson, Konstantin Grcic, Ron Arad, Ronan&Erwan Bouroullec, Jerszy Seymour, Naoto Fukasawa, Thomas Heatherwick, Philippe Starck, Zaha Hadid, Alessandro Mendini and many others. Size of the new facility: 15,000 m2 (warehouse, logistics center, assembly) + 3500 m2 (offices, showroom) Construction period: September 2005–November 2006 (warehouse, logistics center, assembly); November 2008–December 2009 (offices, showroom) Functions: production plants, warehouses, offices, showroom Designer: Magis design team in collaboration with Arch. Marc Berthier; Eng. Marco Dalla Torre (warehouse, logistics center, assembly); Geom. Franco Zulian (offices, showroom The new company headquarters at Torre di Mosto, based on an in-house project that aims to achieve quality that is not ostentatious, using a prefabrication system combined with extreme attention to detail. The result: a welcoming, stimulating workplace that thrives on light, transparency and greenery. Almost Zen. The concept of the project in the words of Alberto Perazza, export manager and partner of Magis. “I personally supervised the entire design of the new headquarters, an in-house project. Only the image of the showroom and the entrance comes from an idea developed with the French architect-designer Marc Berthier, with whom we have worked for many years. Magis was founded in 1976 at Motta di Livenza, by my father Eugenio. The need for a larger, more functional space, more in line with the company’s status today, brought us to Torre di Mosto: here, in January 2007, we initially moved the warehouse, logistics center, and assembly facility; then, in January 2010, we also moved the offices and the showroom. We have an area of 100,000 m2; the warehouse and logistics center occupy 15,000, the offices and showroom, in a separate construction, have an indoor area of 3500 m2. The connection between the two buildings is a glass tunnel, for easy access. The plan of the new building is square: a box of 70 x 70 m. It has an internal ‘cloister’ conceived as a green oasis,

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with plants, hedges, lights, orthogonal paths and walkways in wood or concrete. All the spaces face this garden thanks to large glazings on all four sides. Every office has a door to reach the internal courtyard, where it is also possible to work, since the structure has complete wireless coverage. Greenery was also a very important part of the project concept. We are in the country, but in an industrial zone near a residential settlement. We wanted to conserve the greenery and to make it available to all, in an situation of continuity with the outside world. The building for the offices and showroom is prefabricated. We decided this solution was suitable not only for our functional needs, but also for the image of our products. Light was another important parameter in the concept, a real plus for environmental quality. Cut into the prestressed reinforced concrete roof, a series of skylights bring natural overhead light into the workspaces, which have an essential, stimulating atmosphere: concrete floors, transparent glass partitions. The main streetfront also has a continuous ribbon window, at human height. One catalyst sign on this side, with a skin of prefab concrete panels, is the entrance: a monolithic figure in reinforced concrete, surrounded by a metal structure that functions as a sunscreen, leading on the right to the offices, on the left to the showroom, library and meeting rooms. We have selected the finishes and materials with great care, convinced that the details make all the difference. In the end, everything tries to communicate an atmosphere of calm and comfort, without shouting or spectacle: in tune with the culture of our products, with an eye on avant-garde technologies and research on materials. Yesterday we tried to fill, with a series of quality pieces, the gap that existed in the children’s sector; today, after having updated and implemented accessories and complements with a larger family of products, aimed at the contract market and different zones of taste, we are investing in ecocompatible products. The next step at the headquarters, in fact, will be the installation of a solar power system. We presently have a liquid-based conditioning/heating system that saves about 30% in terms of energy with respect to a traditional methane gas system. The facility also has good thermal insulation and optimized orientation of the glass portions”. - Caption pag. 79 Detail of the front facing the street, clad in prefabricated concrete panels, lightened and marked by a continuous ribbon window at human height. Center, the monolithic entrance gate in reinforced concrete leading, on the right, to the offices, and to the showroom, library and meeting rooms on the left. The entrance-reception area underscores the austere, essential atmosphere of the workspaces. On the facing page, nocturnal view of the building seen from the internal garden-cloister, with orthogonal paths and walkways in wood or concrete. Internal lighting of the offices is done with products by Flos. Outdoor lighting with products by Simes. - Caption pag. 80 Above, overall view of the showroom, designed as a unified, continuous space that ideally extends, thanks to the full-height glazing, into the garden outside. To the side, the space set aside for the library and also organized to contain the historical archives of the company.

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t otal Metal p. 82 by Katrin Cosseta photos and image processing Gianni and Enrico Ummarino Raw sheet metal, rusted iron, etched brass, mirror-finish steel, the warm glow of copper. Design transposes furniture using all the expressive possibilities of metal, going beyond the traditional identification of the material with the industrial aesthetic. - Caption pag. 82 Jaipur Garden by Paolo Giordano for I+I, table composed of two aluminium sections that interlock to permit personalizing of profiles and heights. Caption pag. 83 Z-Chair by Zaha Hadid for Sawaya&Moroni, a sculptural seat that changes form according to the vantage point, made in shiny steel. Limited edition of 24 pieces. - Caption pag. 84 XT by Stefano Grassi for Matteograssi, square or rectangular table with painted or burnished structure in steel tubing, combined with tops in metal, marble or glass. Arabesque by Alberto Basaglia and Natalia Rota Nodari for YDF, table component system with base in natural wax finished or painted metal, top in rolled steel with natural finish, or glass.Filo by David Lopez Quincoces for Lema, table with slender legs in sheet metal, welded to a frame in the same material that contains a top in sheet metal or marble. - Caption pag. 85 Celato, designed and produced by De Castelli, cabinet in birch with staggered press-open drawers. Structure in wood clad in magistral copper, etched iron, etched brass and all the metals of the collection. Origami by Chuck Chewning for Donghia, brass table with polished inner finish, brushed on the outside. - Caption pag. 86 Mumbai by Paola Navone for Baxter, tables with cast aluminium structure, painted matte black, with mirror-finish top. Tambour by Ronan&Erwan Bouroullec for Magis, collection of tables in cast aluminium with one or two tops, available with or without wheels. - Caption pag. 87 Entre-Deux by Konstantin Grcic for Azucena, screenmobile architecture composed of two wings in anodized aluminium, in the shades night blue, bronze or black aluminium, hinged at the center. Two openings function as handles for easy movement. Soori by Soo Chan for Poliform, table in metal with texturized top, available in antique bronze or burnished steel finish. - Caption pag. 88 Table from the Stars collection by Bartoli Design for Laurameroni, with top in wood clad in steel sheet with burnished copper finish, also available in other metal finishes like polished steel, natural copper, brass. Bookcase by Ferruccio Laviani for KME, made with interlocking of structural copper square-section uprights and slender shelves in copper with a classic finish. Prototype. - Caption pag. 89 Aurora by Castello Lagravinese for Cantori, chair in metal with brass and copper finish, padded polyurethane seat covered with leather or fabric.

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InternI settembre 2011

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Present & Future Ital Ian Factory

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by Rosa Tessa

Territorial presence. Global branding. Direct monobrand outlets. Made in Italy. Synergies. Communicating with art... words, facts, projects and viewpoints of Italian business people and managers. The Wikipedia of design, to meet new international challenges. “Good morning America” Laura Anzani, director of Poliform USA For Laura Anzani, America represents a dual challenge: personal and professional. Three years ago she left Brianza and moved to New York, where she concentrates on the development of Poliform USA. She is 31, part of the second generation of one of the two families at the Poliform helm. The NY showroom of the company is an ideal observation point to get a better grasp of a difficult, contradictory market. “Though this is one of the most traditional countries for consumption of many Italian products, from food to fashion, it is still a tough market for design. We’ve been working here for many years, but we realize there is still a lot of mistrust and ignorance on the part of consumers with respect to Italian furniture brands”. America is big, but as a whole the market is very conservative, and while New York stays ahead of the pack in terms of knowledge and understanding of Italian design, other cities lag far behind, like Chicago, for example, “where in spite of the fact that Poliform has been on the market for 12 years”, Anzani explains, “the business is still in an embryonic phase”. In America it is fundamental, more than in any other part of the world, to have close relationships with architects and interior decorators. “Here word of mouth is the most effective tool”, Anzani says. “Americans who don’t have much design culture only trust interior decorators, who order custom pieces from local carpenters. The job is to make them understand the added value of an industrial product like ours. After all”, she adds, “the American market is also an opportunity, in spite of the ongoing crisis. First of all because it is an important international showcase, especially in the cities where we have fully owned stores: New York, Los Angeles, Miami and Chicago. Second, because it is still a virgin market”. Only ‘global brands’ can meet the Chinese challenge Rossella Bisazza, communications director of Bisazza “The Italian market is getting tighter, so Italian companies have to make their brands become ‘global’”. Rossella Bisazza explains her take on the situation: “Italian family companies in the field of design have to make a leap forward onto international markets”. But how? “Promoting their brands in other countries, especially in Asia”. Bisazza, in fact, is wagering on China for future growth, with 17 monobrand outlets opened by local partners, and plans for two directly owned showrooms in Shanghai and Beijing. “The challenge in China” Bisazza continues “is to position a trademark in the category of design and luxury. Good results can be achieved, entering into direct contact with clients, through intense public relations activities, investing in personnel, participating at special events connected with luxury. The Chinese are eager to buy products made by companies with a recognized history and a record of expertise”. Local partnerships are also important. In the Middle East Bisazza has opened a monobrand store in Qatar, and they are now in the scouting phase for a planned opening on the Russian market. In the meantime, the company is completing a ‘glamour’ project in London: the swimming pool and spa of the Bulgari Hotel, due to open in 2012, for the Olympic Games. Countries must be conquered on a local basis Lauro Buoro, president of Nice, the group that includes FontanaArte “A company becomes international when it is a direct presence, with men and structures, in territories and markets. This is the challenge for the next few years”. Few words but clear ones, spoken by Lauro Buoro, president of the Italian group Nice, which since December has acquired a 60% share of FontanaArte. The corporation based in Oderzo, in the province of Treviso, makes wireless automation systems to move blinds, screens and other things inside buildings and homes. Having acquired FontanaArte, a historic name in Italian design, the company has gotten to work on the international front, opening a branch in France and organizing a program of international expansion. “The logistical platform of Nice will help FontanaArte to be faster, and closer to the client”, Buoro says. Another move towards internationalization for the management of FontanaArte involves contact with new international designers. “Until now the brand has had a very domestic profile in its products, created by great designers, but all of them Italian”, Buoro says. “The challenge, from now on, is to work with foreign architects and designers, to give the products a more international character”. Like the lamp presented at the last Euroluce, designed by Shigeru Ban, the famous Japanese architect, which has helped the company to approach the Japanese market. London wakes up Giorgio Busnelli, president of B&B Italia Those born with a taste for exportation are accustomed to thinking of the whole world as a horizon of reference. For B&B Italia the international challenge began over forty years ago, Giorgio Busnelli explains: “Our company, since its birth in 1966, has always had the objective of conquering foreign markets, and for about eight years now 81% of our production has gone to foreign countries”. The tool for gaining export ground is undoubtedly the monobrand showroom: growth in foreign markets is driven by retail. The Busnelli family continues to invest in this aspect, opening a total of 18 flagship stores, seven of which are directly owned and managed. “Over the years we have updated our way of presenting our wares to consumers”, Busnelli reports. “We have worked on the display space of stores and on services, providing consulting on interior decorating, for example”. The growth of the group has been accompanied by the opening of flagship stores in the most important international cities. The first was in London, in 2001. And London, at the moment, is precisely the city – thanks to the 2012 Olympics – that is the

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focal point of the efforts of many Italian design firms, including B&B Italia, which is preparing areas in three prestigious hotels that will open in April 2012: the Cafè Royal Hotel by David Chipperfield, the Me London Hotel by Foster & Partners and some areas of the Bulgari Knightsbridge designed by Antonio Citterio Patricia Viel and Partners. The most important market is still the American market: “We are negotiating to open monobrand stores and shop-in-shop displays”, Busnelli adds, confirming a rebound for the US market. “If things continue in this direction”, he explains, “in 2011 we will reach our highest sales level ever in the US, matching the results of 2007. The market of private clients is restabilizing, and luckily we have never stopped investing”. New markets, group synergies Emanuel Colombini, CEO of Rossana Approaching international markets gets less complicated if you solidity. Rossana, the high-end kitchen producer that was acquired a couple of years ago by the Colombini group, is about to tackle the Chinese market, and knows it has something of an advantage: the presence in China, for five years now, of a headquarters of the Colombini group. “Affluent Chinese consumers are interested in Italian high-end brands that produce design kitchens, luxurious models of great image impact”, says Emanuel Colombini. “In this sense, they are similar to the Russians. As a result, not very many kitchens are sold in China, but they have high price tags”. Rossana will set foot in China in September with a store in Shanghai, opened by a local partner. To attract new consumers an extraluxury kitchen model has been created in burnished brass, especially for the Chinese and Russian markets. Rossana, with annual sales of about 3.5 million euros, is still in a phase of construction of foreign markets, and at present the export volume is marginal. “Our goal”, Colombini explains, “is to great monobrand flagship stores through alliances with local partners in the major European capitals”. Short-term programs include a store in Paris and a shop-in-shop in Moscow. All by the end of the year. Monobrand, fighting machines to conquer foreign markets Roberto Gavazzi, CEO of Boffi Monobrand outlets have to become true ‘war machines’ for companies, to drive their trademarks and maintain presence on markets. This is the challenge in which the most highly structured Italian design companies will look for success on foreign markets over the next few years. Roberto Gavazzi, CEO of Boffi, a company with an international network of 23 directly managed monobrand stores and 41 franchise stores is convinced, so the energies and investments of the group focus on just this front. “On the one hand we are improving the existing retail network, as in London”, the manager narrates, “while on the other we are continuing our strategy of creating a strong point of sale in every important market”. He goes on to say that the “shops become increasingly sophisticated because the product – kitchens, baths, wardrobes, in our case – has become more complex, as customers become more demanding”. Gavazzi explains: “The stores require highly trained management, to build strong relationships with local architects and the press, to run the stores like small companies”. Strategies Boffi pursues both in established markets and new areas, first of all China, where the firm has opened a store in Shanghai, and is planning a new opening in Guangzhou by the end of October, in collaboration with local partners. Alliances between companies can also make it easier to approach international markets, like the recent agreement between Boffi and Fantini Rubinetterie. Art and design to communicate brands abroad Alberto Gortani, general director of Moroso “How do you win over Chinese consumers? By narrating the Italian culture of living, explaining that not only classic furniture represents luxury, but also new design”. For Alberto Gortani, general director of Moroso, the main challenge for Italian companies over the next few years is how to communicate brands on foreign markets like that of China. “In China we cannot work on price competition, so we have to focus on the trademark, communicating with the Italian strong suits of culture and art”. In fact, the communications of Moroso, in recent years, have all focused on the world of art. One year ago the company created a prize for young contemporary artists; the awards ceremony for 2011 will take place in October. Gortani offers a preview: “Next year we will celebrate our 60th anniversary with a series of initiatives in the world of art, with the aim of connecting Orient and Occident. The idea is not to communicate what we have done in the last 60 years, but what we will be doing over the upcoming decades”. In the meantime, the efforts of Moroso today focus on improvement of their Asian affiliate in Singapore, the platform for the Far East; a new monobrand store will be opened there at the end of August. “China is not for everyone” Massimiliano Guzzini, chairman of iGuzzini Lighting China The company iGuzzini is larger than the average manufacturers on the Italian furnishings scene. But in architectural lighting, its core business, the firm shares the same design quality with smaller companies, which has been a boon in combatting the crisis of the last few years. “The recession”, says Massimiliano Guzzini, chairman of iGuzzini Lighting China, “has above all hit the real estate market, and companies like us connected with the construction sector. But through a mixture of design, technology and innovation, we have kept pace with the Germans, our direct competitors on international markets”. Guzzini continues: “our strength has always been to associate our products with major names, like Renzo Piano or Norman Foster”. In short, design makes the difference for Italian companies abroad. Foreign markets are the main objective of the growth strategy of iGuzzini, through the creation of local affiliates. For five years now, Massimiliano Guzzini has been living with his family in Shanghai, to keep a personal eye on developments in China. With sales of 176 million euros, of which 70% abroad, internationalization has been the key to surviving the economic crisis for this company. “We have continued to make foreign investments”, Guzzini says. “We are the only medium-high company in the architectural lighting sector to have made direct investments in China to serve the local market, and this has led to the creation of

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a productive platform – with offices in Beijing, Shanghai, Hong Kong and Singapore – for development in the Asian markets”. “China is not for everyone”, he points out. “It is a competitive market and you cannot think you will be successful just by opening a sales office. You have to be there, in person. Credibility is created over time”. And iGuzzini must have created it, because it has just won a contract for the project of the National Museum in Beijing. The firm is also collaborating with Tongji University to spread the word in China about the Italian culture of light. Trademark, retail and control of the territory Claudio Luti, president of Kartell It almost went without saying that we would ask Claudio Luti, president of Kartell, about new international challenges for Italian design. He is a true expert on retailing, who used to work for Versace, during the days of Gianni, where he focused precisely on stores. And he is a businessman who since the start of his work at Kartell has emphasized trademark and retail, as in the fashion industry. “If it used to be sufficient to make products and then wait for someone to buy them, today retail marketing and control of the territory have become indispensable”. In short: brand recognition is fundamental, and retailing is the way to do it. These are the foundations of the growth of Kartell, working in 100 countries with 320 stores and 400 corners. The outlets are almost all based on franchising, with the exception of four directly managed stores in America and eight in Europe. But in spite of these numbers, Luti has one regret: “Looking at the past”, he confesses, “I think we did not invest enough energy and money in control of the territory”. He’s talking about the Far East: “In Asia”, he says, “we are not a big force, and in China we have only three monobrand partnership stores”. He continues: “Control of the territory is important in a period of transition like this one. In fact, we have been less impacted by the crisis in countries where we have good distribution and direct control of the stores”. Future projects? “I would like to open directly managed stores in Rome and London”. Anchored to Made in Italy Mauro Marelli, export and marketing manager of Lema “The process of internationalization is necessary, but there will be some casualties along the way”. Mauro Marelli doesn’t mince words. The long march into distant markets will be survived by companies that can bear the burden in terms of organization and investment. Firms that are too small to do that will fall by the wayside. This sounds like natural selection. But the challenge, according to Marelli, has to do with another question: “These are crucial years for Italian furnishings”, he comments. “During the inevitable process of internationalization of the years to come, fewer companies will survive, and probably only the larger ones. But the real, major objective for these companies will be to continue to maintain an Italian identity. This is the most worrying aspect”. He goes on: “On an institutional level nothing is being done, and companies are traditionally in disagreement with one another. The risk is that we might lose the extraordinary advantage of ‘Made in Italy’, that has made it relatively easy for us to make forays abroad over the last twenty years”. Lema has taken its Italian character on a world tour, and was recently on hand in New York, creating part of the furnishings for the New York Times. In China, with the support of our country’s system Massimiliano Messina, president of Flou “Trade fairs are still a tool that should not be underestimated through which to enter foreign markets, especially for small-medium companies”, says Massimiliano Messina. He narrates the experience of Flou, when years ago the company took its first steps on the Russian market that is now one of its most important export channels, accounting for 20% of total sales. “We are still concentrating most of our effort on Russia”, Massimiliano Messina explains. “It is a country with historic ties to Italy. We have had very good commercial results there in recent years, and it is still functioning well”. The firm is also keeping an eye on China, though: “The rebound will be guided by the Asian markets: China, Korea and India”, Messina continues. “In theory our sales should be 80% in China. But we are still at the beginning, especially due to the difficulty in finding valid local partners”. The short-term goal: to open three new outlets as partnerships. “It is important”, Messina insists, “for our country’s system to get moving, as already happened in Moscow, for example, organizing a fair with the support and organization of the Salone del Mobile and the partnership of local business. This would be very useful for many Italian design companies, especially the smaller ones that have only this option for operation abroad”. A value to defend Roberto and Renato Minotti, owners of Minotti Made in Italy is not just a slogan. Now more than ever, it pays to have a product that is 100% designed and produced in Italy. Roberto Minotti and his brother Renato, at the helm of their family company, are convinced. “Our company is very Italian”, they say, “from the creativity to the production. For us it is fundamental that all our manufacturing should take place in Italy. That guarantees total control of the production process, skilled craftsmen, the capacity to work with materials”. “It takes effort to be 100% Made in Italy”, the brothers continue. “You have to fight about prices and labor costs, but we still believe in this approach. Our product target is medium-high. If you protect Made in Italy and keep the level of quality high, costs will inevitably rise, but the product also becomes reliable, of high quality, durable and ecological”. The Minotti brothers know what they are talking about; in fact, 80% of the company’s sales happen in 60 foreign countries. “The sector is going through a particularly complex moment”, the two entrepreneurs say. “There are companies that find themselves in real trouble and others that are apparently still operating well. But they all have to work very seriously, constantly, with energy. And they have to get rid of managers who only look at the sales numbers”. The American rebound Carlo Molteni, president and CEO of Molteni&C and Dada

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“We are operating on all international fronts”, says Carlo Molteni, specifying that the latest initiative of this kind has to do with the recent opening of a technical and commercial office in Hong Kong, as a strategic base for the Far East. The checkerboard of foreign markets, where the company exports 70% of its 217 million euros of sales, is completely open. “Together with the focus on the Far East, we are moving forward with our usual policy of opening monobrand outlets, with a particular accent on the United States”, Molteni explains, “where we are already operating with a monobrand store in Miami and a directly managed store in New York. Soon we will also be opening in Los Angeles. We also cover Canada, with Vancouver and Toronto”. In the first part of this year, initial signals of a rebound came precisely from the States, bringing a bit of oxygen to those who sell Italian furniture on that market. Molteni&C., in particular, has resumed work on two projects that had been ‘on hold’, for the furnishing of offices and apartments in New York and Washington. Interest in Italian design is found above all in North America: “We are constructing a building in Toronto”, Molteni says, “that will be completed in 2012, to host our new Canadian showroom”. The American market is still a very difficult challenge for Made in Italy, which in spite of its presence here for many years still has to work hard to establish and consolidate brand positions. Goodbye Italy Dario Rinero, CEO of Poltrona Frau Group Italy consumers fewer design products and high-end furnishings today. A fate shared by the rest of the occidental market, which becomes less and less appealing for high-end brands, which have to venture into the Far East, the Middle East and South America. “On the international scene there is no drop in demand for high-end furnishings, but it has shifted, in part, away from western markets to countries that are approaching wealth for the first time: China, Korea, Hong Kong, Taiwan, Singapore, the Philippines, Brazil, Chile, Bolivia and the Middle East”. This is the comment of Dario Rinero, CEO of Poltrona Frau Group. He thinks the big challenge for high-end Italian design makers is to keep their position on slowly growing markets while managing to capture the demand of emerging nations. This is easier said than done. “Italian companies of small-medium size, if they export, do it in nearby countries, and they have structural problems in moving investments”, Rinero explains. “Being small”, he goes on, “means not having the muscle to meet up with distant demand, or to implement local organizations, invest in brands, develop strategic partnerships. If you don’t have the right business size, you can’t grow”. In short, there are only about ten Italian furniture manufacturers capable of successfully approaching faraway markets. “What we are seeing today is the geographical reorganization of demand, which will lead to the exclusion of 2025% of companies”, Rinero explains. “At Poltrona Frau Group we are looking closely at South America and we are working on a distribution platform in Asia. Shifting the commercial center of gravity means moving the heart of the company closer to the market”. In fact, the Car Interior division has opened a production plant in the United States to supply Chrysler. “It is the first time”, Rinero says, “we have moved this division outside the national boundaries”. Goodbye Italy. Investing in showrooms Nicolò Favaretto Rubelli, CEO of Rubelli New York, Milan, Venice, London, Moscow, Dubai and Shanghai. This is the international chessboard where Rubelli, the Venetian manufacturer of high-end furnishing fabrics, has been systematically moving in recent years toward a policy of directly managed showrooms. The next one, with an area of 2000 square meters, will be opened in New York in early October. On foreign markets, which account for 85% of the company’s sales, one point of reference – together with America – is England. In London, in February, a new, larger showroom was opened, to make room for all the collections of the group. “Besides England”, says the CEO, “we are also keeping an eye on Russia. In Moscow we are updating our showroom space, and we recently made the fabric for the curtain of the Bolshoi”. The group also has a showroom in the Middle East, at Dubai, where the Venetian company has purchased a display space that will open in 2012. “The whole Middle Eastern area has brought us good results, both with private and contract clients”, says Favaretto Rubelli. In the Far East, on the other hand, the company is laying the groundwork for an assault on China, through partnership with its Hong Kong distributor. “We hear a lot of talk about China and India”, Rubelli says, “and everyone is implementing a policy of small steps, because the market is still new and it lacks a true culture to understand our products”. The right approach? “In China you need a strong brand. We are trying to convince the Chinese that Chanel is not the only big brand name. From this viewpoint, our partnership with Armani is a big help”. There is still room for growth in Europe Alessandro Sarfatti, CEO of Luceplan Now part of the Philips Group, for more than a year, Luceplan is working intensely on European markets. “The company has just developed an important growth plan”, says Alessandro Sarfatti, CEO and third generation of the family that founded this Italian brand. “We believe that Luceplan can boost its commercial operations in Europe and achieve even better results in terms of sales. There are countries like Spain and England that still have large growth margins, and for the same investment we feel we can achieve better results there than in other parts of the world. We are planning to open directly managed showrooms, like the ones we already have in Germany, the USA, Scandinavia and France”. He adds: “Germany is also very important in our growth plans. We are already doing well there, but we can still grow, reinforcing our sales structures”. Without overlooking the Far East and South America, but in a perspective of synergy with Philips. For Luceplan, which recorded sales for 2010 of 21.8 million euros, of which 78% in exports, this growth plan should lead, over the next three years, to annual gains of about 15%. “Italians, design pioneers” Carlo Urbinati and Alessandro Vecchiato, owners of Foscarini

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InternI settembre 2011

“From France to Germany, more and more countries are convinced they should be making design products. The interesting thing is that beyond their borders, the products are not seen as such, because their design is not universally recognized. It doesn’t have international range, it still looks very local”. This provocative comment comes from Carlo Urbinati and Alessandro Vecchiato, both at the helm of the company Foscarini, and strong supporters of the idea that design with a capital D belongs to Italy, and that its success comes from the fact that it can express a universal language that is appreciated on an international level. Urbinati and Vecchiato believe that this is precisely the exclusive characteristics of the products of Italian design companies, and the winning card to play on international markets. “We Italians”, the two entrepreneurs say, “were the first to try to charge products with aesthetic value that were previously only functional. And we were the first to take them into international markets and give them success abroad”. They continue: “For us at Foscarini it is important for every product we design and put into production to have a strong personality, capable of catching the attention of the market. At the latest Euroluce”, they recall, “we presented 15 new products, all of them different. This wide kaleidoscope of offerings helps us to keep our position on markets even in difficult times of recession”. - Caption pag. 91 1. Rossella Bisazza, communications director of Bisazza. 2. The Bisazza flaghip store in Paris. 3. The Poliform showroom in Los Angeles. 4. Laura Anzani, director of Poliform USA. 5. St. Elie Cathedral in Beirut, Lebanon, lit by FontanaArte. 6. Lauro Buoro, president of Nice, the company that has acquired FontanaArte. 7. Giorgio Busnelli, president of B&B Italia. 8. The Mandarin Oriental Hotel in Barcelona, furnished with B&B Italia products. - Caption pag. 92 1. Emanuel Colombini, CEO of Colombini and Rossana. 2. The ‘Interni Mobili & Design’ space in Milan, with a corner set aside for Rossana kitchens. 3. Boffi Bain Paris, installation for Designers Days 2011. 4. Roberto Gavazzi, CEO of Boffi. 5. The Boffi Solferino space in Milan, installation for Design Week in April, 2009. - Caption pag. 93 1. Massimiliano Guzzini, chairman of iGuzzini Lighting China. 2. Entrance to the National Museum of China in Beijing, for which iGuzzini Lighting has created a series of special products. 3. Project for the new Moroso showroom in Singapore. 4. Alberto Gortani, general director of Moroso. - Caption pag. 94 1. The Kartell flagship store in New York, Magic Garden installation (May 2011). 2. Claudio Luti, president of Kartell. 3. Mauro Marelli, export and marketing manager of Lema. 4. A space completely furnished with Lema products. - Caption pag. 95 5. Furnishings produced by Molteni & C. for the City Center DC in Washington, designed by Foster + Partners. 6. Carlo Molteni, president and CEO of Molteni & C. and Dada. 7. Vita showroom in Beijing, with an area for the products of Flou. 8. Massimiliano Messina, president of Flou. 9. Roberto and Renato Minotti, owners of Minotti. 10. The Minotti flagship store in New York. - Caption pag. 96 1. The Performance Hall of the New World Center in Miami, with seating by Poltrona Frau. 2. Dario Rinero, CEO of Poltrona Frau Group. 3. Nicolò Favaretto Rubelli, CEO of Rubelli. 4. A display by Donghia, a company controlled by the Rubelli group, during the latest Salone del Mobile in Milan. - Caption pag. 97 5. Luceplan showroom in Copenhagen. 6. Alessandro Sarfatti, CEO of Luceplan. 7. Carlo Urbinati and Alessandro Vecchiato, owners of Foscarini. 8. Evolution, installation created by Foscarini in New York for the latest ICFF.

INproject Déjà Vu p. 98

photos Max Rommel text Stefano Maffei

Bottles, glasses, jars: pieces of glass from everyday life are broken down and reassembled by Antonio Cos, giving rise to unusual functions and a new figurative landscape. Certain designers manage to make us think about our relationship with everyday objects. Antonio Cos is one of them. Paradoxically, he makes us consider how our life is laden with useless symbols and functions. Pure marketing. Or, as he puts it, marketing absurdity. Based on this, he has metaphorically constructed an elogy of simplicity (not simplification), through concrete experience of things, expert observation of our material world. An action of personal counter-marketing: making self-produced, sensitive, classic objects that defy the opulent, obsolescent hordes on display. Just consider Ice Cube, the steel cubes for chilling drinks made in 2006 (produced by Mario Fernando), that go together with the Drink glass in sintered resin with built-in straw, designed with Gabriele Pezzini in 2003. And other objects, like the conceptual and provocative Fuck doily (Cosllection) that creates a short-circuit between languages and codes of two different generations, or like Youro (Cosllection), a transparent bank made with two panes of glass, to show off the presence of the cash. For his latest project, Déjà Vu (self-produced one-offs, distributed by Subalterno 1), Cos examines the forms of everyday life, the forms discarded by consumption. He starts with glass, that crystalline, transparent, colored material. Full of silhouettes that are part of our memory. Endowed with a stability that makes it classic, full of echoes of a past-that-is-also-present. What he does is a ‘new-Venini’, contemporary, pop yet erudite, that brings innovation to the tradition-technique of glass, combining it with a very timely yet classical sensibility. A beveller instead of a blower. Who works with selected components salvaged from the infinite range of commerce. Cutting, measuring, combining, welding pieces, parts, sections of existing glass forms. He analyzes and breaks down the forms by cutting, then reassembles them with perfect gluing into unusual configurations. Contemporary incalmo pieces with overtones of Wirkkala, or perhaps Sottsass. Or maybe just Cos. This project frees up the combinatory potential of the neglected forms we often throw away. Giving them new life. And a strong, sometimes hermetic image. The function of the container is gone. Cos says

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INservice TRANsl ATIONs / 117

they are “stories of bottles consumed, the label removed, the brand gone. Dissected containers: wine mixes with chocolate milk, orange soda with water, syrup with oil. Our memories mix... like transparent phantoms of consumed products that change their life, disconnected from their original job…”. It’s a cut-up. Of many forms, as in Burroughs. A vibrant composition. Nothing is designed. Cos constructs new forms starting with an infinite heritage of possibilities. No refined crystal. Supermarket stuff, things from the dump. A real non-formalist everyday less is more. An attempt to pause the gigantic play of mass production/consumption. - Caption pag. 98 Déjà Vu is a collection of pieces in glass, self-produced by hand by Antonio Cos in 2009-11. Above, overall view of the present collection (distributed by Subalterno 1). Facing page, details of certain pieces made by assembling sections of existing forms (bottles, jars, flacons) in glass. The collection was shown for the first time in Milan at Subalterno 1, in the exhibition Déjà Vu curated by Stefano Maffei (10-22 May 2011). - Caption pag. 101 Cutting the objects transforms their function: dissection, formal reversal, as the basis for reinterpretation of the form. Facing page, from left: a colored incalmo that plays with the forms and colors of memory; a composition based on a primary form on which to graft a free circular element that functions as a visual filter. Below, a piece that plays with the juxtaposition of the iconic forms of a wine bottle and a Campari bottle.

TImeless

p. 102 text Antonella Galli

Old and new, antique and modern blend in the projects of Vincenzo De Cotiis, embracing memory and experimentation. A path of research that passes through fashion, design and architecture. With stops in the territories of art. To trace the profile of a unique creative talent like Vincenzo De Cotiis labels are useless. Fortunately. There are no trends or currents that can express, in a single handle, his creative, free path on the way to the design spotlight. De Cotiis travels alone, following a process that starts with personal invention, making things by hand, and then approaches industrial production. On his own, he has designed objects, environments, furnishings, but also clothing (with the brands Haute and Decotiis), which have later found their way into the shows and showrooms of major brands. But not always. Many of his works are one-offs, made for art galleries or private collectors. De Cotiis organizes his research around the emotional qualities of materials – aged wood, oxidized metal, worn fabrics – transforming them into essential, meditative, almost metaphysical objects. At times the most attentive companies fall in love with these ‘loners’ and make them into industrial products. That’s what happened with DC10, a kitchen De Cotiis had made as a one-off: “It began as a monolith of hand-aged brass”, he says, “but then came the encounter with Rossana, and the original idea was transformed into something you can make on an industrial scale. It is contemporary but anti-minimalist, it simplifies lines and emphasizes the character of the material, its history, its presence in space”. DC10 has a theatrical side, shadowy and solemn: it is placed at the center of the room (island or peninsula), without hanging cabinets, and becomes the protagonist of the space, like an actor at center stage. The burnished and brushed brass doors evoke solidity, but also have an almost scientific connotation, not of a high-tech lab, but of an experimental workshop of bygone days; the stone of the top, rounded at the edges, linear but imposing, evokes memories of the past, starting with the details. A project with a decisive, almost provocative character, steering clear of any trends, it seems. This is a constant in the style of De Cotiis, who has chosen to express himself through Progetto Domestico, the workshop-company with which he makes one-offs and projects that span architecture and art: “I personally design and construct furnishings and complements, utilizing materials that have already had a life, reassembling them and adapting them for new functions”. This was evident in the installation presented during the latest FuoriSalone in Milan, in the space on Via San Raffaele: a living area with tables and panels whose surfaces were decorated with antique microphotographs, finished with glossy resin: “I conducted research on textures, the use of the films made the pieces unique, on the borderline with artworks”. For four years now De Cotiis has been the art director of Ceccotti Collezioni, located in Cascina (Pisa), a producer of wooden furniture for which he has designed a number of pieces. One of his latest jobs is a project in collaboration with Jean Nouvel, in the heart of Milan: “I am doing the interiors of three floors of the store the French architect has designed for Coin. I’ve worked with transparency, thinking about the museum containers of Albini in iron and glass. I chose transparency to enhance a work of architecture that glows with its own light”. A light touch, consistent with the understatement that is a stylistic earmark of De Cotiis. - Caption pag. 102 The DC10 peninsula kitchen by Rossana, design Vincenzo De Cotiis: in burnished brass and stone, for site-specific, tailor-made installations. Free of cabinets, it can be grouped with the systems of the Rossana range. Above: the stone top of the island, with Foster appliances in black glass for Rossana. - Caption pag. 103 Detail of the Design Island based on the DC10 kitchen, made for the event Mutant Architecture & Design organized by Interni at the State University of Milan in April. A profile of the kitchen in burnished brass was transformed into a container in mirror glass, to represent the mutation toward the kitchen of the future (photo Andrea Martiradonna). - Caption pag. 104 Above: the installation of Progetto Domestico in Milan during the latest Salone del Mobile, with furnishings made by hand by Vincenzo De Cotiis; left, a cabinet in recycled, resin-treated wood, with perforated microtexture surface, and a biconical lamp in painted iron; right, a table with interlocking parts and glossy resin surface, featuring frames from antique photographic film. Above: the DC 290 divan and the DC 90 chair in solid American walnut for Ceccotti Collezioni, the Tuscan company where De Cotiis is the art director. - Caption pag. 105 Golden Cage, designed by De Cotiis for Ceccotti Collezioni: a freestanding bookcase in natural hand-brushed brass rod, without shelves. The support functions are performed exclusively by the structure.

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