INdice/contents novembre/n ovem ber 2013
INterNIews INitaly
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produzione production trame di de sign/ DesIGn wea ves fuoco e fiamme/ FIre anD FLame
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project
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dinamismo veneziano /Venet ian dynam ism concorsi competitions un de signer al giorno .../A DesIGner a day... INternational
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IN coper t ina: un gioco grafico per celebrare i 25 anni di Modul nova, l ’aziend a friuliana che al la produzione di sis temi cucina oggi affianc a quel la di programmi per la z ona b agno e l ’area living. S ul l o sf ondo , in una scenografic a ambient azione , la cucina Blade propos ta con b asi e t op in K erlite nero f ossile , col onne in al l uminio anodizza t o nero , penisola e boiserie in ro vere puro . ON T HE COVER : A GRA PHIC GAME T O CELEBRATE T HE 25T H ANN IVERSARY OF MODULN OVA, T HE FR IULI-BASE D COMPANY T HAT N OW COMBINES T HE PR ODUCT ION OF KIT CHEN SYSTEMS W IT H PR OGRAMS FOR T HE BAT H AN D T HE LIVIN G AREA . IN T HE BACKGR OUN D, IN A T HEATR ICAL SETT IN G, T HE BLADE KIT CHEN W IT H BASES AN D T OPS IN FOSS IL BLACK KER LITE , COLUMNS IN BLACK AN ODIZED ALUMIN IUM, PEN INS ULA AN D PANE LIN G IN PURE OAK.
la c as a-studio di donald judd e il proget t o di aro T HE HOME-ST UDIO OF DONA LD JUDD AN D T HE PR OJECT BY AR O marchi digit ali/ DIGITaL T raDemarKs sedie di prima cla sse/ First class sea ts INtertwined
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acquisizioni acquisitions
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eventi events
st oric a unione/ HIs TorI c UnI on
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project
il profumo del la pietra/ T He s cen T oF STone sol uzioni uniche/ UnIQ ue So LutI ons giovani designer young designers rit orno al la terra/ BacK To ear T H allestimenti installations de sign d a spia ggia/ Bea CH DeS IGN s ankt gal len contemporanea/ con T emP orar y una no t te al muse o, mona co /A N IGHT aT T He Muse um, mun ich mostre Exhibitions Anameric ana , americ an a cademiy in rome 50 sedie d ’aut ore al l ’asta, milano /S IGna Tu re S eaT s, milan ritra t ti di architet ti/ Por T raI T s oF ar cHIT ecTS le set te cit tà di/ T He seve N cIT Ies oF l uc a sc acchet ti, milan
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INdice/CONTENTS II
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sostenibile sustainable
ad amburgo le c ase sono smar t/Smar T Hou ses In HamBurG UNA TORRE (GREEN ) DA RECORD /A (Green) To wer seTs re corD s l ’AS ILO MAS I A/THE MasI KInDerGar Ten O F CAPANNOL I 74 prospettive perspectives scol pire il c inema/ Sculp tin g cInema 76 in libreria in bookstores 78 fragrance design ha ppy on a ir! 81 office&contract una ra sse gna l unga 40 ann i/40 Year s oF DesIGn on DI sPL aY INservice 85 96
traduzioni translations indirizzi firms directorY
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INtopics 1
editoriale editorial di/by g ild a boj ard i
INteriors&architecture
il valore del riuso
reuse value a cura d i/edited by ant onel la bo is i 2
barcelona, 8 flats low cost renovation proget t o d i/design by miral le s tagl iabue emb t f ot o d i/photo s by marcela gra ss i te st o d i/tex t by ant onel la bo is i
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chelsea, new york, townhouse dinamica dynamic townhouse proget t o d i/design by w inka dubbeld f ot o d i/photo s by r ichard po wers te st o d i/tex t by ant onel la bo is i
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am/arch i-te ct on ics
atene, architettura nuda/Nude ArcHITecTure proget t o d i/design by tense arch ite cture netw f ot o d i/photo s by f il ippo pol i te st o d i/tex t by ale ss andro rocc a
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ork
caldaro, alto adige, il poema del masso erratico The poem of the wandering boulder proget t o d i/design by modus arch ite ct s f ot o d i/photo s by oskar d a r iz te st o d i/tex t by ale ss andro rocc a
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orléans, francia, il frac delle turbolenze
orléans, france, the FRAC of Turbulences proget t o d i/design by j ak ob + ma cf arlane arch ite ct s f ot o d i/photo s by roland halbe te st o d i/tex t by ant onel la bo is i 28
marsiglia, il museo borély/The BoréLY Museum proget t o d i/design by mo at t i-r iv ière arch ite cture et scénogra f ot o d i/photo s by f. fel ix-f aure te st o d i/tex t by mat te o vercel l on i
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ph ie
milano, maison giada proget t o d i/design by cla ud io s il ve str in arch ite ct s f ot o d i/photo s by andrea mar t iradonna te st o d i/tex t by ant onel la bo is i
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INdice/CONTENTS III
INsight INscape 38
la memoria che nasconde la memoria The memory that conceals memory di/by andrea branzi INarts
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piero fornasetti, biglietti di viaggio/Travel tickets di/by Cris tina Moro zzi
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INdesign INcenter 44
arredi scultorei/Sculptural design di/by elis a musso f ot o di/ pho t os b y miro za gnoli
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nuovo industriale/New InDusTrIaL di/by nadia lionel l o f ot o di/ pho t os b y si mone b arberis INprofile
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claudia moreira salles: qualitĂ senza tempo Timeless quality di/by albre cht banger t f ot o di/ pho t os b y dennis b anger t
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carlo contin: avvitamenti/Turns of the screw di/by Madd alena P ado vani f ot o di/ pho t os b y Andrea Basile e/ and Ale ssio Ma t teu cci INproject
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interpretazioni d’essenza/InTerPreTations of wood di/by Valentina Cro
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ci
crate & barrel: a cena con gli amici Dinner with friends te st o di/ text by suzanne sle
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sin
sotto il segno del rigore/Under the sign of rigor di/by Patrizia C atalano
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INview
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mysterious science di/by stef ano caggiano
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design illusionista/DesIGn ILLusIons di/by S onia pedrazzini INproduction
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pesante leggerezza/Heavy lightness di/by katrin cosset a
INservice
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traduzioni translations
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indirizzi firms directorY di/by ad alis a uboldi
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INtopics / 1
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EDiToriaLe
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he sia un nobile castello francese o un antico edificio nel barrio gotico di Barcellona, una radicale riconversione di destinazioni d’uso oppure soltanto una specifica addizione volumetrica, il valore del riuso in architettura non manca di restituire contenuti innovativi e altamente propositivi in termini di qualità abitativa. Pubblica e privata. Quantomeno negli esempi da noi selezionati, da Marsiglia a Barcellona, da Orléans a New York, tipologie molto differenti: musei, residenze low cost all’interno del medesimo building, townhouse tradizionali e molto altro ancora. Perché il confronto sul fertile campo delle preesistenze ambientali, negli interventi di progettisti di caratura internazionale, da Benedetta Tagliabue a Winka Dubbeldam (due donne), da Jakob+MacFarlane a Moatti-Rivière (due studi francesi), soltanto per citare alcuni nomi all’interno di una rassegna decisamente articolata, equivale ad affrontare il tema delle città, della loro modernizzazione e trasformazione in chiave più ospitale e consona allo spirito dei tempi. Pur con approcci e risultati differenti, significa condividere il punto di vista – citando Rafael Moneo, protagonista di una mirabile Lectio Magistralis a Bologna – che gli edifici non sono solo oggetti, gusci, forme, estetica e funzionalità: si legano ai contesti in cui sorgono. Ogni occasione diventa possibilità di apprendimento anche, cambiando registro, nelle interpretazioni del progetto d’arredo di design. E se i pezzi pensati da Paola Navone per Crate & Barrel ci raccontano tutto quanto occorre per preparare un’indimenticabile cena con gli amici, la designer–artista brasiliana Claudia Moreira Salles, con grande padronanza della matita e dei materiali, ci ricorda che rigore, curiosità e pragmatismo sperimentale non hanno davvero confini. Gilda Bojardi Muse o Borél y a Marsiglia , proget t o di Mo at ti- R ivière . Fot o di F.Felix -Faure
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2 / INteriors&architecture
A Barcellona, nel Barrio Gotico, un edificio di otto appartamenti, ristrutturato in un’ottica low cost, recupera le tracce e i valori dell’architettura tradizionale catalana, trovando altresì nuovo respiro spaziale e luce grazie all’ intervento curato, con rigore e sensibilità femminile, da Benedetta Tagliabue, protagonista del progetto internazionale
sezione l ongitudinale e Vista del fronte -strad a del l ’edificio ris trut tura t o, nel cuore del barrio go tico . in primo piano il por t one ligne o d ’ingre sso . pagina a fianco , L ’infila ta continu a de gli ambienti so t t olinea l ’aper tura del la cos truzione sp aziale e la l uminosit à in un app ar tament o situ at o al se condo li vel l o, dopo l ’inter vent o di benedet ta tagliabue . Su dise gno , il bl occo-cucina realizza t o in le gno di pino .
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INteriors&architecture / 3
le forme del tempo progetto di Miralles Tagliabue EMBT foto di Marcela Grassi testo di Antonella Boisi
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4 / INteriors&architecture
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ome interpreta l’abitabilità Benedetta Tagliabue, italiana based Barcellona, architetto di notorietà internazionale, alla guida dello studio EMBT dal 2000, anno della morte di Enric Miralles, marito e partner di realizzazioni che hanno lasciato il segno sui palcoscenici del progetto? Uno sguardo a questo recente intervento, sintetizzato nel titolo 8 Flats Low Cost Renovation Barcellona, 2013, è illuminante. Non stiamo infatti parlando delle sue opere ‘pubbliche’ più note quali il Parlamento scozzese a Edimburgo, il restyling per il mercato di Santa Caterina a Barcellona, il Padiglione spagnolo all’Expo di Shanghai, una struttura d’acciaio rivestita da pannelli in vimini, per cui ha ricevuto il RIBA (Royal Institute of British Architetcs) International Awards 2010. Bensì di un progetto ‘privato’ realizzato in economia: la ristrutturazione di un edificio nel barrio Gotico di Barcellona, il quartiere più vecchio, suggestivo e decadente della città, ricomposto con 8 unità abitative, taglio variabile dai 40 ai 110 mq, pensate per una geografia sociale dinamica (studenti, single, piccoli nuclei
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t otal white e le gno di pino dila tano la percezione rigoros a e le ggera del l ’ inv ol ucro , mentre le p areti divent ano porzioni di ‘affre schi spont anei ’, poe sia di una ma teria originaria ritro vata e val orizza ta d al l ’accos tament o con nuo ve texture .
familiari). Un intervento forse meno complesso di altri, che comunica però una grande cifra: “L’idea di casa come luogo di conforto, accoglienza, relazione con l’esterno, perché non c’è differenza d’approccio tra scale d’intervento, dal cucchiaio alla città, dal pubblico al privato, dal masterplan agli interni ai mobili” spiega Tagliabue. “Non mi interessa la specializzazione. L’architettura resta per me un’esigenza morale: un processo migliorativo dell’esistente che possa produrre il risultato di far stare meglio il fruitore di uno spazio, di un luogo, di una città” continua. “Perché se ci si confronta meglio con una dimensione si diventa più educati in termini di percezione, di gusto, di stati d’animo, di apertura verso l’esterno. In fondo, lo spazio pubblico è un’estensione dello spazio vitale della casa. E il
pacifismo di una città coincide con il pacifismo dell’abitare. In un rapporto biunivoco: entrambi sono luoghi di civiltà”. È ancora, dunque, quel concept-slogan Better city-better life del Padiglione spagnolo all’Expo di Shanghai, che distilla il senso della sfida per l’architettura di questa progettista che crede in una costruzione etica-estetica fondata sul connubio tra innovazione e valori della memoria. Si legge appieno, per analogia, proprio nella bonificariforma di questo edificio catalano che versava in cattive condizioni, sospeso tra i labirinti delle pietre gotiche, rinascimentali, barocche sbrecciate e stratificatesi durante successivi rimaneggiamenti e per di più permeato di un’alta densità di resti storici ereditati dalle ricostruzioni dopo i bombardamenti e gli incendi in città.
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un al tro app ar tament o ris trut tura t o al l ’interno del l ’edificio , sempre nel la l ogic a di o t timizzare le risorse del l uogo . le pia strel le policrome del paviment o richiamano le sugge stioni del modernismo c atalano . si no tano i nuo vi inne sti croma tici su L soffit t o se gna t o d al ritmo del le piccole vol te in la terizio re cupera te .
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cia scuno de gli o t t o app ar tamenti è s tat o arred at o in modo libero d ai fruit ori, mixando pezzi di de sign contemporane o e obje cts trouVés . l ’ imprinting pondera to del l ’inv ol ucro , la pel le del le superfici e la composizione aper ta de gli sp azi re stituiscono comunque appieno l ’idea del la c as a di benedet ta tagliabue , come l uogo di a ccoglienza e relazione con l ’esterno .
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il punt o di f orza del proget t o: le nuo ve p ar tizioni in le gno e polic arbona t o, vere e proprie fine stre interne , che inte grano p areti-quint a e por te con una ge ometria variabile . le ggerezze e tra sparenze per ritro vare la ma ggior qu antit à di l uce possibile , in una z ona del la cit tà do ve la su a c arenza è a tavic a.
“L’esigenza prioritaria è stata di portare luce dentro una sequenza di spazi, con la luminosità di una spelonca. E, diversamente dal solito, è stato un intervento disegnato quasi tutto in cantiere: elaborati scarsi, un team di artigiani fidati all’opera, dal muratore al fabbro, dal falegname all’elettricista, nella logica di ottimizzare le risorse del luogo e di recuperare il valore di umili tecniche, riciclando tutto quanto fosse possibile. Questo per restituire l’identità di un edificio denso di materiali ed elementi costruttivi rappresentativi dell’architettura tradizionale catalana. Una scoperta e anche un divertissment: sono stati ritrovati elementi originari come archi gotici, frammenti di affreschi sulle pareti, mattonelle di ceramiche e cotto sui pavimenti, travi in legno sotto strati di calce” racconta. Il
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rinnovamento ha coinciso, innanzitutto, con il rifacimento strutturale del tetto, e con la puliziariparazione del fronte lapideo su strada, ritagliato da un’infilata di piccoli balconi in ferro lasciati com’erano in origine, che incorniciano porte-finestre e finestre dagli infissi nuovi. Gli interni degli otto appartamenti sono stati invece completamente ridisegnati nell’articolazione spaziale perché diventasse il più possibile aperta e continua, anche nei collegamenti distributivi comuni. Respiro e luce, questi gli obiettivi da raggiungere: “la maggior quantità di luce possibile, che in questa parte della città è una carenza atavica”. Il punto di forza del progetto: nuove partizioni in legno e policarbonato che integrano, in modo flessibile, pareti e porte con una geometria variabile
di quinte leggere e trasparenti, assimilabili a vere e proprie finestre interne. E sempre il legno, di pino, è stato adottato per costruire gli essenziali banconi e gli elementi basic delle cucine. Dopodiché, nelle scelte degli arredi, tutto si è affidato alla creatività dei fruitori. “Questa sovrapposizione di elementi architettonici storici e nuovi diventa altamente dinamica, perché l’edificio agisce come uno specchio che riflette i segni, le forme e i passaggi del tempo. Nella pelle dell’involucro. Sui muri, il bianco dà l’ordine, le strisce di colore portano tutto il passato, la sua varietà e nuove texture” conclude Tagliabue. Così come le piastrelle colorate recuperate dei pavimenti ricordano il modernismo catalano, la ricchezza di gusti e tradizioni dell’architettura di Barcellona, città polifonica per storia e vocazione.
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Nel la composizio ne comple ssiv a, l ’u nit ariet à de gli sp azi outdoor vie ne so t t oli neata d ai materiali ado t tati, pietra e le g no; in par ticolare dal le doghe orizz o ntali in le g no bru nit o che ve st o no i muri di perimetro , come u na se co nda pel le . Nel dise g no: u n espl oso asso nometrico del l ’inter ve nt o. Nel la p agi na a fia nco , la nuo va f accia ta inter na sul giardi no: u na ge ometric a texture di met al l o e vetro i ncli nat o, co n innest o di tavole lig nee i n duro paliss andro bru nit o come tampo name nt o nel la p ar te superiore . Un a s trut tura rigid a ma le ggera . L e por te -fi nestra piv ot tanti crea no u n’ideale co nti nuit à tra de ntro e fuori al livel l o del giardi no.
rete dinamica
foto di Richard Powers testo di Antonella Boisi
A Chelsea, New York, l’ampliamento di una tradizionale townhouse, già ristrutturata in precedenza, diventa occasione per esplorare nuovi innesti compositivi di segno organico-scultoreo
progetto di Winka Dubbeldam/Archi-Tectonics
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Scorcio del l ’area living che si svil upp a come un fl uido open space al piano terra . L a pol trona V ermelha by F ernando e H umber t o Campana per Edra riempie la z ona organizza ta int orno al camino , un monolite di pietra tra t tata, a tut t’ al tezza , su di segno del la proget ti sta.
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Al tre vis te del le z one che f orm ano il piano terr a, ario come so t t oline a inte gr ando in un unicum unit l a paviment azione in le gno siberi ano , living -cucin a e pr anz o, que st’ul tim a orient ata verso il fronte vetr at o. La par tizione ligne a a tut t’ al tezz a, scolpit a e fre s ata con te cniche a control l o numerico su entr ambi i l ati, funge da element o di spin a rispet t o al l ’are a d’ingre sso– disimpe gno del le sc ale , agendo come un a boiserie din amic a scorrev ole .
I
l progetto di addizione di questa casa a schiera nel cuore di Chelsea, a New York, è tra i lavori più recenti dello studio Archi-Tectonics, capitanato da Winka Dubbeldam. Una townhouse in pietra e mattoni a vista, dalla classica planimetria lunga e stretta, che la progettista, nata e cresciuta in Olanda, studi alla Columbia University sotto l’egida di Bernard Tschumi, aveva già ristrutturato qualche anno fa e, di recente, diventata oggetto di un’estensione in sezione per ricavare altri due livelli abitativi e un tetto-giardino. Medesimo il committente, uno stilista di moda, e medesimo l’approccio architettonico con cui Dubbeldam ha affrontato l’intervento: una serie di innesti compositivi di segno organico-scultoreo che vivono di forte matericità e di leggerezza dei piani , sembrano ritagliati da fogli di carta, ma richiamano altresì l’immagine di certi totem bronzei di Constantin Brancusi. La cifra del nuovo risiede nella configurazione del curtain wall inclinato che determina il ritmo e l’effetto texturizzato del fronte affacciato sul rigoglioso giardino interno. Risultato di geometrie strutturate con sofisticati modelli informatici in 3D, è stato infatti concepito come una fluida membrana di acciaio e vetro, una maglia piegata e curvata, che diventa la protagonista della costruzione spaziale generosa di luce e di scorci visivi
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dinamici. E mixata dall’innesto di tavole in legno duro di palissandro brunito e di porte vetrate basculanti per consentire un accesso diretto al giardino e alla terrazza, agisce come filtro ed elemento connettivo dei quattro livelli di cui dispone ora l’abitazione. Così distribuiti e organizzati: al livello inferiore, la sommatoria di tre zone ben articolate: ospiti, ufficio-studio e biblioteca; al piano superiore (corrispondente al livello zero d’ingresso), il soggiorno che integra in un’open space salotto, sala da pranzo e cucina; al primo, la suite matrimoniale, con accesso diretto alla terrazza-belvedere. Al secondo e ultimo livello, altre due camere da letto, un’ampia sala da bagno e una stanza per la tv. E se al livello -1 del giardino, sono tre le ampie porte-finestre pivottanti sviluppate per tutta la lunghezza del fronte a svolgere un insolito ruolo visivo – proiettano e protendono la figura della libreria verso l’esterno, come fosse parte di un salotto continuo – alla quota d’ingresso è invece la scala esterna con gradini lignei e corrimano-parapetto in metallo, a consentire il collegamento con l’isola verde, ricavata al livello inferiore. In questa porzione della casa che racchiude la zona giorno, il fronte assume così il ruolo di un curtain wall vetrato che esprime l’interpretazione della griglia geometrica cartesiana in un campo di trasparenze continue.
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Il vol ume del la sc ala l ineare in le gno scuro e vetro che col le ga i due ul t imi e nuo v i l ivel l i del l ’ab itaz ione , ded icat i agl i amb ient i no t te e relax. L a grande e ar t icola ta s ala d a b agno , al l ’ul t imo l ivel l o. Poch i e selez iona t i gl i arred i in b ianco , che s picc ano nel l ’inv ol ucro conce pit o come un f ond ale neutro in t on i cre puscolar i.
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Per contrappunto, la linearità degli spazi interni ricorda invece la pianta aperta e flessibile del loft americano. Un loft però dall’atmosfera più romantica e intima che postindustriale e ruvida, come sottolinea la tavolozza materico-cromatica attentamente selezionata, che ha privilegiato la scelta di un legno uniforme di provenienza siberiana per tutte le pavimentazioni. O come sottolinea, ancora di più, la presenza del grande camino in pietra nel soggiorno, un monolite a tutt’altezza che armonizza con i grigi delle pareti concepite come fondali neutri e dei vetri satinati della cucina di design e produzione italiana (Valcucine). Nella regia complessiva, un altro elemento partecipa da protagonista alla rappresentazione: la spina lignea a tutt’altezza, fresata e scolpita su entrambi i lati con tecniche a controllo numerico, e imbastita su un’esile gabbia strutturale di metallo, che costituisce il principale elemento di riferimento compositivo tra il salotto e l’area d’ingresso–disimpegno delle scale. Come una boiserie dinamica, funge da diaframma spaziale, integrando due porzioni scorrevoli che consentono un uso flessibile degli ambienti, mentre il controsoffitto alloggia, in ponderati incassi, l’illuminazione indiretta. Un dettaglio non trascurabile, quest’ultimo. Perché la luce artificiale e naturale è il vero nume tutelare della casa. Soprattutto quando, zenitale, si effonde dal lucernario di copertura sovrastante la scala interna che collega i due nuovi livelli, incrementando la sua già notevole presenza negli interni, oltre il fronte vetrato.
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La suite ma trimonia le, al primo live llo, comunic a diret tamente , tramite tre por te -fine stra piv ot tanti a tut t’ altezza , con la terrazza -be lvedere , una sc at o la lignea f odera ta su l giardino interno di tavo le in legno duro di p aliss andro brunit o. in primo piano , but terf ly chair di johnny swing .
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Ai confini di Atene, il fascino del cemento grezzo ritorna sotto nuove spoglie; la materia scabra ricorda l’indimenticabile Le Corbusier, ma anche l’arte concreta di Iannis Kounellis, il brutalismo anni Settanta, l’antiestetica indifferente dei minimalisti americani
foto di Filippo Poli testo di Alessandro Rocca La piant a de l piano terra mos tra i l vo lume diviso a met à tra la cucina e il soggiorno che , all’occorrenza , si tra sf orma in un’e stensione de l giardino . L’ingre sso e sterno introduce ne lla z ona ombre ggia ta dal vo lume sospe so da cui si a ccede diret tamente ne l soggiorno .
progetto di Tense Architecture Network project team: Tilemachos Andrianopoulos, Kostas Mavros, Nestoras Kanellos strutture: Athanasios Kontizas
E
leganza dei materiali ruvidi, delle pareti cieche, del cemento tinteggiato di scuro e dei pavimenti in pietra nera. L‘alternativa al bianco patinato dei minimalisti di tutto il mondo è il ritorno alla materia, al peso, alla tettonica, al contrasto violento delle differenze in un’atmosfera che mette insieme il postindustriale del loft americano, il cemento a faccia vista del modernismo e l’indifferenza estetica dell’arte minimalista. Una testimonianza efficace di questa tendenza la incontriamo a Kifissia, un sobborgo
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residenziale di Atene, dove il giovane team di Tense Architecture Network, i soci sono ancora sulla soglia dei quarant’anni, ha realizzato una villa apparentemente molto strana, una specie di nudo blocco di cemento piazzato in cima a un solido muro di sostegno. A prima vista, si direbbe una costruzione rozza quasi come un fabbricato industriale o come una cisterna dell’acqua ma, a guardare meglio, si scopre che il blocco elementare è fantasioso e ricco di sorprese come un cubo di Rubik. E la sorpresa sarà completa solo quando le piante invaderanno il reticolato metallico e al cubo di cemento si aggiungeranno altri due volumi, altrettanto precisi e squadrati, di vegetazione rampicante.
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Verso s trad a, la vil la si mos tra come un vol ume di cement o sospe so su un robus in futuro , le piante rampic anti na sconderanno il bl occo di cement o dietro un bl di veget azione ver tic ale .
t o muro di spina; occo ge ometrico
Architettura nuda
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All’interno, l’articolazione volumetrica si proietta in una sequenza semplice di spazi caratterizzati da un controllo molto attento dell’illuminazione naturale: il soggiorno ha la fresca penombra di un portico che contrasta con il vano delle scale che è sovraesposto in piena luce. L’ambito della cucina e della sala da pranzo è riparato da un muro continuo che produce una luce densa, rafforzata dai cristalli bruniti del lungo tavolo da pranzo in quattro elementi componibili che è stato disegnato appositamente dagli architetti, e nel soggiorno del piano inferiore la luce piove abbondante attraverso il vano trasparente delle scale. Al piano superiore
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si trovano le camere da letto, quella dei genitori e quella più grande, e trasformabile in salone unico, dei due figli ancora piccoli; e qui la luce naturale entrerà (quando le piante saranno cresciute) abbondante, ma filtrata e smorzata dal pergolato pensile, il traliccio metallico che sarà colonizzato dalla vegetazione. Per adesso, a edificio ancora nudo, emerge il poderoso sistema tettonico che trasforma una costruzione di dimensioni ridotte in una struttura autorevole e imponente, quasi un monumento! A bilanciare il rischio retorico, però, subentra un approccio brutale, rude, che enfatizza
Il piano a l ivel l o del g iard ino con la cuc ina in querc ia e il tavol o d a pranz o in qu at tro element i, entramb i su d ise gno , e il sogg iorno . L a l uce a soff it t o, come al tre lamp ade del la c as a, è d i Viabizzuno . S ul l o sf ondo , la sc ala che por ta al piano super iore e la gr igl ia del futuro g iard ino ver t icale .
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nel dise gno: L a sezione met te in evidenza l ’impor tanza dei rampic anti che , cre scendo sul le griglie predispos te , cambieranno complet amente l ’aspet t o del la vil la . a de stra , U na vedut a del soggiorno d al giardino , con i p ar ticolari del le vetra te e del le tende scorrev oli e l ’incontro del le tre diverse p aviment azioni in bl occhi di b as al t o grezz o, al l ’esterno , bas al t o l ucid at o, al l ’interno , ed erb a. so t t o, Un se condo soggiorno più intimo si tro va nel piano interra t o, generos amente il l umina t o at tra verso le p areti tra sparenti del vano sc ala . U n p ar ticolare del piano superiore con i la vabi aff accia ti diret tamente sul la c amera d a let t o, mentre i ser vizi si tro vano al l ’interno del la p arete cur va. L a piant a del piano superiore con la z ona no t te: la c amera ma trimoniale e un grande sp azio fle ssibile che , con le p areti scorrev oli, sep ara o unisce al tre due c amere d a let t o.
la materialità scabra e ruvida delle superfici come in un bugnato contemporaneo. Il brutalismo, che nacque con il cemento armato grezzo utilizzato da Le Corbusier nel secondo dopoguerra, si ripropone oggi con un segno completamente diverso. Non c’è più l’enfasi tecnologica dei materiali industriali, oggi nessuno resta incantato dall’estetica della macchina e della produzione meccanica, il cemento è diventato il materiale di base e forse ne abbiamo visto anche troppo. Al contrario, il neo-brutalismo di oggi appare come una contestazione, o perlomeno un’alternativa, del minimalismo degli anni Novanta, del suo total white, della sua
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ossessione per la levigatezza e per la necessità di oscurare la densità dei materiali, lo sforzo della struttura e i dettagli della costruzione. Si lascia l’immagine pura per una materialità scultorea in cui la dimensione sensoriale ed emozionale diventa predominante. Nella casa di Kifissia la percezione dell’edificio passa dal visivo al tattile, dall’occhio alla mano e al piede, con le ruvide pareti di cemento grezzo, i pavimenti in basalto nero, le superfici lisce in acciaio della scala e del pergolato pensile.
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Costruire in montagna, su un ripido pendio a picco sulla valle dell’Adige, una residenza con la postura di un masso erratico sospeso a mezza costa, un volume solido ed enigmatico con, all’interno, uno spazio a sorpresa
Il poema del masso erratico
progetto di MoDus Architects (Sandy Attia, Matteo Scagnol) foto di Oskar Da Riz testo di Alessandro Rocca
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ostruire in montagna significa spesso costruire in pendenza, terrazzare il terreno e ricavarne la pietra per i muri di contenimento, significa ripararsi dal freddo intenso e dai venti gelidi, godere del sole brillante d’alta quota e del luminoso biancore riflesso dalla neve. Una casa in montagna, oggi, deve anche dialogare con le condizioni ambientali, coltivare l’intimità del maso, così si chiama la baita in Alto Adige, e nello stesso tempo catturare la luce, aprirsi all’aria e al paesaggio. E, negli interni, deve offrire il comfort e il lusso dei materiali di pregio e delle finiture a regola d’arte, magari senza adottare i cliché internazionali, ma invece interpretando e venendo a patti con la discrezione e la sobrietà propria della cultura di montagna.
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Nel l ’immagi ne piccola , u na vedut a di c as a KoflerNeumair a Cald aro , a circ a qui ndici mi nuti da Bolza no, co n le p areti i n int o naco s tria t o e i muri di co nte niment o i n bl occhi di gra nit o. Il vano del le sc ale domi nat o d al la Taraxa cum, lamp ad a dise g nata d a Achil le Castiglio ni per Fl os , mentre il pianero t t ol o è il l umi nat o d al la Eklipt a di Ar ne Jaco bse n, produzio ne L ouis Poul sen ; il pavime nt o è i n ro vere co n tra t tame nt o termico , così come il parapet t o; il pavime nt o del soggior no, al piano i nferiore , è in tra ver ti no.
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Due vedute de ll’affaccio su l giardino con l’in fisso in vetro a doppio s tra t o con cornici in bronz o brunit o interro t t o d a panne lli in bronz o con la grande manig lia in legno di ro vere , la paviment azione è in ro vere massiccio , davanti a l piano erboso , e in por fido di S arentino .
Matteo Scagnol e Sandy Attia, i titolari dello studio MoDus di Bressanone, sono giovani ma già affermati grazie ad alcuni progetti importanti, come la sistemazione paesaggistica del passante di Bressanone, la sede della ditta di legnami Damiani Holz & Ko e numerose residenze private. Nella loro attività professionale, avviata nel 2000, la tensione sperimentale è dominante e, nella galleria delle immagini delle loro architetture, si incontrano materiali e soluzioni molto diverse. Ma è un eclettismo solo apparente, perché la loro identità emerge attraverso la costanza con cui ritornano alcune qualità molto riconoscibili: che si tratti di legno lamellare o di cemento a vista, di scatole di vetro o di blocchi serrati, rimane identica la libertà della loro ricerca, la volontà di forma liberata da formalismi precostituiti, la messa in risalto delle qualità costruttive, visive e tattili di ciascun materiale e di ogni elemento architettonico. Con questa villa, commissionata dalla famiglia Kofler-Neumair in seguito a una consultazione tra diversi studi di architettura, MoDus aggiunge alla serie di eleganti realizzazioni una prova di grande forza, un progetto che affronta e risolve gli elementi del programma e le condizioni imposte dal sito con una sicurezza che
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La z ona pranz o, al centro de l soggiorno , è compos ta con i l tavo lo Sloane di Phi lipp Mainzer, produzione E15, e le sedie CH 24 Wishbone dise gna te d a H ans j . Wegner ne l 1950 per Carl Hans en & son ; ne l soggiorno , la s t oric a po ltrona Pelikan, dise gna ta d a Finn J uh l ne l 1940. que ste sedute -icona de l de sign nordico sono dis tribuite a mi lano d a mc se lvini. Piant a de l piano nobi le, con lo sp azio mo lt o ar tico lat o de lle due zone di soggiorno , il vano aper t o de lla cucina e una c amera con b agno per g li ospiti. ai piani superiori si tro vano le c amere d a let t o; tut ti g li ambienti sono organizza ti a t t orno al grande sp azio a trip la altezza de l volume sc ale.
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ricorda la miglior tradizione italiana, quella capace di concettualizzare i temi del progetto e di tradurli integralmente, senza eccessi e senza retorica, nella costruzione. Una sottigliezza di pensiero e una concretezza costruttiva che ricorda, per esempio, il modo in cui Gino Valle sapeva bilanciare la tensione tra leggerezza e peso, tra chiusura e apertura, facendo levitare i volumi e alternando massicce pareti cieche a trafori di memoria veneziana. E penso anche alla sua capacità di essere molto semplice e, allo stesso tempo, molto sofisticato; semplice quando si può, quando essere semplici è sufficiente, e sofisticato quando la complessità è necessaria, quando altrimenti il problema non sarebbe risolvibile. MoDus, in questo progetto, riesce a percorrere con
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tranquilla sicurezza questa strada difficilissima che richiede l’impegno di non barare mai, di raccogliere ogni problema e di risolverlo all’interno della logica progettuale. Questo approccio ottiene un tipo di eleganza molto specifico che ha a che vedere con la sprezzatura, con la fatica nascosta e negata dalla fluidità e dalla coerenza dell’effetto raggiunto che lascia immaginare, in modo ingannevole, una facilità che non esiste. Come l’oratore, per essere più persuasivo, finge di improvvisare, o come il giardiniere, per avere un effetto naturale, lavora per occultare il proprio intervento, così MoDus ci offre un progetto racchiuso nella sua forma indiscutibile ed esatta che non insegue modelli teorici astratti, ma piuttosto la concretezza del lavoro che comprende la tradizione e la modernità, le esigenze di comfort e la qualità spaziale. Il risultato è lo spettacolo architettonico del prisma irregolare che ritorna due volte: nel paesaggio, appoggiato come un masso erratico sul costone della montagna, e nell’interno cavo, con un vuoto prismatico e rotante che è come un palcoscenico tridimensionale a collegare gli spazi, i percorsi e gli sguardi della vita domestica.
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La z ona pranz o, con luci a logene a inc asso di Kre on ; il paviment o è in lastre di tra ver tino a dimensioni variabi li pos ate senza fuga; su llo sf ondo libreria su dise gno . L’iso la de lla cucina Leicht è rive stit a in ro vere scuro , il piano di lavoro è in qu arzite ( Quar tz di ceramiche cae sar ), illuminazione di Zumt obe l a Led inseriti ne ll’ element o su dise gno; il camino , rive stit o di tra ver tino , è rea lizza t o d alla dit ta Pöh l di Caldaro . Il bagno a l terz o piano , la fine stra ha una cornice in ro vere scuro e te laio in legno vernicia t o, il paviment o è in re sina; lavabo e vasc a de lla linea S poon di Aga pe, rubinet teria Fantini .
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L’architettura si fonde con l’arte al nuovo FRAC di Orléans che si propone come un landmark ad alto grado di spettacolarizzazione tecnologica, integrato nel tessuto storico della cittadina francese progetto di Jakob + MacFarlane architects
foto di Roland Halbe testo di Antonella Boisi
intervento artistico di Electronic Shadow
Il FRAC s i impone come un landmark nel l a cit tà di Or lé ans , se gn ale u rbano e se gn alet ica del le at t iv ità s vol te nel muse o, rest ituendo i fl uss i di in fo rmaz ion i in immag in i di l u ce, t ramite l ’inte rvent o art ist ico d i ele ct ron ic sh ado w. l a pel le -textu re del le tu rbolenze s i mate rial izz a in un a st rut tu ra tubol are rive st ita di al l um in io anod izz at o, inte g rata in un comple sso carat te rizz at o d a ed ifici del X IX se col o..
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ominque Jakob e Brendan MacFarlane sono una coppia di architetti che, sperimentando tecnologie digitali e nuovi materiali con approccio metodologico, non disdegnano ibridazione disciplinare ed ‘effetti speciali’ in architettura; espressi con un’eloquenza del segno che restituisce sempre una spinta alla modernizzazione dei contesti in cui operano. Così è stato per il progetto dei Docks di Parigi, Città della moda e del design, nel 2008 e, ancora prima, per il Restaurant Georges al Pompidou Centre (Paris, 2000), solo per ricordare due dei loro interventi più noti. Così è per il nuovo FRAC a Orléans, il centro per l’arte contemporanea, che è la 12esima sede aperta in Francia a breve distanza da quella di Marsiglia firmata da Kengo Kuma dei 23 Fonds regionaux d’art contemporain (30 anni di vita celebrati quest’anno, all’insegna di un’interessante politica di circolazione di opere e cultura). Nella fattispecie, la cifra del loro intervento si esprime in una copertura che riconosce il valore della texture strutturale all’interno di un luogo, che presentava il problema di preesistenze ambientali storiche. Si declina infatti con una pelle fatta di una struttura tubolare prefabbricata rivestita di alluminio anodizzato che si integra in un complesso caratterizzato da palazzi del XIX secolo. L’ampliamento è stato, in chiave metaforica, denominato The turbulences proprio in virtù dei volumi in movimento che definiscono il nuovo landmark-segnale urbano, enfatizzato dagli artisti di Electronic Shadow (Niziha Mestaoui e Yacine Ait Kaci) che hanno parzialmente coperto la struttura con un velo di luce interattivo, programmato in tempo reale.
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È la materia che riflette la fusione dell’architettura con l’arte, mission del museo, dove è ospitata una collezione di 15.000 disegni di architettura sperimentale, 800 modelli e 600 opere di artisti, secondo una composizione che prevede uno spazio di circa 370 mq dedicato all’esposizione permanente, 1000 mq per le mostre temporanee, 180 mq per il laboratorio pedagogico; e poi, una caffetteria, un bookshop, un auditorium e un centro di documentazione. Tutto all’interno di un edificio sviluppato su due livelli, che ora vive di spazi bianchi e immacolati, infilate di finestre ad arco a tutto tondo, tubi degli impianti a vista, pilastri inclinati che attraversano gli ambienti, espositori bianchi come isole monolitiche di geometrie varie sospesi con cavi d’acciaio. L’inaugurazione del nuovo FRAC, lo scorso settembre, ha coinciso con l’opening della nona edizione di Archilab, il laboratorio internazionale ubicato in città che raccoglie gli studi più avanzati di ricerca architettonica. Tema proposto quest’anno è Naturalizing Architecture, un modo di esplorare i progetti attraverso strumenti digitali, secondo i principi esistenti in natura: “Perché l’architettura può essere assimilata a un organismo in grado di evolversi e adattarsi all’ambiente”. Incipit coerente all’impostazione del progetto di Jakob + MacFarlane. “Abbiamo spostato il centro di gravità verso il cuore del sito, la corte interna” spiegano, del vecchio deposito dell’esercito 800esco che accoglieva, in ultima istanza, il FRAC e da cui è nato il
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rinnovamento museografico distillato dall’interpretazione della copertura. “Il nuovo segnale urbano – la turbolenza – emerge come modulo dinamico sulla base della deformazione parametrica ed estrusione delle matrici geometriche dei palazzi esistenti. Coinvolge l’intero sito a forma di U e si autogenera proprio a partire dal loro incontro/convergenza e dall’interpretazione delle forze che vi agiscono. Dentro la corte quadrata concepita come una piazza pubblica, un luogo di scambio materiale e immateriale, una superficie topografica che, seguendo le differenze di quota verso l’ingresso del museo, configura il collegamento dei corpi di fabbrica e il programma del centro, veicolando il flusso dei visitatori verso gli spazi espositivi”. La turbolenza più alta inquadra la galleria delle esposizioni temporanee, la più bassa una galleria audiovisiva e la terza una zona lobby, con appendici retail e sosta, quest’ultima prolungata all’esterno nel giardino progettato dallo studio ruedurepos (Christophe Ponceau e Mélanie Drevet). La demolizione di un edificio preesistente e del muro che costeggiavano il Boulevard Rocheplatte hanno altresì consentito di aprire il nuovo complesso verso la città, con un gioco di contrasti tra leggerezze e masse, luci e ombre: le porzioni sfaccettate di vetro e metallo rafforzano, infatti, le dinamiche visive delle turbolenze, che, nella parte inferiore, sono in pannelli di calcestruzzo, a sottolineare la continuità degli edifici con il cortile, mentre nella parte terminale, come un cannocchiale dalla figura impropria, diventano due occhi puntati verso il cielo generati da spinte della terra. Nell’incontro con la pelle interattiva di luce messa a punto dagli artisti di Electronic Shadow si rivela, infine, l’essenza del genius loci: un luogo dedicato alla sperimentazione in ogni sua forma. Perché le centinaia di diodi, che utilizzano le linee di costruzione delle turbolenze per passare da punto a linea, da superficie a volume, da immagine a media-facciata secondo una griglia reticolare, definiscono una pelle traspirante per il pubblico e per i passanti. Una forma dinamica di architettura delle informazioni.
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nei dise gni: la planimetria del
piano terra con le sc
ale e una sezione l
ongitudinale
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vis te de gli sp azi interni del nuo vo fra c che ospit a una col lezione d ’ar te contemporanea e di architet tura speriment ale , de clina ta con 15. 000 dise gni, 800 model li e 600 opere .
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A sud di Marsiglia, nell’ambito delle opere di rilancio della città in occasione del ruolo di Capitale Europea della Cultura 2013, la restituzione degli spazi del Château Borély, trasformato in un suggestivo polo museale dedicato alla moda e alle arti decorative
Il Museo Borély a Marsiglia progetto di Moatti – Rivière Architecture et Scénographie foto di F. Felix-Faure testo di Matteo Vercelloni
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novembre 2013 Ant . Igendel ips am nulp a alit atiur, officiis mol ore , eu m idus e os t dol ore st, cu m alit a si muscia vol upt ae . Adi diore , officid elic tus pro vit as dol orupt a vol oru m quid eu m qu am non con
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due s ale e spositive al piano terreno del Muse o Borél y. Al re stauro del le boiserie originarie si affianc ano gli inter venti conte mporanei co me le conchiglie rigide la cc ate dei controsoffit ti che na scondono i c anali del la cli matizzazione e vani te cnici e il pavi ment o bronze o del la s ala ingre sso . L e te che e spositive del le col lezioni di cera mic a, con uno s tudia t o sis te ma di il l u minazioni sono s tate realizza te da Goppion. N el la p agina a fianco , il fronte del Muse o verso la cor te riv ol ta al la cit tà. (f ot o M.v.)
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hâteau Borély, la costruzione del XVIII secolo che insiste con il suo giardino formale affiancato dal mare nell’omonimo parco a sud della città, poco lontano dalle spiagge, ha ospitato al suo interno per anni il Museo Archeologico. Dopo lo spostamento di quest’ultimo nel Centre de la Vieille Charité, gli spazi del Château Borély sono stati chiusi per un decennio in attesa di una nuova funzione. Questa grande bastide, ai margini della città, eretta da una ricca famiglia di commercianti marsigliesi, conserva ancora oggi nel quartiere Bonneveine il suo carattere monumentale, nonché le decorazioni degli interni ad opera dell’artista Louis Chaix originario della vicina Aubagne.
Isolato tra una corte rivolta verso il tessuto urbano e il giardino con esplanade centrale alle sue spalle anticipato dalla grande fontana, l’edificio simmetrico e regolare, dai fronti speculari e scandito dal corpo centrale con timpano e fregi, è oggi stato restituito alla città grazie a un recupero conservativo dell’opera architettonica e dei suoi padiglioni limitrofi. Ma l’attivazione del suo ruolo urbano si deve soprattutto al progetto di creazione del nuovo Museée des Arts décoratifs et de la Mode che ha raggruppato varie collezioni distribuite precedentemente in piccole sedi nella città. Il progetto degli interni e della relativa sistemazione museale, frutto di un concorso pubblico, è stato aggiudicato allo studio parigino
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acc ant o, La s ala ross a al piano terreno . al centro , la s ala d’ingre sso a l primo piano con i l tavo lo espositiv o dedic at o ai vetri contemporanei. in b asso , alcuni dise gni di proget t o.
Moatti-Rivière che quest’anno ne ha inaugurato gli spazi, reinventati con attenzione e sensibilità contemporanea. Il progetto si basa essenzialmente sulla valorizzazione del carattere originario della bastide, della dimensione delle sue stanze e saloni, e del percorso interno che, di sala in sala, offre come un tempo, la scoperta di diverse situazioni e atmosfere. Così se in origine la serialità tra l’ingresso con lo scalone d’onore, la sala dorata e la cappella, le stanze private al primo piano e gli spazi di collegamento, offrivano una studiata gerarchia scenografica domestica, quello spirito è oggi restituito e amplificato dall’intervento di riforma legato alla funzione museale che conserva e offre al pubblico le diverse collezioni con una sequenza di diverse invenzioni espositive che miscelano brillantemente la dimensione museografica. Delle grandi conchiglie scultoree in resina colorata scendono dai soffitti in modo plastico, accogliendo e celando al loro interno impianti di climatizzazione, luci e cablaggi. Superfici contemporanee dal forte impatto che, sopra la quota dei cornicioni restaurati, sostituiscono i soffitti, reinventando una suggestiva dimensione decorativa. Le originarie piastrelle esagonali in cotto, in parte recuperate, sono diventate il filo conduttore per declinare nella stessa forma e a scala variabile nuovi materiali, come il marmo, il bronzo, il legno, chiamati a caratterizzare le pavimentazioni. Arredi su disegno laccati, tavoli e banconi espositivi, si sostituiscono solo in parte agli arredi di un tempo, che ancora occupano le sale, rileggendone dimensione e figura, per custodire le nuove collezioni poste sotto vetro, come nelle essenziali ed eleganti vetrine su disegno realizzate da Goppion. Al primo piano, nel salone centrale dedicato ai vetri contemporanei, con opere di Ettore Sottsass, un grande tavolo quadrato con zona circolare in rilievo circondata da una corolla di led a incasso, accoglie le opere mentre, come nelle altre stanze, le pareti perimetrali con boiserie e decorazioni restaurate instaurano un dialogo serrato tra passato e presente che l’intero progetto intende sottolineare.
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un ul teriore s ala e spositiv a dedic ata a ceramiche l oc ali con il paviment o di le gno sopraelev at o che riproduce in sc ala ma ggiore la ge omeria es agonale del le pia strel le originarie del palazz o, conser vate in vari sp azi e a ssunte come f orma -guid a per le nuo ve p aviment azioni.
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Ant . Igendel ips am nulp a al itat iur, off ic iis mol ore , eum idus e os t dol ore st, cum al ita s imusc ia vol upt ae. Adi diore , officid elic tus pro v itas dol orupt a vol orum qu id eum qu am non con
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l o sp az io d ’ingre sso e le vetr ine su v ia monten apole one . a de str a del l ’ingre sso s i no ta l a parete in porf ido b ianco f iammat o, come il pav iment o, con l a casc ata d’acqu a di benvenut o. il r itmo serr at o del le col onne in p ietr a sen ape a spacco n atur ale so t t ol ine a l o sl anc io ver t icale del l a cos truz ione sp az iale . ol tre il soff it t o in c ar t onge sso dipint o col ore b ianco . al tro element o d i f orz a del proget t o: i monol it ic i element i espos it iv i in bronz o fuso che accol gono gl i acce ssor i del l a col lez ione giad a.
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Nell’esclusiva cornice di via Montenapoleone, a Milano, la prima boutique del marchio d’abbigliamento italiano Giada: quando la moda incontra l’architettura. Sotto lo stesso segno
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ccidente e Oriente. L’incontro tra due mondi, per Giada – marchio d’abbigliamento italiano di proprietà cinese – risale al 2005, quando Rosanna Daolio, sua fondatrice e Head of Designer, stringe la partnership strategica con la RedStone Haute Couture di Mr. Yizheng Zhao, società cinese specializzata nella commercializzazione di brand di lusso. Oggi Giada, nata in Italia e sviluppata in Cina, è ritornata a casa. A Milano, in via Montenapoleone, location perfetta. “Ho coronato il sogno. Davanti al business, ho difeso la qualità del made in Italy, nel suo gusto rigoroso e savoir faire artigianale, coniugandola con la visione imprenditoriale cinese. Design creativo e
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progetto di Claudio Silvestrin Architects foto di Andrea Martiradonna testo di Antonella Boisi
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scorci e visu ali si susse guono nel l ’inv ol ucro monoma terico in porfido bianco fiamma t o ad a cqu a cara t terizza t o d a f or ti elementi architet t onici. come contrappunt o, pochi e seleziona ti arredi in senso tradizionale . S edie C urule b y Pierre Paulin per Ligne Roset . pol trona Dema per la vip room e L ampade G iad a di Martini light , sono produc t-de sign b y C la udio S il ve strin.
ricerca-sviluppo della collezione, che comprende abiti femminili dall’estetica minimale non severa e accessori chic con vocazione cosmopolita – erano e sono, infatti, italiani; di produzione italiana i pregiati tessuti naturali forniti da Loro Piana, Lanerie Agnona, Lanificio Luigi Colombo, Luigi Verga, tra gli altri; realizzati a Firenze, borse, scarpe e piccoli accessori” ha raccontato la stilista nata a Reggio Emilia, formatasi all’interno del gruppo Max Mara e, dal 2000, con un proprio studio a Milano. Il primo flagship store, nel cuore della capitale della moda, è stato inaugurato lo scorso settembre e il suo progetto architettonico affidato a Claudio Silvestrin, un nome che non ha bisogno di presentazioni sul palcoscenico internazionale. Non solo perché non è stato facile resistere al fascino della sua esperienza nelle boutique Giorgio Armani, ma perché ogni volta affascinante in modo nuovo è la sua visione dell’architettura come una poesia visiva. “Ho voluto immaginare uno spazio senza arredi tradizionali, tipo cassettiere, tavoli, armadi, con un’importante presenza di elementi materici, in cui i segni architettonici restituissero emozione e un senso di durevolezza nel tempo. In perfetta sintonia con i valori di Giada” ha spiegato il progettista italiano, di casa a Londra (e nel mondo). La sua architettura, forte ma non aggressiva, lussuosa ma non ostentata, molto tattile e molto curata nei dettagli, austera cornice di abiti pensati non certo per fashion victim, si è espressa, come d’abitudine, attraverso pochi e selezionati materiali e geometrie ortogonali di matrice fronzoniana, che, per analogia, riflettono l’attenzione alle materie prime e alle loro lavorazioni, la preziosità delle stoffe e delle silhouette lineari dei capi d’abbigliamento.
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ne gli sp azi del se condo livel l o, rit ornano i t otem in pietra senape a sp acco na turale , al linea ti a richiamare l ’immagine di un col onna t o cla ssico , che rappre sent ano il fil o condut t ore tra i due piani del la boutique; le s trut ture e spositive e appenderie per gli abiti in bronz o fuso . la col lezione giad a comprende circ a 180 pezzi fra c api d ’abbigliament o, borse , sc arpe , piccola pel let teria e a cce ssori.
Un dna condiviso. Roccia dolomitica, bronzo fuso, cuoio naturale e legno: i prescelti si declinano in modo omogeneo negli spazi del piano terra (53 mq) e del secondo livello (155 mq) che compongono ad oggi il ‘quadro’ di Giada (al terzo si sviluppa, infatti, lo showroom della maison, mentre il primo accoglie un altro brand). E, come in uno scrigno prezioso, nell’involucro monomaterico dominato dal porfido bianco fiammato ad acqua con cui sono stati realizzati pavimenti e pareti, che dilata la percezione visiva degli ambienti, gli abiti e gli accessori vengono valorizzati dai monolitici elementi espositivi in bronzo fuso, come le appenderie, disseminati con oculata regia e frutto di una sofisticata lavorazione artigianale. Ai colori della terra, la tavolozza del piano terra integra poi un altro elemento della natura simbolico, estremamente caratterizzante per il luogo: l’acqua, che scorre sulla parete, alla destra dell’ingresso, con una cascata e con suoni che tamponano il movimento e i rumori della città all’esterno, oltre le vetrine. Questo muro d’acqua di benvenuto cattura l’attenzione quanto i totem in pietra senape a spacco naturale, allineati con le suggestioni di colonnati classici, che rappresentano invece il fil rouge tra i due livelli della boutique, collegati da una scala in marmorino, nella stessa nuance del porfido bianco. Il ponderato contrappunto del cuoio groppone naturale adottato per i camerini, le porte color testa di moro e l’ascensore che sale al secondo livello, dove si trova anche la vip room, completa la messa in scena, ammantando di calore soft gli ambienti. Prossimo step: occupare l’intero edificio 800esco di via Montenapoleone, estendendosi dal piano terra al quarto piano. Il sogno di Giada, dunque, è soltanto agli inizi.
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la memoria che nasconde la memoria di Andrea Branzi
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on sempre la memoria ci protegge dal ripetere gli errori e gli orrori del passato. A volte la memoria c’inganna perché, essendo sempre limitata, finisce per nascondere verità più ampie. Un caso drammatico riguarda gli stermini nazisti, comunemente riferiti ai sei milioni di ebrei uccisi negli appositi campi della morte, la cui memoria ha finito per fare ombra su una realtà molto più ampia. Accanto alle ‘stelle gialle’ cucite sui loro abiti, esistevano molti altri simboli, con colori diversi, che indicavano minoranze destinate a altri lager dove venivano sterminate. Il triangolo rosso indicava i comunisti; quello verde i criminali comuni; quello nero gli asociali; il viola i Testimoni di Geova; quello rosa gli omosessuali; il marrone gli zingari; altri simboli
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In que sta pag ina: Bor is M ikha il ov, Reconst rution , immag ine e strapola ta d al Pho t oLu x Festiv al 2013, a l ucc a d al 23 no ve mbre al 15 dice mbre .
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in que sta pagina , dal l ’al t o: Paul N icklen, Emperor Penguins , Ross S ea -Canad a, N ational Ge ographic ma gazin e. Daniel Berehulak , Aft er th e Wave, Aus t ralia , G et ty Image s Japan. immagini e st rapola te d al Pho t o L u x Fe stiv al 2013, a l ucc a d al 23 no vem bre al 15 dicem bre.
per i soggetti da rieducare, i sospettati di fuga, i minorati psichici, i bambini malformati, i malati terminali, le minoranze etniche… Di queste vittime è scomparsa la memoria insieme alle loro ceneri: il loro numero non è mai stato definito, il culto della loro memoria non esiste. Recentemente, Corrado Levi ha dedicato a Torino una istallazione ad memoriam degli omosessuali sterminati e dimenticati. Nessuna di queste vittime era ebreo, ma forse proprio lo stato di Israele dovrebbe farsi carico di questa pesante eredità di una memoria finita nell’ombra della storia. Per noi ebrei che non siamo sionisti, che non abitiamo in Israele, che non frequentiamo la sinagoga e le comunità ebraiche, abbiamo il dovere di mantenere vive queste memorie minoritarie, che appartengono al sale della terra, al grande valore di ciò che è stato dimenticato e non soltanto al culto della memoria istituzionale. Queste riflessioni possono sembrare strane su una rivista come Interni che si occupa della cultura del progetto, ma, in realtà, fanno parte del mondo che ci circonda e, come tali, sono realtà con cui bisogna misurarsi. Negli anni Ottanta un paragrafo del manifesto della cultura post-moderna parlava del progetto come strumento in grado di restituire la memoria perduta dei luoghi. Si trattava di una mistificazione che nascondeva l’anti-modernità e il ritorno degli stili storici. Una pagina reazionaria che ha avuto breve durata: la memoria è un fatto privato, non oggettivo, la cui dimensione è ingestibile. Ancora una volta, una memoria che avrebbe coperto un universo di altre memorie. Un universo ingestibile, così denso da portare alla follia, dove l’amnesia è l’unica salvezza possibile. Scoprire ciò che è stato dimenticato è più importante che consolidare una memoria istituzionale; indagare nei baratri dei ricordi dismessi, è più importante che gestire un sapere già definito. Il pensiero creativo si alimenta di segmenti e di frammenti sconnessi della storia, rimontandoli secondo significati del tutto nuovi; soltanto così si costruisce un nuovo sapere, giudicando la storia attraverso un’altra storia. La vicenda degli stermini nazisti dimostra che la memoria, sempre incompleta e selettiva, esiste soltanto coprendo un’altra memoria. Oggi che la modernità non è più la promessa di un futuro migliore, che la memoria del passato è inutilizzabile, non resta che indagare l’incompletezza del presente e gli errori e gli orrori della contemporaneità.
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piero fornasetti Biglietti di viaggio
N el la p ag ina a cc ant o: S ch izz i e idee per por taom brel l i trompe l ’oe il , mai real izza t i, ann i c inqu ant a.
di Cristina Morozzi
L
a Triennale di Milano consacra Piero Fornasetti nel centesimo anniversario della sua nascita con una mostra (13 novembre 2013-9 febbraio 2014): 1100 mq di esposizione che il figlio Barnaba, fedele custode dell’enciclopedico archivio paterno ed anima imprenditoriale dell’atelier, ha riempito sino all’inverosimile. “La definisco una retroprospettiva” dichiara Barnaba “perché intende raccontare, attraverso oggetti, disegni e immagini, un Piero Fornasetti vivo e perché vuole essere un manifesto dell’attualità del suo metodo creativo”. Il suo originale sistema consisteva nel raccogliere immagini ‘parlanti’, di vario tipo e provenienza, per trasferirle sugli oggetti quotidiani, industriali e artigianali, sempre dotati di una funzione. Non firmava le sue creazioni, ma metteva solo un bollino e non si reputava votato ai pezzi unici, anzi voleva produrre in quantità seriali; ma all’epoca (anni Cinquanta) gli industriali non accolsero il suo messaggio. Risentito, iniziò a prodursi da solo, creando un proprio laboratorio ed esportando in tutto il mondo. “Mio padre” prosegue Barnaba “era un
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In al t o: vaso in ceram ica con coperch io, Po is à pensée , Forna set ti b y Bit ossi , ed iz ione di 99 pezz i. Al centro , da s in istra: vaso in vetro a f orma d i corno , del la ser ie Strument i mus ical i, pro t ot ipo per Venini , ann i qu arant a; Bozzet t o Gra t tacieli in fiamme , propos t o a un grande ma gazz ino amer icano e r if iut at o, pr imi ann i c inqu ant a; Vasso io G rand i C onch igl ie, ann i c inqu ant a. Acc ant o: Piero F orna set t i r itra t t o con i pannel l i del la st anza met afisic a, ann i se ss ant a.
In mostra alla Triennale di Milano, il vasto repertorio dell’artista suggerisce riflessioni su un metodo decorativo ancora unico e inimitabile, che interpreta l’ornamento come elemento strutturale del progetto
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Acc ant o: bo zzet t o per l ’arredo in s tile ne ogo tico di un s al one con c amino , inizio anni cinqu ant a; Piat t o in porcel l an a del l a serie T ema e vari azioni, primi anni cinqu ant a. Acc ant o, da sinis tr a; sedi a Capitel l o Ionico in bi anco e nero , 1980; sedi a Music ale , l a cui f orm a ev oc a uno s trument o music ale a corde , 1951, (re alizz ata in 300 e sempl ari); sedi a Boomer ang Architet tur a che riproduce un a porzione del l ’omonimo trume au, anni ’50 (esempl are unico per un cliente americ ano ); Por ta ombrel li cr avat te , riedit at o ne gli anni ’80. S ot t o, da sinis tr a: Due pi at ti del l a serie T ema e Vari azioni, primi anni ’50; Pesci, caval l ucci m arini e astici, tavol o ro t ondo a conc a, con cris tal l o d ’appoggio , 1950; F erm acar te Gat tini acco vacci ati, prodo t ti con 60 diversi de cori, riedit ati in al cune versioni su f ondo bi anco ne gli anni ’90.
riciclatore d’immagini. Ce ne sono tante, soleva ripetere, basta dare loro una nuova identità. Ogni oggetto era per lui una tela bianca sulla quale lasciare un’impronta grafica, prevalentemente in bianco e nero; all’origine era infatti uno stampatore di litografie, che nel tempo aveva maturato una esperienza di pittore e disegnatore”. Piero Fornasetti si considerava un rinascimentale e intendeva il disegno come un esercizio indispensabile per raggiungere l’equilibrio tra forma e decorazione. Riteneva indispensabile imparare a disegnare il corpo umano per acquisire il senso delle proporzioni. “Andate a scuola di nudo”, diceva, “questa è l’esperienza che insegna a disegnare. Tutto il mio
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lavoro è impostato sul disegno, il disegno inteso come una disciplina, come modo di vivere e di organizzare la propria esistenza, oltre che come studio continuo delle cose nella loro essenza”. Il suo metodo resta unico e inimitabile, eppure Piero Fornasetti non s’è mai ritenuto un inventore. “Per gli antichi” sosteneva “non c’erano scuole di architettura, c’erano luoghi dove, copiando dai Maestri, s’imparava a diventare Maestri”. Eppure aveva ben chiara l’idea di voler passare alla storia, per questo aveva organizzato il suo archivio in modo da consentire la sopravvivenza del suo metodo. Il consenso del pubblico lo confortava. Tra i suoi scritti c’è una frase rivelatrice: “Il pubblico mi ha spiegato che il
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Sopra: Mobile credenza di segna t o d a G io Ponti, de cora t o al l ’interno con una co mpo sizione di figure con frut ta e stru menti mu sic ali, dipint a a mano d a Piero F orna set ti, con pennel la te in bianco e nero su f ondo unit o, 1948. Acc ant o: L a F ord f amiliare di Barnab a F orna set ti, f ot ograf ata nel cor tile del la S tatale di Milano . Sot t o: Vassoio pe sce , inizio anni ’60, realizza t o in vari col ori e riedit at o, sol o in bianco e nero , ne gli anni ’90 e 2000; F orziere , mobile a due ante , mont at o su c aval let ti in o t t one , prodo t t o in trent a e semplari, met à anni ’50.
mio lavoro era qualcosa di più di una decorazione; che era un invito alla fantasia, a pensare, a evadere dalle cose che ci circondano, troppo meccanizzate e inumane e che le mie creazioni erano dei biglietti di viaggio per il regno della immaginazione”. Per raggiungere questo regno confidava di non avere segreti. “Si dice” soleva ripetere “che i miei oggetti siano realizzati con metodi misteriosi... Rido sotto i baffi… Il mio solo segreto è il rigore con cui conduco il mio lavoro, la serenità delle scelte e spero che col tempo il mio senso critico non si attenui”. Il repertorio di Piero Fornasetti, che la mostra illustra con dovizia di esemplari e che la tenacia di Barnaba fa prosperare con una sagace politica di riedizioni e licenze, affinché il metodo del padre viva e possa essere d’esempio, suggerisce fertili riflessioni sulla controversa questione dell’ornamento. Non è per caso che Philippe Starck, cui Piero fu presentato da Enrico Astori al tempo dei suoi primi soggiorni a Milano, dopo le prime perplessità legate al suo essere proiettato solo nel futuro, abbia dichiarato: “Un oggetto di Fornasetti ha il potere di cambiare le vibrazioni del luogo, non perché è decorativo, ma perché muta la dimensione dello spazio, trasferendola in quella del sogno” (Brigitte Fitoussi, Fornasetti Conversation with Philippe Starck, Assouline, 2005). Gli interni di Fornasetti sono intimisti e parlanti; i suoi arredi effigiati, al pari di quelli del salotto del commendatore Candido Bove nel racconto
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Poltronadamore di Alberto Savinio “raccontano con strane voci, voci soffocate, voci di stoffa” (Alberto Savinio, Tutta la vita, Adelphi, Milano, 2011) la storia di un insaziabile collezionista d’ immagini, combinate e scompigliate come le lettere di un immaginario alfabeto, per scrivere un inedito capitolo della storia della decorazione. Piero Fornasetti non appartiene al passato, come al primo incontro supponeva Starck, ma non è neppure futuribile. È fuori dal tempo scandito dagli stili e dalle tendenze, perché ha rimescolato le carte del metodo artistico. Le sue figurazioni non appartengono al mondo tradizionale della decorazione: non sono motivi, fregi, illustrazioni,
ma una pioggia d’immagini recuperate dalle fonti più disparate, che si depositano, in modo volutamente anarchico, sulle superfici degli oggetti funzionali, proiettandoli nella dimensione del sogno, che può essere felice come un volo di farfalle, o inquietante come gli occhi attoniti dei suoi volti misteriosi. La sua lezione, più importante che mai, oggi che disponiamo di qualsiasi immagine sullo schermo del computer, è, come sempre affermava, “che bisogna saper vedere, perché saper vedere significa saper trovare. Davanti agli oggetti più eterogenei è indispensabile trovare e scegliere quelli che hanno interesse per il tipo di cose che si stanno facendo”.
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Oggetti monolitici, totemici, dalla forma estremamente plastica sono messi in mostra allo Spazio Theca di Milano disegnato da Carlotta De Bevilacqua. Tra pareti e led che cambiano colore, come vere e proprie installazioni di un museo di arte contemporanea
Module H, sul la griglia met al lic a si a gganciano pannel li in pel le o in te ssut o. A creare un sis te ma modulare per de corare p areti o realizzare divisori. Design Sh igeru B an per Hermè s . Ob eliscus , sedute a f or ma di solidi ge o metrici da appoggiare al la p arete e perfet te d a utilizzare a terra co me div ani qu ando arriv ano ospiti. Di L uc a Maria D’Arosio e Paol o N ava per Lago .
design scultoreo foto di Miro Zagnoli di Elisa Musso
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Mezzanino , tavolino dai tra t ti architet t onici in le gno con finitura ce ment o. In due di mensioni. Design Mis t-o per Mogg . C ement ore sinaÂŽ, rive ste solidi ge o metrici ed è co mpos ta per un terz o d a re sine di elev ata purezza e per due terzi da minerali na turali co me ce ment o, fino di mar mo e pig menti e coco mpatibili. Per p avi menti e p areti, Ăˆ prodo t t o da Kera kol l .
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El ement Chair, s edia s cul t or ea, con sos t egno central e pos t o di sbi eco, in bili co tra b as e e piano . Quasi a sfid ar e l e l eggi d el la gra vit à. In m etal l o la ccat o. Di T okujin Yoshioka per Desal t o . T uar eg, la lamp ad a si s taglia n el l o sp azio com e un t ot em. È cos tituit a d a el ementi tubolari in m etal l o con l u ci a l ed, variam ent e ori ent ati, com e in un’ins tal lazion e ar tis ti ca. Dis egna ta da Fe rru ccio L aviani p er Foscarini .
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Ol ga , sedut a mon olitic a che p or ta al limite Co nne cti on, tavolin o in cris tal l o extralight la pla sticit Ă del le gn o. Ăˆ pr odot ta in edizi one tempera t o c on s trut tura in ot t one brunit o limit ata d a Saw aya&Moroni . a man o. Design Massim o Castagna per Gal l ot ti& R adice . Born on the d ancefl oor, tappet o la vora t o a man o c on n odi ti bet ani, vel l o in set a e lana himala yana . Di Mar ta Bagante per cc -tapis.
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Lampad a d a terra #01 , sembra una scu ltura in lana dise gna ta e sospe s a ne l vuo t o, mentre è ancora ta con fi li di ny lon alla s trut tura in met allo. Di Andrea Mancuso e Emilia S erra di Ana logia Proje ct per Gal leria P aola Col omb ari . Dina G ina Mimma, messi in mos tra come opere d’ar te , i por tafrut ta sono monob locchi di marmo nero marquina . Design J ame s Ir vine per Marso t t o Edizioni .
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Mirror chair, ha a spet t o met afisico , l o spe cchio con inte gra ta una sedut a ev ane scente . In cris tal l o extralight , te mpera t o e argent at o. Design N endo per Gla s It al ia. T ote m, maxi scul ture in cera mic a cos tituite d a ele menti i mpilabili, t orniti e vernicia ti a mano . Disponibili in 2 versioni di col ore , una do mina ta d al rosso l ucido e l ’al tra d al verde oliv a mat t. Di Arik L ev y per Bit oss i Ceram iche .
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Biophilia , sedia in pla stic a d al l ’aspet t o organico realizza ta per s tampaggio ro tazionale . Dise gna ta d a R oss L ove gro ve per Vondom . S orr y G iot t o 3, lamp ad a ul tra grafic a ed e ssenziale in ferro grezz o cera t o e rame dipint o a mano . H a il l uminazione a led ed è prodo t ta d a Catel lani & Smith . O rion, tavolino con base cos tituit a da cerchi di diversi diametri in a cciaio vernicia t o bianco e piano in cris tal l o extra chiaro . Di Jarrod L im per Bonaldo .
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Al ask a, pol troncin a inter amente re alizz ata in acci aio ino x l ucido . Di Emilio Na nni per Cat telan It al ia. La gun a, l ampada da tavol o in vetro soffi at o con b ase in al l uminio vernici at o o nickel at o. Design Mat te o T hun e Ant onio R odriguez per Ar tem ide . R os y, l o spe cchio d a parete monolitico h a corpo ro t ondo circond at o d a due anel li de centr ati. Ăˆ in vetro fuso retro argent at o. Design Massimili ano e Dori an a F uks as per Fiam.
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Nuovo Industriale di Nadia Lionello foto di Simone Barberis
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uno stile senza tempo, ispirato da materiali e tecnologie. In apparenza Informale, Si rinnova e trova nuove espressioni privilegiando materiali freddi e forme essenziali
da sinis tra: Cand y shelf , libreria b ass a con s trut tura in b arre di a cciaio (le s te sse utilizza te per le s trut ture in cement o) verni ciate con t op e ripiano in mdf la ccat o, divisori ver ti cali in mul tis tra t o di betul la e vas chet ta t ond a por ta ogget ti in met al l o. de sign di Syl vain Wil lenz per cappel lini . DM 8429, tappet o annod at o a mano del la col lezione Decol orized Mohair, prodo t t o da Golran in lana , cara t terizza t o d al le diverse sfuma ture crea te grazie al la tintura a col ori ve get ali del te ssut o in pre cedenza de col ora t o. Bl ob , lamp ad a d a terra con s tel o in met al l o e diffusori in vetro col ora t o, re golabili. Design di G ino Crol l o per Arketipo . F our six, sis tema di sedut a compos t o d a elementi pouf aggan ciabili tra l oro propos ti a piant a qu adra ta, pent agonale ed e s agonale; hanno imbo t titura in mi crosfere in polie stere contenute in s acca in TNT e rive stiment o in pel le o te ssut o sf oderabili. Design di N ik o G รถt t s che per Vibieffe .
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da sinis tra: tel o, strut tura per p ara vent o in ro vere na turale variamente a t trezzabile a pia cere con te ssuti in rafia te cnic a, denim o pel liccia . dise gn di l orenz&Kaz per Colè . Bel la vis ta, fil o di die ci lamp adine led per e sterno di Selet ti . R aw, panc a in le gno la cc at o in diversi col ori. de sign di s tephan lanez per Mar cel by. T he ca, mobile contenit ore con ante scorrev oli in al l uminio anodizza t o na turale e ripiani in ma ssel l o di cilie gio na turale . Design di R onan & Er w an Bouroul le c per Magi s. Proje cteur 365, lamp ad a a sospensione con corpo in al l uminio anodizza t o vernicia t o e sternamente e diffusore in vetro s abbia t o con gal let ti di chiusura in a cciaio . Dise gna ta d a L e C orbusier nel 1954 per l ’al ta C or te di C handigarh e prodo t ta da ne mo . Pearl , rive stiment o murale in pia strel le da 20x20 cm rive stite in pel le pieno fiore la vora te a mano , disponibili piane o bomb ate con superficie liscia o cucit a in diversi f orma ti e p at tern. di Studio ar t.
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Parrish, sedia dise gna ta per il Parrish Ar t Museu m DI N ew York realizza ta in tubolare di al l u minio na turale o vernicia t o rosso o nero con sedut a in a cero , poli pro pilene o rive stit a in pel le . Design Kons tantin G rcic per Emeco . Fl oor 95, sis te ma a muro di ele menti in met al l o tubolare la cc at o a sse mblabili a piacere Pe R co mporre co mbinazioni di sedute , ri piani, appendiabiti, senza li miti di l unghezza . Design di Mark Bra un per Cov o . N ul l V ect or, la mpad a a led a sos pensione con cor po in al l u minio o t tico in ve ga 98, ad al tissi mo coe fficiente di ri fle ssione , l ucido o bianco , cara t terizza ta d a un pat tern di fori dal la tri plice valenza: l u minos a, percet tiv a e mecc anic a, e dissi pat ore in al l u minio ricicla t o. Design di Carl ot ta de Bevila cqu a e L aura Pe ssoni per Ar t emide. Monte catini, sedia a slit ta dise gna ta da G io Ponti nel 1935 per il Palazz o Monte catini di Milano , viene realizza ta intera mente in al l u minio l ucid at o d a Mol t eni& C.
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Ant ol ogi a, libreri a modul are componibile a parete in tubol are di met al l o con Finitur a piombo l ucido o l acc ata bianc a. Dise gn ata da Studio 14 per Mogg . La dy Cage , l ampada con s trut tur a in rete met al lic a vernici ata ner a o bi anc a con c avo nero o rosso . Design di m assimo R os ati per Zava . 3nuns , sg abel l I mol le ggi ant I, del l a Americ an col le ction, re alizz ati con s trisce di acci aio tempr at o fiss ate con bul l oni a far fal l a e posizion ate in modo d a sc aric are progre ssiv amente l a tensione di sedut a. Design di R on Ar ad per Moroso . Yupik , l ampada por tatile in polipropilene e spanso grigio o nero CON diffusore in polic arbon at o tr asparente do tata di c avo di aliment azione l ungo CIN QUE metri. Design di F orm us with l ove per Font ana ar te . V endr amin, RIVESTIMENTO MUR ALE DELL A COLLEZIONE T he Wal l s o f V enice , DI R ubel li . tr at t o da un document o DE l l ’archivio s t orico VIENE RE ALIZZ ATO CON te cnic a di s tampa fl ock su fl ock che permet te di imit are l a tridimension alit à tipic a del vel l ut o al t o-b asso venezi ano , do ve il dise gno è cre at o d al le due diverse al tezze del pel o. È disponibile in CIN QUE vari anti di col ore .
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qualità senza tempo foto di Dennis Bangert testo di Albrecht Bangert
Claudia Moreira Salles, furniture designer-artist, nata a Rio de Janeiro, è uno dei nomi che oggi stanno facendo breccia nello scenario del progetto in Brasile. Abbiamo incontrato “la Eileen Gray del Brasile” nel suo studio di SÃo Paulo
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cla udia moreira s al le s sedut a sul coffee table mesa p acman , un pezz o in le gno e cement o d a lei dise gna t o e realizza t o nel 2012. dis tribuit o da Firma Ca sa , S Ão Paul o. edizione limit ata. un taccuino di piccole dimensioni che d a sempre s al le s utilizza come diario personale per anno tare idee e prep arare i primi schizzi.
nel la p agina a fianco , Det taglio del la p anc a banco desl oc ado , 2001: un e sercizio di ge ometria ed e quilibrio che si è tra sf orma t o, nel corso de gli anni, con diverse versioni ma teriche .
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e mie radici sono in una città dove lo stile modernista era presente ovunque si guardasse: Rio de Janeiro. Questo luogo è sempre stato fortemente ed empaticamente brasiliano. Qui la gente non ha mai preferito uno stile di vita più europeo, come quella di São Paulo. Rio è rimasta brasiliana fino al midollo” afferma Claudia Moreira Salles. Se ne sta seduta, con grazia, dietro al suo laptop, un portatile ultrasottile appoggiato su una scrivania di legno altrettanto elegante e leggera. Nel suo appartamento, con terrazza sul tetto, al decimo piano di un edificio del quartiere alla moda di Itaim a São Paulo. Disseminati tutto intorno ci sono materiali, modelli, disegni, prototipi e impressionanti mobili di legno. L’interior design è
stato curato da alcuni architetti che lavorano al piano di sotto di questa galleria più o meno privata. Claudia Moreira Salles è uno dei nomi di spicco del nuovo boom del design hand-crafted artigianale brasiliano, a cui il mondo ha finalmente prestato attenzione. Fatto che rende ancora più interessante dare un’occhiata alle sue radici come designer. Quando parla dei quattro anni investiti come studentessa nella prima scuola di design brasiliana, ci ritroviamo immediatamente catapultati in un’altra storia interessante, quanto la sua. La Escola Superior de Desenho Industrial, in breve ESDI, è stata fondata nel 1955 con un programma didattico chiaramente ispirato dalla Hochschule für Gestaltung di Ulm, la celebre sede tedesca del funzionalismo post-bellico. L’ESDI era concepito e percepito come un incubatore del pensiero dell’industrial design moderno, nella terra del Rio delle Amazzoni. Il suo insegnamento si basava sul precetto che il design avrebbe dovuto essere il chiaro risultato delle analisi razionali dei bisogni e della società, con un’accezione estetica ridotta al minimo. Salles ricorda: “Frequentavo quella scuola per i docenti che vi tenevano conferenze. Si trattava di designer, molti dei quali autodidatti. Il professore di furniture design era un tedesco: Karl Heinz Bergmiller. È lui che ha introdotto lo spirito e gli insegnamenti di Ulm, come la resurrezione del Bauhaus in Brasile”. La grande dama del design brasiliano continua, dicendo: “Quello che mi hanno indubbiamente insegnato è stato il metodo. Ridurre all’essenziale. Porre le domande giuste”. Delusa da quello che avvertiva come stato di povertà dell’industria brasiliana dell’epoca, Claudia Moreira Salles ha, in breve tempo, rivolto la sua attenzione ai vari modi di ‘sfruttare’ il grande filone delle arti e dell’artigianato brasiliani come traduzione adeguata alla sensibilità dei suoi disegni. Lavorando inizialmente su blocnotes, ha realizzato ogni singolo arredo, come fosse un compositore che scrive uno spartito. “Quando ho cominciato a lavorare con Bergmiller per una società di mobili per ufficio di São Paulo, ho scoperto che talvolta gli stampi di legno possono rivelarsi molto più interessanti delle sedie di plastica che producono. Gli stampi di legno fatti a mano erano davvero belli e ho subito pensato: “Non sarebbe fantastico poter avere una di quelle forme in casa?”. Il ragazzo che realizzava gli stampi ha lasciato l’azienda e ho cominciato ad andare a trovarlo nel suo piccolo laboratorio. Il connubio di forme moderne e produzione artigianale concretizzava il mio sogno di disegnare qualcosa che avesse una vita e un’anima insieme. Ciò che per me mancava agli oggetti prodotti dall’industria brasiliana. La texture e le venature del legno, le potenzialità intrinseche di scolpirlo: mi affascinava esplorare questa strada che mescolava design moderno con tecniche tradizionali”. È questo il contesto in cui, verso la fine degli anni Settanta, Claudia Moreira Salles ha spiccato il volo, decollando dal solido ambiente accademico verso il mondo delle arti brasiliane.
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il Tavol o Can can al le stito pre sso Grifel Mar cenaria e dis tribui to d a Firma Ca sa , S Ão Pau l o. la de si gner- ar tista ri tra tta con il model l o del tavol o Can can.
E non molto tempo dopo, ha cominciato a sperimentare, applicando in alcuni dei suoi primi progetti, una collezione di panchine, una serie di macchie organiche, declinate con tinture di tribù indiane e ricavando dal legno, in modo sorprendentemente innovativo, superfici strutturate. L’approccio rimanda per analogia alle prime opere di Eileen Gray, che, agli inizi, aveva premiato la sapienza degli artigiani francesi per sviluppare un suo vocabolario di design personale e infondervi un senso di preziosità. Il segno riflessivo dei primi mobili realizzati da Claudia Moreira Salles non se ne discosta molto. Con la sua predilezione per i bordi elaborati, il ritmo delle composizioni e il suo modo di affidarsi a ‘cuor leggero’ alle venature del legno e ai contrasti materici, una strategia che ricorda i capolavori degli ebanisti dell’Art Déco. Questi concept di
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design si sono rivelati utili per promuovere il revival della maestria artistica brasiliana, risollevandola dalla depressione in cui era caduta negli anni Settanta e all’inizio degli Ottanta. Da allora, i prezzi sono decisamente risaliti e il mercato è ora caratterizzato da una forte domanda. Tuttavia, nonostante le trasformazioni, restano ad oggi in Claudia Moreira Salles alcune costanti. Come il fatto che utilizzi sempre, per annotare idee e preparare i primi schizzi, dei taccuini di piccole dimensioni che hanno tutta l’aria del diario personale. Forse, dopotutto, da questi progetti emerge sempre un che di poetico. Persino da quelli in cui la sua grande consapevolezza delle proprietà intrinseche dei materiali l’hanno indotta ad adottare nuovi mix di legno, limestone e calcestruzzo lucidato alleggerito. Tali innesti la aiutano anche ad affrontare un problema che questo boom porta con
sé, ossia la fornitura sostenibile di legno locale. Per assicurarsi che le cose non prendessero una brutta piega, è stato effettivamente introdotto un sistema di certificazione. Inoltre, Salles si assicura, tramite controlli incrociati, che buona parte del legno utilizzato per i suoi mobili sia stato riciclato. Reimpiegare il legno in questo modo crea già di per sé un racconto di background. Un esempio lampante: Salles ha dipinto di nero una trave di legno recuperata da una vecchia casa indonesiana, in modo che definisse un contrasto con un quadrato laccato di rosso. “Mi ha davvero colpito l’aspetto e la fisicità imponente di questa trave. Con la sua struttura a sbalzo, richiama il costruttivismo, facendone un pezzo unico a metà strada tra enunciato artistico e design; in realtà, racconta una storia tutta sua”. Salles è riuscita a ottenere del legno di recupero dai carichi di legno Pinho de Riga
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(pino da Riga) che, durante il periodo dell’impero portoghese, era utilizzato come zavorra sulle navi e ora è riutilizzato per il tavolino Lua e il sofa Largo all’Hotel Americano di Chelsea a New York. Qualche legno di cedro proviene dalla provincia di Minas Gerais, ricca di antichi giacimenti minerari. Questi cimeli dalle bellissime venature d’inizio dell’era industriale ora abbelliscono il soffitto del suo secondo studio, situato nella campagna dello Stato di Minas Gerais, a est di São Paulo. Nel corso di un’evoluzione quasi naturale, il lavoro di Salles ha acquisito profonda solidità e non c’è da stupirsi se viene ora esposto in tutto il mondo; di recente, lo scorso maggio, le sue opere sono state oggetto di una personale e interpretate come arte presso la qualificata ESPASSO Gallery di Tribeca a New York. Altresì, non è stata una grossa sorpresa il sold out registrato dalla mostra (altamente specializzata nel design brasiliano). “Ho finito per dar via anche i prototipi, dato che il proprietario della galleria, Carlos Junqueira, in realtà ha venduto più pezzi di quanti gliene avessi dati”. La clientela è composta da architetti, proprietari di grandi residenze, brasiliani con appartamenti costosi nelle metropoli del mondo. Un progetto tipico di Salles: l’arredamento per un appartamento nel West Chelsea, quartiere alla moda di New York, per la Metal Shutter Condominium House lungo la High
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qui sopra , l o s tudio di cla udia moreira S al le s che utilizza un antico granaio ris trut tura t o come sede di la voro priv at o. L e sedute trib ali del R io del le Amazz oni si f ondono in modo riuscit con i suoi mobili e al cuni pezzi cla ssici.
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nel le al tre imma gini: due pezzi dise gna ti e realizza ti d al la proget tis ta bra siliana . sempre pro tagonis ta un le gno d al val ore pla stico e mixa t o spe sso con al tri ma teriali.
Line... Oppure, la panca Domino Bench ideata come elemento divisorio per uno degli appartamenti nel building di Shigeru Ban. Questa panca di legno con le gambe in metallo e una trave di legno flottante nel mezzo è da allora stata prodotta come serie esclusiva. Tra gli altri, ricordiamo poi gli elementi spaziali per lo stand di Gagosian, durante la fiera delle arti di Rio. Qui l’ambiente di Salles entra in dialogo con i dipinti di star mondiali quali Picasso e Damien Hirst. Il connubio felice del design di alta gamma con le belle arti testimonia il fatto che solo la qualità va d’accordo con la qualità. È corretto dire che il suo design è, nel frattempo, emerso come landmark e brand più prezioso della brasilianità contemporanea. Le sue opere sono anche, al tempo stesso, un investimento sicuro: i pezzi di Moreira Salles sono vere e proprie blue chip e fanno parte di un mercato vasto e affidabile che trae forza dalle
radici del modernismo brasiliano. Dopotutto, il Brazilian craft sta registrando un costante revival nell’arte e sul mercato del modernariato. Come per l’arte, anche qui quello che conta sono i nomi. E tra questi, oggi ci sono sicuramente personaggi come Moreira Salles e Zanini de Zanine, insieme alle recenti riedizioni di eroi brasiliani come Sergio Rodriques, e agli intramontabili modernisti come Oscar Niemeyer, Lina Bo Bardi o Joaquim Tenreiro. Queste diverse forme di design hanno in comune un approccio emozionale e artistico che testimonia il linguaggio creativo del modernismo brasiliano. È difficile che oggi una rivista di interior design possa mostrare in Brasile degli interni contemporanei senza far riferimento a una di queste icone dell’identità brasiliana. Prova del crescente interesse per un idioma che deriva dall’incessante ricerca di modernità del Paese.
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Autoproduzione come momento di verifica personale e sperimentazione comunque rivolta alla serialità industriale. Nasce così la ricerca di Carlo Contin sul tema della vite in legno di Maddalena Padovani foto di Andrea Basile e Alessio Matteucci
AvvITamenTI
S
otto molti punti di vista, Carlo Contin rappresenta una figura-emblema del nuovo design italiano. Un design che non ama le esibizioni formali, ma che preferisce esprimersi attraverso i piccoli gesti del quotidiano e le intelligenze nascoste degli oggetti comuni. Un design che ancora nasce e cresce nell’odore del truciolo della provincia milanese, attingendo a una
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sapiente cultura artigiana che rischia ormai di scomparire. Un design condizionato non solo dall’immobilismo della situazione economica attuale, ma anche da un atteggiamento pregiudiziale di certa critica e certa industria che tendono a considerare più interessante quanto viene progettato al di fuori dei confini nazionali.
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La vetrina de lla gal leria Sub al terno 1 di Milano che , dal 25 set te mbre a l 6 ot t obre scorsi, ha pre sent at o la mos tra Carl o Contin. Av vit amenti . Sopra , un ritra t t o de l de signer. S ot t o, una vis ta de ll’allesti ment o, rea lizza t o con trucio li di legno per so t t o lineare la matrice ar tigiana le de l te ma ispira t ore . N ella pagina a cc ant o, uno dei 12 arredi che s vi lupp ano i l te ma de lla vite in legno .
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La co llezione comprende varie tipo lgie d ’arredo: tavo li, tavo lini, sgabe lli, lampade , librerie , tut ti rea lizza ti in legno . Fa e ccezione lo sgabe llo con s trut tura met allic a (so t t o), frut t o di un origina le proce sso di semp lific azione strut tura le e forma le de lla tipo logia c lassic a de llo sgabe llo d a lavoro .
Da queste premesse nasce Avvitamenti, una ricerca progettuale attuata da Carlo Contin e poi approdata a una serie di prototipi di arredi a cui la galleria Subalterno 1 di Milano ha dedicato lo scorso settembre una mostra a cura di Stefano Maffei e Andrea Gianni. Una ricerca che il designer di Limbiate, come tanti altri suoi colleghi, ha voluto autonomamente sviluppare per non arrendersi alla mancanza di prospettive attuale. Con un suo speciale punto di vista, però: quello di fare dell’autoproduzione non un ripiego o uno sbocco alternativo, bensì un momento di verifica personale di un approccio comunque votato alla serialità della produzione industriale. Il tema è la vite, intesa come soluzione di incastro a secco nel legno ma anche come “archetipo del fare concreto” (A. Maffei) che Carlo recupera dal ricordo delle viti di serraggio della morsa dei banchi da falegname, praticati durante la sua esperienza lavorativa nella bottega del padre artigiano. “L’idea” spiega il designer “è nata quando a una fiera ho trovato una macchina in grado di realizzare viti in legno, ossia di eseguire una lavorazione che i tornitori ormai non realizzano più. Mi ha sempre interessato lavorare sul tema della memoria degli oggetti, in particolare su quella degli artefatti artigianali su cui poggia tutta la tradizione del design italiano. Sapere che esisteva una macchina in grado di realizzare un prodotto ormai scomparso, rendendolo oltretutto riproducibile, è stato per me fonte di entusiasmo e ispirazione”. Quello che nel laboratorio del padre falegname era un semplice elemento di fissaggio diventa, nella ricerca di Carlo Contin, un principio strutturale da declinare in tutte le tipologie di arredo (tavoli, tavolini, sgabelli, librerie, lampade), con l’intento di dimostrare che basta una vite per creare un universo oggettuale. Non mancano, ovviamente, i riferimenti ai progetti realizzati con lo stesso meccanismo da due grandi maestri come Achille Castiglioni e Vico Magistretti; ma è proprio osservando il tavolo Vidun di quest’ultimo che il designer capisce la
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complessità di comportamento di questo sistema di giunzione apparentemente semplice. A seconda di come viene usata, la vite in legno svolge infatti una differente funzione meccanica (in alcuni casi stringe, in altri ‘spinge’), quindi necessita di specifiche riflessioni e accorgimenti ad hoc per ogni prodotto. L’applicazione forse più interessante è nello sgabello con supporto in ferro, l’unico pezzo che abbina al legno un altro materiale. La citazione, in questo caso, è quella dello sgabello da laboratorio, una tipologia d’arredo classica su cui tanti altri illustri designer si sono cimentati nel passato recente e lontano. La soluzione messa a punto da Contin raggiunge tuttavia la massima semplificazione strutturale e con questa un’originale e aggraziata risoluzione formale: una base d’appoggio circolare, un tondino come poggiapiedi, un esile profilo metallico che si allarga per ospitare la ‘femmina’ della vite che funge da seduta e ne permette la regolazione in altezza. L’espressione riuscita di una visione del design focalizzata su oggetti semplici, funzionali, poco costosi. “Gli oggetti mi interessano” conclude Contin “ nella misura in cui la gente li usa e interagisce con loro, arrivando alla loro effettiva comprensione. Non concepisco gli oggetti scultorei; più che il design mi interessa la realtà della vita di tutti i giorni, i gesti quotidiani, i piccoli spazi ancora inesplorati della sfera domestica. Per questo il mio lavoro non è riconducibile a uno stile”. Sono passati quasi vent’anni da quando Contin presentava al Salone Satellite progetti di sottile ironia come la fruttiera ispirata allo Sciangai di De Pas-D’Urbino-Lomazzi, seguita dal bilocale per pesci rossi e dalla spugnetta forata per lavare i piatti disegnata per la Coop. Con la collezione di arredi messi in mostra da Avvitamenti, Carlo dimostra oggi di avere raggiunto la visione matura di chi ha 46 anni e finalmente anche in Italia non può più essere considerato un ‘giovane designer’, se non altro perché ha preso coscienza di tutte le difficoltà che il mestiere di progettista presenta nel nostro Paese. Senza smettere, tuttavia, di credere nel design.
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Interpretazioni d’essenza
Il tavol o Ripple d i Benj amin Hu ber t è real izza t o con Corelam Pesa appena 9 k g. impiega pe r il piano e le gambe uno spe ciale mul t ist rat o di betul la ondula t o (Canad ian Spruce d a 0.8 mm), di sol it o impiega t o in amb it o ae rona ut ico . N el la p ag ina a cc ant o, in b asso: la se rie d i arred i S la t (proget t o Si mple) Di Phili ppe Mal ouin , cos t ru ita con un l istel l o di le gno d a 2x4, gene ralmente impiega t o in ed il iz ia.
di Valentina Croci
Sei progetti dal carattere fortemente narrativo esprimono le potenzialitĂ del legno dalla produzione seriale in grande numero alla serie limitata lavorata a mano
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gni anno vengono progettati centinaia di arredi in legno. Tanti da chiedersi che cosa abbia ancora da svelare questa materia. Ma proprio la sua relazione diretta con il ciclo della vita apre inaspettati confini di sperimentazione progettuale sia nell’ambito della poetica espressiva, sia nel tema più spinoso della sostenibilità legata ai suoi processi produttivi e all’abuso delle risorse naturali. E poiché gli artefatti in legno hanno trapassato la storia dell’uomo, portano con sé simbologie, rituali e culture. Il potere del materiale è ciò che affascina il canadese Philippe Malouin. Nella serie di arredi Slat, parte del progetto Simple, forme semplici e funzionali trovano la loro forza estetica nella ripetitività di un asse di legno al naturale. L’idea dello standard, del medesimo modulo elementare che si ripete e che origina ora dei piani, ora delle basi circolari di supporto è, da un lato, un’apologia del lavoro dell’uomo che da sempre trasforma i tronchi in elementi da costruzione, dall’altro un inno alla storia dell’architettura perché ne evoca colonne e controsoffittature. Il progetto riprende forme conosciute attraverso l’orchestrazione ritmica e ripetitiva degli elementi. Ed è un’esercitazione sul più standardizzato elemento da costruzione: il listello 2x4 di cui trasforma la percezione finale.
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S ot t o: proget tata d a Mar c Baroud per Car w an Gal ler y, T essera è un arredo nomade e tra sf ormabi le rea lizza t o con te ssere in noccio lo 4x4x4cm, pos te su una b ase di cuoio che rende la superficie morbid a e pie ghev o le. A sinis tra: Pippa Murra y ha s vi lupp at o un ma teria le a par tire d ai re sti de lle f ore ste di N or th C umbria (G ran Bret agna) . I trucio li di legno sono re si coe si dalla legnina , se cret a ne g li stampi ne l moment o de lla co t tura .
Parte dal tema dell’industria anche l’inglese Benjamin Hubert che porta il materiale all’estremo strutturale sfidando le leggi statiche. Ripple è al momento il tavolo più leggero (9 kg di peso) da 2,5 metri di lunghezza per 1 di larghezza. Impiega quasi l’80% in meno di legno rispetto a un prodotto standard ed è talmente leggero da essere montato e sollevato da una sola persona. Il segreto sta in un multistrato di tre strati di betulla da 0,8 mm dalla sezione ondulata, ottenuto con un processo di laminazione a pressione, sviluppato dal designer con l’azienda canadese Corelam. Il materiale è così resistente da poter essere sottoposto a pressione sia trasversale che longitudinale alle fibre e, dunque, sia per il piano che per le gambe e qualsiasi componente del tavolo stesso. Una sfida alla materia e alla produzione in grande numero. Mira a ridurre le quantità di materiale impiegato anche il progetto di ricerca dell’inglese Pippa Murray. Moulding Our Woodlands crea un materiale da costruzione dal processo di cottura dei trucioli di legno e senza l’aggiunta di colle, perché sfrutta il potere legante della legnina, secreta all’interno degli stampi nella fase di lavorazione. Il progetto rimarca il tema dell’utilizzo delle risorse naturali e propone una differente filiera legata al
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La co llezione Inf lated Wood di Zanini de Zanine per Cappel lini impie ga essenze bra si liane qu ali Jacarand á e Ipé , lavora ti così magis tra lmente d a d are morbidezza a l legno .
riciclo e alla trasformazione della materia il cui scarto diviene rinnovabile. Inoltre, pone l’utilizzatore al centro del fare: il processo di produzione è talmente ‘low-tech’ da poter essere realizzato da qualsiasi bricoleur che acceda agli stampi. Non a caso pensato in una nazione ricca di boschi, il progetto mira a incrementare il potenziale commerciale delle foreste non gestite e costruire un ponte tra artigianato su misura e mercato di massa. Sull’effetto inaspettato del legno giocano, in maniera diversa, il libanese Marc Baroud e il brasiliano Zanini de Zanine. Di quest’ultimo la poltrona, la panca e lo sgabello di Inflated Wood, la serie limitata prodotta per Cappellini, conferiscono un’idea di materia gonfiata e soffiata. Confortevole prima all’occhio e, subito dopo, al corpo, perché fabbricati artigianalmente con una magistrale lavorazione delle essenze brasiliane Jacarandá e Ipé: una produzione ‘slow’ lontana dai ritmi frenetici della fabbricazione industriale. Marc Baroud trasforma il legno in un morbido tessuto creando un arredo portatile simile a un’amaca da campeggio. Raffinatissima la lavorazione delle tessere di nocciolo contrapposte alla pelle e al cuoio del supporto e dei dettagli. Legno fossile datato oltre 500mila anni è il materiale del californiano Rick Owens che ci riporta alla primordialità della materia, al suo fondersi con le viscere della terra raccontando di ere geologiche e della contaminazione con altri elementi naturali. Anche le forme che ha disegnato, brutali e ancestrali, evocano una bellezza universale e, a noi umani, la chiara sensazione della nostra piccolezza nell’universo.
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Rick O wens ripor ta al la l uce la bel lezza de gli abissi nel la col lezione Prehis t oric (per Carpente rs Worksh op Gal le ry) che utilizza un le gno f ossile di 500 mila anni, tra sf orma t o dal tempo e d al la pre ssione del la terra .
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A cena con gli amici
di Suzanne Slesin
La collezione di oltre 150 pezzi, tra oggetti e mobili, vivaci, pratici, eleganti e colti, disegnata da Paola Navone per Crate & Barrel, catena americana di negozi lifestyle, presentata lo scorso settembre. Nella lettura di Suzanne Slesin, giornalista internazionale di design, responsabile e direttore editoriale di Pointed Leaf Press
acc ant o al tit ol o: paola na vone (a de stra) e mar ta cal le , pre sidente di cra te & b arrel , che ha f or temente credut o in que st o e speriment o proget tu ale e realizza tiv o inusu ale e ina t te so nel l ’approccio , nel la tempis tic a e nel la met odol ogia di la voro . nel le imma gini: tappet o indiano s tampat o in serigrafia nei col ori grigio e bl u. vassoio ro t ondo in marmo indiano e al l uminio del la col lezione mal l orc a.
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o incontrato Paola Navone per la prima volta intorno al 1980 a Venezia, dove ci trovavamo entrambe. Io visitavo la mostra Oggetto Banale alla Biennale d’Architettura, e in quel periodo lei collaborava con Alessandro Mendini, fondatore dello Studio Alchimia, il gruppo italiano di design d’avanguardia. Mi ricordo che adorai tutto quello che vidi – soprattutto l’arguta trasformazione degli oggetti
casalinghi di uso comune in proposte di design divertenti, intriganti e talvolta spiazzanti. Non immaginavo quanto profonda sarebbe stata l’influenza di quegli oggetti di vita quotidiana prima ignorati e come la Navone avrebbe tradotto quell’approccio originale in un progetto globale. Ma, anche allora, mi ricordo di aver pensato che non c’era nulla di banale o comune in tutte le opere che vedevano la sua partecipazione. Anzi. Oltre trent’anni dopo, la Navone – architetto, designer, trendsetter – continua a essere originale, a inventare e a re-inventare. Ha vissuto in Asia e viaggiato in tutto il mondo, osservando, acquistando e lasciandosi ispirare da tutti gli oggetti che rendono la nostra vita quotidiana più allegra, istruttiva ed elegante. Ha disegnato sedie e letti, tavoli e divani, porcellane e bicchieri, trasformando oggetti che si potrebbero definire ordinari in prodotti di forte affezione – creando immediatamente un legame emotivo, un rapporto, tra l’oggetto e la persona che lo sta utilizzando. Non c’è nulla di pretenzioso in nessuno dei suoi progetti. Nulla che richieda una faticosa comprensione, ma sono tutti oggetti di cui innamorarsi. E noi lo abbiamo sempre fatto – volontariamente e totalmente.
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INdesign INproject / 73 tavoli, sedie , lamp ade , pos ate , piat ti, t ovaglie ... il ‘proget t o kit’ affid at o a p aola na vone per prep arare una cena con gli amici è il primo realizza t o a tema (tre sono in via di s vil uppo ) da cra te & b arrel . un’ av ventura che ha ra ccol t o prodo t ti f at ti in p ae si di tut t o il mondo , riuniti in tre col lezioni, per un t otale di circ a 150 pezzi. N el l ’immagine: sul la t ovaglia in garza di lino s tampata, una serie di pia t ti di porcel lana di f orme e de cori differenti.
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centro tavola w oven, in ceramic a bianc a, ma intre ccia t o come un ce st o di vimini. sedia windsor in le gno ma ssel l o dipint o. disponibile sia al ta che b ass a. al le stiti sul la p arete di un punt o-vendit a life style americ ano di cra te & b arrel , piat ti del le col lezioni tablew are .
pezzi del la col lezione firma ta d a paola na vone per cra te&b arrel : il candeliere in met al l o vernicia t o (disponibile in versione grande e piccola); il vassoio hams a di buon a uspicio in al l uminio con p at tern inciso; la pol troncina w oven chair in vimini e texture in bianco e grigio pied de poule .
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Lo stesso concetto si applica al suo ultimo lavoro – una collezione, o una serie di collezioni incrociate, di oltre 150 pezzi – un catalogo ambizioso e impressionante di mobili e oggetti realizzati per Crate & Barrel, catena americana di negozi lifestyle. “È stata una collaborazione meravigliosa” ha dichiarato Marta Calle, Presidente della società, la quale, non appena ha assunto questo ruolo, ha inseguito Paola fino a raggiungere, con i propri colleghi, lo studio Navone di Milano, durante il Salone del Mobile dello scorso aprile. “Le dissi” ricorda Calle “che ero una sua fan e che sarebbe stato un onore avere la possibilità di lavorare insieme”. L’incontro proseguì per diverse ore ed essendo giunta la sera, la Navone suggerì di continuare la conversazione a cena in un ristorante lì vicino. Paola stava già pensando alla direzione da intraprendere per questo nuovo cliente. Si rese presto conto che aveva bisogno di un tema, un cappello, un’idea forte su cui concentrarsi. Ebbe un’illuminazione inattesa mentre il gruppo era seduto intorno al tavolo, in quello che lei descrisse come un “ristorante agli antipodi dell’eleganza, anzi piuttosto brutto, che offre tuttavia ottimo cibo”. L’idea di base era allo stesso tempo semplice e generosa. “Mettere insieme tutto – assolutamente tutto – quello che serve per una cena con gli amici” disse. “Questa è l’idea”. O per lo meno un buon inizio. Il risultato è un trio di collezioni di oltre 150 pezzi con nomi mediterranei evocativi – Como, Mallorca e Riviera – dentro le quali si trova qualunque cosa potrebbe essere utile per intrattenere in modo semplice, elegante e colorato – tavoli, sedie, posate, ciotole, piatti, piatti da portata, vassoi, candelieri, bicchieri, tovaglioli,
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lamp ade -lanterna a sospensione in met al l o fl occ at o. (disponibili in due dimensioni) . set di sei cucchiai (uno diverso d al l ’al tro ) in a cciaio e ma teriale pla stico . l ’ambiente di un ne go zio organizza t o come un ab aco di prodo t ti del le nuo ve col lezioni firma te p aola na vone se condo una scenografia che , in pochi giorni d al l ’aper tura dei 10 sp azi pil ota, ha coinv ol t o tut ti i 100 punti- vendit a cra te & barrel di s tati uniti e c anad a, in p ar ticolare , tut te le vetrine fronte s trad a. Qui, al centro , sopra il tavol o a c aval let t o in le gno ma ssel l o, circond at o da sedie differenti per ma teriali e f orme , due lamp ade a sospensione in vimini.
portatovaglioli, tovaglie, tappeti; e quell’oggetto assolutamente anglosassone che è fondamentale su ogni tavola: la tovaglietta all’americana. “Mi sembra di ottenere i migliori risultati quando penso degli oggetti all’interno di una collezione” ha spiegato la progettista. “Mettere insieme cose diverse sprigiona un’energia particolare, perché questi oggetti esistono gli uni insieme agli altri”. Il 9 settembre 2013 dieci negozi Crate & Barrel hanno presentato le collezioni di Paola Navone, seguiti dopo qualche giorno da altri punti vendita. “Paola è influenzata da molte culture, che trovano posto senza sforzo e forzature nei suoi progetti, nelle sue case e nel suo stile personale” ha aggiunto Calle. Inconfondibili, guardando alla miriade di oggetti e arredi, i tocchi del suo segno – l’originale manico rosso nel set di cinque posate, le tazze, ciotole e piatti gioiosamente spaiati, dove macchie, ghirigori e tocchi di blu cobalto ravvivano qualsiasi tavola, le ciotole intrecciate come cesti di vimini che strizzano l’occhio alla tradizione, i tavoli su cavalletti per interno ed esterno, sofisticati e allo stesso tempo pratici, le irresistibili sedie di vimini, intrecciate con un disegno grigio e bianco a pied de poule, le alte sedie e la panca imbottita Windsor che ricordano immagini americane iconiche – dalla fattoria del New England al diner newyorkese – ma declinati con colori, dimensioni e sensazioni diverse. Tutto fatto in India, in Portogallo e anche negli Stati Uniti, e a prezzi accessibili, in linea con i negozi, il catalogo e il dna di Crate & Barrel. Ora serve soltanto un’altra casa dove mettere questi oggetti meravigliosamente seducenti. Non proprio un brutto pensiero.
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I tre fra tel l i Pre so t t o f ond at or i di modulno va, al centro il pre s idente Dar io, al la su a s in istra g iuse ppe e a de stra , Carl o, entramb i cons igl ier i del cd a del l ’az iend a. S ul l o sf ondo , al cun i de i mater ial i ut il izza t i ne i programm i modulno va. qu i so pra , L egno ma ss icc io d al f or te s pessore , s pazz ola t o e f in it o ad ol io con cura ar t ig ianale . N el la pag ina a cc ant o, il programma dal de s ign m in imale e scul t ore o.
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a storia di Modulnova sembra voler sfatare tutti i luoghi comuni dell’imprenditoria italiana, perlomeno quella di oggi, soprattutto quella che riguarda il settore arredo. Oggi si dice che le aziende funzionano quando vanno all’estero e si impongono nei mercati stranieri, quando alla realtà familiare, soprattutto di seconda generazione, si
preferisce un buon management di ‘tecnici’, quando un’azienda si avvale del contributo di un progettista noto e apprezzato (designer/star per intenderci). Falso, almeno per Modulnova: l’azienda che si costituisce nel 1988 per la produzione di sistemi cucina – e, successivamente, di arredo bagno e living – fu fortemente voluta dai tre fratelli Dario, Giuseppe e Carlo, addirittura terza generazione nella produzione di mobili (nonno falegname e padre produttore di camere fino al 1987) che tuttora ne sono alla guida, in perfetta sintonia di intesa e di progettualità. Attualmente fattura 27 milioni di euro all’anno, con un incremento, negli ultimi 5 anni, di quasi il 30% e con un rapporto di clienti Italia/estero pari, udite udite, all’ 80% a favore del Belpaese, anche se c’è un incremento dell’export che fa ben sperare. Ne parliamo con Giuseppe detto Beppe, il mediano dei tre fratelli Presotto, sia anagraficamente che per il suo carattere, è considerato il più moderato e prudente del team (sarà per questo che è il portavoce dell’intervista?). Venticinque anni giusti giusti e un’azienda, Modulnova, che oltre a produrre cucine belle e buone e ad avere sempre avuto un segno più davanti al proprio fatturato costantemente in ascesa, si è anche conquistata la fama di essere un brand, e questo credo sia per voi la massima soddisfazione... Quando lavori intensamente e con passione, 25 anni passano in un lampo, ma siamo soddisfatti di quello che abbiamo creato per tantissimi motivi, primo fra tutti per aver ottenuto questi risultati insieme, attraverso un percorso di condivisione totale delle nostre passioni, dei nostri sogni, lavorando insieme, confrontandoci quotidianamente.
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Sotto il segno del rigore In terra friulana, per volontà di tre fratelli, nasceva venticinque anni fa Modulnova. Cucine innanzitutto, seguite da arredo bagno e area living. Risultati sorprendenti: in Italia prima, dove mantiene una buona fetta di mercato, all’estero poi, dove punta ad aprire due flagship store entro l’anno, a Londra e a Parigi di Patrizia Catalano
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so t t o. la S ede di Modulno va, a Pra ta di Pordenone . un det taglio di Tavol o in re sina di cement o. il programma T wenty , con rive stiment o in Pietra piasentina fiamma ta. Al l uminio , kerlite , le gno , sono i ma teriali che armonizzano il programma Blade .
Dario, che è il presidente del nostro consiglio di amministrazione, è colui che si occupa della parte commerciale e del prodotto, è un vero vulcano, estremamente innovatore e creativo. Carlo, anima creativa dell’azienda, è l’uomo che si muove nel campo della ricerca e della sperimentazione dei materiali, uno dei plus di Modulnova: sperimentare materiali applicati al sistema cucina è uno dei nostri punti di forza. Abbiamo sempre considerato determinante il lavoro di gruppo, fondamentale l’apporto che ogni singolo collaboratore ha dato nella crescita dell’azienda. Molti tra questi collaboratori sono al nostro fianco da lunga data e sono importanti colonne dell’azienda. Tra questi Mauro Rosalen, AD della Modulnova Bagni uomo ecclettico a 360 ° che ha spaziato negli anni dal tecnico al commerciale, e Andrea Bassanello, il designer responsabile di progetti ed immagine, sono anche soci dell’azienda dei bagni. Quanti anni avevate? Giovanissimi: tenga conto che Dario, il maggiore, è del 1963, quindi ai tempi aveva 25 anni, io 20, Carlo nato nel 1974 ai tempi era giovanissimo,
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infatti è entrato successivamente (Beppe e Carlo attualmente rivestono i ruoli di consigliere nel cda, il primo per finanza e gestione e il secondo come tecnico/acquisti, progetti ricerca e innovazione ndr). Qual è stata la molla che vi ha spinto a prendere in mano la situazione buttandovi, possiamo dirlo, anche un po’ incoscientemente nel mondo dell’impresa? Un briciolo di incoscienza ci vuole sempre, altrimenti non farai mai grandi passi nella vita, e guardi che glielo dice il più moderato del gruppo. Noi siamo cresciuti in una casa che era attaccata alla fabbrica, io e Dario giocavamo tra i pallet, i nostri tempi erano dettati dai tempi della fabbrica. Amavamo quella situazione. Quando nostro padre, uscito dall’esperienza nell’azienda che aveva fondato, per divergenze societarie (aveva iniziato a lavorare ragazzo, nella falegnameria di nostro nonno
fabbricante di madie e mobili artigianali), si è reso disponibile a darci una mano, non abbiamo avuto esitazioni, eravamo pronti ad accettare la sfida. Non temevate come nel caso di vostro padre di arrivare a delle divergenze sul progetto imprenditoriale? Tra me e Dario c’è sempre stato un rapporto di grande intesa, sin da piccoli, lo stesso con Carlo anche se era più piccolo, non avevamo questi timori. E poi ci siamo talmente tante volte sfidati – e scontrati – in interminabili partite di ping pong da ragazzi con diverbi e anche sane botte: ci conoscevamo troppo bene per temere una disfatta dal punto di vista delle relazioni interpersonali. Perché siete passati dalle camerette alle cucine? Vari motivi: per prima cosa non volevamo si creassero screzi con l’ex impresa di mio padre che continuava a produrre camerette, inoltre non
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sopra . ante in Vetro la cc at o nel programma T wenty . a la t o. tre imma gini di piani d a la voro propos ti nei programmi cucina di modulno va: L inee essenziali, finiture di qu alit à e det tagli cura ti nei minimi p ar ticolari.
avevamo molti soldi a disposizione e la filiera produttiva del settore cucina ci sembrava più gestibile. Avevate dei modelli a cui ispirarvi? In quegli anni andavano forte certe marche tedesche che abbiamo guardato con grande curiosità, anche le italiane non scherzavano, cito fra tutte Arclinea che proprio in quel periodo lanciava sul mercato il suo brand Aiko. Si partiva da casa e si arrivava a Milano per Eurocucina ad ammirare questi bei marchi e poi si tornava a Brugnera dove avevamo il capannone, pieni di sogni. A quei tempi andavamo e tornavamo in giornata per non avere spese di pernottamento fuori casa. Quando si dice i sacrifici... Facciamo due conti: quando siete partiti, quali forze avete messo in campo? Abbiamo affittato un capannone di 4.300 metri quadri a Brugnera, acquistato i macchinari
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necessari e messo in campo 4/5 persone, siamo partiti da zero. Era il maggio dell’88 e a gennaio avevamo pronte le prime cucine. Il vostro è un marchio che si contraddistingue per una purezza del design estremamente coerente e rigorosa, era così anche agli esordi? Al 50% direi: siamo partiti con quattro programmi, due contemporanei e due più tradizionali perché il mercato in quegli anni aveva una vocazione per la cucina più classica, ma noi abbiamo subito spinto l’acceleratore per il contemporaneo. Come nasce il nome Modulnova? Modulo, modularità, un omaggio anche al modulor di Le Corbusier. E la filosofia, dopo quella partenza in un capannone in affitto, in che direzione è andata? Nel pensiero comune del settore, si è sempre creduto che ad un prodotto di alto design e alta qualità, dovesse per forza corrispondere anche un prezzo al pubblico molto alto. È sempre stata nostra convinzione e desiderio invece di realizzare un sistema integrato di prodotti (cucine, bagni, zona giorno, ma ora anche pavimentazioni e rivestimenti)
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a la t o, una Zona giorno targa ta MDho me, con libreria a p arete la cc ata bianc a. so t t o, il programma living more incl ude elementi contenit ori posi zionabili a terra e a p arete con ant a rib al tabile e c asset t one t otalmente e straibile .
che, pur mantenendo elevate le caratteristiche qualitative e l’esclusivo design, fosse alla portata di un pubblico più vasto. Coraggio, determinazione, passione ed ampia visione, sono elementi caratterizzanti del percorso di costante crescita di Modulnova che porta, anno dopo anno, l’azienda ad incrementi progressivi di vendite ed allo stesso tempo a crearsi una precisa identità. La volontà di fornire al cliente una possibilità di personalizzazione più ampia possibile ha portato l’azienda ad adottare già dalla metà degli anni Novanta il just-in-time, una gestione degli ordini e della produzione innovativa nell’industria del mobile che progressivamente prenderà sempre più importanza. L’attenzione verso la ricerca di soluzioni e di materiali innovativi ha portato l’azienda ad investire energie e risorse ininterrottamente nel tempo. Questo impegno ha permesso di realizzare modelli sempre innovativi, brevetti esclusivi e portare sul
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mercato materiali e finiture mai usate prima nell’arredamento. I compleanni servono per segnare le tappe salienti di un percorso. Nel vostro caso quali momenti vale la pena di ricordare? Il 2000, quando abbiamo esteso la nostra produzione al mondo dell’arredo bagno. Certamente il 2003, con il trasferimento a Prata di Pordenone nella nuova sede da noi progettata e realizzata, dove siamo attualmente: 12mila metri quadrati di superficie coperta, inseriti in un contesto di 40mila metri quadrati di verde. L’apertura nel 2006 del primo flagship store Modulnova a Milano in via Borgogna, e successivamente nel 2012 lo spostamento nell’attuale spazio di corso Garibaldi, quartiere Brera. Il lancio, nel 2011, della linea living MD home e adesso, nel 2013 con il marchio More, abbiamo acquisito un nuovo sito produttivo di circa 4mila metri quadrati che mette in opera prodotti ad alto contenuto tecnologico esclusivi per la casa madre.
Proprio in questo momento stiamo vivendo un’altra tappa importante, rappresentata dall’apertura di 2 nuovi flagship store, a Londra in Wigmore Street nel centralissimo quartiere di Marylebone e a Parigi in zona Champs Elysèes. Un’industria come la vostra, made in Italy dalla a alla zeta, la saprà lunga anche in fatto di distribuzione. Sin dall’inizio il target di riferimento a cui abbiamo deciso di rivolgerci è stato quello dei negozi di fascia alta. Dario, anima commerciale dell’azienda, ha sempre considerato il cliente il più grande patrimonio aziendale, trasmettendo questo suo credo ai collaboratori. La filosofia distributiva ha quindi sempre messo in primo piano le esigenze e i bisogni dei nostri partner commerciali. Questo tipo di “rispetto” ha consentito di creare dei rapporti di grande fidelizzazione duraturi nel tempo, dove le relazioni professionali molto spesso si sono evolute in ottimi rapporti personali. Un’ultima domanda un po’ retorica: la vostra cucina preferita?
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Non esiste. È sempre quella che verrà. Preferiamo parlare di programmi piuttosto che di cucina poiché quello che ci caratterizza è l’estrema flessibilità che ogni programma contiene sia nelle finiture dei materiali, che nelle cromie, che nelle soluzioni tipologiche. Attualmente ci sta dando moltissima soddisfazione l’ultima nata, Blade, prodotto altamente tecnologico, caratterizzato dall’anta di soli 10 mm. di spessore, leggera e solida, con caratteristiche talmente innovative da permettere la realizzazione di un brevetto industriale che ne difende l’originalità. Realizzata in alluminio, kerlite e vetro, abbinata con la penisola in rovere ossidato, piace il mix tra i materiali, l’uniformità dello stile, questo legno molto raffinato che proponiamo anche per pavimenti e boiserie e per la linea living. Chiude gli occhi e si immagina… Io e i miei fratelli ancora ragazzi, le risate e le arrabbiature, una storia di armonia che prosegue.
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in al t o. L a mola tura a 45° di un la vabo in pietra pia sentina . sopra e a fianco . il programma Infinity per la s tanza d a b agno , combina i mobili in le gno con il la vabo in Pietra pia sentina fiamma ta.
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di Stefano Caggiano
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volte le coincidenze sono significative. Nel 1851, mentre a Londra la prima Great Exhibition segnava l’inizio della storia del design industriale, a Parigi Jean-Bernard-Léon Foucault si accingeva a dimostrare la rotazione della Terra attraverso le oscillazioni di un pendolo, il quale, dondolando su un piano geometrico non coinvolto nel moto terrestre, mostrava per contrasto la rotazione del pianeta sul proprio asse. Si trattava di uno strumento scientifico, certo, eppure il pendolo di Foucault era, ed è tuttora, un oggetto profondamente ‘magico’. Il piano su cui oscilla non è infatti un ente materiale, ma non è nemmeno un’entità puramente teorica, dal momento che la sua ‘realtà’ risulta persino più cogente di quella della Terra.
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Stéphanie Van Zw am inc apsula l ’aria , il vent o e l ’energia elet tric a nel le sfere del la col lezione O rbs , le cui piume e perline contenute al l ’interno rea giscono al tat t o. Abiti: T he G athering G odde ss . F ot o: Philip R hy s Mat thews . “Un’epoc a immers a nel buio è al la ricerc a di ra ggi di l uce ”. Così F erré ol Babin introduce il concept che ha ispira t o L unaire per Font ana Ar te (nel la p agina a cc ant o), lamp ad a compos ta da un diffusore conc avo in al l uminio in cui è ospit at o un disco front ale più piccol o, il cui posizionament o sfuma l ’intensit à l uminos a.
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Meccaniche celesti, geometrie astratte ed equilibri misterici. Attraverso la poesia nuda della fisica gli oggetti rispondono al prolungato scollamento tra realtĂ e segno
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Sot t o: Dish of Light (qui ne lla ver sione D ), disegna ta da Kouichi Ok amot o dello stu dio giappone se Ky ouei De sign, è una lampada ‘scompo sta’ in pia stre disegna te per contenere , schermare e rif let tere la luce , re go labi li in qu alsiasi direzione . F ot o: Kyouei design. Acc ant o: Le lampade Por t disegna te da Alexander Tayl or per le edizioni David Gill immet t ono la luce che sale da un tubo in una sezione ci lin dric a in lamina t o, dove si genera un c ampo di lumino sit à a effet t o ri lassante . F ot o: Davi d G ill G allerie s, Lon dra . In b asso: Le lampade-oro logio della serie S yzy g y Pha ses disegna te da O s kar Peet e S o phie Mensen (stu dio Os an d Oss ), pre sent ate lo scor so apri le a Milano pre sso lo Spazio R ossana O rlandi , re go lano la loro i lluminazione in b ase alle variazioni della luce ne l cor so della giorna ta (in que sta f ot o la lampadaoro logio ‘ri spon de’ alle 17:45).
Ed è proprio questo ente intra-reale, immanente e trascendente allo stesso tempo, che il pendolo ci mostra. Un ente che si estende all’infinito, fino al perimetro adimensionale dell’universo, e che tuttavia è lì, sotto i nostri occhi, visibile nelle oscillazioni di un filo a piombo. Questa ‘estetica della fisica’ – impalpabile ma indefettibile come la necessità su cui si schianta il caso – viene oggi messa a linguaggio da una serie di oggetti che, in linea con la sensibilità del momento, apprestano logiche compositive terse e ‘leali’. È il caso, ad esempio, della lampada Dish of Light di Kouichi Okamoto dello studio giapponese Kyouei Design, che trattiene la luce non per contenimento ma predisponendone l’armoniosa disarticolazione nello spazio. O di Globe delle svedesi Helena Jonasson e Veronica Dagnert, operanti a Londra come studio Vit, che realizzano una lampada a forma di semisfera cava in cui una sfera annessa riflette la sua luce. Anche Lunaire di Ferréol Babin per FontanaArte, che sfuma la densità luminosa
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A sinis tr a: Mood y di Chiara Ferrari , gio vane de signer it ali an a che vive e l avor a a L ondr a, è un a l ampada a soffit t o in cui p ar ti in acci aio l ucid at o sono co mbin ate a ele menti in C ori an il l u min ati, mantenuti in e quilibrio d a un sis te ma di pule gge anche l a re gol azione . F ot o: John R oss . che ne consente Acc ant o: La poetic a ge ometri a del l a l ampada dise gn ata da Seb astian Gold schmid tböin g è co mpos ta da un a se misfer a in met al l o contenente l a f onte di l uce e un’ asta che ne se gn a il centro d ’equilibrio , t occ ando l a qu ale si inne sc a il cont at t o. S ot t o, da sinis tr a: La l ampada War m U p di Mat te o Zor zenoni , pre sent ata in col l abor azione con Dimen sione Dan za, si ispir a agli e sercizi di risc ald ament o del le b al lerine al l a sb arr a. F or mata da steli met al lici e un a sfer a in vetro soffi at o, riproduce il contr appe so tr a g ambe e bus t o del le d anz atrici. G l obe , del le s vede si H elena Jona sson e Veroni ca Dagner t (studio Vit) , è un a l ampada co mpos ta da un riflet t ore in acci aio a f or ma se misferic a in cui si diff onde l a l uce e mess a da un a piccol a sfer a anne ss a.
tramite la modulazione di eclissi più o meno accentuate, e la collezione di pendenti Orbs di Stéphanie Van Zwam, che rimanda alla ‘bellezza statica’ del globo terracqueo, mettono in campo la sospensione cosmica dei corpi astrali. Piani, fuochi ed ellissi delle meccaniche celesti sono evocati anche dagli olandesi Oskar Peet e Sophie Mensen, dello studio Os and Oss, nelle lampade-orologi Syzygy Phases, che reagiscono in tempo reale al cambiamento d’illuminazione nel corso della giornata regolando la propria luce di conseguenza. Mentre ascetica, quasi mistica appare la lampada Port di Alexander Taylor per le edizioni David Gill, in cui vengono convocati vuoti siderali simili a quelli su cui galleggiano i pianeti. Questo linguaggio scientifico-misterico non nasce per caso, ma rappresenta una risposta del progetto allo sconquasso generato da un lungo periodo di scollamento tra realtà e segno (economia e finanza, sostanza e comunicazione...), di cui si avverte da più parti il bisogno di un ripensamento.
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Nel suo percorso di ricongiunzione dell’estetico e del cognitivo il design converge così verso la grammatica della scienza, dove trova un possibile lessico per riarticolare materiale e immateriale. La lampada Warm Up di Matteo Zorzenoni, ispirata alla cinematica che regola gli equilibri delle ballerine alla sbarra, va appunto in questa direzione. Così come Moody di Chiara Ferrari, la cui struttura disegnata da pulegge che ne permettono la regolazione individua il punto in cui la meccanica, solida e tangibile, coincide con le geometrie astratte delle leggi fisiche. Ed è ancora di queste leggi, e del loro essere più sottili della più esile delle ragnatele ma più dure del più fermo degli acciai, che ci parla la lampada progettata da Sebastian Goldschmidtböing, in cui il peso della gravità viene sintetizzato in un punto inesteso tangente una semisfera. La fisica della materia, così messa a nudo, non è affabulazione che gira intorno all’oggetto ma filigrana da cui traluce il mistero intatto della sua esistenza.
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Sant a Maria del la L uce è una pre senza iera tic a ma ra ssicurante . U n te ssut o in fibra di vetro che , acce so, incute riverenza e il l u mina le tenebre , spent o è un ogget t o f amiliare , un semplice strofina ccio d a cucina . Di Frans Van N ieuwenborg per Ingo Ma urer . In b asso: ancora Dal mago del la l uce Ingo Ma urer , la sorpre sa di un ogget t o ina spet tat o, un tavol o che fl ut tu a sul le sue qu at tro sedie . F l oating Table , per Established & S ons , 2012.
Design illusionista Quadri da attraversare, oggetti che sfidano la forza di gravitĂ , ripiani e libri che lievitano, tazzine che sfuggono di mano, sedie che si destrutturano. Nel mondo di Houdini anche il quotidiano diventa straordinario. A me gli occhi! di Sonia Pedrazzini
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ow You See Me - I maghi del crimine, diretto da Louis Leterrier, è il recente film fantatrhiller-poliziesco che vede protagonisti “I Quattro Cavalieri”, un super-team formato dai più abili illusionisti del mondo. Mirabolanti imprese di magia e grandiosi progetti criminali si snodano avvincenti sul tema dell’illusionismo, e la sensazione di non comprendere se ciò che si vede appartiene al mondo del reale o a quello dell’immaginario lascia gli spettatori inchiodati e divertiti davanti allo schermo per tutta la durata del film.
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Ma anche Magic. 1400s -1950s (edito da Taschen, 2013)- a cura di Mike Caveney, magoscrittore professionista, e di Jim Steinmeyer, autore di libri di magia e ideatore di trucchi e inganni per i grandi dell’illusionismo internazionale (Doug Henning, David Copperfield, e Siegfried & Roy) – immobilizza alla sedia il lettore con le sue immagini evocative, riprese da rare affiche dell’epoca, per accompagnarlo in un viaggio incantato in cui esplorare l’evoluzione dell’illusionismo e delle arti magiche. Però, è solo nel Museo della Magia di Cherasco, in provincia di Cuneo, aperto al pubblico ad aprile 2013 e già considerato unico in Europa, che il visitatore può sperimentare direttamente inganni e trucchi e diventare il protagonista di quest’affascinante mondo parallelo. Insomma, proprio in questo momento storico, in cui cinismo e disinganno sembrano prevaricare ovunque, magia e illusionismo stanno invece riscuotendo enorme successo, tanto da coinvolgere persino una disciplina dal dna logico e sistematico quale il design. Se osservato in quest’ottica, infatti, anche lo scorso Salone del Mobile riservava delle interessanti sorprese. Alcune proposte erano dei meri giochi visivi, illusioni ottiche, o trovate divertenti, talvolta persino un po’ ingenue e kitsch, ma in altri casi si trattava di progetti molto studiati, che presupponevano eccellenti conoscenze delle tecniche e dei materiali. Alcuni erano arredi che indagavano i comportamenti umani e la teoria della percezione per poi agire da destabilizzatori, altri oggetti invece usavano la magia come linguaggio poetico e artistico. Una simile forma di spettacolarizzazione del quotidiano in realtà è presente già da tempo. Il grande Ingo Maurer, ad esempio, non andrebbe forse considerato una sorta di ‘Houdini del design’? Candele illusioniste, tavoli che fluttuano, ologrammi come ectoplasmi luminosi, lampade che sembrano uscire da un quadro di Dalì. Da sempre ha saputo creare oggetti sospesi tra sogno e realtà, realizzando progetti in bilico tra ricerca, tecnologia, poesia e magia, senza mai smettere di sorprendere. Tuttavia, mai come adesso il fenomeno del progetto-illusionista è emerso con forza, il che fa sorgere la domanda: che cosa mai c’entra il design – sistema originariamente strutturato sul pensiero laico e razionale – con l’illusionismo, attività tradizionalmente predisposta per tendere trabocchetti allo spettatore e per barare con la percezione? Un indizio viene proprio dalla battuta di uno dei protagonisti di Now You See Me, che definisce l’illusionismo come un “inganno fatto per deliziare e divertire”. Deliziano, infatti, le grandi tele raffiguranti poltrone sulle quali sprofondare e suscita meraviglia la sedia che si regge solo su due gambe (e sulla sua ombra); strappa il sorriso il
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Sot t o, da sini stra: La Shado w Chair di Duffy London sfid a la f orza di gra vit à e invit a a pro var la. Ma non c’è peri co lo, la sua o mbra è di a cciaio; U p Dinning Tab le di Chri st opher Duffy per Duff y Lon don è un tavo lo gio co so che f a sognare ad o cchi aper ti mentre cer ca di prendere i l vo lo. Accant o: U n por tacande le di Ma ya Se lw ay che sfu ma d alla second a alla terza di men sione senza so luzione di continuit à.
tavolino pieno di oggetti ma senza piano d’appoggio, e incute inquietudine la tazza che si muove sfuggendo dal suo piattino, come nelle vere sedute spiritiche. Potrebbe trattarsi, ripetiamolo, di semplici e inoffensivi ‘trucchi’. Ma questo non è puro divertissement. Sempre citando il film, i quattro Cavalieri, grazie ad incredibili sortilegi e spettacoli di illusionismo, restituiscono al pubblico in visibilio il denaro estorto con raggiri e frodi da parte di banche, organizzazioni e imprenditori senza scrupoli, svelando così al mondo che le truffe e gli inganni di faccendieri fraudolenti e disonesti, stanno là fuori e non sul palcoscenico. Oggi il vero illusionista è come uno sciamano che illumina le menti: non maschera la verità ma piuttosto smaschera l’inganno e denuncia l’imbroglio delle menzogne quotidianamente spacciate per verità. Che sia così anche per il designer, che attraverso una pratica consapevole e borderline, abbia la possibilità di diventare uno smascheratore di false certezze, una specie di prestigiatore dell’era digitale? Gli oggetti del design illusionista, infatti, per come sono concepiti e per il fatto stesso che esistano, ci mostrano che ormai nulla è più originario e sincero, che i materiali, le tecnologie, la produzione, la comunicazione, tutto può essere illusorio e celare altro. Nell’instabilità che raffigurano ci parlano di mercato globale, di delocalizzazione, di prezzi, di valore e di quanto tutto ciò sia labile e fluttuante, esattamente come la borsa che viene giudicata di volta in volta ‘impazzita, depressa, in agitazione’. Difficile distinguere se questa è realtà o ipnosi collettiva. I prestigiatori-designer rappresentano il modo con cui inganniamo noi stessi, desiderando l’impossibile – come la perfezione, la felicità perenne, la sicurezza totale (da ladri, malattie, catastrofi naturali e no) – per poi rifiutare il conseguente e imprescindibile controllo totale. La
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magia e l’illusionismo hanno a che fare con la fiducia. Ci si può lasciare ingannare per un atto di fede cieca e acritica o ci si può abbandonare al sortilegio con la fiducia positi va di un arricchimento. Così, anche questi oggetti giocano abilmente con le aspettative di chi li osserva e li fruisce. Resta a noi la verità che, alla fine, vogliamo trarne. Ed ecco spuntare una miriade di oggetti che sembrano-ma-non-sono, che rompono le abitudini percettive e che generano illusioni ottiche, in bilico tra leggerezza e fragilità, eppure anche ingenui, perché ‘senza trucco e senza inganno’. “Più da vicino guardi, meno vedrai” continua a ripetere nel film l’illusionista al suo pubblico: la verità autentica è quella che si coglie quando ci si libera dai limiti di una visione miope, ristretta, schiacciata sul presente; la verità la si afferra spostando lo sguardo verso panorami prima non contemplati, o zoomando all’indietro per ampliare la visuale. Forse tutto ciò sta ad indicare che il design ha ancora una speranza, se, consapevolmente o meno, è in grado di smentire le nostre false certezze.
Pro trude è un semplice vassoio in legno sempre in bi lico, ma una pinza proget tata ad ho c da Yoy non lo f arà mai cadere . Sot t o: Sembrano ga lleggiare i ripiani in legno de lla serie TT di R on G ilad per Adele-c, e inve ce sono ben carena ti grazie ad un p ar ti co lare siste ma ad in castro che li rende varia mente aggre gabi li.
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Acc ant o: Pieter Von Bal tha sar h a cre at o un a serie di co mple menti che gioc ano con l o s tupore che ancor a de sta tut t o ciò che sfid a le le ggi del l a gr avit à.
Acc ant o: Magic W al l è un a mensol a ver tic ale , prodo t ta e dis tribuit a da Magic W al l , che at tir a e at tacc a a sé pent ole , apribo t tiglie , f orbici, col tel li, l at tine . S ot t o: C o me un a magi a, il qu adro Canv as del duo gi appone se Yoy si appende al muro o al l ’occorrenz a si tr asf or ma in un a sedut a nel l a qu ale sprof ond are .
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Pesante leggerezza
I nuovi tavoli si impongono nello spazio con forza iconica o delicatezza. Massicci, scultorei, extralong, materici (dall’acciaio al marmo). Oppure quasi eterei, trionfo di vetro, su esili sostegni, delicate linee in equilibrio grafico di Katrin Cosseta
poised table di paul cock sedge 500 chili di a cciaio cur vat o, per un tavol o che sembra in e quilibrio pre cario , frut t o di sofis tic ati c al coli s tatici. edizione limit ata di 10 e semplari. 100/200 x 72,4 cm.
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1. Octa, di Bar t oli Design per Bonaldo , ta vol o con pian o (200/250/300 cm) in le gn o la cc at o, massel l o, ceramic a o cris tal l o, base a ot t o gam be in met al l o vernicia t o o cr omat o ispira ta al l o Shanghai. 2. Boler o, di Rob er t o L azzer oni per Pol trona Fra u , tavol o con pian o impial la ccia t o in fra ssin o tint o wengÊ c on la vorazi one a int arsi o, in cui ma cr o te ssere di le gn o compong on o un gi oco di vena ture orizz ont ali e ver tic ali. G ambe in le gn o massel l o di fra ssin o tint o wengÊ , a sezi one triang olare . 300x100 x74 cm. 3. Margut ta di Fendi Ca sa , tavol o ret tang olare con t op in e ssenza di sic omor o ebanizza t o, la vorazi one tipic a del l ’Ar t DÊco, e inser ti di a cciai o con finitura in br onz o. L e gam be, in a cciai o con finiture in br onz o satina t o, se gu on o il dise gn o sul pian o. 300 x120 x75 cm.
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1. brick 33, di paola na vone per ger vasoni , Tavol o con b ase realizza ta con sezioni di tronco di wrigh tia scor teccia to e in taglia to a mano , piano re ttangolare 240 x100 cm in lamiera di ferro cera ta. viani per misuraemme , Tavol o 2. ala , di ferruccio la fisso con gambe in le gno s agoma to in fini tura ro vere melange , cenere o tin to nero e piano semio vale in marmo Tra ver tino S il ver Bro wn, Cala catta O ro , Bianco Carrara oppure in ve tro vernicia to. 250/280x103x74,5 cm. 3. F or hal l table di Paol o Castel li R &D Team per Paol o Ca stel li , tavol o con piano in marmo S ahara N oir, nero con vena ture col or ruggine . L a b ase è compos ta d a 16 gambe in me tal l o con fini tura gal vanic a rame bruni to e sp azz ola to a mano , dispos te con diverse inclinazioni. 4. dri tto, di Piero L issoni per sal vat ori , tavo l o con piano o vale o re ttangolare in marmo e pie tre na turali in varie fini ture come il L itho verde , materiale e co-comp atibile , e gambe in ferro . 220x 90x73cm.
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5. Tobi- Ishi di Edw ard Barber & Jay O sgerb y per B&B Italia , tavol o ro tondo (diame tro 162 cm) nel la nuo va versione in la cc ato l ucido S moke Bl ue o Cand y R ed , che comple ta le propos te in cemen to e marmo . 6. N eto, di R odolf o Dordoni per Mino t ti , tavol o con Base a c alice in poliure tano s tru tturale la cc ato l ucido col or pel tro e piano in mdf impial la ccia to paliss andro l ucido o op aco , ro vere la cc ato moka a poro aper to, la cc ato l ucido viola o s and . dimensione ma ssima 300 x120 x74.
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7. bedrock plank , di terr y dw an per riv a1920, tavol o con piano in ma ssel l o di noce con bordi na turali, del l o spe ssore di 5 cm, e b ase in ferro grezz o f orgia ta e s ald ata a mano . 220/300x 90/100x76 cm.
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Light Vergla s, di Piero L issoni per Gla s It al ia, Tavol o com pos to da vol umi sc atola ti in cris tal l o tra s paren te ex traligh t mm.10 tempera to, ottenu ti con com ple sse la vorazioni di incol la ggio . Il piano , a paral lele pipedo aper to sul le due e stremi tà, è sorre tto d a due b asi a ‘T’. 250/300x 90/100x77 cm. Elaborazione f oto di enrico su à ummarino .
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1. Arki table , dise gn at o e prodo t t o d a pedrali , tavol o con pi ano ul tr aso t tile in s tr atific at o di 6 mm, g ambe a caval let t o in acci aio e suppor t o in e struso di al l uminio . dimensioni m assime 360 x120 x74 cm. 2. Element , di T okujin Yoshiok a per Desal t o , tavol o (ret tangol are fino a 3 mt, ro t ondo o qu adr at o) scul t ore o con b ase f orm ata da un sos te gno met al lico inclin at o. Propos ti nei col ori bi anco e nero , i tavoli h anno pi ano con rive stiment o in ro vere a poro aper t o, cris tal l o op aco nero , ferro grezz o finit o a cer a e ino x l ucid at o a spe cchio . 240/300x 99x72 cm. 3.spil l o, di d amian wil li amson per zano t ta, tavol o con g ambe in le g a di al l uminio l ucid at o o vernici at o e pi ano in cris tal l o temper at o, vernici at o o rive stit o in cement o con finitur a acrilic a. dimensione m assim a 200x100 x74 cm.
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1. Gazel le , di Park Associa ti per Dria de, tavol o con s trut tura com pos ta d a tre telai in a cciaio vernicia t o per pendicolari tra l oro , in qu at tro col ori. Il piano è dis ponibile in mdf finitura cement o o bianco . 210/240/270x 90x73 cm. 2. Hos t, di R odolf o Dordoni per Poliform , tavol o con s trut tura in met al l o trafila t o s atina t o e vernicia t o gri gio . Il piano è dis ponibile in vetro vernicia t o o paco e l ucido o in marmo , su ppor tat o d a un pannel l o in le gno la cc at o o paco nero con cornice perimetrale in met al l o trafila t o s atina t o e vernicia t o gri gio .320x100 x74 cm. 3. V il la R ose , di F rançois Azambour g per L igne R oset , tavol o con s trut tura a c aval let t o in ro vere nero e piano (180 x 100 cm) in vetro 12 mm.
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4. domino , di andrea L uc ate llo per cat telan it alia , tavolo con b ase in ma sse llo di noce cana let t o o fra ssino tint o ro vere brucia t o, mix noce -ro vere o lacc at o a poro aper t o mu ltico lor. Piano in cris tallo tra sparente o extra chiaro . dimensione ma ssima 254 /120/75 cm 5.F iligree , di R odo lf o Dordoni per mol teni& C, tavolo fisso o a llungabi le con s trut tura in a lluminio pre ssofuso lucido o cromo nero , piano in e ssenza (ro vere nero , ro vere moro , ro vere grigio , olmo, olmo scuro ), lacc ati op achi, vetro lacc at o e vetro co lora t o a cid at o, gre s. massima e stensione 278/ 98/74 cm 6. air wi ldwood , di d anie le lago per la go , tavolo con piano in ro vere vissut o, rea lizza t o in co llaborazione con L ist one giord ano . N elle te ste , il legno viene lavora t o in modo d a creare una c avit à che lascia intra vedere la sezione de l tronco , o in a lterna tiv a può e ssere rive stit a in vetro co lora t o. dimensione ma ssima 250 x100 x76 cm.
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EnGLIsH TexT INtopics
INteriors&architecture
editorial pag. 1
The forms of time pag. 2
From a noble French castle to an old building in the Gothic barrio of Barcelona, a radical conversion of functions to a simple, specific addition, the dynamic of reuse in architecture never fails to produce innovative content and new proposals of habitat quality. In both public and private spheres. At least in the examples we have selected, from Marseille to Barcelona, Orléans to New York, covering many different typologies: museums, low-cost housing, traditional townhouses and much more. Because efforts in the fertile field of existing environmental features, in the works of designers of international caliber, from Benedetta Tagliabue to Winka Dubbeldam (two women), Jakob+MacFarlane to Moatti-Rivière (two French studios), just to mention some of the names in a wide ranging investigation, means coming to grips with the theme of cities, their modernization and transformation in a more hospitable tone, in tune with the spirit of the times. Though with different approaches and results, it means sharing the viewpoint – to quote Rafael Moneo, protagonist of an interesting Master Class in Bologna – that buildings are not just objects, shells, forms, images and functions; they are also connected to the contexts in which the exist. Every opportunity becomes a possibility for learning, too, changing the scale, in the interpretations of design furnishings. While the pieces created by Paola Navone for Crate & Barrel narrate everything that is needed to prepare an unforgettable dinner with friends, the Brazilian artist-designer Claudia Moreira Salles, with great mastery of the pencil and materials, reminds us that rigor, curiosity and experimental pragmatism can truly be boundless. Gilda Bojardi The Borély Museum in Marseille, a project by Moatti-Rivière. Photo F. Felix-Faure
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project MIRALLES TAGLIABUE EMBT photos Marcela Grassi - text Antonella Boisi
In barcelona, in the gothic barrio, a building with eight apartments, restructured on a tight budget, recovers the traces and values of traditional catalan architecture, while adding new spatial breadth and light thanks to the project organized with rigor and feminine sensitivity by benedetta tagliabue, an international design protagonist How does Benedetta Tagliabue, an Italian based in Barcelona, an internationally acclaimed architect, at the helm of the studio EMBT since 2000, the year of the death of Enric Miralles, her husband and partner in projects that have left their mark on architectural history, interpret the theme of livability? A look at this recent project, summed up in the title 8 Flats Low Cost Renovation Barcelona, 2013, can be enlightening. We are not talking about her more famous ‘public’ works, like the Scottish Parliament in Edinburgh, the restyling of the Santa Caterina market in Barcelona, the Spanish pavilion at the Shanghai Expo, a structure in steel clad with wicker panels, for which she received the RIBA (Royal Institute of British Architects) International Award 2010. This is a ‘private’ project, done on a tight budget: the restructuring of a building in the Gothic barrio of Barcelona, the oldest, most evocative and decadent section of the city, to organize 8 housing units of variable size, from 40 to 110 m2, conceived for a dynamic social profile (students, singles, small families). Less complex than other projects, perhaps, but one that communicates something important: “The idea of the house as a place of comfort, welcome, relationships with the outside, because there is no different in the approach to different scales, from the spoon to the city, public to private, the master plan to interiors to furnishings,” Tagliabue explains. “I am not interested in specialization. Architecture, for me, remains a moral need: a process of improvement of what exists, that can produce the result of making the people who use a space, a place, a city, feel better,” she goes on. “Because if we come to better terms with one dimension, we become more refined in terms of perception, taste, moods, openness to the outside world. In the end, public space is an extension of the vital space of the home. And the pacifism of a city coincides with the pacifism of dwelling. The city and the home are both places of civilization.” The slogan “better city, better life” of the Spanish pavilion at the Shanghai Expo sums up the meaning of the challenge for architecture of this designer who believes in an ethical-aesthetic construction based on the interface of innovation and values of memory. This can fully be seen, by analogy, in the renovation of this Catalan building that was in a state of ruin, suspended amidst the labyrinths of
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Inter ni novembre 2013 Gothic, Renaissance and Baroque stones, chipped and layered through various renovations, permeated by a high density of historical remnants inherited from reconstructions are bombings and fires in the city. “The main priority was to bring light into a sequence of spaces. Unlike most projects, this one was almost entirely designed on the worksite: few drawings, a skilled working team, from the mason to the smith, the carpenter to the electrician, optimizing local resources and recouping the value of humble techniques, recycling as much as possible. To restore the identity of a building dense with materials and constructive elements linked to the Catalan tradition. A discovery, and also a divertissement: we found original parts like Gothic arches, fragments of frescoes, ceramic tiles, terracotta floors, wooden beams under layers of plaster.” The renovation coincided with the structural remake of the roof, the cleaning and repair of the stone streetfront, with small iron balconies left as they were, framing glass doors and windows with new casements. The interiors of the eight apartments have been completely redesigned, even in terms of layout, to make them as open and fluid as possible. Space and light were the goals: “as much light as possible, an ancestral yearning in this part of the city.” The strong point of the project: new partitions in wood and polycarbonate that flexibly organize walls and doors with a variable geometry, like light, flexible wings, comparably to true internal windows. Wood (pine, in this case) has also been used to make the essential counters and basic elements of the kitchens. After that, for the choice of the furnishings, everything has been left up to the creativity of the residents. “This overlay of old and new architectural elements becomes very dynamic, because the building
Dynamic network pag. 8 project WINKA DUBBELDAM/ ARCHI-TECTONICS photos Richard Powers text Antonella Boisi
In CHELSEA, New York City, an addition to a traditional TOWNHOUSE, already renovated in the past, becomes an opportunity to explore new compositional grafts of an organic-sculptural nature The design of an addition to this building in the heart of Chelsea, in New York City, is one of the most recent projects of the studio Archi-Tectonics, headed by Winka Dubbeldam. A townhouse in stone and exposed brick, with the classic long, narrow layout, which the architect – born and raised in Holland, trained at Columbia University under the guidance of Bernard Tschumi – had already renovated a few years ago. The new extension has been made to contain two more floors and a roof garden. The same client, a fashion designer, and the same architectural approach: a series of compositional grafts of an organic-sculptural nature, based on strong materic character and lightness, as if cut out of sheets of paper, while also evoking the image of certain bronze totems of Constantin Brancusi. The novelty lies in the configuration of the inclined curtain wall that sets the pace and the texturized effect of the facade towards the flourishing inner garden. The result of geometries organized with sophisticated 3D models, the wall is like a fluid membrane of steel and glass, a bent and curved grid that becomes the protagonist of the spatial construction, offering light and dynamic visuals. Mixed with the insertion of burnished rosewood planks and glass doors offering direct access to the garden and the terrace, it acts as a filter and connector of the four levels of the present dwelling. The floors are organized as follows: the lower level contains three zones for guests, office-studio and library; the level above (corresponding to the zero level of the entrance) is for the living area, an open space containing living, dining and kitchen zones; the first floor hosts the master bedroom suite, with direct access to the terrace-belvedere. The second and last floor contains two more bedrooms, a large bath and a TV room. While at level -1 of the garden there are three large pivoting glass doors extended along the length of the facade to play an unusual visual role – they project the figure of the library outward, as if it were part of a continuous living area – at the entrance level the external staircase with wooden steps and a metal railing permits connection to the green island, created at the lower level. In this portion of the house that
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acts as a mirror that reflects the signs, forms and passages of time. In the skin of the enclosure. On the walls, white provides order, stripes of color bring the past, its variety, new textures,” Tagliabue concludes. So the colored tiles salvaged from floors speak of Catalan modernism, the richness of tastes and traditions of architecture in Barcelona, a polyphonic city. - pag. 2 Longitudinal section and view of the streetfront of the restructured building, in the heart of the Gothic barrio. In the foreground, the wooden entrance door. Facing page: the continuous sequence of rooms emphasizes the openness of the spatial construction and the luminosity of an apartment on the second floor, after the intervention of Benedetta Tagliabue. Custom kitchen block in pine. - pag. 4 Total white and pine wood expand the rigorous, light image of the enclosure, while the walls become portions of ‘spontaneous frescos’, poetry of original material rediscovered and enhanced by combination with new textures. - pag. 5 Another restructured apartment in the building, based on the logic of optimizing local resources. The multicolored floor tiles evoke images of Catalan modernism. Note the new chromatic touches on the ceiling, paced by the renovated brick vaults. - pag. 6 Each of the eight apartments has been freely decorated by the residents, mixing contemporary design and found objects. The measured imprinting of the enclosure, the skin of the surfaces and the open composition of the spaces, in any case, fully convey the idea of the home of Benedetta Tagliabue, as a place of welcome and relations with the outside world. - pag. 7 The strong point of the project: the new partitions in wood and polycarbonate, true internal windows that integrate dividers and doors with variable geometric arrangements. Lightness and transparency to obtain the greatest possible quantity of light, an ancestral need in this part of the city.
encloses the living zone, the facade takes on the role of a glass curtain wall, an interpretation of the Cartesian geometric grid in a field of continuous transparency. By contrast, the linear design of the interiors reminds us of the open, flexible layout of American lofts. But this would be a loft with a more romantic, intimate atmosphere, rather than the rugged postindustrial tone of the archetype, as underlined by the carefully selected materic-chromatic range, with wood from Siberia used for all the floors. Or by the presence of a large stone fireplace in the living area, a full-height monolith that blends with the gray walls conceived as neutral backdrops, and the frosted glass of the design kitchen produced in Italy (Valcucine). In the overall orchestration, another element becomes a protagonist: the full-height wooden spine, milled and sculpted on both sides with numerically controlled machinery, and set on a structural metal cage, which is the main element of compositional reference between the living room and the area of the entrance and the landing of the staircase. Like a dynamic boiserie, it functions as a spatial diaphragm, integrating two sliding portions that permit flexible use of the spaces, while the suspended ceiling contains indirect lighting fixtures in special recesses. This latter detail is important, because artificial and natural light are outstanding features of the house. Especially the zenithal light that enters from the skylight in the roof above the internal staircase connecting the two new levels. - pag. 8 In the overall composition, the unity of the outdoor spaces is emphasized by the materials, stone and wood, and in particular by the horizontal planks of burnished wood that cover the perimeter walls like a second skin. In the drawing: exploded axonometric of the project. On the facing page, the new internal facade on the garden: a sloping geometric texture of metal and glass, with planks of burnished rosewood paneling the upper part. A rigid but light structure. The pivoting glass doors create ideal continuity between inside and outside at the garden level. - pag. 10 View of the living area, a fluid open space on the g ound floor. The Vermelha chair by Fernando & Humberto Campana for Edra fills the one organized around the fi eplace, a monolith in treated stone, floor to ceiling, designed by the architect. - pag. 11 Other views of the zones of the ground floor, a unified who e containing living, kitchen and dining zones, as underlined by the Siberian wood floors. The dining area faces the glass facade. The full-height wooden partition, sculpted and milled by numerically controlled machines, functions as a spine with respect to the entrance-landing area, acting as a dynamic sliding boiserie. - pag. 12 The volume of the linear staircase in dark wood and glass that connects the two new upper levels of the house, set aside for the bedrooms and relaxation. The large bathroom on the top floor. Spare selected furnishings in white stand out against a darker neutral backdrop. - pag. 13 The master suite, on the fi st floor, communicates directly by means of three pivoting glass doors with the terrace-belvedere over the internal garden, a wooden box lined with burnished rosewood. In the foreground, the Butterfly chair by Johnny Swing.
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Nude ArcHITecTure pag. 14 project TENSE ARCHITECTURE NETWORK project team Tilemachos Andrianopoulos, Kostas Mavros,Nestoras Kanellos structures Athanasios Kontizas photos Filippo Poli - text Alessandro Rocca
On the outskirts of ATHENS, the charm of RAW CEMENT is back in a new guise; the rugged material reminds us of LE CORBUSIER, but also the concrete art of IANNIS KOUNELLIS, 1970s BRUTALISM, and the anti-aesthetic of the American MINIMALISTS The elegance of rugged materials, solid walls, dark-hued cement and black stone floors. The alternative to the sleek white of minimalists the world over is a return to matter, weight, structure, the violent contrast of differences in an atmosphere that combines the postindustrial style of the American loft with the exposed concrete of modernism and the aesthetic indifference of Minimal Art. One good example can be found in Kifissia, the residential suburb of Athens where the young Tense Architecture Network team has made an apparently very strange villa, a sort of nude concrete block set on top of a solid support wall. At first glance is seems like a crude construction, almost an industrial facility or a water tank. But a closer look reveals that the basic block is full of imagination and surprises. This effect will be even more complete when plants invade the metal grid, and when two other equally boxy and precise volumes are added to the composition. Inside, the volumetric layout offers a simple sequence of spaces with very careful control of natural light: the living room has the cool shade of a portico that forms a contrast with the stairwell, in full light. The kitchen and dining area is sheltered by a continuous wall that produces a dense luminosity, reinforced by the burnished crystals of the long dining table made of four parts, a custom piece designed by the architects. In the living room of the lower level the light enters in abundance through the transparent stairwell. The upper level contains the bedrooms, that of the parents and the larger space for two young children; here the natural light is strong, but will be filtered (when the plants have grown) and tempered by the pergola. For the moment, with the building still nude, what stands out is the impressive tectonic system that transforms a small construction into an authoritative, imposing structure, almost a monument. The risk of being rhetorical is banished by the brutal, crude approach, bringing out the rugged character of the material. Brutalism, born with the exposed reinforced concrete used by Le Corbusier after World War II, returns today in a completely different spirit. There is no longer the technological emphasis on industrial materials, since no one would be enchanted today by the aesthetic of machinery and mechanical production. Cement has simply become a basic material, by now, and we may even have seen too much of it. But today’s neo-Brutalism seems like a protest, or at least an al-
The poem of the wandering boulder pag. 18 project MODUS ARCHITECTS (Sandy Attia, Matteo Scagnol) photos Oskar Da Riz - text Alessandro Rocca
In the mountains, on a steel slope overlooking the valley of the adige river, a residence with the pose of a glacial erratic, suspended halfway up, a solid and enigmatic volume with a surprising space inside it Building in the mountains often means building on a slope, making terraces, locating stones for retaining walls, providing shelter against intense cold and icy winds, enjoying the bright sunlight of high elevations, and the luminous glow of fallen snow. A home in the mountains, today, also has to establish a dialogue with environmental conditions, nurturing intimacy while at the same time capturing light, opening to air and the landscape. Inside, the house has to offer the comfort and luxury of fine materials and finishes, while hopefully avoiding international clichés, interpreting the sober discretion that is such a clear part of mountain culture. Matteo Scagnol and Sandy Attia, of the studio MoDus based in Bressanone, are young but already renowned, thanks to certain important projects like the landscaping of the Bressanone bypass, the headquarters of the lumber supplier Damiani Holz & Ko, and many private residences. In their professional career, starting in 2000, experi-
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ternative, to the minimalism of the 1990s, its total white, its obsession with polished surfaces and the concealment of the density of materials, structures and constructive details. So pure image is replaced by a sculptural materiality where the sensory and emotional spheres take over. In the house at Kifissia, the perception of the building shifts from visual to tactile, from the eye to the hand and the foot, with the rugged walls of rough cement, the black basalt floors, the smooth steel surfaces of the staircase and the roof pergola. - pag. 14 The ground floor plan shows the volume divided between the kitchen and living area, which can become an extension of the garden. The outer entrance leads to the zone shaded by the suspended volume offering direct access to the living area. - pag. 15 Towards the street, the villa looks like a cement block resting on a spine wall; in the future, climbing plants will conceal the concrete behind vertical vegetation. - pag. 16 The floor at garden level, with the oak kitchen and four-part dining table, both custom made, and the living room. The ceiling lamp, like all the other lamps in the house, is by Viabizzuno. In the background, the staircase leading to the upper level and the grille of the future vertical garden. - pag. 17 In the drawing: the section shows the importance of the climbing plants that will grow on the supports to completely change the image of the villa. Right, view of the living area from the garden, with the details of the sliding curtains and glazings, and the encounter of the three different floor/ground surfaces in raw basalt (outside), polished basalt (inside) and grass. Below, a second, more intimate living zone in the basement, brightly lit through the transparent walls of the stairwell. Detail of the upper level with the washstands directly facing the bedroom, while the toilets are inside the curved wall. Plan of the upper level with the bedroom zone: the master bedroom is a large, flexible space, with sliding walls to separate or join two other bedrooms.
mentation is the main focus, and their architectural works feature a very wide range of different materials and solutions. The eclecticism is only apparent, because their identity emerges through certain recurring, recognizable qualities: in lamellar wood or exposed concrete, glass boxes or closed blocks, the constants are freedom of research, the desire to liberate forms from pre-set schemes, the display of constructive, visual and tactile qualities of all materials and every architectural feature. With this villa commissioned by the Kofler-Neumair family, after conversations with a range of different architecture firms, MoDus adds a very forceful link to their chain of elegant works, a project that responds to the demands of the program and the conditions imposed by the site in a confidant way, as in the finest Italian tradition, capable of conceptualizing project themes and translating them completely, without excess or rhetoric, into construction. The subtle thinking and concrete results remind us, for example, of the way Gino Valle was able to balance the tension between lightness and weight, closure and openness, making volumes levitate and alternating massive solid walls with openings with Venetian overtones. We are also reminded of Valle’s ability to be very simple and, at the same time, very sophisticated; simple when possible, when being simple is sufficient, and sophisticated when complexity is necessary, because otherwise the problem could not be solved. In this project MoDus manage to take this difficult path in complete safety, never taking shortcuts, approaching every problem and solving it inside the logic of the design. This approach achieves a very specific type of elegance that has to do with the idea of ‘sprezzatura,’ the effort not displayed and seemingly gainsaid by the fluidity and consistency of the achieved effect, deceptively hiding the difficulties involved. Just as an orator, to be more persuasive, pretends to talk off the cuff, or just as a gardener, to get a natural effect, works to hide his own traces, so MoDus offer us a project closed off in its exact form, not based on abstract theoretical models, but on the con-
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Interni novembre 2013 crete quality of work that includes tradition and modernity, the needs of comfort and spatial quality. The result is the architectural spectacle of the irregular prism, that returns twice: in the landscape, resting like a roving boulder on the side of the mountain, and in the hollow interior, with a prismatic, rotating void that is like a three-dimensional stage connecting the spaces, paths and gazes of domestic life. - pag. 19 In the small image, view of the Kofler-Neumair house in Caldaro, about fif een minutes from Bolzano, with the plaster walls and retaining walls in granite blocks. The stairwell featuring Taraxacum, the lamp designed by Achille Castiglioni for Flos; the landing is lit by the Eklipta by Arne Jacobsen, produced by Louis Poulsen. Floor in heat-treated oak, like the parapet; flooring in the living area, on the lower level, in Travertine stone. - pag. 20 Two views of the facade on the garden with the double-glazed window with burnished bronze frame, interrupted by bronze panels with a large oak handle. The pavement is in solid oak, in front of
THe TurBuLences pag. 24 project JAKOB + MACFARLANE ARCHITECTS art Electronic Shadow photos Roland Halbe - text Antonella Boisi
Architecture blends with art at the new frac of orléans, which becomes a landmark with a high degree of technological spectacle, integrated with the historical fabric of the french city Dominque Jakob and Brendan MacFarlane are a duo of architects who experiment with digital technologies and new materials, in a methodological approach that is not above disciplinary hybrids and ‘special effects’ in architecture, expressed through an eloquence of sign that always adds the thrust of modernization to the contexts in which they operate. That is what has happened in the project for the Docks of Paris, the City of Fashion and Design, in 2008, and before that for the Georges Restaurant at Centre Pompidou (Paris, 2000), just to name a couple of their more famous projects. The same can be said of the new FRAC in Orléans, a contemporary art center, the 12th of its kind open in France, shortly after the one in Marseille designed by Kengo Kuma, of the 23 Fonds regionaux d’art contemporain (30th anniversary this year, to celebrate this interesting policy of circulation of works and culture). In this case the signature of their project is a roof that reflects the value of structural texture inside a place, coping with the issues of historic environmental presences. The skin is made of a prefabricated tubular structure covered with anodized aluminium, fitting into a complex featuring 19th-century buildings. The addition, in metaphorical terms, is known as The Turbulences, precisely due to its volumes in motion that make it a new urban landmark, emphasized by the artists of Electronic Shadow (Niziha Mestaoui and Yacine Ait Kaci) who have partially covered the structure with an interactive veil of light, programmed in real time. The material reflects the fusion of architecture and art, the mission of the museum, which contains a collection of 15,000 drawings of experimental architecture, 800 models and 600 works by artists, in a composition that calls for about 370 m2 for the permanent exhibitions, 1000 m2 for temporary exhibitions, 180 m2 for educational facilities, and then a cafe, a bookshop, an auditorium and a documentation center. The entire interior of the building, on two levels, contains white, immaculate spaces, rows of arched windows, exposed physical plant conduits, inclined pillars that cross the spaces, white display fixtures like monolithic islands of different geometric forms, suspended with steel cables. The opening of the new FRAC in September
The BoréLY Museum in Marseille pag. 28 project MOATTI – RIVIÈRE Architecture et Scénographie photos F. Felix-Faure - text Matteo Vercelloni
South of marseille, as part of the projects around the city for its turn as european cultural capital
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INservice TRAnslations / 101 the lawn, and Sarentino porphyry.The dining zone, at the center of the living area, is organized with the Sloane table by Philipp Mainzer, produced by E15, and the CH24 Wishbone chairs designed by Hans J. Wegner in 1950 for Carl Hansen & Son; in the living room, the historic Pelikan chair designed by Finn Juhl in 1940. These icons of Nordic design are distributed in Milan by McSelvini. Plan of the ‘piano nobile,’ with the variegated space of the two living zones, the open space of the kitchen and a guestroom with bath. The upper levels contain the bedrooms; all the rooms are organized around a the large three-story volume of the stairwell. - pag. 23 The dining zone, with built-in halogen lights by Kreon; the floor is in sheets of Travertine stone of different sizes, laid without cracks; in the background, a custom bookcase. The island of the Leicht kitchen is faced in dark oak, while the worktop is in quarzite (Quartz by Ceramiche Caesar); lighting by Zumtobel with LEDs inserted in a custom element; the fi eplace, faced in Travertine, was made by the Pöhl company of Caldaro. The bathroom on the third floor. The window has a dark oak cornice and frame in painted wood; the floor is in resin; washstand and tub from the Spoon line by Agape; faucets by Fantini.
coincided with that of the ninth edition of Archilab, the international laboratory on the most advanced architectural research. This year’s theme was Naturalizing Architecture, a way of exploring projects through digital tools, in keeping with the principles of nature: “Because architecture can be compared to an organism capable of evolving and adapting to the environment.” A start that fits right in which the project approach of Jakob + MacFarlane. “We have shifted the center of gravity towards the heart of the site, the internal courtyard,” they explain, that of the old 19th-century military warehouse that contains the FRAC and from which the renewal of the facility has been distilled from the interpretation of the roof. “The new urban signal – the turbulence – emerges as a dynamic module on the basis of parametric deformation and extrusion of geometric matrices of the existing buildings. It involves the entire U-shaped site and self-generates precisely starting with the encounter-convergence and interpretation of the forces at work there. Inside the square courtyard, conceived as a public plaza, a place of material and immaterial interchange, a topographical surface follows the level differences towards the museum entrance to configure the connection of the volumes and the program of the center, drawing the flow of visitors towards the exhibition spaces.” The higher turbulence frames the temporary exhibition space, while the lower one is for an audiovisual gallery, and the third for a lobby area, with retail and lounge annexes, the latter extending outward into the garden designed by the studio ruedurepos (Christophe Ponceau and Mélanie Drevet). The demolition of an existing building and of the wall along Boulevard Rocheplatte have made it possible to open the new complex towards the city, with a game of contrasts between lightness and bulk, light and shadow: the faceted portions of glass and metal reinforce the visual dynamics of the turbulences, which in the lower part are in concrete panels, underlining the continuity of the buildings with the courtyard, while in the terminal part they become two eyes pointed skyward, seemingly generated by thrusts from the earth. The essence of the genius loci, finally, is revealed in the encounter with the interactive skin of light developed by the artists of Electronic Shadow: a place devoted to experimentation of all kinds. Because the hundreds of diodes, which use the construction lines of the turbulences to pass from point to line, surface to volume, image to media-facade conforming to a reticular grid, define a breathing skin for the audience and passers-by. A dynamic form of architecture of information. - pag. 25 The FRAC stands out as a landmark in the city of Orléans, an urban signal of the activities of the museum, conveying information flows in images of light, thanks to the artistic contribution of Electronic Shadow. The skin-texture of the turbulences is materialized in a tubular structure clad with anodized aluminium, integrated in a complex of buildings from the 19th century. - pag. 27 In the drawings: ground floor plan with staircases, and longitudinal section. Views of the interiors of the new FRAC, which contains a collection of contemporary art and experimental architecture, including 15,000 drawings, 800 models and 600 works.
in 2013, the renovation of the spaces of château borély, transformed to make a striking museum of fashion and the decorative arts Château Borély, built in the 18th century, with a formal garden facing the sea in the park of the same name to the south of the city, not far from the beaches, contained an Archaeological Museum for many years. After the museum’s move to the Centre de la Vieille Charité, the spaces of Château Borély were closed for a decade, awaiting a new function. The big structure on the outskirts of town built by a wealthy family of merchants in the Bonneveine district still has its monumental character, as well as
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the decorations in the interiors by the artist Louis Chaix, from nearby Aubagne. Isolated between a courtyard facing towards the city and the garden with a central esplanade introduced by a large fountain, the symmetrical, regular building with specular facades, marked by a central volume with a tympanum and friezes, has been restored in a conservation project, including the adjacent pavilions. The activation of its urban role has come with the creation of the new Musée des Arts Décoratifs et de la Mode, grouping different collections previously scattered around the city. The interior design and museum organization are the result of a public competition, won by the Paris-based studio Moatti-Rivière. This year the spaces were opened, after being reinvented with great care and a contemporary sensibility. The project essentially relies on the original character of the bastide, the size of its rooms, the internal routes that from room to room offer the discovery of different situations and atmospheres. While the series from the entrance to the grand flight of steps, the gilded hall and the chapel, to the private rooms on the first floor once presented a carefully coordinated hierarchy of domestic environments, today that spirit has been conveyed and enhanced in terms of the functioning of the museum, in a brilliant solution that mixes the two dimensions. Large sculptural seashells in colored resin descend from the ceilings like sculptures, containing climate control and lighting systems. Contemporary surfaces of great impact that above the level of the restored cornices replace the ceilings, adding an evocative decorative dimension. The original hexagonal terracot-
MaIson GiaDa pag. 32 project CLAUDIO SILVESTRIN ARCHITECTS photos Andrea Martiradonna text Antonella Boisi
In the exclusive setting of via montenapoleone, in milan, the first boutique of the italian clothing brand giada: when fashion meets architecture Occident and Orient. The meeting of two worlds, for Giada – the Italian clothing brand, with Chinese ownership – dates back to 2005, when Rosanna Daolio, founder and head designer, made a strategic partnership with RedStone Haute Couture of Yizheng Zhao, a Chinese company specializing in the marketing of luxury brands. Today Giada, founded in Italy and developed in China, has come back home. To Milan, Via Montenapoleone, the perfect location. “I’ve made the dream happen. In the face of the business, I have defended the quality of Made in Italy, its rigorous taste and artisanal know-how, combining it with the Chinese entrepreneurial vision. Creative design and research-development of the collection, which includes women’s garments with a minimal but not severe look, and chic accessories with a cosmopolitan spirit – they were and are, in fact, Italian; the fine natural fabrics are produced in Italy by Loro Piana, Lanerie Agnona, Lanificio Luigi Colombo, Luigi Verga, and others; the handbags, footwear and small accessories are made in Florence,” the fashion design born in Reggio Emilia, trained in the Max Mara group, with her own studio in Milan since 2000, explains. The first flagship store in the heart of the fashion capital was opened in September, with architectural design by Claudio Silvestrin, a name that requires no introduction on the international design stage. Not just because it was hard to resist the charm of his experience with the boutiques of Giorgio Armani, but also because his vision of architecture as a visual poem always takes on new, enticing forms. “I wanted to imagine a space without traditional furnishings like chests of drawers, tables, cabinets, with forceful materic presences, where the architectural signs would convey a sense of durability over time. In perfect tune with the values of Giada,” says the Italian designer based in London (and the world). His architecture – strong but not aggressive, luxurious but not ostentatious, tactile and made with great attention to detail, an austere setting for clothing certainly not created for fashion victims, is
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The memory that conceals memory pag. 38 by Andrea Branzi
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novembre 2013 In tern i ta tiles, partially recouped, become the red thread for the interpretation in the same form and variable scale of new materials like marble, bronze and wood for the floors. Custom lacquered furnishings, tables and display counters only partially replace the furnishings of the past still found in the rooms, reinterpreting their sizes and figures to host the new collections placed under glass, as in the essential, elegant vitrines made by Goppion. On the first floor, in the central space set aside for contemporary glassware, with works by Ettore Sottsass, a large square table with a raised circular zone surrounded by built-in LEDs presents the works, while as in the other rooms the perimeter walls with boiseries and restored decorations establish an intense dialogue between past and present. - pag. 29 Two exhibition spaces on the ground floor of the Borély Museum. The restoration of the original boiseries is joined by contemporary elements like the rigid lacquered seashells of the suspended ceilings that conceal the climate control system and technical spaces, and the bronze-tone flooring of the entrance. The display cases for the ceramics collections, with a refined lig ting system, are produced by Goppion. On the facing page, the facade of the museum towards the courtyard facing the city. (photo M.V.) - pag. 30 To the side, the red room on the ground floor. At the center, the entrance hall on the fi st floor with the display table for contemporary glassware. Below, project drawings. - pag. 31 Another exhibition space, on local ceramics, with raised wood flooring that reproduces, on a larger scale, the hexagonal form of the original tiles, conserved in various spaces and taken as the guiding form for the new floors.
expressed as usual through a few selected materials and orthogonal geometries influenced by Fronzoni, to focus attention on the materials and the workmanship, the precious fabrics and linear silhouettes of the garments. A shared DNA. Dolomite stone, cast bronze, natural cowhide and wood: the chosen materials are deployed in a homogeneous way in the spaces of the ground floor (53 m2) and the second level (155 m2) set aside for Giada (the third floor contains the showroom, while the first is for another brand). Like a treasure chest, in the monomateric setting dominated by the white porphyry of the walls and floors, which expands the visual perception of the spaces, the garments and accessories are enhanced by artfully scattered monolithic cast bronze display fixtures made by skilled craftsmen. The colors of the earth on the ground floor are combined with another element of a symbolic nature, adding great character to the place: water flows on the wall to the right of the entrance, in a cascade producing sounds that attenuate the noise of the city outside. This welcoming wall of water captures the gaze, like the totems in natural hewn mustard-colored stone, aligned with the suggestions of classical colonnades, which instead represent the fil rouge between the two levels of the boutique, connected by a marmorino staircase in the same tone as the white porphyry. The balanced counterpoint of natural cowhide used for the dressing rooms, the dark brown doors and the elevator leading to the second level, which also contains the VIP room, complete the set, adding soft warmth to the spaces. The next step: to occupy the whole 19th-century building on Via Montenapoleone, from the ground floor to the fourth floor. The dream of Giada, then, is just beginning. - pag. 32 The entrance area and the windows on Via Montenapoleone. To the right of the entrance, the wall in white porphyry, like the floor, with the welcoming waterfall. The dense rhythm of the columns in mustard-colored natural hewn stone underlines the vertical thrust of the spatial construction, beyond the white painted plasterboard ceiling. Another strong point of the design: the monolithic display fixtu es in cast bronze for the accessories of the Giada collection. - pag. 34 Views and glimpses form a sequence in the monomateric enclosure in white porphyry and water, with forceful architectural features. In contrast, a few, selected furnishings, in the traditional sense of the term. Curule chairs by Pierre Paulin for Ligne Roset, the Dema chair for the VIP room, and Giada lamps by Martini Light, product design by Claudio Silvestrin. - pag. 37 In the spaces on the second level, the mustard-color stone totems return, aligned to evoke the image of a classical colonnade, like a leitmotiv of the two levels of the boutique; the display fixtu es are in cast bronze. The Giada collection includes about 180 pieces: garments, handbags, footwear, small leather goods and accessories.
Memory doesn’t always prevent us from repeating the mistakes and horrors of the past. Sometimes memory deceives, because since it is always limited, it can wind up masking larger truths. One dramatic case has to do with the massacres done by the Nazis, commonly recalled in term of the six million Jews exterminated in death camps, a memory that has wound up overshadowing a much larger reality. Along with the ‘yellow stars’ sewn onto their garments, there were many other symbols, with different colors, that indicated minorities to be sent to other death camps. The
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red triangle indicated communists; the green triangle was for common criminals; the black for social outcasts; the violet for Jehovah’s Witnesses; the pink for homosexuals; the brown for gypsies; and there were other symbols for subjects to be reeducated, those suspected of trying to escape, people with mental illnesses, crippled children, the terminally ill, ethic minorities, and so on. The memory of these victims has vanished, along with their ashes: their numbers have never been recorded, and they have never been commemorated. Recently, Corrado Levi made an installation in Turin to commemorate the homosexuals who were killed and forgotten. Not one of these victims was Jewish, but perhaps the state of Israel should take responsibility for the cumbersome legacy of a memory lost in the shadows of history. For Jews like us who are not Zionists, who do not live in Israel, who do not go to synagogue or frequent Jewish communities, there is a duty to keep this minority memories alive, which belong to the salt of the earth, to the great value of what has been forgotten, not just the cult of institutional memory. These reflections might seem strange in a magazine like Interni that focuses on design culture, but they are part of the world that surrounds us and, as such, they represent realities with which we have to come to terms. In the 1980s one paragraph of the manifesto of postmodern culture talked about design as a tool capable of restoring the lost memory of places. This was a mystification that concealed anti-modernity and a return to historical styles. A reactionary page of history, which did not last long:
memory is a private, non-objective thing, whose dimension cannot be managed. Once again, a memory that would cover up a universe of other memories. An unmanageable universe, so dense as to lead to madness, where amnesia is the only possible salvation. To discover what has been forgotten is more important than consolidating institutional memory; to investigate the abysses of abandoned recollections is more important than organizing an already defined area of knowledge. Creative thought feeds on disconnected segments and fragments of history, reassembling them in keeping with utterly new meanings; only in this way can a new knowledge be constructed, judging history through another history. The episodes of Nazi extermination demonstrate that memory, which is always incomplete and selective, exists only by covering up other memory. Now that modernity is no longer a promise of a better future, now that the memory of the past can no longer be utilized, all that remains is to investigate the incompleteness of the present and the errors and horrors of the contemporary age.
INsight/ INarts
crets. “It is said that my objects are made with mysterious methods... and I chuckle, to myself… My only secret is the rigor with which I do my work, the serenity of the choices, and I hope that over time my critical sense will not be blunted.” The repertoire of Piero Fornasetti, which the exhibition aptly illustrates with many examples, and which the tenacity of Barnaba helps to live on in a wise policy of reissues and licenses, suggests fertile reflections on the controversial question of ornament. It is no coincidence that Philippe Starck, introduced to Piero by Enrico Astori at the time of his first trips to Milan, after the initial perplexities linked to his exclusive focus on the future, stated: “An object by Fornasetti has the power to change the vibrations of a place, not because it is decorative, but because it changes the dimension of the space, shifting it into the dimension of dreams” (Brigitte Fitoussi, Fornasetti Conversation with Philippe Starck, Assouline, 2005). Fornasetti’s interiors are intimate, and they speak; his furnishings have voices, narrating the tale of an insatiable collector of images, combined and disrupted like the letters of an imaginary alphabet to write an original chapter in the history of decoration. Piero Fornasetti does not belong to the past, as Starck had at first assumed, though at the same time he is not futuristic. He is outside of the time marked by styles and trends, because he reshuffled the cards of the artistic method. His figurations do not belong to the traditional world of decoration: they are not motifs, friezes, illustrations, but a shower of images recouped from the widest range of sources, which settle in an intentionally anarchic way on the surfaces of functional objects, projecting them into the dream dimension, which can be as happy as a burst of butterflies or as disquieting as the dazed eyes of his mysterious faces. His lesson, more important than ever today, now that we can access any and all images on a computer screen, is that (as he always said), “we need to know how to see, because knowing how to see means knowing how to find. Faced by the widest range of objects, it is indispensable to find and to choose those that are interesting for the type of thing you are trying to do.”
PIero FornaseTTI: Travel tickets pag. 40 photos Cristina Morozzi
In an exhibition at the milan triennale, the vast repertoire of the artist suggests reflections on a decorative method that is still unique and inimitable, interpreting ornament as a structural feature of design The Milan Triennale pays tribute to Piero Fornasetti, at the 100th anniversary of his birth, with an exhibition (13 November 2013 – 9 February 2014): 1100 m2 which his son Barnaba, the faithful conservator of the encyclopedic archives of his father, and the entrepreneurial soul of the atelier, has filled with an unbelievable quantity of things.“I call it a retroperspective,” Barnaba says, “because the idea is to narrate, through objects, drawings and images, a Piero Fornasetti who is still alive, because the show is a manifesto of the timely pertinence of his creative method.” His original system consisted in gathering ‘talking’ images of different types and origins, transferring them to everyday industrial or crafted objects, always endowed with a function. He did not sign his creations, just attaching a sticker, and he did not think of them as one-offs, since his hope was serial production; but at the time (in the 1950s) industrialists did not get the message. So he began to produce the objects himself, creating his own workshop and exporting them all over the world. “My father,” Barnaba says, “recycled images. There are so many, he used to say, and you just have to give them a new identity. For him, every object was a blank canvas on which to leave a graphic imprint, mostly in black and white; at the start, in fact, he was a printer of lithographs, who over time had gained experience as a painter and draftsman.” Piero Fornasetti thought of himself as a Renaissance man and saw drawing as an indispensable exercise to achieve a balance between form and decoration. He thought it was essential to learn to draw the human body, to get a sense of proportions. “Go to study life drawing,” he would say, “this is the experience that teaches you to draw. All my work is based on drawing, drawing seen as a discipline, a way of living and organizing your life, as well as continuous study of things in their essence.” His method remains unique and inimitable, yet Piero Fornasetti never thought of himself as an inventor. “For the ancients,” he said, “there were no schools of architecture, there were places where by copying the Masters you learned to become a Master.” Yet he had a clear idea about wanting to go down in history, and this is why he organized his archive in such a way that his method could survive. Public consensus was a comfort. In his writings, there is one revealing phrase: “The public has explained to me that my work was something more than decoration; that it was an invitation to fantasize, to think, to escape from the things that surround us, the ones that are two mechanized and inhuman, and that my creations are travel tickets for the realm of imagination.” To reach this realm, he confessed that he had no se-
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- pag. 38 On this page: Boris Mikhailov, Reconstruction, image from the PhotoLux Festival 2013, in Lucca from 23 November to 15 December. - pag. 39 On this page, from top: Paul Nicklen, Emperor Penguins, Ross Sea-Canada, National Geographic Magazine. Daniel Berehulak, After the Wave, Australia, Getty Images Japan. Images from the PhotoLux Festival 2013, in Lucca from 23 November to 15 December.
- pag. 40 Above: ceramic vase with lid, Pois à pensée, Fornasetti by Bitossi, edition of 99 pieces. Center, from left: glass vase in the form of a horn, from the Musical Instruments series, prototype for Venini, 1940s; draft for Skyscrapers in Flames, proposed to an American department store and rejected, early 1950s; Large Seashells vase, 1950s. To the side: Piero Fornasetti shown with the panels of the Metaphysical Room, 1960s. On the facing page: sketches and ideas for trompe l’oeil umbrella stands, never produced, 1950s. - pag. 42 To the side: draft for the neo-Gothic furnishings of a living room with fi eplace, early 1950s; porcelain plate from the Theme and Variations series, early 1950s. To the side, from left: Ionic Capital chair in white and black, 1980; Musicale chair, whose form evokes a stringed instrument, 1951 (produced in series of 300 pieces); Boomerang Architettura chair, reproducing a portion of the trumeau of the same name, 1950s (one-off for an American client); Cravatte umbrella stand, reissued in the 1980s. Below, from left: two plates from the Theme and Variations series, early 1950s; Fish, Seahorses and Lobsters, round table with hollow and glass top, 1950; Gattini Accovacciati paperweight, produced with 60 different decorations, reissued in several versions on white background in the 1990s. - pag. 43 Above: credenza designed by Gio Ponti, decorated inside with a composition of fi ures with fruit and musical instruments, painted by hand by Piero Fornasetti, with brushstrokes in white and black on solid background, 1948. To the side: the family Ford of Barnaba Fornasetti, photographed in the courtyard of the State University of Milan. Below: Fish tray, early 1960s, made in different colors and reissued, only in black and white, in the 1990s and 2000s; Forziere, cabinet with two doors, on brass trestles, edition of 30 pieces, mid-1950s.
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INdesign/INcenter
Sculptural design pag. 44 photos Miro Zagnoli - text Elisa Musso
Monolithic, totemic objects with extremely plastic forms on display at spazio theca in milan, designed by carlotta de bevilacqua. amidst walls and leds that change color, like true installations in a contemporary art museum - pag. 44 Module H: panels in leather or fabric are attached to the metal grille, to create a modular system to decorate walls or create dividers. Design Shigeru Ban for Hermès. Obeliscus, seats in the form of geometric solids to place against the wall, perfect for use on the floor as divans when guests arrive. By Luca Maria D’Arosio and Paolo Nava for Lago. - pag. 45 Mezzanino table with architectural features in wood, with cement finish In two sizes. Design Mist-o for Mogg. Cementoresina® covers geometric solids and is composed of one third very pure resin and two thirds natural minerals like cement, fine marb e and ecocompatible pigments. For floors and walls, produced by Kerakoll. - pag. 46 Element Chair, a sculptural seat with central slanted support, balanced between base and seat. Almost defying the law of gravity. In painted metal. By Tokujin Yoshioka for Desalto. Tuareg lamp, standing out in space, like a totem. Composed of tubular metal parts with LED lights, with various orientations, like an artistic installation. Designed by Ferruccio Laviani for Foscarini. - pag. 47 Olga monolithic seat, taking wood to sculptural extremes. A limited edition from Sawaya&Moroni. Born on the dancefloor, carpet made by hand with Tibetan knots, fleece in silk and Himalayan wool. By Marta Bagante for CC-Tapis. Connection table in extralight tempered glass, structure in hand-burnished brass. Design Massimo Castagna for
New InDusTrIaL pag. 52 by Nadia Lionello - photos Simone Barberis
A TIMELESS STYLE, based on materials and technologies. Apparently INFORMAL, is finds renewal and new expressions by focusing on cool materials and essential shapes - pag. 52 From left: Candy Shelf, low bookcase with steel bar structure (the same bars used for concrete structures), painted, with top and shelf in painted MDF, vertical dividers in birch plywood
INdesign/INprofile
Timeless quality pag. 60 photos Dennis Bangert - text Albrecht Bangert
Claudia moreira salles, furniture designer and artist, born in rio de janeiro, is one of the outstanding names on the brazilian design scene. we met with the “eileen gray of brazil” in her studio in são paulo
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novembre 2013 Interni Gallotti&Radice. - pag. 48 #01 floor lamp, like a sculpture in wool, seemingly suspended in the void, but anchored by nylon threads to the metal structure. By Andrea Mancuso and Emilia Serra of Analogia Project for Galleria Paola Colombari. Dina Gina Mimma, shown like works of art; the fruit stands are monoblocks of black Marquina marble. Design James Irvine for Marsotto Edizioni. - pag. 49 Mirror chair, with a metaphysical look; the mirror is integrated with an evanescent seat. In extralight tempered and silver-plated glass. Design by Nendo for Glas Italia. Totem, maxi-sculptures in ceramic composed of stackable parts, turned and glazed by hand. Available in two color versions, one dominated by glossy red, the other by matte olive green. By Arik Levy for Bitossi Ceramiche. - pag. 50 Biophili plastic chair, with an organic image, made with rotomolding. Designed by Ross Lovegrove for Vondom. Sorry Giotto 3, ultra-graphic, essential lamp in waxed raw iron and hand-painted copper. Lit by LEDs, produced by Catellani & Smith. Orion table with base composed of circles of different diameters in white painted steel, top in extraclear glass. By Jarrod Lim for Bonaldo. - pag. 51 Alaska chair, entirely in polished stainless steel. By Emilio Nanni for Cattelan Italia. Laguna table lamp in blown glass with painted or nickel-plated aluminium base. Design by Matteo Thun and Antonio Rodriguez for Artemide. Rosy, the monolithic wall mirror with a round body surrounded by two off-center rings. In cast glass with silver backing. Design by Massimiliano & Doriana Fuksas for Fiam.
and round metal object holder. Design by Sylvain Willenz for Cappellini. DM 8429, hand-knotted carpet from the Decolorized Mohair collection, produced by Golran in wool, with different shadings created by means of vegetable dyes on previously decolorized fabric. Blob floor lamp with metal stem and adjustable colored glass diffusers. Design by Gino Crollo for Arketipo. Four Six seating system composed of hassocks that can be fastened together in a square, pentagonal or hexagonal confi uration; fil ed with polyester microspheres contained in TNT sack, removable fabric or leather cover. Design by Niko Göttsche for Vibieffe. - pag. 54 From left: Telo, screen structure in natural oak, accessorized to order with technical raffi , denim or fur. Design by Lorenz&Kaz for Colè. Bella Vista, string of ten outdoor LED lamps by Seletti. Raw bench in wood, painted in a range of colors. Design by Stephan Lanez for Marcel By. Theca cabinet with sliding doors in natural anodized aluminium, shelves in solid natural cherry. Design by Ronan & Erwan Bouroullec for Magis. Projecteur 365 hanging lamp with anodized aluminium body, painted on the outside, and diffuser in frosted glass with steel wingnuts. Designed by Le Corbusier in 1954 for the High Court of Chandigarh and produced by Nemo. Pearl wall covering in 20x20 cm tiles covered with full-grain leather worked by hand, available in fl t or rounded versions, with smooth surface or stitching in different formats and patterns. From Studio Art. - pag. 57 Parrish chair designed for the Parrish Art Museum of Water Mill, New York, in aluminium tubing, natural or painted red or black; seat in maple, polypropylene, or covered in leather. Design Konstantin Grcic for Emeco. Floor 95 wall system with parts in painted metal tubing, to assemble freely to create combinations of seating, shelving and coat racks, without length limits. Design by Mark Braun for Covo. Null Vector hanging LED lamp with body in Vega 98 optical aluminium, with a very high reflection coefficien , polished or white, featuring a pattern of holes with a triple role: luminosity, perception and mechanics. Recycled aluminium heatsink. Design by Carlotta De Bevilacqua and Laura Pessoni for Artemide. Montecatini chair on runners, designed by Gio Ponti in 1935 for the Montecatini building in Milan, made entirely in polished aluminium by Molteni&C. - pag. 58 Antologia modular wall bookcase components in metal tubing with polished lead or white lacquer finish Designed by Studio 14 for Mogg. Lady Cage lamp with metal screen structure painted black or white, black or red cable. Design by Massimo Rosati for Zava. 3nuns stools, from the American Collection, made with strips of tempered steel attached with wingnuts and positioned to progressively support the seat. Design by Ron Arad for Moroso. Yupik portable lamp in gray or black expanded polyurethane, diffuser in transparent polycarbonate with fi e-meter power cord. Design by Form us with love for Fontanaarte. Vendramin wall covering from the collection The Walls of Venice, by Rubelli. Based on a document in the historical archives of the fi m, made with flocked printing to imitate the typical three-dimensional character of Venetian velvet, where the design is created by two different heights of the fabric surface. Available in fi e different colors.
“My roots are in a city where the modernist style was everywhere you looked: Rio de Janeiro. This place has always been emphatically Brazilian. Here people have never opted for a more European lifestyle, as in São Paulo. Rio has remained Brazilian to the core,” says Claudia Moreira Salles. She sits, gracefully, behind her ultrathin laptop, at an equally elegant, light desk. In her apartment, with a roof terrace,
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In tern i novembre 2013 on the tenth floor of a building in the fashionable Itaim district in São Paulo. Scattered all around there are materials, models, drawings, prototypes and impressive wooden furnishings. The interior design was done by architects who work one floor down from this more or less private gallery. Claudia Moreira Salles is one of the outstanding names of the new boom of Brazilian hand-crafted design, which the world is finally starting to notice. It is interesting to look at her roots as a designer. When she talks about the four years spent as a student in Brazil’s first design school, we are immediately thrust into another story that is just as interesting as hers. The Escola Superior de Desenho Industrial, or ESDI, was founded in 1955 with an educational program clearly based on that of the Hochschule für Gestaltung of Ulm, the famous German school of postwar functionalism. The ESDI was conceived and perceived as an incubator of modern industrial design. The teaching was based on the principle that design should be the clear result of rational analysis of needs and of society, reducing aesthetic flights to a minimum. Salles remembers: “I went to that school because of the teachers who gave lectures there. They were designers, many of them self-taught. The professor of furniture design was German: Karl Heinz Bergmiller. He was the one who introduced the spirit and the teachings of Ulm, like the resurrection of the Bauhaus in Brazil.” This leading lady of Brazilian design continues: “What they definitely taught me was method. Reducing things to their essentials. Asking the right questions.” Disappointed by what she saw as the state of poverty of Brazilian industry at the time, Claudia Moreira Salles quickly shifted her focus to the various ways of ‘exploiting’ the great current of Brazilian arts and crafts as a tradition suited to the sensibilities of her designs. Initially working on notepads, she made very single piece like a composer writing a score. “When I began to work with Bergmiller for an office furniture manufacturer in São Paulo, I discovered that sometimes wooden molds can be much more interesting than the plastic chairs they are used to produce. The handmade molds were very beautiful, and I immediately thought: Wouldn’t it be fantastic to have those forms in your home? The guy who made the molds left the company, and I began to go visit him in his small workshop. The combination of modern forms and crafts helped to realize my dream of designing something that would have life and a soul, which I thought were lacking in the objects produced by Brazilian industry. The texture and grain of wood, the intrinsic potential of its sculpting: I was fascinated in exploring this path that mixed modern design and traditional techniques.” This is the context in which, towards the end of the Seventies, Claudia Moreira Salles took off, shifting from the solid academic environment to the world of Brazilian arts. Not long after that, she began to experiment. Some of her first projects, a collection of benches, featured a series of organic marks, made with the eyes used by native tribes, drawing structured surfaces out of wood in a surprising, innovative way. The approach has something in common with the early works of Eileen Gray, who at the start turned to the skills of French craftsmen to develop her personal design vocabulary and to give it a sense of precious value. The reflective character of the first furnishings created by Claudia Moreira Salles is not so different. With her focus on worked borders, the rhythm of composition, and her way of relying confidently on the wood grain and materic contrasts, her strategy evokes thoughts of the masterpieces of Art Deco. These design concepts turned out to be useful to promote the revival of Brazilian crafts, emerging from the state of neglect into which the field had fallen in the 1970s and 1980s. Since then, prices have rebounded and the market now thrives thanks to strong demand. Nevertheless, in spite of the transformation, certain constants still remain in the work of Claudia Moreira Salles. Such as the fact that she always uses, to jot down ideas and initial sketches, the same small notebooks, like personal diaries. These projects always have something poetic about them, even those in which her great awareness of the intrinsic properties of materials has prompted her to use new mixtures of wood, limestone and lightened, polished concrete. Such grafts also help her to approach one problem that boom has brought in its wake, namely the sustainable supply of
Turns of the screw pag. 64 photos Andrea Basile and Alessio Matteucci text Maddalena Padovani
Self-production as a personal test, a moment of experimentation, but with an eye on industrial production. this is the research of carlo contin on the theme of screws in wood In many ways, Carlo Contin is an emblematic figure of new Italian design. A design that doesn’t appreciate formal displays, but prefers small everyday gestures, the hidden intelligence of everyday objects. Design that still comes into the world and grows in the midst of odors of sawdust, in the suburbs of Milan, relying on skills of craftsmanship threatened with extinction. Design that is influenced not only by the dol-
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local wood. To keep things from getting out of hand, a certification system has been put in place. Salles also checks and crosschecks to make sure most of the wood in her pieces is recycled material. Such reuse of wood already creates a background story on its own. One good example: Salles painted a wooden beam salvaged from an old Indonesian house in black, to create a contrast with a red lacquer square. “I was struck by the image, the imposing physical presence, of this beam. With its overhanging structure, it reminded me of constructivism. Making it into a one-off, halfway between art and design, I am actually letting it tell its own story.” Salles has been able to obtain wood salvaged from cargoes of Pinho de Riga, which during the period of the Portuguese empire was used as ballast on ships, and has now been reutilized for the Lua table and the Largo sofa at the Hotel Americano in Chelsea, New York City. She has also found cedar wood, from the province of Minas Gerais, a place rich in minerals. These precious relics with beautiful grain from the start of the industrial era now embellish the ceiling of her second studio, located in the state of Minas Gerais, to the east of São Paulo. In the course of an almost natural evolution, Salles’ work has taken on solidity and depth, so it is little wonder that it is now shown all over the world; in May her works were featured in a solo show and interpreted as art at the Espasso Gallery in Tribeca, NYC (which specializes in Brazilian design). The show sold out. “I would up having to hand over even the prototypes, since the gallery owner Carlos Junqueira had sold more pieces than I had supplied.” The customers are architects, owners of large homes, Brazilians with costly apartments in the world’s major cities. A typical Salles project: the furnishings for an apartment in West Chelsea, a fashionable zone of New York, for the Metal Shutter House on the High Line... Or the Domino Bench created as a divider for one of the apartments in the building by Shigeru Ban. This wooden bench with metal legs and a wooden beam floating in the middle has since been put into production as an exclusive series. Among other works, we should mention the spatial elements for the Gagosian booth during the art fair in Rio. Here the environment created by Salles establishes a dialogue with the paintings of artists like Picasso and Damien Hirst. The successful marriage of high-end design and the fine arts bears witness to the fact that only quality goes together with quality. It is correct to say that her design, in the meantime, has emerged as a landmark and the most precious brand of contemporary Brazil. Her works are also, at the same time, a safe investment: pieces by Moreira Salles are true blue chips, part of a vast, reliable market that gets its strength from the roots of Brazilian modernism. After all, Brazilian crafts are part of an ongoing revival in art and on the modern vintage market. As for art, here too the names are what counts. Among them, today we can definitely list personalities like Moreira Salles and Zanini de Zanine, together with recent reissues of Brazilian heroes like Sergio Rodriques, and timeless modernists like Oscar Niemeyer, Lina Bo Bardi or Joaquim Tenreiro. These different forms of design share an emotional and artistic approach that references the creative language of Brazilian modernism. It would be hard for an interior design magazine, today, to illustrate contemporary interiors in Brazil without making reference to at least one of these icons of Brazilian identity. Proof of the growing interest in a language that comes from the country’s incessant pursuit of modernity. - pag. 61 Claudia Moreira Salles seated on the Mesa Pacman coffee table, a piece in wood and cement designed and produced in 2012. Distributed by Firma Casa, São Paulo. Limited edition. A small notebook of the type Salles always uses as a personal diary to jot down ideas and make initial sketches. On the facing page, detail of the Banco Deslocado bench, 2001: an exercise in geometry and balance that has been transformed, over the years, in different materic versions. - pag. 62 The Cancan table shown at Grifel Marcenaria and distributed by Firma Casa, São Paulo. The designer-artist with the model of the Cancan table. - pag. 63 Above, the studio of Claudia Moreira Salles, in an old hayloft restructured as a private workplace. The tribal seats from the Amazon coexist with her creations and certain classic pieces. In the other images: two pieces designed and produced by the Brazilian designer. The protagonist is always sculptural wood, often mixed with other materials.
drums of the present economic situation, but also by a prejudice of certain critics and certain industrial companies, which seem to think anything that comes from outside our country will be more interesting that what happens here. This is the background of Avvitamenti, a research project by Carlo Contin that has led to a series of furnishing prototypes shown in September at the gallery Subalterno 1 in Milan, in an exhibition curated by Stefano Maffei and Andrea Gianni. Research the designer from Limbiate, like many of his colleagues, has done on his own, to try react to the present lack of opportunities. But with his own special vantage point: that of not making self-production a fallback or an alternative, but a moment of personal testing of an approach that still aims at reaching the phase of industrial production. The theme
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is the screw, seen as a solution for interlocking of wood, but also as an “archetype of concrete doing” (A. Maffei) that Carlo recoups from the memory of the tightening of vices on a carpenter’s bench, back when he worked in his father’s shop. “The idea,” he explains, “came when I saw a machine at a fair that could make wooden screws, something that is no longer done by craftsmen with lathes. I have always been interested in working on the theme of the memory of objects, especially the crafted things that are the foundation of the tradition of Italian design. Knowing that such a machine existed, one that could make an item that has vanished, was a source of enthusiasm and inspiration.” What was a simple fastening tool in his father’s workshop becomes a structural principle in the research of Carlo Contin, applied in all kinds of furnishings (tables, stools, bookcases, lamps), with the aim of demonstrating that one screw can suffice to create a universe of objects. Obviously there are also references to the projects made with the same mechanism by two great masters, namely Achille Castiglioni and Vico Magistretti; but precisely by observing the latter’s Vidun table, the designer has understood the complexity of behavior of this apparently simple joining system. Depending on how it is used, the screw in wood can have a different mechanical function (in some cases it tightens, in others it ‘pushes’). Hence the need for specific reflections and special approaches for each product. Perhaps the most interesting application is in the stool with its iron support, the only piece that combines wood with another material. The quotation, in this case, is that of the lab stool, a classic furnishing type that has been approached by many other illustrious designers in the recent and distant past. The solution developed by Contin, however, achieves maximum structural simplification, combined with an original, graceful formal device: a circular base, a rod as footrest, a slender metal profile that
widens to host the ‘female’ screw that functions as a seat and permits height adjustment. The successful expression of a design vision focused on simple, functional, inexpensive objects. “Objects interest me,” Contin concludes, “to the extent that people use them and interact with them, managing to effectively understand them. I don’t think about sculptural objects; more than the design, what interests me is the reality of everyday life, the gestures, the small yet still unexplored spaces of the domestic sphere. This is why my work cannot be labeled as having a style.” Almost twenty years have passed since Contin presented, at the Salone Satellite, projects of subtle irony, like the fruit holder based on the Sciangai coat rack by De Pas-D’UrbinoLomazzi, followed by the two-room flat for goldfish and the perforated sponge for washing dishes designed for Coop. With the collection of furnishings in the Avvitamenti show, Carlo demonstrates that he has reached a mature vision, that of someone who at the age of 46, even in Italy, can no longer be considered a ‘young designer,’ if only because he has come to terms with all the difficulties of that profession in our country. Without, in any case, ever ceasing to believe in design.
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tion material from the process of heating wood shavings, and without the addition of binding agents, taking advantage of the binding power of lignin, secreted inside the molds in the working phase. The project underscores the theme of the use of natural resources and proposes a different chain connected with recycling and the transformation of the material, whose scrap becomes renewable. It also puts the user at the center of the making: the production process is so ‘low-tech’ that it can be done by any do-it-yourselfer with access to the molds. Conceived not by chance in a nation rich in forests, the project attempts to increase the commercial potential of unmanaged forests and to build a bridge between custom crafts and the mass market. Unexpected effects for wood are also the focus, in different ways, of the Lebanese designer Marc Baroud and the Brazilian Zanini de Zanine. The latter has created the chair, bench and stool of Inflated Wood, the limited series produced for Cappellini, conveying an idea of inflated material. Comfortable first for the eye and then for the body, made by hand with great skill using Brazilian Jacarandá and Ipé wood: a ‘slow’ production, far from the frenzied pace of industrial manufacturing. Marc Baroud transforms wood into a soft fabric, creating a portable piece of furniture similar to a camping hammock. The workmanship of the pieces of hazel wood is extremely refined, combined with leather and cowhide for the support and the details. Fossil wood dating back to 500,000 years ago is the material used by California-based Rick Owens, taking us back to the primordial state of the material, its mingling with the earth, narrating geological eras and the contamination with other natural elements. The forms he has designed are also brutal and ancestral, evoking a universal beauty and the clear sensation, for us humans, of our smallness inside the great universe.
InTerPreTations of wood pag. 68 by Valentina Croci
Six projects of strong narrative character express the potential of wood, from industrial production in big numbers to limited editions made by hand Every year hundreds of pieces of wooden furniture are designed. One wonders, looking at this tide of objects, just what can still be revealed about this material. But precisely its direct relationship with the cycles of life opens up unexpected frontiers of design experimentation and expressive poetics, also with reference to the thorny issues of sustainability, regarding production processes and the abuse of natural resources. Wooden artifacts are found throughout man’s history, and they still convey symbolism, rituals and cultures. The power of the material is what fascinates the Canadian designer Philippe Malouin. In the Slat series of furnishings, part of the Simple project, plain functional forms find aesthetic force in the repetition of a natural wooden board. The idea of the standard, of the same basic module that is repeated and gives rise to tops and circular bases, is on the one hand an apologia for the work of man who has always transformed trunks into constructive parts, and on the other a hymn in praise of the history of architecture, because it evokes columns and roofs. The project reprises familiar forms through the rhythmical, repetitive orchestration of the components. And it is an exercise on the most standardized construction part of all: the famous 2x4, whose final perception is transformed. The English design Benjamin Hubert also starts with the theme of industry, taking the material to structural extremes, defying the laws of statics. Ripple is the lightest table at the moment (9 kg), with a length of 2.5 meters by 1 meter of width. It uses almost 80% less wood than standard products, and it is so light that it can be assembled and raised by just one person. The secret lies in plywood made with three layers of birch, 0.8 mm thick, with an undulated section obtained through pressure lamination, developed by the designer with the Canadian company Corelam. The material is so strong that it can be subjected to both crosswise and longitudinal stress, for the legs, top or any other part of the table itself. A challenge for the material and for industrial mass production. Reduction of the quantities of material used is also the goal of the research project of English designer Pippa Murray. Moulding Our Woodlands creates a construc-
Dinner with friends pag. 72 by Suzanne Slesin
The collection of over 150 pieces, objects and furnishings, lively, practical, elegant and erudite, designed
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- pag. 65 The window of the Subalterno 1 gallery in Milan, which from 25 September to 6 October hosted the exhibition “Carlo Contin. Avvitamenti.” Above, portrait of the designer. Below, view of the exhibition, installed with wood shavings to underline the artisanal background of the theme. On the facing page, one of the 12 pieces of furniture to develop the theme of the wood screw. - pag. 66 The collection includes different furniture types: tables, stools, lamps, bookcases, all in wood. The exception is the stool with a metal structure (below), the result of an original process of structural and formal simplific tion of the classic typology of the work stool.
- pag. 68 The Ripple table by Benjamin Hubert is made with Corelam, and weighs just 9 kg. The top and legs are made with a special corrugated plywood (layers of 0.8 mm), usually used for aeronautical applications. On the facing page, below: the Slat series of furnishings (Simple project) by Philippe Malouin, made with wooden 2x4 boards usually used in construction. - pag. 70 Below: designed by Marc Baroud for Carwan Gallery, Tessera is a nomadic piece of furniture that can be transformed, made with hazel wood segments of 4x4x4cm placed on a cowhide base that makes the surface soft and pliable. Left: Pippa Murray has developed a material starting with scrap materials found in the forests of North Cumbria. The wood shavings are held together by lignin, placed in the molds at the moment of heating. The Infl ted Wood collection by Zanini de Zanine for Cappellini uses Brazilian Jacarandá and Ipé wood, worked with great skill to give softness to the material. - pag. 71 Rick Owens brings the beauty of the depths back to light in the Prehistoric collection (for Carpenters Workshop Gallery), using fossil wood 500,000 years old, transformed by time and the pressure of the earth.
by PAOLA NAVONE for CRATE & BARREL, the AMERICAN CHAIN OF LIFESTYLE STORES, presented in September. In the interpretation of SUZANNE SLESIN, international design journalist, editor and editorial director of POINTED LEAF PRESS
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Interni novembre 2013 I met Paola Navone for the first time around 1980 in Venice. I visited the exhibition Oggetto Banale at the Architecture Biennale. In that period she was working with Alessandro Mendini, founder of Studio Alchimia, the Italian avant-garde design group. I remember that I adored everything I saw – especially the shrewd transformation of everyday household objects into amusing, intriguing and at times disorienting design proposals. I did not imagine, however, what a profound influence those previously overlooked everyday objects would have, or how Navone would go about translating that original approach into a global project. Even then, though, I remember thinking that there was nothing banal or common about all the works in which she had taken part. Anything but. Over thirty years later, Navone – architect, designer, trendsetter – continues to be original, inventing and reinventing things. She has lived in Asia and traveled all over the world, observing, buying, letting herself be inspired by all the objects that make our everyday life a little more cheerful, instructive and elegant. She has designed chairs and beds, tables and sofas, porcelain and glassware, transforming objects that might be called ordinary into products of strong affection, immediately creating an emotional tie, a relationship, between the object and the person who uses it. There is nothing pretentious about any of her projects. Nothing that requires arduous comprehension. But they are all objects with which you could fall in love. And we always do just that, willingly, totally. The same concept applies to her latest work – a collection, or a series of intersecting collections, of over 150 pieces – an ambitious, impressive catalogue of furnishings and objects designed for Crate & Barrel, the American chain of lifestyle stores. “This has been a marvelous collaboration,” says Marta Calle, president of the company, who as soon as she took the helm there set off in pursuit of Paola, arriving at Studio Navone in Milan with her colleagues during the Salone del Mobile in April. “I told her I was a fan, and that it would be an honor to be able to work together,” Calle recalls. The meeting lasted hours, and when evening came Navone suggested continuing the conversation over dinner at a nearby restaurant. Paola was already thinking about the direction to take for this new client. She soon realized that she would need a theme, a strong idea on which to concentrate. She had a sudden insight when the group was seated around a table, in what she describes as a “restaurant that is the opposite of elegance, and is in fact quite ugly, but serves up excellent food.” The basic idea was simultaneously simple and generous. “To put everything together – absolutely everything – that might be useful for a dinner with friends,” she said. “This is the idea.” Or at least a good start. The result is a trio of collections, with over 150 pieces, with evocative Mediterranean names – Como, Mallorca and Riviera – containing anything that might be useful for entertaining in a simple, elegant, colorful way – tables, chairs, flatware, bowls, serving dishes, trays, candlesticks, glasses, tablecloths, carpets, napkins, napkin holders. As well as that absolutely Anglo-Saxon object that is fundamental for every table: the placemat. “I seem to achieve the best results when I think of objects inside a collection,” the designer explained. “Putting different things together unleashes a particular energy, because these objects exists, together with each other.” On 9 September 2013 ten Crate & Barrel stores presented the collections of Paola Navone, immediately followed by other shops. “Paola is in-
Under the sign of rigor pag. 76 by Patrizia Catalano
In friuli, thanks to three brothers, modulnova was founded 25 years ago. to make kitchens, first of all, and then furnishings for the bath and the living area. with surprising results: first in italy, where the firm has a good market share, and then abroad, where it will be opening two flagship stores by the end of the year, in london and paris
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fluenced by many cultures, which find a place without effort, without contrivance, in her projects, her homes, her personal style,” Calle adds. Looking at the myriad of objects and furnishings she has designed, we see unmistakable touches everywhere – the original red handle on the five-piece flatware set, the cheerfully mismatched cups, bowls and plates, where marks and touches of cobalt blue enliven any table. The bowls woven like wicker baskets with a wink at tradition, the tables on trestles for indoor and outdoor use, sophisticated and also practical at the same time. The irresistible wicker chairs, woven with a gray and white pied de poule pattern; the tall chairs and padded Windsor bench, reminders of iconic American imagery – from the New England farm to the NY diner – but in different colors, sizes and sensations. All made in India, Portugal and also the United States, at affordable prices, in line with the stores, catalogue and DNA of Crate & Barrel. Now all I need is another house in which to put all these marvelously seductive objects. Not such a bad idea… - pag. 72 Next to the title: Paola Navone (right) and Marta Calle, president of Crate & Barrel, who fi mly believed in this unusual experiment and its original approach to timing and working methods. In the images: screen-printed Indian carpet in shades of gray and blue. Round tray in Indian marble and aluminium, from the Mallorca collection. - pag. 73 Tables, chairs, lamps, fl tware, plates, tablecloths... the ‘kit project’ assigned to Paola Navone to prepare a dinner with friends is the fi st thematic initiative (three others are now in progress) of Crate & Barrel. An adventure that has gathered products made in countries all over the world, combined in three collections, for a total of about 150 pieces. In the image: on the printed linen gauze tablecloth, a series of porcelain dishes with different forms and decorations. - pag. 74 Pieces from the collection created by Paola Navone for Crate & Barrel: the painted metal candle holder (available in large and small versions); the Hamsa good luck tray in aluminium with etched decoration; the Woven chair in wicker, with white and gray pied de poule pattern. Woven centerpiece in white ceramic, but woven like a wicker basket. Windsor chair in painted solid wood, available in high or low versions. Displayed on the wall of a Crate & Barrel store, dishes from the tableware collections. - pag. 75 Hanging lantern-lamp in flocked metal (in two sizes). Set of six spoons (all different) in steel and plastic. A store setting organized as an index of products of the new collections by Paola Navone, in a display that a few days after the official p esentation in 10 pilot outlets involved all of the 100 Crate & Barrel stores in the United States and Canada, especially in the streetfront windows. Center, over the trestle table in solid wood, surrounded by chairs with different materials and forms, two wicker suspension lamps.
The story of Modulnova seems to counter the usual clichés about Italian business, at least that of today, especially in the furniture sector. Today companies are said to be functioning if they go abroad and make inroads on foreign markets, while instead of family businesses, especially in the second generation, the experts prefer professional managers, and the contribution of famous designers. None of this seems to apply to Modulnova, though: the company founded in 1988 to produce kitchen systems – and later to make bath furnishings and living room furniture – was created by three brothers, Dario, Giuseppe and Carlo, a third generation in the sector (their grandfather was a carpenter, their father a producer of bedroom furnishings until 1987). They are still at the helm, still in perfect harmony. The company now reports sales of 27 million euros per year, with growth over the last 5 years of about 30%. Not only that, exports account for only 20% of these results, though they are on the rise. We talked the situation over with Giuseppe, the middle brother of the Presotto family, in terms of both age and character (he is known as the most moderate and prudent member of the team, which might be why he acts as the company’s spokesman). Q. Twenty-five years, precisely, and a company, Modulnova, that not only produces attractive, high-quality kitchens, but also seems to always have a plus sign in front of its growing sales figures, and has a great reputation as a brand. A. When you work intensely, with passion, 25 years go by in a flash, but we are quite satisfied with what we have created, for many reasons, first of all because we have achieved these results together, sharing our interests, our dreams, working together, discussing things on an everyday basis. Dario, who is the president of our board of directors, takes care of the commercial and product side. He is a true volcano, very innovative and creative. Carlo is the one who focuses on research and experimentation with materials, one of Modulnova’s strong points. We have always thought that teamwork is decisive, like the contribution every single person makes to the growth of the company. Many of the members of our staff have been with us for years; they are true pillars of the firm. One of them is Mauro Rosalen, the managing director of
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Modulnova Bagni, an eclectic 360° personality, well versed in technical and commercial issues; another is Andrea Bassanello, the designer behind our projects and image. They are also partners in the bath furnishings company. Q. How old were you when you started? A. We were very young: Dario is the oldest, and he was born in 1963, so he was 25 at the time, I was 20, and Carlo was born in 1974, so he was just a boy, and in fact he joined the firm later (Beppe and Carlo are now members of the board of advisors, the first for finance and management, the second for purchasing, research and innovation, ed.). Q. What convinced you to plunge into the world of business, without a great deal of experience? Wasn’t that risky? A. You have to be a bit reckless, otherwise you’ll never make any real progress in life, and remember, I’m the conservative on this team. We grew up in a home that was next door to the factory, Dario and I played in the midst of freight pallets, our schedule was dictated by the factory hours. We loved that situation. When our father, after the experience of the company he had founded, left the firm due to disagreements with partners (he had started working as a boy, in the workshop of our grandfather, who made cupboards and cabinets by hand), he was ready to give us a hand, so we didn’t hesitate… we were ready to meet the challenge. Q. Weren’t you afraid that – as in your father’s case – disagreements might happen in your business project? A. I have always had a close relationship with Dario, since our childhood, and the same is true of Carlo, though he was the smallest, so we were not worried about that. We faced off and did battle so many times in endless games of ping pong, as kids, with arguments and even fisticuffs: we know each other too well to worry about a crisis in interpersonal relations. Q. Why did you shift from bedroom furniture to kitchens? A. For a number of reasons: first, we did not want to cause friction with my father’s former company, which was continuing to make bedroom sets. We also did not have much money to invest, and the production chain for the kitchen sector seemed more approachable. Q. Were there certain models on which to base your ideas? A. In those years certain German brands were doing very well, and we looked at them with great curiosity; the Italians were no slouches either; one example will do, that of Arclinea, which in that period was launching its brand Aiko. We set off from home and came to Milan to Eurocucina, to look at all those leading brands, and then we went back to Brugnera where we had our factory, full of dreams. In those days we did the round trip in one day, to avoid paying for hotel rooms. Q. Talk about sacrifices... Let’s take stock of things: when you started out, what resources did you have? A. We had rented a shed of 4300 m2 in Brugnera, purchased the necessary machinery, and employed four or five persons. We started from scratch. It was May in 1988; by January the first kitchens were ready. Q. Your brand stands out for extremely coherent, pure and rigorous design. Has that always been the case? A. About 50%, I’d say: we started with four programs, two contemporary and two that were more traditional, because the market in those years demanded more classic kitchens. But we immediately began to push forward with more contemporary designs. Q. How did the name Modulnova come about? A. Module, modular design, also a tribute to the Modulor of Le Corbusier. Q. And the philosophy, after that start in a rented shed? In what direction did it move? A. According to the usual thinking in that sector, if you had a product of good design and high quality, it would have to correspond to a very high retail price. Instead, we have always been convinced that an integrated system of products (kitchens, bath furnishings, living room furniture, but also floors and facings), conserving the characteristics of high quality and exclusive design, could be affordable for a much wider audience. Courage, determination, passion and a wider vision are the factors that
novembre 2013 In tern i characterize the path of constant growth of Modulnova, leading year after year to gradual increases in sales, while at the same time allowing us to create a precise identity. The desire to provide clients with the possibility of wider personalization has prompted the company, already back in the 1990s, to develop just-in-time operations, an innovative way of handling orders and production in the furniture industry, and an aspect that has taken on greater and greater importance. The focus on innovative solutions and materials has led us to invest energies and resources constantly, over time. This commitment has helped us to always make innovative models, with exclusive patents, bringing the market materials and finishes never used before in the field of furnishings. Q. Birthdays can mark the salient phases of a path. In your case, what are the memorable moments? A. The year 2000, when we extended our production to the world of bath furnishings. Definitely 2003, when we moved to Prata di Pordenone, to the new headquarters we designed and built, where we presently are located: 12,000 square meters of indoor space, inserted in a context of 40,000 square meters of greenery. The opening in 2006 of the first Modulnova flagship store in Milan, on Via Borgogna, and then the move in 2012 to the present space on Corso Garibaldi, in the Brera district. The launch, in 2011, of the MD Home line of living room furniture, and now, in 2013, with the More brand, we have acquired a new production facility of about 4000 square meters, to make exclusive products with high-tech content for the mother company. Right now we are in another important phase, represented by the opening of two new flagship stores, in London on Wigmore Street, in the very central Marylebone area, and in Paris, in the zone of the Champs Elysèes. Q. An industry like yours, Made in Italy from A to Z, has to also know a lot about distribution. A. From the outset the target of reference we decided to approach was that of high-end dealers. Dario, the commercial guide of the company, has always thought of clients as the company’s greatest asset, and he has transmitted this credo to the staff. The philosophy of distribution has always concentrated on the needs of our commercial partners. This type of “respect” has made it possible to create relationships of great loyalty, that last in time, where professional ties very often evolve into personal ties. Q. One last, rather rhetorical question: your favorite kitchen? A. It doesn’t exist. It is always the one to come. We prefer to talk about programs rather than kitchens, because what makes us stand out is the extreme flexibility of every program, in terms of finishes, materials, colors, typological solutions. Right now we are very happy with the latest creation, Blade, a highly technological product with doors that are only 10 mm thick, light and solid, with such innovative characteristics that it is covered by an industrial patent to defend its originality. Made in aluminium, Kerlite and glass, combined with the peninsula in oxidized oak, its appeal lies in the mixture of the materials, the uniformity of the style, this very refined wood that we also offer for floors and paneling, and for the living line. - pag. 76 The three Presotto brothers, founders of Modulnova, with the president, Dario, at the center, Giuseppe to his left and Carlo to his right, both members of the board of advisors of the company. In the background, some of the materials used in the Modulnova programs. Above, thick solid wood, brushed and finished y hand with oils. On the facing page, the MH6 program, with minimal, sculptural design. - pag. 78 Below: the headquarters of Modulnova, at Prata di Pordenone. A detail of a table in cement resin. The Twenty program, with covering in sunburst Piasentina stone. Aluminium, Kerlite and wood are the materials harmoniously combined in the Blade program. - pag. 79 Above: the lacquered glass door of the Twenty program. To the side: three images of worktops offered in the kitchen programs of Modulnova: essential lines, quality finishes and g eat attention to detail. - pag. 80 To the side, a living area by MDhome, with white lacquer wall-mounted bookcase. Below: the Living More program includes storage elements on the floor and the wall, with fold-back doors and completely removable drawers. - pag. 81 Above: the 45° beveling of a washstand in Piasentina stone. Above and to the side: the Infinity p ogram for the bath combines wooden furnishings with a washstand in sunburst Piasentina stone.
INdesign/INview
MYsTerIous ScIence pag. 82 by Stefano Caggiano
Celestial MECHANICS, abstract GEOMETRIES and mysterious BALANCES. Through the nude poetry of physics, objects respond to the ongoing separation between reality and sign Coincidences can be meaningful at times. In 1851, while in London the first Great Exhibition marked the start of the history of industrial design, in Paris Jean-Bernard-Léon Foucault was ready to demonstrate the rotation of the Earth through the movements of a pendulum, which hanging over a geometric plane not engaged in the Earth’s motion, proved by contrast the rotation of the planet on its
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In tern i novembre 2013 axis. This was a scientific instrument, of course, yet the pendulum of Foucault was, and still is, a profoundly ‘magical’ object. The plane over which it hangs is not, in fact, a material entity, but neither is it a purely theoretical one, since its ‘reality’ turns out to be even more cogent that that of the Earth. It is precisely this intra-real, immanent and transcendent entity that the pendulum reveals to us. A thing that extends infinitely, as far as the adimensional perimeter of the universe, and yet is there, before our very eyes, visible in the movement of a plumbline. This ‘aesthetic of physics’ – impalpable but unfailing in its role as the necessity on which chance succumbs – now becomes a language in a series of objects that, in line with the sensibilities of the moment, formulate terse, ‘loyal’ compositional logics. This is the case, for example, of the Dish of Light lamp by Kouichi Okamoto of the Japanese studio Kyouei Design, which captures light not to contain it, but to ready its harmonious dispersion in space. Or of Globe by the Swedish designers Helena Jonasson and Veronica Dagnert, operating in London as Studio Vit, a lamp in the form of a hollow half sphere in which an annexed sphere reflects its light. Lunaire by Ferréol Babin for FontanaArte also attenuates luminous density through the modulation of more or less marked eclipses, while the Orbs collection of pendants by Stéphanie Van Zwam reminds us of the ‘static beauty’ of the earth-water globe, the cosmic suspension of heavenly bodies. Planes, focal points and ellipses of heavenly mechanics are evoked by the Dutch designers Oskar Peet and Sophie Mensen, of the studio Os and Oss, in the Syzygy Phases lamp-clocks, that react in real time to changes in light during the course of the day, adjusting their own light as a result. While an ascetic, almost mystical approach is seen in the Port lamp by Alexander Taylor for David Gill editions, calling on outer spatial voids like those in which the planets float. This scientificmysteric language has not appeared by chance. It represents a response of design to the confusion caused by a long period of separation between reality and sign (economics and finance, substance and communication...), leading people in many walks of life to see the need for rethinking. In its path of reconnection of aesthetics and the cognitive, design thus converges towards the grammar of science, finding a possible vocabulary to rearticulate material and immaterial. The Warm Up lamp by Matteo Zorzenoni, inspired by the kinetics that regulates the balance of ballerinas at the practice bar, moves in this direction. Just as Moody by Chiara
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Ferrari, whose structure is formed by pulleys, identifies the point in which solid, tangible mechanics coincides with the abstract geometries of physical laws. These laws, and their way of being more subtle than the slenderest spider silk, but harder than the hardest of steels, are also addressed by the lamp designed by Sebastian Goldschmidtböing, in which the force of gravity is summed up in an unextended point tangent to a hemisphere. The physics of matter, thus laid bare, is not storytelling gravitating around the object, but a filigree through which to glimpse the intact mysteries of its existence. - pag. 82 Stéphanie Van Zwam encapsulates sir, wind and electrical energy in the spheres of the Orbs collection, where the plumes and beads contained inside react to the touch. Clothes: The Gathering Goddess. Photo: Philip Rhys Matthews. “An epoch immersed in darkness is in pursuit of rays of light.” This is how Ferréol Babin introduces the concept behind Lunaire for FontanaArte (facing page), a lamp composed of a concave aluminium diffuser containing a smaller frontal disk whose position regulates the light intensity. - pag. 84 Below: Dish of Light (here in version D), designed by Kouichi Okamoto of the Japanese studio Kyouei Design, is a lamp ‘broken down’ into plates designed to contain, screen and reflect light, adjusting it in any direction. Photo: Kyouei Design. To the side: the Port lamps designed by Alexander Taylor for David Gill editions emit the light that rises in a cylindrical tube in laminate, where a fie d of luminosity is generated that has a relaxing effect. Photo: David Gill Galleries, London. Below: the lamp-clocks of the Syzygy Phases series designed by Oskar Peet and Sophie Mensen (studio Os and Oss), presented in April in Milan at Spazio Rossana Orlandi, regulate their light based on the variations in sunlight during the course of the day (in this photo the lamp-clock is ‘responding’ to the time 17:45). - pag. 85 Left: Moody by Chiara Ferrari, a young Italian designer who lives and works in London, is a ceiling lamp in which parts made with polished steel are combined with others in Corian, kept in balance by a system of pulleys that also permits adjustment. Photo: John Ross. To the side: the poetic geometry of the lamp designed by Sebastian Goldschmidtböing is composed of a hemisphere in metal containing the light source and a post that marks the center of balance, which can be touched to trigger contact. Below, from left: the Warm Up lamp by Matteo Zorzenoni, presented in collaboration with Dimensione Danza, is based on the warmup exercises done by ballerinas at the practice bar. Formed by metal stems and a sphere of blown glass, it reproduces the counterweight between the legs and torso of dancers. Globe, by the Swedish designers Helena Jonasson and Veronica Dagnert (Studio Vit), is a lamp composed of a reflecting hemisphere in which the light emitted by a small connected sphere is diffused.
DesIGn ILLusIons pag. 86 by Sonia Pedrazzini
Paintings to cross, objects that defy gravity, shelves and books that float, cups that elude the grip, chairs that indulge in structural breakdowns. in the world of houdini even everyday things become extraordinary Now You See Me, directed by Louis Leterrier, is a recent thriller whose protagonists are the “Four Horsemen,” a super-team of the world’s most skilled magicians. Amazing feats of illusion and grand criminal projects lead to the sensation of not understanding whether what you see is part of the real world or that of imagination. And then there is “Magic. 1400s-1950s” (published by Taschen, 2013), edited by Mike Caveney, the professional magician and writer, and by Jim Steinmeyer, author of books on magic and creator of tricks and illusions for international stars in this field (Doug Henning, David Copperfield, Siegfried & Roy), a riveting read with evocative images from rare period posters. But it is only at the Museum of Magic of Cherasco, in the province of Cuneo, opened to the public in April 2013 and already considered unique in Europe, that visitors can have a direct experience of the tricks and ploys, become the protagonists of this fascinating parallel world. In short, precisely in this historical moment when cynicism and disillusion seem to reign supreme, magic is back, with great success, so much so that it has even contaminated a logical, systematic discipline like design. Seen in this perspective, in fact, even the latest Salone del Mobile offered some interesting surprises. Some of the proposals were mere visual games, optical illusions, amusing tricks, at times a bit naive and kitsch, but in other cases the projects were well developed, and called for thorough knowledge of techniques and materials. Some were furnishings that explore human behavior and theory of perception to produce destabilizing effects, while others were objects that use magic as a poetic and artistic language. This kind of spectacularization of everyday life has actually been around for some time. The great Ingo Maurer, for example, is considered a sort of ‘design Houdini.’ Trick candles, floating tables, holograms, lamps that seem to emerge from a painting by Dalí. Maurer has always known how to create objects suspended between dream and reality, projects balanced between research, technology, poetry and magic, never ceasing to surprise us. Nevertheless, the phenomenon of magical design has emerged with greater force, raising the question: what does design – originally a system structured on profane, rational thought – have to do with magic tricks, created and performed as
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entertainment, or to cheat by exploiting the weaknesses of human perception? One clue might come from a line uttered by one of the characters in Now You See Me, who says magic is a “deception done to delight and to amuse.” And in fact the large canvases showing armchairs on which to relax are delightful, while the chair that stays in balance on just two legs (and on its shadow) is indeed amusing; a table full of objects but without a top can raise a smile, and a cup that moves to elude our grip and escape from its saucer, as in a real séance, is a bit disturbing. As we said, these might only be simple, harmless ‘tricks.’ But they are not just for fun. To stick with the film, the Four Horsemen, thanks to incredible feats, return to the cheering audience the money stolen by tricks and frauds on the part of banks, organizations and unscrupulous businessmen, revealing to the world that the deceptions of dishonest powerful forces are happening outside the theater, not on the stage but in the world. Today the true magician is like a shaman who enlightens the mind: he does not mask reality, but unmasks deception and points an accusing finger at the everyday lies that parade as truth. Can designers do likewise, using conscious, borderline practices to unmask false certainties? The objects of illusion design, in fact, for the way they are conceived and the very fact that they exist, show us that by now noth-
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ing is original and sincere, that materials, technologies, production, communication, everything can be an illusion, disguising something else that lurks behind it. The lack of stability they depict speaks to us of a global market, of delocalization, prices, value, everything that is mutable and fluctuating, exactly like the stock market which can be crazed, depressed, nervous. It is hard to distinguish between reality and collective hypnosis. The designer-magicians represent the way we deceive ourselves, desiring the impossible – like perfection, eternal happiness, total security (against thieves, illnesses, natural and not so natural catastrophes) – only to then be upset about the inevitable situation of total control that is the result. Magic has to do with faith. You can let yourself be deceived through an act of blind, acritical faith, or you can give into enchantment as a positive path to enrichment. These objects, too, play nimbly with the expectations of those who observe them and use them. In the end, we are left with the truth we want to glean from the experience. So ladies and gentlemen, there they are, a myriad of objects that seem to be what they are not, that challenge our habits of perception and generate optical illusions, balanced between lightness and fragility, ingenuousness and ingenuity. “The closer you look, the less you see,” the magician repeats to his audience in the film: the genuine truth is what you can grasp when you cast off the limitations of shortsighted, narrow vision, limited to the present; the truth can be grasped shifting the gaze towards vistas not pre-
INdesign/INproduction
Heavy lightness pag. 90 by Katrin Cosseta
The new tables stand out in space with iconic force or slender lightness. Massive, sculptural, extralong, materic (from steel to marble). Or almost ethereal, a triumph of glass, on slender supports, with delicate lines in graphic balance - pag. 90 Poised Table by Paul Cocksedge, 500 kilos of curved steel for a table that seems to stay in a delicate balance, thanks to complex structural calculations. Limited edition of 10 pieces. 100/200 x 72.4 cm. - pag. 91 1. Octa by Bartoli Design for Bonaldo, table with top (200/250/300 cm) in painted solid wood, ceramic or glass, base with eight legs in painted or chromium-plated metal, inspired by the game of pickup sticks. 2. Bolero by Roberto Lazzeroni for Poltrona Frau, table with top in wenge-stained ash veneer with inlay work; large wood tiles create the play of horizontal and vertical grain. Legs in wenge-stained solid ash, with triangular section. 300x100x74 cm. 3. Margutta by Fendi Casa, rectangular table with top in ebonized sycamore, a typical material of Art Deco, and steel inserts with bronze finish The steel legs with brushed bronze finish eflect the design of the top. 300 x120x75 cm. - pag. 93 1. Brick 33 by Paola Navone for Gervasoni, table with base made of slices of wrightia trunk, with the bark removed, carved by hand, and rectangular top in waxed iron sheet, 240x100 cm. 2. Ala by Ferruccio Laviani for Misuraemme, table with legs in shaped wood with melange oak, wax or black stain finish semi-oval top in Silver Brown Travertine, Gold Calacatta or White Carrara marble, or in painted glass. 250/280x103x74.5 cm. 3. For Hall table by Paolo Castelli R&D Team for Paolo Castelli, with top in Sahara Noir marble, a black stone with rust-colored veins. The base is composed of 16 metal legs with galvanized burnished copper finish brushed by hand and arranged at different angles. 4. Dritto by Piero Lissoni for Salvatori, table with oval or rectangular top in marble and natural stones with various finishe , including Lithoverde, the eco-compatible material, and iron legs. 220x90x73cm. 5. Tobi-Ishi by Edward Barber & Jay Osgerby for B&B Italia, round table (diameter 162 cm) in the new Smoke Blue or Candy Red glossy painted versions, or in cement and marble. 6. Neto by Rodolfo Dordoni for Minotti, table with chalice base in pewter-color painted structural polyurethane, top in MDF with veneer in shiny or matte rosewood, open-pore mochastained oak, violet or sand glossy paint. Maximum size 300x120x74. 7. Bedrock Plank by Terry Dwan for Riva1920, table with top in solid
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novembre 2013 Interni viously contemplated, or zooming back to expand the perspective. Maybe all this means that there is still hope for design, if consciously or not it is capable of tearing away the veil of our false assumptions. - pag. 86 Santa Maria della Luce is a hieratic but reassuring presence. A fibe glass weave that prompts a feeling of reverence when lit, casting out shadows, and is a familiar object when off: a simple dishcloth. By Frans Van Nieuwenborg for Ingo Maurer. Below: also from the magician of light, Ingo Maurer, the surprise of an unexpected object, a table that floats on its four chairs. Floating Table, for Established & Sons, 2012. - pag. 88 Below, from left: the Shadow Chair by Duffy London defies the orce of gravity and encourages you to try it out. But there is no danger; it’s shadow is made of steel. The UP dining table by Christopher Duffy for Duffy London is a playful table that makes us daydream as it tries to take flig t. To the side: a candle holder by Maya Selway that blurs from the second to the third dimension in a seamless way. Protrude is a simple wooden vase that is always poised, but a clip specially designed by Yoy keeps it from ever falling. Below: the wooden shelves of the TT series by Ron Gilad for Adele-C seem to float, though they are solidly held in place by a particular interlocking system for variable groupings. - pag. 89 To the side: Pieter Von Balthasar has created a series of complements that play with the amazement still prompted by things that defy gravity. To the side: Magic Wall is a vertical shelf produced and distributed by Magic Wall, which attracts and holds pots, bottle openers, knives and cans. Below: like magic, the Canvas by the Japanese duo Yoy is hung on the wall, but can be transformed into a seat.
walnut with natural borders, thickness 5 cm, and base in raw forged iron, welded by hand. 220/300x90/100x76 cm. - pag. 94 Verglas by Piero Lissoni for Glas Italia, table composed of boxed volumes in transparent extralight 10mm tempered glass, made with a complex gluing process. The top, a parallelepiped open at the two ends, is supported by two T-shaped bases. 250/300x90/100x77 cm. Image processing by Enrico Suà Ummarino. - pag. 95 1. Arki Table, designed and produced by Pedrali, table with ultrathin 6mm top, steel trestle legs and support in extruded aluminium. Maximum size 360x120x74 cm 2. Element by Tokujin Yoshioka for Desalto, sculptural table (rectangular up to 3 meters, round or square) with base formed by an inclined metal support. Available in black or white, the tables have tops in open-pore oak, matte black glass, waxed raw iron or mirror-finish tainless steel. 240/300x99x72 cm. 3. Spillo by Damian Williamson for Zanotta, table with legs in polished or painted aluminium alloy, and top in tempered glass, painted or covered with cement with acrylic finish Maximum size 200x100x74 cm.- pag. 96 1. Gazelle by Park Associati for Driade, table with structure composed of three perpendicular frames of stainless steel, in four colors. The top comes in MDF with cement or white finish 210/240/270x90x73 cm. 2. Host by Rodolfo Dordoni for Poliform, table with structure in drawn satin-finish m tal, painted gray. The top comes in matte or glossy painted glass or marble, supported by a panel in matte black painted wood with border frame in drawn satin-finish m tal, painted gray. 320x100x74 cm. 3. Villa Rose by François Azambourg for Ligne Roset, table with trestle structure in black oak and top (180 x 100 cm) in 12 mm glass. - pag. 97 4. Domino by Andrea Lucatello for Cattelan Italia, table with base in solid Canaletto walnut or burnt oak stained ash, walnut-oak mix or multicolor open-pore lacquer finish Top in transparent or extraclear glass. Maximum size 254/120/75 cm. 5. Filigree by Rodolfo Dordoni for Molteni&C, fi ed or extensible table with structure in shiny or black chrome die-cast aluminium, top in wood (black oak, dark oak, gray oak, elm, dark elm), matte paint, painted glass and colored etched glass, or stoneware. Maximum size 278/98/74 cm. 6. Air Wildwood by Daniele Lago for Lago, table with top in aged oak, made in collaboration with Listone Giordano. On the surfaces, the wood is worked to create a cavity that offers a glimpse of the section of the trunk, or it can be covered in colored glass. Maximum size 250x100x76 cm.
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Interni novembre 2013 ADELE C di ADELE CASSINA Piazza Vittorio Veneto 2, 20821 MEDA MB Tel. 0362347499, Fax 0362759956, www.adele-c.it, adele-c@adele-c.it AGAPE srl Via Pitentino 6, 46037 GOVERNOLO DI RONCOFERRARO MN Tel. 0376250311, Fax 0376250330 www.agapedesign.it, www.agapecasa.it, info@agapedesign.it ALFREDO SALVATORI srl Via Aurelia 395/E, 55047 QUERCETA DI SERAVEZZA LU Tel. 0584769200, Fax 0584768393, www.salvatori.it, info@salvatori.it ARKETIPO spa Via G. 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