THe MaGazInE OF INTeRIors AND coNTeMPoraRY DesIGN N° 5 MaGGIo/may 2010 MensILe/monTHLY ITaLIa € 8,0
A € 16,0 – B € 15,0 – F €15,0 GR € 13,0 – P cont. € 13,0 – E € 13,0 – CH Chf 20,0
Poste Italiane SpA - Sped. in A.P.D.L. 353/03 art.1, comma1, DCB Verona
INteriors & architecture Dai rifugi di vacanza al mare, in campagna, in città, agli spazi del sapere
INsight Joe Colombo l’invenzione del futuro Triennale Design Museum di Alessandro Mendini INdesign Ispirazione moda Dordoni, FosTer, Levy, Urquiola: dietro le quinte del Progetto Cristalli a tinte forti Tendenza cocooning
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MensiLe/monTHLY wITH comPLeTe EnGLisH TexTs
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INdice/contents MaGGIo/May 2010
INterNIews 24 27 31 35 37 41
INredazione cara tersilla INitaly
project
La casa, oltre il bagno/The home, beyond the bath produzione production progetto relax/Relaxation design tendenza pied-de-poule/Pied-de-poule trend fiere fairs carraramarmotec 2010 anniversari anniversaries 25 anni di abitare il tempo/25 years of Abitare il Tempo
showroom
technogym a/in milano IN copertina: Nell’area prototipi di Molteni & C., disegni, schizzi e un modellino raccontano il progetto e lo sviluppo di uno degli ultimi prodotti dell’azienda di giussano. È il tavolo Arc disegnato da Foster + Partners, caratterizzato da una base plastica, di chiara concezione architettonica, realizzata in un innovativo composito di cemento e fibre organiche, disponibile in due tonalità di grigi. Il tavolo è completato da piani in vetro temperato extrachiaro ed è indicato anche per l’uso in esterni. on the cover: in the prototyping area of Molteni & C., drawings, sketches and a model narrate the design and development of one of the latest products from the Giussano-based firm. It’s the Arc table designed by Foster + Partners, with a plastic base of clear architectural origin, made with an innovative composite of cement and organic fibers, available in two shades of gray. The table has a tempered extraclear glass top and is also suitable for outdoor use. (foto di/photo by Giacomo Giannini)
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INternational
project
il nuovo studio di hdg/the new HDG studio giovani designer young designers Philippe Bestenheider produzione production omaggi alla lampadina/Tribute to the lightbulb il tocco dei maestri/The touch of the masters map design fiere fairs Furnex e +20 egypt design al Cairo/Furnex and +20 Egypt: design in Cairo nuove geografie NEW geographies Scommettiamo sul design/Let’s bet on design anniversari anniversaries designer’s days: dix ans! protagonisti protagonists Kazuhide Takahama
auctions
Bombay Sapphire charity paesaggio landscape l’albero della vita a New York/the Tree of Life in New York
showroom
B&b italia a parigi/in Paris skitsch a londra/in London dupont a new york e philadelphia/in New York and Philadelphia viabizzuno a praga/in Prague la casa missoni a los angeles/Casa Missoni in Los Angeles
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INdice/CONTENTS II INtertwined
premi e concorsi PRIZES AND COMPETITIONS a sostegno delle idee/Supporting ideas Enel Contemporanea Award 2010 ExPo PacK, un concorso di design/a design competition 94 mostre Exhibitions creatività mediterranea/Mediterranean creativity 99 paesaggio landscape la piramide di fiumara d’arte/The Fiumara d’Arte pyramid la foresteria di planeta/The Planeta guesthouse 103 città e territori Cities and territories Led: spettacolo e progetto/LED: spectacle and design oasi cadore 106 cinema il tempo della vita e della città/The time of life and the city 87
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INservice
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traduzioni translations indirizzi firms directorY
INtopics 1
editoriale editorial di/by gilda bojardi
INteriors&architecture
geografie domestiche, da singapore a mallorca
domestic geographies, from Singapore to Majorca gli spazi del sapere spaces of knowledge a cura di/edited by antonella boisi
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singapore, il giardino di metallo The metal garden
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nel siracusano, la casa azzurra
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nei dintorni di valencia, la casa nella roccia
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mallorca, rifugio campestre A country hideaway
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forte dei marmi, sapore di mare per mr. piquadro
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bilzen, belgio, il sogno realizzato A dream come true
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milano, lo showroom alv milan, the ALV showroom
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amsterdam, oba, la biblioteca della città
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progetto di/design by ong & ong foto di/photos by derek swalwell testo di/text by giacomo de filippo
near Siracusa, The blue house progetto di/design by gianfranco gianfriddo - ateliermap foto di/photos by peppe maisto testo di/text by matteo vercelloni
near Valencia, the house in the rock progetto di/design by fran silvestre navarro arquitectos foto di/photos by fernando alda testo di/text by francesco vertunni progetto di/design by juan herreros arquitectos foto di/photos by josé hevia testo di/text by alessandro rocca
Forte dei Marmi, a taste of the sea for Mr. Piquadro progetto di/design by mASSIMO BERTELLOTTI e/and c + l studio / camilla lapucci e/and lapo bianchi luci foto di/photos by pietro savorelli testo di/text by antonella boisi progetto di/design by bassam el-okeily foto di/photos by tim van de velde testo di/text by antonella galli
progetto di/design by fabio novembre foto di/photos by pasquale formisano testo di/text by alessandro rocca
amsterdam, oba, the city library progetto di/design by jo coenen & Co architekten foto di/photos by Andrés otero testo di/text by francesco vertunni
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INdice/CONTENTS III 34
milano, la biblioteca scolastica del collegio san carlo
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bologna, l’archivio della fondazione carisbo
MILAN, THE LIBRARY OF COLLEGIO SAN CARLO PROGETTO DI/DESIGN BY RAGAZZI AND PARTNERS FOTO DI/PHOTOS BY MARIO CARRIERI, GUIDO CLERICI TESTO DI/TEXT BY MATTEO VERCELLONI THE ARCHIVES OF FONDAZIONE CARISBO PROGETTO DI/DESIGN BY MICHELE DE LUCCHI CON/WITH ANGELO MICHELI E/AND PHILIPPE NIGRO FOTO DI/PHOTOS BY MARIO CARRIERI TESTO DI/TEXT BY MATTEO VERCELLONI
INsight 42 26
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INprofile
joe colombo, l’invenzione del futuro THE INVENTION OF THE FUTURE DI/BY MATTEO VERCELLONI INarts
design maledetto DESIGN MAUDIT DI/BY GERMANO CELANT INscape
una società oggettuale A SOCIETY OF OBJECTS DI/BY ANDREA BRANZI
INdesign 56 56
INcenter
ispirazione moda FASHION INSPIRATION DI/BY NADIA LIONELLO FOTO DI/PHOTOS BY PAOLO VECLANI
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sogni e segni DREAMS AND SIGNS
DI/BY MADDALENA PADOVANI ILLUSTRAZIONI DI/ILLUSTRATIONS BY JVLT/JOEVELLUTO
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a tutto vetro ALL GLASS DI/BY PATRIZIA CATALANO INcompany
tutti in fabbrica HEAD FOR THE FACTORY FOTO DI/PHOTOS BY GIACOMO GIANNINI TESTO DI/TEXT BY ROSA TESSA
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INproject
oggetti bio-tech BIO-TECH OBJECTS
DI/BY STEFANO CAGGIANO 84
architetture domestiche DOMESTIC ARCHITECTURES DI/BY MADDALENA PADOVANI
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design a impatto zero ZERO-IMPACT DESIGN DI/BY MICHELANGELO GIOMBINI
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INview
verde che passione CRAZY ABOUT GREEN
DI/BY LAURA TRALDI 94
INproduction neoalcove NEOALCOVES DI/BY KATRIN COSSETA
INservice
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indirizzi ADRESSES DI/BY ADALISA UBOLDI
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traduzioni FIRMS DIRECTORY
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Interni maggio 2010
INtopics / 1
EDiToriaLe
I
n tema di progetto e riflessioni, la lettura di questo numero sembra suggerirci una precisa prospettiva: oggi più che mai è vitale la proposta di un modello di abitabilità che risponda a un intimo bisogno di protezione. Una piccola casa di villeggiatura in Sicilia, una casa nei pressi di Valencia che sembra emergere dalla roccia, una casa dai piani sfalsati e dalla facciata come vetrata integrale sulla via di un’antica città belga, un tradizionale ricovero di pastori a Mallorca che diventa casa a veranda aperta sulla campagna, ‘spazi del sapere’ a Milano e a Bologna che sottolineano il valore della pratica del riuso del patrimonio esistente… Si parte dall’antologica delle architetture, dove la messa in scena non sacrifica l’intimità domestica, anzi ne accentua il senso di rifugio, per giungere alla rassegna dei servizi dedicati alla ricerca e alla sperimentazione nella produzione, che condividono una declinazione chiara e dettagliata della tendenza cocooning. Architetture concepite come micro-arredi e arredi intesi come microarchitetture, cellule individuali di comfort: è un antico fil rouge, se ci pensiamo. Tutto riporta alla ‘materia dell’invenzione’ di Joe Colombo artista, architetto e designer, scomparso prematuramente a soli 41 anni, che ha lasciato un segno indelebile nella storia del progetto non solo italiano. Lui, già nei mitici anni Sessanta, ovvero nel decennio dell’American Dream, aveva portato avanti con intuito e garbo una personale ricerca di forme organiche e linee curve in grado di disegnare “un futuro tutto in movimento”, proiettato verso l’esterno, confezionabile come un abito su misura. Una lezione di grande attualità che gli attori del nostro tempo, più fluido e tecnologico, continuano a recuperare in modo innovativo e propositivo. Gilda Bojardi Bologna, archivio fondazione carisbo, progetto d’interni di michele de lucchi.
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UNO SCORCIO DELLA CORTE INTERNA E Il fronte su strada dell’architettura d’epoca coloniale che ospita la casa. Il fronte interno ripreso dalla corte con la piscina sottolinea la dimensione di continuità e fluidità degli SPAZI IN OUT. Indiviso, il primo livello consente allo sguardo di afferrare l’intera estensione degli ambienti est erni e interni, dalla pool lounge fino alla porta d’ingresso.
Il giardino di metallo
Una parete di alluminio ondulato riveste la corte di un’elegante dimora Art Déco. Dietro la facciata primo Novecento la luce, catturata dal pozzo centrale, inonda le due ali della residenza e lo specchio d’acqua del giardino, mitigando l’umido clima tropicale di Singapore.
progetto di Ong & Ong design team Diego Molina, Maria Arango, Camilo Pelaez foto di Derek Swalwell testo di Giacomo De Filippo
S
ingapore, le case a schiera d’epoca coloniale che ospitavano insieme abitazione e bottega, questa è al numero 55 di Blair Road, hanno una conformazione particolare, con un fronte su strada di circa 5 metri e un lotto cieco molto esteso in profondità. Una soluzione pratica, per la funzionalità del negozio con magazzino, ma meno favorevole per quanto riguarda le qualità ambientali dell’abitazione, che risulta costretta in spazi inevitabilmente molto densi e chiusi tra i
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muri ciechi dei lotti confinanti. Condizioni in cui ottenere luce naturale e ventilazione sufficienti è un obiettivo piuttosto complicato. I progettisti Diego Molina, Maria Arango e Camilo Pelaez, dello studio Ong & Ong, sono stati chiamati a migliorare un intervento di ristrutturazione realizzato dieci anni fa che non soddisfaceva il nuovo proprietario, un giovane professionista di successo, e hanno puntato a sconfiggere la claustrofobia del lungo lotto intercluso lavorando soprattutto su due aspetti, la continuità e la fluidità degli spazi e la massima valorizzazione della piccola corte interna. La casa, che dispone di poco meno di trecento metri quadri, è stata riorganizzata con un primo livello completamente indiviso che, dalla porta di ingresso, permette allo sguardo di afferrare l’intera estensione della casa, lunga quasi ventisette metri, scivolando sul luminoso pavimento in travertino attraverso il primo living, la scala a chiocciola e la pool lounge, fino al giardino, con l’albero di
frangipani e la vasca d’acqua e la cucina all’aperto. Il concetto di spazio continuo è applicato anche al piano superiore dove si trovano, sopra l’ingresso, lo studio e la stanza da letto padronale separati da un’apertura quadrata, una finestra orizzontale, aperta sul living sottostante, che è un altro importante elemento di fluidità visiva e di circolazione dell’aria. Le pareti in bianco totale e il pavimento in grandi assi di teak, insieme alla bella finestra originale in legno dipinto di bianco, conservano la freschezza accogliente dell’architettura coloniale. Oltre la scala a Il fronte interno ripreso dalla corte chiocciola, separata soltanto da due ante scorrevoli con la piscina sottolinea e trasparenti, silatrova la sala da bagno, cubo in dimensione di continuità e fluidità travertino vetro pieno di il luce e quasi a contatto degli SPAZIeIN OUT. Indiviso, primo livello consente sguardo di afferrare l’intera con leallo fronde del frangipani, pianta che, estensione nei Paesi ambienti est erni e interni, dalla pool induisti degli e buddisti, riveste un valore sacro. Oltre le lounge fino allailporta d’ingresso. fronde del frangipani, si affaccia piccolo nucleo residenziale della governante, anch’esso a UNO SCORCIO DELLA CORTE INTERNA E Il fronte immediato contatto col giardino attraverso la su strada dell’architettura d’epoca coloniale parete interamente che ospita la casa. vetrata.
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Contrasti forti e inaspettati nei rivestimenti, inserti indovinati e dialettici, che conservano il sapore accogliente dell’architettura coloniale.
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Se l’allestimento e la disposizione degli interni segue i criteri di un elegante minimalismo in cui dominano il bianco e, con lievi concessioni etniche, i materiali naturali, la sorpresa, il gesto spettacolare si incontrano nel giardino. O meglio, nel suo rivestimento che suscita un contrasto forte e inaspettato, grazie all’indovinato inserto di un foglio di alluminio corrugato che riveste, come una boiserie hi-tech, le pareti laterali della corte e il piccolo giardino pensile. La luminosità del materiale, amplificata dall’ondulazione, svolge un compito importante portando luce negli interni e, dal punto di vista del microclima, svolge un effetto camino aspirando verso l’alto l’aria calda e favorendo il ricambio e una leggera e costante ventilazione. Dal punto di vista percettivo l’alluminio incrementa la qualità del giardino esaltando la luce cangiante dei riflessi sull’acqua e prestandosi all’effetto scenografico dell’illuminazione notturna.
UN’altra vista dello spazio in-out conquistato con il progetto di ristrutturazione e un disegno assonometrico che mostra l’articolazione degli ambienti sui diversi livelli. Anche al livello superiore si applica il concetto di INVOLUCRO continuo e fluido. Le pareti total white e il pavimento in grandi assi di teak, insieme al foglio di alluminio corrugato che riveste le pareti laterali della corte e il piccolo giardino pensile, enfatizzano la luminosità della costruzione interna e svolgono un ruolo importante dal punto di vista del microclima. gli arredi sono stati realizzati da YPS.
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La casa azzurra progetto di Gianfranco Gianfriddo – AtelierMap foto di Peppe Maisto testo di Matteo Vercelloni
SULLE COLLINE DI PALAZZOLO ACREIDE, NEL TERRITORIO TRA RAGUSA E SIRACUSA, IL recupero DI UNA piccola casa DI villeggiatura ADAGIATA SUI terrazzamenti ad ulivo DI CUI VUOLE essere parte, AMPLIANDO I SUOI SPAZI IN ZONE IPOGEE. UNA CASA CHE emerge DAL PAESAGGIO PER COLORE E FIGURA E CHE AL PAESAGGIO VUOLE radicarsi.
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i Palazzolo Acreide, Giuseppe Fava, intellettuale siciliano nativo del luogo, scrittore e drammaturgo, giornalista e sceneggiatore, assassinato dalla mafia nel gennaio del 1984, descriveva le case che presentavano “le facciate verdi, azzurre e rosse, ma di quei colori antichi che la luce, il vento, la pioggia e il muschio hanno modulato per centinaia di anni e perciò si sono fatti tenui come un’ombra. Balconi ed architravi sono di pietra bianca e scolpita, ma anche sculture, ormai, levigate dal tempo, hanno assunto altre forme, più misteriose e sfuggenti”. Il paese è
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vista complessiva del fronte della casa con la ricostruzione dei muretti in pietra dei terrazzamenti trasformati in parte in percorsi e scale di salita all’abitazione. Il disegno lineare della pergola metallica si collega a quello del parapetto della scala che da un lato conduce al locale studio. sotto, La casa integrata in modo armonico nell’andamento dei terrazzamenti ad ulivo.
segnato da “scalinate segrete che si infilano tra le case e sbucano sull’alto del monte”, un luogo che si “apre dolcemente come una conchiglia”. Sui terrazzamenti che cingono il paese, di fronte allo storico monumentale cimitero che completa con i suoi pini e i profili delle sue edicole riccamente decorate il crinale in pendio, Gianfranco Gianfriddo ha scelto di restaurare una piccola casa di villeggiatura come luogo in cui vivere, appartato tra gli ulivi, lontano dalla dimensione urbana di Siracusa dove invece ha il suo studio di architettura. “L’idea”, afferma il progettista, “è stata quella di
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lo spazio-studio con la parete conclusiva segnata dal camino in muratura; pavimento di pietra pece, soglie superiori del camino di pietra lavica dell’Etna, rivestimento verticale del camino in pietra lavica occhio di pernice. Nel disegno: pianta di progetto. pagina a fianco. vista del soggiorno con il box di legno della cucina. Pavimento in rovere, scala metallica dai gradini di legno e divano su disegno.la scala sale allo spazio ricavato nel sottotetto della falda centrale. nel disegno: sezione longitudinale di progetto.
ritenere parte della casa tutto il sistema dei terrazzamenti che la sostiene e dare quindi forma e luce a questo complesso ctonio”. Il radicarsi al luogo si è tradotto così non solo nello studio di spazi ipogei di servizio come il garage, ma anche di nuove ‘addizioni’ architettoniche (uno spazio studio), ricavate sotto i terrazzamenti e tra loro unite tramite un gioco di scale e percorsi a diversi livelli integrati nella figura lineare dei muretti di pietra a secco preesistenti. Mentre la casa, una costruzione eretta presumibilmente tra le due guerre a scopo vacanziero, che già denunciava una sua qualità nel rudere oggetto d’intervento, è stata riportata alla figura originaria. Una casa dalla copertura a falda, con fasce di pietra a scatti sugli angoli e con
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bordature dello stesso materiale per marcare porte e finestre. Forometrie che emergono dal nuovo intonaco azzurro (uno dei colori storici del paese come ricordava Fava) a base di calce e rame, lavorato secondo le tradizioni di un tempo. Così, specialmente in primavera quando la collina è ancora verde e la vegetazione colora il declivio, l’azzurro della casa sembra squillare per contrasto in modo armonico, ricordando le tonalità impiegate in paese nel passato. Il sistema delle terrazze esterne segue il percorso d’ingresso dalla strada, con il box ipogeo, per salire poi alla prima terrazza ricavata sulla lenza coltivata su cui oggi si affaccia il locale studio, aperto con un ampio infisso ligneo vetrato verso l’esterno. Qui, sul fondo del locale, con
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pavimento di pietra pece ragusana, in corrispondenza del camino in muratura rivestito di pietra lavica con cappa di ferro, è stato ricavato in copertura un lungo taglio orizzontale che porta la luce zenitale nell’interno, illuminando secondo le ore del giorno la parete conclusiva. Proseguendo verso l’alto, l’ingresso della casa è anticipato da un pergolato di ferro unito figurativamente al disegno del corrimano della scala. Un sistema etereo pensato come un leggerissimo componente lineare che si estende dalla casa a coprire e a definire la dimensione della terrazza laterale, ricavata in parte sulla copertura dello studio sottostante. Nell’interno le due porzioni preesistenti che formano la costruzione, frutto di addizioni nel tempo, sono
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state mantenute ricavando nel locale più ampio la zona giorno con la cucina inglobata in un box di legno indipendente separato tramite lastre di vetro acidate scorrevoli. Il box di legno chiaro, che volutamente non raggiunge il soffitto per mantenere il suo carattere di addizione interna, affiancato dal bagno, si appoggia sulla parete di fondo colorata di rosso pompeiano (un altro colore storico riportato questa volta nell’interno). Da qui parte la scala a nastro di ferro tinteggiato di bianco che raggiunge il locale sottotetto, ricavato in posizione centrale, tra le due stanze, sfruttando l’altezza del colmo di copertura. A fianco della zona pranzo un divano su disegno accompagna il passaggio alla seconda stanza, colorata di azzurro come l’esterno.
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NeLLa RoccIa
ALLA BASE DEL Castello di Ayora NEI PRESSI DI VALENCIA, IN SPAGNA, UNA casa CHE segue LA topografia del sito E LA MATRICE URBANA DELL’INSEDIAMENTO STORICO, CREANDO UN rapporto dialettico E STRIDENTE con LA roccia DA CUI SEMBRA EMERGERE.
VISTA DELL’ ARCHITETTURA ESTERNA CHE INCONTRA LA ROCCIA E IL TESSUTO EDILIZIO PREESISTENTE, CON I SUOI FRONTI COMPATTI E BEN DOSATI NEL RAPPORTO TRA VUOTI E PIENI. LA CASA SI SVILUPPA SU TRE LIVELLI. CIECO RISPETTO AL FRONTE STRADALE, IL PRIMO LIVELLO È SEGNATO DA UNA SERIE DI APERTURE SU QUELLO LATERALE SINISTRO DOVE È ORGANIZZATO ANCHE IL PERCORSO IN PENDENZA DI ARRIVO ALL’INGRESSO PEDONALE RIVESTITO IN PIETRA.
progetto di Fran Silvestre Navarro Arquitectos foto di Fernando Alda testo di Francesco Vertunni
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la scala organizza un gioco di volumi che enfatizza l’altezza interna, catturando la luce naturale da un taglio vetrato realizzato in copertura. Essenziali e basic i materiali adottati nella costruzione: cemento bianco e intonaco a definire un involucro neutro e spartano.
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A
lle pendici della rocca del Castello di Ayora, in un paesaggio aspro dove la roccia si incontra con un sistema di piccole case cresciute nel tempo per giustapposizioni e sostituzioni, ma sempre assecondando i movimenti del terreno, le sue balze e le sue propaggini rocciose, questa nuova casa unifamiliare sviluppata su tre livelli si inserisce nel tessuto preesistente, allineandosi al profilo viabilistico dato dalla disposizione delle altre costruzioni, proponendo però una nuova figura compositiva con i suoi ambienti che crescono verso l’alto. Il piano terreno, il più sacrificato dal punto di vista della possibilità edificatoria per la presenza della roccia in prossimità con la linea di confine, organizza in poco più di cinquanta metri quadri il garage con un piccolo spazio magazzino e un disimpegno con la scala di collegamento al
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sopra, dettaglio di un bagno realizzato interamente su disegno. l’ampio spazio giorno attraversa al terzo e ultimo livello l’intera architettura, dall’ampia vetrata rientrante rispetto al filo di facciata fino al grande terrazzo collocato nell’interno verso il pendio roccioso. la cucina, bianca, modulare e su disegno, aperta verso il soggiorno-pranzo è collocata al centro della casa e comunica con la terrazza tramite una vetrata a tutt’altezza affiancata da due aperture simmetriche alle estremità.
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SPAGNA / 13
primo piano. Questo, in aggetto sopra l’ingresso del garage sottostante, crea un primo movimento di ‘torsione’ delle componenti dell’edificio ottenendo allo stesso tempo una zona protetta dalla pioggia. Cieco rispetto al fronte stradale il primo livello è invece segnato da una serie di aperture su quello laterale sinistro, rientrante rispetto al filo della fascia superiore. Lungo il fronte laterale è organizzato anche il percorso in pendenza di arrivo all’ingresso pedonale rivestito di pietra, che sembra portare nell’interno un frammento regolarizzato della roccia dell’esterno. A fianco dell’entrata è collocata una prima zona notte con una camera da letto e un locale studio-camera ospiti. È al terzo e ultimo piano che la casa si sviluppa per tutta la sua lunghezza, sfruttando al meglio l’intera dimensione del volume rettilineo. Mentre la scala organizza un gioco di volumi che enfatizza l’altezza interna, catturando la luce naturale da un taglio vetrato realizzato in copertura. La soluzione del terzo e ultimo livello affianca alla stanza padronale
disposta in angolo sul fronte stradale, un ampio spazio giorno che attraversa l’intera architettura dall’ampia vetrata rientrante rispetto al filo di facciata, sino al grande terrazzo collocato nell’interno verso il pendio roccioso e pensato come una stanza senza soffitto, ma contenuta dal perimetro murario che ‘taglia’ in modo netto il profilo del cielo. La rientranza dell’apertura sul fronte stradale al terzo piano oltre a valorizzare l’aspetto di volume ‘scavato’ e di ‘spessore’ dell’involucro architettonico, permette la creazione della finestra necessaria alla camera padronale senza dovere operare nuovi tagli nei fronti, che rimangono così fortemente compatti e attentamente calibrati nel rapporto tra vuoti e pieni. La cucina, bianca, modulare e su disegno, aperta verso il soggiorno-pranzo, è collocata al centro della casa, di fianco alla scala e al taglio a doppia altezza in modo da consentire la totale interazione tra terrazza e spazio interno separati da una vetrata a tutt’altezza affiancata da due aperture simmetriche alle estremità.
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Rifugio campestre
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a mallorca, il piccolo volume di un tradizionale ricovero di pastori si raddoppia e diventa una casa a veranda aperta sulla campagna, con leggere pareti finestrate comprese tra due massicce pareti in pietra locale. progetto di Juan Herreros Arquitectos foto di JosĂŠ Hevia testo di Alessandro Rocca
viste dell’architettura esterna. forte il contrasto percettivo tra i pesanti fianchi dell’edificio realizzati in marÊs, la trama rustica della sabbiosa pietra locale, e Il lato maggiore rivestito da un sistema di pannellatura continua che diventa essa stessa parete, incorniciando la doppia fila delle finestre.
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La casa mantiene anche all’interno la disposizione doppia della struttura portante, con due volumi uguali paralleli divisi dal muro centrale. Verso valle si affaccia il soggiorno e, in continuità, lo spazio del pranzo. Al Tavolo si accompagnano la poltroncina eros con base girevole e scocca trasparente di kartell, disegnata da philippe starck come la sedia pip-e di driade. chandelier della serie light shade shade di moooi. La camera da letto si trova al centro del lato opposto, compresa tra il bagno e la cucina, a sua volta direttamente collegata alla zona pranzo. Lo spazio del soggiorno che, oltre il caminetto, procede nello studio. divano strips di cini boeri e laura griziotti per arflex (1979). Tutti gli ambienti sono generosamente illuminati dall’ampia finestratura della parete in legno.
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ampagne di Artà, cittadina dell’entroterra maiorchino non distante da Capdepera e Cala Rojada, 130 metri quadrati per il buen retiro mediterraneo del gallerista madrileno Pepe Cobo. A partire dalla “riforma” (come si dice efficacemente in spagnolo) di una piccola casa rurale, un ricovero di pastori, Juan Herreros elabora una ricostruzione rispettosa dei caratteri e dei materiali originali duplicando simmetricamente il volume esistente e, con misura e abilità, introduce una serie di elementi che attribuiscono al rustico edificio una fisionomia tipicamente contemporanea. Per guadagnare spazio e aria, e per ampliare la superficie finestrata migliorando le condizioni di soleggiamento e arieggiamento, esagera l’inclinazione degli spioventi del tetto e, oltre all’effetto funzionale, provoca anche una importante mutazione
percettiva: i fianchi dell’edificio, realizzati nella trama rustica della sabbiosa pietra locale, il marés, assumono un profilo geometricamente più definito che diventa un’immagine forte, iconica, memorabile. La seconda intuizione è la scelta di esasperare il contrasto materico tra i fronti laterali, ciechi e massicci, e i lati maggiori, completamente rivestiti da un sistema di pannellatura continua che diventa essa stessa l’intera parete. In questo modo l’edificio si alleggerisce, staccandosi dalla pesante muratura dei fianchi e del basamento che sostiene il dislivello del terreno. La casa di dispone su due livelli, uno al piano della campagna, illuminato da finestre in doppia fila, e uno ricavato nel basamento semi-affondato nel terreno. Al livello inferiore si trovano i box per tre auto, gli ambienti di servizio e le camere per gli ospiti e, al piano nobile, le sei stanze di uso corrente tutte, secondo l’uso mediterraneo, di dimensioni simili. Affacciati a nord, verso un paesaggio di boschetti e colline, la cucina, la camera da letto e il bagno; sul lato sud, la sala da pranzo, il soggiorno e lo studio, tutti e tre in diretta comunicazione con la terrazza e con il giardino alberato. Gli ambienti, pavimento in cemento ambrato e intonaco candido, sono dominati dalla luce: mutevole, diretta o indiretta, libera o schermata a seconda dell’ora, della stagione e dell’umore di Pepe, e ciascuna stanza è organizzata intorno a un oggetto principale che ne occupa il centro: il tavolo, il divano, lo scrittoio, la vasca da bagno, il letto, il banco dei fornelli. Le facciate di legno, tinteggiato in verde chiaro, si trasformano in una specie di fronte scenico che cambia a seconda delle finestre e le porte che si aprono o si chiudono, delle luci che si accendono o si spengono nelle diverse stanze. Davanti alla parete verde si stende come un palcoscenico la terrazza, formata da lastre minimali delimitate da due panche altrettanto minimali, sospese sullo zoccolo in pietra naturale. Appena oltre i terrazzi, da un lato c’è un accogliente giardino pensile, che è la logica e mediterranea estensione dello spazio domestico, e sull’altro c’è un piccolo strapiombo affacciato sulla campagna maiorchina, con le sue scure macchie di vegetazione quasi impenetrabile, le radure in terra rossa, le rocce che affiorano e gli scabri profili della montagna calcarea.
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SaPore DI maRE a Forte dei Marmi, In Versilia, il buen retiro di Beatrice e Marco Palmieri, patron di Piquadro: una villa concepita come una scatola neutra e senza tempo di chiara vocazione estiva, che comunica con superfici materico-espressive, ascoltando con sensibilitĂ le peculiaritĂ del luogo.
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Viste in notturno dell’architettura esterna, del giardino e della mini vasca idromassaggio all’aperto. Pavimento in pietra Avorio Egizio spazzolata a casellario di f.lli pedretti, fornita da antolini, linee di luce dimmerabili ad incasso e led dietro i frangisole, con progetto illuminotecnico di lumen. I frangisole sono stati realizzati (come la scala interna) da Essemme. sotto: planimetria del piano terreno.
progetto d’architettura di Massimo Bertellotti progetto d’interni di C + L Studio / Camilla Lapucci e Lapo Bianchi Luci con Andrea Tanganelli, Morena Bertolani, Francesco Terrosi foto di Pietro Savorelli testo di Antonella Boisi
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ducati a interpretare esigenze e gusti di una committenza selezionata, Camilla Lapucci e Lapo Bianchi Luci, interior designer, partner a Firenze dal 2002 nello studio C + L, per la residenza estiva di Marco Palmieri a Forte dei Marmi non hanno fatto eccezioni. La loro rappresentazione di uno ‘stile italiano’ fatto di misura e cura dei dettagli, di equilibrio tra rigore geometrico dell’architettura e contaminazioni nelle scelte arredative, si è declinata in una villa anni Sessanta che è stata oggetto di un’accurata riprogettazione nell’architettura curata dallo studio di Massimo Bertellotti. In armonia con il nuovo disegno della facciata, delle aperture e della copertura (che conserva la geometria a falda
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imposta da vincoli di tutela), la casa risulta riorganizzata negli spazi interni, 200 mq distribuiti su tre livelli. Al piano terra, un open space su due livelli ospita ora in un continuum fluido e dinamico, l’ingresso, il living con la zona TV e pranzo e la cucina disimpegnata dal filtro di una quintasandwich in vetro scorrevole e tessuto di lino; al livello superiore, sono state ricavate le camere private con bagni dedicati; il seminterrato accoglie i locali di servizio insieme a una piccola SPA che apre su una mini vasca idromassaggio all’aperto. Il concetto ispiratore del progetto è stato suggerito proprio dall’ascolto del luogo: Forte dei Marmi con le sue immagini-icona da cartolina (il mare, le cabine sulla spiaggia, le ville romane di décor classico), hanno indicato il percorso per mettere in scena un’atmosfera abitativa semplice ma efficace di bellezza, lusso e comfort. Spiegano gli architettigiardinieri: “Sulla matrice di un linguaggio rigoroso e lineare, mirato alla semplificazione di forme e colori, le seduzioni dell’abitare contemporaneo si sono affidate al dominio di un unico materiale, una pietra di colore Avorio Egizio (spazzolata e levigata nei bagni e nella SPA,
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l’ambiente cucina risolta con il modello Atelier di Minotti. Tavolo di Riva 1920 e sedie Livia di Gio Ponti prodotte da L’Abbate. lampada da terra Arco di Flos. nelle gole a soffitto, Faretti a scomparsa di Viabizzuno, Le pareti sono finite in calce pozzolanica. La scala in ferro laccato bianco e legno di rovere spazzolato, con parapetto in cristallo extrachiaro e corrimano luminoso. Sul fondo, l’area d’ingresso, con la consolle in stagno naturale su disegno e la lampada Spun Light di Flos. In camera, un’intera parete è stata attrezzata con un’armadiatura in rovere e legno laccato bianco su disegno. abatjour AJ di louis Poulsen, tende di castello del barro e larsen.
a spacco nel top cucina) accostata al massello di rovere fiammato, scelto come contrappunto uniforme (in lunghe assi tinteggiate bianche per i pavimenti, al naturale nei mobili); un glossario di superfici e texture che definisce un involucro neutro e senza tempo”. Tutto si gioca su queste note: le tonalità di bianco delle pareti e dei pavimenti, il beige della pietra a casellario che richiama un effetto sabbia del mare, il touch nelle sfumature d’azzurro che vanno dal Blu Klein dei complementi d’arredo all’accento chiaro dell’acqua della piscina. Sono i materiali naturali e non i colori, dunque, che decorano, giocando con la luce, quella artificiale sempre maniacalmente celata in tagli e gole a soffitto (con linee dimmerabili e faretti a scomparsa), così come gli impianti tecnologici di condizionamento, le pilette delle docce e dei lavabi, la lama d’acqua della vasca. In questo scenario
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essenziale, dove la luce radente esalta la volumetria degli ambienti, dove anche le maniglie dei mobili sono state eliminate a favore di fresature ad hoc, le porte sono raso muro, le pareti sono state scurettate in modo da non toccare né soffitti né pavimenti, è la scala di collegamento tra i diversi livelli il segno più rilevante sul piano delle soluzioni d’insieme e di dettaglio. Struttura autoportante in ferro verniciato e gradini di rovere, delimitata da un parapetto strutturale in cristallo extrachiaro e da pareti perimetrali finite in intonachino di calce e polveri di marmo a grana fine, corrimano luminoso ad incasso, questo elemento architettonico restituisce tutta la leggerezza e la cifra del progetto compositivo sottolineata dalla luce naturale che si effonde dall’alto in modo zenitale. Le capacità performanti dei materiali nella costruzione dell’immagine della casa e della sua
aria marina e rilassante trovano ulteriori conferme nei tessuti di tonalità corda adottati per gli arredi: le tende in rete di canapa che ricordano le reti dei pescatori; il cotone a grana grossa dei divani e le rigature a rilievo delle pareti della SPA che richiamano le cabine degli stabilimenti balneari. Alla fine, sono proprio le scelte arredative, i mobili, i quadri, le attrezzature fisse che ammorbidiscono l’austerità della matrice figurativa dell’architettura, “disponendo contaminazioni, reimpaginando con motivi più personali gli spazi, parlando delle persone che abitano la casa, della loro cultura e del loro modo di vivere”. E tra classici del design scandinavo e della modernità internazionale, il display narrativo non tralascia la scelta delle opere d’arte condivise, soprattutto le fotografie di Nicolò Baravalle, giovane talento dodicenne che ha toccato la sensibilità della committenza.
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Nel living, boiserie in rovere naturale spazzolato, su disegno. Divano Up di Saba ITALIA. Pavimento in assi extralarge di rovere spazzolato tinteggiato bianco di Parquet Legno.
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Viste notturne del fronte della casa, affacciato su una via di Bilzen. A piano terra, la porta d’ingresso e il garage. Il balconcino di taglio irregolare del primo piano dell’edificio, dove è collocata la biblioteca. ai due piani superiori, dietro la vetrata integrale, si staglia la vera facciata, dai piani sfalsati e asimmetrici, con l’innesto dei due balconcini.
Una dimora per due in una piccola città belga, Bilzen. Un progetto domestico giocato con piani sfalsati e trasparenze. È la prima residenza firmata da bassam el-okeily, giovane architetto di origini egiziane, allievo di Portzamparc.
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È
un po’ poeta e un po’ filosofo Bassam el-Okeily, classe 1974, nato ad Alessandria d’Egitto con studio a Bruxelles. Dice di sé: ‘Traccio parole, poi qualche linea sottile e incerta, a cui affido tutti i miei sogni’. Sogni realizzati: è così che intitola i progetti portati a termine, in testa ai quali c’è una piccola casa di Bilzen (cittadina belga al confine con l’Olanda) completata nel 2009, per una coppia matura composta da un’artista e uno studioso
di arte. Bassam ha compiuto i suoi studi di architettura in Francia, dopo un anno presso l’atelier di Christian de Portzamparc, poi ha iniziato un percorso personale che assembla memorie lontane e rigorose basi accademiche. Il progetto della casa di Bilzen interviene su un modulo abitativo molto comune: casa monofamiliare, dal fronte stretto (530 cm) affacciato sulla via, sviluppata in profondità e chiusa sul retro da un cortile-giardino. La sua è stata un’interpretazione libera e innovativa, ma fedele all’identità dei proprietari; una breve poesia programmatica accompagna il progetto: “Che cosa è una casa? Uno spazio per vivere / per progettare la nostra felicità tra quattro mura / e per manifestare la nostra vanità al di fuori… Una casa stretta, su una via stretta / la
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Il sogno realizzato progetto di Bassam el-Okeily foto di Tim Van de Velde testo di Antonella Galli
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La zona living, di concezione minimale, con arredi progettati su misura da Bassam El Okeily (la cucina, il tavolo) e pezzi firmati: ale poltrone Wassily di Marcel Breuer per Knoll International. Qui sotto: un taglio nel soffitto porta la luce zenitale al living. pagina a fianco. Veduta dal cortile-giardino sul retro della casa. Il living è in comunicazione con lo spazio esterno grazie alla parete a vetri a tutt’altezza. Il piano superiore, arretrato rispetto al corpo dell’edificio, lascia spazio a un terrazzo.
storia di un uomo e di una donna, e delle loro passioni”. Il fronte sulla via ospita a piano terra la porta d’ingresso e il garage, mentre per i due piani in altezza la parete è stata sostituita da una vetrata integrale, un riquadro trasparente dietro a cui si staglia la vera facciata, non più ortogonale, ma dai piani sfalsati e asimmetrici, in cui si aprono due balconcini, rispettivamente al primo e secondo piano (il primo una biblioteca, il secondo uno studio d’artista) anch’essi di taglio irregolare. Uno sdoppiamento dall’effetto sorprendente quando, con l’oscurità, una luce azzurra invade la vetrata e tagli gialli di luce
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definiscono le sagome dei balconcini. Una ‘messa in scena’ della facciata, che però non sacrifica l’intimità domestica, anzi, ne sa accentuare il senso di rifugio. Tagli, volumi aggettanti, angoli e piani irregolari non possono non ricordare le avvolgenti architetture senza regola dei suk e delle medine nordafricane; ma il progettista ha saputo contemperarle e fonderle con il minimalismo nordico, ricomponendole negli interni nudi e squadrati, senza concessioni alla decorazione, in cui i pochi arredi sono pezzi magistrali (Panton, Breuer, Jongerius) e le opere d’arte della proprietaria prendono respiro e vita
dal bianco delle pareti. Ancora una proiezione all’esterno per il living con parete a vetro sul giardino, dove bianche geometrie incorniciano un esemplare di acero. Un progetto, quello di Bassam el-Okeily, notevole per inventiva, calibratura degli elementi, soluzioni inattese, talvolta poetiche, scritto con segni di luce, trasparenze, volumi puri.
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AL CENTRO DELLO showroom milanese DI ALV, NUOVO MARCHIO DI Alviero Martini, FABIO NOVEMBRE COLLOCA UN diaframma circolare, LEGGERO E TRASPARENTE, UNA rotonda enigmatica CHE PUĂ’ SEMBRARE UN TEMPIETTO ALLA BELLEZZA, UN ATOMO ROTANTE DI ENERGIA CREATIVA O UN piccolo pianeta surrealista.
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progetto di Fabio Novembre design team Lorenzo De Nicola, Giuseppe Modeo, Patrizio Mozzicafreddo foto di Pasquale Formisano testo di Alessandro Rocca
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NovemBre aTomIco
LO SHOWCASE CIRCOLARE È IN HI-MACS®, MATERIALE ACRILICO DI LG HAUSYS, MOLTO SIMILE AL CORIAN, ED È RISERVATO ALLE BORSE. A SINISTRA, LA PARETE IN SPECCHIO COLOR BRONZO CON GLI ABITI. IL PAVIMENTO È UNA GETTATA UNICA IN PASTELLONE, DI COLLEZIONE RICORDI.
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na delle ultime creazioni di Alviero Martini, che frequenta Ipanema quanto il quadrilatero della moda milanese, è la borsa San. ba, nome emblematico che sintetizza la passione per il Brasile e l’indirizzo del nuovo showroom milanese, affacciato sull’angolo tra corso Venezia e piazza San Babila. Con la creazione del nuovo brand ALV (Andare Lontano Viaggiando) lo stilista piemontese lancia la linea Ready to Wear ed Accessori donna con una collezione caratterizzata da materiali nobili, come il cashmere e l’alpaca, e da una produzione affidata a laboratori artigiani italiani che garantiscono l’esclusiva qualità del prodotto. Il problema di costruire un teatro adeguato si è presentato con molta urgenza, alla metà dell’anno scorso, ed è stato risolto a tempi di record, venti giorni di progettazione e quarantadue di realizzazione, giusto in tempo per la presentazione della collezione primavera-estate 2010. Artefice il vulcanico Fabio Novembre, architetto e designer che unisce vitalismo e inquietudine, istinto e cultura. E anche nello
showroom di ALV, il nostro non dimentica le sue avventure con il colore e con la figurazione surrealista, ma costruisce uno spazio che, alla luce delle esigenze espositive del cliente, mantiene un tono sobrio e, dove è il caso, giustamente neutrale. La sfida tra i prodotti esposti, che devono essere gli assoluti protagonisti del display, e la inevitabile forte figurazione, dato il piglio di Novembre, dell’allestimento, si conclude in pareggio, in un equilibrio fruttuoso che valorizza entrambi i progetti in gioco. Il layout dello showroom è semplice, all’ingresso si è accolti da un desk molto informale, drappeggiato in un mosaico luminescente, che ci devia verso una galleria rivestita da una boisierie in pannelli incisi con il logo ALV e laccati in lilla. Oltrepassati, con un sinuoso impulso di compressione e distensione, gli uffici della sede operativa, si giunge all’area espositiva che Novembre interpreta come un sancta sanctorum esoterico. Al centro dello spazio ruota, almeno in senso figurato, una grande struttura sferica, un atomo, un nucleo di materia prima, un
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sestante rinascimentale oppure il nudo telaio di un globo, il ricamo gentile di un mondo leggero e trasparente attraversato da meridiani, su cui scorrono le borse di ALV, e paralleli che scivolano dal pavimento al soffitto. Al culmine della sfera, in alto, un telo in pvc filtra e diffonde l’emissione opalina delle luci fluorescenti, su un tavolo rotondo disegnato per l’occasione. L’intera struttura, il tavolo e gli espositori sono realizzati con Hi-Macs®, una pietra acrilica prodotta da LG Hausys che, grazie alla lavorazione in termoformatura, ha notevoli qualità di duttilità e di durata, e si presenta con una pelle straordinariamente morbida e liscia, nonostante le caratteristiche di durezza e di robustezza. “Tutti gli oggetti del mondo fisico sono fatti di atomi, gli atomi sono fatti di energia, e l’energia genera piacere. Questa è la sensazione che mi ha dato Hi-Macs, una materia avvolgente e luminosa, pratica, forte e... discreta” commenta Martini. Intorno alla sfera lo spazio si dilata, sempre nel bianco integrale, in una serie di ripiani a onda e in
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un paio di elementi espositivi più preziosi addossati alle colonne portanti del palazzo. Su un lato spicca la parete in pannelli in bronzo acrilico specchiante che, con i ripiani dello stesso materiale, introduce nel bianco predominante una risonanza leggermente più calda e sonora. Gli ambienti si susseguono armoniosi, ma anche insidiati da quello spaesamento surrealista che è la cifra di Novembre. Lo showroom è perfettamente funzionale, i prodotti sono valorizzati, l’eleganza e l’accoglienza sono senza riserve, ma aleggia sempre uno spiritello capriccioso: con la coda dell’occhio si intravedono forme quasi umane, colori allegramente dispettosi e un incerto baluginio di riflessi che ti obbligano a immergerti nella strana irreale atmosfera di Novembre.
La sala riunioni, con lampada Hope e arredi firmati Novembre, tavolo originale e sedie Him & Her color melanzana, produzione Casamania. Il corridoio che disimpegna gli uffici operativi con pannelli laccati lilla, oblò luminosi di Flos e il lampadario Hope, disegnato da Francisco Gomez Paz e Paolo Rizzatto per Luceplan. L’interno del geode, con il tavolo in Hi-macs® di LG hausys appositamente disegnato da Fabio Novembre. Nella controsoffittatura, faretti ad incasso krypton di targetti sankey, tessuto luminoso di barrisol. all’interno della struttura espositiva, punti-luce di flos. Le Strutture in vetro sono di Miodino.
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Sotto: l’architettura collage esterna caratterizzata dalla multimatericità dei fronti. pagina a fianco. Veduta del piano terra. Gli scaffali in curva dei libri formano un arcipelago di isole circolari dal percorso labirintico. Il taglio verticale che attraversa ben otto livelli si offre come vertiginoso vuoto unificante della composizione.
Il primato degli interni progetto di Jo Coenen & Co Architekten foto di Andrés Otero testo di Francesco Vertunni
Spazi di lettura 1./ Ad Amsterdam, una biblioteca pubblica pensata come luogo d’incontro e di ricreazione, oltre che come spazio dedicato allo studio, dove l’attenzione alla complessa soluzione degli interni rende subalterna l’immagine esterna dell’edificio proposta come dinamico collage compositivo.
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L’
incastro di volumi, di facciate compiute trattate con diversi materiali, dove ampie vetrate in curva si affiancano a brani monolitici di pietra piegati a disegnare una copertura sospesa, fanno di questa architettura una consapevole rinuncia della retorica monumentale contemporanea e celebrativa dell’edificio pubblico, offrendosi invece alla città come specchio della grammatica compositiva celata al suo interno. In questo caso sono appunto gli interni, il mondo offerto ad ogni visitatore, i protagonisti assoluti del progetto, teso a definirsi come luogo pubblico contemporaneo in cui la capacità attrattiva delle soluzioni architettoniche degli spazi offerti per lo studio, la ricreazione, il ristoro, lo spettacolo, diventa la chiave di volta del ‘funzionamento’ dell’edificio. Così possiamo riconoscere nelle
soluzioni distributive una certa affinità con i migliori department stores di ultima generazione, come nei riusciti episodi a tripla altezza e come nel sistema delle scale mobili centrale affiancato da un taglio verticale che attraversa in un sol colpo ben otto livelli offrendosi come vertiginoso vuoto unificante. Se qui ogni livello è dedicato a un tema letterario (invece che a un genere merceologico), e se ancora, come nei grandi magazzini, l’ultimo piano è dedicato alla zona ristoranti, qui affiancata da un capiente teatro invece che dalla multisala cinematografica, possiamo allora apprezzare la riuscita ‘traslazione’ tipologica vestita di nuova funzione dedicata alla cultura letteraria nelle sue molteplici espressioni invece che al consumo. L’idea, dal punto di vista architettonico, è in fondo quella di costruire all’interno del già variegato
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il sistema delle scale mobili centrali e dei box luminosi caratterizzati da una grafica che, come nei grandi magazzini, identifica ogni livello, qui dedicato a un tema letterario. le confortevoli postazioni computer corredate dalle sedute Pastille disegnate da Eero Aarnio nel 1967-68 e oggi rieditate da Adelta. il collegamento visivo tra i vari livelli, grazie alle balconate affacciate una sull’altra.
involucro esterno un ‘altro’ edificio in grado di costruire un seducente e in parte spettacolare luogo d’incontro dove è piacevole tornare. Una sorta di piazza coperta a più livelli in cui i libri diventano anche oggetti d’affezione da consultare liberamente in sale collettive con tavoli di studio, in piccoli studioli lignei ritagliati e circoscritti come cornici abitabili sulle ampie facciate vetrate, o da sfogliare insieme ad una ricca e aggiornata selezione di riviste in zone più informali, più vicine all’idea di lounge che a quella di una sala di lettura. Il libro può essere affiancato da una vasta offerta di dvd al piano terreno; qui gli scaffali in curva creano una sorta di arcipelago di isole circolari a formare un percorso labirintico in cui emergono confortevoli postazioni computer da usarsi liberamente. Nel suo insieme la biblioteca è un sistema di spazi che si collegano tra loro soprattutto dal punto di vista visivo, grazie a tagli verticali di varie altezze, o grazie alle balconate affacciate una sull’altra, ai collegamenti verticali meccanizzati, agli scaloni e ai pozzi di luce, catturata in modo generoso anche dalle vetrate di facciata. L’aspetto multimaterico dei fronti si ritrova anche negli interni con brani parietali di pietra, facciate metalliche e griglie lignee miscelate da intonaci chiari, il tutto unificato dal caldo pavimento di parquet distribuito su tutti i livelli e interrotto con pedane vetrate multicolore in corrispondenza delle scale mobili dal fondo luminescente. Un moderno mall della cultura, dove si celebra il trionfo dei libri e della carta stampata senza rifiutare la multimedialità e le infinite possibilità della rete.
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Spazi di lettura 2./A Milano, nel cinquecentesco Palazzo Busca Arconati Visconti, sede, da più di un secolo, del Collegio San Carlo, la nuova Biblioteca Scolastica Multimediale, uno spazio flessibile che ha riportato in luce tracce e qualità degli ambienti originari con soluzioni d’interni attente alla contemporaneità.
Il Portale Nascosto progetto di Ragazzi and Partners, Architetti Giancarlo e Francesco Ragazzi foto di Mario Carrieri e Guido Clerici testo di Matteo Vercelloni
Sopra: la nuova biblioteca ubicata al primo livello di Palazzo Busca. Il loggiato 500esco recuperato (riaprendo gli archi e riportando in luce le colonnine doriche di serizzo) accoglie la zona ingresso ed eventi. pagina a fianco: la sala di lettura focalizzata sul grande arco decorato secondo motivi 700eschi incornicia la libreria a tutt’altezza di Unifor.
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a storia di un edificio, soprattutto se risalente a più di cinque secoli fa, è necessariamente fatta di elisioni e sovrapposizioni, addizioni e mutamenti morfologici avvicendatisi nel tempo. Il restauro di un’architettura proveniente da un passato lontano si misura così con secoli e storie differenti, mescolando i riferimenti e rendendo complessa la scelta dei criteri selettivi su cui basare l’azione progettuale. Cosa e come conservare, quali cambiamenti cancellare per riportare in luce episodi di epoche diverse, diventa una sorta di ‘percorso ad ostacoli’,
metodologici e compositivi, con cui misurarsi in un serrato procedimento di ricerca e di nuove soluzioni di progetto. La nuova Biblioteca del Collegio San Carlo si colloca all’interno del generale restauro di Palazzo Busca, occupando una porzione del complesso architettonico ubicata al primo livello e affacciata verso la chiesa di S. Maria delle Grazie. Numerosi saloni decorati e affrescati tra il 1700 e il 1800 sono stati recuperati con attenzione sotto la costante supervisione dell’Architetto Libero Corrieri della Soprintendenza per i Beni Architettonici
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l’arredo di design contemporaneo si distacca con garbo dall’ambiente storico, costituendo un voluto contrappunto. di Milano e sotto la direzione dell’ingegner Renato Peduzzi, con il fine di restituire alla città un importante monumento artistico che ha visto nei secoli avvicendarsi architetti e pittori tra cui Andrea Appiani, il pittore ufficiale di Napoleone a Milano. L’ambiente della nuova Biblioteca è dunque parte di un intervento di più larga scala, ma nonostante la specificità dello spazio interessato esso rivela una serie di spunti e di soluzioni che concorrono a delineare uno dei molteplici percorsi di lavoro sul patrimonio esistente, e in particolare sulle architetture storiche e monumentali. La Biblioteca è composta sostanzialmente da due spazi tra loro collegati: la
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zona ingresso ed eventi, ricavata nel loggiato cinquecentesco oscurato e precedentemente ridotto a sorta di corridoio, e la grande sala lettura dove sono conservati i volumi, i libri rari e antichi, secondo diverse modalità di arredo e di conservazione. L’ingresso è stato occasione per riportare alla figura originaria il loggiato originario riaprendo anzitutto gli archi e riportando in luce le esili colonnine doriche di serizzo non più in grado di sostenere dal punto di vista statico l’aggiunta del secondo piano dell’edificio. Per garantire la tenuta del carico aggiunto, il nuovo disegno dei serramenti ad arco accoglie e cela un sostegno verticale di acciaio in
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posizione centrale che non disturba il recupero della figura complessiva e concorre a valorizzare l’impiego della luce naturale, cui si aggiunge il sistema di led posizionati sulle catene ad illuminare le volte a crociera. Agli archi liberati del loggiato si affianca, quale presenza focale e di forte impatto, il grande arco decorato secondo motivi settecenteschi, nascosto da tramezzi divisori e riportato in luce grazie alle preventive indagini stratigrafiche condotte su tutte le pareti. Il grande arco emerge nella sala di lettura e incornicia la scenografica libreria a tutt’altezza di alluminio che come tutti gli altri arredi Unifor si distacca con garbo dall’ambiente storico, costituendo un voluto
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contrappunto. Sul fondo, sotto il soffitto a cassettoni riportato a vista, si sviluppa un soppalco di acciaio e vetro su disegno che conduce alla zona dei libri più preziosi custoditi in librerie con ante di vetro. Unico segno ‘in stile’ nella generale ricercata misura tra tracce storiche e segno contemporaneo, appare la scelta della pavimentazione in medoni di cotto a sostituire il confuso patchwork di piastrelle e formelle di cemento e graniglia trovate in sito. Un materiale tipicamente lombardo che potrebbe apparire di ‘sapore antico’, ma che in realtà testimonia una tecnica di cottura e d’uso tramandatesi nel tempo che lega tra loro storia e modernità.
La grande sala lettura con il soffitto a cassettoni, la pavimentazione in medoni di cotto e il soppalco di acciaio e vetro che conduce alla zona dei libri più preziosi. Tutti gli arredi sono Unifor, progetto luce e apparecchi di Disano Illuminazione. (foto di Mario Carrieri).
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Uno SPazIo VEDUTA DELL’AMBIENTE UNITARIO ATTREZZATO CON LIBRERIE, LEGGII E TAVOLI PER LA CONSULTAZIONE DEL PATRIMONIO LIBRARIO; TUTTI PEZZI D’ARREDO REALIZZATI IN ROVERE MASSELLO, SU DISEGNO DEI PROGETTISTI, DA MASCAGNI. LUCI DI IGUZZINI ILLUMINAZIONE, SEDUTE DI PRODUZIONE PRIVATA.
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progetto di Michele De Lucchi, con Angelo Micheli e Philippe Nigro foto di Mario Carrieri testo di Matteo Vercelloni
SPAZI DI LETTURA 3./ A Bologna, L’archivio DELLA fondazione Carisbo, RICAVATO NELLA chiesa sconsacrata di S. Giorgio in Poggiale, SOTTOLINEA LA VALIDITÀ DELLA PRATICA DEL riuso E DELLA reinvenzione DEL PATRIMONIO ARCHITETTONICO ESISTENTE. UN NUOVO PROGETTO DEDICATO ALLO STUDIO E ALLA LETTURA.
neL TemPo
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L’
impianto della chiesa segue la tipologia tradizionale a una navata centrale con cinque cappelle per lato lungo le navate laterali. Un disegno rimasto inalterato nel tempo, per chiarezza planimetrica e unità spaziale, insieme alle lesene e ai cornicioni disposti sotto la grande volta a botte della copertura, ribassata in corrispondenza dell’abside e illuminata lateralmente da ampie finestre ad arco tripartite. A fianco del restauro conservativo dell’edificio (edificato tra il 1589 e il 1633 su disegno dell’architetto Tommaso Martelli), sconsacrato nel secondo dopoguerra in seguito ai bombardamenti, acquisito dalla Fondazione Carisbo dal 1992 e impiegato sino ad oggi come spazio per mostre
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Qui sopra: all’ingresso, una bussola costruita con grandi mattoni in legno di abete funge da filtro con l’esterno. Pagina a fianco: Campo dei fiori, la scultura di Claudio Parmiggiani (2006) che conclude la prospettiva centrale sul lato posteriore dell’abside. L’ambiente principale dedicato allo studio e alla lettura si organizza nella navata centrale dell’ex chiesa, rialzato rispetto all’ingresso con una lunga pedana.
e manifestazioni culturali, il progetto di trasformazione funzionale e di adeguamento degli interni ha saputo evidenziare un interessante percorso progettuale in grado di instaurare un confronto materico ed espressivo tra nuovo e antico. Assunta l’architettura come spazio compiuto – un ambiente attentamente restaurato che ha riportato in luce anche la serie di affreschi e l’intero sistema decorativo – l’intervento sugli interni si offre come sistema unitario e di immediata riconoscibilità. Il progetto, se da un lato ha seguito, sottolineandolo, il carattere dello spazio originario, enfatizzando la lunga prospettiva centrale separata dalle due navate laterali delle cappelle, dall’altro, nella scelta del legno di rovere impiegato per pavimentazione e arredi, si scosta volutamente dai materiali dell’involucro d’insieme denunciando così la sua contemporaneità. Ma, allo stesso tempo si offre come ulteriore
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elemento unificante in grado di collegare ad esempio alla stessa quota la pavimentazione dell’abside con quella della navata centrale. Questa, rialzata rispetto all’ingresso, si pone come una grande pedana conclusa da tre gradini sviluppati per l’intera larghezza e per un tratto ortogonale, offerti al pubblico all’ingresso. A rimarcare l’indipendenza della navata centrale rispetto a quelle laterali, lungo i bordi della pedana di rovere sono collocati due elementi longitudinali formati da leggii-scaffalature dello stesso materiale e su disegno. I tavoli per lo studio e la lettura seguono lo stesso andamento enfatizzando la geometria dello spazio complessivo, mentre nelle cappelle, elevate di un gradino rispetto alla quota ingresso, sono disposte singole postazioni di lavoro. L’entrata alla biblioteca segue e reinterpreta la memoria dell’ingresso della chiesa con la bussola di legno e le porte laterali, ma in
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questo caso il dispositivo distributivo, che separa l’accesso dalla strada dallo spazio interno, diventa occasione per creare un nuovo episodio compositivo di riferimento. Una piccola torre circolare composta da ‘mattoni’ di legno di abete si innalza in posizione centrale fungendo da filtro con l’esterno, in asse alla prospettiva centrale che, nella conclusione dell’abside sul lato prospiciente, trova nella scultura di Claudio Parmiggiani il suo elemento complementare. Un blocco di testi bruciati, con titoli e autori occultati, è sormontato da un’antica campana (Campo dei fiori, 2006); un’opera che, in sintonia con l’intervento architettonico, rappresenta in sintesi metaforica l’unione tra antica e nuova funzione. A sottolineare il rapporto tra passato e presente si aggiunge il ciclo delle dodici cattedrali (2004) dipinte da Piero Pizzi Cannella e disposte nelle antiche cappelle e sulle pareti dell’abside.
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Accanto, l’appartamento di Joe Colombo in via Argelati a Milano (1970), attrezzato con l’elemento trasformabile Rotoliving; in primo piano alcuni elementi imbottiti del sistema Multi Chair (per Sormani fino al 1974 e poi per B-Line dal 2004). Sotto, un Ritratto di Joe Colombo all’interno dell’Alfa Giulietta SS, nella metà degli anni sessanta. In basso, il contenitore cilindrico ROBO (1969), prodotto da ICF Industrie Carnovali nel 2009.
artista, architetto e designer, Joe Colombo ha lasciato un segno indelebile nella storia del progetto italiano. Inventore di oggetti che non c’erano e fondatore dell’idea di attrezzatura ambientale, capace di generare valori domestici in ogni tipo di spazio, l’outsider del design ha disegnato cinquant’anni fa un possibile futuro contemporaneo.
Joe Colombo di Matteo Vercelloni
l’invenzione del futuro c_In601_R_42_45_JColombo.indd 42
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esigner ‘leggendario’ e outsider per antonomasia nella Milano del Bel Design, Joe Colombo (1930-1971) si forma presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e la facoltà di architettura del Politecnico di Milano (senza riuscire a completarla). È forse la passione per il jazz (oltre che quella per la velocità dello sci di eredità molliniana) che lo porta a sostituire il nome di Cesare con quello di Joe, assumendo il mito dell’american dream come programma-desiderio di un futuro tutto in movimento, dove forme organiche e predilezione per
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la linea curva sostituiscono i dettami ideologici di quella ‘linea retta’ propria del razionalismo ortodosso. La formazione artistica e l’adesione al Movimento Nucleare, fondato nel 1951 da Sergio Dangelo ed Enrico Baj, lo distanzia dai colleghi designer di formazione architettonica che legano l’idea di arredo a quella di architettura, in un processo complementare e di continui rimandi. Un distacco che lo rende però libero e proiettato verso un ‘futuro da progettare’ che la sua breve e intensa vita (Joe Colombo morì d’infarto a soli quarantuno anni) ben documenta. Colombo abbandona la pittura nel 1958 per abbracciare la dimensione del progetto di architettura e di design, ma più che pensare a oggetti compiuti, isolati e ben risolti, sempre attenti alle nuove tecniche e all’impiego dei materiali (sua è la prima sedia interamente stampata in un unico materiale plastico, la Universale per Kartell, 1965-67), concentra la sua ricerca sul
rapporto tra l’uomo e il suo mondo esistenziale. Così, accanto al disegno di oggetti, arredi e accessori che mancano nell’offerta a lui coeva (dai sistemi trasformabili come la Multi Chair per Sormani (1970) al Living Center per Rosenthal (1970), agli arredi a composizione ‘infinita’ quali lo Square Plastic System per Elco-Bellato (1969), l’Additional System per Sormani (1967-68), la Tube Chair per Flexform (1969), lo scaffale Kilometro per Bernini (1967), a ‘pezzi mancanti’ come il bicchiere Smoke per Arnolfo di Cambio (1964), i bicchieri Two in One per Riedel (1967), il contenitore Boby per Bieffeplast (1970) e poi per B Line – immancabile in ogni studio di architettura – Colombo disegna alcuni edifici che rifiutano stilemi e linguaggi in auge per sperimentare figure decostruttiviste come nella ristrutturazione dell’Hotel Stelvio del 1961. Inventa installazioni attente alle nuove dimensioni multimediali come i Television Shrines (1954),
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A sinistra, Interno sperimentale Visiona I alla fiera del mobile di Colonia (1969), vista complessiva con ‘isole ambientali’. Sotto, schizzo di progetto della poltrona Elda per Comfort (1963). In basso a sinistra, poltrona Superleggera per Comfort (1964), poi prodotta da Bieffeplast (come Supercomfort dal 1981), infine da B-Line (dal 2004).
postazioni televisive pensate in occasione della X Triennale, portate nello spazio pubblico della città proprio nell’anno del lancio del sistema televisivo nazionale. D’altra parte, il pensare a una tecnologia al servizio di tutti era per Colombo un’attitudine naturale più che visionaria, visto che negli anni ’60 affermava che nel giro di pochi anni “terremo i telefoni in tasca” e avremmo disegnato a breve con l’aiuto di un “cervello elettronico”, come a quel tempo erano chiamati i primi computer, anticipando con precisione una realtà consolidatasi dopo qualche decennio. È soprattutto nell’interior design che la sua azione innovativa trova terreno fecondo per sviluppare una sorta di ‘filosofia dell’attrezzatura ambientale’ in cui non mancano rimandi all’arte
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cinetica nell’idea di ‘necessaria instabilità’ della casa dell’uomo, intesa come necessità di pensare ad ambienti in grado di seguire i percorsi dei nuovi comportamenti in uno spazio flessibile in movimento libero e sostanzialmente indifferente al contenitore architettonico. Nel 1966, in un ciclo di conferenze organizzate in America dalla rivista Design Research, Joe Colombo afferma a proposito della casa: “Fisicamente avremo un contenitore statico, ma un contenuto che dovrà essere dinamico. Il contenitore statico che determina l’abitazione dovrà essere in un certo senso svincolato dal contenuto perché quest’ultimo si possa muovere, quindi elastico nel suo intimo per soddisfare questa dinamica e flessibile internamente per adattarsi nel tempo, che muta l’azione ‘abitare’ nei diversi momenti sia ciclici (il giorno, la notte, l’estate, l’inverno, ecc.), sia accidentali (un ospite, un party, ecc.), sia evoluzionistici (la nascita o la perdita di un componente della famiglia, ecc.). [Il contenitore statico] sarà costituito da elementi che si possono muovere e funzionare e direi vivere insieme all’uomo. Questi ultimi non potranno più essere i mobili decorati o disegnati in funzione dello stile, mobili ricercati e preziosi per dar lusso (o meglio illusione di lusso) ed essere poi tramandati ai figli come eredità (pesante, ingombrante e inutile). Avremo al loro posto elementi quali strumenti e oggetti al servizio dell’uomo di nuovo aspetto e nuovo funzionamento (un funzionamento dinamico non più passivo come in passato)”. Negli interni, nel loro ridisegno e nella loro reinvenzione radicale il vulcanico progettista milanese tende così a scardinare il sistema degli arredi convenzionali
cancellando modelli sedimentati e inventando nuove tipologie: dagli appartamenti riformati e pensati come capsule domestiche, dove disegno dell’arredo e disegno dello spazio si confondono in una riuscita sinergia d’intenti (appartamento Zancopé a Milano 1965 e Oppi Forcesi a Barlassina, Milano, 1967), al nuovo genere di mobili ‘combinati’, sorta di vere e proprie macchine trasformiste, in genere su ruote, che tendono e produrre nuove modalità comportamentali e quindi sottendono una nuova idea di spazio architettonico domestico libero, mobile, flessibile. Si tratta di privilegiare la scala ambientale pensando agli interni come spazio continuo e fluido, di configurare lo spazio della casa come ambiente totale in cui prevale l’idea d’insieme rispetto all’oggetto isolato e d’eccezione chiamato
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Sotto: bicchiere Smoke per Arnolfo di Cambio (1964); unità da cucina Mini-Kitchen per Boffi (1964, 1993), rieditata nel 2007 nella versione in corian. A destra, Total Furnishing Unit (1971), progetto di habitat futuribile esposto al Moma a New York alla mostra Italy: The New Domestic Landscape, 1972.
normalmente ad ‘arredare’ stanze in successione gerarchica. La serie di queste invenzioni tipologiche ad alto valore ambientale, dispositivi multifunzionali in grado di produrre ‘ambiente domestico’ in ogni luogo risulta feconda e somma il mobile contenitore verticale su ruote a diverse configurazioni Comby Center per Bernini (1963-64) alla microcucina Mini-Kitchen per Boffi (1964-68, tornata in produzione nel 1993 e nella versione in corian 2007), il Personal Container per Arflex (1964) alla poltrona di plastica rinforzata girevole Elda per Comfort (1963), un arredo pensato per creare uno spazio nello spazio, che ci avvolge e ci isola acusticamente grazie all’alto e ampio schienale a conchiglia. A questi si aggiungono i macroarredi come il Rotoliving (1969), il letto Cabriolet (1969), le isole attrezzate dell’allestimento sperimentale Visiona 1 alla Fiera del Mobile di Colonia (1969) che anticipa quella che è la summa e la sintesi concettuale di tutta la ricerca condotta negli anni ’60 con la stretta collaborazione di Ignazia Favata: la Total Furnishing Unit del 1971. Un macroarredo o una perfetta macchina generatrice di valori e funzioni domestiche spostabile a piacimento che propone nella sua mobilità e nel concetto di ‘capsula attrezzata’ aperta all’intorno, sommatoria di tutte le attrezzature e gli ‘spazi’ necessari alla casa moderna, un’idea di casa libera dai vincoli e dalle suddivisioni che il tradizionale appartamento residenziale imponeva. Un progetto che va oltre il design, presentato alla grande mostra del MoMA nel 1972 Italy the new domestic landscape che Joe Colombo non visitò, scomparendo prematuramente prima della sua inaugurazione.
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In basso, mobile contenitore su ruote Boby (1970) prodotto da Bieffeplast (sino al 1999) poi da B-Line (dal 2000).
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in questa pagina: Anonimo, oggetto voodoo, ferro e filo (18 x 6.7 cm). Nella pagina accanto: Man Ray, Cadeau (Gift), 1963, replica dell’originale (perduto) del 1921, ferro e spilli d’ottone (15.3 x 9 x 11.4 cm).
Design Maledetto
Grandi fotografi-artisti internazionali hanno sovente scandagliato L’orribile e l’osceno della società contemporanea e della quotidianità. possibile che il design non si faccia mai toccare dal maledetto, dal tragico, dal dark side della vita? testo di Germano Celant
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egli scorsi mesi ho iniziato una ricerca sulla fotografia ‘inquietante’ – quella prodotta da artisti come Robert Mapplethorpe, Weegee, Letizia Battaglia, Joel-Peter Witkin, Sally Mann, Matthew Brady, Jaime Marrieta e molti altri – fotografi che hanno prodotto immagini che riguardano le stragi di guerra, in Nicaragua e in Iran, le uccisioni di mafia e le esecuzioni dei narco-trafficanti, il sesso estremo e di gruppo, la morte per inquinamento e per Aids, la tortura degli animali e la prostituzione infantile. Tali soggetti, ricavati dal quotidiano e dal reale, hanno dato corpo a ‘entità’ visibili che conducono lo sguardo in una dimensione nascosta e rimossa: la declinazione di un linguaggio che non aspira solo a esprimere il positivo, ma anche il negativo e il tragico. Qualcosa che consiste nell’andare ‘controcorrente’ nell’uso del
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proprio procedere, per cui la produzione di una ‘cosa’ da guardare o da impugnare non lavora sulla genericità e sull’uniformità, quanto su una drammatizzazione del mostrare e del documentare, tanto che tali immagini hanno più volte subito la condanna e la censura pubblica. La presenza di una fotografia ‘maledetta’ perché interessata a rappresentare il duale del bene, in contrasto e in dissidio con la cultura generale, mi ha spinto a ripensare quali altri linguaggi si sono rivolti a produrre immagini o oggetti o scritti o cartoons o film o musiche o architetture che si identifichino con il ‘male’. Mentre è facile, nel corso della storia, trovare espressioni musicali e cinematografiche, letterarie e fumettistiche, che si pongono in relazione all’aspetto ‘diabolico’ del vivere, quindi in contrasto
con la luminosità e la positività, il procedere giudizioso e propositivo del linguaggio, è difficile reperire esempi di disvalore, quindi di negatività e di maledizione, nel design e nell’architettura. Perché? È evidente che il procedere del loro progettare condivide l’indirizzo di una risposta positiva ai problemi, tipica dell’utopia modernista, tuttavia, a un secolo dalla fondazione di un desiderio o di un’esigenza a risolvere, nella direzione del benessere, l’idea di un oggetto o di un edificio, è mai possibile che nessuno pensi mai al malessere comportamentale e agli eventi tragici? Eppure, la cultura ha attraversato un periodo dark, dove l’idea di affrontare il lato oscuro, – non solo surreale – dell’esistere, ha portato ad un muoversi disintegrato e brutale, connesso ad espressioni estreme e radicali.
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Allora si è sviluppato il concetto di anti-eroe, che si ‘nutre’ di fallimenti quanto di situazioni oscene e orrende, che vanno dal sesso alla guerra, dall’inquinamento alla violenza. Nel territorio del design quanto dell’architettura, tale attitudine rivolta alle disgrazie e alle dissociazioni così da sfuggire alla stretta della realtà, quasi tali linguaggi non fossero interessati a erodere i confini del possibile operativo. Di fatto, il loro procedere non è mai sul territorio del ‘latente’ e del ‘nascosto’, del tragico e del drammatico, perché non sembrano volere affrontare l’universo caotico dell’esistente o, peggio ancora, lo fronteggiano con la presunzione ‘modernista’ di una messa in ordine che è omogeneizzante e idealizzata. Sembra quasi che la progettualità, fondata sull’illusione di un parodia positiva e risolutiva del
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reale, non intenda uscire, né acquisire alcuna maturità che comprenda il lato perverso della cultura. Aspiri solo ad integrarsi, senza generare un tragitto perverso, se non inverso, all’orientamento generale del consumo e della produzione. Eppure se si adottasse la strada della perversione o della maledizione, fuori della riflessione narcistica dell’industria, si potrebbe pervenire a un grado ‘ribelle’, dove almeno potrebbe coesistere una doppia verità, quella del male accanto al bene, e il designer o l’architetto (seppur quest’ultimo in maniera più ridotta) avrebbe la chance di arrivare ad un ritrovamento pulsionale di sé e degli altri, vale a dire immettendo nel suo discorso i fantasmi della morte, pubblica e privata, quanto della regressione e della trasgressione, sociale e sessuale. Invece, si ‘accontenta’, tollera la perdita delle ecatombi e delle stragi, della distruzione e della guerra, e si crogiola nel suo pensiero e procedere ‘magici’ che dovrebbero delimitare le disgrazie e gli eventi drammatici. Un mondo di cose bugiarde, che preferiscono la finzione alla realtà.
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in questa pagina: Robert Müller, La vedova del corridore, ferro battuto, 1957. nella pagina accanto, dall’alto: Victor Brauner. Loup-table, 1939-1947, legno ed elementi di volpe (54 x 57 x 28,5 cm). Marcel Mariën, L’introuvable, 1937, Lente con montatura di plexiglass (11 x 27 x 18 cm).
Così, in un territorio del design non si pone, quasi mai, alcunché di ‘sacrilego’, nel senso di affrontare il tabù. Attraverso un processo chirurgico decisamente angelico, l’oggetto subisce una metamorfosi che digerisce e tritura ogni entità diabolica e fecale, si libererà dei rifiuti del sesso e della morte, della carne e del sangue per dare vita ad una ‘cosa’ indifferente e anonima. In nome della funzionalità e del servizio, della struttura e dell’organizzazione ogni mescolanza perversa sarà castrata e perduta, resa innocua e irrilevante. In tal modo ogni ipotesi di ‘rovesciamento dei valori’, che tende a riportare il pensiero e il comportamento, ad un ritorno al caos, sarà distrutta e nullificata: travestita e rigenerata per evitare mescolanze, compromissioni e traumi. Il viaggio dell’intellettuale in cerca di un significato forte del suo esistere, non tocca allora il designer che è un positivista assoluto, la cui corazza sembra essere inattaccabile da qualsiasi incrinatura negativa e drammatica. Di fatto un essere che non riesce a pensare al ‘fallimento’, perché tutto è spiegabile e risolvibile, secondo una logica di produzione: un pensatore che non vuole sottrarsi allo sterile determinismo della produzione, che esalta sì la progettazione creativa, basta che non sia anarchica o polemica. Un procedere ripetitivo e fiabesco, che è imbrigliato nella sua presunzione e nella sua ripetizione, senza mai il pensiero di spezzare il limite del design per agganciarlo all’inconciliabile. Conseguenza una risposta ‘giusta’, mai indisponente e irritante, data la capacità del design di ‘conciliare’. Eppure, la realtà si allontana sempre più da una razionalità e da una ‘soluzione’, o almeno per assumerla è necessario registrarne le ‘differenze’ globali che significano metamorfosi di forme e dualismi infiniti secondo angolazioni e credenze diversificate. L’ apertura al ‘maledetto’ può risultare una premessa a affrontare soggetti non integrati, quanto campi di libertà e di espressione estensibili all’infinito, secondo combinazioni e mescolanze che approssimandosi al negativo e al fallimentare, al perverso e al tragico, siano adeguate a un allargamento di prospettiva progettuale, corrispondente all’oggi.
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testo di Andrea Branzi
In questa pagina: Mimmo Rotella e Marco Ferreri, Screen, tavolino basso, Zerodisegno, 2009. Armatura di Pompeo della Cesa, Museo Poldi Pezzoli, Milano. Marc Sadler, Safety Jacket, tuta da motocicletta, Dainese, 1994. Nella pagina accanto, tra il resto: Franco Raggi, Tenda Rossa, Casabella 401, 1975, e Tenda divisa, 1981; Olivetti Lettera 22, macchina per scrivere utilizzata da Indro Montanelli; Achille Castiglioni, Snoopy, Flos, 1967; statuine di Sant’Antonio da Padova, Splendart, Palermo, 2010; Alessandro Guerriero e Alberto Biagetti, Vita Morte Miracoli, statua, Studio Biagetti, 2005; Franco Summa, Pastor Angelicus, Franco Summa e Livia Crispolti, 2008.
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Una società oggettuale
Dopo avere risposto alla domanda “Che Cosa è il Design Italiano?” con Le “Sette Ossessioni del Design” e “Serie Fuori Serie”, dal 27 marzo il Triennale Design Museum propone un terzo, ulteriore punto di vista presentando, per un intero anno, una nuova interpretazione curata, questa volta, da Alessadro Mendini: “Quali Cose Siamo”.
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Quali cose siamo il titolo della terza esposizione del Design Museum della Triennale, curata da Alessandro Mendini e Silvana Annichiarico, inaugurata lo scorso 26 marzo. Ma, forse, la dizione (o il sottotitolo più corretto e meno auto-biografico) potrebbe essere Una società oggettuale. La regola di funzionamento che il Triennale Design Museum si è dato è quella, originale, di cambiare annualmente il curatore scientifico, per fornire al pubblico una gamma articolata di punti di vista sul tema Che cosa è il design italiano?, domanda tutt’altro che semplice e che richiede l’elaborazione di molte riflessioni e di molte ipotesi
interpretative. Il design italiano infatti non viene concepito dal Museum della Triennale come semplice occasione per esporre i capolavori o i best-seller del made in Italy, ma, piuttosto, come materiale (iconografico e antropologico) per riflettere su uno degli aspetti più significativi, e meno indagati, della storia del nostro Paese. Un Paese che ha prodotto nel tempo molti monumenti e molti capolavori, ma che proprio nella produzione degli oggetti domestici, più quotidiani e spesso più umili, esprime una sorta di creatività invasiva, una energia innovativa non governabile e non prevedibile. Si potrebbe dire che ciò che si chiama design
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in questa pagina, tra il resto: Laura Agnoletto e Marzio Rusconi-Clerici, Amantide e Aracnide, auto-produzione, 1985; Autovettura Alfa Romeo 1750 GS Zagato, Collezione Roberto Rossi; Maurizio Galante, Abito in jersey, 1989. nella pagina accanto, tra il resto: Perino & Vele, Attenzione, scultura, collezione privata, 1998; Rodolfo Dordoni, Ming-Etto, Serralunga, 2000; Raffaele Piccoli, Vaso Raku, auto-produzione, 2005; Valentina Carretta, Floating Flora Big, Fabrica, 2008; Roberto Mora, Incia Group, Dilmos Milano,1995; Jacopo Foggini, Prototipo, auto-produzione, 2010.
in Italia si colloca dentro un territorio molto più vasto delle sua definizione disciplinare; specchio di una creatività sociale che attribuisce agli oggetti, agli strumenti domestici o alle componenti di arredo, un grande valore simbolico; come a una realtà nella quale i processi di identità del Paese, in presenza della incompletezza dei sistemi progettuali più ampi (come la politica, la città e l’architettura) riesce a esprimere compiutamente tutta la propria energia di innovazione. In questo senso il design italiano è l’immagine forse più reale di una società oggettuale come la nostra, che fino dalla più remota antichità ha attribuito un’anima
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all’universo delle piccole cose, come presenze simboliche, letterarie, oltre che funzionali, che nel loro insieme creano un paesaggio privato, autonomo rispetto ai grandi scenari storici, quasi un mondo alternativo, auto-sufficiente, fatto di micro-progetti e di sotto-sistemi, dentro il quale si consumano riti e esperienze inalienabili, profondamente private. Mi sembra che il design italiano tragga ancora oggi la propria vitalità da questo livello profondo della civiltà del nostro Paese e a differenza di ciò che è successo nel resto dell’Europa dopo la rivoluzione industriale, ha continuato a coltivare questa sorta di animismo
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pervasivo, che ha fatto spesso la differenza rispetto alle culture del progetto di altre nazioni. A tutto questo va aggiunto, ritengo, il fatto importante che in Italia la nascita della borghesia industriale non ha coinciso – come in Inghilterra, Francia o Germania – con la nascita di nuovi modelli abitativi, solidi e condivisi, sia di alto che di basso livello economico, diversi da quelli della tradizione aristocratica. In Italia il concetto di ‘casa’ non ha mai definito una realtà funzionale precisa, ma piuttosto una nebulosa di aspirazioni e dispositivi non contenibili in un modello unitario; il nostro è dunque “un Paese senza casa”, dove la remota
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tradizione contadina sembra essere rimasta ancora l’icona di riferimento per una società che non ha mai elaborato un modello residenziale urbano, sia borghese che popolare. Questa particolare condizione storica ha fatto sì che gli oggetti domestici, gli strumenti e i simboli che popolano le nostre abitazioni, siano ancora oggi presenze prive di tradizione e di modelli di riferimento; una sedia, un cuscino, un piatto, conservano una sorta di mistero intrinseco, una presenza metafisica o un’occasione di creatività sfrenata. Parti di un universo oggettuale tutto da reinventare a partire da zero; sempre sul limite sfuggente che separa il capolavoro dal Kitsch, l’arte
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in questa pagina, tra il resto: aldo Cibic & Parners, Microrealities. Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te, modello, 2004; Sandra Virlinzi, Di corsa, verso il mare, dipinto, collezione privata, 2000; Andrea Sala, Cicognino, decoro per il tavolino di Franco Albini, 2009; Liliana Moro, Film, scultura, 2006; Dolce & Gabbana, Abito per il Girlie Show di Madonna, 1993. nella pagina accanto, tra il resto: gabriele Centazzo, Modelli per Valcucine, 2010; Anna Mari, Dialogo all’acqua, scultura, 1989; Marco Taddei per Leonardo, Leone Meccanico, ricostruzione, Leonardo 3, 2009.
dal gadget, l’improvvisazione dalla tradizione. Il design italiano si colloca dunque dentro a questa nebulosa in continua evoluzione, fatta di genio e sregolatezza; risultato della programmazione industriale come della improvvisazione indipendente. Nelle due precedenti esposizioni del Design Museum, da me curate con Silvana Annichiarico, avevamo indagato le radici antropologiche più profonde (Le sette ossessioni del design Italiano nel 2008) e le singolari modalità di collaborazione tra cultura del progetto e strategie di impresa (Serie fuori serie nel 2009), esposizioni che, in modi diversi, fornivano un ritratto non convenzionale di una
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attività che troppo spesso viene interpretata come sinonimo del made in Italy e perimetrata a semplice valore concorrenziale di mercato: Quali cose siamo si colloca su questa linea di ricerca originale, fuori dalla tradizione, puramente promozionale, di troppe mostre di design. Circondato da una discreta indifferenza da parte delle riviste italiane del settore, il Design Museum della Triennale sta infatti sviluppando una politica nuova, per fare capire al grande pubblico che in Italia il design è una presenza storica importante perché specchio segreto di situazioni socio-economiche utili per capire vicende spesso poco indagate di questo nostro Paese.
Quali cose siamo
Dal 27 marzo, il Triennale Design Museum presenta la terza interpretazione del design italiano, Quali cose siamo, la cui cura scientifica è di Alessandro Mendini, il progetto d’allestimento di Pierre Charpin, quello grafico di Jean-Baptiste Parré, mentre il catalogo è di Electa-Mondadori. Sono circa 800 i pezzi in mostra, fra oggetti di design, opere d’artigianato, opere d’arte ed esempi della cultura materiale, allo scopo di dare voce a una creatività diffusa – e spesso sconosciuta – attraverso percorsi tematici trasversali. Percorsi tematici: Arte e design; Storia e costume; Cibo; Bambini; Moda e glamour; Sociale; Giovani architetti e designer sul tema dell’abitare.
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Tessuti per l’arredo che sembrano fatti per essere indossati. così due modelle interpretano le tendenze del tessile per la casa che le moderne tecniche di produzione e la ricerca stilistica propongono.
Ispirazioni moda
satin de coton, tessuto in tinta unita della collezione Essentiels, in puro cotone nell’altezza di cm 150, disponibile in 17 varianti colore; guipure (a destra) e entre deux (a sinistra), bordi in cotone e poliestere ricamati della collezione Rubans e caligo, tendaggio a rete in trevira cs con rapporto disegno di cm 2,5 disponibile in quattro varianti di colore nell’altezza di cm 290, di dominique kieffer. nella pagina accanto: origami tendaggio double-face, effetto plissè con volant, in poliestere ignifugo, disponibile in quattro varianti di colore nell’ altezza di cm 320 e pin, embrasse intrecciato con corde in cotone e rayon, dal diametro di mm 55, disponibile in unica variante colore, di dedar.
foto di Paolo Veclani - a cura di Nadia Lionello con Etienne Guglielmo
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baskiat, tessuto in puro lino stampato in otto varianti di colore, con rapporto disegno di cm 45x25 e in undici varianti di colore, disponibile nell’altezza di cm 137; Nilos, tendaggio tinta unita in puro lino disponibile in 20 varianti di colore nell’altezza di cm 330, di rubelli. passamanerie della collezione babà di dedar. nella pagina accanto: todaro, tessuto matelassè tinta unita, in cotone e poliammide, con rapporto disegno di cm 4, in undici varianti di colore nell’altezza di cm135 con marmorin, tendaggio a doppia trama con rapporto di disegno di cm 60, in due varianti di colore nell’altezza di cm 140, di rubelli. passamaneria della collezione babà, di dedar.
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BRISBANE, TESSUTO RIGATO in puro lino, disponibile in tre varianti di colore nell’ altezza di cm 135 e loncoche, tendaggio a rete in viscosa, disponibile in due varianti di colore nell’altezza di cm 150, DELLA COLLEZIONE MISSONI HOME, DI T&J VESTOR. contemporary plus, embrasse con piume d’oca colorate della chinoisserie collection, ideate e prodotto da spina. nella pagina accanto: Amelie, tessuto in seta tinta unita (lavanda e rosa antico) disponibile in venti varianti colore e nell’altezza di cm 330, di provasi, e alias, tessuto in cotone e lino con disegno fiorato stampato in digitale con rapporto di cm 68, disponibile in due varianti di colore nell’altezza di cm 140, di parà. rose ribbon, embrasse con frange in seta con motivo a rose e tinta unita, ideato e prodotto da spina.
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Sogni e segni
Il decoro come materia di progetto e struttura di prodotto. Ma anche come trama di un racconto che attinge al mondo immaginifico dei designer e prende vita grazie all’abile matita dei JoeVelluto.
illustrazioni di JVLT di Maddalena Padovani
Sopra, la lampada da parete o da soffitto Veli di Adriano Rachele per Slamp. Dotata di attacco magnetico, è realizzata in Opalflex ed è disponibile in sei colori. A destra, tavolo con piano e base in mosaico di tessere di vetro riciclato. Disegnato da Studio Salvati, è realizzato da Trend con B&B Biagetti.
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A sinistra, lampada da terra e a sospensione Shadow Light di Front per Porro. Grazie al paralume doppio, composto da un diffusore esterno continuo e da una semicupola forata, la lampada crea uno scenografico gioco di riflessi. Sotto, Zouhria, grande vaso in ceramica appartenente a una serie limitata di 99 esemplari numerati e nove prove d’autore. disegnati da Doriana e Massimiliano Fuksas per Alessi. In basso a sinistra, contenitore su ruote Babol di Ilkka Suppanen per Emmebi, con ante e fianchi laccati decorati con macroserigrafie in vari colori.
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A sinistra, tavolino Linosa di Pierre Charpin per Ligne Roset, con gambe in tubolare di acciaio satinato e piano in cristallo con motivi decorativi a effetto ottico. Sotto, seduta Bravais in cartone piegato secondo uno schema strutturale che si ispira ai processi naturali di crescita. Appartiene alla collezione di arredi Honeycomb nata dalla collaborazione tra il designer Liam Hopkins e l’artista Richard Sweeney di Lazerian Studio. In basso a sinistra, il sistema modulare Wire Shelves di Viable London per Decode , composto da ripiani in legno e montanti in acciaio. Nella pagina accanto, in alto, la seduta Paper di Mathias Bengtsson, composta da 2000 strati di carta di 0,5 mm di spessore pressati tra loro e infine rivestiti con un sottile film termoplastico. Il progetto è stato sviluppato in collaborazione con Iggesund Paperboard. Al centro, la lampada da terra Miami di Dima Loginoff, realizzata in filo metallico. In basso, la seduta Rapigattoli di Eduardo Duarte Architecture in compensato di betulla.
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In alto, armadio della collezione Industry Series realizzata da Studio Job per Carpenters Workshop Gallery. Ăˆ Realizzato in palissandro con decori a intarsio che mixano silhouettes di animali, insetti e uccelli ad armi, edifici industriali e scheletri. Sopra, il piano inciso al laser del tavolino Joco prodotto da Walter Knoll su disegno di EOOS, dotato di un’aerea struttura in filo metallico. A destra, lo sgabello Ricami di Elena Manferdini per l’azienda californiana Arktura, in acciaio traforato al laser disponibile in bianco o nero.
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A destra, la sedia Angeli Pedra della collezione Guru Casa disegnata da Roberto Giacomucci e prodotta da Emporium per Guru, con monoscocca in metacrilato satinato caratterizzato da una trama lignea nera. Sotto, il tavolo Cobogò dei fratelli Campana per la galleria Plusdesign, realizzato in edizione limitata con gambe in acciaio verniciato e piano in terracotta composto dai tradizionali mattoni utilizzati nell’edilizia brasiliana.
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vaso policromo, vase, in vetro rosso scarlatto e ametista con base in marmo, disegnato dal britannico michael eden per venini in collaborazione con established & sons.
A tutto vetro di Patrizia Catalano
Geometrico effetto anni Ottanta, morbido e sinuoso di tradizione organica, eccentrico e unico, mutuato dalla tradizione artistica. Comunque vaso e rigorosamente di cristallo colorato.
Nella pagina a lato, da sinistra. medusa, sfera in cristallo azzurro con base e bocca blu cobalto, design ettore sottsass, in edizione limitata a 99 pezzi, di nilufar. Languedoc, realizzato da RenĂŠ Lalique nel 1929 rappresenta foglie di cactus finemente cesellate e rieditato oggi la Maison Lalique lo presenta nella versione verde smeraldo. una forma a calice che si dischiude sul bordo levigato e sfaccettato, in colore verde erba, lavorato a mano, di leonardo. portafrutta ki, di ettore sottsass per baccarat, con base in cristallo nero e coppa trasparente serigrafata a rombi. a firma ettore sottsass, in edizione limitata a nove pezzi, il vaso di design gallery. vaso policromo nelle tonalitĂ verde, azzurro e Ambra con applicazioni in pasta di vetro nero. totalmente lavorato a mano, di post design.
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stars of notturno, design ufficio stile di formia luxury glass murano, coppia di vasi soffiati a mano in cristallo nero molato opaco con morisa in vetro fosforescente verde smeraldo.
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appartiene a una serie di vasi e centrotavola, seaform 10, in vetro di murano acquamarina con applicazione in pasta di vetro bianca. disegnato e prodotto da emanuel babled.
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design sinuoso e slanciato per emotion design vg home, la serie di luci in vetro lavorato a mano color ambra con applicazioni madreperla di VGnewtrend.
Charybdis vase, di danny lane artista designer americano residente a londra per dilmos (foto Peter wood). effetto trottola per base, il gioco scultura di kati holdford per vessel gallery. nella pagina a lato, da sinistra. crystal virus della giovane designer olandese pieke bergmans, per dilmos. caponord, vaso con tecnica sommerso con filigrana a spirale design pierpaolo seguso per seguso viro. Euridice, in foglie applicate di vetro trasparente, di Borek Sipek per Driade Kosmo. Trame, Cilindro in cristallo trasparente con applicazioni di vetro blu e azzurro, de La Murrina. SCENT, vaso in vetro incamiciato, bianco latte all’interno e BLU COBALTO all’esterno, di Ego vetri delle venezie.
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TuTTI In FaBBrIca A GIUSSANO, NEGLI STABILIMENTI DI Molteni & C, LÌ DOVE NASCE IL TAVOLO VOLANTE DI Foster + Partners, IL DIVANO EMOZIONALE DI Arik Levy, L’OGGETTO ANTISPRECO DI Patricia Urquiola E LA CUCINA SARTORIALE DI Rodolfo Dordoni. foto di Giacomo Giannini - testo di Rosa Tessa
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Le due torri, sullo sfondo, sembrano sorvegliare i capannoni e il quartier generale della Molteni & C., nel cuore della Brianza, a giussano. È qui che sono di casa designer e architetti internazionali per progettare imbottiti, tavoli, letti, sedie e armadi, realizzati interamente all’interno dello stabilimento, con l’eccezione di qualche lavorazione affidata ad artigiani locali che non distano più di trenta chilometri dall’azienda.
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iavvolgiamo velocemente il nastro. Raccontiamo in flash back, come si fa, spesso, nei film e nei romanzi. È il 15 marzo 2010. Manca circa un mese all’appuntamento più importante dell’industria internazionale dell’arredo, la settimana milanese del design. Siamo a Giussano, in piena Brianza, in uno degli stabilimenti del gruppo Molteni & C., tra i primi nomi dell’arredo e del design italiano. Ecco come nascono alcuni progetti di noti designer internazionali, presentati dall’azienda all’ultimo Salone del mobile.
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Nella pagina Accanto, un paio di forbici che, insieme ad ago, filo e spilli, sono arnesi essenziali del mestiere del modellista che taglia e cuce divani e sedute come fosse in un’atelier di alta sartoria.
Sopra, Arik Levy in azienda a Giussano, nell’area prototipi dove, con i modellisti, mette a punto la sua sedia Breva.
Parigi in Brianza Siamo nell’area dei prototipi della divisione imbottiti: dietro un grande tavolo armeggia un modellista che lavora in quest’azienda da più di trent’anni; in primo piano, forbici, ago e cartamodello, come fosse un’atelier sartoriale. Accanto, un grande divano bianco, e vicino Arik Levy, l’artista-designer parigino, affiancato da Simon, il suo assistente di studio, e da uomini dell’azienda: il responsabile dell’area prototipi e il capo reparto della produzione. Levy, sveglio dalle cinque del mattino, partito da Charles de Gaulle è arrivato alle undici a Giussano. Guarda il suo divano, strappa lembi di materiale, sistema diversamente lo schienale, ci si stende sopra, si rialza, sposta cuscini e braccioli. Guarda le persone vicino a lui. “Sono i piedi che fanno il progetto”, dice loro. E poi butta giù disegni e appunti. Il divano è stato concepito, nella sua testa, da qualche parte nel mondo, ma il parto
avviene proprio in quest’angolo di azienda dove ‘si suda’, non ci sono colletti bianchi, ma operai, artigiani, maestranze e progettisti. “Questa è una fase delicata del progetto”, spiega, “esiste già, ma non del tutto. È un momento fondamentale nella ricerca del suo equilibrio. È come creare un’armonia, fare in modo che sia perfetto sotto ogni punto di vista. Realizzare un prodotto è come creare un oggetto d’arte funzionale”. Racconta: “In quest’ultima fase del progetto, vengo spesso in Brianza, ogni quindici giorni. Sperimentiamo, tagliamo, facciamo tanti modelli. Da 12 anni lavoro con le aziende italiane che, a differenza di quelle di altre parti del mondo, continuano ad avere una forte intuizione sul design. Lascio lo schizzo di una sedia in Molteni e quando torno, la volta successiva, è fatta e, al 95 per cento, è proprio così come la volevo”. “Per me”, spiega Levy, “importante è che un prodotto trasmetta emozione”. È la sua capacità
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In alto, un tampone per rifinire i bordi delle antine per i sistemi delle cucine. È simbolo di una delle lavorazioni rimaste esclusivamente manuali all’interno dello stabilimento di Mesero, tra Milano e Novara, dove si realizzano le cucine Dada, caratterizzate da elevati contenuti tecnologici e tagli su misura. Sopra: ARIK LEVY SISTEMA ALCUNI DETTAGLI DEL TAVOLO DOUBLE; I SUOI SCHIZZI E APPUNTI PER APPORTARE GLI ULTIMI RITOCCHI AL DIVANO TEA TIME. Nella pagina accanto: in alto, PATRICIA URQUIOLA NELL’AREA DELLO STABILIMENTO DOVE VENGONO LAVORATI I PANNELLI IN LEGNO (SULLA SINISTRA IL SUO SCRITTOIO SCRIBA); in basso, GLI STRUMENTI di lavoro DEL MODELLISTA NELL’AREA DI REALIZZAZIONE DEI PROTOTIPI.
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evocativa che lo porta al successo. Il nome che gli si attribuisce, aiuta in modo importante a raggiungere lo scopo: “Oggi il mondo non è solo tattile”, racconta Levy, “anche gli altri sensi giocano un ruolo fondamentale nella relazione con gli oggetti. Abbiamo poco tempo per andare in negozio e provare un divano. Lo vediamo sul giornale e se il nome non esprime sufficiente emozione si rimane indecisi”. Il suo sofà di quest’anno è stato battezzato Tea Time. Levy lo definisce una ‘piattaforma emozionale’, un luogo dove succedono cose e si creano situazioni, una sorta di piazza. Altro progetto: un tavolo estraibile che trasmette un’idea di fisicità scultorea e sembra dire, con le parole di Levy:
“Sono un tavolo. Sono bellissimo. Eccomi”. E le sedie? “Ho voluto riproporre una seduta confortevole, dove stare seduti per ore intorno ad un tavolo a mangiare e chiacchierare”. Ma Levy, la cui anima d’artista viene raccontata, in questo mese in una personale d’arte al Santa Monica Museum di Los Angeles, ribadisce che “la sfida più interessante in un progetto non è l’oggetto in sé, ma le persone con cui lo fai, i rapporti di reciproca comprensione che instauri con loro”. “Per questo”, dice, “preferisco stabilire una relazione duratura, di fiducia e confidenza con le aziende. È una questione emozionale. Il mondo è fatto da persone e dall’intreccio dei loro rapporti, non certo da sedie e tavoli”.
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L’energy saving dell’ispano-milanese Il 29 marzo direttamente di ritorno dal Sudamerica, senza aver neanche smaltito il fuso orario, Patricia Urquiola arriva a Giussano per gli ultimi ritocchi ai mobili contenitori, con le antine in legno e lamine d’acciaio, che presenterà al Salone. Empatica e adrenalinica, racconta l’abc del suo modo di progettare. Spiega: “Premessa universale è la libertà di dialogo tra impresa e designer. L’azienda deve dare un minimo di credibilità alla mia immaginazione e al mio modo di ragionare”. Secondo elemento, non meno fondamentale per Urquiola: evitare ogni spreco di energia a partire dall’idea, per arrivare alla realizzazione del prototipo, al processo produttivo, all’impiego di forza lavoro, al materiale utilizzato, fino alla commercializzazione e alla distribuzione. “Rifletto costantemente sul risparmio energetico e non ne faccio oggetto del mio pensiero solo in ambito lavorativo, ma anche nella vita privata. È un argomento importante anche nell’educazione dei miei figli. È un ‘work in progress’ fondamentale per la mia vita. Credo che qualunque designer, anche se orgoglioso e appassionato del suo lavoro, debba dosare le forze in quello che fa. È una regola fondamentale”. È questa, secondo Urquiola, la spina dorsale di qualunque conversazione progettuale. “Bisogna accettare la complessità delle cose e del mondo, mettere in conto il fatto che un progetto non presenti la qualità totale, ma
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eccellere solo sotto qualche aspetto”. Altro elemento fondamentale: creare un legame affettivo tra un prodotto e l’acquirente. In questo modo l’oggetto avrà occasione di invecchiare e passerà di mano in mano, di padre in figlio. Cemento leggero per tavoli volanti Dal meraviglioso studio londinese Foster + Partners, affacciato sul Tamigi, è nato un anno fa il tavolo Arc. A metà marzo di quest’anno era pronto. L’idea iniziale di Molteni e dello studio di architettura più famoso al mondo era di inventarsi il tavolo che non c’era. Quindi, scartata l’ovvietà delle quattro gambe, avevano pensato ad un basamento che somigliasse al telo sottile di una tensostruttura. Altra sfida: quale materiale usare per dare l’idea della leggerezza e nello stesso tempo della tensione, che fosse anche capace di sostenere un importante piano in cristallo? La risposta è stata trovata in un cemento speciale che, miscelato con fibre organiche, è diventato ‘mieloso’, quindi duttile, iniettabile in un stampo, ma nello stesso tempo solido come sa esserlo solo una base in cemento. Dopo una serie di prove, un anno di gestazione, migliaia di euro di investimento, a Giussano viene partorito Arc. In azienda ci scommettono tutti: diventerà un pezzo icona. Ago e filo e la cucina diventa sartoriale “Pragmatico, attento, molto sartoriale”. Lo descrivono così Rodolfo Dordoni in Molteni & C.,
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con il gusto per il dettaglio, per il particolare, ma sempre sobrio e discreto. È la prima volta che realizza una cucina per Dada, marchio del gruppo industriale italiano. “Il progetto è partito con caratteristiche più sofisticate rispetto alle cucine che ho realizzato precedentemente per altre aziende”, spiega l’architetto. “Si chiama Set ed è un insieme di elementi che, con caratteristiche tecnologiche individuali, messe insieme compongono un puzzle. La sfida è continuare a garantire la qualità di Dada, ma con un prezzo più contenuto. Vuol dire ragionare in modo più responsabile e si traduce nello stare attenti ad evitare spreco, orpelli, dettagli volutamente estetici e non funzionali”. In sella alla bici, dentro la fabbrica, vicino ai designer Carlo Molteni, presidente del gruppo, da quarant’anni in azienda, lo si vede poco dietro una scrivania. È molto spesso all’interno delle sue fabbriche per seguire di persona i nuovi progetti. Si muove da un reparto all’altro in sella ad una bici che, viste le grandi superfici produttive, gli serve per spostarsi velocemente. Più frequentemente lo si trova nell’area prototipi. Si definisce un ‘arbitro’ che concilia le visioni del designer, la ricerca industriale dell’azienda e le ragioni del mercato. “Il progetto ha molti più vincoli rispetto a qualche anno fa”, spiega. “Oggi dobbiamo partire dall’assoluta dimostrazione della qualità. Il progetto non deve essere solo
innovativo, ma bisogna saperlo descrivere e raccontare”. Sul tavolo dove siamo seduti ci sono gli schizzi di un progetto di Monica Armani, Wafer, una sedia nuova che ha la struttura in legno, ma sedile e schienale nel materiale con cui si coprono i bauli e i cruscotti delle auto, realizzati secondo lo stesso processo produttivo che si usa nel settore automobilistico. Rivestita in un bel tessuto di ecopelle è un prodotto mai usato nell’arredamento. “L’utilizzo di una tecnica diversa dal solito potrebbe aver un risultato molto buono dal punto di vista estetico e dei costi”, conferma Molteni, convinto che questo prodotto funzionerà. Il suo è uno scouting permanente: “Cerco di riconoscere le buone idee, che siano soprattutto utili e innovative. Se il prodotto è molto bello, ma non serve a nessuno, lo escludo in partenza. È inutile perder tempo a parlarne”.
Sopra, Rodolfo Dordoni, nello stabilimento Dada, accanto al prototipo di Set, la prima cucina progettata dall’architetto milanese per il gruppo Molteni & C. Nella pagina accanto: in alto, IL BANCO DI CONTROLLO QUALITÀ DEI PELLAMI; in basso, ULTIMI RITOCCHI ALLA POLTRONCINA GLOVE DI PATRICIA URQUIOLA.
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Arredi e accessori che danno forma alle connessioni sinaptiche tra i segni del progetto contemporaneo. Abitanti di un tempo fluido e tecnologico, esprimono la libertà, della nuova materia dell’invenzione, connessa e frammentaria allo stesso tempo.
Oggetti bio-tech di Stefano Caggiano
I
l più grande mistero dell’universo è la presenza in esso della vita. Anche se, forse, un universo senza vita sarebbe ancora più incomprensibile. Nel tempo prima di noi la cupa necessità delle leggi fisiche ha portato enormi quantità di atomi inanimati ad incontrarsi per generare molecole organiche, perché la vita, come l’estetica, è una proprietà emergente, in cui il tutto è ‘altro’ rispetto alla somma delle parti. È da qui che occorre partire per comprendere l’emergere, oggi, di un nuovo design che accoglie in sé il senso del biologico non come contrapposto al tecnologico, ma come suo epifenomeno. Questo orientamento, in prima battuta, può essere considerato l’erede del design high-tech tradizionale, nella misura in cui quest’ultimo esprimeva la crescente sensibilità per meccaniche leggere ed
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efficienti attraverso giunti in acciaio lucido e piani in vetro, mentre il nuovo design bio-tech traduce sul piano del sensibile il venir meno della contrapposizione, rigida ma rassicurante, tra il vivo e l’inerte, il biologico e l’artificiale, tentando attraverso estetiche molecolari e ‘sinaptiche’ di dar forma al nostro mondo fluido e tecnologico. La linea di oggetti per il bagno disegnata da Giorgio Gurioli e Marco Maggioni per Odue si basa sull’idea della circolarità delle trasformazioni acqua-vapore-nuvola-pioggia, per proporre soluzioni che, come il portasciugamani Stylla, sembrano disegnate da membrane cellulari: “gli elementi sono cresciuti spontaneamente e si sono autoprogettati, abbiamo avuto la sensazione di esserne stati soltanto gli spettatori, così come si guarda un albero crescere”.
in alto: I circa 100 miliardi di neuroni presenti nel cervello si connettono tra loro in reti molto complesse, dal cui mantenimento dipendono tutte le funzioni fisiche e mentali. Sopra: a sinistra, la chaise longue Morphogenesis disegnata da Timothy Schreiber, realizzata in policarbonato e schiuma imbottita; l’appendiabiti Game of Trust del designer greco Yiannis Ghikas, composto da tre elementi in legno a forma di Y, ognuno dei quali sostiene e allo stesso tempo è sostenuto dagli altri, componendo un abbraccio simile a quello che lega gli atomi nelle molecole. Nella pagina accanto, il tavolo Evolved di Timothy Schreiber, ispirato alle connessioni biologiche e naturali. È prodotto da FueraDentro in alluminio lucidato.
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Un nome da gas atmosferico è anche quello della serie di lampade Ozono disegnate da Esteban Moreno per il marchio eponimo E+M, esplicitamente ispirate alla morfologia della molecola O3. E logica analoga informa i rapporti topologici dell’appendiabiti Game of Trust di Yiannis Ghikas, in cui tre elementi a forma di Y si sostengono a vicenda con un abbraccio stabile ma precario, come quello che lega gli atomi nelle molecole. Ciò che emerge da questi progetti è un’estetica che non riveste i rapporti strutturali dell’oggetto ma li crea, lavorando fin dall’inizio in un luogo posto al di là dei repertori archetipici tradizionali e ormai del tutto partecipe di un tempo in cui le forme si sono emancipate dalla contingenza della materia. Oggi che è possibile stampare in tre dimensioni non solo i materiali plastici ma anche il legno e la roccia (vedi Interni n. 560), i designer sono infatti chiamati a tentare l’operazione più difficile: immaginare il nuovo senza il limite/sostegno fornito dalle certezze acquisite. E a proposito di prototipazione rapida, in questa partita non poteva mancare il contributo di Materialise, che tra i primi ha fatto del rapid prototyping una cifra stilistica e di linguaggio e nel cui tavolo Wye, disegnato da Bathsheba Grossman, le parti si connettono come le persone nell’era dei blog (o come i neuroni nel cervello), fondendosi pur rimanendo isolate, per prendere parte a ‘progetti’ comuni (design, discussioni, pensieri) e tornare di nuovo a separarsi per aggregarsi a formare altro
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design, altre discussioni, altri pensieri. Anche il recente blogbuster Avatar, di James Cameron, ci parla di tutto questo. Il film mette in scena un pianeta, Pandora, sul quale tutte le creature viventi (piante, animali, gli alieni umanoidi Na’vi) si ‘connettono’ le une alle altre per partecipare insieme alla vita dell’info-ecosistema. Un simile scenario, in cui biologia e tecnologia si fondono in un unico mondo-medium, traduce sul piano della fiction ciò che sta avvenendo nella realtà dell’epoca di internet e del cloud computing, alla quale appartengono le forme bio-tech di oggetti come Evolved, disegnato da Timothy Schreiber per il collettivo Designerblock, o Manufractals, dell’eindhoveniano Frank Winnubst, le cui logiche estetico-strutturali si intrecciano come neuroni in reti sinaptiche ad alta densità tecnico-armonica. E tra i designer che interpretano con maggiore freschezza l’energia post-estetica liberata dal nostro mondo connesso e frammentario non poteva mancare Joris Laarman, il quale, dopo la nota seduta bio-mimica Bone, disegnata seguendo il principio morfogenetico delle ossa, ha di recente applicato lo stesso concept a due nuovi progetti, il tavolo Bridge e la seduta Bone-Rocker, dimostrando ancora una volta che i l più grande mistero del progetto (nato per far funzionare bene le cose) è il design (che oggi lavora tantissimo con il sentire e la poesia). Ma che un progetto senza design sarebbe ancora più incomprensibile.
Sopra, il portasciugamani Stylla disegnato da Giorgio Gurioli e Marco Maggioni, appartenente alla linea di oggetti per il bagno Odue by Oasis. Nella pagina accanto, dall’alto in senso orario: Il tavolo Wye disegnato da Bathsheba Grossman per Materialise secondo la filosofia estetica e produttiva dell’azienda, che utilizza la forza espressiva del rapid prototyping per generare forme altrimenti non realizzabili; Manufractals di Frank Winnubst, un progetto nato da una ricerca sullo stampaggio con stampi elastici, da cui è emersa una composizione sorprendente relizzata con resina epossidica versata dentro a palloncini; La lampada Ozono disegnata da Esteban Moreno per il marchio E + M, ispirata alla forma e alla struttura della molecola di ozono, composta da tre atomi di ossigeno.
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di Maddalena Padovani
Architetture domestiche Dalla collaborazione di Vincent Van Duysen con Pastoe nasce Totem, un contenitore componibile pensato per interagire con lo spazio ma anche con chi lo utilizza. Il mobile-scultura diventa dinamico.
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er anni è stato considerato uno dei protagonisti del minimalismo in architettura e nel design. Ora, che il dibattito progettuale ha perso interesse per le questioni di puro stile, per Vincent Van Duysen è forse più facile svincolarsi dalle rigide classificazioni e mettere a fuoco le ragioni di metodo e di pensiero di una ricerca che si evolve con estrema coerenza. Totem, il suo primo progetto per il marchio olandese Pastoe, è un contenitore componibile di chiara concezione architettonica che combina il rigore segnico di impronta minimalista con una visione dell’abitare più dinamica a anticonformista. È un mobile scultoreo, pensato per essere guardato e fruito su tutti i suoi
lati e in tutte le sue dimensioni, che nonostante il suo aspetto rigido e scatolare interagisce con lo spazio circostante. Non solo: Totem è un elemento d’arredo che può essere composto e personalizzato dal suo utilizzatore. È infatti costituito da scocche quadrate indipendenti sovrapponibili e accostabili tra loro, a creare soluzioni leggere o, al contrario, composizioni possenti. Le scocche, che ruotano l’una sull’altra, possono essere aperte o chiuse su un lato e variamente attrezzate all’interno con ripiani orizzontali oppure con divisori verticali. Ne risulta un dinamico gioco compositivo che dà una nuova interpretazione dell’idea del mobile-architettura.
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INdesign INproject / 85 Prodotto da Pastoe, Totem è costituito da scocche quadrate indipendenti componibili tra loro. i contenitori possono essere aperti o chiusi su un lato ed essere attrezzati con ripiani orizzontali o divisori verticali. Gli elementi sono disponibili in tutti i colori e le finiture della collezione Pastoe.
Vuoti e pieni, piani verticali e piani orizzontali, piani sottili e piani di forte spessore, colore e non colore, ortogonale e obliquo: Vincent Van Duysen sembra concentrare in Totem tutti i caratteri salienti del suo operato. “Il mobile”, commenta il designer belga, “è un oggetto a se stante, come un edificio in una città; puoi guardarlo da ogni lato e devi poterci girare attorno. Ha un ruolo autonomo nell’arredamento. Totem cambia inoltre la sua immagine nel momento in cui lo si riempie con i propri oggetti personali, esattamente come succede con l’architettura. Un edificio assume la sua identità solo quando viene vissuto”.
Anche a scala dell’oggetto, Vincent sottolinea i riferimenti alla tradizione moderna del mobile e alla lezione democratica del Bauhaus. Non è un caso che quest’ultimo progetto sia nato con Pastoe. L’azienda olandese si è sempre distinta per una produzione di grande rigore formale e di elevata qualità esecutiva. Come ogni pezzo d’arredo, anche Totem viene realizzato a mano, nella fabbrica di Utrecht, da artigiani specializzati che si fanno interpreti diretti della cura quasi maniacale dei dettagli di Van Duysen. Le proporzioni dei volumi, gli spessori dei materiali, la finitura delle superfici, l’abbinamento dei colori: ogni elemento concorre a combinare la funzionalità molto schietta del mobile con la ricchezza percettiva dell’oggetto-scultura. “Modernità e durevolezza”, conclude il designer “sono i miei obiettivi, sia che disegni mobili, sia che progetti interni. E per durevolezza non intendo solo l’uso di materiali naturali duraturi, come pietra e legno, ma soprattutto una qualità progettuale intrinseca che consenta alla mia architettura come ai miei prodotti di durare una vita, e forse anche più”.
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Mark Parker, alla guida di Nike dal 2006, si è posto un obiettivo ambizioso: trasformare il gigante dell'abbigliamento sportivo in un’azienda modello per la sostenibilità globale. con l’aiuto di otto bottiglie di plastica.
design a ImPatto di Michelangelo Giombini
M
ark Parker è presidente e ceo di Nike, colosso americano da 300 milioni di scarpe all’anno, dove ha iniziato a lavorare nel 1979 come designer. Da allora ha ricoperto una grande varietà di ruoli e per oltre 25 anni ha contribuito a creare alcuni tra i concept più innovativi e un numero elevato dei best-seller del marchio. Interni lo ha incontrato in vista dei mondiali di calcio in Sudafrica dove tra l’altro fornirà a nove delle Nazionali in campo delle speciali divise realizzate in tessuto riciclato. Cosa rappresenta l’ambiente per Nike, in questo momento di crisi economica e recessione globale? "Noi viviamo questo momento come una grande opportunità. Lo scorso gennaio ero a Davos, in Svizzera, per il World Economic Forum dove si è anche parlato di 're-design, re-think'. Ed è stato interessante osservare come il tema del design ricorresse in termini di risorsa per
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individuare le soluzioni ai grandi problemi ambientali da affrontare a livello mondiale. In questo contesto, insieme a Yahoo e ad altre aziende, abbiamo lanciato GreenXchange, una comunità digitale aperta, basata sul web, in cui le aziende possono collaborare tra loro e condividere la propria proprietà intellettuale e i propri brevetti. La situazione del clima, lo scarseggiare delle risorse naturali, la popolazione mondiale che aumenterà di un terzo nei prossimi quarant’anni, la classe media che triplicherà nei prossimi vent’anni: questi fattori hanno messo un’ipoteca pesante sul pianeta e penso che le aziende abbiano la responsabilità di comprendere il significato di queste trasformazioni e di applicare questa consapevolezza nella realizzazione di prodotti innovativi, ripensando l’intera catena di produzione, le risorse, riducendo l’impatto ambientale e le emissioni di anidride carbonica.
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zero La nuova Mercurial Vapor Superfly II di Nike, la scarpetta da calcio attualmente più leggera al mondo. col sistema Nike Sense i tacchetti si ritraggono di tre millimetri per adeguarsi automaticamente alle condizioni del terreno, aumentando la tenuta dell’atleta su terreni di consistenza diversa. Nella pagina accanto, in alto: Mark Parker, presidente e CEO di Nike, interviene all’ultimo Innovation Summit dell’azienda tenutosi a Londra il 24 e il 25 febbraio scorsi. a sinistra: la bottiglia-simbolo della divisa in materiale riciclato che nike ha realizzato per i prossimi mondiali di calcio. finora sono stati recuperati 13 milioni di bottiglie di plastica per produrre le maglie più ecologiche della storia del calcio. Verranno utilizzate dalle nazionali di Brasile, Olanda, Portogallo, USA, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, Serbia e Slovenia. In basso: il centro di distribuzione Nike nella località belga di Laakdal funziona interamente a energia verde. il complesso È alimentato da sei turbine eoliche ed è orientato in modo di massimizzare l’esposizione al sole e l’illuminazione naturale.
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E se qualche azienda non può ancora permettersi di mettere a disposizione il proprio patrimonio d’innovazione, c’è un protocollo di registrazione che prevede la concessione di licenze a pagamento". Ci racconti a che punto si trova attualmente il progetto Nike Considered Design. "L’impegno di Nike nella sostenibilità non è cosa recente (il progetto Reuse-a-shoe, riusa una scarpa, è dei primi anni Novanta, ndr), anche se finora non ne abbiamo parlato molto. Considered Design è nata come una piccola collezione di prodotti 'verdi', neanche bellissimi, che venivano fabbricati con materiali eco-compatibili riducendo o eliminando dalla lavorazione le sostanze tossiche. Oggi questo impegno è presente in ogni categoria della nostra produzione ed è diventato un vero e proprio manuale (Index) che i nostri designer utilizzano nel corso della progettazione per garantire l'assoluta ecocompatibilità del prodotto. In questo modo mantengono il controllo sulla quantità di scarto che generano, sull’impiego di materiali compatibili con l'ambiente (Environmentally Preferred Materials) e sul loro grado di riciclabilità, sui metodi di lavorazione che è più conveniente adottare. Il nostro obiettivo è ottenere un sistema a ciclo chiuso dove non c’è più scarto o
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spreco: per le calzature questo dovrebbe accadere già alla fine del prossimo anno mentre per l’abbigliamento si parla del 2015. Per arrivare a estendere questo principio all'intera produzione saranno invece necessari tempi più lunghi, legati a un’organizzazione molto complessa che richiede grandi innovazioni nei metodi produttivi e nella gestione della catena dei fornitori. Aiutare l’ambiente non significa solo essere più responsabili ed ecologici ma può rappresentare anche un grande vantaggio economico: i costi di produzione infatti si riducono se non c’è spreco perché, come è noto, la dismissione dei rifiuti rappresenta una spesa enorme per le aziende". Qual è il vostro impegno a livello di risparmio energetico e di utilizzo delle energie rinnovabili? "L’esempio più concreto è il nostro centro di distribuzione di Laakdal, in Belgio, che è uno dei nostri impianti più avanzati ed è interamente alimentato da impianti eolici: qui abbiamo installato sei grandi turbine che producono l’energia necessaria per il funzionamento dell’intero stabilimento esteso su circa 200mila metri quadri di superficie. Quella che avanza, che è pari al 30 per cento, circa, dell’energia ottenuta dal vento, viene immessa nella rete elettrica e va ad alimentare le strutture della comunità vicina".
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Ci parli delle maglie da calcio che avete realizzato per i Mondiali. "Pur mantenendo prestazioni altissime, queste nuove divise sono considered al 100 per cento. Ogni maglia è interamente realizzata in polyester ottenuto riciclando otto bottiglie di plastica che, dopo essere state lavate e ridotte in piccoli fiocchi, vengono fuse e trasformate nel filato che andrà a costituire il tessuto, risparmiando il nuovo materiale e l’energia necessaria a lavorarlo. La grande innovazione però sta nel fatto che la sostenibilità del progetto si combina con gli altissimi standard degli atleti professionisti che, per la prima volta nella storia del calcio, scenderanno in campo indossando capi a basso impatto ambientale che sono al tempo stesso più leggeri e confortevoli". Che ruolo hanno il design e i designer nel processo d’innovazione e trasformazione di un’azienda? "Credo che oggi più che mai il design sia fondamentale nel dar forma al successo e alla strategia di un'azienda. I buoni designer hanno una visione più complessa del mondo grazie alla loro capacità di osservare l’ambiente, i consumatori e, nel nostro caso, gli atleti. Sono convinto che un’azienda non possa costruire il proprio successo e mantenerlo senza dare una posizione di
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preminenza al design, che spesso viene invece relegato a semplice strumento di supporto alle vendite e al marketing. In Nike diciamo sempre che non esiste una linea perché possiamo sempre migliorarci. È come dire che la distanza che ci separa dai nostri competitor è comunque più breve di quella che esiste col nostro potenziale. Ed è qui che avviene la vera innovazione nel lavoro di un’azienda: il design svolge il suo compito dove si creano i legami con i consumatori, con la cultura popolare, con l’ambiente e con tutti quegli elementi che sono più significativi e determinanti per il futuro del mondo".
Sopra: Le rovine della Battersea Power Station, icona dell’archeologia industriale londinese, che hanno ospitato l’ultimo innovation summit di nike e la presentazione alla stampa mondiale dei prodotti che rappresentano lo stato dell’arte dell’azienda. Sotto: la scarpa Trash Talk è la prima scarpa da pallacanestro considered al 100 per cento: è realizzata con scarti di produzione e la gomma riciclata della suola è ottenuta triturando calzature usate. nella pagina accanto, In alto: allestito nel Nike town di Londra, il bootroom di Nike id è l’ultima frontiera in fatto di personalizzazione della calzatura sportiva: qui è possibile ordinare le scarpe adeguandole perfettamente al proprio stile di gioco. In basso: Body da running in materiale riciclato al 100 per cento. nei prodotti considered, i materiali tossici e i materiali di scarto sono ridotti al minimo o eliminati del tutto dalla fase di produzione.
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Fare un pic nic sull’erba seduti attorno al tavolo di casa. Alimentare gli edifici con giardini verticali. Accendere una lampada sfruttando l’energia prodotta da una pianta grassa. Design e architettura fanno del green una componente integrante del progetto.
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Verde che passione di Laura Traldi
C’
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erano il divisorio su cui si arrampicano cespugli dello Studio TAF, i paesaggi in miniatura con piante di Aldo Cibic e il raccoglitore d’acqua piovana per irrorare piante in vasi biodegradabili di Bas van der Veer. Da Rossana Orlandi, al FuoriSalone, il mondo vegetale era il tema portante di tanti progetti. Non a caso. Sono anni che la trend scout Li Edelkoort (apprezzatissima in casa Orlandi) parla del ritorno della cultura della ‘fattoria’ per contrastare quella dell’usa-e-getta, diventata decisamente out nei circoli benpensanti. “È una conseguenza
dell’emergenza ecologica”, dice Aldo Cibic. “Ci stiamo rendendo conto che in quello che è stato un modello di sviluppo non abbiamo mai considerato abbastanza la natura e quello che essa deve rappresentare per l’umanità”. Al loro appello oggi, forse complice la crisi, i designer rispondono con soluzioni in cui il verde assume un ruolo non solo decorativo ma strutturale e, spesso, anche sociale. L’ha fatto ad esempio Gionata Gatto con i suoi Urban Buds, ‘orti portatili’ (zolle di terra racchiuse in scocche di feltro) per il suolo pubblico: “l’idea è che le etnie presenti in un quartiere li utilizzino
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3. 1. Tavolo e sedia della collezione Harvest di Asif Khan: piante comuni reperite a Londra, dove lavora il designer, sono state intrecciate, disidratate a freddo e messe in posa con stampi.
3. Roots, del tedesco Kai Linke, è una serie di arredi che ‘guidano’ la crescita di erba, bulbi e giacinti: a crescita ultimata, la scocca viene tolta, trasformando la vegetazione in struttura vera e propria.
2. I paesaggi in miniatura Little Nature, di Aldo Cibic con Cristiano Urban per De Castelli, in ferro brunito: ognuno di essi ospita un piccolo pezzo di natura (bonsai di olivo, piccole piante grasse, pelena, prato verde).
4. Vetro e fiori in tandem in Floating Flora dalla glass collection di Valentina Carretta/ Fabrica per secondome edizioni.
4.
per coltivare spezie e verdure per il consumo”, spiega il designer, “il cibo diventa così un mezzo per avvicinarsi e condividere un’esperienza di vita in comune”. “La gente oggi ha voglia di riavvicinarsi alla natura e di prendersi cura delle cose. Niente più della vita stessa può servire a ricordarcene il valore”, dice Benjamin Graindorge, un giovane francese autore di un acquario in cui i pesci alimentano le piante che a loro volta scaricano ossigeno nell’acqua. Il ‘verde progettato’ non è quindi un triste atteggiamento nostalgico ma un modo per guardare verso una controcultura
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che attinge dal passato agricolo per guardare avanti. Tant’è che alcune delle idee sintonizzate su questa lunghezza d’onda sono più vicine al science-fiction che alle atmosfere post-rurali sognate dalla Edelkoort. Basti pensare agli EcoPods di Howeler +Yoon Architects, moduli cubici che fungono da giardini da ‘appiccicare’ a edifici dismessi. Non solo per dare un look più rispettabile a building in disuso, ma per permettere l’allevamento intensivo di micro-alghe che crescono verticalmente e producono 30 volte più bio-combustibile rispetto ad altre fonti
5. GreenLantern di Romolo Stanco. Una lampada realizzata a iniezione di legno liquido, biopolimero biodegradabile realizzato con gli scarti della lavorazione del legno di cui ha lo stesso effetto estetico. La lampada a led si accende usando la parte in eccesso dell’energia elettromagnetica prodotta dalla pianta con le sue funzioni vitali.
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1. La Moss Tile di Benetti Stone: perfetta per ambienti chiusi e privi di luce perché i licheni che la compongono, adagiati su una base in resina ecologica, vivono anche al buio e con un’umidità ambientale del solo 50 per cento. 2. Urban Buds di Gionata Gatto: orti sociali portatili in feltro a forma di valigie. 3. Il divisorio verde Moving Hedge della svedere GreenWorks: assorbe l’inquinamento acustico e pompa ossigeno nell’ambiente.
1.
2. 4. South Face di Massimo Iosa Ghini per Il Cantiere: gli elementi modulari in cemento Ductal® che lo compongono sono liberamente assemblabili e formano delle ‘tasche’ da cui fuoriesce la vegetazione. Il risultato è un muro vegetale verticale. 5. La ‘chiesa del vino’ a Weinheim Alzey in Austria di Marcel Kalberer realizzata con bambù e viticci, presentata al convegno A Sustainable Beauty in Triennale lo scorso marzo.
3.
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rinnovabili. Per ottimizzarne lo sviluppo, le capsule sono in costante movimento alla ricerca del miglior binomio aria-luce grazie all’impiego di un braccio meccanico (azionato con l’energia prodotta dalle stesse). Sembra Star Trek ma secondo Howeler +Yoon la proposta è più che fattibile. “Il processo che dovrebbe avere luogo all’interno del pod è in fase sperimentale”, dicono, “ma recenti sviluppi nell’estrazione di energia direttamente dalle alghe lo rendono tecnologicamente possibile”. Anche in casa nostra si stanno mettendo idee sul tappeto. Benetti Stone, ad esempio, ha presentato al Salone del mobile la Moss Tile, una piastrella di lichene su base in resina ecologica che non necessita di luce per mantenersi, non cresce (quindi non si deve potare), vive con un’umidità ambientale del solo 50 per cento e assorbe naturalmente i rumori. È una tendenza che, secondo Massimo Iosa Ghini, “nasce
dalla presa di coscienza dell’importanza del verde nel progetto architettonico: non solo come elemento decorativo ma come materiale vivo di rivestimento per elementi di chiusura verticali e orizzontali”. Cavalcando questa tendenza, lui ha progettato South Face per Il Cantiere, una parete con elementi modulari in cemento Ductal® dalle cui ‘tasche’ esce la vegetazione. Ma a quanto serve l’integrazione del verde in architettura per rendere il nostro vivere più sostenibile? Forse non a molto in termini concreti e quantificabili. La ricetta per la sostenibilità è, infatti, molto più complessa. Dice Aldo Cibic: “Cementificare di meno, considerare l’equilibrio di un ecosistema, avere coscienza dei consumi, orientare la produzione per essere meno impattanti, influire sul cambiamento delle abitudini rispetto al trattamento dei rifiuti, produrre meno CO2”. E che impatto positivo hanno sull’ambiente la sedia da cui fuoriescono le
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6. 6. Gli EcoPods di Howeler +Yoon Architects in una realizzazione grafica di Squared Design Lab. Sono moduli cubici, ruotabili per ottenere il miglior binomio luce-aria, da utilizzare come giardini verticali per l’allevamento di micro-alghe destinate alla produzione di bio-combustibile. 7. La Growing Chair di Michel Bussien: il salice e la vite crescono insieme all’interno della struttura in plastica a forma di sedia, Che a sviluppo completato viene rimossa, rendendo le piante protagoniste indiscusse del progetto.
radici del tedesco Kai Linke o i tavoli verdi di Asif Khan o di Valentina Farassino e Chiara Martini? Decisamente nullo. Però utilizzano il verde come elemento che dà un significato al progetto (trasformandolo cioè nella conditio sine qua non per il suo esistere) e quindi caricano chi lo usa di responsabilità per il suo benessere: per continuare a goderne, insomma, bisogna prendersene cura. “Creare cose di cui la gente ama occuparsi con amore per poi passarle ai propri figli mi sembra il modo più onesto per un pensare sostenibile oggi”, dice Asif Khan. Un cambio di direzione rispetto alla tradizionale cultura dell’usa-e-getta che è certamente importante per la definizione di un futuro più sostenibile.
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7. 8. Il polmone da casa Long Life di Myrthe Mandemakers: un giardinetto da appendere al muro in feltro e cotone biologico.
8.
9. Si chiama Déjeuner sur l’herbe e l’ha inventato Valentina Frassino dello studio Vfrì in collaborazione con la garden designer Chiara Martini e l’agronomo Stefano Assone: Le piante crescono su una struttura realizzata in vari materiali con tessuti di contenimento. Il piano in plexiglas è ovviamente un optional.
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Tendenza Cocooning: privacy disegnata sotto forma di cellule individuali di comfort, bozzoli di intimità, arredi come micro-architetture. Il design risponde alla ricerca di protezione, con sedute dagli alti e avvolgenti schienali.
NeoAlcove Un po’ schermi, un po’ rifugio, oversized al limite della parodia. Interpretazioni contemporanee dell’archetipo anglosassone della wingback chair o della francese bergère, efficaci in ambienti collettivi. di Katrin Cosseta
in questa pagina: nest, di Seyhan Özdemir & Sefer Çaglar/autoban per de la espada, poltrona lounge con schienale a guscio, in quercia o betulla verniciata bianca o nera. nella pagina accanto: social drop, struttura mobile per creare improvvisati cocoon sopra tavoli, letti o scrivanie, disegnata e autprodotta da olivia decaris; realizzata in compensato di betulla tagliato al laser, tessuto poliestere, alluminio, acciaio e Nylon.
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3. 4. 1. confessions, ‘sedutaconfessionale domestico’, edizione limitata di arik levy/ galerie slott, in mdf smaltato nero e in finitura noce, cuscini in feltro. 2. tank, di edward van vliet per palau, poltrona con calotta per isolamento acustico, rivestita esternamente in tessuto maharam by paul smith.
4. alcove seat, disegnata da ronan&Erwan bouroullec per vitra, poltrona a schienale alto con piedini in acciaio cromato, rivestimento in tessuto. .
5.
3. enveloppe, di inga sempĂŠ per lk hjelle, divano a schienale alto e morbido con terminali liberi da avvolgere intorno al corpo. Rivestimento in tessuto.
5. liu, di andrea parisio per meridiani, bergère con struttura in legno e imbottitura in poliuretano, housse in pelle. 6. trieste, di paola navone per baxter, divano a schienale alto rivestito in pelle nabuck green.
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1. tent sofa, di philippe malouin per campeggi, poltrona trasformabile in letto con schermo visivo che richiama una tenda militare. 2. antoinette, di Cate & Nelson per blÅ station, seduta-divisorio con cornice in acciaio verniciato che trattiene una cortina in tessuto semitrasparente. la seduta, rivestita in pelle o tessuto, è rimovibile per consentire lo stoccaggio.
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1. swa cell, di setsu e shinobu ito per fornasarig, poltrona lounge per esterni con Struttura in rovere di Slavonia esiccato, tende in tessuto di poliestere e pvc.
4. derby, di Noè Duchaufour Lawrence per zanotta, bèrgere con base girevole in acciaio e scocca esterna in poliuretano rigido rivestita in Cuoio o Ecopelle; ogni componente è realizzato singolarmente, prima stampato poi calibrato e assemblato, quindi rifinito.
2. plié, di Roberto e Ludovica palomba per driade, poltrona a schienale alto in polietilene a stampaggio rotazionale.
5. archibald, di jean-marie massaud per poltrona frau, poltrona a schienale alto con piedi in fusione d’alluminio finitura canna di fucile, struttura in acciaio con imbottitura in poliuretano espanso, molleggio a cinghie elastiche, rivestimento in pelle Frau con cuciture a contrasto.
3. red baron, di Giorgio Soressi per erba italia, poltrona con struttura in metallo e poliuretano espanso, rivestimento in pelle o tessuto.
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1.lounger, di jaime hayon per bd, poltrona girevole a schienale alto, rivestita in pelle o tessuto, completa di pouf.
4. dion, di rodolfo dordoni per minotti, reinterpretazione della classica bergère su Piedini in metallo con finitura black-nickel, Struttura in legno massello con cinghie elastiche intrecciate ad alta componente di caucciù, rivestimento in pelle o tessuto.
2.club, di el ultimo grito per uno design poltrona con struttura in tubolare metallico verniciato che forma un alto schienale schermato da tessuto semitrasparente.
5. grande papilio, di naoto fukasawa per b&B italia, poltrona alta monolitica, girevole a 360 gradi, con TELAIO INTERNO in TUBOLARI E PROFILATI D’ACCIAIO, IMBOTTITURA in SCHIUMA DI POLIURETANO rivestimento in TESSUTO o PELLE.
3. poltrona 671 disegnata da pierre chareau nel 1924/1927, nell’edizione di alivar collezione museum. struttura in legno, rivestimento in velluto bicolore.
6. origami, di carlos tiscar per offecct, reinterpretazione della wing chair che associa linee spezzate e comfort, con piedini in metallo cromato e rivestimento in tessuto, disponibile anche con pouf.
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N. 601 maggio 2010 May 2010 rivista fondata nel 1954 review founded in 1954
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direttore responsabile/editor GILDA BOJARDI bojardi@mondadori.it art director CHRISTOPH RADL caporedattore centrale central editor-in-chief SIMONETTA FIORIO simonetta.fiorio@mondadori.it consulenti editoriali/editorial consultants ANDREA BRANZI ANTONIO CITTERIO MICHELE DE LUCCHI MATTEO VERCELLONI
NELL’IMMAGINE: GAETANO PESCE, ARCHITETTO E DESIGNER, RITRATTO AL LAVORO NEL SUO STUDIO DI NEW YORK. IN THE IMAGE: GAETANO PESCE, ARCHITECT AND DESIGNER, AT WORK IN HIS NEW YORK STUDIO. (FOTO DI/FOTO BY SIMONE BARBERIS)
Nel prossimo numero 602 in the next issue
Interiors&architecture
Come abitano e lavorano i protagonisti del design
how design protagonists live and work
INsight
Incontro con Giovanni Terzi
Encounter with Giovanni Terzi
Il design dei sensi
The design of the senses Maestri/Masters: Achille Castiglioni
INdesign
Gaetano Pesce, la poetica della contaminazione
Gaetano Pesce, the poetics of contamination
FuoriSalone 2010: progetti, protagonisti e tendenze FuoriSalone 2010: projects, protagonists and trends
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ARNOLDO MONDADORI EDITORE 20090 SEGRATE - MILANO INTERNI The magazine of interiors and contemporary design via D. Trentacoste 7 - 20134 Milano Tel. +39 02 215631 - Fax +39 02 26410847 e-mail: interni@mondadori.it Pubblicazione mensile/monthly review. Registrata al Tribunale di Milano al n° 5 del 10 gennaio1967. PREZZO DI COPERTINA/COVER PRICE INTERNI € 8,00 in Italy PUBBLICITÀ/ADVERTISING Mondadori Pubblicità 20090 Segrate - Milano Pubblicità, Sede Centrale Divisione Living Direttore: Simone Silvestri Responsabile Vendite: Lucie Patruno Coordinamento: Silvia Bianchi Agenti: Ornella Forte, Claudio Bruni, Fulvio Tosi Agenzie e centri media Lombardia: Patrizia Rossetti Tel.: 02/75422675 - Fax 02/75423641 www.mondadoripubblicita.com Sedi Esterne: LAZIO/CAMPANIA CD-Media - Carla Dall’Oglio Corso Francia, 165 -00191 Roma Tel.: 06/3340615 - Fax: 06/3336383 email: carla.dalloglio@tiscali.it PIEMONTE/VALLE D’AOSTA Comunication & More Fulvio Tosi - Luigi D’Angelo Via Bologna, 220 - Int.17/13 - 10154 Torino Tel.: 011/8128495 - Fax:011/2875511 email: communication2@mondadori.it TRIVENETO Luciana Giacon Riviera Paleocapa, 54 - 35100 Padova Tel/Fax: 049/8725245 email: luciana@giacon.net EMILIA ROMAGNA/SAN MARINO Universal Italiana - Lucio Guastaroba Via A. Pulega, 7 - 40133 Bologna Tel.: 051/4845749 - Fax: 051/4846394 email: info@universalitaliana.it TOSCANA/UMBRIA Marco Marucci - Gianni Pierattoni Paola Sarti - M.Grazia Vagnetti Piazza Savonarola, 9 - 50132 Firenze Tel.: 055/500951- Fax: 055/577119 email: mondadoripubblicita.fi@mondadori.it ABRUZZO/MOLISE Luigi Gorgoglione Via Ignazio Rozzi, 8 - 64100 Teramo Tel.: 0861/243234 - Fax: 0861/254938 email: monpubte@mondadori.it PUGLIA/BASILICATA Media Time - Carlo Martino Via Diomede Fresa, 2 - 70125 Bari Tel.: 080/5461169 - Fax: 080/5461122 email: monpubba@mondadori.it CALABRIA/SICILIA/SARDEGNA GAP Srl - Giuseppe Amato Via Riccardo Wagner, 5 - 90139 Palermo Tel.: 091/6121416 - Fax: 091/584688 email: monpubpa@mondadori.it ANCONA Annalisa Masi Via Virgilio, 27 - 61100 Pesaro Cell.: 348/8747452 - Fax: 0721/638990 email: amasi@mondadori.it ABBONAMENTI/SUBSCRIPTIONS: Italia annuale: 10 numeri + 3 Annual + 2 Interni OnBoard + Design Index Italy, one year: 10 issues + 3 Annuals + 2 Interni OnBoard + Design Index € 89,50
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INtopics
editorial
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Speaking of project and considerations, the reading of this number seems to suggest a welldefined prospect: now more than ever it’s vital to propose a model of habitability that satisfies an innermost need of protection. A small holiday house in Sicily, a house close to Valencia that seems to be emerging from the rock, a house with staggered floors and an entire glass window as front in an old Belgian town, an ordinary shepherd’s shelter in Mallorca, that turns into a verandah-house opening onto the countryside, ‘knowledge spaces’ in Milan and Bologna, that emphasize the value of reusing the exhisting property … We start from the anthology of architecture, where the staging doesn’t waste the domestic privacy , it stresses, instead, the shelter feeling, and then we reach the reports on research and experimentation in production, sharing a clear and detailed presentation of the cocooning trend. Architectures devised as micro-furniture and furniture meant as micro-architectures, individual cells of comfort: it’s an old fil rouge, after all. Everything relates to the “matter of invention” of Joe Colombo, artist, architect and designer, who died young at 41 and left an enduring mark in the history of design, not only the Italian one. Alreay in the fabulous sixties, that is the American Dream decade, with flair and politeness, he got ahead with his personal research on organic shapes and curved lines to draw “a future in motion”, outward projected and manufactured as a custom-made dress. A most topical lesson, that the players of our time, more technological and fluent, keep recovering in an innovative and inspiring way. Gilda Bojardi
INteriors&architecture The metal garden
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project Ong & Ong project team Diego Molina, Maria Arango, Camilo Pelaez photos Derek Swalwell text Giacomo De Filippo A corrugated aluminium wall covers the court of an elegant art deco home. Behind the early twentieth-century front, light coming from the central well floods the two wings of the residence and the sheet of water in the garden, thus mitigating the humid, tropical climate of Singapore. The colonial, terraced houses that were used both as dwelling and shop, this one is on 55 Blair Road, feature a special shape, with a shop front of about 5 metres and a blind lot extending in depth. A practical solution for a shop with storehouse, yet not so good as far as the environmental qualities of the house are concerned, as spaces are inevitably quite dense and confined between the blind walls of the neighbouring lots. To have daylight and sufficient airing in such conditions is a rather complicated goal. Designers Diego Molina, Maria Arango and Camilo Pelaez, from Ong & Ong, were asked to improve a renovation project carried out ten years ago, that didn’t satisfy the new owner, a young and successful professional, and defeat the claustrophobic effect of the long, confined lot through space continuity and fluency and maximum enhancement of the small inner court. The house, less than three hundred square metres large, was reorganized into a first, entirely undivided level, where one can take in the whole extension of the house, about twenty-seven metres long, already from the entrance door, sliding on the bright travertine floor through the first living room, the winding staircase and the pool lounge, to the garden, with the nosegay-tree and the water basin and outdoor kitchen. The concept of uninterrupted space concerns also the upper floor where, over the entrance, there are the study and main bedroom separated by a square opening, a horizontal window, overlooking the living area below, which is one more important component of visual fluency and air circulation. The total-white walls and the flooring in large teak boards, together with the fine, original window in white-painted wood, keep the welcoming freshness of colonial architecture. Beyond the winding staircase, just separated by two sliding and transparent doors, there is the bathroom, a cube in travertine and glass full of light and almost brushing the foliage of the nosegay-tree, a sacred plant in Hindu and Buddhist countries. Beyond the foliage of the nosegay-tree, the housekeeper’s quarters, are visually connected with the garden through the whole glass window. If the interior design and layout follow the criteria of a refined minimalism, where white and natural materials are prevailing, with a few ethnic concessions, the surprise, the spectacular gesture is in the garden. Or rather, in its cladding, that produces a strong and unexpected contrast through the clever use of a foil of corrugated aluminium, a sort of hi-tech boiserie on the side walls of the court and the small roof garden. The brightness of this material, amplified by the undulation, performs an important task by letting light in and, from the point of view of the microclimate, it works as a chimney sucking the warm air upwards and making the change of air easier through a light and constant ventilation. From the perceptive viewpoint, aluminium increases the quality of the garden by extolling the iridescent light of the reflections on water and suiting the scenographic effect of the night lighting. - Caption pag. 2 A view of the inner court and the road frontage of the colonial architecture of the house. The inside front with the swimming-pool taken from the court stresses the in-out continuity and fluency of spaces. The first, undivided level allows to take in the whole extension of outside and inside spaces, from the pool lounge to the entrance door. - Caption pag. 4 One more view of the in-out space gained with the renovation project and an axonometric drawing that shows the layout on the different levels. The concept of uninterrupted and fluent casing underlies the upper floor, as well. The total-white walls and the flooring in large teak boards, together with the corrugated aluminium foil cladding the side walls of the court and the small roof-garden emphasize the brightness of the inside construction and play a chief role as far as microclimate is concerned. Furnishings were carried out by YPS.
The blue house
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project Gianfranco Gianfriddo – AtelierMap photos Peppe Maisto text Matteo Vercelloni On the hills of Palazzolo Acreide, halfway between Ragusa and Syracuse, a small holiday house part of a terracing with olive trees growing on it, extending its space to hypogean areas. A house, the colour and figure of which make it stand out from the landscape, where
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it wants to put down roots. Giuseppe Fava, a Sicilian intellectual who was born in Palazzolo Acreide, writer and dramatist, journalist and scriptwriter, murdered by the mafia in January 1984, described its houses with “green, blue and red fronts, yet age-old colours that have been modulated by light, wind and rain for hundreds of years and are now pale as a shadow. Balconies and architraves are in white, carved stone, but also sculptures by now smoothed by time, have taken different and more mysterious and elusive forms”. The landscape is marked by “secret steps, that thread their way through the houses and emerge on the top of the mount”, a place that “opens softly like a shell”. The terracing that encloses the village, opposite the historical, monumental cemetery, completes the sloping ridge with its pines and outlines of the richly decorated aedicule. There, Gianfranco Gianfriddo chose to renovate a small holiday house as a place to live in, sequestered among the olive trees, far from the urban dimension of Syracuse, where he still keeps his architecture practice. “The idea”, the designer states, “was to consider the whole terracing system supporting it as a part of the house and give shape and light to this complex chthonic”. Putting down roots didn’t involve just the study of hypogean areas like the garage, but also new architectural “additions” (a study) obtained under the terracing and linked through a play of stairs and routes at different levels, integrated in the linear, pre-existing dry stone walls. The house, presumably built between the two world wars for a holyday use and that already revealed some quality in the ruins to be restored, was given back its original figure. A house with a pent roof, stone stripes on the corners and borders in the same material to mark doors and windows. Phorometries emerging from the new, pale blue plaster (one of the traditional colours of the village, as Fava pointed out) worked on a base of lime and copper after the old tradition). So, especially in spring, when the hill is still green and the downward slope is coloured by vegetation, the blue of the house looks harmoniously brilliant in contrast, referring to the colours used in the village in the past. The outside terraces follow the route to the entrance from the street, with the hypogean booth, to reach the first terrace obtained from the cultivation ridge, where the study looks onto, open to the outside through a wide wooden, glazed fixture. There, in the back of the room , with a flooring in pitch Ragusa stone, corresponding to the brickwork fireplace faced with lava stone, a long horizontal cut in the roofing lets the zenith light in, lighting up the final wall according to the time of the day. Going up, the entrance to the house is forestalled by an iron pergola following the pattern of the stairs handrail. An ethereal system designed as a very light, linear component extending from the house to define the side terrace, partly obtained from the covering of the study below. Inside, the two pre-existing parts, that form the building, resulting from additions made over the years, were kept to obtain, in the larger room, the living with the wooden booth of the kitchen, separated by sliding mat glass doors. The booth in pale wood, intentionally not reaching the ceiling to keep its inclusion quality, is next to the bathroom and features a background wall in painted Pompeian red (also a traditional colour this time used inside). From there, the iron staircase reaches the white painted loft obtained centrally between the two rooms, making the most of the roof ridge. Next to the dining room, a custom-made sofa leads to the second room, blue as the outside. - Caption pag. 7 General view of the house front with the reconstruction of the low stone walls of the terracing partly transformed into routes and steps leading to the house. The linear drawing of the metal pergola is the same as that of the railing of the stairs to the study. Below, the house harmoniously following the trend of the terracing, where olive trees are grown. - Caption pag. 8 The study-space with the final wall marked by the brickwork fireplace; flooring in pitch stone, upper thresholds of the fireplace in Etna lava stone, vertical facing of the fireplace in pepper-and-salt lava stone. In the drawing: the plan of the project. Parallel page, view of the living room with the wooden booth of the kitchen. Floor in oak, metal staircase with wooden steps and custom-made sofa. The staircase reaches the loft in the central pitch. In the drawing: lengthwise section of the project.
In the rock
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project Fran Silvestre Navarro Arquitectos photos Fernando Alda text Francesco Vertunni At the foot of the Ayora Castle, close to Valencia, Spain, a house follows the topography of the site and the urban matrix of the historical settlement to create a dialectical and clashing relation with the rock, where it seems to be emerging from. On the slopes of the fortress of the Ayora Castle, in a harsh landscape where the rock meets with a system of small houses grown over time by juxtapositions and replacements, yet still suiting the ground trends, its rocky offshoots and cliffs, this new single-family house developed on three levels fits into the pre-existing fabric, in line with the traffic system imposed by the arrangement of the other buildings, however proposing a new composition theme with its upward growing rooms. The ground floor, the most cramped for any possible construction as the rock is near the boundary line, provides for the garage with a small storehouse and an access room with stairs leading to the first floor, all that in about fifty square metres. The first floor, overhanging the entrance to the garage, creates a first “torsion” motion of the components of the building, at the same time obtaining a sheltered area. Instead, the first level, blind on the road frontage, is marked by a number of openings on the left, side front, recessed with regard to the upper part. Along the side front, the sloping path to the pedestrian entrance clad in stone seems to be taking inside a regularized fragment of the outside rock. Next to the entrance, a first sleeping area with a bedroom and a guestroomstudy. On the third and top floors the house develops lengthwise, making the most of the whole rectilinear volume. While the staircase creates a play of volumes to emphasize the inside height, capturing daylight from a glazed cut in the roofing. The layout of the third and top floors provides for a corner main bedroom overlooking the street, a large living room, that crosses the whole architecture from the wide glass window, flush with the front, to the large balcony, towards the rocky slope, designed as a room without ceiling, yet defined by the wall perimeter, which is clean-cut against the skyline. On the third floor, the recess on the road frontage enhances the “sunken” look of the volume and the “thick” look of the architectural envelope and allows to obtain the window for the main bedroom without any more cuts in the fronts, thus remaining quite compact and carefully measured in the relation between full and empty spaces. The white, modular and custom-made kitchen, open towards the dining-living area and is in the middle of the house, next to the stairs and the wall-to-ceiling cut, so as to allow the total interaction between terrace and interior space, separated by a wall-to-ceiling glass window beside two symmetric openings at the ends.
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- Caption pag. 10 View of the outside architecture, that meets the rock and the pre-existing building fabric, with its compact fronts, well-measured in the relation between empty and full spaces. The house develops on three levels. The first one is blind on the road frontage and marked by some openings on the left, side front, where there is also the sloping path to the pedestrian entrance clad in stone. - Caption pag. 12 The staircase creates a play of volume to emphasize the inside height, capturing daylight from a glazed cut in the roofing. Basic materials were used for the building: white concrete and plaster to define a neutral and Spartan envelope. - Caption pag. 13 Above, a part of an entirely custom-made bathroom. The large living area crosses the whole architecture on the third and top levels, from the wide glass window, recessing from the front, to the large, inside terrace toward the rocky slope. The white, modular and custom-made kitchen, open to the dining-living area, is in the middle of the house and is connected with the terrace through a floor-to-ceiling glass window beside two symmetric openings at the ends.
A country hideaway
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project Juan Herreros Arquitectos photos José Hevia text Alessandro Rocca In Mallorca, the small volume of an ordinary shepherd’s shelter turns into a veranda-house opening onto the countryside, with light windowed walls between two solid walls in local stone. Campagne di Artà, a small town in Mallorca’s inland, not far from Capdepera and Cala Rojada, 130 m2 for the Mediterranean buen retiro of Pepe Cobo, the Madrid-based owner of an art gallery. Starting from the “riforma” (Spanish for renovation) of a small rural house, a shepherd’s shelter, Juan Herreros’ design complies with the original features and materials, symmetrically doubling the existing volume and introduces, moderately and skilfully, a number of components to lend the rural building a typically contemporary appearance. In order to gain space and air, and to extend the windowed surface by improving the insolation and airing condition, the inclination of the sloping roof is magnified and, besides the functional aspect, that produces a thorough perceptive change, too: the sides of the building, carried out in the rough texture of the local sandy stone, the marés, take a geometrically more defined contour, that becomes a strong, iconic and memorable image. The second intuition is the choice of stressing the material contrast between the side fronts, blind and massive, and the lager sides, entirely faced with an uninterrupted panelling, which is the actual wall. So the building becomes lighter, standing out against the heavy side walls and the basement supporting the difference of level. The house develops on two levels, a ground floor, lit up by a double row of windows and the basement accommodating the three-car garage, guestrooms and bathroom, and upstairs six rooms all of a similar size according to the Mediterranean style. To the north, the kitchen, the bedroom and bathroom looking onto a landscape of woods and hills; to the south, the dining room, the living room and the study, all three connected with the terrace and the timbered garden. The rooms, floor in amber-coloured concrete and snow-white plaster, are flooded by light: changing, direct or indirect, free or screened according to the time of the day, the season and Pepe’s mood, and each room is organized round a chief object placed in the middle: the table, the sofa, the writing-desk, the bathtub, the bed, the cooking surface. The wooden fronts, painted pale green, change into a sort of stage defined by the opening or closing of windows and doors, the switching on or off of lamps in the many rooms. In front of the green wall, the terrace is also a stage, formed by minimal slabs defined by two likewise minimal benches, raised on the plinth in natural stone. Just beyond the terraces, on one side there is a comfortable roof garden, which is the logical and Mediterranean extension of the home space, and on the other side there is a small rock-face overhanging Mallorca’s countryside, with its dark and almost impenetrable maquis, the red earth glades, the outcropping rocks and the rough contours of the calcareous mountain. - Caption pag. 15 Views of the outside architecture, with the perceptive contrast between the heavy sides of the building in marés, the rough texture of the local sandy stone, and the larger side faced with an uninterrupted panelling, which is the actual wall framing the double rows of windows. - Caption pag. 16 The house keeps the same arrangement with two identical, parallel volumes divided by the central wall. The living room with the dining area look onto the valley. The Table matches the easy chair Eros with swivel base and transparent frame by Kartell, designed by Philippe Starck as the chair pip-e by Driade, chandelier from the Light Shade line by Moooi. The bedroom is in the middle, between the bathroom and kitchen, in its turn directly linked to the dining area. The living room with the fireplace goes through the study. Sofa Strips by Cini Boeri and Laura Griziotti for Arflex (1979). All rooms are flooded with light coming from the wide windows in the wooden wall.
A taste of sea
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architectural design Massimo Bertellotti interior design C + L Studio / Camilla Lapucci and Lapo Bianchi Luci with Andrea Tanganelli, Morena Bertolani, Francesco Terrosi photos Pietro Savorelli text Antonella Boisi At Forte dei Marmi, in Versilia, the buen retiro of Beatrice and Marco Palmieri, owners of Piquadro: a villa designed as a neutral and timeless box, clearly meant for the summertime, that communicates through the expressive surfaces of materials, listening to the local sensitivity and peculiarities. Brought up to suit the requirements and tastes of a selected client base, Camilla Lapucci and Lapo Bianchi Luci, architects and interior designers, since 2002 partners of the Florence-based C + L Studio, didn’t make exceptions for the holyday house of Marco Palmieri at Forte dei Marmi. Their rendering of an “Italian style”, measured and with carefully designed details, with perfect harmony between the geometric strictness of architecture and contaminations in the furnishing choices, has produced a “villa of the sixties”, the architectural restyling of which was carried out by Massimo Bertellotti in the front, the design of the openings and the roofing, that keeps the pitch geometry imposed by preservation restrictions, but it was thoroughly reorganized in the interiors, 200 m2 on three levels. On the ground floor, an open space on two levels accommodates, in a flowing and dynamic continuum, the entrance, the living room with the TV area, the dining room and the kitchen separated by a sliding sandwich-wing in glass and linen; on the upper
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floor, the private bedrooms with bathroom while in the basement there are ancillary rooms and a small SPA opening onto an outdoor mini whirlpool tub. The inspiring concept came right from listening to the place: Forte dei Marmi with its icon postcards pictures (the sea, the bathing huts, the classic decorated Roman villas), showed the path to stage a plain yet effective atmosphere of beauty, luxury and comfort. The gardener-architects explain: “On the matrix of a strict and linear approach, aiming at simplifying shapes and colours, the enticements of the contemporary way of living relied on the dominance of one material, a stone in the Egyptian Ivory colour (brushed and smoothed in bathrooms and SPA, split in the kitchen top) combined with the solid, shot oak, chosen as an uniform counterpoint (in long planks painted white for the flooring and natural in furniture); a glossary of textures to define a neutral and timeless envelope”. Everything is played on these notes: white for walls and floors, beige for the pigeon-hole stone producing a sea sand effect, a touch of blue shade ranging from the Blue Klein of the accessories to the pale blue of the swimmingpool water. So, the natural materials and not the colours are the decorating components. through a play of lights, the artificial one always obsessively hidden in cuts and moulding in the ceiling (with dimmers and pull-out spotlights), so as the air conditioning units, the drains of shower and washbasins, the water blade in the tub. In this basic setting, where the skimming light extols the volumetry of rooms, where even the handles of furniture were eliminated for special millings, the doors are flush with the wall, the walls were provided with shutters so as not to touch ceilings and floors, it’s the staircase connecting the various levels the most remarkable sign as far as the whole and details are concerned. Self-supporting structure in painted iron and steps in oak, defined by a structural rail in extra-clear glass and side-walls finished with a plaster of lime and fine grind marble dusts, luminous built-in handrail; this architectural component stresses the lightness and features of the composition project thanks also to the zenith daylight spreading from above. The way the materials can build the image of the house and its sea and relaxing atmosphere are further highlighted by the beige fabrics used for furnishings: the curtains in hemp calling to mind the fisher’s nets; the coarse grind cotton of sofas and the relief stripes of the walls in the SPA referring to the huts of bathing establishments. In the end, it’s the choice of furniture and paintings, the fixed equipment, that softens the austerity of the figurative. architectural matrix. “By arranging contaminations, adding more personal details to spaces, speaking of the people living there, their culture and their life style”. And along with the classics of Scandinavian design and international modernity, the narration displayed doesn’t leave out the choice of shared works of art, especially the photographs by Nicolò Baravalle, a young twelve-year-old talent who touched the customer’s sensitivity. - Caption pag. 19 Night views of the outside architecture, the garden and the outdoor mini hydromassage tub. Floor in brushed stone Egyptian Ivory by F.lli Pedretti, supplied by Antolini, built-in light lines with dimmer and led lights behind the sunscreen, lighting technique project by Lumen. The sunscreens (as well as the inside stairs) were carried out by Essemme. Below: site plan of the ground floor. - Caption pag. 20 The kitchen features the model Atelier by Minotti. Table by Riva 1920 and chairs Livia by Gio Ponti manufactured by L’Abbate. Floor lamp Arco by Flos. In the ceiling moulding, pull-out spotlights by Viabizzuno, Walls are finished in pozzolanic lime. The white enamelled stairs in iron and brushed oak, with rail in extra-clear glass and luminous handrail. In the background, the entrance area, with the bespoke console in natural tin and lamp Spun Light by Flos. In the bedroom, a bespoke wardrobe in oak and white enamelled wood covers the whole wall. Lampshade AJ by louis Poulsen, curtains by Castello del Barro and Larsen. - Caption pag. 21 Opposite page. In the living room, boiserie in natural, brushed oak, custom-made. Sofa Up by Saba ITALIA. Floor in extralarge brushed oak planks painted white by Parquet Legno.
A dream come true
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project Bassam el-Okeily photos Tim Van de Velde text Antonella Galli A home for two in a small Belgian town, Bilzen. A home design based on split levels and transparencies. It’s the first house designed by Bassam el-Okeily, a young architect of Egyptian origin, pupil of Portzamparc. Something of a poet and something of a philosopher, Bassam el-Okeily, born in Alexandria of Egypt in 1974 with a practice in Brussels. Speaking of himself: ‘I draw words, then a few, thin and uncertain lines, which I entrust all my dreams to”. Dreams come true: that’s the title of the designs he has carried out, first a small house at Bilzen (a Belgian town at the border with Holland) completed in 2009, for a mature couple formed by an artist and art scholar. Bassam studied architecture in France, after one year at the atelier of Christian de Portzamparc, then he starter a personal path assembling faraway memories and strict academic foundations. The design of the Bilzen house concerns a very common housing module: a single-family house with a narrow front (530 cm) on the street, developed in depth and closed by the back yard-garden. A free and innovative rendering, yet true to the owners’ identity; a short programmatic poem goes with the project: “What is a house? A space to live in /to plan our happiness inside those four walls /and to display our vanity outside … A narrow house on a narrow street /the story of a man and a woman, and their passions”. On the road frontage, the entrance door and garage, while in the two upper floors the wall was replaced with a total glass window, a transparent square hiding the actual front, no longer orthogonal but with split, asymmetric levels with two small balconies, on the first and second floor respectively (the first one is a library and the second an artist’s studio) also with an irregular cut. A split causing an amazing effect when a blue light floods the glass window in the dark and yellow cuts define the shapes of the balconies. A ‘staging’ of the front, that however doesn’t mean privacy of the house, instead it stresses the hideaway feeling. Cuts, jutting volumes, corners and irregular planes call to mind the wrapping, ruleless architectures of the north African bazaars and medinas; yet the designer could adapt and blend them with the Nordic minimalism, reconstructing them in the bare and squared interiors, without any concession to decoration, where the few piece of furniture are masterly pieces (Panton, Breuer, Jongerius) and the white walls breath life into the owner’s works of art. Again, a projection outside for the living area with a glazed wall on the garden, where white geometries frame a specimen of maple tree. Bassam el-Okeily’s design is noteworthy for for imagination, grading of components, unexpected solutions, sometimes poetic,written with signs of light, transparencies, pure volumes. - Caption pag. 22 Night views of the house front opening on a Bilzen street. On the ground floor, the entrance door and garage. The irregularly cut balcony on the first
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floor of the building, where the library is placed. On the two upper floors, behind the total glass walls, the real front stands out, with asymmetric and split levels and two small balconies. - Caption pag. 25 The minimalist living areas with custom-made furnishings by Bassam El Okeily (kitchen and table) and designer pieces: the sofa Polder and poufs Bovist by Hella Jongerius for Vitra, thele Panton Chairs also by Vitra; the armchairs Wassily by Marcel Breuer for Knoll International. Below: a cut in the ceiling let the Zenith light in. Parallel page. View from the back yard-garden. The living are connects with the outside through the floor-to-ceiling glazed wall. The upper floor, standing back from the building body, leave room to a terrace.
Atomic Novembre
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project Fabio Novembre project team Lorenzo De Nicola, Giuseppe Modeo, Patrizio Mozzicafreddo photos Pasquale Formisano text Alessandro Rocca In the middle of the Milanese showroom of ALV, the new brand by Alviero Martini, Fabio Novembre places a round, light and transparent diaphragm, an enigmatic rotunda that might look like a small temple to beauty, a revolving atom of creative energy or a small surrealistic planet. One of latest works by Alviero Martini, who frequents Ipanema as often as the Milan fashion district, is the bag San.ba, an emblematic name summing up the passion for Brazil and the address of the new showroom on the corner of Corso Venezia and San Babila square. With the new brand ALV (Andare Lontano Viaggiando – travelling far away) the Piedmont-born designer launches the line Ready to Wear and woman accessories with a collection marked by noble materials, like cashmere and alpaca, and a production entrusted to Italian craftsmen ensuring the exclusive quality of the product. The problem of building a suitable stage cropped up as a matter of urgency, in the first half of last year, and was solved in a record time, twenty days for the planning and forty-two for the carrying out, just in time to present the spring-summer collection 2010. All that thanks to the volcanic Fabio Novembre, architect and designer who combines vitality and anxiousness, instinct and culture. And also in ALV showroom, he doesn’t forget his adventures with a surrealistic figuration and colour, but he builds a space that, on the basis of the customer’s requirements, keeps a sober tone and, when necessary, rightly neutral tone. The challenge among the exhibits, that must be the absolute players of the display, and the inevitably marked figuration of the outfitting, given Novembre’s tone, finishes in a tie, in a fruitful bilance enhancing both projects into play. The layout of the showroom is a plain one, a quite informal reception desk at the entrance, draped in a luminescent mosaic, that steers us toward a panelled gallery bearing the ALV logo and lacquered in mauve. Walking past the task offices, with a sinuous impulse of compression and relaxation, we reach the expository area rendered by Novembre as an esoteric sancta sanctorum. In the middle, a large spherical structure, an atom revolves, at least figuratively, a nucleus of raw material, a Renaissance sextant or the bare frame of a globe, the gentle embroidery of a light and transparent world crossed by meridians where ALV bags run over, and parallels sliding from the floor to the ceiling. At the top of the sphere, a pvc cloth filters and spread the opal emission of the fluorescent lights on a round table purposely designed. The whole structure, the table and display units are in Hi-Macs®, an acrylic stone produced by LG Hausys that is most pliable and lasting thanks to thermoforming and features and extraordinary soft and smooth surface, despite its being hard and tough. “Everything in the physical world is made of atoms, atoms are made of energy and energy generates pleasure. That’s the feeling I had with Hi-Macs, a wrapping and bright matter, practical, strong and… discreet” Martini remarks. Space expands round the sphere, still in total white, into some wave-like shelves and a few, more valuable display units against the bearing columns of the building. On one side, the wall in reflecting acrylic bronze panels, with shelves in the same material, stands out and lend the prevailing white a slightly warmer resonance. The rooms follow each other harmoniously, yet with that underlying disorientation peculiar to Novembre’s works. The showroom is perfectly functional, products are extolled, elegance and welcome are unconditional, but a little, mischievous devil is always hovering; With a sidelong glance you see some almost human shapes, cheerfully spiteful colours and a vague flickering, so you are compelled to be immersed in the strange, unreal atmosphere created by Novembre. - Caption pag. 27 The round showcase is in Hi-macs®, an acrylic material by LG hausys, very similar to Corian, and is used for bags only. Left-hand, the bronze-coloured mirror wall with clothes. The floor is one Pastellone casting, by Collezione Ricordi. - Caption pag. 29 The meeting room, with the lamp Hope and furniture units designed by Novembre, original table and chairs Him & Her in an aubergine colour, manufacture Casamania. The passageway giving access to the task offices with mauve-lacquered panels, lighting portholes by Flos and the chandelier Hope, designed by Francisco Gomez Paz and Paolo Rizzatto for Luceplan. The inside of the geode, with the table in Hi-macs® by LG hausys especially designed by Fabio Novembre. In the contact ceiling, built-in spotlights Krypton by Targetti Sankey, luminous fabric by Barrisol. Inside the expository structure, lighting spots by Flos. The glass structures are by Miodino.
The recordsupremacy of interiors
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project Jo Coenen & Co Architekten photos Andrés Otero text Francesco Vertunni Reading spaces 1./In Amsterdam, a public library designed as a meeting and recreational place, besides as a space used to study, where the emphasis on the complex interior design make the outside image of the building subordinate and obtained through a dynamic, compositional collage. The framework of volumes and fronts treated with different materials, where large glass windows alternate with stone monoliths folded to draw a hanging covering, make this architecture a conscious refusal of the contemporary monumental and celebratory rhetoric of the public building, and meets the city with a mirror of the composition grammar hidden inside. Here the interiors, the world offered to each visitor, are the players of the project by far, meant as a contemporary public place where the appeal of the architectural solutions for the study, pastime, rest, entertainment, is the keystone of the ‘performance” of the building. So we recognize in the layout a certain affinity with the latest, best department stores, as in
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the successful triple-height solutions and the central system of escalators with a vertical cut that crosses eight levels in one stroke, producing a giddy, unifying void. If here every level deals with a literary theme (instead of commodities) and the restaurants on the top floor, as in department stores, are close to a capacious theatre instead of a multiplex, then we can appreciate the successful typological “translation” to a new function for literary culture in its manifold expressions and not for consumption. From the architectural viewpoint, the idea is of building inside the already variegated envelope a “different” and partly spectacular meeting place, where it’s nice to go back to. A sort of multi-storeyed covered square where books are also things you are fond of and you can consult freely in communal rooms with study tables, in small. Wooden booths cut out and confined as liveable-in frames on the large glass windows, or to browse through together with a rich and updated selection of magazines in more informal areas, according to a concept of lounge rather than of a reading room. The book may come with a wide, dvd supply on the ground floors; here the curved shelves create a sort of archipelago of round islands to form a maze-like route amidst some comfortable computer-provided workstations to be used freely. On the whole, the library is a system of spaces visually connected through vertical cuts of varied heights, or balconies overlooking each other, automated vertical connections, staircases and wells of light, generously captured also by the glass windows in the front. The many materials used for fronts may be found also in the interiors with parts of wall in stone, metal fronts and wooden screens mixed with clear plasters, everything unified by the warm parquet flooring on all levels and broken by multicoloured glazed boards near the escalators with a luminescent surface. A modern culture mall celebrating the triumph of books and printed paper without refusing multimedia aids and the numberless possibilities of the net. - Caption pag. 30 Below: the outside architectural collage marked by fronts made of many materials. Parallel page. View of the ground floor. The curved book shelves form an arcipelago of round islands with a maze-like route. The vertical cut crossing eight levels produces a giddy void that unifies the composition. - Caption pag. 33 The system of the central escalators and luminous booths marked by a graphics that, as in departments stores, identifies each level, here dealing with a literary theme. The comfortable computer-provided workplaces with the chairs Pastille designed by Eero Aarnio in 1967-68 and now reissued by Adelta. The visual connection among levels, through balconies overlooking each other.
The hidden portal
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project Ragazzi and Partners, Architects Giancarlo and Francesco Ragazzi photos Mario Carrieri e Guido Clerici text Matteo Vercelloni Reading spaces 2./In Milan, inside the sixteenth-century Palazzo Busca Arconati Visconti, the venue for Collegio San Carlo for many years, the new Multimedia School Library, a flexible space that brought back to light traces and qualities of the original rooms through contemporaneousness-conscious interiors. The story of a building, especially if dating from more than five centuries ago, it’s necessarily made of elisions and superimpositions, additions and morphological changes occurred over time. The restoration of an architecture coming from a distant past is measured this way, with histories and different stories, mixing the references and making a complex choice of selective criteria underlying the project. What and how to preserve, what changes are to be cancelled to bring back to light events of different ages, becomes a sort of “obstacle course”, as to methods and composition, to tackle in a brief research and process to find new planning solutions. The new Library of Collegio San Carlo falls within the general restoration of Palazzo Busca, and takes up a part of the architectural complex situated on the first level and overlooking the church of S. Maria delle Grazie. Several halls, decorated and frescoed from 1700 to 1800 have been carefully recovered under the constant supervision of architect Libero Corrieri, Superintendency of Architectural Heritage of Milan and under the leadership of engineer Renato Peduzzi, in order to give the city back an important artistic monument, that has seen the turnover of architects and painters, including Andrea Appiani, Napoleon’s official painter in Milan. So, the new Library is part of a larger-scale project, yet despite the specificity of the space concerned, it shows a number of events and solutions that help to define one of the manifold working paths on the existing heritage and, in particular, the historical and monumental architectures. Basically, the Library is formed by two, connected rooms: the entrance and events area, obtained from the darkened sixteenth-century gallery previously reduced to a sort of corridor, and the large reading room where the rare and old books are kept according to different decoration and preservation procedures. The entrance enable to restore the original gallery, first of all by reopening the arches and bringing to light the thin, little Doric columns in serizzo stone, that could no longer support the inclusion of the second floor from the static viewpoint. In order to ensure the holding of the added load, the new design of the arch doors features and hides a vertical steel support in a central position, that doesn’t intrude on the recovery of the whole complex and helps to enhance the use of daylight, backed by the led system places on the chains to light up the cross vaults. Added to the freed arches of the gallery, the focal and impact presence of a large arch with eighteenth-century decorations, hidden by partition walls and brought back to light through prepreventive stratigraphic analises made on all walls. The wide arch emerges in the reading room and frames the scenographic floor-to-ceiling bookcase in aluminium that, like all Unifor furniture units, gently stands out against the historical context, forming an intentional counterpoint. In the background, under the now exposed, lacunar ceiling, a custom-made mezzanine in glass and steel leads to the area where the most valuable books are kept in glass cabinets. The only “period” sign in the measured mix of historical traces and contemporary style, is the flooring in cotto tiles??to replace the confused patchwork of cement and grit tiles. A typically lumbard material with an apparent “old flavour” , yet the proof of a baking technique and use passed down over the centuries and joining history and modernity. - Caption pag. 34 Above: the new library on the first level of Palazzo Busca. The recovered sixteenth-century gallery (by reopening the arches and bringing back to light the thin Doric columns in serizzo stone) is used as entrance area and for events. Parallel page: the reading room focused on the wide arch with eighteenth-century decorations that frames the floor-to-ceiling bookcase by Unifor. - Caption pag. 37 The large reading room with lacunar ceiling, flooring in cotto medoni and mezzanine in glass and steel that leads to the area where the most valuable books are kept. All furniture units are by Univor, lighting project and fittings by Disano Illuminazione.
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A space in time
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project Michele De Lucchi, with Angelo Micheli and Philippe Nigro photos Mario Carrieri text Matteo Vercelloni Reading spaces 3./In Bologna, the archive of the Carisbo foundation, carried out in the deconsacrated church of S. Giorgio in Poggiale, stresses how effectual it is to reuse and reinvent the existing architectural heritage. A new project for a studying and reading purpose. The church plan follows is the traditional one, with a nave and five chapels on each side along the aisles. A design that has remain unaltered over time, for its site plan clearness and space unity, as well as the pilaster strips and the cornices arranged under the large barrel vault of the roofing, lowered on a level with the apse level and laterally lit up by large arch windows divided into three parts. Next to the conservative restoration of the building (carried out from 1589 to 1633 and designed by architect Tommaso Martelli), deconsacrated in the second postwar period owing to the bombing, acquired by Fondazione Carisbo in 1992 and so fa used for shows and cultural events, the functional transformation and adaptation interior design emphasize highlight an interesting planning path to establishing a comparison between new and old from the point of view of materials and expression. Architecture meant as a finished space – a carefully restored environment that brought to light also the frescoes and the whole decorative system – the interior design aimed at a unitary system and immediate visibility. On the one hand, it followed, by stressing it, the features of the original space, emphasizing the long central perspective separated by the two aisles of the chapels, on the other hand, the choice of oak wood for the flooring and furnishings intentionally stands out against the materials of the whole structure to reveal its contemporaneousness. But at the same time it’s a further unifying component, that can connect the apse flooring to the same height of the nave. The latter, raised compared to the entrance, is a sort of large foot-board ended by three steps developed for the whole width and an orthogonal part, offered to the public at the entrance. To point out the how separate is the nave with regard to the aisles, along the borders of the footboard in oak there are two lengthwise components formed by shelves-lecterns in the same material and custom-made. The tables to read and study follow the same trend and emphasize the geometry of the all space, while in the chapels, a step higher than the entrance, there are the single workplaces. The entrance to the library follows and renders in a new way the old entrance to the chair with a wooden revolving door and side doors, but here the system that separates the access from the street to the inside becomes an opportunity for creating a new reference composition. A small, round tower formed by deal ‘bricks” placed in the middle to act as a filtre with the outside, on the axis of the central perspective, that next to the apse finds in Claudio Parmeggiani’s sculpture its complementary element. A block of burned texts with hidden titles and authors, is crowned by an old bell (Campo dei fiori, 2006); a work in tune with the architectural project to be a metaphorical synthesis between the old and new functions. Stressing the relation between past and present, also the cycle of the twelve cathedrals (2004) painted by Piero Pizzi Cannella and arranged in the old chapels and the walls of the apse. - Caption pag. 38 View of the unitary environment supplied with bookcases, lecterns and tables to consult the book heritage; all furniture units are in solid oak, custom-made and carried out by Mascagni. Lighting by iGuzzini Illuminazione, seating by Produzione Privata. - Caption pag. 40 Above: at the entrance, the revolving door formed by two big deal bricks acts as filter with the outside. Parallel page: Campo dei fiori, the sculpture by Claudio Parmiggiani (2006) that closet the central perspective on the rear side of the apse. The main room is for studying and reading purposes and is organized in the nave of the former church, raised from the entrance through a long footboard.
INsight INprofile
Joe Colombo: the invention of the future
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precisely in the year of the launch of the national television system. Thinking about technology at the service of everyone was a natural more than a visionary attitude for Colombo, given the fact that in the 1960s he predicted that within a few years we would all have “telephones in our pockets” and would draw with the help of an “electronic brain”. His nonelectronic brain was ahead of its time, because those developments came a few decades later. In the field of interior design his innovative actions developed a sort of ‘philosophy of environmental equipment’ that includes overtones of kinetic art in the idea of ‘necessary instability’ of the home, requiring spaces designed to be able to adapt to new types of behavior, a flexible space of free movement, substantially indifferent to its architectural container. In 1966, in a cycle of lectures organized in America by the magazine Design Research, Joe Colombo explained his idea of the home: “Physically, we will have a static container, but the content will have to be dynamic. The static container of the dwelling will have to be disconnected, in a certain sense, from its content, so that the content can move. It will be elastic, in order to satisfy this dynamic, and flexible inside, to adapt in time, which changes the action of ‘dwelling’ in different moments that are cyclical (day, night, summer, winter, etc.), occasional (a guest, a party, etc.) and evolving (birth or death of a family member, etc.). [The static container] will be composed of elements that can move and function and, I’d say, live together with man. These elements can no longer be furnishings decorated or designed to reflect a style, refined and precious items for a sense of luxury (or, more precisely, the illusion of luxury), to be passed down from generation to generation (heavy, cumbersome, useless). Instead, we will have tools and objects at the service of man, with a new look and new functioning (a dynamic way of functioning, no longer passive, as in the past)”. In interiors, in their redesign and radical reinvention, the volcanic Milanese designer tended to disrupt the system of conventional furnishings, erasing established models and inventing new types: from the apartments conceived as domestic capsules, where design of furnishings and that of space blended in a successful synergy of intentions (the Zancopé apartment in Milan, 1965, and the Oppi Forcesi house at Barlassina, Milan, 1967), to the new genre of ‘combined’ furniture, true transformation machines, usually on wheels, that triggered new types of behavior, based on a new idea of free, mobile, flexible domestic architectural space. The focus was on the environmental scale, thinking of interiors as continuous, fluid spaces, a total environment in which the idea of the whole prevails over the isolated object summoned to ‘furnish’ rooms in a ranked sequence. The series of these typological inventions, multifunctional devices capable of producing a ‘domestic setting’ in any place, is an impressively fertile zone of ideas: the Comby Center vertical cabinets on wheels, in different configurations, for Bernini (1963-64), the Mini-Kitchen for Boffi (1964-68, returned to production in 1993, and in a Corian version in 2007), the Personal Container for Arflex (1964), the Elda swivel chair in reinforced plastic for Comfort (1963), a piece of furniture conceived to create a space inside space, that wraps the user and acoustically isolates him thanks to the big shell-like back. Then there are the macro-furnishings, like Rotoliving (1969), the Cabriolet bed (1969), the accessorized islands of the experimental Visiona 1 installation at the Cologne Furniture Fair (1969), a forerunner of what would be the conceptual synthesis of all the research conducted in the 1960s, in close collaboration with Ignazia Favata: the Total Furnishing Unit in 1971. A project that went beyond design, included in the major exhibition at MoMA NY in 1972, “Italy: the New Domestic Landscape”, which Joe Colombo did not have a chance to see. - Caption pag. 42 To the side, the apartment of Joe Colombo on Via Argelati in Milan (1970), furnished with the transformable element Rotoliving; in the foreground, upholstered furniture from the Multi Chair system (for Sormani, until 1974, then produced by B-Line since 2004). Below, portrait of Joe Colombo inside the Alfa Giulietta SS, in the mid-1960s. Below, the ROBO cylindrical container (1969) produced by ICF Industrie Carnovali in 2009. - Caption pag. 44 Left, the Visiona I experimental interior at the Cologne Furniture Fair (1969), overall view with ‘environmental islands’. Below, design sketches for the Elda chair produced by Comfort (1963). Lower left, Superleggera chair for Comfort (1964), later produced by Bieffeplast (as Supercomfort since 1981), and then by B-Line (since 2004). - Caption pag. 45 Below: Smoke glass for Arnolfo di Cambio (1964); Mini-Kitchen for Boffi (1964, 1993), reissued in 2007 in a Corian version. Right, Total Furnishing Unit (1971), design of a futuristic habitat, shown at MoMA New York in the exhibition “Italy: the New Domestic Landscape”, 1972. Below, Boby cabinet on wheels (1970) produced by Bieffeplast (until 1999) and then by B-Line (since 2000).
text Matteo Vercelloni Artist, architect and designer Joe Colombo has left an indelible footprint on Italian design. Inventor of objects that didn’t previously exist, founder of the idea of environmental equipment, capable of generating domestic values in any type of space, this design outsider created a possible contemporary future fifty years ago. Joe Colombo (1930-1971) was trained at the Brera Fine Arts Academy and the Dept. of Architecture of the Milan Polytechnic (though he did not graduate). Perhaps it was his passion for jazz (and for the speed of skiing, like Mollina) that convinced him to swap his given name, Cesare, for the name Joe, embracing the myth of the American dream as a program-desire for a future full of movement, where organic forms and a taste for curves might replace the ideological dictates of the straight lines of orthodox rationalism. His artistic background and participation in the Movimento Nucleare, founded in 1951 by Sergio Dangelo and Enrico Baj, set him apart from his fellow designers whose architectural training made them connect the idea of furnishings with that of architecture, in a complementary process of constant connections. This detachment, however, gave him freedom, projected toward a ‘future to be designed’ that is well documented in his short, intense life (Joe Colombo died of a heart attack when he was only 41). Colombo abandoned painting in 1958 to focus on the world of architecture and design, but beyond creating finished, isolated objects, always with an eye on new techniques and materials (he designed the first chair entirely moulded with a single plastic, the Universale for Kartell, 1965-67), he concentrated his research on the relationship between man and his existential world. So alongside the design of objects, furnishings and accessories that were lacking on the market in his day, from transformable systems like the Multi Chair for Sormani (1970) to the Living Center for Rosenthal (1970), to furnishings for ‘infinite’ compositions like the Square Plastic System for Elco-Bellato (1969), the Additional System for Sormani (1967-68), the Tube Chair for Flexform (1969), the Kilometro shelf for Bernini (1967), to ‘missing links’ like the Smoke glass for Arnolfo di Cambio (1964), the Two in One glasses for Riedel (1967), the Boby container for Bieffeplast (1970) and then for B Line – a must in any architecture studio – Colombo designed certain buildings that rejected the reigning stylemes and languages to experiment with de-constructivist figures, as in the restructuring of the Hotel Stelvio in 1961. He invented installations with the use of new multimedia dimensions, like the Television Shrines (1954) created for the 10th Triennale and brought into the public space of the city
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Design Maudit
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text by Germano Celant Great international photographers and artists have often delved into the horrid and the obscene side of contemporary society and everyday life. So why does design never seem to touch on the maudit, tragic, dark side of existence? In recent months I have been doing research on ‘disturbing’ photography – produced by artists like Robert Mapplethorpe, Weegee, Letizia Battaglia, Joel-Peter Witkin, Sally Mann, Matthew Brady, Jaime Marrieta and many others – images that have to do with war massacres, in Nicaragua or Iran, mafia slayings, extreme or group sex, death from pollution or Aids, the torture of animals, child prostitution. These subjects, taken from the everyday or real world, have give rise to visible ‘entities’ that lead our gaze into a hidden, repressed dimension: the version of a language that does not attempt only to express the positive, but also the negative and the tragic. Something that consists in going ‘against the current’ in the use of procedures, for which the production of a ‘thing’ to look at or grasp does not work on the generic, the uniform, but on a dramatic display and documentation, so much so that these images have often been publicly condemned and censored. The presence of a ‘maudit’ photography, because it is interested in representing the dualism of good and evil, in contrast to and in dissent against the general culture, has made me rethink other languages that produce images or objects, writings or cartoons, films or music or architecture that are identified with ‘evil’. While it is easy, in the course of history, to find musical and cinematic, literary and comic-strip expressions that put the accent on the ‘diabolical’ aspects of life, in contrast with luminous, positive things, with the judicious, encouraging side of the language, it is hard to find examples of anti-values, of negativity and damnation, in design and architecture. Why? It is clear that the procedure of their making shares the attitude of a positive response to problems typical of the modernist utopia. Yet one century after the beginning of a desire or a need to resolve, in the direction of wellbeing, the idea of an object or a building, is it possible that no one every thinks about behavioral discomfort, about tragic events? Our culture had gone through a dark period, where the idea of approaching the dark – not just surreal – side
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of existence has led to disintegrated and brutal movement, connected with extreme, radical expressions. This has meant development of the concept of the anti-hero, which ‘feeds’ on failures, on obscene and horrendous situations, from sex to war to pollution to violence. In the territory of design and architecture, this focus on misfortunes and dissociations seems to be excluded due to the grip of reality, as if these languages were not interested in eroding the confines of the operative possibilities. Their progress never seems to take place in the territory of the ‘latent’ and the ‘hidden’, the tragic and the dramatic, because they do not seem to want to confront the chaotic universe of what exists or, even worse, they approach it with the ‘modernist’ presumption of putting things into order, standardizing, idealizing. It almost seems as if design, based on the illusion of a positive, resolving parody of reality, has no intention of emerging, of attaining some maturity that would include the perverse side of culture. It only wants to integrate, without generating a perverse, if not inverse, trajectory with respect to the general orientation of consumption or production. And yet, were it to take the path of perversion or damnation, away from the narcissistic reflection of industry, it might be able to reach a ‘rebellious’ level where at least a dual truth could exist, that of evil alongside good, and the designer or architect (though the latter would be more limited) would have the chance to reach the impulsive rediscovery of himself and others, opening his discourse, that is, to the phantoms of public and private death, of social and sexual regression and transgression. Instead, design settles for the present state of affairs, tolerates the loss caused by massacres and murders, by destruction and war, basking in its ‘magical’ thought and progress that are supposed to fence out misfortunes and dramatic events. A world of untruthful things, that prefer fiction to reality. In the territory of design we almost never see any ‘sacrilege’, in the sense of defying taboos. Through a decidedly angelic surgical process, the object undergoes a metamorphosis that digests any diabolical or fecal entity, freeing itself of the waste of sex and death, flesh and blood, to give rise to an indifferent, anonymous ‘thing’. In the name of functional quality and service, of the structure and the organization, any perverse mixture will be castrated and lost, made innocuous or irrelevant. In this way, any hypothesis of ‘reversal of values’, that would tend to take thought and behavior back toward chaos, will be destroyed and erased: disguised and regenerated to avoid mixtures, compromises, traumas. The voyage of the intellectual in search of a strong meaning for his existence, then, does not concern the designer, who is an absolute positivist, whose shell seems to be impervious to any negative, dramatic aggression. He is a being who cannot think of ‘failure’, because everything can be explained and resolved, according to a logic of production: a thinker who does not want to escape from the sterile determinism of production, who praises creative design as long as it is neither anarchic nor controversial. A repetitive, fairytale progress restrained by its presumptuousness and reiteration, never thinking about breaking the boundaries of design, shifting it toward what cannot be reconciled. The consequence is a ‘right’ answer, never irritated or irritating, given design’s capacity to ‘reconcile’. Yet reality is moving further and further away from rationality and from a ‘solution’, or at least to sum it up it is necessary to record the global ‘differences’ that mean metamorphosis of forms and infinite dualisms, seen from the perspective of different angles and beliefs. An opening to the ‘maudit’ might be a condition for approaching non-integrated subjects, offering fields of freedom and expression that could be infinitely extended, in combinations and mixtures that in their approach to the negative and to failure, to the perverse and the tragic, might be suited to a widening of design perspective, that would finally correspond to the present. - Caption pag. 47On this page: Anonymous, voodoo object, iron and wire (18 x 6.7 cm). On the facing page: Man Ray, Cadeau (Gift), 1963, replica of the original (lost) from 1921, iron and brass pins (15.3 x 9 x 11.4 cm). - Caption pag. 49 On this page: Robert Müller, The Racer’s Widow, wrought iron, 1957. On the facing page, from top: Victor Brauner. Loup-table, 1939-1947, wood and fox parts (54 x 57 x 28,5 cm). Marcel Mariën, L’Introuvable, 1937, lens with plexiglas frame (11 x 27 x 18 cm).
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by Andrea Branzi After having answered the question ‘What is Italian Design?’ with the Seven Obsessions of Design and ‘Serie Fuori Serie’, starting on 27 March the Triennale Design Museum proposes a third, ulterior viewpoint, presenting – for one whole year – a new interpretation, this time curated by Alessandro Mendini: ‘What Things Are We?’. This is the title of the third exhibition at the Design Museum of the Milan Triennale, curated by Alessandro Mendini and Silvana Annichiarico, and opened on 26 March. But perhaps the title (more correct, less autobiographical), should be “Una società oggettuale”. The functional plan of the Triennale Design Museum calls for a new expert curator every year, to offer a wide range of viewpoints on the theme of What is Italian Design?. This question is anything but simple, and deserves many different reflections and hypotheses of interpretation. Italian design, in fact, is not seen by the Museum as a mere opportunity to display the masterpieces or bestsellers of Made in Italy, but as (iconographic and anthropological) material for reflection on one of the most significant, and least investigated, aspects of the history of our country. A country that has produced many monuments and masterpieces, but that in the area of production of domestic objects, the most everyday, the most humble, expresses a sort of invasion of creativity, an innovative energy that cannot be controlled or predicted. We might say that what is called design in Italy exists inside a much more vast territory than its disciplinary definition; the reflection of a social creativity that gives objects, domestic tools or furnishing components a great symbolic value; a reality in which the processes of identity of the country, in spite of the incomplete character of its systems on a higher project level (politics, cities, architecture), manage to fully express all their innovative energy. In this sense, Italian design is, perhaps, the most real image of a society of objects, like ours, which from remote antiquity has attributed a soul to the universe of small things, as symbolic, literary and functional presences, which as a whole create a private, autonomous landscape with respect to big historical scenarios, almost an alternative, self-sufficient world made of micro-projects and subsystems, in which rituals are enacted, inalienable, profoundly private experiences. It seems to me that Italian design, even today, gets its vitality from this deep level of the civilization of our country, and unlike what has happened in the rest of Europe after the industrial revolution, it has continued to cultivate this sort of pervasive animism, that has often made the difference with respect to the design culture of other nations. We should add to all this, I believe, the important fact that in Italy the birth of the industrial bourgeoisie did not coincide – as in England, France or Germany – with the birth of new, solid, shared residential models, on
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INdesign INcenter
Fashion inspirations
INscape
A society of objects
both high and low levels, different from those of the aristocratic tradition. In Italy the concept of ‘home’ has never been a precise functional reality, but a nebula of hopes and devices that cannot be squeezed into a unified model; so ours is a “homeless country”, where the age-old peasant tradition seems to still be the icon of reference for a society that has never developed an urban residential model, for any class. This particular historical condition has made domestic objects, the tools and symbols found in our dwellings, remain things without a tradition, without models of reference; a chair, a cushion, a plate conserve a sort of intrinsic mystery, a metaphysical presence, becoming an opportunity for unbridled creativity. Parts of a universe of objects, to be entirely reinvented, starting from scratch; always at that elusive boundary that separates the masterpiece from Kitsch, art from gadget, improvisation from tradition. Italian design, then, is located inside this constantly evolving nebula of brilliant, unruly creativity; the result of both industrial planning and independent improvisation. In the two previous exhibitions at the Design Museum, which I curated with Silvana Annichiarico, we investigated the deepest anthropological roots (The Seven Obsessions of Italian Design, in 2008) and the singular modes of collaboration between design culture and business strategies (Serie fuori serie, in 2009), exhibitions that in different ways supplied an unconventional portrait of an activity that is all to often interpreted as a synonym for Made in Italy and defined in terms of its simple value for market competition. “Quali cose siamo” continues along this line of original research, outside the purely promotional tradition of so many design shows. Surrounded by discreet indifference on the part of the Italian magazines in this sector, the Design Museum of the Triennale is actually developing a new policy, to help the general public in Italy understand that design is an important historical factor, because it is a secret mirror of socio-economic situations, and one that is useful to understand developments that are seldom examined in depth in our country. - Caption pag. 50 On this page: Mimmo Rotella and Marco Ferreri, Screen, low table, Zerodisegno, 2009. Armor of Pompeo della Cesa, Museo Poldi Pezzoli, Milan. Marc Sadler, Safety Jacket, motorcycle gear, Dainese, 1994. On the facing page, among other things: Franco Raggi, Red Curtain, Casabella 401, 1975, and Divided Curtain, 1981; Olivetti Lettera 22 typewriter, used by Indro Montanelli; Achille Castiglioni, Snoopy, Flos, 1967; statues of St. Anthony of Padua, Splendart, Palermo, 2010; Alessandro Guerriero and Alberto Biagetti, “Vita Morte Miracoli”, statue, Studio Biagetti, 2005; Franco Summa, Pastor Angelicus, Franco Summa and Livia Crispolti, 2008. - Caption pag. 53 On this page, among other things: Laura Agnolotto and Marzio Rusconi-Clerici, Amantide and Aracnide, self-produced, 1985; Alfa Romeo 1750 GS Zagato, collection of Roberto Rossi; Maurizio Galante, jersey garment, 1989. On the facing page, among other things: Perino & Vele, Attenzione, sculpture, private collection, 1998; Rodolfo Dordoni, Ming-Etto, Serralunga, 2000; Raffaele Piccoli, Raku vase, self-production, 2005; Valentina Carretta, Floating Flora Big, Fabrica, 2008; Roberto Mora, Incia Group, Dilmos Milano,1995; Jacopo Foggini, prototype, self-production, 2010. - Caption pag. 55 On this page, among other things: Aldo Cibic & Partners, Microrealities. “Do not unto others what you would not have them do unto you”, model, 2004; Sandra Virlinzi, “Di corsa, verso il mare”, painting, private collection, 2000; Andrea Sala, Cicognino, decoration for the table, by Franco Albini, 2009; Liliana Moro, Film, sculpture, 2006; Dolce & Gabbana, dress for the Girlie Show by Madonna, 1993. On the facing page, among other things: Gabriele Centazzo, models for Valcucine, 2010; Anna Mari, “Dialogo all’acqua”, sculpture, 1989; Marco Taddei for Leonardo, Mechanical Lion, reconstruction, Leonardo 3, 2009.
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photos Paolo Veclani ed. Nadia Lionello with Etienne Guglielmo Furnishing fabrics that seem to be made to wear. Two models interpret textile trends for the home offered by modern techniques of production and research. - Caption pag. 56 Satin de coton, solid-color fabric from the Essentiels collection, in pure cotton, height 150 cm, available in 17 colors; Guipure (right) and Entre Deux (left), embroidered borders in cotton and polyester from the Rubans collection, and Caligo, Trevira CS drapes with 2.5 cm pattern, available in four colors, height 290 cm, by Dominique Kieffer. On the facing page: Origami double-face drapes, plissé effect with volant, in flameproof polyester, available in four colors, height 320 cm, and Pin, embrasse braided with cotton and rayon cords, diameter 55 mm, available in one color only, from Dedar. - Caption pag. 58 Baskiat fabric in pure printed linen, in eight colors, with 45x25 cm design, in eleven color variants, height 137 cm; Nilos solid-color pure linen drapes, available in 20 color variations, height 330 cm, from Rubelli. Passementerie from the Babà collection by Dedar. On the facing page: Todaro, solid-color matelassé fabric in cotton and polyamide, pattern 4 cm, eleven colors, height 135 cm, with Marmorin, double-weave drapes, design 60 cm, in two colors, height 140 cm, from Rubelli. Passementerie from the Babà collection by Dedar. - Caption pag. 60 Brisbane striped pure linen fabric, available in three colors, height 135 cm, and Loncoche, viscose net drapes, available in two colors, height 150 cm, from the Missoni Home collection by T&J Vestor. Contemporary Plus, embrasse with colored goosedown, from the Chinoisserie collection, created and produced by Spina. On the facing page: Amelie fabric in solid-tone silk (lavender and antique rose), available in twenty color variants, in the height 330 cm, from Provasi, and Alias, cotton-linen fabric with digital print floral design 68 cm, available in two color variations, height 140 cm, from Parà. Rose Ribbon, embrasse with silk fringes, solid-color rose motif, created and produced by Spina.
Dreams and signs
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by Maddalena Padovani illustrations JVLT Decoration as design material and product structure. But also as the plot of a story that draws on the imaginary world of the designers, and comes to life thanks to the skillful sketching of JoeVelluto. - Caption pag. 62 Above, Veli wall or ceiling lamp by Adriano Rachele for Slamp. Equipped with a magnetic attachment, it is made of Opalflex and comes in six colors. Right, table with top and base in recycled glass mosaic. Designed by Studio Salvati, produced by
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Trend with B&B Biagetti. - Caption pag. 63 Left, Shadow Light floor or hanging lamp by Front for Porro. Thanks to the double shade, composed of a continuous outer part and a perforated semi-dome, the lamp creates a striking play of reflections. Below, Zouhria, large ceramic vase from a limited edition of 99 pieces and nine designer’s trials. By Doriana and Massimiliano Fuksas for Alessi. Below left, Babol container on wheels by Ilkka Suppanen for Emmebi, with lacquered doors and sides, decorated with large silkscreens in a range of colors. - Caption pag. 64 Left, Linosa table by Pierre Charpin for Ligne Roset with legs in brushed steel tubing, top in glass with optical-effect decorative motifs. Below, Bravais seat in cardboard folded in a structural scheme based on natural growth processes. From the Honeycomb furnishings collection, a collaboration between designer Liam Hopkins and artist Richard Sweeney of Lazerian Studio. Lower left, the Wire Shelves modular system by Viable London for Decode , composed of wooden shelves and steel uprights. On the facing page, above, the Paper seat by Mathias Bengtsson, composed of 2000 layers of 0.5 mm paper, pressed together and covered with a thin thermoplastic film. Project developed in collaboration with Iggesund Paperboard. Center, the Miami floor lamp by Dima Loginoff, made with metal wire. Below, the Rapigattoli seat by Eduardo Duarte Architecture, in birch plywood. - Caption pag. 66 Above, wardrobe from the Industry Series by Studio Job for Carpenters Workshop Gallery. Made in rosewood with inlaid decorations that mix silhouettes of animals, insects and birds with weapons, industrial buildings and skeletons. Above, the laser-engraved top of the Joco table produced by Walter Knoll and designed by EOOS, with an airy metal wire structure. Right, the Ricami stool by Elena Manferdini for the California-based company Arktura, in laser-perforated steel, available in white or black. - Caption pag. 67 Right, the Angeli Pedra chair from the Guru Casa collection designed by Roberto Giacomucci and produced by Emporium for Guru, with chassis in satin-finish methacrylate featuring black wood grain. Below, the Cobogò table by the Campana brothers for the Plusdesign gallery, a limited edition with legs in painted steel, top in terracotta, composed of traditional bricks used in Brazilian construction.
All glass
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by Patrizia Catalano Eighties geometric effects, soft and sinuously organic, eccentric, unique, artistic. No matter what the tradition, it’s always a vase and always in colored glass. - Caption pag. 68 Multicolored Vase in scarlet and amethyst with marble base, by the British designer Michael Eden for Venini in collaboration with Established & Sons. On the facing page, from left, Medusa crystal sphere with cobalt blue base and mouth, designed by Ettore Sottsass, limited edition of 99 pieces, from Nilufar. Languedoc, made by René Lalique in 1929, represents finely carved cactus; it has now been reissued by Maison Lalique in the emerald green version. A chalice form that opens at the polished, faceted edge, in grass green, made by hand by Leonardo. Ki fruit stand by Ettore Sottsass for Baccarat, with black crystal base and transparent cup with silkscreened diamond decoration. Signed by Ettore Sottsass, a limited edition of nine pieces, by Design Gallery. Multicolored vase in green, blue and amber, with black glass paste applications. Entirely made by hand, from PostDesign. - Caption pag. 69 Stars of Notturno, designed by the in-house team of Formia Luxury Glass Murano, pair of blown glass vases in opaque black ground crystal with morisa in emerald green phosphorescent glass. - Caption pag. 70 From a series of vases and centerpieces, Seaform 10 in aquamarine Murano glass with white glass paste applications. Designed and produced by Emanuel Babled. - Caption pag. 71 Sinuous, slim design for Emotion Design VG Home, the series of handcrafted glass lamps, in amber with mother-of-pearl applications, by VGnewtrend. Charybdis vase by Danny Lane, the American artist-designer residing in London, for Dilmos. Top effect for the base in the sculptural game by Katy Holdford for Vessel Gallery. On the facing page, from left. Crystal Virus by the young Dutch designer Pieke Bergmans, for Dilmos. Caponord vase with submersion technique spiral filigree, designed by Pierpaolo Seguso for Seguso Viro. Euridice, in leaves applied to transparent glass, by Borek Sipek for Driade Kosmo. Trame, cylinder in transparent crystal with blue and light blue applications, from La Murrina. Scent, vase in coated glass, milk white on the inside, blue on the outside, by Ego Vetri delle Venezie.
INcompany
Head for the factory
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photos Giacomo Giannini text Rosa Tessa At Giussano, in the Molteni & C plant, the place where the flying table by Foster + Partners, the emotional sofa by Arik Levy, the waste-preventing object by Patricia Urquiola and the tailor-made kitchen by Rodolfo Dordoni come to life. A quick flashback. 15 March 2010. About a month before the most important gathering of the international furniture industry, Design Week in Milan. We’re in Giussano, Brianza, in one of the factories of the group Molteni & C., one of the leaders in the field of Italian design and furnishings. This is how some projects by famous international designers are made, to be presented by the company at the upcoming Salone del Mobile. Paris in Brianza. We’re in the prototyping area of the upholstered furniture division: behind a big table, a model maker is at work, a man with over thirty years of experience with the company; in the foreground, scissors, needles, a paper pattern, like a couture atelier. To one side, a large white sofa, and Arik Levy, the artist-designer from Paris, with Simon, his studio assistant, and some of the men from the company: the director of prototyping, the head of the production division. Levy has been on his feet since five in the morning; he flew out from Charles de Gaulle, and reached Giussano at eleven AM. He looks at his sofa, pulls of pieces of material, arranges the back in a different way, lies down on it, moves cushions and armrests. He looks at the people around him. “The feet make the design”, he tells them. Then he makes some notes and sketches. The sofa was conceived in his head, someplace out in the world, but its birth happens right here, in this corner of the company where people ‘sweat’, not white-collar workers, but laborers, craftsmen, artisans, designers. “This is a delicate phase of the project”, he explains, “it already exists, but not completely. It is a fundamental moment to find the right balance. It’s like creating a harmony, making things be perfect from all points of view. Making a product is like creating a functional art object”. He tells us: “In that last
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phase of the project I often come to Brianza, every fifteen days. We experiment, we cut, we make lots of models. I’ve been working with Italian companies for 12 years now. Unlike companies in other parts of the world, they continue to have a strong intuition about design. I leave the sketch of a chair at Molteni and when I come back, the next time, it is 95% done, exactly the way I wanted it”. “For me”, Levy explains, “what is important is for a product to transmit an emotion”. Its evocative capacity will bring it success. The name of the product also helps: “Today the world is not just tactile”, Levy says, “the other senses also play a fundamental role in our relationships with objects. We don’t have much time to go to stores and try out sofas. We see something in a magazine and if the name does not express enough emotion, we hesitate”. His sofa this year is called Tea Time. Levy calls it an ‘emotional platform’, a place where things happen and situations are created, a sort of square. Another project: an extractable table that transmits an idea of sculptural, physical presence, and seems to say, as Levy puts it: “I’m a table. I’m gorgeous. Here I am”. And chairs? “I wanted to go back to a comfortable seat, a place to sit for hours around a table, for eating and conversing”. But Levy, whose artistic side will be narrated, this month, in a solo show at the Santa Monica Museum in Los Angeles, reminds us that “the most interesting challenge in a project is not the object in itself, but the people with whom you make it, the relationship of mutual comprehension you can establish with them”. “This is why I prefer a lasting relationship”, he says, “one of faith and trust, with companies. It’s an emotional thing. The world is made of people and the intertwining of their relationships, not of chairs and tables”. Energy saving from Spain to Milan. On 29 March, arriving directly from South America, still under the effects of jetlag, Patricia Urquiola reaches Giussano to put the last touches on some cabinets with doors in wood and steel, to be presented at the Salone. Sociable and energetic, she talks about the ABC of her design approach. “The universal premise is dialogue between the company and the designer. The company has to grant a minimum of credibility to my imagination and my way of reasoning”. The second, no less fundamental element for Urquiola: to avoid all wasting of energy, starting with the idea, then the prototype, then the production process, all the way to the use of the work force, the material, the marketing and distribution. “I constantly think about saving energy, and I don’t make it the subject of my thoughts only at work, it is also a factor in my private life. It is also an important factor in the upbringing of my kids. It’s a fundamental ‘work in progress’ for my life. I believe that any designer, no matter how passionately involved in work, has to gauge the forces used in the process. It’s a basic rule”. This, according to Urquiola, is the backbone of any design conversation. “You have to accept the complexity of things and the world, and take into account the fact that the project cannot have total quality, but must excel only in terms of certain aspects”. Another important element: to create ties of affection between the product and its purchaser. In this way the object can age gracefully, and be passed on from father to son. Light cement for flying tables. From the marvelous London studio of Foster + Partners, facing the Thames, one year ago the Arc table was born. Halfway through March, this year, it was finally ready. The initial idea of Molteni and the world’s most famous architecture studio was to invent a table that didn’t exist. Having set aside the banal solution of four legs, they thought about a base that would resemble the slender sheeting of a tensile structure. Another challenge: what material could be used to convey the idea of lightness and tension, while also being able to support a large glass top? The answer is a special cement mixed with organic fibers to become honey-like, ductile, for injection moulding, but also solid, as only a cement base could be. After a series of trials, one year of work, thousands of euros invested, Arc became a reality at Giussano. Everyone at the firm is convinced: this table is destined to become a true icon. Needle and thread, and the kitchen is tailor made. “Pragmatic, careful, like a tailor”. This is how they describe Rodolfo Dordoni at Molteni & C., thanks to his taste for detailing and refinement, but also in a sober, discreet way. This is the first time he has designed a kitchen for Dada, the kitchen brand of this Italian industrial group. “The project started with more sophisticated characteristics than the kitchens I had made previously with other companies”, the architect explains. “It’s called Set and it is a set of elements that, with individual technological characteristics, can be combined to form a puzzle. The challenge is to continue to guarantee Dada quality, but at a more affordable price. This means thinking in a more responsible way, paying attention to waste, avoiding tinsel, indulgent aesthetic details, things that are not functional”. On a bike, inside the factory, close to the designers. Carlo Molteni, president of the group, part of the company for forty years, seldom sits behind a desk. He is often seen in the factory, personally observing the progress of new projects. He moves from one division to another on a bicycle, to save time in the big facility. He is often found in the prototype area. He calls himself a ‘referee’ who reconciles the visions of designers, the industrial research of the company and the reasons of the market. “Projects have a lot more constraints than they did a few years ago”, he says. “Today we have to start with an absolute demonstration of quality. The project must be innovative, but you also have to know how to narrate it, to describe it”. On the table where we’re sitting there are sketches of a project by Monica Armani, Wafer, a new chair with a wooden structure, but with the seat and back in the material used to cover automobile dashboards, made with the same production process used in the automotive sector. Clad in eco-leather, it is a substance never before used in the furniture sector. “The use of a different technique can lead to very good results in terms of aesthetics and costs”, Molteni says, and he is convinced that this product will work. He is on a permanent scouting campaign: “I try to recognize good ideas, that are above all useful and innovative. If the product is very beautiful but of no use to anyone, I rule it out right away. There’s no point in wasting your time talking about it”. - Caption pag. 73 The two towers in the background seem to stand guard over the factories and headquarters of Molteni & C. in the heart of Brianza, at Giussano. International designers and architects feel right at home, here, as they work on upholstered furniture, tables, beds, chairs, wardrobes, all entirely made at this plant, with the exception of certain work done by local artisans, no more than thirty kilometers away. - Caption pag. 75 On the facing page, a pair of scissors that, together with needle, thread and pins, are the essential tools of the model maker who cuts and stitches sofas and seats, as if we were in a couture atelier. Above, Arik Levy at the factory in Giussano, in the prototyping area where he works with the model-makers to perfect his Breva chair. - Caption pag. 76 Above, a swab used to finish the borders of doors for kitchen systems. This is the symbol of one of the types of work that is still done by hand at the Mesero plant, between Milan and Novara, where the Dada kitchens are made, characterized by high-tech content and custom sizes. Above: Arik Levy adjust some details of the Double table; his sketches and notes for the last
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touches of the Tea Time sofa. On the facing page: above, Patricia Urquiola in the area of the plant where wood panels are worked (to the left, her Scriba desk); below, the tools of the model-maker in the prototyping area. - Caption pag. 79 Above, Rodolfo Dordoni in the Dada plant, beside the prototype of Set, the first kitchen the Milanese architect has designed for the group Molteni & C. On the facing page: above, the bench for quality control of skins; below, the last touches to the Glove chair by Patricia Urquiola.
INproject
Bio-tech objects
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by Stefano Caggiano Furniture and accessories, that give shape to a synaptic connection among the signs of contemporary design. Living in a fluent and technological time, they express the freedom of the new matter of invention, connected and fragmentary at the same time. The biggest mystery in the universe is right the presence of life in it. Although, maybe, a lifeless universe would be even more incomprehensible. In the course of time, before us, the dark necessities of the physical laws drove a huge amounts of lifeless atoms to meet and generate organic molecules, since life, like aesthetics, is an emergent quality, where everything is “ something else” compared to the sum of parts. We must start from there, in order to understand the current emerging of a new design, that accepts the biological quality, not opposed to the technological one, but as its epiphenomenon. At first, this trend may be considered as the heir of the conventional high-tech design, to the extent that the latter expressed the growing sensitivity to light and efficient devices, through joints in polished steel and glass tops, while the new bio-tech design takes the failing of a strict yet reassuring contraposition between active and inert, biological and artificial, on a sensitive plane, trying to give shape to our fluent and technological world through a molecular and “synaptic” aesthetics. The line of bath fittings designed by Giorgio Gurioli and Marco Maggioni for Odue is based on the circular concept of water-steam-cloud-rain transformations, to propose solutions such as the towel-rack Stylla, that seems to be designed by cellular membranes: “the fittings have grown spontaneously and almost self-designed, we had the feeling we were just onlookers, as if we were watching a tree growing”. The name of an atmospheric gas is also the name of the line of lamps Ozono designed by Esteban Moreno for the eponymous brand E+M, clearly inspired to the morphology of the O3 molecule. And a similar logic underlies the topological relations of the coat stand Game of Trust by Yiannis Ghikas, where three Y-shaped components mutually support themselves through a stable yet precarious embrace, like to the one that binds the atoms in molecules. The aesthetics that comes out of these projects doesn’t cover the structural relations of the object but it creates them, working in a place beyond the traditional archetypes from the very beginning and by now quite part of a time, where shapes have evolved according to the matter contingency. Now that we can have a three-dimensional moulding of plastic materials, but also of wood and rock (see Interni n. 560), the designers are asked to try the most difficult task: imagining the new without the support/limit of the acquired certainties. And as far as rapid prototyping is concerned, Materialise was one of the first to use it as a stylistic and language feature and its table Wye, designed by Bathsheba Grossman, has parts, that connect like people in the blog age (or like the neurons in our brain), blending yet remaining isolated, to take part in common ‘projects’ (designs, discussions, thoughts) and separate again to gang up and form more designs, more discussons, more thoughts. Even the recent blogbuster Avatar, by James Cameron, deals with this. The film stages a planet, Pandora, where almost all living creatures (plants, animals, the humanoid aliens Na’vi) ‘connect” to take part in the life of the info-ecosystem together. A similar scenario, where biology and technology blend in one medium-world, takes on a fiction plane what is actually happening in the age of Internet and cloud computing, which the bio-tech shapes of things like Evolved, designed by Timothy Schreiber for the group Designerblock, or Manufractals, by the Eindhovenian Frank Winnubst, belong to, and the structural-aesthetic logics of which are intertwined like neurons in synaptic nets with a high harmonious-technical density. And the designers, who understand the post-aesthetic energy produced by our connected and fragmentary world with greater freshness, include Joris Laarman, who, after the well-known bio-mimic seating Bone, designed according to the morphogenetic principle of the bones, has recently used the same concept for two new designs, the table Bridge and the chair Bone-Rocker, once more showing that the biggest mystery of the project (meant to make things work better) is industrial design (now working a lot with feelings and poetry). But also that a project without design would be even more incomprehensible. - Caption pag. 81 Above: the about 100 billion neurons in our brain connect to each other through very complex nets, and all physical and mental functions depend upon their preservation . Above: left-hand the chaise longue Morphogenesis designed by Timothy Schreiber, carried out in polycarbonate and padded foam; the coat stand Game of Trust by the Greek designer Yiannis Ghikas, formed by three Y-shaped components in wood, all supporting each other to form an embrace similar to the one binding the atoms in molecules. Opposite page, the table Evolved by Timothy Schreiber, inspired to biological and natural connections. Manufactured by FueraDentro in polished aluminium. - Caption pag. 82 Above, the towel-rack Stylla designed by Giorgio Gurioli and Marco Maggioni, belongs to the line of bath fittings Odue by Oasis. Opposite page, clockwise: the table Wye designed by Bathsheba Grossman for Materialise based on the company’s aesthetic and production philosophy, that makes use of the expressive capability of the rapid prototyping to produce shapes that would not be possible otherwise; Manufractals by Frank Winnubst, a project resulting from a study on elastic moulds, that showed an amazing composition made with resin poured inside balloons ; the lamp Ozono designed b Esteban Moreno for the brand E + M, inspired to the shape and structure of the ozone molecule, formed by three atoms of oxygen.
Domestic architectures
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by Maddalena Padovani Totem, the outcome of the cooperation between Vincent Van Duysen and Pastoe, is a modular storage unit designed to interact with the space but also with the user. The sculpturefurniture gets dynamic. Considered for many years as one of the players of minimalism in architecture and design, now that the planning debate has lost interest in matters of pure style, maybe for Vincent Van Duysen it’s easier to get free from strict classifications and focus
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on the method and thought of a research evolving with an extreme consistency. Totem, his first project for the Dutch brand Pastoe, is a modular unit revealing a clear architectural concept, that combines the rigorous, minimalist sign with a more dynamic and unconventional living vision. It’s a sculptural piece of furniture meant to be admired and used on all its sides and sizes, and despite its rigid box-like shape, it interacts with the surroundings. In addition: Totem is a piece of furniture that may be composed and personalized by its user, as it is formed by separate, square and superimposable frames to be placed one near the other, to create light solutions or, instead, hefty arrangements. The frames, revolving one on the other, can be open or closed on one side and fitted inside with horizontal shelves or vertical partitions. The result is a dynamic compositional play giving a new meaning to the architecture-furniture concept. Empty and full, horizontal or vertical planes, thin and thick shelves, colour and non-colour, orthogonal and slantwise: Vincent Van Duysen seems to be condensing all the salient characteristics of his work in Totem. “The piece of furniture”, the Belgian designer remarks, “is something existing by itself, as a building in a city; you can look at it from all angles and you must be able to turn round it. It plays an independent role in the décor. Also, Totem changes its look when you fill it with your own things, exactly as it happens with architecture. A building finds its identity only when it’s “lived-in”. About its scale, Vincent points out the references to the modern tradition of furniture and the democratic lesson of Bauhaus. Not incidentally, the latter came into being with Pastoe. The Dutch company has always distinguished itself for an extremely rigorous, formal production and high manufacturing quality. Like all pieces of furniture, Totem, too, is hand-made at the Utrecht factory, by skilled craftsmen, who share Van Duysen’s almost manic fastidiousness for details. The proportions of volumes, thickness of materials, finishes of surfaces and colour matches: each component helps to combine the pure functionality of furniture with the perceptive richness of the sculpture-object. “Modernity and durability” the designer sums up “are my goals, whether I’m designing furniture or interiors. And by durability I don’t mean just the use of natural, lasting materials, like stone and wood, but most of all an intrinsic planning quality enabling my architecture as well as my products to last for life, and maybe even more”. - Caption pag. 85 Manufactured by Pastoe, Totem consists of separate, modular, square frames. The storage units may be open or closed on one side and be fitted with horizontal shelves or vertical partitions. The components are available in all colours and finishes of Pastoe’s collection.
Zero-impact design
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by Michelangelo Giombini Mark Parker, at the helm of Nike since 2006, has an ambitious goal: to transform the sportswear giant into a model of global sustainability, with the help of eight plastic bottles. Mark Parker is the president and CEO of Nike, the American giant that makes 300 million shoes per year. He started out in the firm as a designer, in 1979. Since then he has had many roles, and for over 25 years he has contributed to create some of the most innovative concepts and bestsellers of the brand. Interni met him to talk about the upcoming World Cup of soccer in South Africa, where nine of the national sides will be wearing special Nike uniforms in recycled fabric. What does the environment mean for Nike, in this moment of global recession? “We approach this moment as a big opportunity. In January I was in Davos, Switzerland, for the World Economic Forum, where one of the topics was ‘re-design, re-think’. It was interesting to see how the design theme returned again and again as a resource to find solutions for the major environmental problems we have to face on a worldwide level. In this context, together with Yahoo and other companies, we have launched the GreenXchange, an open digital community in which companies can work together, sharing intellectual property and patents. The climate situation, shortages of natural resources, the world population that will increase by one third over the next forty years, the middle class that will triple over the next twenty years: these factors will weigh heavily on the planet and I think companies have a responsibility to understand the meaning of these transformations and to apply this awareness to the making of innovative products, rethinking the whole production chain, use of resources, reducing environmental impact and damaging emissions. If a company cannot yet afford to make its own store of innovation available, there’s a protocol for registration, covering paid concession of licenses”. What’s happening with the Nike Considered Design project? “Nike’s commitment to sustainability is nothing new (the Reuse-a-shoe project dates back to the early 1990s, ed.), though we haven’t talked about it much in the past. Considered Design started as a small collection of ‘green’ products, not particularly pretty ones, made with eco-compatible materials, reducing or eliminating the use of toxic substances. Today this effort can be seen in every production category and it has become a true manual (Index) that our designers can use to guarantee absolute ecocompatibility of products. It helps them to control the quantity of scrap generated, the use of compatible materials (Environmentally Preferred Materials) and their level of recycling, selecting the best working methods. Our goal is to achieve a closed-circuit system where there is no more waste: for the footwear, this should already happen by the end of next year, while for the clothes the date is 2015. To manage to extend this principle across all production a longer period will be needed, connected with a very complex organization that requires major innovations in production methods and management of the supply chain. Helping the environment doesn’t just mean being more responsible and ecological, it can also represent a big economic advantage: production costs are reduced if there is no waste, because disposal of scrap is an enormous expense for companies”. What is your commitment on the level of energy savings and use of renewable energies? “The most concrete example is our distribution center at Laakdal, Belgium, one of our most advanced facilities, entirely powered by wind systems: we have installed six big turbines that produce all the energy required for the functioning of the plant, with an area of about 200,000 square meters. The remaining energy, about 30 percent, is fed back to the electrical network to power the structures of the neighboring community”. Tell us about the soccer jerseys for the upcoming World Cup. “Maintaining very high performance parameters, these new uniforms are 100% considered. Every jersey is entirely made with polyester recycled from eight plastic bottles. The bottles are washed and chopped into small flakes, that are then melted and transformed into yarns that are used to make the fabric, leading to savings on new material and the energy required to make it. The big innovation here is that the sustainability of the project is combined with the very high standards of professional athletes, who for the first time in the history of soccer will take the field wearing garments with low envi-
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ronmental impact, garments that are also lighter and more comfortable”. What is the role of design and designers in the process of innovation and transformation of a company? “I believe that today, more than ever, design is fundamental to give form to the success and strategy of a company. Good designers have a more complex vision of the world, thanks to their capacity to observe the environment, consumers and, in our case, athletes. I am convinced that a company cannot construct its success and maintain it without putting design into a prominent position, rather than relegating it, as often happens, to a role of support for sales and marketing. At Nike we always say there is no line, because we can always improve. It’s like saying that the distance that separates us from our competitors is shorter, in any case, than the distance between us and our potential. This is where the real innovation in the work of a company happens: design does its job when links are created with consumers, with popular culture, with the environment and all those elements that are most significant and decisive for the future of the world”. - Caption pag. 87 The new Mercurial Vapor Superfly II by Nike, the lightest soccer shoe in the world at this time. With the Nike Sense system, the cleats automatically retract to adjust to pitch conditions, improving the athlete’s hold on different surfaces. On the facing page, above: Mark Parker, president and CEO of Nike, at the latest Innovation Summit of the company held in London, 24-25 February. Left: the bottle-symbol of the uniform in recycled material Nike has created for the upcoming World Cup of soccer. Up to this point, 13 million plastic bottles have been recycled to produce the most ecological jerseys in the history of soccer. The uniforms will be used by the national sides of Brazil, Holland, Portugal, USA, South Korea, Australia, New Zealand, Serbia and Slovenia. Below: the Nike distribution center in Laakdal, Belgium functions entirely with green energy. The complex is powered by six wind turbines, and oriented to maximize exposure to natural light. - Caption pag. 89 Above: the ruins of the Battersea Power Station, an icon of industrial archaeology in London, which hosted the latest Nike Innovation Summit and the world press conference on the products that represent the company’s state of the art. Below: the Trash Talk shoe is the first 100% “considered” basketball footwear: it is made with production scrap, and the recycled rubber of the sole is obtained by shredding used shoes. On the facing page, above: set up in Nike Town in London, the Nike iD boot room is the new frontier of custom sports footwear, where it is possible to order shoes, adjusting them perfectly to your playing style. Below: running suit in 100% recycled material. In Considered products, toxic materials and scrap are reduced to a minimum or completely eliminated from the production phase.
INview
Crazy about green
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by Laura Traldi A picnic on the grass seated round the home table. Feeding the buildings with edible gardens. Switching on a lamp by using energy produced by a succulent. Design and architecture have made green an integral part of the project. There were the partition, where the bushes by Studio TAF climb up, the miniature landscapes with plants by Aldo Cibic and the rain-water tank to water the plants in biodegradabile pots by Bas van der Veer. At Rossana Orlandi’s, FuoriSalone, the vegetable world was the main theme of many designs. Not by accident. The trend-scout Li Edelkoort (most appreciated at Orlandi’s) has been talking for many years about the return of the “farm” culture to offset the disposable’s, by now definitely out in the circles of right-minded people. “It’s a consequence of the ecological emergency”, Aldo Cibic says. “We are realizing, that what was once regarded as a development model never took into much consideration nature and what it must represent for mankind”. At roll-call, maybe owing to the crisis, the designers are present with solutions, where green doesn’t play just an ornamental role but also a structural one, and often, even a social one. For instance, it’s what Gionata Gatto did with his Urban Buds, ‘portable kitchen-gardens” (grass turf containers in felt bodies) for the public ground: “the idea is that the ethnic groups living in a district may use them to grow spices and greens for consumption”, the designer explains, “so food becomes a means to approach and share a common life experience”. “People now want to be closer to nature and take care of things. Nothing more than life itself can remind us of its value”, says Benjamin Graindorge, a young French designer who carried out an aquarium, where the fish feed the plants, in their turn giving out oxygen into the water. So, the ‘designed green’ isnt’ a sad, nostalgic attitude but a way to consider a counterculture, that draws from the agricultural past to think ahead. So much so, that some of the ideas tuned in to this wavelenght are closer to science-fiction than the post-rural atmospheres dreamed by Edelkoort. Just think of the EcoPods by Howeler +Yoon Architects, cubic modules used as gardens to be “stuck” on disused buildings. Not only to give them a more respectable look, but to allow the intensive cultivation of micro-seaweeds growing vertically and producing 30 times more bio-fuel compared with other renewable sources. In order to optimize their development, the capsules are always in motion, in search of the best air-light pair by means of a mechanical arm (activated by the energy they produce). It looks like Star Trek but according to Howeler +Yoon this concept is more than feasible. “The process, expected to occur inside the pod is still in an experimental stage” they say, <<but some recent developments in extracting energy directly from seaweeds, make it technologically possible.” In Italy, too, new ideas are being brought on the carpet. For instance, at the Furniture Exhibition Benetti Stone presented the Moss Tile, a lichen tile on a base of eco-friendly resin needing light to keep itself, it doesn’t grow (so no pruning required), and lives on a 50% humidity only and it absorbs noises naturally. It’s a trend that, according to Massimo Iosa Ghini, “results from the new awareness of the importance of green in the architectural project: not only as an ornamental component but as a living, covering material for vertical and horizontal, closing components”. Following this trend, he designed South Face for Il Cantiere, a wall with modular components in Ductal® concrete, where the vegetation comes out of its “pockets”. But how useful is the integration of green in architecture to make our living more sustainable? Maybe not too much, in concrete and quantifiable terms. Actually, the recipe for sustainability is a much more complex one. Aldo Cibic says: “Less concrete, a balanced eco-system, consumptionconsciousness, less impacting production, change in waste handling habits, lower CO2 production”. And what is the environmental impact of the chair with protruding roots by the German Kai Linke or the green tables by Asif Khan or by Valentina Farassino and Chiara Martini? Definitely, zero impact. Yet, using green as a meaningful component of
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the project (changing it into a conditio sine qua non) the user is responsible for its wellbeing: in short, to keep enjoying it, you need to take care of it. “I think that to create things that people are fond of and want to hand them down from father to son is the best way to think sustainabile now”, Asif Khan says. A turning point from the use of disposable things, which is no doubt important to define a more sustainable future. - Caption pag. 91 1. Table and chair from the collection Harvest by Asif Khan: ordinary plants found in London, where the designer works, were intertwined, cold dehydrated and laid with moulds. 2. The miniature landscapes Little Nature, by Aldo Cibic together with Cristiano Urban for De Castelli, in burnished iron: each one features a small piece of nature (Olive bonsai, little succulent plants, pelena, grass). 3. Roots, by the German Kai Linke, is a line of furnishings, that ‘guide’ the growth of bulbs, hyacinths and grass: once the growth is completed, the frame is removed, thus changing the vegetation into an actual structure. 4. Glass and flowers together in Floating Flora from the glass collection by Valentina Carretta/Fabrica for Secondome Edizioni. 5. GreenLantern by Romolo Stanco. A lamp carried out through an injection of liquid wood, biodegradable biopolymer obtained from wood-working rejections and with the same aesthetic effect. The Led lamp is switched on by using the surplus of electromagnetic energy produced by the plant through its vital functions. - Caption pag. 92 1. The Moss Tile by Benetti Stone: perfect for enclosed rooms without light, as the lichens it is made of, laid on a base of eco-friendly resin, can live even in the dark and with just 50% of humidity. 2. Urban Buds by Gionata Gatto: social, portable kitchen gardens in felt shaped as suitcases. 3. The green partition Moving Hedge by the Swedish GreenWorks: it absorbs the acoustic pollution and pumps oxygen into the air. 4. South Face by Massimo Iosa Ghini for Il Cantiere: the modular components in Ductal® concrete may be assembled freely to form a sort of “pockets”, where the vegetation comes out of. The result is a vertical, vegetable wall. 5. The ‘church of wine’ at Weinheim Alzey, Austria, by Marcel Kalberer carried out in bamboo and tendrils, presented at the meeting ‘A Sustainable Beauty’ at the Triennale last March. - Caption pag. 93 6. The EcoPods by Howeler +Yoon Architects in a graphic work by Squared Design Lab. Cubic modules, that rotate to get the best light-air pair to be used as vertical gardens for the cultivation of micro-seaweeds meant for a bio-fuel production. 7. The Growing Chair by Michel Bussien: the willow-tree and vine grow together inside the chair-like plastic structure; once fully developed, it is removed and the plants are the undisputed players of the project. 8. The home lung Long Life by Myrthe Mandemakers: a little garden hanging from a wall in felt and organic cotton. 9. Its name is Déjeuner sur l’herbe and it was invented by Valentina Frassino, Studio Vfrì, together with the garden designer Chiara Martini and the agronomist Stefano Assone: the plants grow on a structure carried out in several materials and contained by fabrics. Obviously, the Plexiglas top is an optional.
INproduction NeoAlcoves
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by Katrin Cosseta Cocooning trend: privacy designed as individual cells of comfort, cocoons of privacy, furniture as micro-architectures. Design meets the request for protection with chairs, that feature high and comfortable backs. Something of a screen, something of a shelter, oversized and bordering on parody. Contemporary versions of the Anglo-Saxon archetype of the wingback chair or the French bergère, fit for communal rooms. - Caption pag. 95 On this page: Nest, by Seyhan Özdemir & Sefer Çaglar/Autoban for De la Espada, a lounge chair with a shell-like back, in oak or birch, painted white or black. Opposite page: Social Drop, a movable structure to create improvised cocoon on tables, beds or desks, designed and self-produced by Olivia Decaris; carried out in laser-cut birch plywood, polyester material, aluminium, steel and Nylon. - Caption pag. 96 1. Confessions, ‘domestic confessional-chair” in a limited edition by Arik Levy/Galerie Slott, in black enameled mdf and walnut finish, cushions in felt. 2. Tank, by Edward van Vliet for Palau, a chair with sound-proofing cap and upholstered in maharam fabric by Paul Smith. 3. Envelope, by Inga Sempé for Lk Hjelle, soft high-back sofa with free ends to wrap oneself up. Fabric upholstery. 4. Alcove seat, designed by Ronan&Erwan Bouroullec for Vitra, high-back armchair with feet in chromium-plated steel, upholstered in fabric. 5. Liu, by Andrea Parisio for Meridiani, bergère with wooden frame and padding in polyurethane, housse in leather. 6. Trieste, by Paola Navone for Baxter, high-back sofa covered with green nabuck leather. - Caption pag. 97 1. Tent sofa, by Philippe Malouin for holiday camps, armchair-bed with visual screen, that calls to mind a military tent. 2. Antoinette, by Cate & Nelson for blÅ station, partition-seating with a frame holding a curtain in semitransparent fabric; the seating, upholstered in leather or fabric, may be removed to allow the storing up. - Caption pag. 99 1. Swa cell, by Setsu and Shinobu ito for Fornasari, outdoor lounge chair with structure in dried Slavonia oak, curtains in polyester material and PVC. 2. Plié, by Roberto and Ludovica Palomba for Driade, high-back armchair in rotational moulding polyethylene. 3.Red Baron, by Giorgio Soressi for Erba Italia, armchair with structure in metal and polyurethane foam, upholstery in leather or fabric. 4. Derby, by Noè Duchaufour Lawrence for Zanotta, bèrgere with swivel base in steel and outside frame in rigid polyurethane covered with leather or imitation leather; each component is carried out one by one, first moulded, calibrated and assembled and then finished. 5. Archibald, by Jean-marie Massaud for Poltrona Frau, high-back armchair with feet in aluminium cast, finish in metal grey, structure in steel and padding in polyurethane foam, elastic straps, covered with Frau leather and contrasting seams. - Caption pag. 100 1.Lounger, by Jaime Hayon for BD, high-back swivel chair, upholstery in leather or fabric, complete with pouf. 2.Club, by El Ultimo Grito for Uno Design, armchair with structure in painted metal tubular forming a high back screened by semitransparent fabric. 3. Armchair 671 designed by Pierre Chareau in 1924/1927, in the model by Alivar collection Museum, structure in wood, upholstery in two-colour velvet. 4. Dion, by Rodolfo Dordoni for Minotti, a rendering of the classic bergère with feet in metal and a black nickel finish. Structure in solid wood with intertwined elastic straps with a high content of India rubber, upholstery in leather or fabric. 5. Grande Papilio, by Naoto Fukasawa for B&B Italia, high monolith armchair, 360-degree swiveling, with inside frame in steel sections and tubulars, padding in polyurethane foam, upholstery in fabric or leather. 6. Origami, by Carlos Tiscar for Offecct, a new rendering of the wing-chair combining broken lines and comfort with chromium-plated metal feet and upholstery in fabric, available also with pouf.
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