THe MaGazInE OF INTeRIors AND coNTeMPoraRY DesIGN N° 9 seTTemBre SEPTEMBER 2010 MensILe/monTHLY ITaLIa € 10 A € 24 – B € 23 – CH Chf 29 – E € 18 F € 15 – GR € 18 – P cont. € 18 – UK £ 15
Poste Italiane SpA - Sped. in A.P.D.L. 353/03 art.1, comma1, DCB Verona
Nanni Viabizzuno
Centazzo Valcucine
Bavuso Rimadesio
Magistretti De Padova Mendini Alessi
Meridiani Devon &Devon
Morozzi Edra Cappellini Alcantara Castiglioni Flos
De Bevilacqua Danese Sawaya &Moroni
Bartoli Segis
Azumi La Palma
Dordoni Minotti
Colombo Arflex Poliform
Laviani Kartell
Häberli Alias
Marelli Axil
Iosa Ghini Snaidero
wITH comPLeTe EnGLisH TexTs
Navone Baxter
Rota Paola Lenti
Baron Casamia
Gismondi Artemide
Caimi Brevetti
Guillaumier Pamar
Castello Lagravinese Busnelli
Massaud MDF Italia Errazuriz Horm Gallotti &Radice
Bosaglia Rota Nodari Pedrali
Cometti Firme di Vetro
Gorla B&B Italia
Oikos
Sottsass Olivetti Urquiola Moroso
Abitare il Tempo
Pakhalé Hästens
De Masi
Poli Matteograssi
Palmeri Lefel JVLT Plust Collection
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Giampieri Ferragamo
Bonomi
Caggiano
Branzi
Progetti e progettisti Antonio Citterio in dettaglio Dove abitano e lavorano Werner Aisslinger David Chipperfield Naoto Fukasawa Arik Levy Luca Nichetto Marcel Wanders In mostra Mario Botta al Mart di Rovereto Design dalla natura al progetto graphic shapes haute couture Krassa Bonaldo
HDG De Majo
Perazza Magis
Lissoni Living Divani Porro Boffi Glas
Micheli Adrenalina
Mussi Cassina
Orlandoni Emu
Vitra
Ligne Roset
Olivares Driade Irvine Marsotto Edizioni
Toncelli
Zanotta
Ziliani Casprini
Gasparotto Venini
Rachele Slamp
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INdice/contents Settembre/September 2010
INterNIews 31
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IN copertina: La storica mappa della New York Subway disegnata da Massimo Vignelli nel 1972 fa da tracciato ideale alle ‘tappe’ del progetto ripercorse e analizzate in questo numero speciale dal titolo “Design Networking”. Le ‘fermate’ riportano i nomi dei tanti personaggi – progettisti e imprenditori – intervistati per l’occasione sulla realtà e il futuro del design italiano. on the cover: the renowned map of the New York Subway designed by Massimo Vignelli in 1972 is used as an ideal route of the ‘stages’ of design followed and analysed in this special issue entitled “Design Networking”. The ‘stops’ are named after the many personalities – designers and entrepreneurs – interviewed about the present situation and the future of Italian design.
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project viva l’Italia!/Long live Italy! Le ragioni di una scelta-alcantara/The reasons for a choice i materiali del benessere/Materials of wellbeing giovani designer young designers Alessandro Dubini produzione production 100% made in italy-parquettificio garbelotto-master floor nuova tecnologia in luce/new Technology in light segni di design/Signs of design la libreria liberata/Freeing the bookcase attrazione magnetica-ALBAN GIACOMO/Magnetic attraction Il sogno di Twils/Twils’ dream total look da esterni-corradi/total outdoor look fiere fairs marmomacc 2010 protagonisti players big bang d’artista-bmw/An artistic big bang
showroom
La cucina secondo pawson-bulthaup The kitchen according to Pawson un loft per il contract-ernestomeda/A loft for contract spazio sostenibile-valcucine/Sustainable space oasi di colore-slide/Oasis of color rigore geometrico-acheo/Geometric rigor fritz hansen a/in copenhagen comunicazione COMUNICATION il design premiato/The awarded design
in factory flou
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case histories driade: creatività al poterE/creativity takes charge la luce globale-martinelli/global light intrecci di stile-illulian/Stylish weaving all’insegna della versatilità-clei/Under the sign of versatility artigianato high-tech-TAGINA/high-tech craft
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INdice/CONTENTS II 132
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anniversari anniversaries 10 anni di/10 years of meridiani 20 anni di/20 years of devon&devon 20 anni di design blindato-OIKOS/20 years of armored design 25 anni di/25 years of abitare il tempo 50 anni di/50 years of panton chair-vitra 50 anni di arte e design-TONCELLI/50 years of art and design 85 anni di innovazioni-GIAMPIERI/85 years of innovations 100 anni D’eccellenza-zegna/100 years of excellence 150 anni d’art de vivre-ligne roset/150 years of art de vivre mostre Exhibitions Mario botta al/at the mart racconigi: parco e bottega/park and shop Rigogliose bellezze effimere/Flourishing ephemeral beauties il cassero di/The castle keep of montevarchi concorsi e premi competitions AND prizes vivere green/A green life style idee da premiare/Winning ideas CARLO Scarpa per il giardino/for the Garden grand prix 2007-2009-casalgrande padana sostenibile sustainability semi di sostenibilità/Seeds of sustainability paesaggio landscape Il fenomeno arte sella/The Arte Sella phenomenon in libreria in bookstores libri sul verde/Books on green cinema
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INtopics 1
di/by gilda bojardi
Pensiero 4
info&tech
il video è tutto/Video is everything 220
car
241 260
scultura mobile-hyundai traduzioni translations indirizzi firms directorY
il design al tempo della rete Design in the time of the net di/by Stefano Caggiano
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fantasia e concretezza Imagination and pragmatism di/by Domenico De Masi
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la catena del valore The chain of value di/by Aldo Bonomi
frammenti di realtà/Fragments of reality 218
editoriale editorial
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la responsabilità politica del design The political responsibility of design di/by Andrea Branzi
Progetti e Progettisti 8
relazioni fruttuose Fruitful relations di/by Cristina Morozzi Giulio Cappellini; Gabriele Centazzo; Carlo Colombo con Alberto Spinelli, Laura Colombo; Carlotta De Bevilacqua; Ernesto Gismondi; Ferruccio Laviani con Claudio Luti; Piero Lissoni con Roberto Gavazzi, Lorenzo Porro, Renata Bestetti; Alessandro Mendini con Alberto Alessi; Massimo Morozzi con Valerio Mazzei; Mario Nanni; William Sawaya con Paolo Moroni; Patricia Urquiola con Patrizia Moroso
INsight INprofile 20
antonio citterio in dettaglio in detail di/by Federica Zanco
INteriors&architecture 20
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berlino, la collage-home di werner aisslinger Berlin, WerneR Aisslinger’s collage-home foto di/photos by nicolò lanfranchi testo di/text by antonella boisi
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milano, lo studio ‘granaio’ di david chipperfield Milan, David Chipperfield’s studio-barn foto di/photos by luca casonato, richard davies testo di/text by matteo vercelloni
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tokyo, il giorno di naoto fukasawa Naoto Fukasawa’s day foto e testo di/photos and text by sergio pirrone
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parigi, lo studio di arik levy: artista industriale Paris, the studio of Arik Levy: an industrial artist foto di/photos by florian kleinefenn testo di/text by ALessandro rocca
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INdice/CONTENTS III
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venezia, lo studio di luca nichetto: dna veneziano Venice, Luca Nichetto’s studio: Venetian DNA foto di/photos by roberta angelini testo di/text by antonella boisi
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amsterdam, la casa-ornamento di marcel wanders Amsterdam, the ornament-house of Marcel Wanders foto courtesy di/courtesy photos by wanders studio testo di/text by alessandro rocca
Progetti e Progettisti 52
matrimoni all’italiana Italian-style weddings di/by Rosa Tessa
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Shin Azumi con Romano e Dario Marcato; Carlo Bartoli con Franco Dominici; Giuseppe Bavuso con Davide Malberti; Rodolfo Dordoni con Roberto e Renato Minotti; Massimo Iosa Ghini con Edi Snaidero; James Irvine con Costanza Olfi e Mario Marsotto; Alfredo HÄberli con Renato Stauffacher; Jean Marie Massaud con Umberto Cassina; Simone Micheli con Valentina e Filippo Antonelli; Paola Navone con Paolo Bestetti; Franco Poli con Massimo Iosa Ghini; Francesco Rota con Paola Lenti; Marcello Ziliani con Stefano Casprini
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INdesign Incenter
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dalla natura il progetto Project from nature di/by nadia lionello foto di/photos by simone barberis Progetti e Progettisti
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generazione iDesign Generation iDesign di/by Laura Traldi Sam Baron; Bosaglia Rota Nodari; Castello Lagravinese; Valerio Cometti; Sebastian Errazuriz; Gordon Guillaumier; Afroditi Krassa; Hangar Design Group; Joevelluto; Ilaria Marelli; Jonathan Olivares; Satyendra Pakhalé; Lorenzo Palmeri; Adriano Rachele
INdesign INcenter 70
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graphic shapes di/by antonella boisi con/with Nadia lionello foto ed elaborazione immagini di/photos and image processing by simone barberis
Progetti e Progettisti 80
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dietro le quinte Behind the scenes di/by Alessandra Mauri Giorgio Caimi; Silvia Gallotti; Roberto Gasparotto; Rolando Gorla; Ferdinando Mussi; Eugenio Perazza; Eleonora Zanotta; Fabrizio Orlandoni
INdesign INcenter 98 88
dettagli di stile Stylistic details di/by katrin cosseta foto di/photos by enrico suÁ ummarino INservice
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traduzioni translations
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indirizzi firms directorY di/by adalisa uboldi
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“La forza del made in Italy sta nella sua intelligenza relazionale”. “il networking può costituire uno strumento ad alto impatto commerciale ed emozionale”. “Oggi accade in tutto il mondo connesso quello che nei distretti italiani succede da sempre”. “la qualità della merce non nasce da una successione di stadi produttivi ma da una ‘ragnatela del valore’ in cui ciascuna fase può rimandare a diverse altre”. “il design come professione reticolare crea valore non solo realizzando prodotti, ma spandendo le spore del design thinking su tutti i gangli della rete creativa”.
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settembre 2010 Interni
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Interni settembre 2010
EDITORIALE / 3
L
a storica mappa della New York Subway disegnata da Massimo Vignelli nel 1972 fa da tracciato ideale alla ‘tappe’ del progetto ripercorse in questo numero speciale dal titolo Design Networking. Prime fermate: l’insieme di quei fortunati incontri tra architetti e industriali che negli anni ’60 hanno dato vita al fenomeno del design italiano. A rappresentarli sono le coppie Castiglioni-Gandini e Sottsass-Olivetti, scelti e presentati come casi emblematici. Il racconto poi prosegue, arriva ai giorni d’oggi e guarda al domani, focalizzandosi sempre sui binomi, le relazioni e le interconnessioni – in altre parole, la rete dei rapporti – dei protagonisti contemporanei di questa storia che nasce sì all’italiana, con dinamiche e caratteristiche tutte sue, ma che oggi deve necessariamente rapportarsi a un contesto di forte internazionalizzazione e proprio in un’ottica di globalizzazione giocare la sua distintiva peculiarità. Sono più di cento gli architetti, i designer e i personaggi d’impresa che abbiamo interpellato in questa occasione. I loro punti di vista compongono la terza puntata di un percorso di approfondimento critico iniziato un anno fa con il numero di settembre Design Thinking, un momento di
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riflessione dedicato ai pensieri degli operatori del design system italiano sulla crisi del momento e la grande sfida del cambiamento in atto. Il percorso è proseguito quest’anno ad aprile con il numero Think Tank, focalizzato sulla sperimentazione quale passaggio obbligato per l’innovazione. Ora Design Networking ripercorre la storia per mettere in evidenza il carattere fortemente relazionale del design italiano e parla della ‘rete’, sempre più complessa, diffusa e immateriale, dei rapporti che ne costituiscono oggi la struttura: quelli tra le aziende e gli imprenditori, quelli tra l’industria nazionale e i mercati internazionali, quelli tra le idee progettuali che confluiscono in Italia da culture geografiche sempre più differenziate e i prodotti che le aziende del made in Italy sanno realizzare, per esportarli poi in tutto il mondo con una capacità sempre nuova di adattamento ai vari territori e di selezione in base alle esigenze specifiche. Questa rete, che giustamente Aldo Bonomi definisce “di valori”, rappresenta la vera eccellenza del fare produttivo italiano. Nell’epoca dell’immaterialità e della globalizzazione, può essere ancora di riferimento per la diffusione di un’idea tangibile, umana e competitiva del progetto a scala internazionale. Gilda Bojardi
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fantasia e concretezza
S
i è ormai concordi sulla constatazione che l’arte è un sistema. Ogni sua manifestazione è sintesi di un rapporto intricato tra committente, artista, operai, gallerista, critici, acquirenti e via dicendo. Solo una fortunata simbiosi tra soggetti tutti eccellenti porta a un capolavoro universalmente apprezzato. Questo vale per il Pantheon di Adriano come per il sepolcro di Giulio II realizzato da Michelangelo, per la Brasilia del presidente Kubischek come per la tomba Brion di Carlo Scarpa. Ma vale pure per l’Arco di Castiglioni o per la Tolomeo di De Lucchi. Nonostante la loro potenza politica, la loro competenza estetica, la loro insistenza appassionata e persino le loro minacce indignate, né Isabella, né Alfonso d’Este ottennero da Raffaello i quadri pattuiti. Più fortunata, la famiglia Stoclet di Bruxelles ottenne dalla Wiener Werkstätte un intero palazzo, progettato ed eseguito fin nei minimi particolari da Hoffmann, da Klimt, da Koloman Moser. Il rapporto del committente e dell’imprenditore con l’artista è soggetto ai capricci caratteriali dell’uno e dell’altro, quando si tratta di singoli. Giulio II arriva a bastonare Michelangelo; Luciano Benetton prima concede carta bianca a Oliviero Toscani e poi taglia i ponti. Diventa una faccenda molto più complessa quando si tratta di rapporti tra istituzioni: studi professionali dei designer da una parte, aziende, curie, assessorati dall’altra. La fortuna del design italiano è derivata da una rara congiuntura di domanda e offerta per cui, a partire dagli anni Cinquanta, il mercato richiedeva oggetti eccellenti che i nostri designer erano in grado di creare e le nostre aziende erano attrezzate a capire, produrre, riprodurre e vendere. L’iter che va dall’ideazione alla realizzazione e alla vendita di un oggetto di design è costituito da fasi creative e fasi esecutive. Le fasi creative sono prevalentemente individuali e fanno capo al
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Domenico De Masi Professore ordinario di Sociologia del Lavoro presso l’Università di Roma La Sapienza, È stato preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione; presidente dell’In/Arch, Istituto Italiano di Architettura; fondatore e presidente della SIT, Società italiana telelavoro; presidente dell’AIF, Associazione Italiana Formatori; presidente della Fondazione Ravello. Ha fondato la S3-Studium, società di consulenza organizzativa, di cui è direttore scientifico. Ha pubblicato numerosi saggi di sociologia urbana, dello sviluppo, del lavoro, dell’organizzazione, dei macro-sistemi. È direttore della rivista NEXT. Strumenti per l’innovazione e membro del Comitato scientifico della rivista Sociologia del lavoro. Collabora con le maggiori aziende e con alcuni dei maggiori quotidiani e periodici italiani.
designer; le fasi esecutive sono prevalentemente di gruppo e fanno capo a squadre di operai, di artigiani, di tecnici, organizzate in modo industriale. Quando il designer ha concepito un nuovo oggetto, la sua idea diventa progetto esecutivo attraverso un’intensa interazione con l’imprenditore, con il suo laboratorio tecnico, con il suo ufficio di marketing. Solo quando questo lungo iter progettuale sarà concluso e il prototipo sarà pronto, l’imprenditore deciderà se passare alla produzione in serie. Il design, dunque, consiste sempre in un atto creativo di gruppo, sintesi di fantasia e di concretezza, dove nel ruolo del designer prevale la fantasia e nel ruolo dell’imprenditore prevale la concretezza. Per comprendere la dinamica di questa interazione occorre spiegare cosa intendo per ‘creatività’. Secondo Silvano Arieti, ad elaborare nuovi prodotti concorrono sia il pensiero inconscio che il pensiero cosciente, alleati tra loro nello sforzo creativo. Dai miei studi è emersa la necessità di arricchire questo processo lineare, che porta alla sintesi di conscio e inconscio, attraverso l’introduzione di altri due elementi: la sfera razionale composta di conoscenze e abilità, e la sfera emotiva composta di emozioni, sentimenti, opinioni e atteggiamenti. L’area che risulta dalla combinazione tra sfera emotiva e inconscio rappresenta la fantasia; l’area che risulta dalla combinazione tra sfera razionale e pensiero cosciente rappresenta la concretezza. Nel caso del design la compresenza e l’intreccio tra fantasia e concretezza è evidente. Si prenda il caso classico di Michael Thonet: sulla carta egli disegnò forme di nuova bellezza; nelle officine queste forme divennero oggetti attraverso il lavoro organizzato di centinaia di operai. Nella creatività collettiva, accanto all’ideazione, occorrono la sperimentazione, la decisione di investire, la pianificazione e l’organizzazione della produzione. Occorre dunque
mettere insieme e fare interagire sinergicamente persone dotate soprattutto di grande fantasia (i designer) con persone dotate soprattutto di grande concretezza (l’imprenditore e la sua azienda), dando così vita a organizzazioni fertilissime di idee e di realizzazioni: geni collettivi composti da singoli soggetti non tutti necessariamente geniali. Ovviamente non basta affiancare meccanicamente designer fantasiosi con imprenditori concreti, anche se forniti di capitali e tecnologie: occorre creare un clima di reciproca tolleranza, stima e collaborazione, occorre condividere la medesima missione, occorre un clima reso entusiasmante dalla presenza di artisti e di leader carismatici. Viene subito in mente l’esempio della Olivetti ai tempi di Adriano. Il nostro Paese ha ottenuto i risultati migliori quando il mix di designer fantasiosi e di imprenditori concreti è stato più propenso all’innovazione tecnologica ed estetica, più capace di darsi modalità ludiche nel lavoro e di trasformare i vincoli in opportunità, i conflitti in stimoli, l’agonismo in collaborazione. Quando, cioè, ha dato vita a un setting dotato di contagioso entusiasmo, di libertà di espressione e di azione, di curiosità intellettuale. Quando ciò è avvenuto, si è instaurato un clima favorevole che ha moltiplicato e arricchito lo scambio di informazioni a tutti i livelli, ha eliminato le paure, ha potenziato il coraggio di tentare e di sbagliare, ha attirato dall’esterno i cervelli migliori, ha determinato la sintonia per cui è più facile cogliere le più sottili intuizioni che spesso si rivelano risolutive. Era stato questo il segreto che aveva reso grandi la Wiener Werkstätte e la Bauhaus; è questo il segreto che ha reso fertile il sodalizio tra imprese come Cassina, Frau, Flos, Alessi, Edra e designer come Alison, Cerri, Castiglioni, Mendini, Morozzi, Iosa Ghini. Domenico De Masi
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Pensiero / 5
STEFANO CAGGIANO Laureato in Design del Prodotto e Filosofia, da una decina d’anni si occupa di cultura del progetto e di ricerca nell’ambito del design, con particolare attenzione agli aspetti antropologici e ai fenomeni creativi. Critico e curatore di mostre, è stato per un anno direttore creativo del Museo dell’Arredo Contemporaneo di Ravenna, e per due anni responsabile della rubrica Design di Exibart. Oggi collabora con Interni e insegna Semiotica del Design e Design Research presso l’ISIA di Faenza, in cui coordina il programma di ricerca ‘I futuri del design’, e presso altre scuole di design.
E
Il design al tempo della rete
siste un legame preciso tra la struttura reticolare della nostra epoca e il fatto che essa presenti il maggior tasso di creatività che la storia abbia mai conosciuto. Il salto avvenuto con la diffusione del web 2.0 ha infatti introdotto un livello di partecipazione alla produzione e messa in rete di contenuti che non ha precedenti. Facebook, Twitter: la gente, oggi, vuole essere in rete. E nel mondo che avanza le identità si fanno nodali, sono cioè altrettanti ‘nodi’ della grande rete creativocomunicativa fatta di reale e digitale che, come i neuroni nel cervello, tengono vivo il pensiero del pianeta attraverso lo scambio e il rimescolamento sinaptico dell’informazione. Il questo scenario il design italiano, affiorato da un patchwork di distretti in cui sociale e progettuale costituiscono un unico amalgama, può diventare il modello per la trasmissione globale di dimensioni del progetto che coinvolgono non solo le ‘cose’ ma anche le sensazioni, i desideri, la qualità, il gusto della vita. Molto più che semplici consorzi spontanei, i distretti sono infatti dei veri e propri genius loci che uniscono l’alta qualità dei prodotti alla capacità di raccontare culture specifiche. Technogym deve la sua vittoria della fornitura esclusiva di attrezzi ginnici alle Olimpiadi di Pechino 2008 tanto all’eccellenza tecnica quanto alla capacità di vendere un’intera cultura del benessere. In fondo non è un caso che l’Italia sia anche il Paese delle piazze. E non solo in Italia, ma in tutto il mondo, sono i luoghi pubblici a manifestare oggi il maggior fermento creativo (public art, settimane del design, ecc.). Il fatto è che la rete, con le sue logiche di accesso democratico, ha ridato vita a valori come reciprocità, condivisione, dono, sostenibilità ambientale e culturale. Si pensi ai lavori dei fratelli Campana per Edra, che hanno tratto nutrimento da quell’incubatoio di proposte per l’organizzazione quotidiana nel caos che sono le strade di San Paolo.
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La forza del made in Italy sta proprio in questa intelligenza relazionale per la quale il networking può costituire uno strumento ad alto impatto commerciale ed emozionale. Oggi che il valore non è più determinato solo dalla specializzazione e che, come scrive Luca De Biase, “i jeans sono fatti di tela e sociologia, i cellulari sono composti di chip e antropologia, il caffè sembra un infuso di aromi vegetali e artistici”, accade in tutto il mondo connesso quello che nei distretti italiani succede da sempre, cioè che la qualità della merce non nasce da una successione di stadi produttivi ma da una “ragnatela del valore” (la definizione è di Aldo Bonomi). In cui ciascuna fase può rimandare a diverse altre – fino a quella in cui entra in gioco il cliente finale: Illy ha portato in Cina l’università del caffè perché ha compreso che il suo prodotto non avrebbe avuto significato al di fuori di un contesto di convivialità e cultura del gusto. Ciò che hanno in comune jeans e imbottiti, lampade e caffè, è il design come professione reticolare, che crea valore non solo realizzando prodotti ma spandendo le spore del design thinking su tutti i gangli della rete creativa, dalla forma al sapore, dalla distribuzione all’interazione con il cliente, dalla logistica al racconto, dalla filiera alla ricaduta occupazionale. Ecco perché in questo tempo di crisi i distretti della calzatura più avanzati come quelli del Brenta e settori dell’arredo come quelli dei mobili della Brianza sono in crescita; mentre altri che – come i divani delle Murge e il distretto della sedia di Manzano – non hanno saputo andare oltre la semplice esportazione delle ‘cose’, piuttosto che del loro senso, continuano a soffrire. È qui evidente la centralità del design nella produzione italiana. Da noi non è raro che sia un designer a influenzare in maniera decisiva la vicenda di un’azienda: si pensi ai fratelli Castiglioni per Flos, a Ettore Sottsass per Olivetti,
a Ferruccio Laviani per Kartell. Ma si pensi anche alla figura, tutta italiana, del designer imprenditore, personaggi come Ernesto Gismondi per Artemide o Mario Nanni per Viabizzuno che molto prima che si cominciasse a parlare di “design thinking” hanno capito che il design coinvolge tanto l’idea quanto la sua implementazione nella complessità del mondo reale, ovvero, il fare impresa. Anche su scala microscopica quella che si manifesta oggi tra design e networking è una sintonia del tutto speciale. In un mercato fluido come quello degli operatori del design dotarsi di un denso ‘capitale sociale’, cioè di una fitta rete di relazioni, costituisce infatti una scelta strategica virtuosa e necessaria che, oltre a sostituire i meccanismi d’inclusione un tempo garantiti dallo stato sociale, assicura al creativo una continua esposizione alle vivificanti possibilità della rete, dove la molteplicità dei ‘link’ si traduce nella disponibilità di punti di vista diversi che reagiscono chimicamente l’uno sull’altro generando prospettive sempre nuove. È in questa dimensione plurale, connessa e trasversale che si muovono i JoeVelluto con Plust Collection, Lorenzo Palmeri con Lefel, Hangar Design Group con De Majo, Ilaria Marelli con Axil. Mentre appare con sempre maggior chiarezza che non sono i singoli oggetti, è la rete che deve vivere. La rete che processa e riprocessa i segni mantenendoli in uno stato di neo-genesi continua e reiterata. Stefano Caggiano
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Aldo Bonomi Fondatore del Consorzio Aaster, che dirige dall’84, ha sempre mantenuto al centro dei suoi interessi le dinamiche antropologiche, sociali ed economiche dello sviluppo territoriale. Editorialista de IlSole24Ore, dirige la rivista COMMUNITAS ed è direttore scientifico di Itaca, pubblicazione dei comitati locali di UniCredit. È stato consulente del CNEL, ha diretto il progetto ‘Missioni di Sviluppo’ realizzando 15 interventi per la promozione dell’autoimprenditorialità giovanile nel Mezzogiorno. Con AASTER ha realizzato per conto della Commissione Europea uno studio comparato nelle metropoli europee (“progetto Moriana”) sulla trasformazione del mondo dei lavori. Intrattiene rapporti con Istituzioni locali, organismi del terzo settore e con rappresentanze degli interessi con cui segue l’evoluzione del capitalismo molecolare e del capitalismo dei piccoli. Con La Triennale di Milano ha curato mostre di taglio sociale ed É autore di numerose pubblicazioni .
La catena del valore
U
na volta c’erano i distretti industriali. Fabbriche a cielo aperto in cui, attraverso la relazione, lo scambio, il mettersi assieme, il nostro capitalismo di territorio – ‘di relazione’ per antonomasia – trovava la via di fuga al proprio congenito nanismo. Erano i luoghi dei saperi contestuali, stratificati e sedimentati nella comunità locale. Dell’artigianìa creativa del fare grandi cose con pochi strumenti. Una volta, in quei distretti, c’erano anche gli architetti. Allora, i designer li chiamavano e si facevano chiamare così. È a loro che si rivolgevano gli imprenditori più ambiziosi, quelli desiderosi di uscire dagli interstizi della subfornitura, di sperimentare, di pensare in grande. Ed è dalla relazione tra i sogni dell’imprenditore e le idee del designer che sono nate quelle multinazionali tascabili del made in Italy con cui il nostro Paese, negli ultimi trent’anni, si è nutrito di competitività internazionale e di speranze per il futuro. Oggi la questione è molto più complessa. Progettare e ‘saper fare’ un buon prodotto non basta più. Oggi il consumatore, del resto, non è più l’ultimo anello di una catena del valore che si esaurisce all’atto dell’acquisto. Al contrario, è il centro di una complessa ragnatela di desideri da comprendere e soddisfare. Che vanno ben al di là del prodotto e delle sue qualità materiali. E che ne incorporano i valori simbolici che esso incarna, la sua capacità di produrre senso, oltre che utilità. Oggi, in altre parole, occorre saper vendere esperienze. Per questo, la rete si allarga. Per andare nel mondo, il contado delle fabbriche a cielo aperto e dei saperi contestuali ha sempre più bisogno della metropoli, dei suoi saperi formali e delle sue funzioni. Dei suoi laboratori di pensiero ed innovazione. Della sua capacità di vestire le produzioni di significati e di senso, di dar loro un posto nel mondo dell’immaginario. Del suo farsi
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essa stessa vetrina, attraverso fiere ed eventi. In altre parole, della sua moltitudine creativa al lavoro. Che va dai venerabili maestri in dolcevita nero a quelli che io chiamo cognitari, più proletari e precari che portatori di conoscenza, inermi di fronte ad una modernità cui vanno incontro vestiti solo della loro partita IVA. È una relazione a maglie fitte quella tra luoghi della produzione e centri del sapere, tra contado e metropoli, tra territorio e mondo. Tanto che ormai, più che di distretti, è opportuno parlare di vere e proprie piattaforme produttive che tengono insieme tutto. E nelle quali, peraltro, la cultura del progetto è il vero e proprio motore immobile. È fin troppo facile e ovvio citare la Città Infinita che va da Malpensa a Orio al Serio e il suo rapporto simbiotico con la metropoli milanese, vera e propria porta dei flussi globali. Che oggi – embrione di una terra del ‘Mi-To’ in formazione – guarda verso la Torino orfana del fordismo, distante ormai solo un’ora di treno, culla di un nuovo terziario creativo che produce design, comunicazione ed eventi. Si guarda con attenzione anche verso il Nord Est. Che nel suo essere territorio policentrico senza rilevanti centri di accumulazione metropolitani, prova a farsi ‘metropoli dolce’ dell’intreccio tra cultura d’impresa e cultura del progetto, progettando nuovi ecosistemi artificiali per attrarre designer e giovani professionisti creativi sui territori. Attivando microcosmi – per usare una felice espressione del mio amico Aldo Cibic – come H-Farm di Riccardo Donadon, imprenditore veneto della net economy, che a Ca’ Tron, nella Marca trevigiana, ha sviluppato un modello del tutto peculiare di impresa che fa da incubatore ad altre imprese, provando a ricrearvi il milieu della Silicon Valley. O come Innovation Valley, un progetto di pianificazione strategica del Nord Est che mette in rete imprese e istituzioni pubbliche e private con l’obiettivo di “produrre e creare il territorio, agendo,
con il tema dell’innovazione e della creatività sul sistema imprenditoriale, con particolare riferimento ai giovani”. E ancora, scivolando verso sud, non si può non citare la Città Adriatica che si estende da Comacchio fin giù nelle Marche, in cui è inscindibile l’intreccio tra manifattura ed economia dell’esperienza, tra produzione e rappresentazione, tra cultura del fare e cultura del progetto. Una piattaforma, questa, le cui propaggini si estendono ormai fino al tacco d’Italia, quella Puglia che già da tempo, ormai, prova a rilanciarsi come hub creativo e progettuale per la fragile imprenditoria del Mezzogiorno. Sono tutti esempi, questi, che danno il senso di una nuova maglia di relazioni tra cultura del progetto e cultura d’impresa e tra luoghi e flussi. Una rete che incorpora il significato del territorio, provando a produrne l’evoluzione senza tuttavia snaturarlo o, peggio, facendolo scomparire nel frullatore dell’indistinto globale. La crisi, in tutto questo, è una moneta che danza sul dorso. Laddove l’imprenditoria territoriale considera ancora i designer e i progettisti come semplici fornitori di servizi accessori rispetto al Prodotto (con la P maiuscola), ecco che arrivano i tagli e le ‘aste al ribasso’ alle spese di progettazione, comunicazione, servizi, di chi, in fondo, non li riconosce a pieno titolo come un pezzo dell’economia reale. Un pezzo, peraltro, fondamentale, laddove l’uscita dalla crisi non rimanda certo alla fabbrica fordista, o al solo mondo della manifattura. Ma, piuttosto, ad una produzione che sempre più incorpori innovazioni e simboli adeguati alle nuove tendenze dei consumi. E, di conseguenza, a quei designer e creativi che saranno sempre più commutatori di saperi diversi e trasversali e trait d’union tra i prodotti e i loro clienti di tutto il mondo, tra le imprese e il mondo dell’innovazione. Ancora una volta, tra un sogno e la sua realizzazione. Come quando c’erano i distretti. Aldo Bonomi
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Pensiero / 7
La ResPonsaBILITà PoLITIca DeL DesIGn ANDREA BRANZI architetto fiorentino, negli anni sessanta ha fatto parte del movimento di avanguardia dell’Architettura radicale. vive e lavora a Milano dal 1974. Si occupa di design industriale e sperimentale, architettura, progettazione urbana, didattica e promozione culturale. Autore di molti libri su storia e teoria del Design, È stato consulente responsabile del primo Centro Design e Servizi per Montefibre, vincendo con le ricerche di Design Primario il primo dei tre Compassi d’Oro, di cui uno alla carriera. ha fondato e diretto Domus Academy, prima scuola post-universitaria di design. È stato direttore della rivista MODO. già Professore Ordinario e Presidente del Corso di Studi in Design degli Interni alla Facoltà di Design del Politecnico di Milano, già Curatore Scientifico del nuovo Design Museum della Triennale di Milano, È membro del Consiglio Nazionale del Design del Ministero della Cultura.
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a qualche tempo ho diradato i miei rapporti con la commitenza industriale (che non sono mai stati molto intensi) per dedicarmi a quell’attività che io definisco “Independent Design”. Questa decisione non ha nessuna origine polemica, né verso gli imprenditori (che fanno un mestiere molto più pericoloso del mio) né verso i colleghi che continuano a fare (giustamente) ciò che la professione richiede. A differenza però di ciò che il termine “independent” sembra voler indicare, all’origine di questo genere di attività (che nasce non da una committenza ma piuttosto da una necessità assolutamente privata del progettista) vi è una forte assunzione di responsabilità civili e culturali che in questo momento sono necessariamente estranee alle pratiche professionali consolidate. Queste responsabilità nascono dal fatto che il design, a causa della sua stessa natura molecolare, espansiva e ingovernabile, sta oggi spontaneamente assumendo un ruolo centrale nel funzionamento complessivo della società democratica e della città de-industrializzata (caratterizzata dal lavoro diffuso, dall’imprenditorialità di massa, dall’economia creativa) come possibilità di ricomporre all’infinito gli scenari funzionali e sociali. L’avvento dell’attuale civiltà merceologica riconosce nel prodotto commerciale non solo un valore di scambio, ma un fondamentale valore etico e ambientale. L’attuale politica autoriformista si riconosce profondamente nella mobilità, trasferibilità e componibilità che l’universo oggettuale fornisce nella maniera più completa. L’economia globalizzata richiede a sua volta dosi massicce di ‘innovazione’ che il design (in grande espansione in tutto il mondo) è in grado di fornire con tutte le sue attuali articolazioni, materiali e immateriali.
In altre parole, independent non significa assolutamente de-responsabilizzazione, ma al contrario, significa farsi carico di uno scenario problematico la cui gestione non può essere affidata al solo sistema industriale, alle vecchie categorie politiche, né tanto meno alle spalle (molto fragili) del libero mercato. Questa responsabilità politica che il design, proprio perché realtà ingovernabile e policentrica, sta assumendo nell’epoca dell’economia globalizzata e del lavoro post-fordista, non può avere inizio né da impossibili programmazioni universali, né dal moralismo ambientalista. Questa nuova responsabilità politica si manifesta soprattutto nella qualità culturale (e non soltanto professionale e commerciale) del design; o forse sarebbe più corretto dire ‘del designer’ come unico e ultimo responsabile della qualità del proprio lavoro. La storia di questa attività, già all’inizio del secolo scorso, ha avuto inizio dal gesto volontaristico di singoli protagonisti delle Avanguardie (e non certo da una committenza industriale, che è arrivata in molti casi dopo gli anni ’50); protagonisti che hanno spesso realizzato prototipi inospitali, ostici, inutilizzabili, ma di grande energia germinale. Questi nuovi scenari operativi, politici e culturali, con cui il designer oggi si confronta, non possono trovare un fondamento che non sia quello delle singole e segrete energie intellettuali del progettista. Andrea Branzi
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Considerazioni incrociate di progettisti e imprenditori sui rapporti speciali, professionali e personali, spesso informali, sui quali si fonda la costruzione e lo sviluppo del sistema arredo italiano.
Relazioni
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Achille Castiglioni e Piero Gandini (foto di Cesare Colombo).
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di Cristina Morozzi
er indagare il sistema di consonanze tra aziende e designer che, tutt’ora, costituisce l’ossatura dell’industria italiana, soprattutto del settore arredo, conviene risalire al 1958 e rubare le parole ad Ettore Sottsass. Idealmente, la relazione che vede il designer esterno all’azienda, ma profondamente in essa coinvolto, risale al rapporto di Sottsass con Olivetti e ad una precisa scelta di Ettore concordata con Roberto Olivetti, figlio di Adriano, direttore dell’allora nuova Divisione Elettronica dell’omonima società. Scrive Sottsass: “Poi un bel giorno, credo intorno al ’58, l’ingegnere Adriano Olivetti mi ha offerto la possibilità di diventare il designer della nuova Divisione Elettronica dell’Olivetti… che doveva avere come direttore tecnico un ingegnere cinese-americano e italiano che si chiamava Mario Tchou. Allora avevo circa 40 anni, Tchou una trentina e Roberto non era ancora arrivato ai 30… Forse per difesa Roberto, Mario e io siamo diventati molto amici, o forse perché più o meno tutti e tre avevamo percorso la stessa orbita culturale… Ero contento ed impaurito. Avevo paura di diventare uno stanco visionario castrato per dovermi misurare quotidianamente con quella pseudoimmagine della realtà che è la burocrazia…
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E così allora ho detto a Roberto che ero contento, che accettavo la proposta, purché l’industria accettasse me come ‘consulente’, cioè come personaggio esterno all’istituto industriale. E perciò alla fine degli anni Cinquanta con Roberto Olivetti e il pazzo ingegnere Mario Tchou, … abbiamo pensato una formula nuova di rapporto possibile tra designer e industria”. (Scritti, a cura di Milco Carboni e Barbara Radice, Neri Pozza, 2002). Questa formula, con tonalità che vanno dalla profonda amicizia al legame sentimentale, è stata ed è la linfa di molte imprese nazionali. Le aziende italiane di design rimangono uno dei rari luoghi dove l’umano è prossimo all’umano, dove la storia resta una serie di incontri tra persone, dove, a differenza di quanto titola lo psicanalista Luigi Zoja
Questa parità è stata usata ed esercitata sino a che le dimensioni dell’azienda l’hanno consentito. Achille Castiglioni è stato il progettista di riferimento e, per Piero Gandini, con il suo approccio sincero e divertito, un vero maestro. “Oggi”, confessa Piero, che ha la stoffa del vero imprenditore, non ‘troppo intellettuale e artistico’ come auspicava Achille Castiglioni, ma che sa anche ‘gettare il cuore oltre l’ostacolo’, “a parte Philippe Starck, che è stato molto importante, non ci sono designer predominanti. A seconda delle esigenze, ci sono differenti progettisti. Ci sono quelli metodici che producono collezioni, altri che creano singole eccellenze. Alla base c’è sempre un rapporto ideale ed etico”. Commenta invece Luca De Padova a
nel suo ultimo saggio (La Morte del prossimo, Einaudi, 2009), il prossimo non è morto. Fu Roberto Olivetti “a cercare affannosamente qualche soluzione, quando venne a sapere che Ettore stava morendo. Fu lui ad andare al consolato a farsi fare un passaporto in tre giorni per spedirlo a curarsi in America dal Doktor Lutscher, candidato al Nobel” (Ettore Sottsass, Scritto di notte, Adelphi, 2010). Questo particolare rapporto tra progettisti e imprenditori trova nel binomio CastiglioniGandini un altro significativo riferimento storico. Achille e Piergiacomo Castiglioni iniziano a collaborare alla Flos prima che Sergio Gandini assuma, nel 1964, la guida dell’azienda di illuminazione. Piero Gandini ricorda:
proposito del legame tra la madre Maddalena e Vico Magistretti: “Il rapporto tra mia madre e il Vico è stato particolare, non formalizzato: una convivenza di vita e di lavoro. Il loro continuo dialogare ha prodotto oggetti che altrimenti non sarebbero nati. Mia madre era sempre molto critica. Lavoravano a tavola, durante il fine settimana, sempre e dovunque”.
fruttuose
“Tra i due fratelli e mio padre c’è sempre stata una condivisione etica e strategica. Nello statuto dell’azienda era previsto un comitato d’immagine dove imprenditori e designer avevano parità di voti”.
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“Tra di loro c’era grande complicità e grande conflittualità. Tutto quello che Vico ha fatto con mia madre è sempre attuale”. Maddalena De Padova e Vico Magistretti.
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Alberto Alessi, presidente di Alessi, e Alessandro Mendini.
Alessandro Mendini il metodo maieutico “Se dovessi calcolare quanto ha inciso e incide sulla Fabbrica Alessi Alessandro Mendini”, afferma Alberto Alessi, presidente di Alessi, “direi, per un terzo. Sono stato influenzato molto anche da altri personaggi. Primo tra tutti Ettore Sottsass. L’ho incontrato che avevo 24 anni, quando nel ’70 sono entrato in azienda. Richard Sapper ha esercitato la sua influenza da un’angolazione diversa. Poi c’è stato Achille Castiglioni, quindi è arrivato Alessandro Mendini, che considero una sorta di perno. Poi Aldo Rossi, Michael Graves e, alla fine degli anni ’80, Philippe Strack. Alessandro non ha mai avuto un ruolo definito, eccetto che nei metaprogetti. Il nostro è un rapporto informale. Con i maestri c’era anche molta simpatia personale. Dopo gli anni ’80 non ci sono più state figure di riferimento così importanti. Alessandro è stato molto generoso di consigli sui nuovi designer. Ho avviato contatti con tutti i progettisti che mi ha suggerito, anche se non tutti li ho portati sino in fondo”. Con Alessandro c’è anche un rapporto personale. Ha progettato la tua casa… “Ero diffidente nei confronti degli architetti”, risponde Alberto. “Alessandro non lo considero un architetto. Per questo gli ho chiesto di farmi la casa. Poiché sono timido, conoscendolo bene mi era più facile dirgli le cose. Con lui c’è familiarità e condivisione anche nel privato. Con altri progettisti c’è solo un’amicizia professionale”.
“Alessandro, comunque, è speciale, perché ha un metodo di tipo maieutico: ti fa arrivare da solo alle cose”.
Alessandro Mendini, dal canto suo, afferma di aver accompagnato Alberto Alessi nella sua maturazione verso il design. “In certi momenti”, dice, “c’è stata una mia presenza più capillare. Oggi, con tanti pezzi a catalogo, mi sfuggono molte cose. Molti oggetti entrano in produzione indipendentemente dal mio parere. Se fosse per me, diminuirei i prodotti e il numero dei designer. Non abbiamo mai formalizzato un rapporto. Facciamo delle lunghe chiacchierate. Poi, magari, per mesi non ci vediamo. Tra noi c’è il piacere dello stare assieme”.
Patricia Urquiola le “Patrizie visionarie e complici”
Patricia Urquiola confessa di “surfare tra le industrie. Ma non ci sono comparti. Non ho una testa Moroso, o Foscarini, o B&B Italia, o Molteni. Instauro un dialogo”. “Bisogna lavorare sulle affinità. Con Patrizia Moroso ho un rapporto di grandissima amicizia. Le ho fatto la casa, dedicandole tante piccole attenzioni. Ci sono molti progetti di recupero: spetta alle donne l’aver cura. Lei mi capisce già al telefono. È stata una delle prime persone che ha creduto in me. Dietro il nostro rapporto c’è lo zio Marino, quello che fa i prototipi e che dà concretezza alle nostre visioni. Il mondo familiare crea relazioni profonde. Io e Patrizia lavoriamo attraverso connessioni inaspettate. Noi designer abbiamo il ruolo di muovere i limiti dell’azienda, per questo è giusto restare esterni”.
Patrizia Moroso, art director di Moroso, e PATRICIA URQUIOLA.
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“Patricia”, esordisce Patrizia Moroso, art director di Moroso, “è la designer di riferimento per Moroso, quella che realizza, non solo gli obiettivi suoi, ma soprattutto quelli dell’azienda. Ci siamo studiate: è difficile dare input a chi non si conosce. Dalla condivisione di problemi, anche di tipo femminile (figli, famiglia) è nata una relazione umana molto forte. A lei chiedo i prodotti che servono all’azienda, mentre ai designer nuovi, per principio, lascio molta libertà. Viaggiamo assieme, viaggi reali e viaggi immaginari, come quello a Fergana in Uzbekistan, fatto solo sui libri e sui campioni di tessuto e di ricamo. Le esperienze piacevoli legano e fanno nascere idee e prodotti. Patricia è per me un acceleratore di particelle”.
Massimo Morozzi il giardiniere capo “Non mi considero un art director”, avverte Massimo Morozzi, “art director è un termine che io reputo da agenzia pubblicitaria”.
“Sottsass disse che il suo ruolo era quello di un giardiniere capo che coltiva le aiuole, pota i rami secchi e cerca di far crescere tutto in modo armonico”.
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“Preferisco considerarmi un giardiniere capo. L’unica cosa che mi ostino a fare è di dire la verità. Quando le cose sono complesse si tenta mediare, invece insisto a dire quello che penso, senza, però, intestardirmi più di tanto. Dire quello che si pensa è importante come metodo di lavoro. Sulla costruzione della collezione c’è un’interazione quotidiana con i designer e con l’imprenditore. Il rapporto con l’imprenditore può essere anche molto conflittuale. Anche quando sostengo opinioni opposte ascolto: più sono puro nel sostenere le mie tesi, più sono disponibile ad ascoltare. Da questa disposizione nascono soluzioni forti: Edra non è nota per i compromessi”. Questo modello funzionerà anche nel futuro? “Per ora produce risultati, ai quali, penso, non si debba rinunciare anche nella progressiva globalizzazione. Nel futuro chi lo sa? Disegno molto poco. Non posso mettermi in concorrenza con i designer con i quali lavoro. Nei loro progetti, comunque, c’è sempre molto di mio. In questo momento scelgo solo persone di almeno 70 anni. Sotto i 70 non c’è nessuno, a parte i fratelli Campana. Per il futuro scelgo il geriatrodesign!”. “Il nostro rapporto”, afferma Valerio Mazzei, presidente di Edra, “nasce nel 1986, un anno prima del debutto ufficiale di Edra. Va avanti da oltre vent’anni e spero prosegua a lungo. Cambiano gli scenari, ma a livello decisionale è giusto sia così. La base si allarga, ma il vertice deve rimanere lo stesso. Massimo è un intuitivo con una grande conoscenza. Io sono più animalesco”. I designer inseguono le visioni, gli imprenditori i fatturati. “Credo si debba perseguire la qualità delle cose. Siamo ancora un’azienda di stampo ottocentesco, che si basa sulla qualità delle persone e delle cose. I fatturati devono crescere con la qualità. Dietro la qualità c’è sempre il pensiero. Non inseguo le apparenze, ma la sostanza. Di architetti furbetti se ne sono presentati tanti. Preferisco rinunziare al successo facile e proseguire per la strada tracciata”.
MASSIMO MOROZZI E VALERIO MAZZEI, presidente di Edra.
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Carlo Colombo Sotto: Carlo colombo con Giovanni, Laura, Fausto e Patrizia Colombo, titolari di Arflex. In basso, lo stesso designer con Alberto Spinelli e Aldo Spinelli, titolari di Poliform.
i progetti crescono in azienda “Di Arflex sono ufficialmente art director da cinque anni”, racconta Carlo Colombo, “e di Poliform sono il designer principale da almeno 15 anni. Amo entrare nei panni delle aziende, mi piace essere coinvolto anche nel marketing e nelle decisioni strategiche. Lavorare a stretto contatto con le società che producono è una scuola di vita. I progetti più belli nascono sempre all’interno dell’azienda”.
“Io non uso il computer. Schizzo a mano e poi il progetto si sedimenta e prende forma dentro l’azienda”. Come si fa a lavorare gomito a gomito con due aziende? “È possibile proprio perché sono differenti”, risponde Carlo. “Poliform è un’impresa che fa sistemi, ponderata, dove si sta molto attenti alla tecnologia. I suoi prodotti resistono nel tempo. Arflex è un’azienda di cultura e di design, che mi consente di fare il designer puro. Ho iniziato lavorando sull’archivio storico, riesumando vecchi pezzi, chiamando altri designer. Tutto il mio studio è coinvolto in Arflex. Ci occupiamo dei prodotti, degli stand, dei cataloghi, dei negozi, della pubblicità. Con Aldo e Alberto Spinelli di Poliform ho un legame di amicizia. Con loro ho girato il mondo per visitare i clienti e vedere i negozi. Con loro vado anche in vacanza, in barca in Sardegna. Sono persone con i piedi per terra con le quali ho rapporto di complicità che entra anche nella vita privata. Anche con Laura Colombo, responsabile prodotto di Arflex, ho un ottimo rapporto. Se non fosse così non potrei fare bene l’art director dell’azienda”.
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“Quando ho conosciuto Carlo”, dichiara Alberto Spinelli, titolare di Poliform assieme ad Aldo Spinelli e Nino Anzani, mi ha subito entusiasmato. È sempre disponibile al dialogo; assieme discutiamo molto”. Per affrontare le nuove sfide è ancora funzionale un rapporto coinvolgente di tipo personale? “L’evoluzione degli scenari”, risponde Alberto, “ha reso questo rapporto ancora più stretto e necessario. L’azienda, però, deve sempre tenere la barra del timone; per questo diamo a Carlo dei brief molto precisi e molto in anticipo”. Ci sono altri progettisti di riferimento? “Riccardo Blumer, ad esempio,” risponde Alberto. “Ci conosciamo da molti anni. La sedia BB, in cuoio autoportante, è un progetto molto innovativo che ha dato inizio alla nostra collaborazione. L’aveva proposto a un’altra azienda che l’aveva rifiutata. Quando l’ho vista ho detto: che bella, vorrei realizzarla io! Tienila, è tua, mi ha risposto. Paolo Piva è stato fondamentale, rimane un caposaldo. Lui ha progettato le nostre fabbriche. Le mani vanno però cambiate. Per affrontare il futuro abbiamo deciso di puntare anche sui giovani”. “Con Carlo”, afferma Laura Colombo, direttore marketing di Arflex, “c’è un rapporto a 360 gradi. Ci facciamo critiche senza problemi. Lui percepisce in anticipo le esigenze. Ci sentiamo tutte le settimane. Talvolta, mentre discutiamo, mi chiede una matita e schizza il prodotto. Ci basta uno schizzo per fare un prototipo. Talvolta i prodotti li risolviamo anche per telefono. Collaboriamo anche con altri designer. Alcuni li proponiamo noi, altri li sceglie lui, ma Carlo supervisiona sempre tutto. Ci scambiamo suggestioni e opinioni. Abbiamo un rapporto intenso, ma solo di tipo lavorativo e penso che possa funzionare bene anche in futuro”.
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Piero Lissoni il design come mestiere Mi parla, pacato, dalla sua casa di vacanza di Berlino. Afferma:
“Il collaboratore serio di un’industria funziona da antenna per conto di un team”. “Gli imprenditori ti coinvolgono nelle loro storie, ti chiedono pareri. Sono rapporti che non passano solo attraverso le cifre, ma diventano personali. Il designer si prende molte responsabilità. Deve avere il coraggio di fare delle scelte. Sono fortunato perché mi danno retta. Tutto procede perché funziona il team: da solo non vai da nessuna parte”. E nel futuro? “Il rapporto umano funzionerà sempre, anche i manager puri dovranno interfacciarsi con la creatività. Tra imprenditori e designer esiste una specie di gioco delle parti: il designer visionario e l’imprenditore realista. Ma il bello è che, talvolta, le parti si scambiano. Fare fatturati è una responsabilità anche del designer. Io non faccio progetti perché vadano a finire sui manuali di design. Va bene se rimani in un’area teorica, ma se stai dall’altra parte devi evitare il facile rischio di ergerti sulla colonna da stilista nel deserto ad aspettare che qualcuno ti tiri giù. Alla fine noi designer facciamo un mestiere. È stata la critica che ha spostato la nostra professione verso l’arte”.
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RELAZIONI FRUTTUOSE / 13
“Quando sono arrivato in Boffi nel 1989”, racconta Roberto Gavazzi, amministratore delegato di Boffi, “Piero Lissoni era già lì, dava una mano nella parte grafica, aveva messo a punto alcuni prodotti. La sua presenza è stata per me fondamentale, perché ero completamente digiuno di design e arredamento. Poi è diventato ufficialmente art director e da tre anni è anche azionista e consigliere di amministrazione. Il suo ruolo va ben oltre l’art direction. Per me è una sorta di specchio in cui guardo dentro per interrogarmi sul futuro dell’azienda. Quando andiamo assieme in giro per il mondo cogliamo spunti da ogni situazione. Ha uno spirito sempre giovane, è disponibile a rimettersi in causa e non si prende mai troppo sul serio. Siamo molto amici. Ci piace leggere Simenon e Carofiglio. Siamo golosi. C’è un aneddoto su cui sempre scherziamo. Quando mangio io mi macchio sempre e riesco a macchiare anche lui. Piero sostiene che sono capace di macchiarlo, persino, a distanza. Insomma ci uniscono anche le macchie!” “Ho conosciuto Piero Lissoni all’università”, racconta Lorenzo Porro, presidente di Porro, “ambedue abbiamo fatto architettura al Politecnico di Milano. La collaborazione è iniziata attorno all’86. Era un simpatico, anche da giovane! Il nostro è un rapporto di vera amicizia. Lui sa starti vicino anche nei momenti difficili. È uno scapigliato, fa quello che vuole, ma non è un opportunista. Non avrei creato la Porro se non avessi avuto questa stampella. Per un’azienda di sistemi è necessaria la continuità. Il contributo di Piero è indispensabile, perché è necessario creare uno stile capace di parlare al pubblico”. Con questa ‘stampella’ si possono affrontare anche i mercati globali? “La mia azienda”, risponde Lorenzo, “è piccolissima e dipende da me. Talvolta, mi domando a chi servano i valori che mi ostino a produrre. Ma, poi mi rassereno: sono sicuro che servano, anche se sono per pochi”. Spiega Renata Bestetti, presidente di Living Divani: “La collaborazione con Piero Lissoni è iniziata nel 1988. Ambedue eravamo agli inizi di un percorso e avevamo voglia di crescere. Questa comune carica emotiva ha reso il nostro rapporto molto umano. Piero ha in azienda un ruolo fondamentale, anche i progetti che non disegna lui nascono da scelte comuni. È il nostro art director e a lui sottoponiamo tutti i nostri progetti e anche l’inserimento dei nuovi designer, scelti da mia figlia Carola, da qualche anno in azienda anche lei. Apprezzo la sua genialità e la sua competenza.
Piero Lissoni (foto di Giovanni Gastel).
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Possiede uno speciale senso delle proporzioni e sa dare armonia agli spazi”. “Piero Lissoni”, afferma Lorenzo Arosio, direttore di Glas Italia, “è un bravo designer, ma è ancora più bravo nell’indicare la strada da seguire alle aziende. Il fatto che lavori per molti altri marchi non ci preoccupa, anzi ci gratifica: sono prestigiose e non concorrenti. È molto bravo a dare stimoli. Abbiamo instaurato un rapporto molto elastico. A volte è lui a suggerire i nuovi designer, talvolta sono io che li seleziono, ma chiedo sempre il suo parere. Ad esempio è stato lui che ha deciso di mettere in collezione i pezzi di Kuramata; mentre Jasper Morrison l’ho scelto io con la sua totale approvazione. L’unica cosa che gli rimproveriamo è di non dedicarci abbastanza tempo!”.
Ferruccio Laviani e Claudio Luti, presidente di Kartell.
Ferruccio Laviani il ventennale con Kartell “Il rapporto con Kartell”, racconta Ferruccio, “nasce nel 1991, grazie a Rudi von Wedel. Claudio Luti cercava dei designer per la realizzazione dell’allestimento dello stand al Salone del mobile. Sono stato il prescelto. Mi sono sudato la sua fiducia. L’art direction è nata progressivamente: prima gli stand, poi i negozi, quindi i colori, i cataloghi… Ma la scelta dei prodotti l’ha sempre fatta Claudio. Ora chiede il mio parere, ma non è vincolante. Io orchestro i prodotti”.
“Tutti i mercoledì, da vent’anni, vado a Binasco alla Kartell e mi incontro con Claudio per discutere di strategie. Si è creato un rapporto anche personale: lo annovero tra i miei amici più cari”.
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“Lo giudico un imprenditore eccezionale. Sa ascoltare. Questo è un pregio ineguagliabile. Mi ha insegnato molto: proveniendo dal mondo della moda mi ha fatto vedere le cose da un’ottica diversa. Non si permette mai di dare giudizi di gusto, ma valuta le mie proposte rispetto alle necessità dell’azienda”. E quando fai il designer? “Passo anch’io sotto il tavolo delle torture, come tutti. Il mio vantaggio è che conosco dall’interno i meccanismi dell’azienda, verifico prima e non gli faccio perdere tempo. So cosa vuole e mi presento con il tema giusto. Eppure, da quattro anni sto cercando di sviluppare il progetto di una lampada che mi viene sempre bocciato!”. “Sono arrivato alla Kartell nell’88”, esordisce Claudio Luti, presidente di Kartell “Venivo dalla Versace, dove ero amministratore delegato ma non mi ero mai occupato di prodotto. Ho subito capito che per controllare la strategia dell’azienda dovevo entrare in questo ambito. Poi mi sono guardato attorno per capire gli altri aspetti: stand, comunicazione, eventi… È stato proprio per realizzare un allestimento al Salone del mobile che ho conosciuto Ferruccio Laviani. Desideravo attribuire alla plastica un’immagine più borghese e lui progettò uno stand, diventato famoso nella storia di Kartell, impreziosito da parquet, tappeti persiani e quadri appesi (li portò da casa sua). Mi piace il suo modo di rappresentare l’azienda. Chiacchieriamo e lui riesce a trasferire i miei convincimenti, facendo parlare i prodotti”. Quando Ferruccio fa il designer? “È uno come gli altri”, risponde. “Di progetti ne partono tanti. Pochi arrivano in fondo. Con lui sono concentrato sulla luce. La sua Bourgie è uno dei best seller dell’azienda. Stiamo pensando di creare un’azienda di lampade. Siamo due persone che sanno ascoltare le proprie emozioni”.
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RELAZIONI FRUTTUOSE / 15
William Sawaya
Giulio Cappellini
amichevole conflittualità “Sono arrivato in Italia”, narra William, “con la precisa idea di fare design. La mia vittima è stata Paolo Moroni. Lui ha la visione commerciale che io non possiedo. Lavorando assieme ci siamo piaciuti. Il mio ruolo è molto ambiguo e questo crea continui contrasti tra noi. Paolo mi chiede ciò di cui l’azienda ha bisogno. Io vorrei disegnare anche per altri, invece vengo etichettato come Sawaya & Moroni. Sulle scelte degli altri designer da coinvolgere non ci sono contrasti. Ci piacciono sempre le stesse persone e le stesse cose. Lui ha una testa dura come l’acciaio: vuole mantenere l’aziende piccola. Io, invece sono contrario, la vedrei meglio media. Comunque, per la nicchia che ci siamo creati funziona. Paolo è un visionario del design, ma non uno stratega aziendale”. “La Sawaya&Moroni”, controbatte Paolo Moroni, amministratore unico della società, “l’abbiamo inventata assieme. Prima ci compensavamo, ora ci divoriamo. Mi ha obbligato a fare l’azienda. L’aveva in testa sin da quando è arrivato in Italia. Io di natura sono commerciante, ma non industriale. Mi ha confinato nel ruolo d’imprenditore. E non mi ci sono ancora abituato. Ho cercato di mantenere la mia azienda piccola per gestirla in prima persona. Ho resistito agli impulsi del mercato e ai tentativi di acquisto”.
disegnare l’immagine delle aziende. Architetto, designer, imprenditore, art director di Cappellini, di Ceramica Flaminia da dieci anni, di Alcantara da due e di Superstudio Più, coinvolto nella strategia d’immagine del gruppo Poltrona Frau, Giulio Cappellini è un esempio emblematico di creativo multitasking.
“Il nostro è rimasto un rapporto familiare e come tale è conflittuale. Il conflitto si placa di fronte alle qualità che abbiamo in comune: una testarda onestà intellettuale, l’etica e la coerenza”.
William Sawaya e Paolo Moroni, amministratore unico della Sawaya & Moroni (foto di Avi Meroz).
“Ormai lavoro sempre meno come designer, preferisco occuparmi del progetto generale delle aziende. M’interessa filtrare le esigenze, cercando di conciliarle con l’immagine dell’impresa”. “Mi stimola introdurre nuovi designer. In Alcantara, ad esempio, l’obiettivo era costruire l’immagine nel settore arredo. Ho scelto di lavorare sulla materia, rivalutandone le possibili lavorazioni e chiamando vari designer a darne nuove interpretazioni. Anche quando opero per le aziende del gruppo, pur promuovendo sempre l’innovazione, cerco di preservare le diversità. Cassina deve essere moderna, Cappellini contemporanea… Essere art director di Superstudio Più mi consente di operare su manifestazioni effimere che si rivelano progetti di comunicazione molti utili a livello internazionale. Non ritengo che tra i miei vari impegni ci sia conflittualità, ma che esistano, piuttosto, delle proficue sinergie”.
Giulio Cappellini.
Previsioni future? “Penso che la piccola dimensione abbia grandi possibilità nel futuro. Ne sono così convinto che mi sento auto premiato!”.
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Ernesto Gismondi, presidente di Artemide.
Carlotta de Bevilacqua, presidente di Danese.
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Ernesto Gismondi
Carlotta De Bevilacqua
il ‘peccato’ di essere imprenditore e anche designer “Sono ingegnere, imprenditore e anche progettista”, dichiara ridacchiando Ernesto Gismondi, presidente di Artemide. “Mi posso permettere il peccato di disturbare la schiera dei miei designer, perché sono io che decido. Ad un certo punto mi è venuta voglia di disegnare e l’ho fatto, così d’istinto. All’inizio mi firmavo con un nome falso, Hallowen. Stufo di giudicare sempre gli altri, mi sono detto, ci voglio provare anch’io. E poiché un po’ di barocco l’abbiamo sempre in testa, ho iniziato con i lampadari di vetro. È importante dirsi le cose come stanno. Se dico di no, devo dare delle buone spiegazioni. I designer devono fare quello che serve all’azienda”. Chi sono i progettisti di riferimento per Artemide? “Michele de Lucchi”, risponde Ernesto, “anche se il rapporto con lui non è vincolante. Siamo amici e ci vediamo spesso. Con lui ho fatto tante regate. Anche con Sapper c’è una grande amicizia. Il progetto entra sempre nelle relazioni umane. Il grosso capitale di Artemide è il rapporto non burocratico che sono riuscito a costruire con i progettisti”. E nel futuro?
il doppio ruolo Indossi due casacche: una da designer e una da imprenditrice. Come si conciliano i due ruoli? “Sia per disegnare prodotti che per fare impresa”, afferma Carlotta de Bevilacqua, presidente di Danese, “sono necessarie competenze progettuali. Il design chiede conoscenza e cultura. La capacità imprenditoriale è una dote che si riceve in sorte: devi avere la stoffa del leader, devi saperti rapportare con le persone. Però, se fai un’impresa di design, devi capire anche i progetti. Le imprese di nicchia possono funzionare anche con imprenditori/designer”. Le sfide future? “Sono necessarie grandi visioni”, risponde.
“Fare l’imprenditore diventerà più difficile, perché i mercati si ampliano e si diversificano. Ma il rapporto umano deve continuare. Un’azienda non la può dirigere un super calcolatore!”.
“Il design è un progetto sociale, perché si occupa dell’uomo. Oggi la complessità richiede un coro di voci per dare concretezza alle visioni”. “Non indosso due casacche, ma cerco di creare una confluenza di competenze, intellettuali e tecnologiche. Anche Caccia Dominioni con la sua Azucena era un designer imprenditore. Mi riallaccio alle donne, alla loro capacità di tenere assieme realtà diverse. Oggi è necessario abbattere i recinti, accogliere idee nuove e progettisti emergenti. Bisogna dare voce alle cose, come umili monaci, lavorando in gruppo per mettere i progetti a disposizione del mondo. La Danese è una sorta di Factory, aperta ai contributi più diversi. Nel futuro il design deve essere sempre più accessibile e di lunga durata”.
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Mario Nanni fare poesia con la luce Si definisce designer, visionario e artista, ma è nato in cantiere: a 12 anni faceva già l’elettricista, mentre a sei vinse il premio per il presepe più bello della parrocchia di Bizzuno. Viabizzuno, l’azienda, appartiene ad una società. “Io”, dichiara Mario Nanni, “mi occupo del pensiero progettuale, ma faccio anche parte del consiglio di amministrazione. Il mio coinvolgimento in Viabizzuno nasce dall’essere progettista, dall’esigenza di produrre gli apparecchi per le mie realizzazioni. Mi ritengo un poeta della luce. Per potermi permettere di essere poeta sono anche imprenditore! La progettazione della luce richiede esperienza, tecnologia, artigianalità e poesia. Per fare dei buoni progetti è dunque necessario un team allargato. Nel mio gruppo di lavoro, composto da 60 progettisti, ci sono competenze diversificate. Per natura sono molto meticoloso e attento. Con i miei collaboratori, tutti molto giovani, ho un rapporto di confronto e di rispetto. Cerco di comunicare loro la mia passione per il progetto. Come progettista ho uffici a Milano, Barcellona e Londra, ma i miei ragazzi stanno tutti a Bologna. Sono sempre molto esigente e loro rispondono con entusiasmo. Questo operare corale rispecchia anche una visione di vita”.
“Nell’era della specializzazione abbiamo perso di vista il rapporto con le diverse competenze, nutrimento della mente e della mano”.
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Come affronta le sfide dei mercati globali? “Globale è una parola che mi inquieta. Credo sia necessario dare delle soluzioni di luce in grado di emozionare, senza perdere la propria identità. Perciò, bisogna imparare a trasmettere queste emozioni di luce in più lingue, restando coerenti ai principi intellettuali dei propri oggetti. Il mio sogno è di dedicarmi all’insegnamento: credo nella possibilità di trasmettere la passione. I laboratori con i bambini ad Esplora a Roma me lo confermano”.
Mario Nanni, responsabile del pensiero progettuale di viabizzuno, in una foto scattata a Roma alla mostra Cosa è per te la luce che esponeva lavori di giovani progettisti da 0 a 4 anni.
Gabriele Centazzo una forte linea guida “Della Valcucine”, dice, “sono uno dei quattro soci. Ne sono stato direttore generale, poi amministratore delegato, ora ne sono presidente. E sono anche designer. Generalmente l’imprenditoredesigner ha sempre funzionato poco. Nel mio caso, invece, funziona, perché ho creato una linea guida molto forte che ha condizionato tutte le scelte. Se si fa un parallelo con l’auto, ho cercato di mantenere in asse le quattro ruote, senza creare sbilanciamenti su quella del design”. Quanto di utopia e quanto di concretezza c’è nel suo modello?
“Oggi c’è uno squilibrio verso la tecnica che denunzia la mancanza di sogno”.
Gabriele Centazzo, presidente di Valcucine .
“Se si segue solo la tecnica, si standardizza. Deve, invece, riprendere forza il lato emozionale. Ma va evitata la presunzione di chi, avendo capacità di sogno, non si preoccupa della concretezza. Noi italiani possiamo vendere solo bellezza e creatività. Con il nostro modello di cucina De Mode abbiamo pensato a un modello accessibile nel prezzo, innovativo e agile (ha le ante in stoffa lavabili in lavatrice), riutilizzabile al 90 per cento. Erroneamente si è data al designer la libertà dell’arte, invece l’industrial designer, dovendosi occupare d’oggetti d’uso, deve andare incontro a dei vincoli. Ai designer vanno messi dei paletti che essi devono saper trasformare in opportunità”.
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Un compleanno “tondo” e, anche, 40 anni di lavoro e di ricerca nel campo del design e dell’architettura. il bilancio di una vita dedicata al progetto inteso e declinato a 360 gradi. di Federica Zanco
creatività destinata ad alimentarla – la figura e il lavoro di Antonio Citterio ben si prestano, a mio avviso, ad un tentativo di inquadramento in questo senso. E ciò non tanto con l’intenzione di definirne i limiti quanto, al contrario, per capire, con l’aiuto di un concreto caso di studio, la ricaduta generale di una formazione e un sapere professionale profondamente radicati e specifici. I tasselli che compongono la formazione di Citterio sono infatti da ricercarsi nella peculiarità della situazione italiana, dopo la faticosa ricostruzione del Dopoguerra, all’avvio di un boom economico le cui ragioni risiedono principalmente nella presenza capillare e diffusa sul territorio di piccole attività manifatturiere insieme alla continuità di una tradizione artigianale di alto
solidamente conservatrice, Antonio ricorda perfettamente la professoressa Annarosa Bernasconi, che affida ai suoi allievi un compito particolare: disassemblare, analizzare e ridisegnare le diverse componenti di due sedie di Charles Eames. Si tratta, nientemeno, che della Aluminium e Wire Chair. Ai semestri scolastici si alternano vacanze estive comunque impegnate in un utile apprendistato, svolto a Meda presso lo scultore Cesare Busnelli dove, di nuovo, Citterio disegna e modella e lavora. Non per niente, infatti, vince a diciannove anni il suo primo concorso di ‘design’, organizzato nell’ambito della Biennale di Carugo (1968), con l’ideazione di un sistema di mobili componibili in legno e lamiera, elaborato in
ntonio Citterio ha recentemente festeggiato i suoi sessant’anni di età, e circa quaranta di carriera, contando al suo attivo una quantità di progetti e realizzazioni sia nel campo dell’architettura che del design del prodotto. In particolare, ciò che colpisce di una così lunga e articolata attività, è la continuità, coltivata e conseguita con successo e mutua soddisfazione, della sua collaborazione con alcune aziende di alto livello nel contesto produttivo italiano e internazionale. Le ragioni di una tale produttività e consistenza dei risultati ottenuti sono probabilmente molteplici e giustificate sia dalle capacità e dall’approccio professionale che da un aspetto più propriamente personale e biografico, ciò che tante volte, e con più o meno ragione, viene definito come una sorta di via italiana al design. Al di là di ogni considerazione che giustifichi la pertinenza di questa espressione – oggi forse più che mai messa in dubbio dagli scambi transnazionali di un mercato globale, tanto per quanto riguarda la produzione quanto per la
livello. Non è un caso, quindi, che il padre di Antonio, Luigi, di formazione ebanista, possa vedere, già negli anni Trenta, le prime, radicali novità degli arredi esibiti dal conterraneo Giuseppe Terragni in una mostra a Meda. Delle idee innovative di quel giovane architetto, di cui conosce la famiglia, non arriva a cogliere il potenziale rivoluzionario ma, nella sua semplicità, anticipa con aplomb professionale, la futura deriva formalistica di un Moderno da lui immediatamente identificato, appunto, come un ulteriore ‘stile Novecento’. Non è un caso che Luigi Citterio avvii, a partire dalla sua attività di bottega, una piccola produzione di mobili ‘in stile’, sperando nella collaborazione del figlio per svilupparla oltre la misura artigianale, in quella Brianza che tutt’oggi costituisce una realtà industriale diffusa ed estremamente operosa. Ed è normale, quindi, che Antonio inizi fin da ragazzo a prendere in qualche modo parte al lavoro quotidiano, per lo più disegnando nelle ore libere dalla scuola, e che qualche anno dopo scelga di frequentare l’Istituto d’Arte di Cantù. Questo prevede un percorso scolastico pragmaticamente orientato ad una formazione artistica spendibile nei vari settori industriali della regione: dal disegno di tessuti alla produzione di mobili e oggetti d’arredo. Disegno e ancora disegno, modellato, scultura e pittura, qualità e tecniche dei materiali, ma nel bel mezzo di tale formazione
collaborazione con Prato e Meroni, due compagni di studi. En passant, nello stesso anno Eames viene invitato a Vimodrone dall’azienda De Padova, e Antonio non manca certo di assistere alla presentazione del maestro americano, rimanendone fortemente colpito. Seguono un paio d’anni di studi integrativi, e intanto piccoli incarichi e supplenze presso lo stesso Istituto d’Arte, e insegnamento ai corsi serali orientati alla formazione artigianale. È anzi proprio il felice incontro con un collega insegnante, Paolo Nava, che determina, nel 1970, l’avvio di un sodalizio professionale destinato a durare una decina d’anni con la condivisione di uno studio professionale a Monza. L’iscrizione, sempre nel 1970, al Politecnico di Milano, offre una prospettiva radicalmente diversa rispetto alla pragmaticità delle aspettative familiari, e delle esperienze finora affrontate. Il corso di studi universitari infatti, allora diretto da Paolo Portoghesi, si basa su di un approccio didattico principalmente fondato su aspetti concettuali, analitici e sociologici assai lontani dall’assoluta concretezza dei precedenti anni di lavoro e apprendistato. D’altro canto, le prospettive professionali di Antonio sono considerate con preoccupazione da papà Luigi, alquanto scettico su di un avvenire basato su idee meramente disegnate, che a suo avviso nessuno sarà disposto a retribuire, e certo non prima che siano state concretamente riversate
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in manifattura e trasformate in prodotti (cambierà idea, e col tempo imparerà ad andare orgoglioso di quel suo caparbio ed ambizioso ragazzo). I primi lavori sono pertanto, e comunque, assai pratici – dalla realizzazione di un plastico commissionato dalla rivista Abitare per illustrare un progetto di abitazione, alle prime commesse affidate da piccole ditte in Brianza, come lo sviluppo di un divano letto o una prima residenza per la famiglia Busnelli (B&B Italia) – lavori portati avanti sulla base di un investimento personale in termini di impegno e tempo, la cui retribuzione arriva solo nel caso in cui all’eventuale messa in produzione segua un certo successo di vendita. Eppure accade. E accade che alle prime, modeste percentuali incassate, mamma Rina chieda
favorire un primo contatto tra Antonio Citterio e Rolf Fehlbaum, amministratore dell’azienda svizzera Vitra. Mario Bellini vi collabora attivamente già dal 1979, arricchendo il catalogo dei suoi classici con il suo acutissimo, sofisticato bagaglio culturale ed estetico. Nel 1985 pertanto, l’incontro con Antonio nel suo studio di Monza assicura all’azienda il produttivo contributo di una voce diversa, più asciutta e tecnica, ma pur sempre ‘italiana’ nell’eleganza delle soluzioni proposte. Inoltre, la sua conoscenza e ammirazione per il lavoro di Eames ne fa il partner ideale per l’avvio di una collaborazione a tutt’oggi estremamente vitale ed attiva. La catteristica principale del modo di lavorare di e con Antonio Citterio può forse essere
applicazione di materiali e tecniche. Grazie alla sua articolata esperienza, infatti, Citterio è uno dei rari autori capaci di lavorare con grazia sui diversi registri di architettura, interni, prodotti, mantenendone da un lato l’assoluto controllo fino alla scala del dettaglio, e dall’altro innescando utili sinergie tra i diversi aspetti di ogni occasione di progetto. Un esempio recente e affascinante di questo atteggiamento è costituito dall’amorevole ristrutturazione della casa di vacanze di famiglia in Engadina. Questa è stata praticamente smontata e ricostruita con le necessarie innovazioni, discretamente integrate in un contesto ove nuovo e preesistente risultano difficilmente distinguibili, così come non risulta distinguibile la mano di
incredula al figlio persino conferma dell’onesta provenienza del denaro che coscienziosamente questi porta a casa. Per il giovane Citterio, che cerca di orientare i successivi passi professionali dalla Brianza al capoluogo industriale, Milano, richiamato dalla stimolante atmosfera di amici e colleghi che gravitano attorno al Centro Studi Olivetti (e non ultimo sull’ospitalità della giovane redattrice Gilda Bojardi, non ancora direttrice di questa rivista) la svolta di fatto arriva grazie al suggerimento di Ettore Sottsass a Dug Thompkins – visionario fondatore di Esprit – di conferire a quel promettente, sconosciuto architetto l’incarico di realizzare le nuove sedi dell’azienda a Milano, e poi Amsterdam, Anversa, Parigi. Soprattutto, tale occasione professionale gli consentirà, con pazienza, di passare da un tipo di attività più occasionale e individuale, ‘di sussistenza’, limitata alla realizzazione di interni e prodotti di design, alla strutturazione di un suo studio indipendente, meno provinciale, e ben più articolato. Ed effettivamente, a partire dal biennio 1984-85, il lavoro aumenta in quantità e qualità. E da qui in avanti la storia professionale di Antonio Citterio è nota. Inutile pertanto elencare cronologicamente progetti, prodotti e aziende, ma forse vale la pena di ricordare che è ancora un suggerimento generoso, questa volta da parte di Mario Bellini, a
individuata proprio nella sua capacità di identificazione con l’azienda con cui collabora. Se il design è lo strumento capace di mediare tra creatività ed economia, per farlo deve basarsi su una serie di valori condivisi, e la particolare formazione e sensibilità di Citterio gli consentono appunto di coglierli ed anzi, spesso, di contribuirvi con il suo personale, estremamente articolato, patrimonio di competenze ed interessi. Entrare in questo modo a far parte di un team di progetto incentrato sull’individuazione e soluzione di problemi logistici e tecnici, di mercato e comunicazione, senz’altro richiede tempo e lealtà reciproca, tra azienda e designer, ma allo stesso tempo consente anche di arricchire il contributo ‘d’autore’ al complesso processo di materializzazione del prodotto di design di quella componente di affinità e condivisione che riesce a travalicare la tentazione di seguire mode e segni superficiali, a favore di un investimento reciproco in termini di innovazione, qualità e tecnica. La componente estetica, che nel caso del lavoro di Citterio è innegabile, e anzi particolarmente raffinata, da un certo punto di vista deriva proprio da questo stesso atteggiamento giacché si basa su di una competenza trasversale sia per quanto riguarda i riferimenti culturali (che vanno dall’Italia dei grandi Maestri del design e dell’architettura del Novecento, ai pionieri del disegno industriale di matrice europea ed americana), che i campi di
Antonio da quella della moglie Terry Dwan, partner essenziale e irrinunciabile di vita e di un lavoro di progetto estremamente personale e minuzioso. Critico e difficile, come ben sa chiunque abbia provato, una volta, a metter mano da sé al contesto della propria privata quotidianità, teatro degli affetti che la compongono. In questa vecchia e nuova casa di montagna, il rigore algido e impeccabile cui ci ha abituati lo Studio Citterio si stempera, con straordinaria vitalità e umanità, in una miriade di dettagli ad uno ad uno pensati ed elaborati e scelti (dopo strenua e proficua lotta con Terry, se non da quest’ultima imposti con intuizione e determinazione autenticamente femminili). E non si tratta della messa in scena della sola Architettura, o del Design di determinati oggetti, destinati a rappresentare un’idea di domesticità astratta e inesistente, ma dell’elaborazione umile e paziente di quel collage di osservazioni e quindi di scelte, cromatiche e di grana, luminosità e penombra, tessuti, rivestimenti, tende, cuscini e minuzie che generazioni di architetti dei secoli passati sembravano saper integrare con naturalezza al loro lavoro, producendo quel ‘fare dimora’ che oggi sembra un’arte perduta o destinata al rango subalterno della decorazione (o esasperata assenza di decorazione) senza senso. Arte perduta forse per molti, non per quel ragazzo di Meda, Brianza, che proprio a quella si è coscienziosamente preparato e formato.
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A. 1968, Concorso Biennale (Carugo): Citterio con Meroni, Prato e il Sen. Martinelli. B. Ritratto di antonio citterio (Foto di Wolfgang Sheppe). C. 1983, antonio citterio in uno scatto di Oliviero Toscani. D. Ritratto di antonio citterio realizzato da Alberto Meda. E. 1955, antonio citterio con la famiglia (papĂ Luigi, mamma Rina e Maria Rosa). D.
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G. Disegno di una slitta per Helen. H. Ritratto di antonio citterio realizzato da Ron Arad. I. Casa a Milano (Foto Di Fabrizio Bergamo). L. Casa in Liguria. M.N.O. Casa in Engadina.
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1. Collective Tools, Iittala, 2000. in mostra permanente al Chicago Athenaeum Museum of Architecture and Design. 2. Mart, B&B Italia, 2003. 3. Residenza privata, Sondrio, 2000-2004. Foto: Leo Torri.
23. Kelvin Led, Flos, 2009. 24. Split 01, Pozzi-Ginori, 2009. 25. Centro Ricerche e Sviluppo, uffici e showroom B&B Italia, Noverate, 2000-2002. Foto: Leo Torri. 26. Flip, Kartell, 2006.
4. Bulgari Hotels & Resorts, Milano, 2001-2003. Foto: Gabriele Basilico.
27. Gioielleria De Beers, Londra, 2001-2002. Foto: Leo Torri.
5. Barvikha Hotel & Spa, Mosca, 2005-2009. Foto: Yuri Palmin.
28. K2, Fusital, 2000.
6. Uffici della Antonio Citterio Patricia Viel and Partners, Milano, 1998-2000. Foto: Gabriele Basilico.
29. Residenza privata Villasimius, Sardegna, 2003-2004. Foto: Leo Torri.
7. Uffici della Antonio Citterio Patricia Viel and Partners, Milano, 1998-2000. Foto: Enrico Pellegrini - ACPV.
30. Sede e showroom Esprit, Milano, 1984-1988. Foto: Francesco Radino.
43. Uffici direzionali, stabilimento, centro ricerche e sviluppo, wellness center Technogym, Cesena, 2002-in corso. Foto: ACPV. 44. Sity, B&B Italia, 1986. Compasso d’Oro 1987. 45. Neuer Wall, Amburgo, 2000-2002. Foto: Klaus Frahm. 46. Diesis, B&B Italia, 1979. Antonio Citterio e Paolo Nava. 47. Lignum et Lapis, Arclinea, 2008. 48. Complesso ecclesiastico, L’Aquila, 2010. Foto: Leo Torri. 49. Axor Citterio, Hansgrohe, 2005. 50. Battista, Kartell, 1991.
10. Suita, Vitra, 2010.
31. Alberghi Fiera, Milano, 2006. Concorso di progettazione per le strutture alberghiere del nuovo polo espositivo Rho-Pero. Partner di progetto: Studio Anna Giorni, Bavero & Milan Ingegneria. Rendering: ACPV.
11. Axor Citterio, Hansgrohe, 2010.
32. Lightpiece, Flexform, 2002.
53. Sede corporate del Gruppo Ermenegildo Zegna, Milano, 2004-2007. Foto: Leo Torri.
12. AC4, Vitra, 2008.
33. Centro logistico e produttivo Vitra, Neuenburg, 2007-2008. Foto: Marc Eggiman.
54. Sede corporate del Gruppo Ermenegildo Zegna, Milano, 2004-2007. Foto: Leo Torri.
34. Peter, Flexform, 2004.
55. Residenza privata, Bridgehampton USA, terminata nel 2009. Foto: Kay Wettstein.
8. Spoon, Kartell, 2002. 9. ABC, Flexform, 1998.
13. Residenza privata, Basilea, 2003-2005. Foto: Klaus Frahm. 14. Ad Hoc, Vitra, 1994-2004.
35. Q3, Pozzi-Ginori, 2004.
51. Spatio, Vitra, 1992-2006. 52. AC2, Vitra, 1990.
15. Kelvin Led, Flos, 2009. 16. Bulgari Hotels & Resorts, Milano, 2001-2003. Foto: Leo Torri. 17. RUN Personal, Technogym, 2009. 18. Complesso ecclesiastico, L’Aquila, 2010. Foto: Leo Torri. 19. Axor Citterio, Hansgrohe, 2003. 20. Mobil, Kartell, 1994. Compasso d’Oro 1995, in mostra permanente al MoMA di New York e al Centre Georges Pompidou di Parigi. 21. Kinesis Personal, Technogym, 2006. 22. Dolly, Kartell, 1996. in mostra permanente al Centre Georges Pompidou di Parigi.
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36. Asilo nido aziendale, Verona, 2004-2005. 2007 european union prize for contemporary architecture. Mies Van Der Rohe Award. Foto: Leo Torri. 37. Charles, B&B Italia, 1997.
56. 500, Pozzi-Ginori, 2000. 57. Freetime, B&B Italia, 1999. 58. Aspesi boutique, via Montenapoleone, Milano, 2006. Foto: Leo Torri.
38. Bulgari Hotels & Resorts, Bali, 2003-2006. Foto: Rio Helmi. 39. Bulgari Hotels & Resorts, Bali, 2003-2006. Foto: Rio Helmi. 40. Residenza privata, Sondrio, 2000-2004. Foto: Leo Torri. 41. Lastra, Flos, 1998. 42. Ad Wall, Vitra, 2000.
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il Collage-design di Werner
46enne, tedesco, Werner Aisslinger è portatore di un segno fresco e disinvolto, ricco di stimoli percettivi. Come la sua casa-collage di Berlino: giovane, colorata, informale. Come i suoi originali pezzi di design che fanno della dinamica sintesi tra funzioni, tecnologie e materiali un preciso marchio di fabbrica. per nomadi futuristi.
progetto di Werner Aisslinger - foto di Nicolò Lanfranchi - testo di Antonella Boisi
Werner Aisslinger ritratto all’interno dell’hotel Michelburgerhotel Berlin (di cui ha curato l’architettura d’interni e il progetto d’arredo) con la libreria books, struttura modulare fatta di libri assemblati con giunti metallici. L’area soggiorno-pranzo della sua casa berlinese, uno spazio unitario formato da ambienti comunicanti e aperti, delimitati soltanto dalla libreria su disegno integrata nella struttura muraria. Sofà di B&B Italia, lounge-chair di Charles e Ray Eames per Vitra e tavolino di servizio in metallo e vetro di Warren Platner per Knoll International, due classici della modernità. Altri complementi d’arredo sono pezzi vintage acquistati tra Berlino, San Francisco e la Francia. Dietro il sofà, un’originale rocking chair anni Cinquanta di Eames per Herman Miller (oggi nel catalogo vitra) acquistata a New York negli anni Novanta.
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li studi dove lavora sono due, uno a Berlino e l’altro a Singapore, però la base è Berlino, dove Aisslinger abita. In una bella villa del 1916 nella zona sud-ovest di Zehlendorf, quartiere residenziale di case d’epoca nel verde in prossimità dei laghi. Un piano terra caratterizzato da un’ampia bowindow sul giardino, alti soffitti con classiche modanature perimetrali di gesso bianco, parquet d’antan posato a spina di pesce. L’impianto originale è stato rispettato ma reinventato grazie all’idea di una spazialità aperta e comunicante, con stanze che si succedono in modo fluido e dinamico, vestite da una palette cromatica che si stempera con tonalità decise, dal grigio antracite al verde mela, sulle pareti trattate come fondali; e soprattutto con un arredo mix match che si impone come protagonista, tra pezzi vintage, icone della modernità e arredi contemporanei disegnati perlopiù dallo stesso Aisslinger per le
major del settore (da Cappellini a Magis, da Vitra a Zanotta, da B&B Italia a Bulthaup, da Kvadrat a DuPont, da l’Abbate a Living). Non mancano perfino reinterpretazioni di sapore poetico-romantico, nello specifico quando si è trattato di sottolineare la comunicazione diretta tra l’area-living e la camera principale tramite una partizione vetrata dagli infissi bianchi su disegno che sembra parte della casa da sempre. Oppure di riadattare su ruote il tecnologico banco-cucina in acciaio inox. O ancora di mettere in risalto la presenza del camino con la cornice sovrastante della testa di un alce imbalsamata. Niente di impersonale e algido si riflette dunque nel paesaggio domestico del designer tedesco che, al contrario, spicca proprio per la stravaganza con cui mescola segni, presenze, linguaggi, ricordi e passioni, in modo friendly. E forse con un certo fascino dell’incompiuto.
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Pagina a fianco. L’ambiente cucina con, in primo piano, il bancone attrezzato di Bulthaup sovrastato da luci a sospensione vintage di origine parigina. La parete-fondale tappezzata di immagini di ristoranti europei è un’idea di Nicola Bramigk. Sul fondo, l’angolo dedicato al pranzo con il tavolo Tulip di Eero Saarinen per Knoll International corredato da sedie Nic chairs disegnate da Aisslinger per Magis.
Nella camera da letto, il microcosmo più denso di presenze eterogenee, plus unit-trolley disegnato da Werner Aisslinger per Magis e lampada da tavolo vintage in vetro di Murano. La partizione di sapore retrò che divide l’ambiente dall’ area living è stata realizzata su disegno.
Accanto, la zona pranzo più formale risolta con un tavolo progettato da Nicola Bramigk e le sedute Juli chairs di Werner Aisslinger per Cappellini (1996). Lampade a sospensione di Louis Poulsen.
Ma, più che di incompiuto, quando attore è Aisslinger risulta appropriato parlare di flessibilità, il parametro che contraddistingue tutto il suo progetto sia di architettura che riferito al productfurniture. Basti pensare al celebre Loftcube, prototipo di cellula abitativa mobile, flessibile e modulare, pensata, inseguendo l’idea di prefabbricazione seriale, per una collocazione precisa: i tetti degli edifici metropolitani su cui la sua leggerissima struttura può essere trasportata agevolmente. “La mia risposta” spiega “all’idea di una unità-casa minimale, nella quale i nomadi delle grandi città possono ritrovare una propria intimità“. Così come la July chair disegnata nel 1996 per Cappellini (e nella collezione del MoMA dal 1998) era stata la sua risposta ad una seduta che aveva adottato, prima di altre, un nuovo tipo di schiuma integrale poliuretanica. Anche il recente progetto della
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libreria books realizzata per l’hotel Michelburgerhotel Berlin (di cui ha curato l’architettura d’interni) si colloca in modo coerente in questo percorso: è una struttura modulare fatta di libri assemblati con giunti metallici, che restituisce al meglio l’innovativo concept di un hotel low budget fatto di patchwork di stili. La nuova collezione Coral di sedute naturali ispirate alla meraviglia delle creature marine prosegue invece il filone di ricerca sulle forme e strutture del mondo naturale. “Perché per me” spiega Aisslinger “l’arredo resta una seconda pelle che integra nel suo dna lifestyle, feeling, storia, cultura quotidiana, fashiontrend e gusti personali. Così come lo scarto creativo è sempre un mix di sperimentazione empirica in termini di materiali, tecniche, tipologie”. Il suo dialogo tra emozioni e tecnologia, tradizione e innovazione, continua. Fuori e dentro casa.
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progetto architettonico di Marco e Federica Zanuso progetto d’interni di David Chipperfield Architects foto di Luca Casonato, Richard Davies testo di Matteo Vercelloni
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David Chipperfield (Londra, 1953) è protagonista di una progettualità che riduce il segno all’essenziale, nelle sue componenti fondamentali: spazio, materia, luce. Dal cucchiaio alla città. A Milano, l’architetto inglese lavora in un open space che sottolinea la straordinaria qualità di un’architettura funzionale: un granaio dell’800 recuperato e trasformato, nel quartiere ticinese.
l’area di attesa per gli ospiti. Sedute imbottite e tavolino della collezione airframe di cassina ixc, tazzine huplà di alessi su disegno di david chipperfield. punti luce Corrubedo di FontanaArte. Sullo sfondo, sedia Mirror di B&B Italia e David Chipperfield design. (foto di richard davies)
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in alto, tableware tonale di david chipperfield architects per alessi, lampada da terra tolomeo di artemide. (foto richard davies) sopra, veduta frontale di una zona di lavoro organizzata sotto il sistema di volte a vela ribassate e sostenute da monolitici pilastri di granito, memoria iconica dell’architettura originaria. lampade da tavolo tolomeo di artemide. In primo piano, modelli di concorso per il Palazzo di Giustizia di Salerno e per la Chiesa di Quarto Oggiaro, milano. (foto di luca casonato)
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ascosto all’interno dei cortili che sboccano nel Corso di Porta Ticinese l’antico edificio di vicolo Calusca è stato oggetto alla fine degli anni Ottanta di un attento intervento di recupero a cura degli architetti Marco e Federica Zanuso che, attraverso un’opera di restauro e di pulizia dalle superfetazioni avvenute nel tempo, hanno rimesso in luce la straordinaria qualità di un’architettura funzionale sostenuta da spesse murature e da pilastri monolitici di granito di Montorfano. Nonché il fascino di spazi unitari, un tempo impiegati come silos per il grano, organizzati secondo un preciso sistema di volte a
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vela ribassate in grado di sostenere i pesanti carichi dello stoccaggio dei cereali. Sottolineando la regola asserita da Aldo Rossi che quando “un edificio è ‘sano’, dal punto di vista architettonico e costruttivo, è in grado di accogliere ogni tipo di funzione”, il vecchio granaio, senza stravolgimenti strutturali e morfologici, integra brillantemente nei suoi open space sovrapposti, nuove funzioni come laboratori e studi professionali. Uno dei livelli della costruzione ospita oggi lo studio italiano David Chipperfield Architects fondato nel 2006 da David Chipperfield e Giuseppe Zampieri che, conservando il carattere unitario originale, ha organizzato, sotto le suggestive volte a vela, gli ambienti di lavoro e d’incontro, operando con un sistema di arredi su disegno che non interrompono, e anzi valorizzano, la continuità dello spazio complessivo. Tutti gli elementi d’arredo in legno di betulla o laccati grigio seguono forme essenziali e sono chiamati a suddividere le zone di lavoro, non superano l’altezza dell’incastro tra le volte e i pilastri in granito, permettendo al visitatore di cogliere nell’immediato la dimensione dell’insieme. Lungo le pareti cieche perimetrali sono stati collocati dei pannelli lignei illuminati
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dall’alto e con mensola in aggetto alla base, che si configurano come una sorta di moderna e funzionale boiserie capace di ospitare gli elaborati grafici dei progetti in corso, appesi in ordine nelle zone libere, molte volte in rapporto immediato a modelli di studio e a una selezione della scelta dei materiali collocati sul piano di appoggio corrispondente. Altri modelli di studio, di edifici realizzati o in corso di costruzione sono disposti sui contenitori e in vari punti dello studio, trasformando così lo spazio di lavoro in una sorta di esposizione in continuo divenire che crea allo stesso tempo fecondi rimandi tra i vari casi di progettazione. La caratteristica di ‘laboratorio espositivo’ si è esplicitata al meglio durante il periodo del FuoriSalone milanese, quando lo studio si è aperto al pubblico e ogni visitatore è stato libero di osservare i lavori in corso e di interpretare al meglio la filosofia di lavoro che spazia tra diverse scale d’intervento. Da piani urbanistici a progetti pubblici e privati, da interni per yacht a nuovi negozi della moda, a recuperi ed interventi su edifici storici (tra quelli esposti quest’anno il progetto di riallestimento museografico del castello Sforzesco a Milano con
aMDL e la recente soluzione per le torri dei Rivellini di Porta Vercellina e della Porta alla Ghirlanda), sino al disegno di arredi e a oggetti di design progettati dallo studio. Così non è difficile osservare liberamente similitudini ad esempio tra la disposizione ‘urbanistica’ della collezione Alessi Tableware (2008) e il movimentato quanto calibrato skyline del Palazzo di Giustizia di Salerno, in corso di costruzione, la cui fine dei lavori è prevista per l’inizio del 2012.
sopra, modello per il concorso del Piano di Recupero del Complesso di Santa Chiara a pisa. sgabelli di artek. (foto di richard davies)
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il designer giapponese naoto fukasawa ritratto al suo tavolo di lavoro. Luce a sospensione glo ball di Jasper morrison per flos, lampada da tavolo tolomeo di michele de lucchi e giancarlo fassina per artemide. in primo piano, carrello pieghevole gastone di kartell.
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progetto di Naoto Fukasawa foto e testo di Sergio Pirrone
Il giorno di Naoto Giapponese, born nel 1956, Fukasawa si propone come portavoce di una cultura asiatica contemporanea che alimenta nuove forme e nuovi linguaggi del design, dal segno purista. La sua poetica atemporale e silenziosa nasce in uno spazio bianco, minimale ed etereo, nel quinto distretto di Jingumae a Tokyo.
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il lunghissimo tavolo bianco che attraversa lo spazio disimpegnando sui lati le postazioni dei collaboratori. pagina a fianco: la zona d’incontro con collaboratori e clienti forma un tutt’uno con lo spazio di lavoro personale di fukasawa. l’ambiente unitario e bianco risulta ‘bucato’ da grandi finestre rettangolari che guardano la città verso il parco yoyogi e oltre verso shibuya. divano muku di naoto fukasawa per driade, sedie maui di vico magistretti per kartell. team di lavoro alla prova con la costruzione di modelli e prototipi nella zona dello studio dedicata a laboratorio.
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ono le 6:45 del mattino. A Tokyo, i colori del risveglio sono nitidi, puri. Indisturbato dagli umori della terra, il sole di levante si alza oltre un oceano scontroso. In primavera la sua luce è una lunga aurora, bianca che sveglia la metropoli frenetica e obbediente. Naoto Fukasawa esce da casa, a piedi, pensa: “Nonostante il risultato appaia spesso semplice, il processo per raggiungere l’obiettivo è sempre molto complesso”. Tra stradine tortuose e lunghi viali alberati di foglie e cavi d’acciaio, si dirige verso Meijijingumae, proprio di fronte al mondo a pois di Harajuku. Vita orizzontale, sciame continuo di uomini, shopping tra i due grandi assi verticali, Omotesando dori e Meiji dori. Arrampicati sulla ragnatela del Prada, le reti di rame del Louis Vuitton, i nervi tesi del Tod’s, gli occhi di Naoto puntano il
quinto distretto (chome) di Jingumae. Il suo passo è leggero e rapido, supera le tende di vetro del Christian Dior di SANAA, s’infila a sinistra, la stradina è pedonale, cinta solo da vetrine di moda, colorate e giovani, come i volti che vi si specchiano. Altri 200 metri, rallenta il passo, sosta davanti all’origami nero, l’hhstyle.com di Tadao Ando, sale le scale esterne della palazzina beige. Sono le 7:30 e lo studio Naoto Fukasawa Design è al terzo e al quarto piano. Tetti alti, lasciati nudi e bianchi, come le pareti perimetrali bucate da grandi finestre rettangolari che guardano la città verso il parco Yoyogi e, oltre, verso Shibuya. Un lunghissimo tavolo bianco seziona lo spazio, è direttrice e piattaforma per incontri attorno ai quali schizzi, modelli 3D e plastici contribuiscono alla realizzazione di un’idea. Alle sue spalle, otto designer lavorano tra e sotto grandi mensole bianche colorate di carpette, libri, vasi, suggestioni. Naoto è appena entrato nella sua stanza, i raggi del sole ancora non riscaldano. Pulisce la sua scrivania, sistema le sue carte e si disfa dell’inutile. La catarsi quotidiana lo libera dai riflussi della notte e prepara il giorno alla riunione collettiva delle 8:00. “Dico sempre ai miei designer di farsi trovare pronti ad ogni idea, come chef di un ristorante sempre muniti di coltelli e utensili da cucina”. Lo studio controlla
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percorsi e progressi d’idee diventate linee e curve, e poi forma e finalmente speranza. “Il nostro lavoro è basato sulla ricerca condivisa di forme inevitabili, che non siano neutre, ma piuttosto naturali. Più che l’oggetto di design in sé, a me interessa il suo contributo alla qualità della vita di chi lo usa”. Naoto rimane solo davanti ai suoi progetti, al suo mac sempre acceso, sempre pronto ad infilare le suggestioni di una vita in un imbuto. Quella goccia, distillato di conoscenza, d’esperienza, modificherà i gesti quotidiani di milioni d’uomini e donne. Nello studio manca una cucina, si pranza a mezzogiorno, un pasto fugace comprato di sotto. Naoto pensa a come sarebbe bello avere uno spazio domestico all’interno dello studio, due fornelli dove scaldare dei noodles e un tè da condividere con i clienti. Più tardi ne vedrà parecchi, ambiziosi di progetti e profitto. “Sono questi i momenti migliori, dove nascono quasi tutte le mie idee”. Poi crescono nello scorrere di un pomeriggio dai colori tenui, con la consapevolezza che il design non deve solo mostrarsi ma anche raccontarsi e raccontare ciò che lo ha regalato al mondo ed il perché di quella scelta. Milano ha svelato il suo Piccolo Papilio & Titikaka per B&B Italia, la serie di rubinetteria AF21 per Boffi e Fantini, il divano compatto Tomo per De Padova, lo Shelving
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System per Artek, le sedie 130 SPF per Thonet, Déjà-Vu Mirror, Tempo Cu-clock per Magis, la serie Hiroshima per Maruni, i tavoli di marmo per Marsotto, la serie N_bag per Nava, la serie ceramiche Linen per Brix, i prodotti elettronici per Plusminuszero. Oggi lui sorride, pensando che ha aperto lo studio e il suo nome al mondo appena sette anni fa. Fuori c’è ancora chiarore, si accendono le luci dello studio. La sua scrivania è di nuovo piena di fogli e progetti da riordinare. Naoto riceve infinite richieste, le valuta con i suoi collaboratori, ne accetta alcune. Saluta ed esce, riscende le scale esterne e guarda a nord-ovest. A Tokyo i tramonti sono sempre ventosi, il cielo stirato d’arancio, rosso e viola pastello sotto il celeste rarefatto. I neon, infiniti, si accendono, il fosforescente irriverente narcotizza acconciature improbabili sopra un tappeto di milioni di giovani giapponesi. Ama quest’energia proiettata verso il futuro e senza motivazioni apparenti. Naoto camminerà altri 45 minuti prima di aprire la porta di casa. Lampi di moda, strilli di gioia per l’ultima creazione dell’ultimo stilista giapponese. Nel brusio attorno, per lui si fa silenzio, Naoto pensa a cosa farà da grande. Gli piacerebbe disegnare piccole case o stazioni dei treni come fossero paesaggi. I treni e le macchine elettriche lo fanno sentire giovane.
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Arik Levy, artista industriale
Immagini dallo studio parigino di Arik Levy. Le verticali irregolari dei vasi Tubes di Bitossi, il candelabro Mistic Silver prodotto da Gaia & Gino, il sistema ufficio WorkIt di vitra e le lampade-scultura Fractal Cloud di Ldesign. Sulla scrivania di Arik, la lampada Russula di mgx-materialise, novità del salone 2010.
progetto di Arik Levy foto di Florian Kleinefenn - testo di Alessandro Rocca
È un designer (tel aviv, 1963) con un metodo di lavoro che punta all’essenziale: l’arcaico e il tecnologico, mixati ad arte, raccontano di una dinamica creativa che mescola memorie di cultura materiale e tecnologie di produzione industriale. La restituisce in modo emblematico il suo studio di design di Parigi.
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n principio era il sasso, la pietra, il concentrato basico di peso, materia e forma. Sembra partire da qui, il design di Arik Levy, ma anche da altre origini e, forse, da esperienze e affetti di segno opposto. Per esempio, dalla sua passione per il surf, che rappresenta l’esatto contrario: la leggerezza, la fluidità del movimento,
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l’energia mobile e volubile dell’onda che sospende la gravità e regala l’illusione effimera del volo. L’altra tensione che attraversa gli oggetti di Levy è quella che si stabilisce tra le tecnologie e le immagini contemporanee e un’idea dell’antico molto forte e molto vicina. Una memoria viva che affonda le sue radici nel cuore della cultura materiale del nostro universo mediterraneo, d’altronde Arik è nato e cresciuto a Tel Aviv. Così, in flashback, riemergono dalla profondità della storia i materiali archetipi della cultura artigianale senza tempo: la pietra, il ferro, la terracotta, che si traducono nei processi produttivi reali, di oggi, industriali, che traducono i bagliori di queste memorie in oggetti realizzati.
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Nello scaffale prototipi e maquette, tra cui la lampada da tavolo Need di ldesign, un prototipo del candelabro Mistic silver e uno studio del fruit bowl BlackHoney, prototipi di abat-jour, la lampada a sospensione Pyx di ligne roset e la scultura Light Basin di ldesign. In primo piano, lampada a stelo Miss Light di confidence & Light.
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Nell’open space, lampade-scultura Fractal Cloud di ldesign, a sinistra il candelabro in cristallo Kaz (di Gaia & Gino), dentro il sistema di scaffalature Fluid (di desalto). Al centro fruit-bowl BlackHoney di mgx materialise e, a destra, un modello in scala ridotta della libreria sh05arie prodotta da e15. Nella sala riunioni, luce a sospensione Octopuss di ligne roset, tavolo WorkIt di vitra e sedia impilabile Duetto di softline. Nell’altra pagina, in alto a sinistra la galleria con il lampadario Wire di Ldesign e il sistema di contenitori per ufficio Storage di Vitra. a destra, l’ingresso, con la scultura sospesa Rock Canopy e i vasi scultura Reflection di ldesign, il lavoro artistico in metallo Revolution of the Species di Pippo Lionni (alla parete), il camino Fire di planika, la cinghia lega riviste Bookstool e il tavolo-vaso Maya 40, entrambi prodotti da eno. In basso, la seconda galleria con le sculture Rock Black e Rock Mirror appesa alla parete. A destra, il tavolo scultura Rock small, la scultura Personality Disorder bench, il lampadario-scultura Crisis carlight e, a terra, il vaso scultura in legno di sequoia 17 Vws, tutto realizzato da ldesign.
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Pensare e progettare attraverso i procedimenti e le tecnologie industriali introducendo, o piuttosto ricostruendo e reinventando, la ricchezza semantica e un tempo percettivo e operativo più ampio e profondo, tipico del lavoro artigianale. Per esempio, la pietra è un’idea di riferimento, un concept che si concretizza anche attraverso materiali completamente diversi, come la griglia metallica, la lamiera o il cristallo. L’ossessione della roccia, che sia il monolite isolato oppure disposto in coppia o in gruppo, si ripete in occasioni e scale diverse, dagli oggetti di arredo alle installazioni e alle opere di scultura. Rock Grid, Rockshelves, Micro Rock, Rock Mirror, Rock Cell, Rock Wood, No Rock, Rock Library, sono altrettante variazioni di un tema ossessivo che, a Milano si è manifestato con Giant Rock, il sasso-scultura in acciaio lucidato a specchio, due tonnellate e mezzo di peso, realizzato da Marzorati Ronchetti per Green Energy Design, l’evento di INTERNI al FuoriSalone 2008. Gli oggetti che popolano lo studio parigino sono una rappresentazione efficace di un’immaginazione in cui convivono due epoche e due mondi diversi: quello contemporaneo, industriale e internazionale, dove i segni e le tecniche sono intercambiabili e navigano liberi attraverso il métissage di culture e linguaggi, acquistando valori e funzioni temporanee e soggettive. E quello antico, lento, stabile, dove gli oggetti racchiudono e mostrano il tempo del lavoro,
la cultura e il luogo di provenienza, e dove forme e usi sono leggi consolidate a cui l’oggetto corrisponde con esattezza, dove qualità e durabilità vincono sull’invenzione e sulla ricerca formale. Le qualità sculturali di Levy si ritrovano nelle novità dell’ultimo Salone di Milano: Pattern, la serie di mobili outdoor per Emu, sedie e tavoli coloratissimi formati da una superficie continua forata al laser; i tavoli e le sedie per Molteni; i tavolini Maxit e Mixit per Desalto; il pannello ‘acustico’ prodotto da Viccarbe e la panca-giardino per Flora. In Confessions, installazione realizzata quest’anno a Parigi e per il Fuorisalone milanese, allo Straf Hotel, dove la forza iconica dei solidi geometrici ha acquistato un accento di insolita e allegra ironia.
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Veneziano, classe 1976, Luca Nichetto è testimone di un approccio al progetto che parte dalla sperimentazione sul campo, con materiali e tipologie precise, per recuperare il valore di un’alta artigianalità in grado di nobilitare la produzione seriale. L’abbiamo incontrato nel suo studio di Porto Marghera, l’isola portuale di Venezia.
progetto di Luca Nichetto - foto di Roberta Angelini - testo di Antonella Boisi
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a Venezia, tradizionale porta d’oriente, al mondo intero. Giovane, anagraficamente parlando, Luca Nichetto appartiene alla seconda generazione di progettisti che hanno fatto grande il made in Italy. Cresciuto lontano dai fertili circuiti produttivi della Brianza e dalle ‘dinamiche’ della capitale del design, negli anni maturi del boom economico, oggi collabora anche con autorevoli aziende internazionali. Il segreto del suo networking? “Sembrerà strano, ma la mia fortuna è di essere nato proprio a Murano, dove già da bambino respiravo il profumo di fornaci e spazi industriali” riconosce Luca Nichetto, tra i designer italiani più riconosciuti all’estero. Sarà che il suo percorso, a partire da una personale passione per il vetro soffiato, l’ha portato, a soli 34 anni, già molto lontano. Ma resta il fatto che operare in un microcosmo fertile al germoglio di tradizione e innovazione, artigianato e tecnologia insieme l’ha aiutato a portare avanti un design di sensibile dialogo con le aziende, di attenta ricerca materica, di
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nichetto, veneziano mix tra ponderata plasticità e accuratezza dei dettagli, ferma restando la rispondenza funzionale a un’idea, mai un concetto fomale o stilistico. Tant’è che Nichetto ha mantenuto stretta la connessione con il suo territorio d’origine e quando ha consolidato la collaborazione con Foscarini e Kristalia, circa sei anni fa, ha trovato ’casa’ all’isola Portuale di Venezia, Porto Marghera, nell’ex stabilimento di proprietà statale Vetrocoke Azotati, dove si lavoravano – guarda caso – scarti di produzione industriale in vetro. Un indirizzo simbolico se riferito a una zona della città oggi in fase di radicale trasformazione e rinnovamento in parte già attuata con la realizzazione del vicino parco scientifico Vega. Lo studio di Luca occupa l’ultimo piano dell’edificio costruito nel 1932 e diventato nel frattempo sede degli uffici della dogana ma anche di loft occupati da creativi, architetti, designer e stilisti. Spazi alti sei metri, uno scheletro in cemento, il classico reticolo di pilastri, travi e capriata centrale, gli hanno suggerito di conservare al grezzo pareti e soffitti originari e di segnare in modo chiaramente distinto il nuovo. Quale il soppalco che, ottimizzando le dimensioni dello spazio, trova in una scala industriale di recupero, la possibilità di collegare la nuova area dedicata agli incontri-riunione intorno al grande tavolo con quella sottostante, articolata in
due zone comunicanti, all’interno di un open-space flessibile e adattabile secondo necessità. La zona operativa, fatta di tavoli riuniti in un’unica isola attrezzata di computer; e l’altra dedicata alla prototipazione e alla realizzazione dei modelli. “Non c’è volutamente separazione tra i due ambiti” spiega Nichetto “perché mi piace verificare ogni fase del progetto, controllando tutti i dettagli“. All’interno di questo arcipelago essenziale e spartano, pochi sono stati i materiali adottati: tavolato di legno sopra e gettata di cemento sotto per i pavimenti, intonaco bianco per le pareti. Pochi anche gli arredi, perlopiù scelti tra suoi prodotti o prototipi. “È una struttura snella, funzionale ad accogliere oltre me altri due
esterni del building che ospita lo studio di luca nichetto a porto marghera. un ritratto del designer. dettaglio della collezione di vasi ESSEnce disegnata nel 2009 per bosa, handmade in italia con venini. l’area d’ingresso segnata da Hook Box per Bosa; prototipo della sedia Robo per Offecct; Vasi per Salviati e Carlo Moretti; ciotole Mirage per Fratelli Guzzini; parete divisoria Maria per Casamania, tutto design luca nichetto.
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pagina accanto: una zona espositiva con, in primo piano, la lampada Gea, disegnata per Foscarini in collaborazione con gianpietro gai.
designer, un’assistente che si occupa dei rapporti con l’esterno e uno stagista a rotazione che preferibilmente scelgo straniero perché il confronto con altri approcci, esperienze e culture resta per me fonte di arricchimento. D’altronde la nostra università ‘sforna’ senza selezione, mentre all’estero è necessario mostrare un portfolio e attitudini concrete, quindi è diversa la voglia di fare e di imparare dei giovani. Anche per me, se fossi cresciuto a Milano, sarebbe stato più complicato. Ricordo ancora, quando studente, ho bussato alla porta di Salviati (una realtà dove gravitavano personaggi del calibro di Ingo Maurer, Tom Dixon, Ross Lovegrove, Anna Gili) con la mia cartellina di disegni frutto di un anno di lavori all’Istituto d’Arte di Venezia. C’era Simon Moore art director che mi disse: ti compro tutta la cartellina ma non realizzo nulla. Posso però insegnarti come si organizza un brief, quali sono le tecniche di produzione... è stata la mia palestra”. Dopo ‘il varo’ della collezione di vasi Mille Bolle diventata un best seller, si sono aperte altre porte. L’ultimo anno dell’Università, Nichetto frequenta uno stage da Foscarini: è un’ ulteriore occasione di crescita, perché inizia a misurarsi con materiali differenti dal vetro e con differenti tipologie di prodotto. “Dopo tre anni di mie proposte e di altrettanti no motivati da parte dell’azienda, è nata la lampada O-space diventata un altro best seller”. A questo punto il nostro si dà nuovi obiettivi di credibilità che corrispondono ad altrettante collaborazioni progettuali. Con Kristalia, con Italesse (anche nel significativo ruolo di art director), con Moroso, Skitch, con la svedese Offecct (per la quale disegna la sedia eco-friendly Robo) e con l’inglese Established & Sons. Il palcoscenico internazionale gli offre la possibilità di notare la differenza tra le dinamiche messe in atto dalle aziende straniere ed italiane: “le prime” racconta “sono strutturate per traghettare con programmi a
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il tavolo-isola intorno al quale si svolge il lavoro dei collaboratori all’interno dello spazio originario ancora segnato dai soffitti grezzi. dettaglio di un’altra zona dello studio. la zona per le riunioni organizzata nel soppalco con il Tavolo Gem disegnato per Krios Italia circondato dalle sedie Vad per Casamania. luci a sospensione o-space disegnate nel 2003 per foscarini in collaborazione con gianpietro gai. sotto: modellini, prototipi, cartoni e campioni di materiali arredano il cuore creativo del laboratorio all’interno dello studio.
medio-lungo termine verso nuovi traguardi; quando inizi un progetto ti trovi all’interno di un ingranaggio e sai esattamente dove andrai; le nostre, invece, spesso a conduzione familiare e più dinamiche, non disdegnano di introdurre il parametro ‘mi piace’ riferito a un oggetto o a una collezione, indipendentemente dal fatto che possa funzionare in un momento storico. Se il settore sta risentendone, forse una causa è anche questa, che riflette un po’ la natura del lavorare per stare bene il giorno dopo. Un’altra causa di logorio è sicuramente rintracciabile nel fatto di non riuscire a fare gruppo-sistema per affrontare il lavoro in modo corale, responsabile e analitico. D’altronde in Italia e in Inghilterra il design resta un fenomeno per pochi, mentre una realtà come IKEA non poteva che nascere in Svezia”. Tra i progetti più recenti, Nichetto annovera una serie di piastrelle in gres porcellanato per Refin Ceramiche che giocano sulla reinterpretazione dell’effetto naturale-artificiale delle superfici. Nonché una collezione di vasi per Venini che rivisitano il concetto di ‘pelle’ in vetro opalino: “un omaggio” conclude Nichetto “alla tradizione culturale della Serenissima e il coronamento di un sogno coltivato fin da bambino”.
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Wanders: Il piacere dell’ornamento
Olandese, classe 1963, Marcel Wanders rappresenta un punto fermo nella messa in scena di un mondo fantastico, poetico e onirico, fatto di segni ‘neobarocchi’. I suoi arredi e spazi richiamano l’unità stilistica dell’Art Nouveau, ma senza nostalgia: è il trionfo dell’illusione, la seduzione del perdersi per ritrovarsi nella dimensione meravigliosa dell’esperienza sensoriale. Come in questo interno domestico di Amsterdam. progetto di Marcel Wanders - foto courtesy Marcel Wanders studio - testo di Alessandro Rocca
Sulla terrazza e Nelle camere da letto, i vasi in marmo di Carrara Sid, della serie Topiary, Marcel Wanders Personal Edition, presentata al Salone milanese nel 2007. La sala da pranzo, con la decorazione esagonale del pavimento ripetuta sul soffitto e il decoro floreale della tappezzeria della serie Topiary. Arredi di Wanders: lampada a sospensione Skygarden, di Flos, sedie Carved Chair di Moooi e divano di Moroso.
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arcel Wanders è il giovane sciamano del bello irriducibile, della molteplicità di segni e di decori neoromantici sospesi tra bizzarria avanguardista e un ritrovato gusto della luce e dell’ombra, del vero e dell’apparente. La favola, il sogno, il gioco di parole e altre matrici creative di origine surrealista sono alla base di invenzioni sorprendenti e spiazzanti, in cui le geometrie e le proporzioni del design moderno si arricchiscono di nuove texture, di nuovi valori materici e tattili. Il suo motto potrebbe essere: “la vita è sogno”, un sogno meraviglioso, un universo luccicante di magnifici riflessi, di immagini delicate, ma non prive di una sorridente sfrontatezza, avatar
benevoli che sembrano sul punto di svanire. Droog Design, incubator di strategie pragmatiche, concettuali e radicali, espressione coerente di un Paese a trazione modernista come l’Olanda, non sembrerebbe l’origine naturale di una personalità come Marcel Wanders che, dopo aver onorato Droog (in olandese vuol dire dry, secco) con la Knotted Chair di cime annodate (oggi nel catalogo di Cappellini) ha virato verso tutt’altri orizzonti, puntando al mondo della figurazione. Nel 2000, dalle due “o” è passato alle tre di Moooi (in olandese: bello), un laboratorio (di cui è cofondatore e direttore artistico) che transita la creatività libertaria di Droog nei seduttivi paesaggi dell’edonismo wandersiano.
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Gli interni sono completamente rivestiti da tappezzerie e boiserie di Wanders. Con la piccola scrivania a muro, lo sgabello Ken e lo specchio Paris, questi ultimi entrambi di produzione Quodes. Nella sala da bagno ancora lo specchio Paris, in versione nera; il lavabo e il grande mosaico sono disegnati da Wanders per Bisazza.
Wanders si rivolge all’emozionalità, alla sensorialità, al piacere del gusto, e riporta l’ornamento al centro del progetto, come nei disegni “Wanders” per tessuti, tappezzerie, tappeti e mosaici. Un’azione veloce e spregiudicata che corre tra il contemporaneo e i riferimenti del passato. Che non sono utilizzati come citazioni colte e ironiche, alla maniera postmoderna, ma come fattori decisivi per la qualità e per l’appeal dell’oggetto. Come nel recente United Crystal Woods, le “foreste di cristallo” disegnate per Baccarat con maestosi candelabri, vasi scultorei in edizione limitata, bicchieri da degustazione e caraffe di barocca sensualità. All’ultimo Salone Wanders ha presentato molte novità che spostano ancora più avanti i confini dell’ibridazione e del pastiche. Verso il Pop, come nella trasparenza esuberante di Sparkling Chair e nel traforo di Cyborg, entrambi di produzione Magis, nel luccichio dei piedi luminescenti di Cinderella, letto prodotto da Skitsch, e nei tavoli e nelle sedie presentate da XO, caratterizzati dal
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violento contrasto tra le ipertrofiche modanature barocche e le gambe o gli schienali trasparenti. Non mancano anche progetti più sobri che riproducono la tecnica del bassorilievo, come la elegante sedia Venus per Poliform, con la scocca lievemente incisa da un pattern floreale, e la lampada a sospensione Skygarden, di Flos, con un riflettore decorato da motivi di ispirazione classica e realizzato in gesso grezzo, un materiale che rende la luce morbida e accogliente. Il progetto di architettura di interni recentemente realizzato ad Amsterdam è una preview del paese delle meraviglie di Wanders: una messe di decori in atmosfere che comprendono sia l’incanto fiabesco di Lewis Carroll che l’onirico freudiano alla Salvador Dalì. Un concentrato di forme e segni che possono evocare, a seconda dello sguardo, le fonti e le memorie più diverse. Interni che ricreano una realtà favolosa, accogliente e magica. Illusionismo barocco nella ricchezza degli effetti speciali, nella volontà seduttiva dei dettagli, dei materiali e dei colori.
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Matrimoni all’italiana di Rosa Tessa
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Tredici modi di essere ‘coppia’. Ventisei visioni sul mondo del progetto. i designer e gli industriali del made in Italy raccontano come si sono incontrati e perché non si sono più lasciati. Gli ingredienti? Affinità elettive, sintonia culturale, simpatia personale, stima professionale. Un dialogo, a volte acceso, ma sempre aperto al confronto. Tutto, con un guizzo visionario.
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Shin Azumi con Romano e Dario Marcato Giappone e Italia, coupe de foudre
“Shin e Tomoko Azumi” raccontano Romano e Dario Marcato, titolari di Lapalma, “si sono presentati da noi nel ’97, durante il Salone del mobile a Milano. Il loro progetto ci piacque e cominciammo a lavorare insieme. Da lì in poi ci hanno affiancato, prima in coppia – erano marito e moglie –e poi ognuno per conto proprio, essendosi separati. Il primo loro lavoro Overture, una piccola libreria, aveva dietro di sé una bella idea. Ed è questo che ci piace dei loro progetti: hanno sempre un’anima. Il pezzo più importante? Lo sgabello Lem: è nato bello. La sua semplicità comunica tante emozioni”. Il designer giapponese Shin Azumi ha una profonda sintonia con i due imprenditori. “Tanti anni fa”, racconta, “Lapalma mi colpì per una serie di mobili multifunzionali, molto intelligenti. Proposi la mia idea e capirono subito il mio modo di pensare. Condividiamo il significato del design, gli diamo lo stesso valore, e amiamo la semplicità. Lem è il prodotto che, meglio di altri, esprime l’entusiasmo che provo nella ricerca di nuovi materiali”.
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In alto: Shin Azumi. Sopra: sgabello Lem, 2000; A sinistra, Romano e Dario Marcato, titolari di Lapalma. sotto, Ap chair, sgabello in multistrato curvato, 2010.
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Carlo Bartoli con Franco Dominici Quelle attenzioni culturali
Ogni progetto come fosse il primo
Racconta Franco Dominici, presidente di Segis: “Il mio rapporto con Bartoli è iniziato nel ’91 quando volevo dare una diversa connotazione alla mia produzione di arredi. Carlo non ha accettato subito la collaborazione. Non gli piacevano i prodotti che facevo. Mi disse ‘bisognerà far nascere un’altra Segis’. Il primo prodotto che abbiamo realizzato, la sedia Breeze, ha avuto una fortuna sfacciata. Ne abbiamo venduti 1,5 milioni di pezzi. Nel frattempo, sempre sotto la sua direzione artistica, la collezione si è ampliata. Sono passati vent’anni dall’incontro con Bartoli e il matrimonio continua. Oggi godiamo e soffriamo insieme per le difficoltà di questo mercato”. Su cosa si fonda un buon matrimonio professionale? “Bartoli è un uomo che oltre ad essere molto tecnico – conosce bene materiali e tecnologia, faceva il modellista all’inizio della sua carriera – si è avvicinato al mondo commerciale e sa fare prodotti vendibili”. In questo momento, cosa può fare un progettista per le aziende? “Affrontare il mondo del design con prodotti aggiornati nella tecnologia e nel rapporto qualità-prezzo. Oggi la sfida è grande. Noi la fronteggiamo con l’imbottito disegnato da Carlo e Anna Bartoli e con una sedia molto tecnica e innovativa fatta da Giancarlo Piretti, padre della famosa Plia, con cui vogliamo battere la concorrenza cinese”.
in alto, lo studio Bartoli design: Carlo Bartoli con i figli Anna e paolo. A destra, Franco Dominici, titolare di Segis. sopra, sedia Breeze, 1995. A sinistra, Flores, seduta a isola per contract, 2010.
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foto Santi Caleca
Cominciano a frequentarsi nel ’91, ma è tre anni dopo che il rapporto tra Carlo Bartoli, 76 anni, e Franco Dominici, 69 anni, proprietario della Segis, diventa ufficiale. L’unione tra i due viene consolidata con la nascita della sedia Breeze, messa a punto dopo una lunga gestazione fatta di dialoghi serrati e confronti faccia a faccia. Ricorda Bartoli: “Negli anni Novanta la relazione tra art director e azienda era più semplice, basata sullo scambio non solo di informazioni, ma anche di ‘attenzioni’ culturali. Franco Dominici, quando venne a trovarmi, voleva acculturare Segis e entrare nel mondo del design che io conoscevo bene anche dal punto di vista della produzione. Dopo un paio d’anni abbiamo stabilito un rapporto di direzione artistica che continua tutt’ora attraverso Bartoli Design, lo studio che gestisco insieme ai miei figli Anna e Paolo”. Bartoli ripercorre gli esordi professionali di Franco Dominici:“È, per molti versi, una storia americana . Da giovane fece la scuola alberghiera. Andò in Inghilterra per imparare l’inglese, in Francia a fare il cameriere per poi diventare proprietario di più di un ristorante. Tornò in Italia e ricominciò tutto daccapo. Si accostò al mondo della produzione di oggetti con i quali realizzava grandi forniture in Inghilterra e in America. Quando l’ho conosciuto produceva mobili che non mi piacevano. Non ero certo di voler collaborare con lui. Ero scettico. Ma, provammo”. ”La sedia Breeze” prosegue Bartoli, “realizzata nel ’95 fu un grande successo e i nostri rapporti si strinsero”. Il segreto di un’unione solida e fertile? “Condividere tutto con l’azienda”, risponde, “anche le strategie commerciali e comunicative”.
Giuseppe Bavuso con Davide Malberti
“I fattori che garantiscono la solidità del nostro rapporto sono sicuramente l’intesa e la fiducia. Condividere obiettivi, ambizioni e progetti a lunga scadenza è la chiave di volta”. Il concetto è espresso dall’architetto Giuseppe Bavuso e pienamente condiviso dall’imprenditore Davide Malberti, a capo dell’azienda Rimadesio, ai quali è stato chiesto di parlare del loro sodalizio professionale. Alla risposta che hanno dato c’è da credere, visto che il loro matrimonio professionale va avanti dall’86. “L’incontro, come succede il più delle volte nella vita”, raccontano, “è avvenuto per caso e la simpatia reciproca è stata immediata”. Hanno iniziato a lavorare insieme in un momento di grande cambiamento per entrambi. Rimadesio da produttore di complementi d’arredo stava diventando azienda di porte scorrevoli e di pareti per separare gli ambienti. Bavuso stava aprendo il suo studio di progettazione. Così successe
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a sinistra, Giuseppe Bavuso con Davide Malberti (a destra), amministratore delegato di Rimadesio. Sotto: Abacus Living, sistema boiserie attrezzabile per la zona giorno, 2010; il sistema di porte scorrevoli Siparium, 1992.
Rodolfo Dordoni con Roberto e Renato Minotti Senza compromessi
foto Ramak Fazel
quello che spesso capita alle coppie del design italiano, che il primo prodotto, nato dopo un lungo e meditato parto, diventi un best seller. È il caso di Siparium, un sistema di porte scorrevoli che rimane ancora oggi il più venduto di Rimadesio. “Altro elemento fondamentale in un’unione professionale”, aggiungono, “è mettersi sempre in discussione e fare ogni nuovo progetto come fosse il primo, ripartendo da capo”. Sono entrambi d’accordo che, per restare insieme per oltre vent’anni, bisogna saper rispettare i ruoli di ognuno. “Le nostre discussioni sono anche animate, ma l’obiettivo è comune: trovare la soluzione migliore per l’azienda”. La sfida che state affrontando in questo momento? “Scoprire nicchie di mercato nelle economie emergenti e realizzare forniture per uffici, negozi e hotel”.
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Il primo incontro con Rodolfo Dordoni, voluto e cercato da Roberto e Renato Minotti, a capo dell’azienda omonima, risale al ’96. È stata una scelta che ha segnato una svolta importante nella storia della società, l’inizio di una nuova ‘stagione’. Non volevano essere identificati solo come produttori di imbottiti ma affrontare il mercato con soluzioni d’ambienti. “Abbiamo pensato ad un designer che riuscisse a lavorare sul dna dell’azienda, arricchendolo, senza snaturarlo, e lo abbiamo trovato in Rodolfo Dordoni”. “Minotti”, commenta l’architetto Dordoni, “aveva un potenziale interessante e molta attenzione alla qualità. Roberto e Renato, sin dall’inizio, mi hanno dato subito una grande fiducia facendomi lavorare in autonomia, senza compromessi. E poi in azienda non c’era stato nessun progettista prima di me, per cui c’era un terreno vergine che mi stimolava a trovare una
nuova chiave di lettura, che è stata quella di non ragionare sul singolo prodotto, ma in termini di collezione, di design totale”. Un valore condiviso da tutti e tre è il made in Italy. “Cerchiamo”, raccontano gli imprenditori, “di riaffermarlo in ogni collezione attraverso la ricerca dei materiali, la scelta dei tessuti e il valore dei nostri artigiani. Riuscire a innovare, con uno sguardo alle proprie origini, è un elemento fondamentale. E l’attenzione al dettaglio continua ad essere la risposta migliore alla sfida competitiva internazionale”.
in alto, da sinistra: Rodolfo Dordoni; Roberto e Renato Minotti, titolari di minotti. a lato, Brooks, poltroncina della collezione Senza Tempo, 2010.
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Sotto: Massimo Iosa Ghini ed Edi Snaidero (a destra), amministratore delegato e presidente del gruppo snaidero. In basso, E-Wood, cucina in rovere trattato termicamente, 2010.
Massimo Iosa Ghini con Edi Snaidero Coppie sostenibili
James Irvine con Costanza Olfi e Mario Marsotto Il marmo ha i piedi per terra
“Cosa mi piace di Massimo? È un professionista meticoloso che quando progetta non si limita a tirare qualche riga, ma lavora sulla sostanza, su quello che sta dietro le forme, e nello stesso tempo dà un servizio completo all’azienda”. Bastano poche parole a Edi Snaidero, amministratore delegato e presidente del gruppo omonimo per spiegare il sodalizio professionale con Massimo Iosa Ghini, un vero e proprio ‘fidanzamento ufficiale’ che dura da circa 15 anni. Primo segno tangibile di questo lungo rapporto è la Gioconda, un modello di cucina che, realizzata all’inizio della loro collaborazione, dopo un restyling di qualche anno fa rimane ancora oggi uno dei best seller di Snaidero. Aggiunge l’imprenditore: “La cucina è un ambiente complesso di cui, in fase progettuale, va valutato molto bene l’aspetto tecnico e Iosa Ghini su questo fronte è bravissimo. È stato uno dei primi a progettare con sistema Cad”. E-Wood, il modello-novità di quest’anno, riconferma l’unione tra l’azienda ed il designer e
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rappresenta l’inizio di un nuovo corso progettuale, basato sulla ricerca di materiali a basso impatto ambientale dove il legno diventa l’attore principale. “Negli ultimi due anni è cambiato tutto nel mercato”, spiega Snaidero. “L’obiettivo di quest’ultimo lavoro con Iosa Ghini è realizzare un design attento alla sostenibilità, sia ecologica che economica. Non è più ammissibile un prodotto che abbia in sé elementi ‘superflui’ e non percepibili. Oggi bisogna progettare con un grande senso etico, con attenzione al processo produttivo e gestionale. Bisogna fare un progetto pensando a tutta la filiera produttiva e distributiva. Ma siccome non è possibile che un designer possa controllare direttamente tutti questi aspetti, per realizzare un prodotto sia bello che sostenibile risulta fondamentale il dialogo con l’azienda”. Ribatte Iosa Ghini: “La relazione tra progettisti e aziende è molto cambiata. Qualche anno fa gli imprenditori avevano bisogno della ‘firma’, del ‘segno’ dell’architetto, adesso il rapporto è strategico. Con Edi siamo complementari. Io ho una personalità ideativa: non essendo interno all’azienda porto elementi di ‘incoerenza’, proprio per questo innovativi”. Mentre Iosa Ghini tenta di definire questo rapporto di lunga durata, sottolinea quanto sia affascinante e carico di significati andare a dialogare con Edi Snaidero nello stabilimento che, situato in una valle prealpina, in quel di Majano, in provincia di Udine, fu costruito su progetto di Angelo Mangiarotti negli anni Settanta. “Si respira aria mitteleuropea”, spiega, “di apertura verso il mercato e verso la cultura del progetto”.
Galeotta fu Marmomacc, la rassegna sul marmo di Verona. James Irvine e l’azienda Marsotto si sono incontrati in quell’occasione, un paio d’anni fa. Avrebbero dovuto, semplicemente, lavorare insieme per un progetto destinato a quell’evento fieristico, ma da allora non si sono più lasciati. Irvine è diventato l’art director di Marsotto Edizioni, la prima collezione di complementi in marmo della società che, da sempre fornitrice di piani in marmo per conto terzi, due anni fa ha intrapreso la strada di produttore in proprio e l’anno passato ha lanciato sul mercato la prima collezione. “Ho cominciato a lavorare con Marsotto”, spiega il designer londinese, italiano d’adozione, “perché sono stato attratto dalle sue capacità artigianali nella lavorazione del marmo, ma anche perché fra me e i proprietari è scattata subito una grande simpatia”. Costanza e Mario Marsotto, quarantenni, a capo dell’azienda, hanno provato un feeling immediato con Irvine. Spiegano: “La nostra sfida imprenditoriale, in questo momento, è rendere contemporaneo il marmo con oggetti leggeri e multifunzionali. Abbiamo deciso di affrontarla con James perché ci
in alto, James Irvine. A destra, Costanza olfi e Mario Marsotto titolari di Marsotto edizioni. Accanto, toni, tavolo in marmo, 2010.
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Alfredo HÄberli con Renato Stauffacher La sfida svizzera al design italiano
piace il suo tratto essenziale e pulito e perché tra noi c’è grande intesa. Sa trasmettere a tutto il gruppo molta energia”. Ribatte Irvine: “Oggi per collaborare con le aziende bisogna avere i piedi per terra. Non basta presentare novità e pezzi d’avanguardia: lo fanno tutti. Ci vogliono progetti più classici e concreti”. Come quello che l’art director di Marsotto Edizioni ha fatto con la collezione di quest’anno a cui hanno partecipato Konstantin Grcic, Jasper Morrison, Maddalena Casadei, Naoto Fukasawa e Thomas Sandell, consacrando definitivamente l’ingresso dell’azienda nel mondo del design.
Tutti e due sono molto curiosi di conoscere e sperimentare nuovi materiali. “Ogni volta che lui viene a trovarmi in Italia carica la sua auto di materiali per osservarli e parlarne insieme”, spiega l’architetto Renato Stauffacher, 59 anni, amministratore delegato di Alias, parlando del designer Alfredo Häberli. E poi, elemento non trascurabile, sono entrambi svizzeri: “La nostra”,
dice, “è la sfida elvetica al mondo del design che è tutto italiano”. “Abbiamo una visione comune, la passione per il progetto e l’attenzione per il prodotto di ‘sostanza’, come è stato il Sec, sistema emozionale componibile, il primo progetto fatto da Häberli per Alias”. La sfida attuale per l’amministratore delegato è mettere a punto prodotti e collezioni che abbiano nuovi materiali e funzioni d’uso. “Credo che oggi i designer debbano fare una scelta più selettiva delle aziende con cui lavorano. Per dare un carattere al design non si può fare tutto per tutti”, aggiunge Alfredo Häberli e racconta come ha incontrato Renato
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Stauffacher. “Nel ’95 aprii il mio studio in Svizzera. Un giornale lo fotografò, Renato vide quel servizio e gli piacque il fatto che era pieno di materiali. Venne a trovarmi e cominciammo a lavorare insieme. Da allora, il nostro dialogo è sempre stato trasversale all’architettura, all’automobile, al design. Fondato sempre sul rispetto delle reciproche conoscenze. Per Renato è stato molto importante parlare con me nella sua lingua originale, il tedesco, che lo riporta all’infanzia. Stauffacher è un ‘signor imprenditore’. Nel ’97 ha avuto il coraggio di fare un investimento importante su un giovane designer come io ero allora mettendo in produzione il sistema componibile Sec da me progettato. Alias, senza dubbio, è stata la mia piattaforma di lancio”.
In alto: Renato Stauffacher, amministratore delegato di Alias, con Alfredo HÄberli (a destra); la poltroncina del sistema di sedute Graffa, 2010. Sopra A sinistra, il sistema componibile Sec, 1997.
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Jean Marie Massaud con Umberto Cassina Protagonisti: gli oggetti
“Conosco Jean Marie Massaud da una decina d’anni”, racconta Umberto Cassina, vicepresidente di MDF Italia, “da quando ero responsabile del centro ricerche e sviluppo in Cassina. Quando, nel 2007, ho acquisito l’azienda MDF Italia, Massaud è stato il primo architetto che ho contattato. Lo trovo molto bravo e abbiamo ottimi rapporti. Jean Marie, che è noto anche per le sue architetture, ha sempre un occhio molto attento al mercato ed è entrato perfettamente nella filosofia della nostra azienda che cerca prodotti ‘protagonisti’, con una forte identità e con un’anima tecnologica. Un esempio di questa particolare sensibilità è la Flow Chair, una famiglia di sedie e poltroncine, e lo sarà ancora di
più una nuova generazione di oggetti e di imbottiti che lanceremo l’anno prossimo. Replica Jean Marie Massaud: “Mi piace MDF Italia perché è un’azienda giovane, in qualche modo ‘vergine’, con i tratti fondamentali che sono quelli della purezza, della semplicità e della qualità. Io e Umberto Cassina condividiamo un’idea nobile del design: cerchiamo di fare oggetti che durino per sempre. Un’idea che lui ha imparato dalla sua famiglia e dai contributi di tutti i maestri del design, da Le Corbusier a Gio Ponti. Tutti i progetti che ho fatto per MDF Italia esprimono un’idea di leggerezza, tecnologia, attenzione al comfort e un giusto rapporto tra qualità-prezzo. Un esempio perfetto è la Flow Chair che offre tante alternative nelle finiture e nei dettagli, a dimostrazione che il design non è un diktat, ma può essere personalizzato da chiunque. Il tutto condito da una grande amicizia e complicità tra me e Umberto. Non puoi lavorare con una persona se non la stimi”.
Simone Micheli con VAlentina e Filippo Antonelli Chiamatemi consulente strategico
In alto, sedia della collezione Flow Chair, 2009. A sinistra, Umberto Cassina vicepresidente di Mdf italia con Jean MArie MAssaud (a destra). sotto, Achille, collezione di sedute in tessuto, 2010.
“L’incontro con Simone è stato del tutto casuale, durante una sua conferenza a Riccione nel ’98, in un momento molto particolare della nostra azienda di famiglia, Domingo Salotti, di cui Adrenalina è una costola, e che all’epoca cercava di rompere gli schemi del mercato italiano dell’imbottito”. Filippo Antonelli, managing director di Adrenalina, mentre racconta come avvenne l’incontro con Simone Micheli, sottolinea: “Fu un colpo di fulmine. Volevo fare prodotti audaci e colorati, che osassero e stupissero e con Simone mi sentivo completamente sintonizzato. La sua qualità che mi piace sottolineare? La concretezza”. Commenta Simone Micheli: “Attorno al marchio Adrenalina abbiamo voluto creare, sin
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Progetti e Progettisti / 59
Paola Navone con Paolo Bestetti Amici per la pelle
In alto, Paola Navone e Paolo Bestetti, amministratore delegato di Baxter. a lato, TRieste, divano rivestito in NAbuk, 2010.
in alto a sinistra, Simone Micheli. Sopra, Filippo e valentina Antonelli, rispettivamente titolare e responsabile comunicazione di adrenalina. Accanto, seduta della collezione Bomb, 2010.
dall’inizio, segni forti e grafici. Elementi simbolici ed evocativi, destinati sia ad ambienti domestici che all’arredo di alberghi e spazi pubblici che di solito hanno prodotti molto omologati. Oggi, a distanza di qualche anno dal mio incontro con Filippo, facciamo prodotti ancora più simbolici, edizioni limitate che puntano ad una distribuzione selettiva. Il mio ruolo da art director? Non mi piace questo termine. È tramontato da anni. Non mi ci ritrovo più. Preferisco dire ‘consulente strategico’. Gli uomini d’azienda non hanno bisogno di ‘visionari’ ma di collaboratori che diano ossigeno al loro pensiero e alle loro visioni. Prossimi progetti? Stiamo lavorando su prodotti a tiratura limitata”.
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Rapporto adrenalinico quello fra Paola Navone e Paolo Bestetti, amministratore delegato di Baxter. Non si dà mai niente per scontato. “Paola”, dice lui di lei, “è vulcanica e sorprendente, teatrale e suggestiva. Ha una capacità innata di comprendere forme e materiali”. “Paolo”, commenta lei, “è come i grandi imprenditori degli anni Cinquanta, ha il guizzo visionario”. E spiega perché: “Si è inventato un lavoro, con tanto coraggio; è il ‘mago’ della pelle: la sa scegliere, trattare, conciare per realizzare belle sedute; ed è stato bravo anche a mettere in piedi un team di operai che sono come lui degli ‘animali da pelle’”. Dice Bestetti di Navone: “Paola ha trasferito contemporaneità alle collezioni di Baxter. Sa sfruttare bene il mio knowhow sulle pelli, che hanno caratteristiche particolari di colore, e le fa diventare degli arredi contemporanei che hanno
una radice nella tradizione. Usa la pelle come il tessuto, la cuce alla rovescia, gli dà morbidezze straordinarie. Il risultato è molto attuale”. Qualche nota dietro le quinte: “Lavoriamo insieme da quasi otto anni e litighiamo spesso come una vecchia coppia”, confida l’imprenditore. “Per me è importante litigare, direi fondamentale. Io e Paola possiamo permettercelo perché tra di noi c’è confidenza e nello stesso tempo rispetto per i reciproci ruoli”. Aggiunge Bestetti: “Le capacità di capirsi sono fondamentali nel nostro rapporto. Come altrettanto importante è dare un metodo al progetto che è fatto di passi, tempi e obiettivi: Paola lo ha insegnato a me e all’azienda”. Così è nata una specie di costola all’interno di Baxter, fatta di sedute in pelle con un alto contenuto di design e con una mano artigianale che trasmette un senso di appartenenza alla tradizione.
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Franco Poli con Massimo Grassi Coltiviamo sogni
Francesco Rota con Paola Lenti Siamo easy
“Il design di Franco Poli mi piace così tanto che quando mi sposai, diversi anni fa, comprai i suoi mobili realizzati da un’azienda che non era la mia”. Il resto è storia: Massimo Grassi, amministratore delegato della Matteograssi, e Franco Poli lavorano insieme da vent’anni. “Vent’anni fa”, racconta il designer, “Massimo mi
chiese di fare una seduta per lui che purtroppo non andò in porto. In seguito, fui io ad andare da lui per proporgli Fullerina, una sedia leggerissima”. “Poli vuol fare sempre cose nuove e diverse”, sottolinea l’imprenditore. “La Fullerina pesa meno di un chilo… Ecco, il rapporto con Franco nasce dalla sua capacità di generare sogni e dar loro corpo”. L’ultima sfida: costruire un sedile con la minore quantità possibile di materiale. “Un giorno discutevo con Massimo dell’intreccio”, racconta Poli, “e lui mi faceva notare che per fare una maglia, nella sovrapposizione fra ordito e trama, c’è un raddoppio della superficie e quindi l’intreccio è diseconomico per sua natura. Come fare un intreccio senza intrecciare? Ho realizzato una rete in cuoio. Ho lavorato su questo tema per dieci anni e Massimo mi ha dato carta bianca mettendomi a disposizione tutto per raggiungere l’obiettivo”. La collaborazione è condita da una grande amicizia: “Massimo è solo la punta di un iceberg”. racconta Poli. “Io ho uno stretto legame con tutta la sua famiglia”.
Dialogo aperto, costante e molto libero. È la base di partenza da cui è nato e si è sviluppato il rapporto di lavoro tra l’imprenditrice Paola Lenti e il designer Francesco Rota. “I nostri prodotti cercano di esprimere nuove funzioni”, commenta la coppia. “Sono semplici e hanno un aspetto molto rilassato. L’attenzione all’ambiente e alle persone in relazione agli oggetti è fondamentale”. Quando Paola e Francesco si sono incontrati erano entrambi all’inizio del loro percorso professionale. Lei non possedeva ancora un’azienda e lui cominciava la sua carriera. “Avevamo tutti e due tanto da rischiare. E quando abbiamo visto la prima collezione abbiamo tirato un respiro di sollievo”. “Quando ci siamo incontrati avevo appena trovato uno dei miei materiali preferiti, il feltro, che ai tempi non era molto diffuso”, racconta Paola. “Chiesi a Francesco di progettarmi delle sedute che mi piacquero molto”. Rincalza lui: “Io e Paola lavoriamo insieme da 13 anni e quando le presento i lavori siamo sempre concordi”. Pregio di Paola? “È un’imprenditrice tenace e non molla l’osso”, risponde Francesco. Il difetto? “È una perfezionista”. Il pregio di Francesco? “Accetta sempre il punto di vista degli altri. Non è una prima donna e ama il lavoro di squadra”, risponde Paola. Il difetto? “Arriva sempre in ritardo… ma non sui progetti”.
In alto: Franco Poli e, a destra, Massimo Grassi, amministratore delegato di Matteograssi. a sinistra, Zoe, sedia in cuoio, 2010.
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Marcello Ziliani con Stefano Casprini Il coraggio d’investire
In alto a sinistra, Francesco Rota; sopra, Paola Lenti, titolare dell’omonima azienda. sotto, Mellow, divano modulare da esterno, 2010.
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“Di Marcello Ziliani ho apprezzato innanzitutto le competenze e la preparazione tecnologica nei materiali. Col passare del tempo ho avuto modo di conoscerlo meglio e stimare anche la persona, l’apertura al dialogo. Lavorare con lui è sempre stato molto interessante e piacevole”. Il commento è di Stefano Casprini, quarantottenne, a capo del gruppo industriale omonimo. Lavora da sette anni con Ziliani che da un paio di anni è diventato art director della Casprini. “Ai designer”, spiega, “chiedo di non limitarsi a disegnare prodotti ma di condividere strategie, come quella attuale focalizzata sull’identità dell’azienda. Con Marcello siamo sulla stessa linea d’onda: stiamo cercando di esaltare l’italianità dei prodotti con design e innovazione di materiali”. Casprini sottolinea il suo rapporto di amicizia con Marcello Ziliani: “Quando si ha stima di una persona nasce la voglia di approfondire la conoscenza. Con lui il rapporto è molto vero e coinvolge anche le nostre famiglie. Il problema è solo logistico, io sono in Toscana e lui a Brescia”. Racconta Marcello Ziliani, studio Zetas: “Ho contattato Casprini nel 2003. Avevo un progetto interessante, la Tiffany, che allora rappresentava una scommessa tecnologica: era la prima sedia stampata a gas, a sezione chiusa trasparente”. Marcello Ziliani andò da Stefano Casprini con un progetto già definito. “Gli piacque”, racconta, “ci credette
ciecamente. Fece un atto di fiducia, assumendosi i rischi di un progetto ancora inesplorato e molto oneroso in termini d’investimento”. Esemplificativo dell’evoluzione del rapporto tra Ziliani e Casprini è la sedia Tiffany Recycled del 2010, un oggetto integrato nell’area della sostenibilità. Nasce dagli scarti della produzione della Tiffany e si presenta sul mercato con un prezzo del 30 per cento inferiore al prodotto di prima scelta. Da un anno Ziliani è diventato art director e ha voluto portare con sé all’interno dell’azienda Bruno Rainaldi. Una condivisione di ruolo che denota la sua grande apertura mentale. “L’evoluzione del mestiere? Oggi i designer possono assumere diversi ruoli: sono dei ‘consulenti tecnologici’ capaci di fare da ponte tra le varie competenze coinvolte nel processo produttivo; sono ‘aggregatori’ di aziende quando, nel progetto degli ambienti, fanno dialogare prodotti di marchi diversi. E ‘prescrittori’ di contract, quando garantiscono alle aziende un fatturato minimo con le forniture degli arredi per le loro realizzazioni di architettura”.
Marcello Ziliani con Stefano Casprini, amministratore delegato di casprini. a destra, Tiffany Recycled, Sedia in nylon riciclato ricavato dagli scarti della produzione aziendale, 2010.
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DaLLa naTura IL ProGeTTo
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IL legno OGGI STA RIACQUISTANDO IMPORTANZA, QUALE TRAMITE ESPRESSIVO NEL design sostenibile E NELL’USO DI tecniche innovative di produzione, PRIMEGGIANDO COSÌ, ANCORA UNA VOLTA, NELLA CLASSIFICA DELLE materie prime PIÙ ATTRAENTI E DI TENDENZA DEL progetto ARREDO. foto di Simone Barberis a cura di Nadia Lionello
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KIKA, SGABELLO IN LEGNO PANGA PANGA, MASASA, MUKWA O ROVERE LAMINATI, REALIZZATO A MANO IN BOTSWANA, DI PATRICIA URQUIOLA PER mabeo. pagina a lato. TINNELS, PANCA SCULTURA REALIZZATA IN EDIZIONE LIMITATA CON STRUTTURA A INCASTO DI ANELLI CONCENTRICI IN LEGNO MULTISTrAto DI NOCE E PARTI FINITE A LACCA, DI JAKOB + MACFARLANE PER sawaya&moroni.
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NATURAL SLICE, TAVOLINI IN LEGNO MASSELLO DI CEDRO NATURALE LEVIGATO E CERATO DELLA PUNTO ORO COLLECTION, DI PAOLA NAVONE PER BAXTER. pagina a lato. INTERSTICE, TAVOLINO COMPOSTO DA QUATTRO PIANI in noce massiccio naturale, DI NOÈ DUCHAUFOUR-LAWRANCE PER ligne roset.
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WOOD CHAIR, POLTRONA RIVESTITA CON TESSUTO di SFERE DI BETULLA NATURALE, DI FRONT DESIGN PER moroso. pagina a lato. THE SECRET CLUB HOUSE, POLTRONA IN LISTE DI LEGNO RICICLATO dalle cassette per la frutta, con cuscino rivestito in feltro, DI MARTIN VALLIN PER cappellini.
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Sam Baron
Generazione iDesign Diciassette battitori liberi al servizio delle aziende del made in italy (e non solo). Diciassette firme giovani, che promettono rivoluzioni ed evoluzioni e che assicurano: l’accoppiata designer+azienda ancora funziona. ma attenzione, un bene così prezioso va salvaguardato. scommettendo sulla filiera nella sua totalità. di Laura Traldi
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“I suoi progetti evocano il passato in chiave moderna senza mai cadere nel banale”. Elis Doimo, presidente di Casamania
Il bello dei progetti di Sam Baron, direttore creativo di Fabrica e designer di punta, è che stupiscono in modo aggraziato. Non urlano ma fischiettano un motivetto mai sentito che attrae irrimediabilmente l’attenzione. Sono questa sua freschezza e giocosità colta e mai infantile che hanno colpito l’attenzione di Casamania. “Hanno voluto dare un’occhiata al mio lavoro e l’hanno fatto per bene. Infatti non si può dire che ci abbiano messo poco tempo”, dice Sam. “Ma una volta decisi mi hanno detto: progettaci qualcosa che racconti di te e che funzioni bene con la nostra squadra. Sembrava quasi che parlassero di calcio!”. In risposta, Sam ha sfornato una serie di arredi ispirati all’eleganza francese rétro ma stilizzati e funzionali. Ed è stato un gol per entrambi. “Chiamare un designer esterno, come si fa in Italia, è come una garanzia di freschezza”, dice Sam. “Gli italiani sono come dei grandi chef che si sono inventati una ricetta perfetta e che adesso tutti imitano. Anche se devo dire che paradossalmente sembra spesso più facile entrare in questo gioco quando si è stranieri. È dura per i giovani del vostro Paese perché c’è sempre il peso dei Grandi Maestri e di tutta la lobby che non lascia loro spazio. Non li invidio!”. A lui, francese, invece, l’Italia non ha mai chiuso le porte. “Con voi mi trovo benissimo. Siete sempre alla ricerca di nuove tecnologie, metodologie produttive, soluzioni. La sfida delle aziende italiane oggi sta nella riduzione dei costi
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Basaglia Rota Nodari pur mantenendo la qualità e nel pensare per i giovani, sia consumatori che progettisti. Aprite loro le porte, dico. Ma quello che amo di più è il vostro saper lavorare nel caos che secondo me è la condizione perfetta per creare qualcosa di bello e nuovo. Del resto, non lo dicevano anche quelli di Memphis?”.
“La gestione scrupolosa dell’intero processo progettuale e l’attività di ricerca e sperimentazione sono i valori che li guidano”.
L001, COLLEZIONE DI LAMPADE IN POLICARBONATO TRASPARENTE, DI BASAGLIA ROTA NODARI PER PEDRALI.
Giuseppe e Monica Pedrali, titolari di Pedrali
Sam Baron, francese, classe 1976, laureato all’Ecole des Beaux Arts de Saint-Etienne. È direttore creativo del dipartimento di design di Fabrica a Treviso.
PHILIPPE, tavolino IN MDF LACCATO, LEGNO DI TIGLIO E INSERTI DI NOCE. DI SAM BARON PER CASAMANIA.
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Per Alessandro Basaglia e Natalia Rota Nodari l’idea innovativa da sola non basta. “Oltre a quella – requisito quanto mai indispensabile! – ci vuole anche la capacità di traghettare un concept alla produzione e di armonizzarlo in una strategia di posizionamento”, dice Alberto. Come dire, ben venga il guizzo di intelligenza ma non senza il lavoro di gomito per trasformarlo in un prodotto concreto e vendibile. È forse questa serietà, unita all’umiltà di due professionisti che invece di ‘giocare alle star’ preferiscono chiudersi in studio e progettare, che ha fatto sì che le commissioni piovano letteralmente addosso al duo bergamasco: sono infatti direttori artistici di YDF (Young Designers Factory), Outlook, Diemmebi e Blitz Bovisa e firmano per grandi nomi come Pedrali, Lema e Rexite. “Non offriamo ricette precotte o stili prestabiliti”, spiega Natalia. “Innovazione significa per ogni marchio qualcosa di diverso. Per Luxit, ad esempio, abbiamo spostato l’attenzione sulle nuove tecnologie come i LED, per Pedrali abbiamo creato una prima collezione di lampade, mentre per Diemmebi (conosciuti nel settore dell’arredo per comunità e uffici) abbiamo scommesso su un’apertura verso l’arredo urbano”. Ogni volta si ricomincia da zero quindi. È dura? “Essere designer oggi in Italia è quasi una missione”, ammette Natalia. “Significa lavorare con umiltà e ai massimi livelli, cercando di proporre idee nuove, in modo che il design
italiano rimanga disegnato da italiani”, dice Alberto, cui non piacciono le “sirene del mercato globale che chiamano alla frammentazione: ideazione in Italia e produzione chissà dove”. La loro ricetta per la salvaguardia del made in Italy è quindi quella di una collaborazione tra designer e aziende votata all’innovazione, costi quel che costi. “Il rischio è che il made in Italy perda la sua accezione data dalla cultura del saper fare italiano”.
Alberto Basaglia e Natalia Rota Nodari, varesino lui (1969) e bergamasca lei (1970), sono laureati in architettura al Politecnico di Milano. Nel 1997 hanno aperto il loro studio vicino a Bergamo occupandosi di architettura e, dal 1999, di design. Nello stesso anno hanno creato la collezione e il marchio YDF. Sono direttori creativi di YDF, Outlook Design Italia, Diemmebi Urbantime e Blitz Bovisa.
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Castello Lagravinese
Valerio Cometti “Mi ha colpito il loro sguardo. Ci ho letto uno strano, interessante mix di entusiasmo, freschezza e concretezza”. Gabriele Galli, amministratore delegato di Busnelli
Non c’è niente come sperimentare le cose sulla propria pelle. Per questo Alessandro Castello e Maria Antonietta Lagravinese, alias Castello Lagravinese Studio, designer e anche piccoli imprenditori, le problematiche delle aziende le capiscono al volo. Giovanissimi, si sono conosciuti sul lavoro in un grande studio a Milano e tra loro, non milanesi, è stato subito un click. “A entrambi piaceva ispirarsi a mondi diversi e non fossilizzarsi solo sul piccolo universo del design”, spiegano.
dato una marcia in più”, spiegano. “Sappiamo che il prodotto è solo una parte di un tutto e vogliamo comprendere la visione dei nostri committenti prima di progettare”. Ma questo non significa rifuggire il nuovo. “Al contrario. Avere una vision non significa omologarsi per paura di rischiare. La crisi dovrebbe aver stimolato le aziende a lavorare su se stesse alla ricerca di differenziazione per offrire prodotti unici e inimitabili”. In questo senso l’essere giovani si è dimostrata una carta a loro favore: “siamo aperti al confronto e curiosi, pieni di idee e voglia di fare”, dicono; “le aziende con cui lavoriamo si lasciano contagiare da questo entusiasmo e i risultati arrivano”.
bohemien, divano capitonné con struttura in massello e multistrato e imbottitura in poliuretano. di castello lagravinese per busnelli,
E la loro prima mossa è stata quella di creare un marchio autoprodotto di imbottiti e complementi ispirati al mondo della moda. Una mossa azzardata, forse, che però ha funzionato. “Abbiamo presentato il brand, Onlymited, al FuoriSalone 2008 e da allora fioccano le commissioni”. Come quelle per Cinova e Busnelli. Per quest’ultima la coppia ha presentato lo scorso aprile due famiglie di divani, l’ironica Bohémien (che stravolge i canoni del capitonné) e l’elegante Swing (più educata ed iconica). “Avere la nostra azienda ci ha
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Alessandro Castello (Genova, 1974), laureato al Politecnico di Milano, e Maria Antonietta Lagravinese (Gioia del Colle, 1972), laureata all’ISIA di Faenza, progettano prodotti, grafica, scenografie e interior. Nel 2008 hanno creato il brand di autoproduzioni Onlymited. Sono direttori artistici di Opera Contemporary by Angelo Cappellini.
“Le sue proposte sono sempre inedite e ricercate, pervase di contenuti essenziali”. Marina Toscano, responsabile R&S di Firme Di Vetro
“Il designer esterno è come un amante. Con lui, tutto è più intenso!”. Scherza, Valerio Cometti. Ma non troppo. Va infatti alla grande la sua love story con Firme di Vetro, iniziata nel 2006: “Ho presentato la lampada Katana: è stato amore a prima vista”, dice Cometti. Raro, per un ragazzo appena uscito dal Politecnico e nemmeno dalla facoltà di architettura. “Penso che i miei clienti apprezzino il fatto che mi occupo di cose molto diverse e che il mio background di ingegnere meccanico li faccia sentire a loro agio nelle fasi preproduttive”. Lavorare in armonia con l’ufficio tecnico è stato infatti fondamentale nello sviluppo della lampada Bow che prevedeva un unico cavo per alimentazione e sostegno. Ma anche di Icon per la quale Cometti ha rigettato ogni proposta di semplificazione contribuendo personalmente alla soluzione delle sfide tecniche. Forse, però, è anche il suo approccio che piace. “Troppo spesso al designer non si associano aggettivi come puntuale o affidabile. Ma un professionista deve essere efficiente, serio e corretto per conquistarsi la fiducia dell’azienda”. Un cambio nell’‘immagine percepita’ della professione, insomma, non guasterebbe. Né guasterebbe l’allargarsi ben oltre
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GENERAZIONE iDESIGN / 73
Sebastian Errazuriz icon, sospensione di valerio cometti per firme di vetro con piatto in accrilico opale e fascia in vetro pressato bianco.
“Quando l’ho conosciuto abbiamo litigato subito riguardo a un progetto. Ma alla fine gli ho dato retta e non me ne pento”. Luciano Marson, direttore creativo di Horm
la categoria dell’arredo o il concetto del bello. “Quanti riconoscerebbero nello scopino Swiffer un capolavoro del design? Eppure ha creato da solo un mercato. Le aziende vogliono troppo poco dai designer (anche perché vogliono pagare poco) e i designer si adeguano: quante imprese lavorano oggi per sapere come saranno i propri prodotti fra dieci anni? Per questo anche tanti giovani fanno fatica a campare: apparteniamo ad una generazione di professionisti che non ha saputo mantenere o imporre il valore economico del proprio contributo. Il mio consiglio per il futuro del made in Italy è: meno fermaporte a forma di omino e più oggetti che ieri non esistevano”.
Valerio Cometti, nato nel 1975 a Motta di Livenza (Treviso), laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Milano, ha aperto, nel 2004 a Milano, il suo studio V12 Design con sede associata a Sydney.
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La fantasia certo non gli manca. È merito forse del papà, insegnante d’arte, che l’ha cresciuto nelle sale dei musei e gli vietava di scopiazzare dai cartoon ammonendolo “meglio fare del tuo”. Oppure della sua vita nomade, passata tra Londra, Washington, Edinburgo e infine New York, dove si è laureato in arte. Sta di fatto che nella produzione di Sebastian Errazuriz, 33 anni, cileno, non si trova un solo pezzo uguale all’altro. Fin dai tempi della scuola Sebastian non fa che sperimentare con materiali, forme e concetti e realizzare arredi e oggetti fatti a mano. E quello che si mette in tasca vendendoli a peso d’oro attraverso gallerie di punta come Cristina Grajales di New York lo reinveste immediatamente in operazioni artistiche pubbliche, come prendere a noleggio lo stadio di Santiago, in cui Pinochet torturava i suoi oppositori, piantarci in mezzo un albero e invitare la gente a viverlo come un luogo di pace; o salvare una mucca dal macello per farla pascolare in cima a un edificio. Trovate ad alto impatto mediatico, certo, ma che anche fanno pensare ai grandi perché della vita. Il suo talento non è sfuggito a Luciano Marson, direttore creativo di Horm, desideroso di cimentarsi nella trasposizione industriale delle sperimentazioni di Sebastian, come la possibilità di lavorare il legno dopo averlo piegato e schiacciato. “Mi hanno messo a lavorare con un falegname 76enne che non parla una parola di inglese o di spagnolo ma è bravissimo”, dice Errazuriz. La strana coppia ha già al suo attivo il sistema di scaffali Sinapsi, presentato lo scorso aprile a Milano e a Frieze Art di Londra presenterà un arredo a forma di albero e a una libreriapianoforte fatta di elementi mobili che si alzano e abbassano a piacimento. “Comunichiamo a gesti, lo
ammetto, ma funziona!”, dice Sebastian. “Ed è straordinario sperimentare il knowhow della filiera italiana: mi sento come un cuoco cui hanno appena regalato una cucina piena di ingredienti succulenti”. Non c’è rischio che il menu si ripeta.
sinapsi, sistema modulare di mensole, di sebastian erraruriz per horm.
Sebastian Errazuriz, nato nel 1977 a Santiago del Cile, ha studiato arte, cinematografia e design. È art-designer per la galleria Cristina Grajales di New York e artista di installazioni urbane a New York, Rio, Parigi e Santiago. I progetti per Horm sono i suoi primi di industrial design.
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Gordon Guillaumier
Costruire un brand intorno ad un prodotto percepito come accessorio, la maniglia. Non era una sfida facile quella che Pamar ha proposto cinque anni fa a Gordon Guillaumier, offrendogli la direzione creativa dell’azienda. Eppure lui se l’è cavata egregiamente. Da allora, infatti, il designer maltese non fa che stupire, rinnovando la proposta prodotto, reclutando la crème del progetto internazionale e sperimentando con forme e materiali. “Con l’azienda abbiamo definito una visione strategica di lungo termine, da costruire in passi intermedi che si susseguono tracciando un percorso coerente”. Per la sua ultima fatica, la collezione Porcelain, Guillaumier ha attinto a piene mani dalla tradizione della porcellana cinese, attualizzandola. Il risultato è una serie di
“Da subito abbiamo colto in lui una grande professionalità e altrettanta umanità. Con lui è stato feeling puro dal primo istante”. Marco Redaelli, amministratore delegato di Pamar maniglie che è difficile definire ‘accessori’ tanto fanno presenza in un ambiente. “Per formazione e forma mentis, spesso il designer è incline a pensare al futuro. Questa è una dote preziosa per un’azienda che la sa sfruttare. Ma il segreto di una collaborazione che funziona sta nella capacità del designer di sapere non solo tradurre visioni e anticipare tendenze ma anche fornire risposte concrete che stanno al passo con la crescita aziendale”. Indicare il cielo con un dito e la terra con l’altro, quindi. “La creatività, intesa come forza propulsiva verso l’evoluzione (pur nel mantenimento di quanto già fatto) è anche un’arma utilissima contro la minaccia della contraffazione. Il pericolo è che, per contrastarla, le aziende cedano alla tentazione della caduta di qualità in nome del basso prezzo invece di rafforzare quello che sono
bravi a fare”, dice Guillaumier. In questo, l’apporto dei giovani potrebbe essere fondamentale. “Purtroppo in Italia spesso devono rendere conto ai grandi maestri e soffrono del poco ascolto”. Anche se, secondo Gordon, “di opportunità comunque ce ne sono: bisogna però offrire una creatività spiccata e concreta, propositiva e realistica, dove etica e professionalità contribuiscono alla definizione di un valore globale di un progetto”.
Gordon Guillaumier, maltese, classe 1966, industrial designer diplomato allo IED con un master alla Domus Academy, dal 1989 vive a Milano dove, nel 2002, ha aperto il suo studio. Ha svolto diversi lavori di design management e consulenze artistiche. Dal 2005 è direttore artistico di Pamar. Dalla collezione PAMAR: Sopra, oblong, mANIGLIA IN PORCELLANA BIANCA LUCIDA di rodolfo dordoni; In alto: loop, in porcellana nerA opacA, di gordon guillaumier e rift, in porcellana biancA lucidA, di pierre charpin.
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Afroditi Krassa
Mai farsi sviare dalle apparenze. Il sorriso solare incorniciato dal viso acqua e sapone di Afroditi Krassa potrebbe far pensare a una ragazzina che si è appena affacciata sulla scena del design. Eppure, prima di approdare da Bonaldo (per cui ha presentato allo scorso Salone il tavolino ICosì) la giovane greca (nata ed educata a Londra al Central St Martins e al RCA) ha vinto non poche sfide. Come essere la prima donna assunta dal duo SeymourPowell, progettare a 23 anni un reggiseno che ha venduto ben 2 milioni di unità e concepire il mass market brand del food Itsu (di cui è direttore creativo). È quindi una che sa il fatto suo, Afroditi, anche se di se stessa dice: “Amo la leggerezza”. Ed è con questa, incarnata nel tavolino ICosì, che ha stregato Bonaldo. “La forma è semplice eppure dinamica e nasce da un solo elemento (un tondino in acciaio) ripetuto venti e più volte (da qui il nome, che significa appunto venti in greco) con orientamenti diversi”. Lavorare con aziende italiane le piace. “Ho sempre apprezzato il vostro approccio di servirsi di progettisti esterni. È sintomo di voglia di innovazione, crescita e desiderio di affrontare sfide sempre maggiori”. Come credere nel talento di un giovane designer piuttosto che in quello di un grande nome. “Noi giovani siamo stati educati per progettare in modo libero, pensare fuori dagli schemi. Spesso ignoriamo le problematiche interne dell’azienda, la sua burocrazia, quello che si può o non si può. E siamo focalizzati sulle tematiche ecologiche e sociali”. Collaboratori più rischiosi, dunque? “Forse. Ma un’azienda il cui successo è basato sull’innovazione il più delle volte riesce a far suo il patrimonio che il giovane designer apporta, superando le difficoltà. E il risultato è poi esaltante”. Non che con lei, con il suo pedigree, ci fosse molto da rischiare…
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GENERAZIONE iDESIGN / 75
Hangar Design Group
icosì, tavolino in tondino d’acciaio, di afroditi krassa per bonaldo.
“Hanno saputo comprendere la nostra essenza aziendale e tradurla in comunicazione e progetti efficaci, professionali ma anche delicati”. Lucio De Majo, presidente di De Majo
Afroditi Krassa (1974), si è laureata a Londra al Central St Martins e al Royal College of Art, dove ha studiato con Ron Arad. Ha aperto il suo studio nel 2002; è direttore creativo per il brand Itsu, che si occupa di ristorazione. Vi progetta di tutto, dal packaging ai ristoranti.
“La sua proposta ci è arrivata via mail e ci ha colpiti: il progetto era esattamente quello che stavamo cercando”. Sabrina Bonaldo, responsabile marketing di Bonaldo
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I mercati sono in contrazione? Non è una buona scusa per non investire. Anzi. “La sfida maggiore per le aziende italiane è quella di riuscire a continuare a puntare su una qualità ineccepibile, nell’attesa che i Paesi emergenti sviluppino una cultura del prodotto così sofisticata da recepire anche prodotti di nicchia”. Non hanno dubbi a Hangar Design Group, il pool di creativi fondato da Alberto Bovo e Sandro Manente. Della freschezza delle idee, i due hanno fatto il loro punto di forza: “L’età media del nostro team di una cinquantina di persone è trent’anni”, dicono. Ma essere giovani non basta. “Le idee veramente innovative, oggi, non sono poi così frequenti”, dice Bovo. “Forse è giunto il momento, anche per noi designer, di tornare all’essenziale del nostro mestiere”, continua Manente. “Ben venga la sperimentazione ma accanto ad essa ci vuole anche la sensatezza e la ragionevolezza del prodotto. Fare ricerca significa andare oltre la forma e focalizzarsi su un design che risolva le necessità vere delle persone e quindi delle aziende”. Per farlo, HDG lavora sulla contaminazione “tra architettura,
flÛte, chandelier in cristallo nero, di hangar design group per de majo.
grafica e product design”. È per questo che De Majo, quando ha deciso di rinnovarsi non solo attraverso la produzione ma con un’operazione a tutto tondo, ha scelto di rivolgersi a loro. “Ci occupiamo dei prodotti ma anche della comunicazione”, spiegano. “Per De Majo abbiamo sviluppato due collezioni di chandeliers, Glacé e Flûte, che puntano a riscoprire il bello della tradizione e di una storia condivisa ricombinandone insieme i diversi elementi secondo canoni innovativi”. Niente rivoluzione, quindi, ma un’evoluzione no-nonsense, la cui freschezza viene dalla capacità di attualizzare elementi immediatamente riconoscibili, in perfetta sintonia con l’identità dell’azienda.
Alberto Bovo e Sandro Manente sono gli architetti soci fondatori di Hangar Design Group. Lo studio si occupa di comunicazione e design con competenze specialistiche nei processi di brand strategy e product design. Sviluppa anche progetti di architettura, interior e web design.
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JoeVelluto Studio (JVLT)
“Quello che accomuna JoeVelluto e la nostra azienda è il desiderio condiviso di una continua ricerca e innovazione”.
Ilaria Marelli
Alvise Boscato, amministratore delegato di Euro3plast
Curare l’art direction di un’azienda? Secondo JoeVelluto Studio (JVLT) è “una sorta di percorso psico-terapeutico atto al benessere economico e formativo”. In altre parole, un rapporto da vivere in tandem in cui quello che conta di più sono le persone e il loro modo di fare. È questo che fa crescere gli individui, le aziende e le entrate nel portafogli. È pragmatico JVLT, e parla schietto: “Le imprese vogliono giustamente sempre la stessa cosa: un buon business. E anche i giovani designer! Se poi si riesce a fare cultura nel contempo – cosa sempre più rara – tanto meglio”. L’affinità elettiva con l’azienda, quindi, è quanto più conta per fare centro. “Con PLUST Collection è scattato subito qualcosa”, dice JoeVelluto. “È un brand che Euro3Plast ha voluto creare per dar vita a collezioni outdoor ed indoor sfruttando il loro know-how tecnologico e produttivo. Entrambi eravamo affascinati dall’idea di proporre qualcosa di originale e innovativo supportato da una comunicazione fresca e adeguata”. Già perché oltre a progettare, JoeVelluto seleziona anche i designer, assegna loro i brief e ne vaglia le proposte, stabilisce le strategie di comunicazione e seleziona
distribuzione e rete commerciale. Un profilo quasi imprenditoriale più che da designer. “Veramente lo diceva anche Sottsass che il successo di alcuni prodotti vanno ricercati nel design e nella creatività e non nel marketing!” dice JVLT. “L’accoppiata designer-imprenditore all’italiana, anche se pare una formula superata, in realtà ha ancora la potenzialità per funzionare bene. Il segreto sta nel fare squadra e nel selezionarsi reciprocamente in modo cosciente”.
Paolo Botta, direttore operativo di Axil
JoeVelluto (JVLT) è uno studio di design e comunicazione nato nel 2004 a Vicenza. Il direttore artistico è Andrea Maragno (1974). Si occupa di allestimenti, installazioni, operazioni culturali, progettazione e direzione artistica per varie aziende.
Simple chair e simple table, arredi da esterno impilabili in plastica, di jvlt per plust collection.
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“La freschezza e l’originalità dei suoi progetti esprimono il nuovo corso dell’azienda”.
Ilaria Marelli è una che lavora sodo. Ha iniziato giovanissima, quando Cappellini l’ha scelta per assistere (e poi gestire) lo sviluppo prodotti in azienda. È in questo ambiente no-nonsense, in cui le aspirazioni del grande design spesso si scontravano con la realtà della produzione, che Ilaria ha imparato l’arte della modestia e del lavoro di squadra. Così oggi, per raccontare la sua collezione ‘nuovo corso’ firmata per Axil (lo storico marchio di letti recentemente acquistato da una holding che ha scelto lei per iniziare una grande fase di riposizionamento) decide di condividerne il merito con chi spesso viene dimenticato. “Abbiamo fatto tutto in soli quattro mesi grazie al supporto del team tecnico produttivo che ha saputo trasformare le mie idee su carta in soluzioni tecniche di smontaggio delle strutture e sfoderabilità dei rivestimenti e in dettagli preziosi di cucitura e tappezzeria”, spiega. Ma più che uno sfoggio di modestia, quello che Ilaria vuole comunicare è una sorta di grido d’aiuto. “Quello che il mondo ci invidia, quanto a made in Italy, è la flessibilità, la sartorialità delle lavorazioni e la rete di competenze artigianali che gravitano
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Jonathan Olivares
il letto loop con rivestimento in ecopelle bianca e beige. di ilaria marelli per axil.
intorno alle singole realtà imprenditoriali. Purtroppo nessuno ha il compito di tutelare, promuovere ma soprattutto mettere in rete il knowhow disperso in un pullulare di piccole botteghe sparse sul territorio, sempre più lasciate a se stesse e snobbate – inspiegabilmente, soprattutto di questi tempi! – dai giovani”. La sua ricetta salva tutto? “Una sorta di slow food del design. Una salvaguardia attiva, pratica e non nostalgica della filiera e del suo knowhow. E un approccio sistemico da parte dei designer: perché non proporre visioni di sviluppo a lungo e medio termine in cui abbiano anche un largo spazio le tematiche ambientali ?” Che poi sta alle aziende implementare.
Ilaria Marelli nasce nel 1977 ad Erba, Como. Architetto e designer, ha aperto nel 2004 il suo studio occupandosi di architettura, design, interni e allestimenti, consulenza strategica e trend. Nel 2008 ha ricevuto il premio Milano Donna per il design e l’architettura.
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“Il giovane Olivares si dimostra capace di non accettare condizionamenti progettuali apparentemente scontati per porsi sul piano dell’invenzione”. Elisa Astori, amministratore delegato di Driade
È giovanissimo, Jonathan Olivares. Forse per questo gli viene facile scardinare i paradigmi vecchi di secoli, come quelli che dicono che una libreria deve essere diritta. Lui, per Driade, ne ha pensata una concava come il palmo di una mano che mette in bella vista e offre i libri a chi li cerca, seguendo una logica di ergonomia psicologica che cerca il benessere della mente prima che del corpo. Questo ventinovenne americano, serissimo nel lavoro (“per me avercela fatta significa lavorare almeno undici ore al giorno facendo quello che mi piace di più al mondo: progettare”) è insomma un vero innovatore. Eppure evita cautamente i voli pindarici. “Il successo di un prodotto non dipende solo dalla qualità del progetto ma anche dall’ottimizzazione della produzione, dalla distribuzione e dalla forza vendite. Spesso le aziende sono così occupate a piazzare i loro prodotti sulle riviste che si dimenticano di innovare per riuscire a offrire prezzi abbordabili per i più. E non è, fino a prova contraria, sempre questa l’essenza del design?”. Lunga vita al lavoro di squadra, quindi, e vade retro la cultura che celebra la star designer senza dar credito a tutte le condizioni che ne rendono possibile il successo. “Il grande vantaggio del made in Italy consiste nel fatto che c’è una cultura dell’alto artigianato tecnico che permette di creare un ambiente produttivo estremamente sofisticato e di qualità. Lo sanno tutti che Vico Magistretti schizzava su dei foglietti che poi venivano interpretati dai vari artigiani sparsi qua e là. Se non ci fossero stati loro, forse anche tante idee del grande Vico sarebbero rimaste solo tali. Eppure i giovani oggi in Italia non si interessano all’artigianato. E il mio timore è che tra qualche anno questo incredibile patrimonio del made in Italy si esaurisca. Perché il grande design non lo fanno il genio isolato o l’imprenditore illuminato. Non da soli almeno. Senza la filiera, non c’è futuro”.
libreria factor in conglomerato ligneo con finitura ebanizzata, di jonathan olivares per driade.
Jonathan Olivares, nato a Boston nel 1981, è laureato al Pratt Institute’s di New York in industrial design. Il suo studio JODR si focalizza su design e ricerca, anche e soprattutto sociopolitica e storica. Insegna all’ECAL di Losanna e all’ENSAD di Parigi.
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Satyendra Pakhalé
Conversation Sofa e pouf, pensato per promuovere il dialogo tra le persone. di Satyendra Pakhalé per Hästens.
Lorenzo Palmeri
“è portatore di una modalità nell’art direction nuova, non autoreferenziata ma attenta alle tematiche quotidiane”. Marco Bergamaschi, amministratore delegato di Lefel
“Condividiamo il desiderio di progettare in modo sostenibile e di andare oltre i desideri espressi dai consumatori”. Emma Sandsio, marketing communication manager di Hästens Fa piacere a Satyendra Pakhalé essere chiamato “giovane designer”. “Forse perché, anagraficamente parlando, non lo sono più”, dice. In Olanda, dove il quarantatreenne di origine indiana vive, infatti, i giovani sono gli under 30. “Ma l’importante è esserlo nella mente, mantenere vivo l’entusiasmo del novellino. Solo così si possono creare cose sempre nuove e scardinare i preconcetti.”Come ha fatto lui quest’anno progettando un divano per Hästens. Non un gigantesco lounger su cui si finisce per addormentarsi guardando la TV ma una seduta con schienale eretto, pensato per chiacchierare in salotto. Una piccola, grande rivoluzione per Hästens, celebre produttore di letti di lusso: un’azienda che quindi la sa davvero lunga sulla comodità orizzontale. “Eppure ho raramente visto un tale entusiasmo. Si sono gettati a capofitto nel progetto”, racconta Satyendra. “Quando c’è rispetto reciproco e sinergia tra il
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progettista e l’impresa possono succedere grandi cose. Personalmente l’ho sperimentato con Tubes con cui ho lavorato per quattro anni allo sviluppo del radiatore modulare Add-On. L’energia generata da questo progetto, che ha avuto il favore del pubblico e della critica, ha dato una spinta considerevole all’azienda a livello di immagine e ha aumentato il suo desiderio di investire nell’innovazione”. Purtroppo non è sempre così. “Tutti parlano di design oggi ma è ancora raro trovare designer impegnati in ruoli strategici nelle aziende. Eppure si potrebbe fare tanto insieme, soprattutto dal punto di vista dello sviluppo di progetti sostenibili. In Italia avete tutte le condizioni per continuare a essere sulla cresta dell’onda se non fosse per il pessimismo che sembra aleggiare nell’aria. Bisogna liberarsene e recuperare il mindset che ha fatto grande il design del vostro Paese: quello di chi non ha paura di correre rischi e di chi progetta con passione”.
Fa il designer ma anche il musicista. Non c’è quindi da stupirsi che l’orchestrazione sia il suo forte. È infatti la capacità di pensare “al di là” del prodotto, di inventarsi armonie tra luoghi, oggetti e messaggi, che fa la forza di Lorenzo Palmeri quando indossa il suo cappello di designer (per marchi come De Vecchi o Valenti Luce, Guzzini o Garofoli) e di art director (per Lefel, Arthema Group e, da pochissimo, per l’azienda di serramenti Giorgio
Satyendra Pakhalé indiano classe 1967. Si è laureato in Ingegneria e Design a Mumbai e in Advanced Product Design in Svizzera prima di lavorare come senior product designer in Philips Design ad Eindhoven in Olanda. Ha aperto il suo studio nel 1998 ad Amsterdam. È direttore artistico del corso di Humanitarian Design e Sustainable Living alla Design Academy di Eindhoven.
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Adriano Rachele Senatore). “Per come vanno le cose in Italia è raro che un’azienda si renda conto della necessità di avere un direttore creativo. Il titolo stesso spesso spaventa. Le collaborazioni invece nascono poco a poco, quando i marchi capiscono che un progettista va oltre il prodotto e sa pensare l’esperienza in toto”. Se ne sono accorti all’Arthema Group, per cui Palmeri ha progettato delle pareti effimere per negozi: da poco gli hanno infatti chiesto di curare delle collezioni più ampie. E anche a La Feltrinelli. “Il ruolo di direttore creativo di Lefel, il loro marchio di oggettistica scelta, me l’hanno dato subito”, dice Lorenzo. “Dovevo selezionare oggetti (già prodotti da altri) che rispondessero ai criteri del marchio. Ma i brand values di Feltrinelli (eticità, onestà, schiettezza) sono così attuali e sentiti che mi sembrava un peccato non proporre loro una collezione ad hoc”. Ci sono voluti due anni, ma alla fine Palmeri l’ha avuta vinta. “Tanto di cappello a chi osa osare”, dice. “E soprattutto a chi capisce che un marchio si costruisce con la coerenza. Che spesso costa. “Produrre la mia candela in Italia, ad esempio, significa pagarla 5 euro invece degli 80 centesimi che chiedono i cinesi. Ma io credo che il made in Italy debba essere soprattutto una garanzia di onestà e qualità. Sono questi i valori che l’hanno fatto grande e che ne possono garantire la sopravvivenza”.
Lorenzo Palmeri (1968) architetto, designer e musicista. Si occupa di sviluppo prodotti ma anche di comunicazione, training aziendale, interior e retail design. Nel 2005 ha vinto il Good Design Award 2005 con la lampada Promenade di Valenti Luce.
Lumedicandela, candela per bottiglia, Di Lorenzo Palmeri per Lefel.
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“Un’azienda che vuole crescere deve sapersi mettere in discussione con i giovani e sostenerne l’originalità”. Roberto Ziliani, amministratore delegato di Slamp
Veli, lampada da soffitto in Opalflex®,, di Adriano Rachele per Slamp.
Il sogno di ogni studente: presentarsi in un’azienda che sta cercando un aiuto nello sviluppo prodotto ed esserci subito catapultato dentro; lavorare per qualche anno dietro le quinte e poi essere portato alla ribalta come una grande firma. È successo al giovanissimo Adriano Rachele con Slamp, il marchio dell’illuminazione di design dai prezzi abbordabili. “Non so bene perché abbiano scelto me. Penso che sia perché condividiamo lo stesso modo di vedere il design come uno strumento per creare idee innovative, ironiche e accessibili”. Sta di fatto che, dal 2007, Adriano è parte del team di R&D dell’azienda capitanata da Roberto Ziliani e diretta (creativamente parlando) da Nigel Coates e che, dallo scorso FuoriSalone, il suo nome è uscito allo scoperto. “Stavamo lavorando sulla valorizzazione dell’aspetto artigianale del prodotto”, spiega Rachele, “e ho iniziato a giocare con strisce di materiale assemblate a incastri che diventano decoro. L’idea è piaciuta ed è diventata Cactus. Mentre con Veli ho voluto dedicare un omaggio alla figura della donna, trattando il materiale come un tessuto, a ricordare la sottoveste di un abito femminile”. Entrambe le lampade sono state
presentate in pompa magna allo scorso Fuori Salone. Niente di che stupirsi quindi che la visione del giovane Adriano sullo status dell’Italian Design sia quantomeno positiva: “Le aziende hanno costante bisogno di energia, flessibilità, ottimismo e stile in continua evoluzione, tutti valori che un giovane designer può offrire”, dice. “Il confronto con i grandi del passato e la voglia di andare oltre sono un grande stimolo per i giovani a investire sulle proprie idee fino a trovare un’azienda disposta a credere in loro”. Qualcuno, effettivamente, ce la fa.
Adriano Rachele è nato nel 1984 a Mülheim an der Ruhr, in Germania. Dopo la laurea in Disegno Industriale alla Sapienza di Roma è entrato nel reparto Research & Development di Slamp.
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Chandelier Cerimony di Bruno Rainaldi per Slamp. Realizzato con Opalflex®Porcelaine e progettato per lampade fluorescenti compatte, effonde luce attraverso i suoi molteplici cerchi concentrici che creano suggestivi effetti luminosi.
GraPHIc sHapes
in primo piano, seduta della collezione family chair di junya ishigami per living divani che comprende 5 sedie di forma diversa in acciaio curvato e gambe in tubolare. la rete della seduta è in filo di acciaio. Libreria Comb disegnata da Christoph Radl per Varaschin. Realizzata in mdf nella finitura bianco opaco. Poltrona Calla di Antoine Fritsch per Dolcefarniente. con struttura in rattan intrecciato a mano con nastri di tessuto colorato.
Linee rette e curve, cerchi, triangoli, cilindri… la geometria resta per il designer ciò che la grammatica è per lo scrittore: fonte di idee, di forme e di nuove proposizioni. Spinte nella fattispecie sui percorsi della grafica e dell’avventura visiva. foto ed elaborazione immagini di Simone Barberis a cura di Antonella Boisi con la collaborazione di Nadia Lionello
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Tavolo Colander in alluminio disegnato e prodotto da Daniel Rohr in edizione limitata. Le gambe scanalate sorreggono un piano segnato da 909 buchi che ne mettono in risalto la figura concava e lenticolare enfatizzata da una superficie in vetro trasparente.
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Seduta Exagon di Franco Poli per Tonon. con scocca in schiuma poliuretanica e fori esagonali realizzati in 3-D. Tavolo della serie Arlequin T di Ferruccio Laviani per Emmemobili. in massello di multistrato lavorato a sfaccettature, impiallacciato in varie finiture a contrasto. Lampada a sospensione Led Net disponibile in due configurazioni (circle oppure line), design Michele De Lucchi e Alberto Nason per Artemide. si compone di una lastra di alluminio con circuito stampato di supporto ai Led. ogni Led è dotato di lente in metacrilato trasparente.
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Sistema di partizione parietale hook, design Jean Nouvel per Methis. Una “pelle corrugata continua”, con giunti verticali e orizzontali, realizzata in materiali riciclati, alla quale si può agganciare una gamma di accessori per l’arredo-ufficio.
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Twist, Totem ad elementi sovrapponibili in pietra acrilica LG HI-MACS® disponibile in quattro varianti colore, con ripiani in cristallo. Design Giuseppe Bavuso per Alivar. Appendiabiti Aster di Alessandro Dubini per Zanotta. in acciaio verniciato disponibile nelle varianti bianco, rosso, verde o nero. Libreria della collezione Jil di Christophe Delcourt per Baxter. La struttura è in rovere lavorato artigianalmente.
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Due pezzi della nuova collezione Established & Sons: lo specchio ovale Shade Mirror disegnato da Front e il contenitore della serie WrongWoods disegnata da Sebastian Wrong con decori grafici simil legno dell’ artista Richard Woods.
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Woodstock Sistematavolino ad elementi liberamente accostabili, design Jean-Marie Massaud per Poliform. realizzato con finiture laccato opaco (in 28 colori), rovere spessart e olmo bianco. Tavolino-contenitore Balancing Boxes disegnato da Front per Porro. in metallo verniciato bianco o nero. Sgabello-tavolino Nook progettato da PatriCk FrEy per Vial: uno schiumato high tech racchiuso tra due superfici laccate di spessore ridotto .
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photo: Caspar Benson/Getty Images
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Stanno nell’ombra, il grande pubblico non li conosce nemmeno. grazie alla loro esperienza tecnica, le idee dei designer si trasformano in prodotti concreti. Sono figure a volte mitiche, a volte sono gli stessi proprietari delle aziende. collaborano con i progettisti, stringono con loro un rapporto di grande rispetto e reciproco scambio, accettando le sfide con un concentrato di competenza e di passione. una ricetta che, purtroppo, nessuna scuola insegna. di Alessandra Mauri foto di Simone Barberis
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Come si impara questo mestiere? “Nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare ottimi maestri che mi hanno insegnato molto: collaboratori, consulenti e anche vecchi dipendenti. Ma è stato mio padre che più di tutti mi ha trasferito la sua esperienza. Il suo punto di vista è sempre attuale: appartiene alla generazione dei self-made men che hanno ricostruito l’Italia. Penso sinceramente che come spirito sia più giovane di me, ci incita continuamente a fare scelte coraggiose e a raccogliere nuove sfide”.
Giorgio Caimi È entrato giovanissimo alla Caimi Brevetti dove oggi è responsabile del laboratorio di ricerca e sviluppo prodotti, in team coi fratelli Franco, Renzo e Gianni.
giorgio caimi con la serie prisma di sezgin aksu e silvia suardi.
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Come nasce un prodotto? “Normalmente lavoriamo in contemporanea su una decina di progetti, ma capita anche che un progetto sia così valido da saltare tutte le programmazioni: accade soprattutto quando si tratta di un oggetto che ‘non c’è’, la cui tipologia non è ancora stata affrontata da nessuno o è stata affrontata male: allora raccogliamo la sfida con determinazione. I progetti possono essere sviluppati internamente, dal Caimi lab, o con la collaborazione di designer che per feeling o per vocazione si trovano sulla nostra lunghezza d’onda. Ci si incontra regolarmente per confrontarci, ci interessa la loro visione del mondo, è sempre molto utile scoprire il loro punto di vista sulle nuove esigenze del mercato. Da questi incontri spesso emergono idee che ci portano a sviluppare prodotti innovativi”. Un progetto innovativo? “Lo scorso anno abbiamo investito moltissimo
in ricerca e in prodotti nuovi: è stata una scelta coraggiosa che ci ha premiato. La collezione Prisma fa parte di questo percorso: un sistema di accessori contenitori (portaombrelli, gettacarte, fioriere, posacenere) in acciaio inox progettati da Sezgin Aksu e Silvia Suardi. La lavorazione a ‘nastro continuo’ del pezzo evidenzia una cura del dettaglio e della sagoma tipica della lavorazione artigianale pur essendo realizzato con tecnologie industriali che permettono di mantenere un ottimo rapporto qualità-prezzo”. Le sfide in corso? “Siamo estremamente attenti ai materiali e alle tecnologie eco-compatibili. Studiamo e utilizziamo materiali che provengono da fasi di riciclo, mixati con materiali prodotti con cicli di lavorazione che hanno un minor impatto sull’ambiente. Abbiamo ad esempio sperimentato plastiche caricate con polveri di legno provenienti dagli scarti di lavorazioni dei parquet. Tutti i pezzi a fine vita, poi, devono poter essere facilmente separabili: tendiamo quindi a privilegiare il più possibile componenti monomaterici. Lo abbiamo sempre fatto, e ci è sempre parso naturale. Siamo avvantaggiati perché lavoriamo sulla qualità, producendo oggetti che durino nel tempo: anche questo significa essere sostenibili. Le aziende di questo territorio hanno sempre avuto una grande attenzione verso tutti gli aspetti del prodotto; siamo stati abituati a non sprecare e ad avere rispetto per le cose: era un atteggiamento sostenibile già 50 anni fa, anche se allora la sostenibilità non era ancora di moda”.
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Come si impara questo mestiere? “Quando sono entrata in azienda c’era ancora mio padre, a cui si doveva il 90 per cento degli oggetti disegnati in lastra di cristallo. Io ho imparato da lui, in fabbrica. Col passare degli anni abbiamo fatto una scelta di apertura. Il primo designer con cui abbiamo collaborato in modo stretto è stato Ricardo Bello Dias. Era affezionato a mio padre e l’ha affiancato negli ultimi anni della sua vita. Da lui ha assorbito la cultura della lavorazione del cristallo che ha poi riversato nei progetti dei prodotti sviluppati per noi. Con lui abbiamo intrapreso un nuovo cammino”.
Silvia Gallotti Si è laureata in Economia e Commercio e ha vissuto a Londra. Tornata in Brianza, entra nell’azienda di famiglia, la Gallotti & Radice, nel 1996. Oggi, con suo fratello Massimo e i soci Marco e Pierangelo Radice guida un team affiatato che insieme valuta i progetti e ne segue la realizzazione.
Come nasce un prodotto? “Il cristallo è un materiale difficile che i designer conoscono poco e che impone molti compromessi. Molto spesso i progettisti approcciano l’argomento con linee difficili da trasformare in un prodotto. Qualsiasi elemento si aggiunga ad un materiale così neutro può diventare una presenza molto forte e contaminante, tanto che a volte si persegue un obiettivo e poi, a un certo punto, ci si deve arrendere perché non si trovano soluzioni accettabili. Capita però che anche un progetto condizionato da vari limiti lasci intravvedere delle possibilità: allora per noi diventa una sfida dove è importantissima la sintonia col designer”.
Un progetto che ritiene innovativo? “Lo specchio Zeiss, che insieme col tavolo omonimo ha rappresentato l’inizio della collaborazione con Luca Nichetto: lo specchio è nato da un briefing preciso, proprio perché volevo prodotti che esprimessero quella che era stata la nostra lavorazione storica e che possiamo ancora oggi garantire: la bisellatura. Luca l’ha interpretata con un aspetto molto attuale, ispirandosi a forme organiche. Il gioco è basato sulla sezione di un solido, affettato, schiacciato e poi traslato, con una cornice che esprime una bisellatura sul legno da una parte che viene poi bilanciato con la bisellatura sul vetro dall’altra”. Quali sono le sfide in corso? “Proseguendo un percorso iniziato da mio padre, abbiamo portato il cristallo nella quotidianità delle case. Ora abbiamo iniziato un discorso parallelo negli spazi del lavoro: un catalogo di pari peso per l’Office e uffici direzionali. Per quanto riguarda i materiali, e alla luce di quello che è stato il briefing di quest’anno, la ricerca sarà sempre più orientata verso materiali che possano creare col cristallo un abbinamento ed un contrasto un po’ inaspettati: il feltro proposto da Monica Armani nel tavolo WGS è stato il primo approccio particolarmente riuscito; ora stiamo studiando tessuti tecnici, ma non solo”.
Silvia Gallotti, al centro, con le assistenti claudia fusi e loredana bartesaghi dell’ufficio sviluppo prodotto.
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Come si impara questo mestiere? “Ho sviluppato una professionalità tecnica in Flos e, soprattutto, mi sono affinato nella relazione coi designer, un aspetto molto importante perché i progetti nascono dalla collaborazione con personaggi sempre diversi. Mi considero molto fortunato perché ho potuto lavorare fianco a fianco con Achille Castiglioni che considero il mio maestro sul lavoro, ma che è stato anche un personaggio straordinario dal punto di vista umano”.
Roberto Gasparotto Architetto: dieci anni in Flos come responsabile ufficio tecnico, ricerche e sviluppo. Nel 1991, l’ingresso in Venini, prima come responsabile sviluppo prodotto e poi come Art Director.
roberto gasparotto e il maestro vetraio luciano savanelli con lampadario esperanÇia di fernando e humberto campana.
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Come nasce un prodotto? “Il vetro, la materia prima con la quale abbiamo a che fare in Venini, è molto particolare. C’è una fortissima e fondamentale componente di lavoro manuale: va innanzitutto instaurata un’alchimia con i maestri e con chi lavora in fornace. Bisogna imparare a conoscerli molto bene dal punto di vista sia tecnico che umano, per capire chi meglio può poi interpretare il segno di un designer. Ai progettisti, invece, chiediamo di individuare nella produzione Venini un vocabolario espressivo che si possa sposare con la loro creatività, anche attingendo a tutta l’esperienza che i grandi maestri ci hanno lasciato in eredità. Con i fratelli Campana abbiamo ancora una volta raggiunto l’obiettivo: nel vaso e nel lampadario Esperança i personaggi raffigurati sono l’espressione di un certo artigianato artistico brasiliano: sono figure realizzate, normalmente, in stoffa. Abbiamo intuito la possibilità di realizzarle in vetro, senza scadere nel decoro, e i nostri maestri hanno ben decifrato quel particolare linguaggio creativo, apparentemente così lontano”.
Come si fa innovazione con un materiale così antico? “Il vetro è un materiale vivo e ogni giorno si ottiene qualcosa di nuovo. Sono tanti i fattori scatenanti, dalla chimica all’intervento creativo ed estetico. Qui in Venini abbiamo un laboratorio interno che produce e gestisce più di 100 tonalità di colori: un luogo dove si tramandano ricette e si creano nuove formule e miscele, da tre generazioni. La forza di questa azienda è gestire e mantenere un lavoro che è corale, che permette di arrivare al risultato finale solo se c’è il rispetto di tutte le competenze, anche di chi osserva e controlla le temperature dei forni e di chi lavora qui la notte: senza queste persone non riusciremmo ad ottenere la qualità che ci distingue”. Le sfide in corso? “Da più di un anno abbiamo intrapreso una collaborazione molto interessante con Established & Sons con cui, per il Salone del mobile 2010, abbiamo realizzato una linea di lampade ed oggetti disegnata dai Bouroullec, Sebastian Wrong, Grcic. È una collezione particolare, un nuovo passo per la nostra azienda che è riuscita a interpretare sensibilità così diverse pur mantenendo lo stile e l’identità Venini. La sfida è superare il superato, non fermarsi mai, arrivare a traguardi sempre più complessi: non complicati, ma complessi. Ricercare, migliorare, affinare, perché, come diceva Castiglioni ‘quando sembra che la ricerca sia finita è il momento di rivederla e ricominciare’”.
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Rolando Gorla È nato in Brianza e ha frequentato l’Istituto d’arte di Cantù. Nel 1972 è entrato in C&B. Nel 1973, con la separazione tra Cesare Cassina e Piero Ambrogio Busnelli, ha scelto di seguire Busnelli nella B&B Italia; è oggi il Responsabile del Centro Ricerche e Sviluppo (CR&S B&B Italia).
Rolando Gorla e Massimiliano Busnelli, product developer, con il divano Bend sofa di Patricia Urquiola.
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Rolando, lei ha seguito da vicino quasi quarant’anni di produzione dell’arredamento: cosa è cambiato? “Quando abbiamo cominciato era tutto più facile, eravamo in pochi e il prodotto si distingueva con più facilità. Ma non c’era Internet che mette a disposizione di tutti informazioni e materiali; c’erano meno fiere; i più bravi erano quelli capaci di intuire e di scoprire. Magistretti non solo sapeva quello che voleva ma sapeva come si costruiva un prodotto; quando poi arrivava Tobia Scarpa sapeva anche inventare le macchine per produrlo. Noi abbiamo imparato molto dagli architetti di allora, compresa la tecnica per gestire il carattere di ciascuno. Il centro di Ricerche e Sviluppo B&B Italia si è formato grazie alla collaborazione e all’esperienza di Zanuso, Afra e Tobia Scarpa, Bellini, Magistretti. Oggi, invece, siamo noi che diamo la nostra esperienza ai giovani designer: è l’azienda che esprime tutto il proprio carattere nei prodotti dei singoli e non più il contrario”. Come nasce un prodotto? “Siamo ‘schiavi’ della nostra storia: lavoriamo solo su progetti innovativi, solo dove c’è una sfida. Noi qui abbiamo la struttura per produrre ma anche per sperimentare: abbiamo sia il centro di ricerca che l’ufficio tecnico. Noi lo chiamiamo ‘lo sviluppo del progetto’; seguiamo tutta la vita del prodotto in modo coerente e, avendo noi tutta la filiera, riusciamo a controllare il messaggio fino al consumatore finale: è un atteggiamento che negli anni ha determinato la forza di questa azienda, forse poco visibile, ma per noi fondamentale”.
Un progetto innovativo? “Stiamo facendo ricerca sulla sostenibilità dei materiali in modo che si possano riciclare o disaccoppiare con facilità; lavoriamo sulle modalità produttive, nel rispetto dell’ambiente. Stiamo lavorando alla riduzione del poliuretano all’interno del prodotto: il divano Bend-Sofa di Patricia Urquiola, ad esempio, ha una forma sinuosa, sembra tutto pieno ma in realtà l’abbiamo svuotato parecchio, senza dimenticarci che la struttura deve essere comoda e robusta. Non è stato così facile capire come fare, anche perché bisognava individuare i problemi prima di realizzare lo stampo; abbiamo fatto molti test ed abbiamo ottenuto quello che volevamo: un prodotto che ha un’immagine opulenta, dove il materiale utilizzato è solo quello che serve e con un prezzo molto interessante. Patricia ha poi intuito come lavorare sui piani dell’imbottitura, che normalmente sono piani di tessuto diversificati, unendoli e dando sartorialità al prodotto”. Le sfide in corso? “Abbiamo intenzione di concentrarci di più sulle sedute singole piuttosto che sui divani. Vorremmo collaborare con nuovi designer e questo è il compito di Massimiliano Busnelli. Stiamo dialogando con alcuni ragazzi inglesi perché loro hanno una mentalità più da industrial designer: sono molto bravi gli inglesi, molto concreti e creativi”.
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Come si impara questo mestiere? “L’istituto d’Arte di Cantù è stata un’ottima scuola che mi ha formato soprattutto dal punto di vista culturale. Poi sono entrato in azienda ed è quasi 35 anni che faccio questo mestiere. Ho imparato sul campo trasformando degli oggetti costruiti artigianalmente in prodotti da industrializzare”.
Ferdinando Mussi Brianzolo, ha studiato all’Istituto d’arte di Cantù. Dal 2006 è responsabile del Centro Ricerche Cassina.
ferdinando mussi con il divano aire di piero lissoni.
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Come nasce un progetto? “Il centro Ricerche Cassina è un po’ come una biblioteca che racchiude tutte le esperienze progettuali che sono state sviluppate negli anni; i designer entrano qui e possono vedere e toccare i prototipi originali degli anni ’50, ’60, ’70. Prodotti che hanno fatto la storia del design: fanno una certa soggezione! Ma questo non è solo un laboratorio dove si costruiscono i prototipi, è un luogo dove si elaborano le idee: non ci fermiamo mai alla semplice esecuzione di un disegno, perché più delle volte darebbe vita ad un prodotto senz’anima. I progettisti con i quali lavoriamo a stretto contatto arrivano da noi con un’idea, non con un prodotto. Si parte da una fantasia, cerchiamo di interpretarla e concretizzarla; il designer studia una forma e insieme lavoriamo per trasformarla in un primo prototipo sul quale correggere dimensioni e proporzioni e decidere quali materiali utilizzare. Siamo attrezzati con un’officina meccanica, con la falegnameria e con il laboratorio di tappezzeria; ci ingegniamo per studiare soluzioni non ancora sperimentate da altri: piccoli brevetti che fanno la differenza. Eseguiamo internamente anche stampi in vetro resina, silicone, gesso, così da realizzare subito il primo prototipo. Se poi l’oggetto
va in produzione, passa all’ufficio di industrializzazione, col quale siamo sempre in contatto e abbiamo uno scambio continuo di idee e consigli: lì, il prodotto viene analizzato per essere realizzato nel miglior modo possibile”. Un prodotto innovativo? “Aire, il nuovo divano disegnato da Piero Lissoni, ha rappresentato per noi una grande sfida innovativa. Volevamo dare un impatto visivo soft ad un prodotto fortemente tecnologico ed ecocompatibile. Abbiamo lavorato al corpo, mettendo a punto una tecnica diversa da quella tradizionale di schiumatura con cui la struttura viene inglobata in una forma di poliuretano. Abbiamo ottenuto il divano più leggero della collezione Cassina tenendo separato lo scheletro in metallo che è stato rivestito con una tensostruttura in nylon; su di essa viene calzata una confezione di imbottitura di ovatta in poliestere che ingloba parti in poliuretano espanso, (ridotto del 65 per cento perché, per ora, non è riciclabile), che è stato sagomata per ottenere l’aspetto estetico che Piero Lissoni desiderava; il tessuto o la pelle completano il rivestimento. Una volta che il divano terminerà la sua lunga vita, tutti i suoi componenti potranno essere separati con facilità con un basso impatto ambientale”. La sfida” “Studiare e produrre oggetti che continuino a ridefinire il servizio offerto da Cassina, inteso come forma, funzione, messaggio e rispetto per l’ambiente. Trovare un’ alternativa ecologica al poliuretano sarebbe oggi la risposta veramente rivoluzionaria”.
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Com’ è iniziata l’avventura di Magis? “Sono entrato nella logica di fondare un’azienda orientata al design (che all’epoca, in Veneto, aveva un’identità estremamente esitante), per pura passione e un po’ di intuito. Magis deriva dal latino, è un aggettivo comparativo che significa ‘di più’: con Magis volevo offrire ai designer un modo per reinventarsi, per uscire dal quotidiano esercizio di stile”.
Eugenio Perazza Nasce nel nord-est, s’innamora del design e, dopo un breve trascorso nel settore commerciale in un’azienda di articoli casalinghi in tondino di ferro, fonda Magis nel 1976.
eugenio perazza con enrico perin, responsabile sviluppo progetti wanders, con la sedia troy di marcel wanders.
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Come nasce un prodotto? “Il progetto nasce sempre da un’idea di Magis e da un brief posto ai designer; l’azienda partecipa dunque attivamente al processo di sviluppo del prodotto. Il team tecnico è formato da cinque persone molto affiatate: con i designer il rapporto è strettissimo, siamo in contatto con loro quasi tutti i giorni. Abbiamo progetti per il corto, il medio e lungo periodo. Sono progetti sempre innovativi e ci piace che sia così: ormai abbiamo imparato che, al momento della presentazione, molti nostri prodotti non vengono percepiti o compresi, perché più alto è il loro grado di innovazione e più lenta è la messa in moto sul mercato. È stato così anche per la sedia Chair_One di Kostantin Grcic, diventata poi un’icona”. Un progetto innovativo? “Magis è disponibile ad affrontare sfide rischiose e a sviluppare progetti border-line. Lo è stato nel caso di Bombo di Giovannoni o dell’Air Chair di Morrison, la prima seduta realizzata con la
tecnica ‘air- moulding’. Uno degli ultimi progetti è la sedia Troy disegnata da Marcel Wanders: per noi si tratta della prima sedia in plastica in bi-iniezione. È una tecnologia già sfruttata da altri, non potevamo accontentarci di usarla semplicemente per rappresentare due colori, uno sul fronte e l’altro sul retro, perché così san fare tutti. Dovevamo trovare una strada nuova: realizzare il retro trasparente che lascia intravvedere i decori riportati all’interno della sedia e che un domani potranno essere cambiati, in quanto operazione contemplata dallo stampo”. Qual è la sfida? “Stiamo studiando l’applicazione di nuove tecnologie: quella del legno liquido, per esempio, che sperimentiamo da molti anni e che consente di realizzare un prodotto biodegradabile al cento per cento. Si tratta di un materiale inventato da Fraunhofer, un grande centro di ricerca tedesco che ha sperimentato l’MP3 e l’Airbag. Noi, che siamo condannati a fare cose difficili, abbiamo scelto il legno liquido per fare una sedia monoscocca che è una vera impresa. Il problema è coniugare la qualità estetica del legno liquido con le sue non eccellenti proprietà meccaniche. Per renderlo più robusto è necessario aggiungere la fibra di canapa. Ma più è alta la percentuale di fibra e più l’aspetto superficiale del materiale si allontana da quello del legno e si avvicina alla plastica. Ci stiamo lavorando da tre o quattro anni ma siamo ancora lontani dal goal. Per fortuna noi di Magis abbiamo come simbolo il mulo, che è un animale paziente e gran lavoratore…”.
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Come si impara questo mestiere? “Sono entrata in azienda quando c’era ancora mio padre e i nostri designer di riferimento erano Castiglioni, Mari, Sottsass… Ho avuto grandi maestri”.
Eleonora Zanotta Laureata in architettura, entra giovanissima nell’azienda fondata da suo padre Aurelio e, con la sorella Francesca, oggi ne prosegue la tradizione imprenditoriale.
eleonora zanotta con daniele greppi, responsabile sviluppo prodotto, con tavolo francesca di jacopo zibardi e tavolino blow di salvatore indriolo.
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Come nasce un prodotto? “Sono ancora legata alla lezione di Castiglioni per cui un progetto doveva sempre essere negazione o contestazione dell’esistente. Secondo lui la qualità del progetto era commisurata alla sua capacità di essere innovativo. E questo significava non la futile ricerca della novità formale o commerciale ad ogni costo, bensì la ricerca di un qualche livello di reale ‘invenzione’. Mio padre mi ricordava che il rischio di un imprenditore era quello dell’uniformità della produzione. Io sono figlia del tempo in cui la cultura dell’azienda si confrontava con quella del progettista: da quel dialogo nasceva e nasce ancora un risultato importante”. Un progetto innovativo? “La ricerca e la sperimentazione, tecnica o formale, sono parte integrante della cultura aziendale Zanotta: a cominciare dal rivoluzionario Sacco del 1968. Ci piace indagare in settori sempre nuovi e quest’anno con Cristalplant abbiamo organizzato un concorso rivolto a studenti e giovani designer nati dopo il 1970. Il tema riguardava la progettazione di tavoli, tavolini e complementi di arredo. In occasione del FuoriSalone 2010 abbiamo presentato i tre progetti vincitori: il criterio di scelta è stato quello di
premiare chi aveva interpretato nel miglior modo l’utilizzo del materiale dal punto di vista estetico, ma soprattutto chi aveva individuato le possibilità che questo materiale suggerisce in fatto di plasticità e organicità, senza dimenticare l’utilizzo corretto in funzione dei costi, evitando gli sprechi e utilizzandolo negli spessori più adeguati. Il materiale è molto attraente e resistente, ha un touch molto soft e se si graffia si può ripristinare attraverso spugne abrasive. È colorato in massa e si lavora per colatura, così che è facile ottenere forme organiche. L’avevamo già utilizzato l’anno passato per realizzare il tavolo Elica di Prospero Rasulo e i tavolini da esterno Loto e Ninfea dei Palomba. Il prossimo traguardo sarà il Cristalplant nel colore nero: un’ulteriore ricerca non facile per un’azienda che oggi lavora solo cose bianche”. La sfida? “Sentiamo molto forte la necessità di produrre rispettando l’ambiente. Stiamo dando spazio a nuovi filoni di ricerca su questi argomenti, per non finalizzarci sull’aumento della produttività ma verso la qualità della vita dell’intero pianeta. Già oggi realizziamo prodotti facilmente disassemblabili, così da prepararli al ‘fine vita’ ma anche per renderli più duraturi, sostituendone facilmente i pezzi. Ho sempre in mente una frase di Magistretti che diceva: ‘quando un prodotto è l’espressione del presente avendo in sé qualcosa del passato pur essendo proiettato nel futuro, si può ritenere che sia un progetto ben riuscito’”.
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Fabrizio Orlandoni È nato a Marsciano, ha studiato presso l’Istituto Tecnico di Perugia con specializzazione in meccanica. Lavora da 25 anni in Emu, dove è responsabile sviluppo e industrializzazione prodotto.
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Com’è organizzato il vostro lavoro? “L’azienda è specializzata nella lavorazione del metallo per l’arredamento da esterni. Questo materiale viene lavorato in tutti i modi possibili, dai tubi alle lamiere. La mia figura rappresenta il trait d’union tra i designer e i prodotti finiti, dalla progettazione alla produzione. I prodotti seguono questo iter: selezionato il progetto, s’instaura un confronto con il designer per coniugare le proprietà e le peculiarità del disegno con le esigenze produttive, cercando di mantenere il più possibile l’idea originale. Il prototipo viene realizzato completamente all’interno del nostro laboratorio e lavorato manualmente da un team formato da quattro persone di grande esperienza, fino ad ottenere un manufatto idoneo alla produzione. L’esperienza è importante e contraddistingue ogni nostro reparto, dall’ufficio tecnico fino all’attrezzeria e al reparto prototipi: tra di loro, persone con oltre 40 anni di esperienza e giovani leve”. Un progetto particolarmente innovativo? “Pattern, la sedia disegnata da Arik Levy, è particolare sia esteticamente che produttivamente: non c’era ancora niente sul mercato realizzato in lamiera di metallo che avesse quella forma, più tipica, sicuramente, di oggetti stampati in plastica. Abbiamo impostato il lavoro secondo le nostre modalità, lavorando sulle lamiere imbutite a più passaggi e investendo in stampi molto impegnativi. Lo sforzo maggiore è stato quello di trovare delle
forme geometriche che offrissero resistenza al materiale, pur mantenendo spessori minimi per poter assicurare un peso nella norma: non possiamo non considerare il diverso peso specifico del ferro e dell’alluminio! Anche se i mezzi tecnologici a disposizione ci permettono di effettuare diverse simulazioni, in questo caso l’esperienza è stata determinante. Il progetto Pattern è un esempio di quello che è un punto di forza del nostro modus operandi: il feeling che si instaura tra l’azienda Emu e i designers; un percorso che si rende necessario, uno scambio costante ed intenso che sfocia spesso nella nascita di preziose amicizie”. Le sfide in corso? “A livello di materiali, noi lavoriamo con il metallo: continueremo a studiare questa materia e a lavorarla in un modo sempre più sofisticato, per far sì che i nostri progetti siano sempre più all’avanguardia in un mercato così competitivo. Passare dal progetto del designer alla fase di industrializzazione è un compito arduo, specie se si vuole mantener fede al progetto iniziale. Noi riteniamo fondamentale non stravolgere l’opera su carta e per questo abbiamo investito in attrezzature e macchinari che consentono la realizzazione di forme altrimenti non realizzabili con procedure standard. Infine, investiamo molto per la qualità del prodotto, sia nella materia prima che nei trattamenti di finitura. Proteggere per una lunga durata un prodotto che, come il nostro, vive in esterno, è per noi un punto di partenza”.
fabrizio orLANDOni con la sedia pattern di arik levy.
photo: studio più comunication
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DeTTaGLI DI sTILe foto ed elaborazione immagini di Enrico Suà Ummarino - di Katrin Cosseta
LA CURA SARTORIALE, CON I particolari TIPICI DELL’haute couture, CONNOTA I NUOVI imbottiti D’AUTORE. cuciture COME SCHIZZI, MACRO-PUNTI, IMPUNTURE, CERNIERE LAMPO E RICAMI GIOCANO TRA funzione E decorazione. E TRA industria E artigianato COME DA MIGLIORE TRADIZIONE made in Italy. SPIN DI CLAESSON KOIVISTO RUNE PER TACCHINI, POUF IN TRE DIMENSIONI E TRE COLORI, RIVESTITI IN TESSUTO CON CUCITURA A VISTA A SPIRALE IRREGOLARE. IL TRIO SVEDESE COMMENTA: “SU OGNI POUF ABBIAMO TRACCIATO UNA LINEA SINGOLA E ININTERROTTA, UN GHIRIGORO QUASI IPNOTICO, A FORMA DI SPIRALE, CUCITO COME A MANO. QUESTA È STATA UNA SFIDA PER I TECNICI DELL’AZIENDA CHE SONO RIUSCITI A CATTURARE LA SPONTANEITÀ DEL NOSTRO PRIMO DISEGNO”.
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Bend Sofa, di Patricia Urquiola per B&B Italia. Divano componibile con struttura interna in poliuretano, schienale a movimento irregolare e moduli ondulati, nato dalle ricerche digitali. Le linee fluide e l’impostazione monolitica sono sottolineate dalle cuciture a contrasto che creano un ulteriore disegno sulla superficie. spiega urquiola: “bend, pensato inizialmente come una panca, È un divano molto semplificato, un po’ fatto a mano e un po’ in 3D, affettivo, rassicurante, tattile e soffice. Le cuciture evidenziano la lettura della torsione dei poligoni, Rompono l’ortogonalità, Danno un orientamento nella percezione delle forme, Razionalizzano l’utilizzo del tessuto”.
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sopra: DS-315 di Philippe Bestenheider per De Sede, poltrona a pozzetto rivestita in pelle. L’articolazione delle geometrie è enfatizzata da una cucitura a mano per una lunghezza complessiva di 26 metri. bestenheider entra nel dettaglio: “Una persona impiega circa otto ore per realizzare la cucitura, con un filo prodotto con la stessa pelle usata per il rivestimento. La cucitura è caratterizzante per la poltrona, ne sottolinea la morfologia composta da una successione di superfici convesse e concave. L’idea è anche di aggiungere una qualità sensoriale al prodotto: la cucitura al vivo è gradevole da toccare e offre un contrasto rispetto all’interno morbido della poltrona”. sopra, a destra: wimbledon, di piero lissoni per matteograssi, poltroncina con struttura in tubolare cromato e seduta in cuoio, con cucitura a filo che evidenzia volutamente le giunte e non interrompe la soluzione di continuità tra le parti. Ogni elemento in cuoio si adatta e dialoga con gli altri grazie al vincolo delle cuciture; come nei lavori sartoriali, esse esaltano l’estetica e guidano la forma. lissoni spiega l’idea alla base: “wimbledon è l’anamorfosi di una pallina da tennis, dalla quale trae l’ispirazione, una sorta di forma ricostruita, un oggetto tridimensionale sospeso da terra”. nella pagina accanto: Brenno, di Francesco Binfaré per Edra, divano con struttura in legno e metallo, imbottitura in gellyfoam e piuma d’oca. Il rivestimento in pelle naturale è volutamente lasciato abbondante e trattenuto sul retro da una cerniera lampo; un dettaglio-moda che consente di realizzare un’immagine morbida e priva di costrizioni. Approfondisce Binfaré: “la cerniera lampo realizza un gioco dei contrari, di gestualità contrapposte: è un riferimento fisso che si oppone all’ apparente casualità e libertà del rivestimento. La cerniera diventa simbolo, principio che fa risultare la casualità come eleganza ed elemento fondamentale per la lettura del codice formale del prodotto. È l’atto conclusivo che celebra l’abilità del fare”.
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KIVAS DI KARIM RASHID PER VALDICHIENTI, DIVANO MODULARE, NELLE COMPOSIZIONI E NEI COLORI, CON RIVESTIMENTO IN LANA O IN PELLE CON SUPERFICIE LAMINATA A EFFETTO METALLICO. UNA CUCITURA DECORATIVA, REALIZZATA A MACCHINA A 1 AGO CON EFFETTO CASUALE, CONNOTA LA SEDUTA. SPIEGA RASHID: “LE CUCITURE SONO FONDAMENTALI IN QUESTO PROGETTO: INSIEME A QUELLE NECESSARIE, ANCH’ESSE NON LINEARI, HO VOLUTO DELLE CUCITURE DECORATIVE MORBIDE E SINUOSE POICHÉ NON AMO LA LINEARITÀ E GLI ANGOLI. HO CREATO QUESTO PATTERN ORGANICO, COME UNA CUCITURA A SCHIZZO CHE RIVELA UNA MANO ARTIGIANALE E INFONDE UNICITÀ AD OGNI PEZZO”.
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Marc, di Rodolfo Dordoni per Minotti, Bergère dalla collezione One World, con rivestimento in tessuto di lana e cuciture a contrasto. commenta Dordoni: “marc ha una Forma avvolgente dal volume sinuoso, enfatizzata dall’utilizzo di un dettaglio ricercato come la cucitura punto cavallo, usata in contrasto cromatico con il tessuto di rivestimento. un Connubio tra design, comfort e alta sartoria tipicamente Made in Italy, un pezzo che ben interpreta lo stile Minotti”.
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REDONDO, DI PATRICIA URQUIOLA PER MOROSO, DIVANO AVVOLGENTE COMPOSTO DA DUE VOLUMI, TRA LORO ACCOSTATI, PER CREARE UNA SEDUTA RACCHIUSA, A GUSCIO. IL RIVESTIMENTO IN TESSUTO È IMPREZIOSITO DA UN DECORO TRAPUNTATO DOVE IL FILO, COME UNA MATITA, DISEGNA UNA GEOMETRIA TRIDIMENSIONALE. SPIEGA URQUIOLA: “LE CUCITURE CON LA TECNICA DEL TRAPUNTATO INFONDONO TRIDIMENSIONALITÀ AL TESSUTO, CREANDO COSÌ SIA UN EFFETTO ESTETICO CHE FUNZIONALE. LA COVER DI GROSSO SPESSORE DIVENTA PARTE INTEGRANTE DELLA STRUTTURA PER DARE MAGGIORE COMODITÀ. LE CURVE DELLE CUCITURE ASSECONDANO LE ROTONDITÀ DELLE FORME E DANNO ORIGINE A UN PATTERN ATTRAVERSO I DIVERSI INCROCI”. NELLA PAGINA ACCANTO, IN PRIMO PIANO: POLTRONA DAL SISTEMA DI IMBOTTITI CICLADI, DI GORDON GUILLAUMIER PER ARKETIPO, CON STRUTTURA IN METALLO, IMBOTTITURA IN POLIURETANO INDEFORMABILE, RIVESTIMENTO IN PELLE CON IMPUNTURE A CROCE CHE MUOVONO LA SUPERFICIE. COMMENTA GUILLAUMIER: “MI PIACE ELABORARE LA DIMENSIONE DEL DETTAGLIO CHE CONSIDERO LA DEFINIZIONE FINALE DEL PROGETTO, IN GRADO DI METTERE IN RISALTO IL KNOW HOW E LA QUALITÀ DELLE LAVORAZIONI DI UN’AZIENDA. CICLADI È UNA SEDUTA FORMALMENTE ESSENZIALE CHE HO VOLUTO CONTRAPPUNTARE COL DETTAGLIO DELLA TRAPUNTA A CROCE, IN SOSTITUZIONE AL BOTTONE TRADIZIONALE, RIPRENDENDO IL MOTIVO TARTAN SEMPLIFICATO IN FORMA DI CROCE. UNA LAVORAZIONE SPECIALE, DAPPRIMA PENSATA PER ESSERE ESEGUITA A MANO E SUCCESSIVAMENTE SOSTITUITA CON LA MACCHINA PER STARE NELLA LOGICA DELLA PRODUZIONE SERIALE”. NELLA PAGINA ACCANTO, IN ALTO: RUCHÉ, DI INGA SEMPÉ PER LIGNE ROSET, DIVANO CON STRUTTURA IN FAGGIO MASSELLO TINTO O NATURALE, SU CUI POGGIA UNA TRAPUNTA IMBOTTITA, RIVESTITA IN PELLE O TESSUTO, DESCRITTA DA SEMPÉ COME “UNO SPESSO PIUMONE DALLA TRAPUNTA PARTICOLARE, UNA SORTA DI BOUTIS O CAPITONNÉ COSTITUITO DA UNA QUADRETTATURA CON CUCITURE INTERROTTE. DI VOLTA IN VOLTA, FERMATO DAI PUNTI E POI LIBERATO, IL TESSUTO SI ARRICCIA E CREA OMBRE SEMPRE DIVERSE. LA TRAPUNTA, CHE SEMBRA SEMPLICE, È STATA OGGETTO DI NUMEROSE RICERCHE, DAPPRIMA CON LA MIA PICCOLA MACCHINA DA CUCIRE, POI CON LE MACCHINE PROFESSIONALI DELLE SARTE, INFINE CON UNA MACCHINA COMPUTERIZZATA PROGRAMMATA CHE PRODUCE IL DIVANO FINALE”.
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editorial p. 1 “The strength of Italian industry lies in its relational intelligence”. “Networking can become a tool with a high commercial and emotional impact”. “What happens in the connected world today has always happened in Italian districts”. “The quality of goods is not the result of a series of manufacturing stages, but of a ‘value web’ where each stage can connect to many others”. “Design as a networking profession generates value not only by making products, but by spreading the spores of design thinking on all the nodes of the creative network”. The historic New York Subway map designed by Massimo Vignelli in 1972 is the ideal itinerary of the ‘stages’ of design travelled in this special issue titled Design Networking. First stops: those fortunate meetings between architects and industrialists which in the 1960s gave life to Italian design. They are represented by the following pairs: Castiglioni-Gandini and Sottsass-Olivetti, selected and presented as emblematic cases. The story continues, reaches our contemporary age and looks into the future, always focusing on pairs, relations and interconnections – in other words, the network of relations – of the contemporary characters of this story which started the Italian way, with its own dynamics and features, which however must now necessarily relate to a strongly internationalized context and play its distinctive features with a view to globalization. This time we have submitted our questions to over a hundred architects, designers, and corporate figures. Their viewpoints represent the third part of a critical analysis that we started a year ago with the Design Thinking September issue, a moment of analysis devoted to the thoughts of the players in the Italian design system on the current recession and the great challenge of change under way. The itinerary continued this year in April with the Think Tank issue, focused on experimentation as the necessary passage for innovation. Now, Design Networking reviews the history to highlight the strongly relational character of Italian design and describes the increasingly complex, widespread and immaterial ‘network’ of relations which make up its structure today: those between companies and entrepreneurs, those between domestic industry and international markets, those between design ideas that come to Italy from increasingly different geographical cultures and the products that Italian companies are able to manufacture, to then export to the rest of the world with an ever new ability to adapt to the various areas and to select on the basis of specific requirements. This network, rightly defined “of values” by Aldo Bonomi, is the real excellence of Italian production. In the age of immateriality and globalization, it can still be a point of reference for the dissemination of a tangible, human and competitive design idea on an international scale. Gilda Bojardi
Thought
Design in the time of the net
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STEFANO CAGGIANO Graduated in Product Design and Philosophy, he has been dealing with design culture and research for about ten years, with a focus on the anthropological aspects and creative phenomena. Critic and curator of exhibitions, he has been art director at the Ravenna Museum of Contemporary Decoration for one year and in charge of the section Design of Exibart for two years. Now he works with Interni and teaches Design Semiology and Design Research at ISIA in Faenza, where he orchestrates the research programme “The futures of design”, and at more design schools. There is a well-defined bond between the net-like structure of our age and the highest rate of creativity ever recorded in history. The jump has occurred with the web diffusion and has introduced an unprecedented participation in the production and networking of contents. Facebook, Twitter: nowadays people want to be connected. And in this new scenario identities get nodal, namely they are as many “nodes” of the large communicative-creative network made of real and digital, that keep the thought of the planet alive, like neurons in the brain, through the exchange and synaptic remixing of information. In this scenario, the Italian design emerging from a patchwork of districts, where social and planning form one amalgam, could be the model for the global transmission of design scales, that don’t involve “things” only, but also feelings, wishes, quality, a taste for life. Much more than simple, spontaneous associations, the districts are actual genius loci, that combine first-rate products with the ability to tell specific cultures. Technogym won the exclusive supply of gymnastic apparatus to the 2008 Bejing Olympic Games for its technical excellence as well as the capability to sell a whole wellbeing culture. After all, it is no accident that Italy is also a country of squares. And not only in Italy, but all over the world, the public places are the most involved in a creative flurry (public art, design weeks, etc.). The fact is that the web, with its democratic access logics, has restored values like reciprocity, sharing, gift, environmental and cultural sustainability. Just think of the works carried out by the Campana brothers for Edra, drawing food from that “hatchery” of concepts for that daily organization of chaos, which are the streets in Sao Paulo, The strength of the “made in Italy” lies in the relational intelligence for which networking can be a tool with a high commercial and emotional impact. Now that the value is no longer determined by specialization only and, as Luca De Biase writes, “ jeans are made from cloth and social science, cellphones consist of chips and anthropology, the coffee seems to be an infusion of vegetable and artistic fragrances”, what has always been happening in the Italian districts is now happening across the connected world, that is the quality of goods is not the outcome of a sequence of production stages but of a “web of values” (it’s a definition made by Aldo Bonomi). And each stage may refer to many more – until the end customer’s one: Illy brought the coffee university to China, because they understood that their product would have no meaning outside of a context of conviviality and taste culture. What jeans and soft furniture, lamps and coffee, have in common is design as a net-like job, that creates value not just through products but by spreading the spores of the design thinking over all the nerve-centres of the creative network, from shape to flavour, distribution to interaction with the customer, logistics to tale, supply chain to the occupational relapse. That’s why in this time of crisis the most advanced footwear districts like Brenta, and of furniture, like Brianza, are still growing; while others don’t go beyond the mere export of “things” – like the sofas in the Murge area and the Manzano chair district - and they keep suffering. Here the centrality of design in the Italian output is clear. Here it often happens that a designer has a great influence on the vicissitudes of a company: just think of the Castiglioni Brothers for Flos, Ettore Sottsass for Olivetti, Ferruccio Laviani for Kartell. But also of the all-Italian figure of the entrepreneur-designer, people like Ernesto Gismondi for Artemide or Mario Nanni for Viabizzuno, who understood, before the term “design thinking” was coined, that design involves both the idea and its implementation in the complex, real world, namely to make business. Even on a microscopic scale, what happens now between design and networking is a quite special agreement. In the fluid market the designer works in, to have a rich “social capital”, namely a close networking, is a virtuous and necessary strategic choice that, besides replacing the inclusion mechanisms once ensured by the welfare state, makes the creative
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person always exposed to the invigorating possibilities of the web, where the manifold ‘links’ are translated into the variety of different points of views chemically reacting and producing always new expectations. This plural dimension, connected and transverse, is where we find JoeVelluto with Plust Collection, Lorenzo Palmeri with Lefel, Hangar Design Group with De Majo, Ilaria Marelli with Axil. And it’s more and more obvious that it’s not the single object that must live, but the network, as it processes the signs again and again, keeping them in a state of uninterrupted and reiterated neo-genesis.
Imagination and pragmatism
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DOMENICO DE MASI Professor of Sociology of Labour at Università di Roma La Sapienza, he has been the dean of the Faculty of Media Studies; chairman of In/Arch, Istituto Italiano di Architettura; promoter and chairman of SIT, Società italiana telelavoro; chairman of AIF, Associazione Italiana Formatori; chairman of Fondazione Ravello. He founded the S3-Studium, a firm of organizational consulting he’s the scientific director of.. He published several essays of urban sociology, sociology of labour, of development, of organization and of macro-systems. He’s the editor of the magazine “NEXT. Strumenti per l’innovazione” and member of the scientific Committee of the magazine “Sociologia del lavoro”. He works with some leading companies and contributes to some of the major Italian dailies and periodicals. By now we all agree upon art as a system. Each art event is the synthesis of an intricate relation between clients, artists, workers, gallery owners, critics, buyers and so on. Just a lucky symbiosis between all excellent subjects can result in an universally appreciated masterpiece. That applies to Adriano’s Pantheon as well as to the tomb of Julius II carried out by Michelangelo, the Brasilia of president Kubischek or the Brion tomb of Carlo Scarpa. But it also applies to Castiglioni’s Arco or De Lucchi’s Tolomeo. In spite of their political power, their aesthetic expertise, their passionate insistence and even their outraged threats, neither Isabella nor Alfonso d’Este obtained from Raffaello the paintings agreed upon, The Brussels-based family Stoclet was luckier and obtained from the Wiener Werkstätte a whole building, designed and then carried out to the last detail by Hoffmann, Klimt, Koloman Moser. The relation of the purchaser and the entrepreneur with the artist is subject to their whims. Julius II went so far as to club Michelangelo; Luciano Benetton first gave Oliviero Toscani carte blanche and then broke off with him. In case of relations between institutions, it’s a much more complex matter: on one side the designers’ practices, on the other side companies, curiae and councillorships. The luck of Italian design comes from a rare situation of demand and supply dating from the fifties when the market required excellent products that our designers were able to create and our companies were fitted for understanding, manufacturing and selling them. The procedure, from the devising to the carrying out and sale of a design product consists of creative phases and operational phases. The creative phases are mainly individual and refer to the designer, the operational ones chiefly refer to groups of workers, craftsmen, technicians organized as in an industry. When the designer has devised a new object, their idea becomes an executive project through a concentrated interaction with the business owner, the technical department, the marketing office. Only when this long planning procedure is finished and the prototype is ready, the entrepreneur decides about mass production. So, the design is always a creative teamwork, a synthesis between imagination and pragmatism, where in the designer’s role imagination is prevailing and pragmatism is prevailing in the entrepreneur’s. In order to understand the dynamics of this interaction I have to explain what I mean by “creativity”. According to Silvano Arieti, to work out new products you need both the unconscious thought and the conscious thought, allied in the creative effort. My studies show the need to enrich this linear process, that leads to the synthesis of conscious and unconscious through the introduction of two more factors: the rational sphere, formed by knowledge and ability, and the emotional one formed by emotion, feelings, opinions and attitudes. What results from the combination of emotional sphere and the unconscious is the realm of fantasy, what results from the combination of rational sphere and conscious thought is the realm of pragmatism. As far as design is concerned, the contemporary presence and plot between imagination and pragmatism is quite clear. Let’s take as an example Michael Thonet: he designed on paper shapes of new beauty, those shapes were turned into objects in the shop thanks to the organized work of hundreds of workers. In collective creativity, besides the invention there must be experimentation, investments, planning and production organization. So we need to put together and make synergistically work people rich in imagination (the designers) with matter-of-fact people (the entrepreneur and their firm), thus forming organizations producing ideas and realizations: collective geniuses formed by single subjects, not all of them necessarily ingenious. Obviously, it’s not enough to put together imaginative designers and pragmatic entrepreneurs, although supplied with capitals and technologies: it’s necessary to create an atmosphere of mutual tolerance, esteem and cooperation, to share the same mission, a climate made exciting by the presence of artists and charismatic leaders. Olivetti during Adriano’s leadership is the first example that springs to my mind. Our country attained the best results, when the mix of imaginative designers and pragmatic entrepreneurs was more inclined to technological and aesthetic innovation, to enjoy working and change restrictions into opportunities, the conflicts into spurs, the competitive spirit into cooperation. That is to say when it created a setting full of contagious enthusiasm, freedom of expression and action, and full of intellectual curiosity. When that happened, a favourable climate multiplied and enriched the exchange of information and eliminated the fears, it strengthened the courage to try and get it wrong, it attracted the best brains from abroad and determined that attuning that allows to catch even the subtlest intuitions, often crucial. That was the secret that made the Wiener Werkstätte and Bauhaus great; and that is the secret underlying the fertile cooperation between companies like Cassina, Frau, Flos, Alessi, Edra and designers like Alison, Cerri, Castiglioni, Mendini, Morozzi, Iosa Ghini.
The value chain
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ALDO BONOMI Founder of the Aaster Consortium, which he has chaired since 1984, he has always focused his interest on the anthropological, social and economic dynamics of local development. Columnist at Il Sole 24 Ore, he is the editor of the magazine COMMUNITAS and he is scientific director of Itaca, a publication of the local committees of UniCredit. He was consultant to CNEL, he headed the ‘Development Missions’ project, achieving 15 actions for the promotion of young entrepreneurship in the south of Italy. With AASTER he carried out on behalf of the European Commission a comparative survey in European cities (“Moriana project”) on the change of the world of labour. He entertains relationships with local institutions, non profit bodies and stakeholders with whom he has followed the development of molecular capitalism and capitalism of SMEs. For the Milan Triennale he has organized social exhibitions and he is author of many publications. At one time there were industrial districts. Open factories where, through relations, exchange, coming together, our local capitalism – ‘relational’ par excellence – found a way of escape from its inborn dwarfism. These were the places of contextual knowledge, layered and settled in the local community. Of the creative craft of making big things with small tools. Once, in those districts, there were also architects. At that time, designers were called and had themselves be called that way. The most ambitious businesspeople turned to
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them, those who wanted to leave the interstices of sub-contracting, those who wanted to experiment, to think big. And from the relation between entrepreneurial dreams and designer ideas there stemmed those pocket-size multinationals of Italian industry with which our country, over the last thirty years, has fed on international competitiveness and hopes for the future. Today the issue is much more complex. Designing and ‘being able to make’ a good product is no longer sufficient. Consumers, after all, are no longer the last link in a chain of values that ends at the act of purchase. In fact, they are the centre of a complex web of desires that must be understood and met. They go well beyond the product and its material qualities. And they include the symbolic values that it represents, its ability to make sense, in addition to being useful. Today, in other words, being able to sell experiences is necessary. This is why the network is becoming bigger. In order to travel the world, the district of open factories and contextual knowledge increasingly needs the city, its formal wisdom and its functions. Its laboratories of thought and innovation. Its ability to dress productions up with meaning and sense, to give them a place in the world of the mind. Its being itself a showcase, by means of trade fairs and events. In other words, its creative multitude at work. Which goes from the venerable masters in black turtleneck to the ones I call cognitaries, more proletarians and temporary workers than bearers of knowledge, helpless in front of a modernity they face dressed with just their VAT number. There is a dense relationship between production sites and centres of knowledge, between the country and the city, between local and global. So much so that now, more than districts, the appropriate definition is that of real manufacturing platforms that hold everything together. And where, in any case, the culture of design is the real prime mover. Mentioning the Endless City that goes from Malpensa to Orio al Serio is far too easy and obvious, and its symbiotic relationship with the city of Milan, the real door of global flows. Which now – embryo of a ‘Milan-Turin’ land which is under way – looks at the Turin orphan of Fordism, just an hour’s train ride away, cradle of a new creative service sector that produces design, communication and events. Attention is also devoted to the North East. Which, in its being a polycentric area without significant metropolitan centres of accrual, is trying to become a ‘soft metropolis’ of the combination between corporate culture and design culture, designing new artificial eco-systems to attract designers, and creative young professionals in these areas. By activating microcosms – to use a successful term of my friend Aldo Cibic – like H-Farm of Riccardo Donadon, net economy businessman of Veneto, who in Ca’ Tron, in the Treviso area, has developed a peculiar corporate model, which acts as incubator for other companies, trying to recreate the milieu of Silicon Valley. Or like Innovation Valley, a strategic planning project in the North East which networks companies, government and private institutions with the objective to “produce and create the local area, acting, through the theme of innovation and creativity, on the corporate system, with particular reference to young people”. And also, to the south, it is impossible to forget the Adriatic City from Comacchio to the Marche region, where it is not possible to disentangle the combination between manufacture and economy of experience, between production and representation, between the culture of doing and the culture of design. The extremes of this platform are now reaching the heel of Italy, the Apulia region which has tried for some time now to re-launch itself as creative and design hub for the fragile businesspeople of the South of Italy. All these examples give the sense of a new mesh of relations between culture of design and corporate culture and between places and flows. A network which includes the meaning of territory, trying to produce its development, without however changing its nature or, even worse, making it disappear in the maelstrom of a global lack of distinction. Recession, in all this, is a coin dancing on its side. Where local experience is still considering designers as simple providers of ancillary services with respect to the Product (with a capital P), there are cuts, ‘lowest bid auctions’ with respect to design, communication, service costs, by those who, after all, do not acknowledge them at full title as a part of real economy. A fundamental part, however, if we think that the solution to recession is certainly not related to Ford factory or just the world of manufacturing. But, rather, to a production which increasingly includes innovations and symbols in line with new consumption trends. And, as a consequence, to those designers and creative professionals who will increasingly be switches of different and across-the-board knowledge and links between the products and their customers everywhere in the world, between companies and the world of innovation. Once again, between a dream and its fulfilment. Just like at the time of districts.
The political responsibility of design
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ANDREA BRANZI Architect born in Florence, in the 1960s he was a member of the avant-garde movement of radical Architecture. He has been living and working in Milan since 1974. He deals with industrial and experimental design, architecture, urban planning, education and cultural promotion. Author of many books on the history and theory of Design, ha was a consultant in charge of the first Design and Service Centre for Montefibre, where he won with his Primary Design research projects the first of his three Compassi d’Oro (Golden Compass), one of which for his career. He set up and managed Domus Academy, the first post-university design school. He was editor-in-chief of the review MODO. He was Professor and Dean of the Interior Design Study Program at the Faculty of Design at Politecnico di Milano, he was Scientific Curator of the new Design Museum of the Milan Triennale, he is member of the National Design Council of the Ministry of Culture. For some time now I have reduced my relationship with industrial clients (which had never been very intense) to focus on the activity that I call “Independent Design”. This decision has no controversial origin, not with respect to businesspeople (whose job is much more dangerous than mine) and not with respect to my colleagues who (rightly) continue to do what their profession requires to them. Unlike that which the term “independent” seems to indicate, at the origin of this type of activity (which stems not from a client but rather from an absolutely private need of the designer) there is a strong acceptance of civil and cultural responsibilities which in this moment are absolutely foreign to established professional practices. These responsibilities arise from the fact that design, because of its molecular, expansive nature, which is impossible to rule, is now spontaneously taking a central role in the overall functioning of democratic society and of the de-industrialized city (characterized by general labour, mass entrepreneurship, creative economy) as an opportunity to endlessly put back together functional and social scenarios. The onset of the current goods civilization acknowledges in commercial products not only a value for exchange, but a fundamental ethical and environmental value. The current self-reformist politics deeply recognizes itself in the mobility, transferability and modularity that the universe of objects provides in the most complete way. Global economy requires in turn massive doses of ‘innovation’ which design (largely expanding throughout the world) is able to provide in all its current tangible and intangible facets. In other words, independent does not absolutely mean de-responsibilization, in fact it means taking care of a problem scenario whose management cannot be left just to the industrial system, to the old political categories, and not even to the (very fragile) shoulders of free market. This political responsibility that design, exactly because it is something which is impossible to rule and polycentric, is taking in the age of global economy and post-fordist labour, cannot start from impossible universal programs, and not from environmentalist
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morals. This new political responsibility is especially expressed in the cultural (and not just professional and commercial) quality of design; or maybe it would be more appropriate to state ‘of the designer’ as single and last responsible of the quality of his/her work. The history of this activity started, already in the early twentieth century, from the voluntary gesture of individual representatives of the Avant-gardes (and certainly not from industrial clients, which in many cases appeared after the 1950s); characters who have often made inhospitable, difficult prototypes, impossible to use, but provided with a lot of triggering energy. The new operational, political and cultural scenarios, that designers are faced with today, cannot find their foundations but in the individual and secret intellectual energies of the designer.
Designs and Designers Fruitful relations
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by Cristina Morozzi Cross considerations of designers and business owners about the special, professional and private, often informal relations underlying the construction and development of the Italian furniture system. In order to investigate the convergences between companies and designers, that still now form the backbone of Italian industry, especially the furniture industry, it’s better to go back to 1959 and steal Ettore Sottsass’ words. Ideally, the relation with a designer not working inside the company yet deeply involved with it, dates back to the relation between Sottsass and Olivetti and to Ettore’s clear choice, in agreement with Roberto Olivetti, Adriano’s son, manager of the then new Electronics Division of the homonymous company. Sottsass writes: “Then, one day, I think it was 1958, the engineer Adriano Olivetti gave me the opportunity of becoming the designer of the new Electronics Division of Olivetti…. that needed as technical manager an American-Chinese and Italian engineer named Mario Tchou. At that time I was about 40, Tchou thirty and Roberto less than 30, I made friends with Roberto and Mario maybe in defence or maybe because the three of us came from the same cultural circle, more or less… I was happy and frightened. I feared I could turn into a tired, castrated visionary, who had to vie daily with that pseudo-image of reality, which is bureaucracy … So i told Roberto that I was happy and accepted his offer, provided that the company accepted me as ‘consultant’, that is as an outsider in the industry. So at the end of the fifties, with Roberto Olivetti and the crazy engineer Mario Tchou, … we thought of a new kind of relation possible between designer and industry”. (Scritti, by Milco Carboni and Barbara Radice, Neri Pozza, 2002). This formula, based on feelings, that range from a close friendship to a sentimental attachment, was and still is the sap of many national enterprises. The Italian design companies still are one of those rare places, where the human is close to the human, where history remains a sequence of encounters between people, where, unlike psychoanalyst Luigi Zoja’s title of his latest essay (La Morte del prossimo, Einaudi, 2009), the fellow men are not dead. It was Roberto Olivetti who painstakingly searched for a possible solution, when he learned that Ettore was dying. It was him, who went to the consulate to get a passport in three days and send him to America to be treated by Doktor Lutscher, a candidate for the Nobel” (Ettore Sottsass, Scritto di notte, Adelphi, 2010). This special relation between designers and business owners finds one more, meaningful renowned reference in the pair Castiglioni-Gandini. Achille and Piergiacomo Castiglioni started working with Flos before Sergio Gandini took the leadership of the lighting company in 1964. Piero Gandini recalls: “There has always been a sharing of ethics and strategy between my two brothers and my father. The company’s articles provided for an image committee, where business owners and designers had equality of votes”. That equality was used and exercised as long as the size of the company has allowed that. Achille Castiglioni was the reference designer and a real master for Piero Gandini, with his sincere and amused approach. Piero, who has the makings of the real entrepreneur, not “too intellectual and artistic”, as Achille Castiglioni hoped, but who can also “throw his heart over the hurdles, now admits: “Now, apart from Philippe Starck, who has been very influential, there are no predominant designers. There are different designers, according to one’s needs. The methodical ones, who produce collections, those who create single excellences. Always based on an ideal and ethic relation”. Instead, Luca De Padova comments on the bond between his mother Maddalena and Vico Magistretti: “The relation between my mother and Vico was a special one, not formalized: a coexistence of life and work. Their long talks produced, things that would have never been developed otherwise. My mother was always very critical. They used to work over their meals, in the weekend, always and everywhere”. “They were accomplices yet with a lot of conflicts. All that Vico did with my mother is still up-to-date”. - Caption pag. 8 Achille Castiglioni and Piero Gandini. - Caption pag. 9 Maddalena De Padova and Vico Magistretti. ALESSANDRO MENDINI The maieutic method. “Should I work out how much Alessandro Mendini has affected and still affects Fabbrica Alessi” states Alberto Alessi, chairman of Alessi, “I’d say, for one third. I was influenced also by many more designers. First of all, Ettore Sottsass. I met him when at 24 I joined the company, in 1970. Richard Sapper exerted his influenced from a different point of view. Then, there was Achille Castiglioni, and later Alessandro Mendini, whom I consider as a sort of linchpin. Then Aldo Rossi, Michael Graves and, in the late eighties, Philippe Strack. Alessandro has never played a well-defined role, only in meta-projects. Ours was an informal relation. With the masters, there was also a great affinity. There haven’t been such prominent figures after the eighties. Alessandro was very generous in counselling the new designers. I started some contacts with all of them, although I didn’t follow all of them through”. With Alessandro, there is also a friendly relationship. He designed your house… “I was distrustful of architects”, Alberto replies. “I don’t consider Alessandro an architect. That’s why I asked him to design my house. Being shy and knowing him well, I found it easy to tell him what to do. With him there is intimacy and sharing in my private life, too. With the other designers there is just a professional friendship”, “Anyway, Alessandro is special, because he has a maieutic method: he enables you to get it for yourself”. As far as Alessandro Mendini is concerned, he says he has accompanied Alberto Alessi in his path towards design. “Sometimes”, he says, “I have been more present. Now, with so many pieces in the catalogue, many things elude me. Many objects are produced independently of my opinion. As for me, I would reduce the products and the number of designers. We never formalized any relation. We talk a lot. It happens, that we don’t meet for months. But we enjoy being together”. - Caption pag. 10 Alberto Alessi, chairman of Alessi, and Alessandro Mendini. PATRICIA URQUIOLA The “visionary and accomplice Patricias”. Patricia Urquiola admits “I surf the industries. But there are no compartments. I havent’ got a mind-set for Moroso, or Foscarini, or B&B Italia, or Molteni. I talk.You need to work on affinities. Patrizia Moroso is a close friend of mine. I designed her house, giving my mind to it. There are many recycling projects: it’s up to the women to bestow great cares on them. She understands me already over the phone. She was one of the first people who believed in me. Behind our relation there is uncle Marino, who makes the prototypes and gives substance to our visions. The family world
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108 / creates close relations. Patrizia and I work through unexpected connections. We designers are supposed to extend the limits of the company, that’s why it’s right to remain outside it”. “Patricia”, Patrizia Moroso, art director at Moroso, begins: “is a landmark for Moroso, she aims at her own goals, but most of all at the company’s. We have observed each other: it’s hard to give input to someone you don’t know. A very strong human relation has resulted from the sharing of problems, even womanly problems (children, family). I ask her what products the company needs, while on principle I give the new designers much leeway. We travel together, real and imaginary journeys, like the one to Fergana, Uzbekistan, only made on books and samples of fabric and embroidery. Pleasant experiences bind and result in ideas and products. I consider Patricia a particle accelerator”. - Caption pag. 10 Patrizia Moroso, art director at Moroso, and Patricia Urquiola. MASSIMO MOROZZI The chief gardener. “I don’t consider myself as an art director”, Massimo Morozzi warns, “I think that ‘art director’ is an advertising agency term. Sottsass said he played the role of a chief gardener. who tends the flower-beds, cuts off the dead branches and tries to grow everything in harmony. I also consider myself a chief gardener. The only thing I persist in doing is telling the truth. In a tricky situation, one tries to mediate, instead I persist in speaking my mind, however without digging my heels in too much. Speaking one’s mind is important as working method. There is a daily interaction between the designer and the manufacturer to build the collection. The relation with the entrepreneur can also be full of conflicts. Even when I have opposite opinions, I listen: the more I am pure in holding my ideas, the more I’m willing to listen. This disposition produces strong solutions: Edra is not known for compromises”. Will this pattern work in the future, too? “For the time being it produces results, which I think we should not give up in the progressive globalization. In the future, who knows? I design very little. I can’t compete with the designers I work with. Anyway, there is always a lot of my work in their designs. At present I only choose people, who are 70 years old at least. Under 70 there is nobody, apart from the Campana brothers. For the future I choose the geriatric-design!”. “Our relation”, Valerio Mazzei, chairman of Edra, states, “dates back to 1986, one year before Edra’s official début. It has been going on for over twenty years and I hope it will go a long way. The scenarios are changing, but that’s more than right as far as decision-making is concerned. The base is wider, but the top must remain the same. Massimo is a perceptive and most knowledgeable person. I’m rather brutish”. The designer pursues visions, the entrepreneur sales revenues. “I think we should pursue the quality of things. We are still a nineteenth-century company, revolving around the quality of people and things. Sales must grow together with quality. Behind quality there is always the thought. I don’t pursue appearance, but substance. Many fox architects have turned up, but I prefer to give up an easy success and follow the plotted route”. - Caption pag. 11 Massimo Morozzi and Valerio Mazzei, chairman of Edra. CARLO COLOMBO The projects grow in-house. “I’ve been officially art director at Arflex for five years”, Carlo Colombo says, “and the chief designer for Poliform for 15 years at least. I love to be in the companies’ shoes, I like to be involved in marketing and strategic decisions. Working in close contact with a manufacturing firm is a school of life. The best designs are always carried out in-house”. “I don’t use a computer. I draw an outline and then the design settles and takes shape inside the company”. How can you work hand in glove with two companies? “I can, because they are different” is Carlo’s answer. “Poliform makes systems and is very aware of technology. Its products last over time. Arflex is a company of culture and design, that enables me to be a pure designer. I started working on archive material, raking up old pieces, calling other designers. The whole studio is involved in Arflex. We deal with products, fair stands, catalogues, stores, advertising. Aldo and Alberto Spinelli from Poliform and I are tied by a close friendship. Together we toured the world to visit customers and see shops. We spend our holidays together, sailing in Sardinia. They are matter-of-fact people and we are accomplices also in our private lives. I’m on good terms also with Laura Colombo, in charge of Arflex product, otherwise I couldn’t be a good art director for the company.” “When I met Carlo”, Alberto Spinelli states, co-owner of Poliform together with Aldo Spinelli and Nino Anzani, “he instantly captivated me. He is always open to an exchange of proposals, we discuss a lot”. Is an involving relation still functional to cope with the new challenges? “The scenario evolution”, Alberto replies, “made this relation even closer and necessary. However, the firm must always be at the helm, that’s why we give Carlo a very precise brief and ahead of time”. Are there more designers taken as an example? “Riccardo Blumer, for instance,” Alberto says. “We have known each other for a long time. The chair BB, in self-supporting leather, is a very innovative design, that started our cooperation. He had offered it to another company and was refused. When I saw it I said: how beautiful, I’d like to carry it out! Keep it, it’s yours, he said. Paolo Piva was of the essence, he still is a cornerstone. He designed our factories. However, the hands must be changed. We decided to rely also on the young to face the future”. “With Carlo”, Laura Colombo, marketing manager at Arflex, states “there is a 360-degree relation. We criticize each other, no problem. He catches the needs ahead of time. We meet every week. Sometimes, while we are discussing, he asks me a pencil and outlines the product. A sketch is enough to make a prototype. Sometimes we solve the products also over the phone. We also work together with other designers. Some are chosen by us, some by him, but Carlo always supervises everything. We exchange hints and opinions. Our relation is intense, but it’s only professional and I think that it can work well in the future, too”. - Caption pag. 12 Below: Carlo Colombo with Giovanni, Laura, Fausto and Patrizia Colombo, owners of Arflex. Below, the designer with Alberto Spinelli and Aldo Spinelli, owners of Poliform. PIERO LISSONI Design as a trade. He is speaking slowly from his holiday house in Berlin and says: “A reliable collaborator of an industry works as an antenna for the team. The manufacturer involves you in their matters and ask your opinion. These relations are not about figures only, but become personal. The designer takes on many responsibilities and must have the courage to make choices. I’m lucky for they listen to me. Everything goes well, because the team works a treat: alone you go nowhere”. And what about the future? “The human relation will always work, even the pure manager shall have to interface with creativity. There is a sort of role-play between entrepreneur and designer: the visionary designer and the realist entrepreneur, but sometimes they swap roles. The designer, too, is responsible for the sales. I don’t design just for design handbooks. If you remain in a theoretically area, that’s OK, but if you are on the other side you must avoid the easy risk of rising on the column as a designer in the desert waiting for someone to take you down. In the end, ours is a trade, the critics moved our job towards art.” Roberto Gavazzi, Boffi’s managing director, tells: “When I joined Boffi in 1989, Piero Lissoni was already there and dealt with graphics, he had adjusted a few products. His presence was of the essence for me, as I was totally ignorant of design and furniture. Then he was officially appointed art designer and he has been member of the board and also shareholder for three years. His role goes beyond art direction, he is a sort of mirror I look at myself in to sound me out on the future of the company. When we travel around the world together we catch hints from any situation. His spirit is always young and he is willing to start all over again and never takes himself seriously. We are very close. We like to read Simenon and Carofiglio. We
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settembre 2010 Interni have a sweet tooth. When I’m eating I always make a mess of myself and I stain him, too. In short, even stains bind us!” “I met Piero Lissoni at the university”, Lorenzo Porro, chairman of Porro, says, “we both studied architecture at Politecnico di Milano. Our cooperation began around 1986. He had a lot of charm even then and we are true friends. He’s always there when you need him. He’s unrestrained, does what he wants but he’s not an opportunist. I wouldn’t have created Porro without his support. For a manufacturer of systems continuity is necessary. Piero’s contribution is of the essence, because we need a style that connects with the public”. With his support you can also cope with global markets? “My company”, Lorenzo says, “is very small and depends on me. Sometimes I wonder what’s the use of pursuing my values. But then I cheer up: I’m sure that they are of help, even if just for a few”. Renata Bestetti, chairwoman of Living Divani, says: “The cooperation with Piero Lissoni started in 1988. We were both at the beginning of a path and we wanted to grow. This common, emotional drive made our relation very human. Piero plays a basic role in the company and also the projects made by other people are the result of shared choices. He is our art director and we submit all our projects to him, and also the new designers, chosen by my daughter Carola, working with the company now for some years. I appreciate his ingeniousness and expertise. He’s got a special sense of proportions and knows how to give the rooms harmony”. “Piero Lissoni”, according to Lorenzo Arosio, manager at Glas Italia, “is a good designer, but he is still better in showing the companies the way to follow. We are not worried if he works for many brands, on the contrary, we find it rewarding: they are prestigious and not competitors. He’s very good at giving motivations. We have established a very elastic relation, sometimes he proposes some new designers and sometimes I do choose them, but I always ask his opinion. For instance, he decided to put Kuramata’s pieces in the collection and I chose Jasper Morrison with his full approval. The only thing we reprimand him is that he hasn’t enough time for us!”. FERRUCCIO LAVIANI Twenty years with Kartell. “My relation with Kartell”, Ferruccio says, “started in 1991, thanks to Rudi von Wedel. Claudio Luti was looking for designers to carry out the stand at Salone del Mobile and I was chosen. I toiled for his trust. The art direction came step-by-step: first, the stands, then the shops, the colours and catalogues… But Claudio has always chosen the products. Now he asks my opinion, but it’s not binding. I orchestrate the products”. “Every Wednesday, for twenty years, I’ve been going to Kartell at Binasco to meet Claudio and discuss strategies. It’s also a personal relation and I count him among my dearest friends”. “I consider him an extraordinary entrepreneur. He is a good listener and this is an incomparable quality. He taught me a lot: coming from the fashion world, he made me see things from a different point of view. He never takes the liberty of giving opinions on taste, but measures my proposals against the company’s needs”. And when you are the designer? “I’m also subjected to ordeals, as everyone. I’ve got the advantage of knowing the inside mechanisms, first I check and so he doesn’t waste time. I know what he wants and I show up with the right theme. Yet, I’ve been trying to develop the design of a lamp that was always defeated!” “I joined Kartell in 1988”, Claudio Luti, chairman of Kartell, begins. “Before I was managing director at Versace but I had never dealt with the product. Soon I understood that I had to enter this field to control the company’s strategy. Then I had a look round to understand other areas: fair stands, communication, events… And it was just to carry out a stand at Salone del Mobile that I met Ferruccio Laviani. I wanted to lend plastic a more middle-class look and he designed a stand, which became famous in Kartell’s story, enhanced with parquet, Persian rugs and hanging pictures (he brought them from his place). I like his way of depicting the company. We chatter and he can convey my convictions, letting the products speak”. And when Ferruccio is the designer? “He’s just one of the many. Many projects are started but just a few are concluded. With him I focused on the light. His Bourgie is one of the company’s best sellers. We are considering to start a lighting company. We are both good at listening to our emotions”. - Caption pag. 14 Ferruccio Laviani and Claudio Luti, chairman of Kartell. WILLIAM SAWAYA Friendly conflicts. William states: “I came to Italy with a clear idea of doing design. My victim was Paolo Moroni. He has the commercial vision I lack. Working together we got to like each other. My role is quite ambiguous and that’s the cause of our continuous conflicts. Paolo wants me to do what the company needs, I’d like to design also for others, instead I’m branded as Sawaya & Moroni. There are no contrasts on the choice of the other designers to involve, we always like the same people and things. He’s got a head as hard as steel and wants to keep the firm small. Instead, I’m against it, I would like it medium-sized better. Anyway, it works for the niche we have created. Paolo is a visionary of design, but not a corporate strategist”. “We invented Sawaya&Moroni together”, Paolo Moroni, sole director of the company, answers back, “before we complemented each other, now we consume each other. He obliged me to do the firm, he had already in mind to do it when he arrived in Italy. I’m a trader by nature, not an industrialist. He confined me to the role of entrepreneur and I haven’t got used to it yet. I tried to keep my firm small to run it personally. I turn a deaf ear to the urges of the market and the purchasing attempts”. “Our relation is still a familiar one and as such conflictual. The conflict dies down faced with the qualities we share: a stubborn intellectual integrity, ethics and consistency”. What about the future? “I think the small size has great possibilities in the future. I’m so convinced that I feel self-awarded!”. - Caption pag. 15 William Sawaya and Paolo Moroni, sole director of Sawaya & Moroni. GIULIO CAPPELLINI Designing the corporate image. Architect, designer, entrepreneur, art director at Cappellini, at Ceramica Flaminia for ten years, at Alcantara for two and at Superstudio Più, involved in the image strategy of the group Poltrona Frau, Giulio Cappellini is an emblematic example of multitasking creative designer. “By now I work as designer less and less, I prefer to deal with the general project of companies. I’m interested in going over the requirements and reconcile them with the corporate image. Introducing new designers galvanizes me. At Alcantara, for instance, the goal was to build an image in the furniture industry. I chose to work on matter, rethinking the possible manufactures and asking several designers to render them in a new way. Even when I work for the companies of the group, although always promoting innovation, I try to preserve the diversities. Cassina must be modern, , Cappellini contemporary… As art director at Superstudio Più I can work on short-lived events, that turn out to be very useful communication projects on an international plane. I don’t think there are conflicts between my many jobs, but rather some fruitful synergies”. ERNESTO GISMONDI The ‘crime’ of being an entrepreneur and also a designer. “I’m an engineer, an entrepreneur and also a designer” Ernesto Gismondi, chairman of Artemide states . “I allow myself the “crime” of disturbing the host of my designers, because I am the one who decides. One day I felt like drawing and I did it, instinctively. At the beginning I used a false name, Hallowen. I thought, I’m fed up with judging other people, I want to try myself. And since we always have a bit of Baroque in mind, I started with some glass chandeliers. It’s important to speak one’s mind. If I say no, I must explain why. The designer should do what the company needs”. Who are the designers taken as an example by Artemide? “Michele de Lucchi”, Ernesto says, “although our relation is not binding. We are friends and get together often, we boat raced a lot. I’m very in with Sapper, too. The project always meddles with the human relation. Artemide’s big capital is the not bureaucratic relation I could establish with
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our designers”. What about the future? “It’s going to be more difficult to be an entrepreneur, for the markets are extending and diversifying. But the human relation must go on. A company cannot run a super computer!”. - Caption pag. 16 Ernesto Gismondi, chairman of Artemide. CARLOTTA DE BEVILACQUA The dual role. You wear two coats: a designer’s coat and an entrepreneur’s. How do these two roles reconcile? Carlotta de Bevilacqua, chairwoman of Danese, states: “Planning skills are necessary both to design and run a company. Design requires knowledge and culture. The entrepreneural skill is the luck of a draw: you must have the makings of a leader and know how to relate with people. Yet, if you have a design company, you must understand design, as well. Niche firms may work also with designer/entrepreneurs”. What are the future challenges? “Great visions are required. Design is a social project, as it concerns man. The current complexity requires a chorus of voices to give visions substance. I don’t wear two coats, but I try to create a meeting of skills, both technological and intellectual. Caccia Dominioni, too, with his Azucena was a designer/entrepreneur. I go back to women and their capability of keeping different situations together. Now we need to knock down the fences and accept new ideas and up-and-coming designers. We need to give voice to things, like humble monks, working in a team, to place the projects at the disposal of the world. Danese is a sort of Factory, open to all kinds of contributions. In the future, design has to be more affordable and lasting”. - Caption pag. 16 Carlotta de Bevilacqua, Chairwoman of Danese. MARIO NANNI Poetry made of light. He defines himself a designer, visionary and artist, but he was born in a construction site: at 12 he was already an electrician, while at six he won the prize for the best crèche of the Bizzuno parrish. Viabizzuno is name of the firm. “I deal with the planning thought” Mario Nanni states, “but I’m also in the board of directors. My involvement in Viabizzuno comes from being a designer and the need to produce the appliances for my works. I consider myself as a poet of light and I’m also an entrepreneur to afford being a poet! Lighting design requires experience, technology, craftsmanship and poetry. So you need an extended team to do good designs. In my workteam, formed by 60 designers, there are different skills. I’m quite meticulous and careful by nature. With my partners, all very young, I have a relation of exchange and respect. I try to convey my passion for design. As designer I have offices in Milan, Barcelona and London, but all my boys are in Bologna. I’m always very demanding and they respond with enthusiasm. This team work reflects a life vision, too. In the specialization age we lost sight of the relation with different skills, food for the mind and the hand”. How do you cope with the challenges of the global markets? “Global is a disturbing word. I deem it necessary to give solutions of light, that can excite, without losing one’s identity. Thus, we need to learn how to convey these emotions of light in more languages, always sticking to the intellectual principles of one’s own objects. My dream is to teach; I believe it’s possible to transmit passion, as proved by the workshops with the children ad Esplora in Rome”. - Caption pag. 17 Mario Nanni, in charge of the intellectual thought of Viabizzuno, in a picture taken in Rome at the exhibition “Cosa è per te la luce”, displaying works by young designers aged 0 to 4. GABRIELE CENTAZZO A strong guideline. “I am one of the four partners of Valcucine”, he says. “I have been its general manager, then managing director and now I’m the chairman. And I am a designer, as well. Usually the designer-entrepreneur turned out badly. Instead, as far as I’m concerned, it works, because I have drawn up a very strong guideline, that has conditioned all choices. If we draw a parallel with the car, I tried to keep a four-wheeler without imbalances on the design”. How much utopia and how much pragmatism are there in your model? “Now technique is predominant and that reveals the want of dreams. If you follow technique only, you standardize. Instead, the emotional side must gain strength, yet avoiding the arrogance of those who dream without worrying about practicality. We Italians can sell beauty and creativity only. Our kitchen De Mode is an affordable model, innovative and flexible (its doors are in machine-washable fabric), 90 per cent reusable. To give the designer the freedom of art is wrong, instead the industrial designer, dealing with objects of everyday use, has to incur constraints that have to be changed into opportunities”. - Caption pag. 17 Gabriele Centazzo, chairman of Valcucine .
INsight INprofile
Antonio Citterio in detail
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by Federica Zanco A “round” anniversary, 40 years of work and research in the field of design and architecture, to take stock of his life devoted to a far-reaching design. Antonio Citterio has just celebrated his sixty years and a 40-year career with an amount of projects and works both in the field of architecture and product design to his credit. In particular, such a long and varied activity is marked by a continuous cooperation pursued successfully and with mutual satisfaction with some top-level, Italian and foreign companies. There are probably manifold reasons for this productivity and substantial results, justified by his professional skill and approach and also by a more personal and biographic side, often defined as a sort of Italian way to design.. Apart from considerations about the pertinence of this definition – nor more than ever questioned by the transnational exchanges of a global market – the figure and work of Antonio Citterio lend themselves to an attempt of such a classification, not so much to define the limits as, instead, to understand the general fallout of a deep-rooted and specific formation and professional knowledge through an actual case study. The pieces that form Citterio’s formation can be found in the peculiar, Italian situation after the painful post-war rebuilding, at the beginning of the economic boom, the reasons of which mainly lie in the widespread presence of small manufacturing firms and a top-level craft tradition. So, it’s not accidental that Luigi, Antonio’s father and cabinet-maker, could see the first, radical novelties in furniture displayed by Giuseppe Terragni at Meda already in the thirties. He didn’t catch the revolutionary potential of the young architect’s ideas but with professional aplomb he foresaw the future, formalistic drift of a Modern soon identified as a further “twentieth-century style”. Luigi Citterio started a small production of “period” furniture in his shop, relying on his son’s help to develop it in that Brianza still now an extremely hard-working industrial area. So, as a young boy Antonio began working daily, mostly drawing in his spare time from school, and a few years later he chose to go to the Istituto d’Arte di Cantù, pragmatically oriented to an artistic formation, useful if one wanted to work in the many industries located in that area: from textile design to the manufacture of furniture and accessories. Design and design again, shaping, sculpture and painting, qualities and techniques of materials, but of this definitely conservative training Antonio still perfectly remembers his teacher Annarosa Bernasconi, who entrusted her students with a special task: disassembling, analysing and re-drawing the many components of two chairs carried out by Charles Eames. The Aluminium and Wire Chairs, no less. The school terms alternated with the summer holidays, however spent in an useful apprenticeship at Meda with the sculptor Cesare Busnelli. He won his first “design” competition organized within the Carugo Biennial (1968), with the project of a modular furniture system in wood and sheet metal, worked out
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together with Prato and Meroni, two schoolmates. En passant, that same year Eames was invited by the company De Padova to Vimodrone and Antonio didn’t miss the opportunity to see the presentation of the American master, and remained greatly impressed. After a couple of years of remedial courses, small tasks and supply teaching at Istituto d’Arte and evening classes, he met a fellow teacher, Paolo Nava, with whom he established a professional sodality in 1970, that lasted about ten years with a shared practice in Monza. Still in 1970, he went to Politecnico di Milano, where he was given a thoroughly different view compared to the pragmatic expectations of his family and the experiences made so far. Actually, the course then run by Paolo Portoghesi was chiefly based on a teaching approach to conceptual, analytic and sociological aspects, definitely far from the absolute substantiality of the preceding years of work and apprenticeship. On the other hand, Antonio’s professional prospects worried his father Luigi, somewhat sceptical about a future based on merely drawn ideas, certain that nobody would ever pay for them, and certainly not before they were actually manufactured and changed into products (over time he would change his mind and learn to be proud of his stubborn and ambitious boy). The first works were rather practical, anyway – from the model of a housing project for the magazine Abitare to the first job orders from some small Brianza firms, like the development of a sofa bed or a house for the Busnelli family (B&B Italia) – jobs carried out thanks to his personal investment in terms of care and time, paid only when the possible production was successful. Yet, it happened. And it happened that his mother Rina, incredulous, asked him where those first, modest commissions came from, as she suspected some shady deal. For the young Citterio, who wanted to move from Brianza to Milan, attracted by the challenging atmosphere of friends and colleagues gravitating around the Centro Studi Olivetti (and not least the hospitality of the young editor Gilda Bojardi, not yet the editor of this magazine), the turning point was Ettore Sottsass’ suggestion to Dug Thompkins – the visionary promoter of Esprit – that he should entrust that promising, unknown architect with the task of carrying out the new chairs for the Milan office of the firm, and then for Amsterdam, Anverse and Paris. Most of all, that professional opportunity enabled him to change from odd and individual jobs, “at subsistence level”, just design products and interiors, to his own practice, less insular and more articulate. Indeed, starting from 1984-85, the work increased in number and quality. From then on. Antonio Citterio’s professional story is well-known and it’s therefore useless to make a chronological list of designs, products and companies, but maybe it’s worth pointing out, that it was again a generous suggestion, this time from Mario Bellini, that fostered a first contact between Antonio Citterio and Rolf Fehlbaum, managing director of the Swiss company Vitra. Mario Bellini has been working with the firm from 1979, enriching the catalogue of its classic pieces with his sharp, sophisticated learning, So, in 1985, his meeting with Antonio in his Monza office meant for the company the productive contribution of a different voice, curt and technical, however “Italian” in the refined solutions proposed. In addition, his knowledge and admiration for Eames’ works made him the ideal partner for a cooperation still now extremely vital and active. The distinctive feature of Antonio Citterio’s way of working may be found in his capability of identifying himself with the company he works with.. If design is the tool used to mediate between creativity and economy, it must be based on some shared values and Citterio’s special training and sensitivity enables him to catch them and often even to spread them with his personal and articulate skills and interests. To be part of a design team focused on the solution of logistic ad technical problems, of market and communication, no doubt requires time and mutual loyalty, between company and designer, however it allows also to enrich the “master’s” contribution to the complex materialization process of a design product with that component of affinity and sharing, that avoids the temptation of following superficial signs and fashions, for a mutual investment in terms of innovation, quality and technique. From a certain point of view, the aesthetic component, undeniable and most refined as far as Citterio’s work is concerned, is the outcome of this very attitude, since it’s based on a crosswise expertise both as regards the cultural references (ranging from the Italy of the Great Masters of design and architecture of the twentieth century to the pioneers of the European and American industrial design), and the application fields of materials and techniques. Thanks to his articulate experience, Citterio is one of the rare authors, who can work with charm on several registers of architecture, interiors, products, on the one hand keeping the absolute control through to the detail scale and on the other hand triggering useful energies among the various aspects of each design. A recent and fascinating example of this attitude is the loving renovation of the family’s holiday house in the Engadine valley, practically knocked down and rebuilt with the necessary innovations, discreetly fitted into a context where new and pre-existent are hard to tell, and it’s also hard to tell Antonio’s work from the work of his wife, Terry Dwan, a fundamental life-companion and partner in an extremely private and meticulous project. It’s critical and difficult, as everyone knows, to deal with one’s everyday life and in this old and new country house, the terse and faultless style typical of Studio Citterio is diluted, with extraordinary vitality and humanity, in a myriad of details, designed and chosen one by one (after a strenuous and profitable fight with Terry, when not imposed by the latter with true womanly intuition and resolution). It’s not a staging of architecture only, or of some design objects, meant to convey an idea of abstract and non-existing domestic quality, but the humble and patient formulation of that collage of observations and choices, of colour and grain, brightness and half-light, fabrics, coating, curtains, cushions and trifles, that generations of architects of the past centuries seemed to be able to fit into their work naturally, producing that kind of “settled life”, which is by now a lost art or bound to be subordinate to a meaningless decoration or an exaggerated lack of decoration. Maybe a lost art for many, but not for the boy born in Meda, Brianza, who has scrupulously prepared and formed just for that purpose. - Caption pag. 20-21 A. 1968, Biennial Competition (Carugo): Citterio with Meroni, Prato and Senator Martinelli. - B. Antonio Citterio’s portrait. - C. 1983, Antonio Citterio taken by Oliviero Toscani. - D. Antonio Citterio’s portrait carried out by Alberto Meda. - E. 1955, Antonio CItterio with his family (his father Luigi, his mother Rina and Maria Rosa). - F. 1956, Antonio Citterio’s portrait. - G. Draft of a sleigh for Helen. - H. Antonio Citterio’s portrait by Ron Arad. - I. House in Milan. - L. House in Liguria. - M.N.O. House in Engadine. - Caption pag. 26 1. Collective Tools, Iittala, 2000. On permanent show at the Chicago Athenaeum Museum of Architecture and Design. 2. Mart, B&B Italia, 2003. 3. Private residence, Sondrio, 2000-2004. 4. Bulgari Hotels & Resorts, Milan, 2001-2003. 5. Barvikha Hotel & Spa, Moscow, 2005-2009. 6. Offices of Antonio Citterio Patricia Viel and Partners, Milan, 1998-2000. 7. Offices of Antonio Citterio Patricia Viel and Partners, Milan, 1998-2000. 8. Spoon, Kartell, 2002. 9. ABC, Flexform, 1998. 10. Suita, Vitra, 2010. 11. Axor Citterio, Hansgrohe, 2010. 12. AC4, Vitra, 2008. 13. Private Residence, Basel, 2003-2005. 14. Ad Hoc, Vitra, 1994-2004. 15. Kelvin Led, Flos, 2009. 16. Bulgari Hotels & Resorts, Milan, 2001-2003. 17. RUN Personal, Technogym, 2009. 18. Church complex, L’Aquila, 2010. 19. Axor Citterio, Hansgrohe, 2003. 20. Mobil, Kartell, 1994. Compasso d’Oro 1995, on permanent show at MoMA, New York and Centre Georges Pompidou, Paris. 21. Kinesis Personal, Technogym, 2006. 22. Dolly, Kartell, 1996. On permanent show at Centre Georges Pompidou, Paris. 23. Kelvin Led, Flos, 2009. 24. Split 01, Pozzi-Ginori, 2009. 25. R&D Centre, offices and showroom B&B Italia, Noverate, 2000-2002. 26. Flip, Kartell, 2006. 27. Jeweller’s De Beers, London,
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110 / 2001-2002. 28. K2, Fusital, 2000. 29. Private residence Villasimius, Sardinia, 2003-2004. 30. Office and showroom Esprit, Milan, 1984-1988. 31. Fiera Hotels, Milan, 2006. Planning competition for hotel facilities in the new Rho-Pero exhibition centre. Project partner: Studio Anna Giorni, Bavero & Milan Ingegneria. 32. Lightpiece, Flexform, 2002. 33. Logistic and production unit Vitra, Neuenburg, 2007-2008. 34. Peter, Flexform, 2004. 35. Q3, Pozzi-Ginori, 2004. 36. Company crèche, Verona, 2004-2005. 2007 European union prize for contemporary architecture. Mies Van Der Rohe Award. 37. Charles, B&B Italia, 1997. 38. Bulgari Hotels & Resorts, Bali, 2003-2006. 39. Bulgari Hotels & Resorts, Bali, 2003-2006. 40. Private residence, Sondrio, 2000-2004. 41. Lastra, Flos, 1998. 42. Ad Wall, Vitra, 2000. 43. Executive suites, plant, R&D centre, wellness centre Technogym, Cesena, 2002-under way. 44. Sity, B&B Italia, 1986. Compasso d’Oro 1987. 45. Neuer Wall, Hamburg, 2000-2002. 46. Diesis, B&B Italia, 1979. Antonio Citterio and Paolo Nava. 47. Lignum et Lapis, Arclinea, 2008. 48. Church complex, L’Aquila, 2010. 49. Axor Citterio, Hansgrohe, 2005. 50. Battista, Kartell, 1991. 51. Spatio, Vitra, 1992-2006. 52. AC2, Vitra, 1990. 53. Corporate office of Gruppo Ermenegildo Zegna, Milan, 2004-2007. 54. Corporate office of Gruppo Ermenegildo Zegna, Milan, 2004-2007. 55. Private residence, Bridgehampton USA, finished in 2009. 56. 500, Pozzi-Ginori, 2000. 57. Freetime, B&B Italia, 1999. 58. Aspesi boutique, via Montenapoleone, Milan, 2006.
INteriors&architecture
The collage-design of Werner
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project Werner Aisslinger photos Nicolò Lanfranchi text Antonella Boisi Age 46, German, Werner Aisslinger brings a fresh, nonchalant style, rich in perceptive stimuli. Like his home-collage in Berlin: youthful, colorful, informal. Or like his original design pieces, that make the dynamic synthesis of functions, technologies and materials into a precise trademark. For futuristic nomads. He works in two studios, in Berlin and Singapore. But the base is Berlin, where Aisslinger lives. In a fine villa built in 1916 in the southwestern zone of Zehlendorf, a residential quarter of period houses in the midst of greenery, near the lakes. A ground floor marked by a large bow window facing the garden, high ceilings with classic white plaster perimeter mouldings, traditional wood floors installed in a herring-bone pattern. The original layout has been conserved but reinvented for a more open spatial situation, with rooms that form a fluid, dynamic sequence, clad in a chromatic range that features forceful tones, from anthracite gray to apple green, for walls that are treated as backdrops. Above all, the mixmatch furnishings include vintage pieces, icons of modernity and contemporary furnishings, most of the latter designed by Aisslinger himself for major companies in this sector (from Cappellini to Magis, Vitra to Zanotta, B&B Italia to Bulthaup, Kvadrat to DuPont, L’Abbate to Living). There are also reinterpretations with a poetic-romantic tone, underscoring the direct connection between the living area and the master bedroom by means of a glass partition with white custom casements, an element that seems as if it has always been a part of the house. Or adapting the technological stainless steel kitchen counter by putting it on wheels. Or bringing out the presence of the fireplace with a stuffed elk’s head. Nothing impersonal and chilly in the domestic landscape of this German designer; the house stands out for its extravagant way of mixing signs, presences, languages, memories, passions. With a certain ‘unfinished’ charm, perhaps. Though in the case of Aisslinger, it is probably more apt to talk about flexibility, the parameter that sets all his architecture and furniture products apart. Just consider the famous Loftcube, a prototype of a mobile, flexible, modular living cell, conceived – in terms of industrial prefabrication – for a precise place: the roofs of metropolitan buildings, where the very light structure can easily be transported. “My response”, he explains, “to the idea of a minimal housing unit, in which big-city nomads can rediscover a sense of intimacy”. Or the July Chair, designed in 1996 for Cappellini (and part of the MoMA design collection since 1998), his seat that made use, before others, of a new type of polyurethane foam. The recent project for the Books bookcase made for the Michelburgerhotel Berlin (for which he designed the interiors) is another coherent part of this path: a modular structure composed of books, assembled with metal joints, the epitome of the innovative concept of a low-budget hotel made with patchwork of styles. The new Coral natural seating collection is based on the wonders of sea creatures, in a continuation of the architect’s research on the forms and structures of the natural world. “Because for me”, Aisslinger explains, “furnishings are like a second skin, combining lifestyle, feeling, history, everyday culture, fashion trends, personal tastes. Just as the creative impulse is always a mixture of empirical experimentation in terms of materials, techniques, types”. His dialogue continues between emotion and technology, tradition and innovation. Outside and inside the home. - Caption pag. 28 Werner Aisslinger shown inside the Michelburgerhotel Berlin (for which he has done the interior architecture and the decor), with the Books bookcase, a modular structure made with books assembled with metal joints. The living-dining area of his home in Berlin, a unified space formed by open, communicating zones, bordered only by the custom bookcase built into the wall structure. Sofa by B&B Italia, lounge chair by Charles & Ray Eames for Vitra, service table in metal and glass by Warren Platner for Knoll International, two modern classics. Other furnishing complements include vintage pieces purchased in Berlin, San Francisco and France. Behind the sofa, an original 1950s rocking chair by Eames for Herman Miller (now in the Vitra catalogue), purchased in New York in the 1990s. - Caption pag. 31 In the bedroom, the most dense microcosm of heterogeneous presences, Plus Unit trolley designed by Werner Aisslinger for Magis, vintage table lamp in Murano glass. The retro partition dividing the space from the living area is custom made. Facing page: the kitchen space with, in the foreground, the counter equipped by Bulthaup topped by vintage hanging lamps from Paris. The back wall covered with images of European restaurants is an idea of Nicola Bramigk. In the background, the lunch corner with the Tulip table by Eero Saarinen for Knoll International and the Nic chairs designed by Aisslinger for Magis. To the side, the more formal dining zone with a table designed by Nicola Bramigk and Juli chairs by Werner Aisslinger for Cappellini (1996). Hanging lamps by Louis Poulsen.
The ‘granary’ of the aesthete
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architectural design Marco & Federica Zanuso interior design David Chipperfield Architects photos Luca Casonato, Richard Davies text Matteo Vercelloni David Chipperfield (London, 1953) is the protagonist of a type of design that reduces signs to their essentials, in their fundamental components: space, material, light. From the spoon to the city. In Milan, the English architect works in an open space that underlines the ex-
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traordinary quality of a functional work of architecture: a 19th-century granary, renovated and transformed, in the Ticinese district. Hidden inside the courtyards that emerge on Corso di Porta Ticinese, the old building on Vicolo Calusca was salvaged and renovated, toward the end of the 1980s, by the architects Marco & Federica Zanuso, who revealed the extraordinary quality of a functional architecture supported by thick walls and monolithic pillars of Montorfano granite. Their renovation brings out the charm of unified spaces once used to store grain, organized in a precise system of vaults capable of supporting very heavy loads. Underlining the rule formulated by Aldo Rossi, namely that when “a building is ‘healthy’, in architectural and constructive terms, it can contain any type of function”, the old granary, without structural and morphological disruption, brilliantly hosts new functions in its spaces, from workshops to professional studios. One of the levels has become the Italian studio of David Chipperfield Architects, founded in 2006 by David Chipperfield and Giuseppe Zampieri. They have conserved the original unified character of the spaces, organizing zones for work and meetings, while adding a system of custom furnishings that do not interrupt the continuity of the overall space. All the furnishings in birch or gray paint finish follow the essential forms of the place, and function to subdivide work zones, never reaching beyond the level of the interlock between the vaults and the granite pillars, and thus offering an immediate view of the overall size of the facility. Along the perimeter walls, without openings, wooden panels are lit from above, with a protruding shelf at the base, a sort of modern, functional boiserie capable of containing the graphic materials of projects in progress, hung in order in the free zones, often in immediate relation to working models and a selection of materials, placed on the corresponding shelf. Other working models, of completed buildings or other now under construction, are positioned on containers and in various points in the studio, transforming the work space into a sort of continuously changing exhibition that can also trigger fertile connections. The character as an ‘exhibition workshop’ was emphasized during the period of the FuoriSalone in Milan, when the studio was open to the public, and visitors could freely observe works in progress, getting a glimpse of the studio’s working philosophy, across various scales. From urban plans to public and private projects, from yacht interiors to new fashion boutiques, renovations of historical buildings (including the project for museums in the Sforzesco Castle in Milan, with aMDL, and the recent solution for the towers of Porta Vercellina and Porta alla Ghirlanda), all the way to the design of furnishings and objects. It was thus possible to freely observe similarities, between the ‘urban’ arrangement of the Alessi Tableware (2008) collection, for example, and the varied yet balanced skyline of the courthouse in Salerno, now under construction. - Caption pag. 32 The waiting area for guests. Upholstered furniture and table from the Airframe collection by Cassina IXC, Huplà cups by Alessi, designed by David Chipperfield. Corrubedo light points by FontanaArte. In the background, Mirror chair by B&B Italia and David Chipperfield Design. - Caption pag. 34 Above, Tonale tableware by David Chipperfield Architects for Alessi, Tolomeo floor lamp by Artemide. Above, frontal view of a work zone organized under the system of vaults supported by monolithic granite pillars. Tolomeo table lamps by Artemide. In the foreground, competition models for the Salerno courthouse and the church in Quarto Oggiaro, Milan. - Caption pag. 35 Above, model for the competition of the recovery plan of the Santa Chiara complex in Pisa. Stools by Artek.
Naoto’s day p. 36 project Naoto Fukasawa photos and text Sergio Pirrone Japanese, born in 1956, Fukasawa is the spokesman of a contemporary Asian culture that feeds new design forms and languages with a purist touch. Its timeless, silent poetics springs from a white, minimal, ethereal space, in the fifth district of Jingumae in Tokyo. It’s 6:45 AM. In Tokyo the colors of reawakening are clear, pure. Undisturbed by the moods of the earth, the sun rises over an irate sea. In the spring its light is a long becoming, white, to awaken the frenetic, disciplined metropolis. Naoto Fukasawa leaves his house, on foot, and thinks: “Though the result might seem simple, the process to achieve the goal is always very complex”. Amidst twisting streets and tree-lined avenues, he heads for Meijijingumae, right in front of the polka dot world of Harajuku. Horizontal life, continuous swarms of people, shopping between two large vertical axes, Omotesando Dori and Meiji Dori. Climbing the Prada cobweb, the copper screens of Louis Vuitton, the tense nerves of Tod’s, Naoto’s gaze aims at the fifth district (chome) of Jingumae. His light, quick steps take him past the glass tents of Christian Dior by SANAA, and he heads left, on a pedestrian street flanked only by fashion boutiques, colorful and young like the reflections of the customers in the glass. Another 200 meters and he slows down to stop in front of a black origami, the hhstyle.com of Tadao Ando, and climbs the outer steps of the beige building. It’s 7:30 and the studio Naoto Fukasawa Design is on the third and fourth floors. High roofs, left nude and white, like the perimeter walls interrupted by large rectangular windows that watch the city through the Yoyogi park and, beyond it, toward Shibuya. A very long white table divides the space, forming an axis and platform for encounters, around which sketches and 3D models contribute to the generation of an idea. Behind it, eight designers work between and under large white shelves colored by books, vases, ideas. Naoto has just entered his room, the sun’s rays are not warming things up yet. He cleans his desk, organizes his papers, gets rid of whatever is useless. This everyday catharsis frees him of the leftovers of the night, and prepares the way for the group meeting at 8:00. “I always tell my designers to be ready for any idea, like a chef in a restaurant, always ready with his knives and cooking utensils”. The studio controls paths and progress of ideas that become lines and curves, then form, and finally hope. “Our work is based on the shared pursuit of inevitable forms, that are not neutral, but natural. More than a design object per se, I am interested in the contribution it makes to the quality of life of those who use it”. Naoto works on his own, his computer always on, always ready to push the suggestions of a lifetime into a funnel. That distilled drop of knowledge and experience may modify the everyday gestures of millions of men and women. There is no kitchen in the studio, lunch is take-away, and quick. Naoto thinks it would be nice to have a domestic space in the studio, two burners for warming noodles and making tea to drink with clients. Later he’ll be seeing quite a few, ambitious for projects and profits. “Those are the best moments, where almost all my ideas happen”. Then the ideas grow throughout an afternoon of tenuous colors, in the awareness that design doesn’t have to display itself, but just narrate what it can give to the world, the reasons behind its choices. Milan unveiled his Piccolo Papilio & Titikaka for B&B Italia, the AF21 faucet series for Boffi and Fantini, the compact Tomo divan for De Padova, the Shelf System for Artek, the 130 SPF chairs for Thonet, Déjà-Vu Mirror, Cu-clock, Tempo for Magis, the Hiroshima series for Maruni, marble tables for Marsotto, the N_bag series for Nava, the Linen ceramics series for Brix, the electronic products for Plusminuszero. Today he smiles, thinking about the fact that he opened his studio and his name to the world just seven years ago. Outside there is still light, as the lights in the studio come on. His desk is
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covered with sheets of paper and projects to put into order. Naoto receives infinite requests, evaluates them with his staff, and chooses a few. He says goodbye and goes out, descending the outdoor staircase, and looks to the northwest. In Tokyo sunsets are always windy, the sky striped with orange, red and pastel violet. The infinite neon signs light up, the irreverent phosphorescent colors glow in a carpet of the wild hairstyles of millions of young Japanese. He loves this energy projected toward the future, without apparent motivations. Naoto will walk for 45 minutes before opening the door of his house. Flashes of fashion, cries of joy for the creations of the latest Japanese fashion designer. In the hubbub around him Naoto makes silence, and thinks about what he will do in the future. He would like to design small houses or train stations as if they were landscapes. Electric cars and trains make him feel young. - Caption pag. 36 The Japanese designer Naoto Fukasawa shown at his work table. Glo Ball hanging lamp by Jasper Morrison for Flos, Tolomeo table lamp by Michele De Lucchi and Giancarlo Fassina for Artemide. In the foreground, Gastone folding trolley for Kartell. - Caption pag. 38 The very long white table that crosses the space, with the workstations for the staff. Facing page: the area for meetings with staff and clients is connected to the personal workspace of Fukasawa. The unified white space is ‘perforated’ by large rectangular windows that overlook the city, toward Yoyogi Park and Shibuya. Muku divan by Naoto Fukasawa for Driade, Maui chairs by Vico Magistretti for Kartell. The work team constructing models and prototypes in the workshop zone of the studio.
Arik Levy, industrial artist
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project Arik Levy photos Florian Kleinefenn text Alessandro Rocca A designer (Tel Aviv, 1963) with a working method that focuses on essentials: the archaic and the technological, artfully mixed, narrate a creative dynamic that blends memories of crafts with the technologies of industrial production. This can be seen, in an emblematic setting, in his design studio in Paris. In the beginning there was a stone, a rock, the basic concentrate of weight, matter, form. The design of Arik Levy seems to start here, but perhaps it also has other origins, experiences and affections with a different impact. For example, his passion for surfing, which represents the exact opposite: lightness, fluid movement, the mobile energy of the wave, suspending gravity, offering a temporary illusion of flight. The other tension that crosses the objects of Levy is the one between contemporary technologies and images and a very strong, very vivid idea of ancient things. A living memory whose roots reach down to the material culture of our Mediterranean world; after all, Arik was born and raised in Tel Aviv. So from the depths of history the archetypal materials of timeless craftsmanship resurface: stone, iron, terracotta, translated into real production processes, now based on industrial parameters. To think and design through industrial procedures and technologies, while introducing – or reconstructing, reinventing – the semantic, perceptive, operative wealth typical of crafts. For example, stone is an idea of reference, a concept that also takes concrete form through completely different materials, like metal screen, sheet metal, crystal. The obsession with rock, whether it is an isolated monolith, a pairing or a grouping, is repeated on different scales in different situations, from furnishings to installations to sculptures. Rock Grid, Rockshelves, Micro Rock, Rock Mirror, Rock Cell, Rock Wood, No Rock, Rock Library are just a few variations on this recurring theme. In Milan it took the form of Giant Rock, the rock-sculpture in mirror-finish steel, weighing two and a half tons, produced by Marzorati Ronchetti for Green Energy Design, the event produced by INTERNI for the FuoriSalone 2008. The objects in the studio in Paris offer an effective representation of an imagination in which two different eras, two different worlds, coexist: the contemporary, industrial, international world, where signs and techniques are interchangeable, freeing traveling through crossings of cultures and languages, taking on temporary, subjective values and functions. And the ancient, slow, stable world, where objects contain and display the time of work, their culture and place of origin, where forms and uses are established laws to which objects correspond with precision, where quality and durability always triumph over invention and formal research. Levy’s sculptural qualities can be seen in the new projects prepared for the latest Design Week in Milan: Pattern, the series of outdoor furnishings for Emu, very colorful chairs and tables formed by a continuous laser-cut surface; the tables and chairs for Molteni; the Maxit and Mixit tables for Desalto; the ‘acoustic’ panel produced by Viccarbe, and the bench-garden for Flora. In Confessions, the installation made this year in Paris and for the Milan FuoriSalone, at the Straf Hotel, the iconic force of geometric solids takes on an accent of unusual, cheerful irony. - Caption pag. 40 Images of the Parisian studio of Arik Levy. The irregular uprights of the Tubes vases by Bitossi, the Mystic Silver candleholder produced by Gaia & Gino, the WorkIt office system by Vitra and the Fractal Cloud lamp-sculpture by Ldesign. On Arik’s desk, the Russula lamp by MGX Materialise, a new entry for Salone 2010. - Caption pag. 41 On the shelf, models and prototypes, including the Need table lamp by Ldesign, a prototype of the Mystic Silver candle-holder, and a study for the BlackHoney fruit bowl; prototypes of table lamps, the Pyx hanging lamp by Ligne Roset, and the Light Basin sculpture by Ldesign. In the foreground, the Miss Light by Confidence & Light. - Caption pag. 42 In the open space, Fractal Cloud lamp-sculptures by Ldesign; to the left, the Kaz glass candle-holder (by Gaia & Gino), inside the Fluid shelving system (by Desalto). At the center, the BlackHoney fruit bowl by MGX Materialise and, right, a scale model of the SH05 ARIE bookcase produced by e15. In the meeting room, Octopuss hanging lamp by Ligne Roset, WorkIt table by Vitra and Duetto stackable chair by Softline. On the other page, upper left, the gallery with the Wire lamp by Ldesign and the Storage system for the office, by Vitra. Right, the entrance with the suspended Rock Canopy sculpture and the Reflection vase-sculptures by Ldesign, the artwork in metal “Revolution of the Species” by Pippo Lionni (on the wall), the Fire fireplace by Planika, the Bookstool magazine belt and the Maya 40 table-vase, both produced by Eno. Below, the second gallery with the Rock Black and Rock Mirror sculptures. Right, the Rock Small table-sculpture, the Personality Disorder Bench sculpture, the Crisis Carlight lamp-sculpture and, on the ground, the vase-sculpture in Sequoia wood 17 Vws, all produced by Ldesign.
Nichetto, Venetian DNA
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project Luca Nichetto photos Roberta Angelini text Antonella Boisi Venetian, born in 1976, Luca Nichetto bears witness to a design approach that starts with experimentation with precise materials and typologies, and then recovers the value of find crafts, capable of enhancing industrial production. We met with him in his studio at Porto Marghera, the port island of Venice. “From Venice, the traditional gateway of the East, to
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the whole world. Young, in terms of years, Luca Nichetto belongs to the second generation of designers who have made the greatness of Made in Italy. He grew up far from the fertile productive circuits of Brianza and the ‘dynamics’ of the design capital, in the later years of the economic boom. Today he works with many outstanding international companies. The secret of his networking? “It might seem strange, but my good fortune was to be born right in Murano, where as a child I already was familiar with the glassworks and industrial spaces” says Luca Nichetto, one of the Italian designers best known in other countries. Perhaps because his career, starting with his love of blown glass, has already taken him far and wide, at the young age of just 34 years. Working in a fertile microcosm of tradition and innovation, crafts and technology has helped him to establish a dialogue with companies, based on research on materials, a mixture of overall form and attention to detail, but always with the functional quality of ideas in mind, never just stylistic considerations. Nichetto has kept close ties with his native territory, and when he consolidated his collaboration with Foscarini and Kristalia, about six years ago, he ‘set up shop’ in Porto Marghera, in the former state-owned Vetrocoke Azotati factory, which processed industrial glass scrap. A symbolic address, in relation to a part of the city now in a period of radical transformation, partially completed with the construction of the nearby Vega science park. Nichetto’s studio is on the upper level of the building constructed in 1932, containing customs offices but also lofts utilized by architects, designers and fashion designers. Spaces with heights of six meters, a concrete skeleton, the classic grid of pillars, beams and a central truss, suggested conservation of the rugged walls and the original ceilings, with clear indications of new parts. One new feature is the loft, which optimizes space and uses a salvaged industrial staircase to connect the new meeting area with its large table to the area below, divided into two communicating zones, inside an open space that can be flexibly adapted to changing needs. The operative zone composed of tables gathered in a single island, with computers, is joined by another area for prototyping and model making. “There is intentionally no separation between the two zones” Nichetto explains, “because I like to pay attention to every project phase, including the details”. Inside this essential, spartan archipelago there are only a few materials: wooden planks over poured concrete for the floors, white plaster for the walls. The furnishings are also few and far between, mostly based on Nichetto’s own products and prototypes. “It’s an economical structure for my work and that of two other designers, an assistant and an intern, usually a foreign student, because I like to compare approaches, experiences, cultures. Our universities tend to churn out students without much selectivity, while in other countries it is necessary to have a portfolio and a more concrete attitude. Had I grown up in Milan things would have been more complicated. I still remember, as a student, when I went to knock on the door of Salviati (a company that worked with personalities of the caliber of Ingo Maurer, Tom Dixon, Ross Lovegrove, Anna Gili) with my folder of drawings from one year of work at the Art Institute in Venice. Simon Moore was the art director, and he said: I’ll buy the whole lot, but I won’t make any of it. I can teach you how to organize a brief, and about production techniques... that was my gymnasium”. After the debut of the Mille Bolle collection of vases, which became a bestseller, other doors began to open. During his last year at the university, Nichetto attended a course conducted by Foscarini: this was another growth opportunity, because he began to approach materials other than glass, with different product typologies. “After years of proposals and rejections from the company, the O-space lamp was born, and it became another bestseller”. At this point Nichetto is focusing on new design collaborations. With Kristalia, with Italesse (also as art director), Moroso, Skitch, the Swedish company Offecct (for whom he has created the eco-friendly Robo chair), and the English company Established & Sons. The international stage offers him the possibility of noticing the differences between the dynamics of foreign firms and Italian businesses: “the former”, he says, “are structured in terms of medium to long-term programs, leading toward new goals; when you start a project you are already part of a process, and you know exactly where you are supposed to be headed; our companies, on the other hand, are often family firms, they are more dynamic, they are not afraid to include the parameter ‘I like it’ with reference to an object or a collection, apart from whether or not it might work in a given historical moment. If the sector is having difficulties, perhaps this too is part of the cause, reflecting the nature of a way of working that focuses only on the immediate future. Another cause of problems is undoubtedly the impossibility of forming groups or a system to approach work in a more responsible, coordinated, analytical way. After all, in Italy and England design is still a phenomenon for the few, while a reality like IKEA could only come from Sweden”. Among the most recent projects, Nichetto has done a series of tiles in porcelainized gres for Refin Ceramiche, that play with the reinterpretation of the natural-artificial effect of surfaces. He has also done a collection of vases for Venini, revisiting the concept of ‘skin’ with opaline glass: “a tribute”, he concludes, “to the cultural tradition of Venice, and the fulfillment of a childhood dream”. - Caption pag. 44 Exteriors of the building that c ontains the studio of Luca Nichetto at Porto Marghera. Portrait of the designer. Detail of the Essence collection of vases designed in 2009 for Bosa, handmade in Italy with Venini. The entrance area, featuring the Hook Box for Bosa; prototype of the Robo chair for Offecct; vases for Salviati and Carlo Moretti; Mirage bowls for Fratelli Guzzini; Maria divider partition for Casamania: all designed by Luca Nichetto. - Caption pag. 47 Facing page: a display zone with the Gea lamp in the foreground, designed for Foscarini in collaboration with Gianpietro Gai. The table-island for the work of the staff inside the original space still characterized by rough ceilings. Detail of another zone of the studio. The meeting area organized on the loft with the Gem table designed for Krios Italia, surrounded by Vad chairs for Casamania. O-space hanging lamps designed in 2003 for Foscarini, in collaboration with Gianpietro Gai. Below: models, prototypes and material samples in the creative heart of the workshop inside the studio.
Wanders: the pleasures of ornament
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project Marcel Wanders photos courtesy Marcel Wanders studio text Alessandro Rocca Dutch, born in 1963, Marcel Wanders represents a constant in the staging of a fantastic, poetic, dreamy world composed of ‘neobaroque’ signs. His furnishings and spaces evoke the stylistic unity of Art Nouveau, but without nostalgia: it is the triumph of illusion, the seduction of getting lost and then finding one’s way in a marvelous dimension of sensory experience. As in this domestic interior in Amsterdam. Marcel Wanders is the young shaman of absolute beauty, of multiple neoromantic decorations and signs, suspended between avant-garde oddity and a rediscovered taste for light and shadow, true and false. Fairytales, dreams, word games and other creative stimuli of surrealist origin form the basis for surprising, disorienting inventions in which the geometries and proportions of modern design are enriched with new textures, new materic and tactile values. His motto might be: “life
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112 / is a dream”, a marvelous dream, a universe aglow with magnificent reflections, but never without a smiling brashness. Droog Design, that incubator of pragmatic, conceptual and radical strategies, coherent expression of a country with a modernist drive, like Holland, wouldn’t appear at first glance to be the natural source of a personality like Marcel Wanders, who after having honored Droog (which means dry, in Dutch) with the Knotted Chair (now in the Cappellini catalogue), has veered toward utterly different horizons, focusing on the world of figuration. In 2000 he shifted from two letters “o” to the trio of Moooi (beautiful, in Dutch), a workshop (where he is co-founder and artistic director) that channels the libertarian creativity of Droog into the seductive landscapes of his kind of hedonism. Wanders addresses the emotions, the senses, the pleasure of taste, and brings ornament back as a central design focus, as in the “Wanders” designs for fabrics, wall coverings, carpets, mosaics. Quick, decisive action that commutes between the contemporary and references to the past. The references are not just erudite, ironic quotations, in the postmodern manner, but decisive factors for the quality and appeal of the object. As in the recent United Crystal Woods designed for Baccarat, including majestic candelabras and sculptural vases in limited editions, as well as tasting glasses and carafes with their own baroque sensuality. At the latest Salone del Mobile Wanders presented many new products that once again shift the borderlines of hybridizing and pastiche. Towards Pop, as in the exuberant transparency of the Sparkling Chair and the opening of Cyborg, both produced by Magis, or in the glitter of the luminescent feet of Cinderella, the bed produced by Skitsch, and the tables and chairs presented by XO, marked by a violent contrast between hypertrophic baroque mouldings and transparent legs or backs. There are also more sober projects that reproduce the bas-relief technique, like the elegant Venus chair for Poliform, with the chassis slightly engraved with a floral pattern, and the Skygarden hanging lamp, from Flos, whose reflector is decorated with classical motifs and made with raw plaster, a material that makes the light soft and welcoming. The project of interior architecture recently completed in Amsterdam is a preview of the wonderland of Wanders: a gathering of decorations in atmospheres that range from the enchantment of Lewis Carroll to the Freudian dream-world of Salvador Dalí. A concentrate of forms and signs that can evoke, depending on the gaze, a wide range of different sources and memories. Interiors that re-create a magical fairytale situation. Baroque illusionism, rich in special effects that rely on the seductive impact of details, materials and colors. - Caption pag. 49 On the terrace and in the bedrooms, the Sid vases in Carrara marble, from the Topiary series, Marcel Wanders Personal Edition, presented at the Salone in Milan in 2007. The dining room, with the hexagonal decoration of the floor repeated on the ceiling, and the floral decoration of the wall coverings from the Topiary series. Furnishings by Wanders: Skygarden hanging lamp by Flos, Carved Chairs by Moooi and sofa by Moroso. - Caption pag. 50 The interiors are completely covered with wall wallpaper and paneling by Wanders. With the small wall desk, the Ken stool and the Paris mirror, that latter two both produced by Quodes. In the bath, another Paris mirror, in the black version; the washstand and the large mosaic are by Wanders for Bisazza.
Designs and Designers Italian-style weddings
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by Rosa Tessa Thirteen ways to be a ‘couple’. Twenty-six visions of the design community. The designers and manufacturers tell how they met and why never separated. The ingredients? Elective affinities, cultural tuning, personal liking, professional esteem. Sometimes a fiery discussion, yet always open to an exchange of ideas. Everything with a visionary flash. Shin Azumi together with Romano and Dario Marcato Japan and Italy, coupe de foudre “Shin and Tomoko Azumi” Romano and Dario Marcato, owners of Lapalma, say, “came to see us in ’97, during the Milan Furniture Exhibition. We liked their design and started working together. From then on, we have collaborated, first when they were husband and wife and then also when they separated. Their first work Overture, a small bookcase, was based on a good idea. And we especially their designs for they always have a soul. The most important piece? The stool Lem: it was born beautiful. Its simplicity conveys a lot of emotions”. The Japanese designer Shin Azumi is deeply attuned to the two entrepreneurs.. “Many years ago”, he tells “Lapalma impressed me for a line of multipurpose furniture, very clever. I expounded my idea and they understood straightaway my way of thinking. We share the meaning of design, we give it the same value, and we love simplicity. Lem is the product that expresses the enthusiasm I feel in searching for new materials better than others”. - Caption Above: Shin Azumi. Stool Lem, 2000; Left, Romano and Dario Marcato, owners of Lapalma. Below, Ap chair, stool in curved multilayer, 2010. Carlo Bartoli and Franco Dominici Those cultural attentions They started seeing each other in ’91, but the relation between Carlo Bartoli, 76, and Franco Dominici, 69, owner of Segis, was made official three years later. Their union was strengthened by the project of the chair Breeze, defined after a long planning stage made of talks and face to face meetings. Bartoli recalls: “In the nineties the relation between art director and company was easier, based on the exchange of information as well as of cultural “attentions”. When Franco Dominici came to see me, he wanted to acculturate Segis and enter that design world I knew so well also from the production point of view. After a couple of years, we established a relation of art direction still going on now through Bartoli Design, the studio I run with my children Anna and Paolo”. Bartoli goes over Franco Dominici’s professional beginnings: “It’s an American story, in many ways. When he was young he went to the hotel-management school. He moved to England to learn English and to France to work as a waiter and then he became the owner of more than one restaurant. He came back to Italy and started all over again. He developed an interest in the manufacturing of things, that he sold in large amounts to England and America. When I met him he was making furniture I didn’t like. I wasn’t sure I wanted to work with him. I was sceptic. But we tried”. ”The chair Breeze” Batoli adds, “carried out in ’95 met with huge success and our relation grew closer”.What’s the secret of a sound and fruitful union? “Sharing everything with the company”, he answers, “even sales and communication strategies”. Franco Dominici, chairman of Segis says: “My relation with Bartoli started in ’91 when I wanted a different image for my furniture production. Carlo didn’t say yes straightaway, he didn’t like my products. He said ‘A new Segis must emerge”. The first work we carried out, the chair Breeze, had the luck of the devil. We sold 1,5 million pieces. In the meantime, still under his art direction, the collection has developed. Twenty years have gone by from that cooperation with Bartoli and our union still works. Now we enjoy and suffer together for the difficulties of this market”. What is a good professional union based on? “Bartoli knows the technicalities – he knows materials and technology very well and at the beginning of his career he was a pattern-maker - but he also knows the trading aspects and how to obtain saleable
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products”. Right now, what can a designer do for the companies? “He can face the design world with technologically updated products and a good value for money. The challenge is huge and we are facing it with the sofa designed by Carlo and Anna Bartoli and a quite technical and innovative chair made by Giancarlo Piretti, who designed the famous Plia, to beat the Chinese competition”. - Caption Above, the office of Bartoli Design: Carlo Bartoli with his children Anna and Paolo. Right, Franco Dominici, owner of Segis. The chair Breeze, 1995. Left, Flores, island seating for Contract, 2010. Giuseppe Bavuso and Davide Malberti Each project is a first “Understanding and confidence are no doubt the factors underlying our relation. Sharing objectives, ambitions and long-term projects is the keystone”. The concept is expressed by architect Guseppe Bavuso and is fully shared by the entrepreneur Davide Malberti, at the head of the company Rimadesio, whom were asked to speak about their professional relation. We have to believe them, since their union dates back to ’86. “As it often happens, it was a chance encounter”, they say, “and the mutual liking clicked immediately”. They began working in a time of changeover for both. From a manufacturer of fittings Rimadesio was changing into a manufacturer of sliding doors and walls. Bavuso was about to open his planning studio. So as it often happens to the couples of the Italian design, the first product carried out after a long and pondered preparation, turned out to be a best seller. Like Siparium, a sliding door system still now Rimadesio’s long-seller. “Another basic factor in a professional union”, they add, “is to be always willing to discuss and make each project as if it were a first, starting from scratch”. They both agree that to stay together for more than twenty years you need to respect each other’s role. “Our arguments are often heated, but the shared goal is to find the best solution for the company”. What is the challenge you are facing right now? “To find market niches in emergent economies and carry out contract supplies for offices, shops and hotels”. - Caption Left, Giuseppe Bavuso and Davide Malberti (right), managing director of Rimadesio. Below: Abacus Living, fitted system for the living zone, 2010; the system of sliding doors Siparium, 1992. Rodolfo Dordoni with Roberto and Renato Minotti No compromises The first encounter of Roberto and Renato Minotti, at the head of the homonymous company, with Rodolfo Dordoni dates back to ’96. That choice marked a turn in the story of the company, the beginning of a new “season”. They didn’t want to be identified just as manufacturers of soft furniture but to face the marked with a whole interior design. “We thought of a designer, who could work on the company’s DNA, enriching it without changing it radically and we found Rodolfo Dordoni”. “Minotti”, architect Dordoni says, “had an interesting potential and was focused on quality.. Roberto and Renato, from the very beginning, gave me free hand, no compromises. And then there hadn’t been a designer in the company before me, so it was a virgin territory, that spurred me to find a new interpretation, namely not thinking about the single product but in terms of collection, of total design”. A value shared by the three of them is the “made in Italy”. “We try to prove it once more in every collection” the entrepreneurs say “through the search for materials, the choice of fabrics and the value of our craftsmen, To innovate with a look at one’s origins is basic. And focus on details still is the best answer to the international competitive challenge”. - Caption Top left: Rodolfo Dordoni; Roberto and Renato Minotti, owners of Minotti. Next, Brooks, armchair from the collection Senza Tempo, 2010. Massimo Iosa Ghini and Edi Snaidero Sustainable couples “What I like in Massimo? He is a meticulous professional, who doesn’t just draw a few lines when he designs, but works on the substance, on what lies behind the form, at the same time giving the company a full service” With a few words, Edi Snaidero, managing director and chairman of the homonymous group, can explain the professional union with Massimo Iosa Ghini, an actual ‘official engagement’ that has been lasting for about 15 years. The first tangible sign of this long relation is the Gioconda, a model of kitchen that, carried out at the beginning of their cooperation, is still now one of Snaidero’s best sellers after a restyling dating back to a few years ago. The entrepreneur adds: “The kitchen is a complex room, and in the planning stage the technical aspect has to be considered carefully, and Iosa Ghini is very good at this. He was one of the first to use a Cad system”. E-Wood, the brand-new model of this year, confirms the union between company and designer and marks the beginning of a new planning policy, based on the search for low impact materials, where wood plays the lead. “In the past two years everything has changed in the market”, Snaidero explains. “The goal of the latest work with Iosa Ghini is to carry out a sustainable design, both from an ecological and economic viewpoint. A product with “superfluous” and not perceivable components is no longer acceptable. Now we need to design according to a high ethic standard and with great care over the production and managerial process. A project should take into consideration the whole distribution and production chain, But since it’s not possible for a designer to control all these aspects personally, to carry out an attractive and sustainable product, the cooperation with the company is of the essence”. Iosa Ghini states: “The relation between designers and companies has changed a lot. A few years ago the entrepreneurs needed a “name”, the architect’ “sign”, now it’s a strategic relation. With Edi we are complementary. I have an ideational personality: not working inside the company, I bring factors of “inconsistency”, therefore innovative”. While trying to define this long-lasting relation, Iosa Ghini stresses how exciting and full of meanings is to go and talk with Edi Snaidero at the factory located in foothills of the Alps, at Majano, in the province of Udine, built on a project by Angelo Mangiarotti in the seventies. “There Mittle Europe is in the air” he explains, “you are open to the market and the design culture”. - Caption Below: Massimo Iosa Ghini and Edi Snaidero (right), managing director and chairman of the Snaidero group. Below, E-Wood, kitchen in heat-treated oak, 2010. James Irvine together with Costanza Olfi and Mario Marsotto Marble is very practical The go-between was Marmomacc, the marble exhibition in Verona. James Irvine and the company Marsotto met on that occasion, a few years ago. They just had to work together on a project meant for that event, but from then on they never parted. Irvine is now the art director of Marsotto Edizioni, the first collection of marble items of the company, that has always supplied marble tops on commission. Two years ago he started his own business and last year launched the first collection. “I began working with Marsotto”, the London-born designer - yet Italy is his country of adoption - explains, “because I was attracted by their craft skills in marble working, but also because a deep liking clicked between the owners and me”. Costanza and Mario Marsotto, both forty, at the head of the company, reciprocated immediately. They explain: “Our entrepreneural challenge right now is to make marble contemporary through light and multipurpose products. We decided to face it with James, because we like his essential and neat lines and because we have a good rapport. He knows how to convey the whole group plenty of energy”. Irvine replies: “Now to cooperate with the companies you need to have your feet firmly on the ground. To present new products and cutting-edge pieces is not enough, everybody does it. More classic and concrete projects are now necessary”. Like the collection carried out this year by the art director of Marsotto
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Interni settembre 2010 Edizioni, together with Konstantin Grcic, Jasper Morrison, Maddalena Casadei, Naoto Fukasawa and Thomas Sandell, thus definitely sanctioning the entry of the company into the design community. - Caption Above, James Irvine. Right, Costanza Olfi and Mario Marsotto owners of Marsotto Edizioni. Next, Toni, marble table, 2010. Alfredo Häberli and Renato Stauffacher The Swiss challenge to Italian design They are both curious to know and try out new materials. “Each time he comes to see me in Italy, he loads his car with materials so that we can discuss them together” architect Renato Stauffacher, 59, managing director of Alias, explains his relation with the designer Alfredo Häberli. And then, a not minor detail, they are both Swiss. “Ours is the Swiss challenge to the all-Italian design world”. “We have a common vision, passion for design and focus on a “substantial” product, like Sec, an emotional, modular system, the first carried out by Häberli for Alias”. The current challenge for the managing director is to set up products and collections with new materials and uses. “I think that at present the designers should make a more selective choice of the companies they work with. To characterize a design, you can’t do everything for everybody”, Alfredo Häberli adds and tells how he met Renato Stauffacher. “In ’95 I opened my studio in Switzerland, A photographer took some pictures of it and Renato liked its being full of materials. He came to see me and we began working together. From then one, our relation is about architecture as well as cars and design. Always respecting our mutual knowledge. For Renato it was important to speak with me in his mother tongue, German, that brings him back to his childhood. Stauffacher is an ‘excellent business owner. In ’97 he had the courage to make a major investment in a young designer, that’s me, and to manufacture the modular system Sec I had designed. Alias certainly was my launching pad”. - Caption Above: Renato Stauffacher, managing director of Alias, and Alfredo Häberli (right); the armchair from the seating system Graffa, 2010. Top left, the modular system Sec, 1997. Jean Marie Massaud and Umberto Cassina Objects are the players “I’ve known Jean Marie Massaud for about ten years”, Umberto Cassina, vice chairman of MDF Italia says, “since I was in charge of Cassina R&D. When in 2007 I acquired the company MDF Italia, Massaud was the first architect I contacted. I think he is very good and we are on excellent terms. Jean Marie, who is well-known also for his architectures, has always followed the market very carefully and has perfectly understood the corporate philosophy, that aims at “player” products, with a strong identity and a technological soul. An example of this special sensitivity is the Flow Chair, a line of chairs and armchairs, as well as a new generation of objects and soft furniture that we are going to launch next year. Jean Marie Massaud replies: “I like MDF Italia for it’s a young company, somehow ‘virgin’, with some basic features like purity, simplicity and quality. Umberto Cassina and I share a noble idea of design, we try to do things that last forever. An idea he has learned from his family and all the masters of design, from Le Corbusier to Gio Ponti. All the designs I have made for MDF Italia express and idea of lightness, technology, comfort and a good value for money. The perfect example is the Flow Chair available in plenty of finishes and details, to prove that design isn’t a diktat, but it may be personalized by anyone, Everything seasoned with a close friendship and complicity between Umberto and me. You can’t work with someone if you don’t think highly of them”. - Caption Above, chair from the collection Flow Chair, 2009. Left, Umberto Cassina vice chairman of Mdf Italia with Jean MArie MAssaud (right). Below, Achille, a collection of chairs in fabric, 2010. Simone Micheli together with Valentina and Filippo Antonelli Call me strategic consultant, please “It was a chance encounter with Simone, during his press conference in Riccione in ’98, when our family business, Domingo Salotti was thoroughly changing. Adrenalina is a spin-off at that time meant to break out of the mould of the Italian soft furniture market”. Filippo Antonelli, managing director of Adrenalina, while telling how he met Simone Micheli, points out: “It was love at first sight. I wanted to make bold and coloured products, daring and amazing, and I definitely was on the same wavelength with Simone. His quality I appreciate most? Pragmatism”. Simone Micheli adds: “From the very beginning, we wanted to create strong and graphic signs around the brand Adrenalina. Symbolic and evocative elements meant for domestic settings and also for hotels and public premises, usually furnished with standardized products. Now, a few years later, we are making even more symbolic products in limited numbers meant for a selective distribution, My role as art director? I don’t like this term. It’s on the wane. I don’t feel comfortable with it any more. I’d rather say ‘strategic consultant’. Business owners don’t need “visionaries”, but collaborators who give fresh air to their thought and visions. The next designs? We are working on limited-edition products”. - Caption Top left, Simone Micheli. Above, Filippo and Valentina Antonelli, respectively owner and communication manager of Adrenalina. Next, a chair from the collection Bomb, 2010. Paola Navone and Paolo Bestetti Bosom friends Paola Navone and Paolo Bestetti, managing director of Baxter, have an adrenalina-charged relation. Nothing is taken for granted. “Paola”, he says, “is dynamic and amazing, theatrical and full of charm. She has an inbuilt ability to understand forms and materials”. “Paolo”, she says, “is like the great entrepreneurs of the fifties, he has got the visionary flash”. And she explains why: “He invented a job, with a remarkable courage; he is the “leather wizard”: he knows how to choose, treat and tan leather, to carry out fine chairs and he was also good at forming a team of workers who are like him mad about hide. Bestetti says about Navone: “Paola added a contemporary touch to Baxter collections. She makes the most of my know-how of hides, that have special colour characteristics, and turns them into contemporary pieces of furniture with a root in tradition. She uses leather as fabric, she sews inside out, gives it an extraordinary softness, The result is very fashionable”. Some notes behind the scene: “We have been working together for almost eight years and we often fight like an old couple”, the entrepreneur confides “I think it’s important to fight, I’d say it’s basic, Paola and I can do that, because we are on close terms and at the same time we respect each other’s our roles”. Bestetti adds: “Understanding each other is basic in our relation, as well as giving a method to the project, made of steps, times and goals: I learned that from Paola, and the company did learn it, too” So a sort of rib has emerged inside Baxter, made of leather chairs with a high design content and a craft skill conveying a feeling of belonging to tradition. - Caption Above, Paola Navone and Paolo Bestetti, managing director of Baxter. Next, Trieste, a Nabuk-covered sofa, 2010. Franco Poli and Massimo Grassi We cultivate dreams “I like Franco Poli’s design so much that when I got married , several years ago, I bought his furniture carried out by another company”. The rest is history: Massimo Grassi, managing director of Matteograssi, and Franco Poli have been working together for twenty years. “Twenty years ago”, the designer says, “Massimo asked me to make a chair for him that unfortunately didn’t go very well. Later, it was my turn to go to him and propose Fullerina, a very light chair”. “Poli wants to do always new and different things”, the entrepreneur points out. “The Fullerina weighs less than one kilo … So, the relation with Franco is due to his capability to produce dreams and put them into shape”. The last challenge is to build a seat with as less material as possible. “One day I was discussing the interweaving with Massimo” Poli adds, “and he pointed me out that to make
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INservice TRANSLATIONS / 113 a stitch in the overlapping between weft and warp there is a doubling of surface and that’s always uneconomical. How can I make an interweaving without interweaving? I carried out a leather net. I’ve been working on this issue for ten years and Massimo gave me a free hand and all the necessary to reach the goal”. The cooperation is seasoned with a close friendship: “Massimo is just the tip of an iceberg”. Poli says. “I’m on excellent terms with all his family”. - Caption Above: Franco Poli and, right, Massimo Grassi, managing director of Matteograssi. Left, , Zoe, a leather chair, 2010. Francesco Rota and Paola Lenti We are easy An open, constant and free rapport is the starting point of the professional relation between the business owner Paola Lenti and the designer Francesco Rota. “Our products try to express new functions” they say. “They are simple and have a very relaxed look. The focus on environmental issues and people in connection with the objects is of the essence” , When Paola and Francesco met, they were both at the beginning of their career. She didn’t have a business yet and he was just starting to work. “ We both had a lot to risk. And when we saw the first collection we drew a sigh of relief”. “When we met I had just found one of my favourite materials, felt, at that time not too popular”, Paola says. “I asked Francesco to design some chairs and I liked them very much”. He says: “Paola and I have been working together for 13 years and when I show her my works we always are of the same opinion”. A good quality of Paola? “She is a strenuous entrepreneur and never gives in”, Francesco answers. A flaw? “She is a perfectionist”. A good quality of Francesco? “He always accepts other people’s point of view. He is not a prima donna and loves teamwork”, Paola answers. A flaw? “He is always late … but not with his designs”. - Caption Top left, Francesco Rota; above, Paola Lenti, owner of the homonymous company. Below, Mellow, a modular outdoor sofa, 2010. Marcello Ziliani and Stefano Casprini The courage to invest “Most of all, I appreciate Marcello Ziliani’s skills and technological preparation in materials. With the passing of time I got to know him better and could think highly of him, for he is always ready to accept a dialogue. Working with him has always been very interesting and pleasant”. That’s the comment made by Stefano Casprini, 48, at the head of the homonymous industrial group, He has been working with him for seven years and Ziliani has been appointed art director at Casprini two years ago. “I ask the designers”, he explains, “not to design products only but to share strategies, like the current one, focused on the corporate identity, With Marcello we are on the same wavelength: we are trying to extol the Italian character of products through design and materials innovation”. Casprini stresses his friendship with Marcello Ziliani: “When you think highly of someone you want to know them better. We have a true relation involving also our families. There is just a logistic problem, I live in Tuscany and he’s in Brescia”. Marcello Ziliani, Studio Zetas, says: “I contacted Caprini in 2003. I had an interesting project, the Tiffany, at that time a technological bet: it was the first gas-moulded chair with a closed, transparent section”. Marcello Ziliani went to Stefano Casprini with an already defined design. “He liked it”, he says, “be believed in it blindly. He made an act of confidence, taking on the risks of a still unexplored and very onerous project in terms of investment”. An example of how the relation between Ziliani and Casprini has developed is the chair Tiffany Recycled, 2010, falling within the sustainability area. It is made from the Tiffany’s production rejects and sold at a price 30% lower than the first choice product. Ziliani is now art director and made Bruno Rainaldi join the company. A sharing of role, that shows his open-mindedness. “The evolution of this job? Now the designer can play several roles, they are “technological consultants”, who act as a support between the various skills involved in the production process; they are ‘aggregators’ of companies when they link products carried out by different brands for an interior design. And contract ‘prescriptors’, when they guarantee a minimum turnover to the companies through the supply of furniture for their architecture projects”. - Caption Marcello Ziliani with Stefano Casprini, managing director of Casprini. Right, Tiffany Recycled, chair in recycled nylon obtained from the rejects of the corporate production, 2010.
INdesign INcenter
Project from nature
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photos Simone Barberis edited by Nadia Lionello Wood is gaining new importance today as an expressive link between sustainable design and the use of innovative production techniques, once again at the top of the rankings of the most attractive, trendy materials for furnishings. - Caption pag. 63 Sinapsi modular shelf components in pressed particle board, shaped and veneered in natural ash or walnut, or with colored lacquer finish, by Sebastian Errazuriz for Horm. Facing page: Briccolone bookcase made with original wood from “briccole” (the poles used to moor boats and indicate navigable channels in Venice), by Michele De Lucchi for Riva 1920. - Caption pag. 64 Kika stool in panga panga, masasa, mukwa or oak laminate, made by hand in Botswana, by Patricia Urquiola for Mabeo. Facing page: bench-sculpture in a limited edition, with interlocking structure of concentric rings in walnut plywood and lacquer-finished parts, by Jakob + Macfarlane for Sawaya&Moroni. - Caption pag. 66 Natural Slice tables in solid natural cedar, polished and waxed, from the Punto Oro collection by Paola Navone for Baxter. Facing page: Interstice table composed of four panels of natural solid walnut, by Noé Duchaufour-Lawrance for Ligne Roset. - Caption pag. 68 Wood Chair, covered with weave of spheres of natural birch, by Front Design for Moroso. Facing page: the Secret Club House, chair in slats of recycled wood from fruit crates, with felt covered cushion, by Martin Vallin for Cappellini.
Designs and Designers Generation iDesign
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by Laura Traldi Seventeen sweepers serving the Italian companies (and many more). Seventeen young firms, who promise revolutions and evolutions and prove, that the couple designer-company still works. But careful: such a valuable good must be protected, by betting on the whole distribution chain. Sam Baron “His designs are a modern and never trival interpretation of the past” Elis Doimo, chairman of Casamania The best of it is that the designs carried out by Sam Baron, art director of Fabrica and a leading designer, amaze in a graceful way. They don’t shout but whistle a catchy tone attracting attention. It’s right this freshness and cultivated playfulness, never childish, that drew Casamania’s attention. “They wanted to have a look at my work and did it properly. Actually, you can’t say that they did it quickly “ Sam says, “But once they decided, they told
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114 / me: design something that tells your story and works well with out team. It sounded like they were talking about soccer!” And Sam churned out a line of furniture inspired to a French retro style yet stylized and functional. And that was a nice goal for both of them. “Calling a free-lance designer, as they do in Italy, is a like a guarantee of freshness” Sam says. “Italians are like some great chefs, who have invented a perfect recipe that everyone imitates. Although I must say that paradoxically it seems to be easier to come into play if you are a foreigner. It’s hard for the young in your country, because there is always the weight of the Great Masters and the whole lobby, that doesn’t make room for them. I don’t envy them!”. Instead, Italy never turned him, a French, out. “I’m happy here. You are always looking for new technologies, methods, solutions. The challenge of Italian companies lies now in cutting costs yet keeping quality and in thinking for the young, both consumers and designers. I mean, you welcome them. But what I like most of all is your chaotic way of working, which I think is the perfect condition to create something beautiful and new. For that matter, that’s what Memphis people used to say, didn’t they?”. Sam Baron, French, born in 1976, graduated at the Ecole des Beaux Arts de Saint-Etienne. Art director of the design department at Fabrica in Treviso. - Caption Philippe, coffee table in glossy mdf, lime and walnut parts, by Sam Baron for Casamania. Basaglia Rota Nodari “The meticulous supervision of the whole planning process, research and experimentation are the qualities that underlie their work”. Giuseppe and Monica Pedrali, owners of Pedrali An innovative idea only is not enough for Alessandro Basaglia and Natalia Rota Nodari. “Besides this prerequisite, you should have also the capability of leading a concept to production and harmonize it in a positioning strategy” Alberto says. Meaning that a flash of inspiration is welcome but elbow-grease is also necessary to change it into a concrete and saleable product. Maybe it’s this honesty, combined with the humility of two professionals, who don’t “play the stars” but prefer to shut themselves in their office and design, that brought them a shower of job orders: actually they are the art directors of YDF (Young Designers Factory), Outlook, Diemmebi and Blitz Bovisa and design for some big names like Pedrali, Lema and Rexite. “We have no precooked recipes or predetermined styles” Natalia explains. “Innovation means something different to each brand. For instance, we took into consideration new technologies like LED for Luxit and for Pedrali we created a first collection of lamps, while for Diemmebi (well-known in the office and community furniture industry) we bet on an approach to street furniture”, So every time, they start from scratch. Is that hard.? “Being a designer in Italy now it’s almost a mission”, Natalia admits. “It means to work with humility and high-level, trying to propose new ideas, so that Italian design remains designed by Italians”, Alberto says, as he doesn’t like the “siren call from the global market to fragmentation: formulation in Italy and production who knows where”. They recipe to protect Italian products is a cooperation between designers and innovation-oriented companies, at all costs. “The “made in Italy” runs the risk of losing its meaning based on the Italian knowhow”.Alberto Basaglia , born in Varese in 1969, Natalia Rota Nodari, born in Bergamo in 1970, graduated in architecture at Politecnico di Milano. In 1997 they opened their studio close to Bergamo to deal with architecture and, since 1999, with design. That same year they designed the collection and brand YDF. They are art directors of YDF, Outlook Design Italia, Diemmebi Urbantime and Blitz Bovisa. - Caption l001, collection of lamps in transparent polycarbonate by Basaglia Rota Nodari for Pedrali. Castello Lagravinese “I was struck by their look. It revealed a strange and interesting mix of enthusiasm, freshness and pragmatism”. Gabriele Galli, managing director of Busnelli There is nothing like experiencing things in person. That’s why Alessandro Castello and Maria Antonietta Lagravinese, alias Castello Lagravinese Studio, designers and small entrepreneurs as well, grasp the problems of a company at once. They met when they were very young and working for a famous studio in Milan, and clicked straight away. “We both liked to draw inspiration from different fields and not become fossilized with design only” they explain. And their first step was to produce themselves a brand of soft furniture and accessories inspired to the fashion world. Maybe a reckless move, yet it worked. “We presented the brand, Onlymited, at FuoriSalone 2008 and job orders have been showering ever since”. Like those from Cinova and Busnelli. For the latter, the couple has presented two lines of sofa last april, the ironic Bohémien (altering the capitonné upholstery radically) and the elegant Swing (more polite and iconic). “To have our own firm, we were a cut above”, they explain. “We know that the product is just a part of a whole and want to understand the vision of our customers before designing“. But that doesn’t mean to shun new things. “On the contrary. To have a vision doesn’t mean to standardize for fear of risking. The crisis should have urged the companies to differentiate, to offer unique and matchless products” And being young proved to be a trump card: “we are open-minded and curious, full of ideas and feel like doing things”, they say; “the companies we work with are infected by our enthusiasm and that pays off”. Alessandro Castello (Genoa, 1974), graduated at Politecnico di Milano, and Maria Antonietta Lagravinese (Gioia del Colle, 1972), at ISIA in Faenza, deal with product design, graphics, set and interior design. In 2008 they created the self-production brand Onlymited. They are art directors of Opera Contemporary by Angelo Cappellini. - Caption Bohemien, a capitonné sofa with solid wood and multilayer structure and padding in polyurethane. By Castello Lagravinese for Busnelli. Valerio Cometti “His concepts are always new and refined, filled with essential contents”. Marina Toscano, head of R&S of Firme Di Vetro “The free-lance designer is like a lover. With him, everything is more intense!”. Valerio Cometti is joking, but not too much. Actually, his love story with Firme di Vetro, started in 2006, is going off well: “I presented the lamp Katana: it was love at first sight”, Cometti says. Which doesn’t happen often to someone, who has just left the Politecnico, and not even the faculty of architecture. “I think that my customers appreciate the fact that I deal with many, different things and my background of mechanical engineer put them at ease in the pre-planning stage”. Working in agreement with the technical department was basic to develop the lamp Bow, that provided for one cable for support and power. But also for Icon, as Cometti refused any simplification and helped to the solution of the technical issues. However, it’s maybe his approach, that people like. “Too often a designer is not defined as punctual or reliable. But a professional man must be efficient, responsible and honest to gain the company’s confidence”. In short, a change in the ‘perceived image” of the job wouldn’t do any harm. And it wouldn’t do any harm either to extend further the furniture category or the concept of beauty. “How many would recognize a masterpiece of design in the whisk broom Swiffer? Yet it has created a market for itself. Companies don’t expect much from the designer (also because they don’t want to pay too much) and the designer comes into line: how many companies are now working to know how their products will be after ten years? That’s why so many young get by with difficulty: we belong to a generation of professionals, who could not keep or impose the economic value of their contribution. My suggestion for the future of the “made in Italy” is less midget-shaped doorstops and more new things that didn’t exist so far”. Valerio Cometti, born at Motta di Livenza (Treviso) in 1975, graduated in mechanical engineering at Politecnico di Milano, opened his studio V12 Design in Milan in 2004 with an associated office in Sydney. - Caption Icon, suspension lamp by Valerio Cometti for Firme di vetro with plate in opal acrylic and belt in white pressed glass.
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settembre 2010 Interni Sebastian Errazuriz “When I met him we had a fight about a project straightaway. But in the end I listened to him and I don’t regret it”. Luciano Marson, art director at Horm No doubt he doesn’t lack imagination. Maybe his dad should take the credit, an art teacher who has brought him up in museum rooms, forbidding him to crib from the cartoons and telling him that he could do better”. Or maybe it’s because of his nomadic life led in London, Washington, Edinbourgh and finally New York, where he graduated in art. In fact, each piece of the production of Sebastian Errazuriz, 33, Chilean, is different from the other. Since his school days, Sebastian has been trying out materials, shapes and concepts and carrying out handmade things and furniture. And what he earns from selling them dear through some major galleries like Cristina Grajales in New York is invested straightaway in public artistic purposes like renting the stadium of Santiago, where Pinochet used to torture his opponents, to plant a tree in the middle and invite people to live it as a place of peace; or save a cow from the butchery and let it graze on top of a building. Ideas with a high media impact, but that make you think about the big whys and wherefores of life. His talent struck Luciano Marson, art director at Horm, who wanted to try an industrial transposition of Sebastian’s tryals, like the possibility of working wood after bending and pressing it. “I’m working with a 76-old carpenter, who doesn’t speak a word of English or Spanish, but he is very clever” Errazuriz says. The strange pair has already carried out the shelving system Sinapsi, presented in Milan last April and at the London Frieze Art he is going to present a tree-shaped furniture unit and a piano-bookcase made from movable elements, that are raised and lowered at will “We communicate through signs, I admit, but it works!”, Sebastian says. “And it’s fabulous to try out the know-how of the Italian supply chain: I feel as a cook who has just been given a kitchen full of tasty ingredients”. No risk of a recurred menu. Sebastian Errazuriz, born in Santiago, Chile, in 1977, has studied art, cinema and design. He is art designer for the gallery Cristina Grajales in New York and author of urban installations in New York, Rio, Paris and Santiago. The projects for Horm are his first industrial designs. - Caption Sinapsi, modular system of shelves, by Sebastian Erraruriz for Horm. Gordon Guillaumier “We instantly noticed his great professionalism and humanity. With him it was pure feeling from the first moment”. Marco Redaelli, managing director of Pamar To build a brand round a product perceived as a fitting, the handle, was the difficult task that Pamar entrusted to Gordon Guillaumier five years ago, appointing him art director of the company. Yet, he made a very good job and from then on the Maltese designer has been full of surprises: renewing the product concept, hiring the crème of international design and trying out shapes and materials. “Together with the firm we defined a long-term strategic vision to build in intermediate steps following each other to mark out a consistent route”. For his latest effort, the collection Porcelain, Guillaumier has amply drawn from the Chinese porcelain tradition, making it up-to-date. The result is a line of handles hard to define as “fittings”, as they definitely make their presence felt in a room. “For his formation and forma mentis, often the designer is inclined to think about the future. That’s a valuable quality for a company, that knows how to make the most of it. But the secret of an effective cooperation lies in the designer’s capability to translate visions and foresee trends as well as to give concrete answers in step with the company’s growth”. This means to point at the sky with a finger and at the earth with the other. “Creativity, meant as driving force towards evolution is also a most useful weapon against the threat of counterfeiting. The risk is for the companies to yield to temptation and try to fight it through a lower quality at a low price instead of doing better, what they are good at” Guillaumier says. For this purpose, the contribution of the youth could be of the essence. “Unfortunately, in Italy they suffer the comparison with the great masters and don’t get a fair hearing”. Although, according to Gordon, “there are opportunities anyway, and a marked and concrete creativity is required, constructive and realistic, where ethics and professionalism help to the definition of the global value of a design”. Gordon Guillaumier, Maltese, born in 1966, industrial designer, graduated at IED with a master at Domus Academy, has been living in Milan since 1989 and in 2002, he opened his studio. He has worked also as design manager and artistic consultant. Since 2005 he is art director at Pamar. - Caption From the Pamar collection: Above, Oblong, handle in white glossy china by Rodolfo Dordoni; Above: Loop, in matte black china, by Gordon Guillaumier and Rift, in white glossy china by Pierre Charpin. Afroditi Krassa “We received her concept by e-mail and we were impressed: the design was exactly what we were looking for”. Sabrina Bonaldo, marketing manager at Bonaldo Appearances can be deceptive. The sunny smile framed by the face without make-up of Afroditi Krassa makes you think of a young girl just appeared on the scene of design. Yet, before coming to Bonaldo (she presented their table ICosi at the last Salone) the young Greek (born and brought up at the London Central St Martins and RCA) won quite a number of challenges. Like being the first woman hired by the duo SeymourPowell, designing at 23 a bra, that sold 2 million pieces and designing the mass market brand of Food Itsu (which she is the art director of). So she is nobody’s fool, although she says: “I love lightness”. And it was just the lightness of the table ICosì, that bewitched Bonaldo. “It’s a plain yet dynamic shape and comes from one component (a steel rod) repeated twenty and more times (hence its name, that means twenty in Greek) with different directions”. She likes to work with Italian companies: “I’ve always appreciated your approach to turn to free-lance designers. It shows a wish of innovation, growth, to face more and more challenges”. Like believing in the talent of a young designer rather than in a big name. “We were brought up to design freely, to break out the mould. We often don’t know the company’s problems, its bureaucracy, what one can or cannot do. And we are focused on ecological and social issues.” Risky collaborators, aren’you? “Maybe. But a company the success of which is based on innovation very often can take possession of the young designer’s wealth, overcoming many difficulties. And then the result is thrilling”. With such a pedigree as hers, risks are cut to nil... Afroditi Krassa (1974), graduated at the London Central St Martins and Royal College of Art, where she studied with Ron Arad. She opened her studio in 2002 and is the art director for the brand Itsu, dealing with catering. She design for them everything, from packaging to restaurants. - Caption Icosì, coffee table in steel rod by Afroditi Krassa for Bonaldo. Hangar Design Group “They could understand our company essence and translate it into effective communication and projects, professional yet also delicate”. Lucio De Majo, chairman of De Majo Are markets shrinking? That’s not a good excuse for not investing. On the contrary. The gratest challenge for Italian companies is to aim at a faultless quality, waiting for emergent countries to develop such a sophisticated product culture to take into account niche products, too”. At the Hangar Design Group, the pool of creative designers founded by Alberto Bovo and Sandro Manente, they have no doubts. The freshness of ideas is their strong point: “The average age of our team of about fifty people is thirty”, they say. But to be young is not enough. “There aren’t so many, really innovative ideas at present”, Bovo says. “Maybe the time has come for us designers, too, to go back to the essence of our job”, Manente adds. “Experimentation is welcome, but along with common sense and a sensible product. Researching means to go beyond the form and focus on a design, that solves the actual needs
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Interni settembre 2010 of people and therefore of companies”. For this purpose, HDG is working on the contamination “between architecture, graphics and product design”. That’s why De Majo, when he decided to renew not only its output but with a project in the round, turned to them. “We deal with products but also communication”, they explain. “We developed for De Majo two collections of chandeliers, Glacé and Flûte, meant to rediscover the beauty of tradition and a shared story, by combining the different components according to innovative criteria”. So. No revolution but a no-nonsense evolution, the freshness of which comes from the capability of updating some instantly recognizable elements, in perfect agreement with the corporate identity. Alberto Bovo and Sandro Manente are the architects-founders of Hangar Design Group, dealing with communication and design with specialist skills in brand strategy and product design. It also develops architecture projects, interior and web design. - Caption Flûte, chandelier in black crystal by Hangar Design Group for De Majo. JoeVelluto Studio (JVLT) “JoeVelluto and our company share the wish to keep researching and innovating”. Alvise Boscato, managing director of Euro3plast The art direction of a company? According to JoeVelluto Studio (JVLT) it’s “a sort of psycho-therapeutic path for the economic and formative wellbeing”. In other words, a relation to experience in tandem, where the important thing are people and their way of acting. That makes people, companies and revenues grow. JVLT is pragmatic and straightforward: “Companies rightly want always the same thing: good business. And so do the young designers! Then, if that’s also culture, which is a rare thing now, all the better”. So, the elective affinity with the company is basic to hit the mark. “With PLUST Collection something clicked straightaway”, JoeVelluto says. “It’s a brand wanted by Euro3Plast to produce outdoor and indoor collections by making the most of their technological and productive know-how. We were both thrilled to propose something original and innovative, backed by fresh and adequate communication”. Because besides designing, JoeVelluto also selects the designers, brief them and vet their proposals and establishes communication strategies and selects distribution and network of shops. An almost entrepreneural profile rather than of a designer. “Actually, even Sottsass thought that the success of some products lies in design and creativity and not in marketing!” JVLT says. “The Italian-style designer-entrepreneur pair, even if it seems to be an outmoded formula, has still the potential to work well. The secret lies in teamwork and a mutual, consciously-made selection”. JoeVelluto (JVLT) is a design and communication studio established in Vicenza in 2004. The art director is Andrea Maragno (1974). It deals with staging, installation, cultural events, planning and art direction for several companies. - Caption Simple Chair and Simple Table, stackable outdoor furniture in plastic by JVLT for Plust Collection. Ilaria Marelli “The freshness and originalityof her products express the company’s new policy”. Paolo Botta, manager at Axil Ilaria Marelli is a hard worker. She started when she was very young and Cappellini chose her to aid (and then run) the in-house product development. It’s in this no-nonsense environment, where the aspirations of the great design often clash with the production requirements, that Ilaria has learned the art of modesty and teamwork. So now, to tell about her “new course” collection for Axil (the renowned brand of beds just acquired by a holding, that chose her to start a remarkable repositioning phase) she decides to share the credit with those who are always forgotten. “We did everything in just four months thanks to the technical team, that could change my ideas on paper into technical disassembling solutions of structures and removable covers and carefully studied sewing and upholstery details”, she explains. But what Ilaria says is a sort of cries for help rather than an ostentation of modesty. “What the world envies the Italian production is flexibility, sartorial features and the handicraft skills revolving around the single enterprise. Unfortunately nobody is entrusted with the protection, promotion and networking of the know-how lost in a myriad of small shops scattered over the territory, more and more neglected and snubbed by the young, which is unaccountable, especially now!”. A problem-solving recipe? “A sort of ‘slow food’ of design. An active protection, practical and not nostalgic, of the supply chain and its know-how. It’s a systemic approach from the designers: why not propose long and mediumterm development visions providing room also for environmental issues ?” Then it’s up to the companies to implement them. Ilaria Marelli was born in Erba, Como, in 1997. Architect and designer, she opened her studio in 2004, dealing with architecture, design, interiors and staging, strategy and trends consulting. In 2008 she was awarded the prize Milano Donna for design and architecture. - Caption The bed Loop covered with white and beige imitation leather by Ilaria Marelli for Axil. Jonathan Olivares “The young Olivares proves to be able to refuse apparently taken for granted planning conditioning to opt for invention” Elisa Astori, managing director of Driade He is really very young, Jonathan Olivares. Maybe that’s why it’s easy for him to break up century-old patterns, like those saying that a bookcase must be straight. For Driade he has designed one, that is concave as the palm of a hand showing off and offering the books, following a logic of psychological ergonomics looking for wellbeing first in the mind and then in the body. This 29-year-old hard-working American (“to me, to meet with success means to work eleven hours a day at least, doing what I like best in the world: designing”), is a real innovator. However, he carefully avoids brusque digressions. “The success of a product doesn’t depend on the quality of the project but also on the optimization of production, distribution and the sales force. Often companies are so busy placing their products on magazines, that they forget to innovate and offer affordable prices. Isn’t that the very essence of design, until proved otherwise?”. Long life to a teamwork and woe betide those, who celebrate the star designer without giving credit to the conditions that make their success possible. “The great advantage of the “made in Italy” lies in the fact that there is a culture of high quality, technical craftwork allowing to create an extremely sophisticated and quality production environment. Everyone knows that Vico Magistretti used to sketch on small sheets of paper, that were later interpreted by several craftsmen here and there. Without them, maybe even the many ideas of the great Vico would have remained just ideas. Yet now the young in Italy are not interested in handicraft. My fear is that this incredible heritage risks to disappear in a few years. Because the great design is not made by a lone genius or the enlightened entrepreneur. There is no future without the chain”. Jonathan Olivares, born in Boston in 1981, graduated at the NY Pratt Institute in industrial design. His studio JODR focuses on design and research, most of all socio-political and historical. He teaches at the ECAL in Lausanne and ENSAD in Paris. - Caption Bookcase Factor in wood conglomerate finished in ebony, by Jonathan Olivares for Driade. Satyendra Pakhalé “We share the wish of a sustainable design and of going beyond the consumer’s wishes”. Emma Sandsio, marketing communication manager at Hästens Satyendra Pakhalé likes to be called a “young designer”. “Perhaps because I’m not young anymore for the registry office” he says. In Holland, where the forty-three-old designer of Indian origin lives, the young are under 30. “But the important thing is to be young at heart and have the enthusiasm of a rookie. It’s the only way to create increasingly new things and break up prejudices.” As he did this year by designing a sofa for Hästens. Not a huge lounger, where you get asleep while watching the TV, but a seat with a straight back, meant for conversation.
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INservice TRANSLATIONS / 115 A little, big revolution for Hästens, famous manufacturer of de luxe beds: so a company expert in horizontal comfort. “Yet I’ve seldom seen such an enthusiasm. They threw themelves in this project”, Satyendra says. “When there is mutual respect and synergy between designer and company, great things may happen. As far as I’m concerned, I experienced this with Tubes, I have worked with them on the development of the modular radiator Add-On for four years. The energy produced by that project, that met with the approval of the public and the critics, gave a considerable boost to the company in terms of image and increased its wish to invest in innovation.” Unfortunately that doesn’t happen very often. “Nowadays everybody talks about design but it’s still rare to find designers playing strategic roles in companies. Yet we could do a lot together, especially from the point of view of sustainable products. In Italy you have all the conditions to go on riding high, if it weren’t for the pessimism that seems to be in the air. We must get rid of it and find the mind set that made the success of your design, namely people who are not afraid to run risks and design with passion”. Satyendra Pakhalé, Indian, born in 1967. He graduated in Engineering and Design in Mumbai and in Advanced Product Design in Switzerland before working as senior product designer at Philips Design in Eindhoven, Holland. He opened his practice in Amsterdam in 1998 and is art director of the course of Humanitarian Design and Sustainable Living at the Eindhoven Design Academy. - Caption Conversation Sofa and pouf, meant to make people connect. by Satyendra Pakhalé for Hästens. Lorenzo Palmeri “He’s the bearer of a new art direction mode, not self-referential but conscious of the daily issues”. Marco Bergamaschi, managing director of Lefel A designer, but a musician as well. So it’s not amazing if orchestration is his forte. It’s the capability to think “beyond” the product, to invent harmonies between places, objects and messages the strength of Lorenzo Palmeri, when he wears his designer hat (for brands like De Vecchi or Valenti Luce, Guzzini or Garofoli) and the art director hat (for Lefel, Arthema Group and, just recently, for the company of doors and windows Giorgio Senatore). “Knowing the Italian situation, it’s rare to find a company, that realizes the need to have an art director. Often it’s a title that scares. Instead, a collaboration is established step-by-step , when the brand understands that a designer doesn’t think of the product only, but knows how to handle the whole experience”. They realized that at Arthema Group, for them Palmeri has designed some temporary doors for shops and was recently asked to provide for wider collections. And La Feltrinelli, as well. “They appointed me straightaway art director for Lefel, their brand of selected fancy goods”, Lorenzo says. “I had to select objects (already produced by others) that met the brand criteria. But Feltrinelli’s brand values (ethic, honesty, straightforwardness) are so topical and very real that I thought it was a pity not to propose an ad hoc collection”. It took two years, but in the end Palmeri had his way. “I take my hat off to those, who can dare” he says. “And most of all to those, who understand that a brand is built with consistency. And that often costs. “To produce my candle in Italy, for instance, means to pay it 5 euro instead of the 80 cents asked by the Chinese. But I think the products made in Italy must be first of all a guarantee of honesty and quality. These are the values that made them great and that can ensure their survival”. Lorenzo Palmeri (1968) architect, designer and musician. He deals with product development and communication, corporate training, interior and retail design. In 2005 he got the Good Design Award 2005 with the lamp Promenade by Valenti Luce. - Caption Lumedicandela, bottle candle, by Lorenzo Palmeri for Lefel. Adriano Rachele “A company, that wants to grow should be open to argument with the young and rely on originality”. Roberto Ziliani, managing director of Slamp It’s every student’s dream: to go to a company looking for help in product development and be immediately hired; to work behind the scenes for a few years and then be brought to the forefront as a famous name. That happened to the very young Adriano Rachele with Slamp, the design lighting brand at affordable prices. “I don’t know why they chose me. I think maybe because we both see design as a medium to create innovative, ironical and affordable ideas”. In fact, since 2007, Adriano is part of the R&D team of the company led by Roberto Ziliani and run (from the creative point of view) by Nigel Coates and his name came to the open at the last FuoriSalone. “We were working on how to enhance the handicraft look of the product”, Rachele explains, “and I began playing with some strips of material assembled into a decoration They liked the idea and it became Cactus. And with Veli I wanted to pay homage to the woman figure, treating the material as a fabric to refer to a woman’s petticoat”. Both lamps were presented with great pomp at the last FuoriSalone. So it’s not surprising if the young Adriano has a positive opinion of the status of Italian Design: “Companies always need energy, flexibility, optimism and ever-evolving style, all qualities that a young designer can offer”, he says. “The comparison with the great designers of the past and the will to surpass them is a great motivation for the young to invest in their own ideas until they find a company willing to believe them”. Indeed, someone makes it! Adriano Rachele was born in Mülheim an der Ruhr, Germany, in 1984. After a degree in Industrial Design at the Sapienza university in Rome, he joined the R & D department of Slamp. - Caption Veli, ceiling lamp in Opalflex®, by Adriano Rachele for Slamp.
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Graphic shapes p. 80 photos and picture processing by Simone Barberis by Antonella Boisi together with Nadia Lionello Straight and curved lines, circles, triangles, cylinders… geometry still is for the designer what grammar is for the writer: a source of ideas, shapes and new proposals. In the case at issue, driven to the paths of graphic design and visual adventure. - Caption pag. 80 Chandelier Cerimony by Bruno Rainaldi for Slamp. Carried out in Opalflex®Porcelaine and designed for compact fluorescent lamps, it spreads light through its manifold concentric circles, to create charming light effects. In the foreground, a seating from the line Family Chair by Junya Ishigami for Living Divani, that includes 5 chairs of different shapes in curved steel and tubular legs. The net of the seat is in wire. Bookcase Comb designed by Christoph Radl for Varaschin. Made from mdf in matte white. Armchair Calla by Antoine Fritsch for Dolcefarniente. Structure in hand-interwoven rattan with ribbons in coloured fabric. - Caption pag. 82 Table Colander in aluminium designed and manufactured by Daniel Rohr in a limited edition. The grooved legs support a top with 909 holes to highlight the concave and lentiform figure stressed by a surface in transparent glass. Chair Exagon by Franco Poli for Tonon. With body in polyurethane foam and hexagonal holes carried out in 3-D. Table from the line Arlequin T by Ferruccio Laviani for Emmemobili. In multi-faceted multilayer, veneer in several contrasting finishes. Suspension lamp Led Net available in two configurations (circle or line), design Michele De Lucchi and Alberto Nason for Artemide. It consists of an aluminium plate with a Led-supporting printed circuit. Each Led is sup-
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116 / plied with lens in transparent methacrylate. - Caption pag. 84 Chair Exagon by Franco Poli for Tonon. With body in polyurethane foam and hexagonal holes in 3-D. Table from the line Arlequin T by Ferruccio Laviani for Emmemobili in multifaceted multilayer, veneer in several contrasting finishes, Suspension lamp Led Net available in two configurations (circle or line), design Michele De Lucchi and Alberto Nason for Artemide. It consists of an aluminium plate with Led-supporting printed circuit. Each Led is supplied with lens in transparent methacrylate. Twist, a totem made from superimposable components in acrylic stones LG HI-MACS® available in four hues, with shelves in plate glass. Design Giuseppe Bavuso for Alivar. Coat-stand Aster by Alessandro Dubini for Zanotta. In painted steel available in white, red, green or black. Bookcase, line Jil by Christophe Delcourt for Baxter. The structure is in handcrafted oak. - Caption pag. 86 Two pieces from the new collection Established & Sons: the oval Shade Mirror designed by Front and the container from the line WrongWoods designed by Sebastian Wrong with wood-looking graphical decorations by Richard Woods. Woodstock, table-system with freely matching components, design Jean-Marie Massaud for Poliform. Carried out in matte lacquers (in 28 colours), spessart oak and white elm. Storage-table Balancing Boxes designed by Front for Porro. In white or black painted metal. Table-stool Nook designed by Patrik Fray for Vial: a high-tech foam between two lacquered surfaces with a reduced thickness .
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photo by Simone Barberis by Alessandra Mauri They stay in the background, the general public doesn’t even know them. Thanks to their know-how, the designers’ ideas change into material objects. Sometimes mythical figures, sometimes the owners of the companies, they work together with the designer and establish a relation of high esteem and mutual exchange, facing the challenges with a concentrate of expertise and passion, a recipe that no school teaches, unfortunately. Giorgio Caimi He joined Caimi Brevetti, when he was very young and now he is in charge of the R&D department together with his brothers Franco, Renzo and Gianni. How do you learn this job? “In my life I was so lucky to meet excellent masters, who taught me a lot: collaborators, consultants and even old employees. But it was my father’s experience, that helped me more than anything else. His point of view is still up-to-date: he belongs to the self-made men generation, who have rebuilt Italy. I honestly think he is younger than me in spirit, he steadily urges us to make bold choices and face new challenges”. How is a product developed? “Usually we work on about ten projects at a time, but it happens that a project is so good that we switch to a different planning, for instance when it’s a novel object, never developed by anyone or carried out badly: then we accept the challenge with resolution. The project may be developed in-house, by Caimi lab, or together with designers, who are on our wavelength. We meet on a regular basis to exchange ideas and we are interested in their vision of the world, it’s always very useful to find out their point of views on the new market needs. Often these meetings result in concepts, that lead us to develop innovative products”. An innovative design? “Last year we invested a lot in research and new products, a bold yet rewarding choice. The result is the Prisma collection, a system of accessories in stainless steel (umbrella-stand, waste paper basket, flower pot, ashtray) designed by Sezgin Aksu and Silvia Suardi. The special manufacture stresses the carefully studied details and the handcrafted shape, although it is carried out with industrial technologies, that allow to keep an excellent value for money”. The ongoing challenges? “We are very conscious of ecocompatible technologies and materials. We study and use recycled materials, mixed with low impact materials. For instance, we have tried some plastic filled with wooden dust coming from parquet wastes. Then all pieces are easily disposed of as we opt for one-matter components as much as possible. We always did it and find it natural. It’s easier for us, because we work on quality and produce objects, that last over time, which also means to be sustainable. The local companies have always carefully considered all aspects of the product, we don’t waste and we respect things: this was already a sustainable attitude 50 years ago, even if at that time sustainability wasn’t fashionable yet”. - Caption pag. 90 Giorgio Caimi and the line Prisma by Sezgin Aksu and Silvia Suardi. Silvia Gallotti She graduated in Economics and Commerce and has lived in London. Back to Brianza, she joined the family business, Gallotti & Radice, in 1996. Now, together with her brother Massimo and her partners Marco and Pierangelo Radice, she runs a tight team to follow the whole cycle of the project. How do you learn this job? “When I joined the company my father was still there and was responsible for 90 percent of the objects designed in crystal. I have learned from him, at the factory. Over the years we chose to open up and the first designer we worked with was Ricardo Bello Dias. He was attached to my father and has supported him in the last years of his life. From him I have absorbed the culture of glass working, that underlies the designs developed for us. With him we started up in a new field”. How is a product developed? “Crystal is a difficult material the designers know very little about and many compromises are necessary. Very often the designer tackles the issue with lines difficult to be changed into a product. Any component added to such a neutral material can be a very strong and contaminating presence, so much so that sometimes we pursue a goal and then we have to give up, because there are no acceptable solutions. Yet, it happens that even a project with many restrictions has a few possibilities, that’s a challenge for us and it’s basic to be in perfect agreement with the designer”. A design you consider as innovative? “The mirror Zeiss, which marked the beginning of our cooperation with Luca Nichetto along with the table Zeiss, is the result of a well-defined briefing, because I wanted products expressing our renowned chamfer, that we can guarantee still now. Luca gave it an up-to-date look inspired to organic shapes. The play is based on the section of a solid, sliced, pressed and then translated, with a frame featuring on a side a chamfer on wood, then balanced with a chamfer on glass on the other side”. What are the ongoing challenges? “Following the path started by my father, we brought crystal into everybody’s home. Now we are doing something similar for the working spaces: a likewise important catalogue for the Office and executive suites. As for materials, and in the light of this year briefing, research is going to be more and more oriented to those materials to be combined with crystal in a somewhat unexpected contrast: the felt proposed by Monica Armani for the table WGS was the first successful approach, now we are studying technical materials and much more”. - Caption pag. 91 Silvia Gallotti, in the middle, with her assistants Claudia Fusi and Loredana Bartesaghi from the product development department. Roberto Gasparotto Architect: ten years with Flos in charge of the technical and R&D department. In 1991 he joined Venini, first as product development manager and then
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as Art Director. How do you learn this job? “I developed a technical skill at Flos and, most of all, I have improved my relation with the designers, which is quite important as the project is developed together with always different figures. I think I’m lucky, for I could work with Achille Castiglioni, whom I consider as my master, but who was also an extraordinary personality from the human point of view”. How is a product developed? “Glass, the raw material we deal with at Venini, is special and requires a lot of manual work: first of all an alchemy must be established with the masters you work with and those who work in the kiln. You need to know them very well from from the technical and human point of view, in order to understand who’s the most suitable one for rendering the designer’s sign. Instead, we ask the designer to find an expressive lexicon in Venini’s output, that suits their creativity, also sponging on the experience we inherited from the great masters. Together with the Campana brothers, we have attained our objective once again: the figures on the vase and chandelier Esperança are the expression of a certain Brazilian artistic craftwork, usually carried out in fabric. We guessed the possibility of making them in glass without falling in decoration and our masters have understood this apparently far-off creative language very well”. How can you innovate with such an old material? “Glass is a living material and you get something new every day. There are many triggering factors, from chemistry to the creative and aesthetic project. Venini in-house lab manufactures and handles over 100 shades of colour, here recipes have been handed down and new formulas and mixtures have been created for three generations. The strength of the company is to run and keep a team work to attain the final result only if all skills are respected, also by those, who check the kiln temperature and work at night. Without these people we wouldn’t attain that quality, which is our hallmark”. What are the ongoing challenges? “For more than one year we have started a most interesting cooperation with Established & Sons and for Salone del Mobile 2010 we have carried out together a line of lamps and gift goods designed by Bouroullec, Sebastian Wrong, Grcic. It’s a special collection, a new step for our firm, that expresses such different sensitivities while keeping Venini’s style and identity. The challenge is to outdo the outdated, never stopping, and to meet increasingly complex goals. Studying and improving, because, as Castiglioni would say “when researching seems to be over it’s the time to re-examine and start all over again”. - Caption pag. 92 Roberto Gasparotto and the master glassmakers Luciano Savanelli and the chandelier esperanÇia by Fernando and Humberto Campana. Rolando Gorla He was born in Brianza and attended the Istituto d’arte di Cantù. In 1972 he joined C&B. In 1973, after Cesare Cassina and Piero Ambrogio Busnelli went separate ways, he chose to follow Busnelli in B&B Italia; now he is Head of the R&D Centre (CR&S B&B Italia). Rolando, you have been dealing with furniture making for over forty years: has anything changed? “When we started everything was easier, we were just a few and the product shined more easily. But there was not the Internet and there were less exhibitions; those who could guess and find out were the best ones. Magistretti knew what he wanted but he also knew how to build a product and Tobia Scarpa could also invent the equipment to manufacture it. We have learned a lot from the architects of that time, including how to handle people’s character. The R&D Centre B&B Italia could rely on the cooperation and experience of Zanuso, Afra and Tobia Scarpa, Bellini, Magistretti. Instead, now we hand out our experience to the young designers: it’s the company that expresses its own character in the products of the individual and no longer vice versa”. How is a product developed? “We are ‘slaves’ to our story, we only work on innovative projects, only where there is a challenge. Here we have production facilities, but we can also try out, thanks to our research centre and technical department. We call it ‘design development’, we follow the whole life of the product consistently and we can check the message to the end user, this attitude has been the strong point of the company over the years, perhaps not too visible, but of the essence for us”. An innovative project? “We are researching the sustainability of materials, to recycle or o decouple them easily; we are working on manufacturing procedures, complying with environmental standards, the reduction of polyurethane inside the product, for instance the Bend-Sofa by Patricia Urquiola features a sinuous shape, it looks full but actually we emptied it a lot, without forgetting that the structure must be comfortable and sturdy. It wasn’t so easy to understand how to do it, also because before carrying out the mould we had to spot the problems; we made many tests and got what we wanted, an opulent-looking product, where the used material is just what it takes and at a rather interesting price. Then Patricia guessed how to work on the padding layers, usually in fabric and diversified, joining them and lending a sartorial quality to the product”. What are the ongoing challenges? “We want to focus on the single chair rather than the sofa and cooperate with some new designers, and that’s Massimiliano Busnelli’s task. We are in contact with some English guys, who have an “industrial designer” way of thinking, they are very good, down-to-earth and creative”. - Caption pag. 93 Rolando Gorla and Massimiliano Busnelli, product developer, with the Bend Sofa by Patricia Urquiola. Ferdinando Mussi Born in Brianza, he attented the Istituto d’arte di Cantù. Since 2006 head of Centro Ricerche Cassina. How do you learn this job? “Istituto d’Arte di Cantù has been an excellent school, that gave me most of all a cultural formation. Then I joined the firm and I have been doing this job for almost 35 years. I’ve learned on the field, changing handcrafted things into industrialized products”. How is a project developed? “The Centro Ricerche Cassina is a bit like a library, that contains all the planning experiences developed over the years; here the designers come and see and touch the original prototypes of the 50s, 60s, 70s. Products that made the history of design: they are quite awesome! But this is not just a lab for prototypes, here we formulate ideas, we never stop at the mere execution of a drawing, for often it would result in a soulless product. The designers we work with come here with an idea, not with a product. We start from a fantasy, we try to concretize it; the designer studies a shape and together we change it into a first prototype, then we adjust sizes and proportions and decide what materials should be used. We have a machine shop, a joiner’s workshop and the upholstery workshop; we do our utmost to find new solutions: small patents that make the difference. We also carry out moulds in fibreglass, silicone, plaster, to carry out the first prototype in no time, and then it goes to the industrialization office, with which we are always in contact to exchange ideas and advice: there the product is analysed to be carried out in the best possible way”. An innovative product? “Aire, the new sofa designed by Piero Lissoni, has meant to us a great innovative challenge. We wanted a soft visual impact for a high-tech and eco-compatible product. We worked on the body and set up a different technique from the ordinary foaming, where the structure is incorporated in a polyurethane shape. We obtained the lightest sofa in Cassina’s collection by keeping the metal skeleton separate and covered with a nylon tensile structure; a polyester wadding padding is then put on it to incorporate parts in foam, (reduced by 65% because it’s not recyclable yet), shaped so as to attain the look wanted by Piero Lissoni; then it is completed with fabric or leather. Once the sofa will end its long life, all its components can be separated easily with a low environmental impact”. The challenge? “To study and manufacture objects that keep redefining the service offered by Cassina, meant as form, function,
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Interni settembre 2010 message and environmental respect. To find an eco-friendly alternative to polyurethane would be now a really revolutionary answer.” - Caption pag. 94 Ferdinando Mussi and the sofa Aire by Piero Lissoni. Eugenio Perazza Born in the north-east, he falls for design and after a short period in the selling department of a firm of household goods in reinforcement rod he founded Magis in 1976. How did Magis’ adventure begin? “I wanted to promote a design-oriented firm (at that time, it was an extremely uncertain undertaking in Veneto), out of pure passion and a bit of intuition. Magis comes from Latin, is a comparative adjective, that means “more”: with Magis I wanted to give the designers a way to reinvent themselves and leave the daily exercise of style”. How is a product developed? “The project always comes from an idea of Magis and a brief for the designer, so the company plays an active role in the development of the product. The technical team is formed by five people working in agreement: with the designer we have a close relation, we are in contact almost every day. We have projects for the short, medium and long term. They always are innovative projects and we like that, by now we have learned that at the presentation many products are not accepted or understood, because the more they are innovative the slower is the penetration in the market. That happened also to the Chair One by Kostantin Grcic, now an icon”. An innovative project? “Magis is willing to face risky challenges and develop borderline projects. As in the case of Bombo by Giovannoni or the Air Chair by Morrison, the first chair carried out after the ‘air- moulding’ technique. One of the latest project is the chair Troy designed by Marcel Wanders: it’s our first chair in biinjection plastic. Others had already used this technology, we couldn’t settle for a two-colour use only, one on the front and one on the back, because anyone can do this. We had to find a new way, a transparent back revealing the patterns inside the chair, that can be changed in the future, as it is provided for by the mould”. What is the challenge? “We are studying the use of new technologies, for instance liquid wood, that we have been trying out to obtain a 100% biodegradable product. It’s a material invented by Fraunhofer, a major German research centre, that has tried out the MP3 and the Airbag. Being doomed to making difficult things, we chose liquid wood to make a one-piece chair, which is a tremendous undertaking. The problem is to combine the aesthetic quality of liquid wood with its not excellent mechanical qualities. To make it sturdier you need to add hemp fibre. But the higher is the percentage of fibre the more the surface look of the material differs from wood and is similar to plastic. We have been working on it for three or four years but we are still far from our goal. Luckily, Magis has a mule as symbol, a patient and hard-working animal…” - Caption pag. 95 Eugenio Perazza with Enrico Perin, project development manager of Wanders, and the chair Troy by Marcel Wanders. Eleonora Zanotta Graduated in architecture, she joined the company established by her father Aurelio, when she was very young and together with her sister Francesca pursues his entrepreneural tradition. How do you learn this job? “I joined the company when my father was still there and our landmarks were designers such as Castiglioni, Mari, Sottsass… I had great masters”. How is a product developed? “I stick to Castiglioni’ lesson, namely a project had always to be denial or objection to the present. He thought that the quality of a design was proportioned to its capability of being innovative. And that meant not the useless search for a new form at all costs, but the search for some level of real “invention”. My father said that the risk of an entrepreneur is a uniform production. I belong to a time, when the corporate culture had to face the designer’s and that has produced and still produces a relevant result”. An innovative project? “Research and experimentation, technical or formal, are an integral part of Zanotta’s corporate culture: starting from the revolutionary 1968 Sacco. We like to explore always new sectors and this year with Cristalplant we have organized a competition meant for students and young designers born after 1970. The theme concerned the design of tables, coffee tables and furnishing accessories. During FuoriSalone 2010 we presented the three winning projects: the choice criterion was to award the best use of the material from the aesthetic point view, but most of all the possible features of plasticity and organicity offered by this material, not forgetting the proper use and costs, avoiding wastes and choosing the most suitable thickness. It’s an attractive and resistant material, it has a very soft touch and in case of scratches abrasive sponges can repair the damage. It allows to obtain organic shapes and we had already used it last year to carry out the table Elica by Prospero Rasulo and the outdoor tables Loto and Ninfea by the Palombas. Next goal is a black Cristalplant: one more difficult research for a company now working on white things only”. The challenge? “We feel the need of a low impact production and we are studying this issue, so that the increase of productivity will not be the only goal, but the life quality of the whole planet. Now we already carry out products easy to disassemble, to prepare them to their “end”, but also to make them more durable, through an easy replacement of their parts. I always have in mind the words of Magistretti, who said that: ‘when a design is the expression of the present and has in it something of the past even it it’s projected into the future, that’s a successful design”. - Caption pag. 96 Eleonora Zanotta with Daniele Greppi, product development manager, and table Francesca by Jacopo Zibardi and low table Blow by Salvatore Indriolo. Fabrizio Orlandoni He was born in Marsciano and specialized in mechanics at the Istituto Tecnico di Perugia. He has been working with Emu for 25 years as product development and industrialization manager. How is your job organized? “The company specializes in metal working for outdoor furniture. This material is worked in all possible ways, from tubes to sheets. I’m the trait d’union between the designers and the finished products, from the planning to the manufacturing. The product always follow this procedure: after selecting the project, together with the designer, the qualities and peculiarities of the design are combined with the production requirements, trying to stick to the original idea as much as possible. The prototype is carried out in-house, worked manually by a team formed by four people of considerable experience, in order to get something suitable for production. Experience is important and is the distinctive feature of all our divisions, there are people with over 40 years of experience and also the young generation”. A most innovative project? “Pattern, the chair designed by Arik Levy, is new on the market, for there wasn’t anything yet carried out in sheet and in a shape usually typical of plastic moulded products. We worked on sheets deep-drawn several times and invested in quite exacting moulds. The greatest effort was to find some geometric shapes lending resistance to the material, yet with a minimum thickness, to get a weight complying with the rules: we must consider that the specific gravity of iron and aluminium are different, of course! Although the technological means available enable us to make several simulations, in this case experience was determinant. The Pattern design is an example of the strong point of our modus operandi: the feeling between Emu and the designers; a steady and close exchange often resulting in precious friendships”. The ongoing challenges? “As far as materials are concerned, we work with metal and we’ll keep studying and working it in a more and more sophisticated way to make our projects increasingly state-of-the-art in such a competitive market. It’s a hard task to pass from the designer’s project to the industrialization stage, especially is you want to stick to the original design.
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INservice TRANSLATIONS / 117 We deem it basic not to distort the work on paper and that’s why we invested in equipment and machineries, that allow to carry out shapes otherwise impossible through standard procedures. Finally, we invest a lot in the product quality, both in the raw material and finishes. To obtain a lasting outdoor product is a starting point for us”. - Caption pag. 97 Fabrizio Ortolani and the chair Pattern by Arik Levy.
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Stylistic details p. 98 photos and image processing by Enrico Suà Ummarino article by Katrin Cosseta The skillful tailoring typical of haute couture becomes a feature of the new upholstered design. Stitching like sketches, macro-stitches, zippers, embroidery play with function and decoration. Between industry and crafts, as in the finest tradition of Made in Italy. - Caption pag. 98 Spin by Claesson Koivisto Rune for Tacchini, a hassock in three sizes and colors, covered with fabric with exposed irregular spiral stitching. The Swedish trio comments: “on each hassock we have traced a single, uninterrupted line, almost a hypnotic doodle in the form of a hand-stitched spiral. This was the challenge for the technicians of the company, who have managed to capture the spontaneity of our initial drawing”. - Caption pag. 99 Bend Sofa by Patricia Urquiola for B&B Italia. Component divan with internal polyurethane structure, back with irregular movement and undulated modules, the result of digital research. The fluid lines and monolithic approach are underscored by the contrasting stitching that creates another design on the surface. Urquiola explains: “Bend, initially conceived as a bench, is a highly simplified sofa, a bit made by hand, a bit in 3D, affective, reassuring, tactile, soft. The stitching emphasizes the twisting of the polygons, breaking up the orthogonal pattern and orienting the perception of the forms, while rationalizing the use of the fabric”. - Caption pag. 101 Above: DS-315 by Philippe Bestenheider for De Sede, bucket armchair covered in leather. The geometric design is underlined by hand stitching for an overall length of 26 meters. Bestenheider explains: “A person employs about eight hours to do the stitching, with thread produced using the same leather used for the cover. The stitching adds character to the chair, underlining its morphology, composed of a series of convex and concave surfaces. The idea is also to add a sensorial quality to the product: the exposed stitching is pleasant to touch and offers a contrast to the soft inside of the chair”. Above, right: Wimbledon by Piero Lissoni for Matteograssi, chair with structure in chromium-plated tubing, seat in cowhide with stitching that emphasizes the joints without interrupting the continuity between the parts. Each cowhide element adapts to and dialogues with the others thanks to the constraint of the stitching; as in fine tailoring, the stitches bring out the aesthetic and guide the form. Lissoni explains the basic idea: “Wimbledon is the anamorphosis of a tennis ball, a sort of reconstructed form, a three-dimensional object suspended off the ground”. On the facing page: Brenno by Francesco Binfaré for Edra, divan with structure in wood and metal, filled with Gellyfoam and goosedown. The covering in natural leather is intentionally large and held in place at the back with a zipper; a fashion detail that permits creation of a soft image, without constrictions. Binfaré comments: “the zipper triggers a game of opposites, of opposing gestures: it is a fixed reference that opposes the apparent randomness and freedom of the covering. The zipper becomes a symbol, the principle that brings out randomness as elegance, and it is a fundamental feature of interpretation of the product’s formal code. The conclusive action, a tribute to the skill of its makers”. - Caption pag. 102 Kivas by Karim Rashid for Valdichienti, modular divan, in terms of compositions and colors, with covering in wool or leather with a laminated metal-effect surface. Decorative stitching, done by a one-needle machine for a random effect, adds character. Rashid explains: “The stitching is fundamental for this project: together with the necessary stitches, which are also not linear, I wanted soft, sinuous decorative stitching, because I don’t like linear things and corners. I have created this organic pattern, like a sketched stitching that reveals the hand of the craftsman, and makes each piece unique”. - Caption pag. 103 Marc by Rodolfo Dordoni for Minotti, Bergère from the One World collection, with wool cover and contrasting stitching. Dordoni comments: “Marc has an enveloping form, a sinuous volume, emphasized by the use of a refined detail like blanket stitching, in a contrasting color. A combination of design, comfort and fine tailoring, typical of Made in Italy, and a piece that offers a good interpretation of the Minotti style”. - Caption pag. 104 Redondo by Patricia Urquiola for Moroso, an enveloping divan composed of two volumes, side by side, to create a sort of shell. The fabric cover is enhanced by a quilted design where the thread, like a pencil, draws a three-dimensional geometry. Urquiola explains: “The stitches with the quilting technique add a three-dimensional aspect to the fabric, creating an effect that is both aesthetic and functional. The thick cover becomes an integral part of the structure, for greater comfort. The curves of the stitching follow the rounded forms and give rise to a pattern through the various stitches”. On the facing page, foreground: armchair from the Cicladi upholstered furniture system by Gordon Guillaumier for Arketipo, with metal structure, form-fast polyurethane filler, leather covering with cross-stitching. Guillaumier comments: “I like to develop the dimension of the detail, which I consider the final definition of the project, capable of bringing out the know-how and the working quality of a company. Cicladi is a seat with an essential form, which I wanted to punctuate with the detail of cross stitches, instead of traditional buttons, echoing the Tartan motif, in a simplified way, in the form of a cross. A special touch of workmanship, initially planned to be done by hand, but later done by machine, to maintain the logic of industrial production”. On the facing page, above: Ruché by Inga Sempé for Ligne Roset, sofa with structure in stained or natural solid beech, to support an padded quilt covered in leather or fabric, which Sempé describes as “a thick duvet with particular quilting, a sort of boutis or capitonné composed of squares with interrupted stitching. From time to time, stopped by the stitches and then freed again, the fabric curls and creates always different shadows. The quilt, which seems simple, is actually the result of lengthy research, first with my little sewing machine, then with the professional machines of tailors, and finally with a numerically controlled machine that is programmed to produce the final sofa”.
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N. 604 settembre 2010 September 2010 rivista fondata nel 1954 review founded in 1954
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direttore responsabile/editor GILDA BOJARDI bojardi@mondadori.it art director CHRISTOPH RADL caporedattore centrale central editor-in-chief SIMONETTA FIORIO simonetta.fiorio@mondadori.it consulenti editoriali/editorial consultants ANDREA BRANZI ANTONIO CITTERIO MICHELE DE LUCCHI MATTEO VERCELLONI
Nell’immagine: scorcio dell’abitazione di dylan baker-rice, architetto e fondatore dello studio multidisciplinare affect_t a Londra, in un ex magazzino del cotone nella zona di shoreditch. in the image: a view of the house of dylan baker-rice, architect and promoter of the crossdisciplinary studio affect_t in London, in a former cotton storehouse in the Shoreditch area. (FOTO DI/phOTO BY luke hayes)
Nel prossimo numero 605 in the next issue
Interiors&architecture
Tipologie abitative a confronto, da Londra a Ginevra, da Milano a Torino, dalla Giordania al Vietnam
Housing typologies compared, from London to Geneva, Milan to Turin, Jordan to Vietnam
INsight
Cantine d’autore/Auteur cellars INdesign
I nuovi chandelier/The new chandeliers Il racconto del progetto/The tale of design Trasparenze/Transparencies INprofile
Ronan & Erwan Bouroullec
redazione/editorial staff MADDALENA PADOVANI mpadovan@mondadori.it (vice caporedattore/vice-editor-in-chief) OLIVIA CREMASCOLI cremasc@mondadori.it (caposervizio/senior editor) ANTONELLA BOISI boisi@mondadori.it (vice caposervizio architetture/ architectural vice-editor) KATRIN COSSETA internik@mondadori.it produzione e news/production and news NADIA LIONELLO internin@mondadori.it produzione e sala posa production and photo studio rubriche/features VIRGINIO BRIATORE giovani designer/young designers GERMANO CELANT arte/art CLARA MANTICA sostenibilità/sustainability CRISTINA MOROZZI fashion ANDREA PIRRUCCIO produzione e/production and news DANILO PREMOLI hi-tech e/and contract MATTEO VERCELLONI in libreria/in bookstores ANGELO VILLA cinema TRANSITING@MAC.COM CLAUDIA CAVALLARO LUCA TRENTINI traduzioni/translations grafica/layout MAURA SOLIMAN soliman@mondadori.it SIMONE CASTAGNINI simonec@mondadori.it STEFANIA MONTECCHI internim@mondadori.it SUSANNA MOLLICA segreteria di redazione/editorial secretariat ALESSANDRA FOSSATI alessandra.fossati@mondadori.it responsabile/head ADALISA UBOLDI adalisa.uboldi@mondadori.it assistente del direttore/assistant to the editor BARBARA BARBIERI barbara.barbieri@mondadori.it contributi di/contributors: ALDO BONOMI STEFANO CAGGIANO DOMENICO DE MASI ALESSANDRA MAURI SERGIO PIRRONE ALESSANDRO ROCCA ROSA TESSA LAURA TRALDI FEDERICA ZANCO fotografi/photographs ROBERTA ANGELINI SIMONE BARBERIS LUCA CASONATO RICHARD DAVIES FLORIAN KLEINEFENN NICOLO LANFRANCHI SERGIO PIRRONE ENRICO SUÀ UMMARINO promotion ADRIANA AURELI
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corrispondenti/correspondents Francia: EDITH PAULY edith.pauly@tele2.fr Germania: LUCA IACONELLI radlberlin@t-online.de Giappone: SERGIO PIRRONE utopirro@sergiopirrone.com Gran Bretagna: DAVIDE GIORDANO davide.giordano@zaha-hadid.com Portogallo: MARCO SOUSA SANTOS protodesign@mail.telepac.pt Spagna: CRISTINA GIMENEZ cg@cristinagimenez.com LUCIA PANOZZO luciapanozzo@yahoo.com Svezia: JILL DUFWA jill.dufwa@post.utfors.se Taiwan: CHENG CHUNG YAO yao@autotools.com.tw USA: PAUL WARCHOL pw@warcholphotography.com
ARNOLDO MONDADORI EDITORE 20090 SEGRATE - MILANO INTERNI The magazine of interiors and contemporary design via D. Trentacoste 7 - 20134 Milano Tel. +39 02 215631 - Fax +39 02 26410847 e-mail: interni@mondadori.it Pubblicazione mensile/monthly review. Registrata al Tribunale di Milano al n° 5 del 10 gennaio1967. PREZZO DI COPERTINA/COVER PRICE INTERNI + ANNUAL CUCINA € 10,00 in Italy PUBBLICITÀ/ADVERTISING Mondadori Pubblicità 20090 Segrate - Milano Pubblicità, Sede Centrale Divisione Living Direttore: Simone Silvestri Responsabile Vendite: Lucie Patruno Coordinamento: Silvia Bianchi Agenti: Ornella Forte, Claudio Bruni, Fulvio Tosi Agenzie e centri media Lombardia: Patrizia Rossetti Tel.: 02/75422675 - Fax 02/75423641 www.mondadoripubblicita.com Sedi Esterne: LAZIO/CAMPANIA CD-Media - Carla Dall’Oglio Corso Francia, 165 -00191 Roma Tel.: 06/3340615 - Fax: 06/3336383 email: carla.dalloglio@tiscali.it PIEMONTE/VALLE D’AOSTA Comunication & More Fulvio Tosi - Luigi D’Angelo Via Bologna, 220 - Int.17/13 - 10154 Torino Tel.: 011/8128495 - Fax:011/2875511 email: communication2@mondadori.it TRIVENETO Luciana Giacon Riviera Paleocapa, 54 - 35100 Padova Tel/Fax: 049/8725245 email: luciana@giacon.net EMILIA ROMAGNA/SAN MARINO Universal Italiana - Lucio Guastaroba Via A. Pulega, 7 - 40133 Bologna Tel.: 051/4845749 - Fax: 051/4846394 email: info@universalitaliana.it TOSCANA/UMBRIA Marco Marucci - Gianni Pierattoni Paola Sarti - M.Grazia Vagnetti Piazza Savonarola, 9 - 50132 Firenze Tel.: 055/500951- Fax: 055/577119 email: mondadoripubblicita.fi@mondadori.it ABRUZZO/MOLISE Luigi Gorgoglione Via Ignazio Rozzi, 8 - 64100 Teramo Tel.: 0861/243234 - Fax: 0861/254938 email: monpubte@mondadori.it PUGLIA/BASILICATA Media Time - Carlo Martino Via Diomede Fresa, 2 - 70125 Bari Tel.: 080/5461169 - Fax: 080/5461122 email: monpubba@mondadori.it CALABRIA/SICILIA/SARDEGNA GAP Srl - Giuseppe Amato Via Riccardo Wagner, 5 - 90139 Palermo Tel.: 091/6121416 - Fax: 091/584688 email: monpubpa@mondadori.it ANCONA Annalisa Masi Via Virgilio, 27 - 61100 Pesaro Cell.: 348/8747452 - Fax: 0721/638990 email: amasi@mondadori.it ABBONAMENTI/SUBSCRIPTIONS: Italia annuale: 10 numeri + 3 Annual + 2 Interni OnBoard + Design Index Italy, one year: 10 issues + 3 Annuals + 2 Interni OnBoard + Design Index € 69,90
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